V · Giornale storico E LETTERARIO DELLA ΤΓΤΤΠ T A diretto da ACHILLE NERI * * * -L» 1 VJ· LJ ΓΥίχΛ. e da UBALDO MAZZINI * * * -------Ϊ_ pubblicato sotto gli auspici della Società Ligure di Storia Patria 1907 Gennaio-F ebbraio-Marzo SOMMARIO. G. Sforza : Contributo alla vita di Giovanni Fantoni, pag. 5 — G. U. Oxilia: Spigolature nel carteggio di Giuseppe Gazzino, pag. 40. — Δ. Pesce: Alcuni documenti intorno alla ricostruzione del Castelletto e ad un intrigo di Alfonso d Aragona, pag. 74. — VARIETÀ : G. B. d’ I. Diario inedito della morte di Benedetto D’ Oria vescovo d’Ajaccio, pag. 97. — BOLLETTINO BIBLIOGRA-l"ICO. Vi si parla di Maria Ortiz (G. Sommi Picenardi), Pag. 100. — ANNUNZI ANALITICI : Vi si parla di Migliore Cresci (M. L. G.), V. Poggi, P. Colletta, U. Assereto, E. G. Parodi, pag. /02. — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. /06. — APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE, pag. ijj. ANNO Vili Fascicolo 1-2-3 DIREZIONE Genova - Corso Mentana 43-12 LA SPEZIA Società d’Incoraggiamento editrice Genova - Tip. della Gioventù AMMINISTRAZIONE La Spezia — Amnv^nteazione del Giornale % GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA DIRETTO DA ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI E PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA LA SPEZIA SOCIETÀ D’ INCORAGGIAMENTO EDITRICE MCMVII GENOVA - TIP. DELLA GIOVENTÙ » CONTRIBUTO ALLA VITA DI GIOVANNI FANTONI (LABINDO) V. SULLA BRECCIA PER LA LIBERTA. Scoppiata a Reggio la rivoluzione, la Garfagnana restò fedele agli Estensi ; soltanto quando i Francesi rovesciarono a Modena la Reggenza ducale, spinta dall'incalzare degli eventi e dalla necessità de’ tempi, si piegò, ma di mala voglia, a mutare anch’essa Governo. « Corsa la voce che Modena aveva inalzato l’albero della libertà » (scrive uno de’ giacobini della Garfagnana), « la Provincia spedì a Reggio un cittadino, noto pel suo patriottismo, in traccia di qualche uffiziale che qua venisse a dirigere Γ erezione del simbolo della politica nostra rigenerazione. Pronto fu il ritorno dell’inviato e dell’ufficiale, cui tenne dietro l’immediato innalzamento dell’albero in Castelnuovo e delle bandiere tricolorate ne’ luoghi principali della Provincia». Le « coccarde repubbjicane » vennero « portate tosto in mostra da ogni maniera di persone, senza che per anche alcuna legge l’ordinasse » ; ebbero un « bando totale » i titoli e le distinzioni « nel carteggio , negli atti pubblici, — 6 — ne’ privati discorsi »; vi fu la « universale abolizione degli stemmi gentilizzi, testimoni funesti deH’ineguaglianza »; la « pronta soppressione degli emblemi, delle aquile , delle corone, delle insegne tutte dello spirato Governo » (i). Il comandante del forte di Montalfonso ricevette questo ordine da’ nuovi reggitori di Modena : « Farete marciare a dirittura alla volta di questa capitale tutta la truppa formante tanto il presidio di Montalfonso , quanto quello delle Verruccole » (le due fortezze della Garfagnana), « per riunirsi a quello di Modena , lasciando per la custodia e vigilanza dei prigionieri, se ve ne sono, quegli invalidi che costà si troveranno ; e in caso di bisogno , sostituirete a questi un piccol numero di forensi, avvertendovi che sì gli uni, che gli altri, dovranno dipendere interinalmente da voi » (2). Al Governatore ducale , Giampietro Mulazzani, rimasto in carica, fu scritto : « Sarete sollecito, d’intesa con codesta Comunità di Castelnuovo, di far prendere immediatamente possesso del forte di Montalfonso dalla milizia forense. Sarebbe poi preferibile, a risparmio di spesa, che la Comunità medesima formasse una truppa civica di buoni ed onesti possidenti , e però commetterete alla Comunità stessa d’incombere sollecitamente a tale formazione ». La lettera, che è del 21 vendemmiatore anno 5.0 della Repubblica Francese [12 ottobre 1796], finiva con queste parole : « Vi preveniamo inoltre che un individuo del nostro Comitato di Governo si porterà sollecitamente ad organizzare la nuova Municipalità ; potendo frattanto l’attuale Comunità continuare nelle consuete funzioni ». Il 27 di quello stesso mese si tornò a scrivere al Mulazzani : « In vigore del nuovo piano di governo, provvisoriamente fissato dai Commissari della Repubblica Francese, rimane cassata e soppressa la carica dei Governatori politici e militari in questi Stati. Vi annunziamo , o cittadino, non senza però nostro dispiacere , che la vostra carica e ufficio è soppresso e cessato ; epperò , collo spirare di questo mese, desisterete onninamente dalla suddetta carica, premessa la consegna delle carte dell’Archivio gover-natorale, la quale farete in legai modo al Giusdicente della — 7 —. vostra residenza, a cui abbiamo dato per tale effetto le opportune disposizioni. V’ incarichiamo , o cittadino , di dare il possesso della rocca agli Otto deputati della Provincia ». La consegna delle carte al Podestà di Castelnuovo, che era Ippolito Zuccoli, ebbe luogo il primo di novembre. Nel medesimo giorno i cittadini Pieracchi e Bimbi, a nome e per conto degli Otto rappresentanti, presero possesso della rocca. Per commissione della Rappresentanza generale della Garfagnana, venne fatto questo appello alla gioventù: « La libertà, che ci ha reso la generosa Nazione Francese, richiede de’ difensori..... Non è un sovrano che ti richiama e ti strappa per forza dal seno delle tue famiglie per aggravare sempre più col tuo sangue le tue catene, o per sostenere col tuo coraggio le violenti ed arbitrarie esecuzioni degli assassinii fiscali. È la tua gloria, è il vero interesse comune della tua patria , che t’invita ad ascriverti volontaria fra i primi difensori della libertà ». Furon parole al vento. Per quanto l’esile schiera dei giacobini della Garfagnana festeggiasse l’inalzamento dell’ albero a furia di suoni e di canti, non potè esso spuntar le radici: troppa e troppo universale e concorde era l’avversione degli abitanti, che affezionati da più secoli alla Casa d’Este, con dolore e rimpianto ne avevano visto la caduta, con desiderio ardentissimo ne sospiravano il ritorno. Le condizioni di Castelnuovo in que’ giorni son descritte dal Podestà Ippolito Zuccoli in un rapporto che inviò al Comitato di Governo a Modena: « Soppressa la carica di Governatore senza aver prima organizzata la Municipalità, e licenziata la truppa che presidiava questo forte senza essere sostituita da una forza necessaria a far rispettare le leggi e i diritti sociali, alcuni male intenzionati oziosi, abusando della libertà ed eguaglianza, si fanno lecito di turbare la pubblica tranquillità, attentando alla privata sicurezza de’ cittadini con proteste e minaccie di voler perfino entrare nelle loro case e derubarle. La piazza e le contrade risuonano nelle ore notturne dei loro indecenti e minacciosi schiamazzi, che vanno crescendo da tre giorni . — « — a questa parte , talché si fa più serio il pericolo dei migliori cittadini, i quali reclamano un adeguato provvedimento. In questo emergente ho creduta necessaria la ripubblicazione delle già date provvidenze in passato, che ordinano, sotto pena di otto giorni di carcere , agli osti e bettolieri di chiudere le bettole, osterie e cantine al suono dell’ora di notte ; proibiscono , sotto Γ istessa pena, ai terrieri di trattenervisi per bere e giuocare e per ozio ; ed impongono, sotto la stessa pena, a chiunque di portare il lume. Privo come sono di forze , consistenti in un timido bargello, con cinque sbirri, la maggior parte fuori per servigio della giustizia, non ho trovato altro espediente che di ordinare al cittadino Comandante di queste milizie di radunare una guardia di dodici delle più atte a mantenere il buon ordine e la quiete fino a tanto che dal Comitato di Governo vengano date quelle disposizioni che crederà convenienti al caso ; prevenendolo che una guardia civica in questa terra o poco o nulla vi potrebbe influire, per le circostanze del paese, il quale non somministra che pochi cittadini benestanti, o artisti, premurosi della pubblica quiete, ma nel tempo stesso insufficienti ad opporsi alla minima insorgenza di pochi perturbatori ». Benché finisse condire: « L’ affare merita i ritiessi e le più sollecite provvidenze del Comitato di Governo, ed io le sto attendendo, per darvi esecuzione » ; il Comitato di Governo non si fece vivo. Di più, l’ordinata pattuglia, che non mancò di produrre buoni effetti, per un’imprudente economia, venne scemata di numero e poi levata del tutto. Il paese , rimasto in balìa di sé stesso, senza guida, nè freno, non tardò a venir preda della reazione. Ne fu Γ istigatore e Γ anima il frate Pier Paolo Maggesi, confessore dello spodestato Duca di Modena (3). « Come sorgono da una favilla i grandi incendi » (nota un contemporaneo), « nascono spesso i grandi eccessi da piccoli principi ». La sera del 26 novembre « nuove favorevoli alle armate francesi, divulgate coH’arrivo della posta dal reggiano Franceschetti ; nuove contrarie , inculcate da alcuni castelnovesi, eccitarono l’unione di altri mal animati — 9 — della plebe, che usciti in mormorazioni contro il France-schetti e più che di lui , disgustati del suo patriottismo e della stessa sua origine nel paese primogenito della libertà italiana, il costringono a salvarsi con una fuga segreta, secondata dairamicizia dei buoni. Al primo fermento contro il Franceschetti , tien dietro ben tosto un’ alquanta più e-stesa commozione contro il nuovo Governo. La piazza risuona degli evviva dell’ex-Duca. Si minaccia l’atterramento dell’albero; si vogliono le chiavi della rocca, dov’erasi trasferito 1’ albero sulla ringhiera , a maggior sicurezza ed a risparmio della guardia. Le chiavi vere non vengono consegnate e spezzano le porte. L’albero è già atterrato: i sediziosi corrono le strade trascinando in trionfo fra le grida le insegne tricolorate. Cessò il rumore coll’ avanzarsi della notte. I sollevati, baldanzosi del primo passo, loro riuscito, poterono dormire placidamente e ricomparire la mattina ; estorquere ordini dal giudice ; rompere in faccia agli esecutori, o vili, o infedeli, le tavolette ov’erano affissi gli ordini della Repubblica; giunta la sera, forzare alla consegna delle armi e delle chiavi della fortezza il custode della medesima, alla cui porta aveano la notte battuto inutilmente; rialzare sulla fontana di piazza 1’ aquila estense , guardata da due sentinelle; e poterono, in numero di trenta o quaranta persone , rendersi padrone di Montalfonso. Se pochi e deboli non aveano incontrato ostacolo , meno ebbero a temere, cresciuti che furono di numero, e fatti padroni del forte, delle armi, delle munizioni, de’ cannoni, alcuni de’ quali tradussero in Castelnuovo a miccia accesa, e ne guarnirono la piazza e la rocca » (4). Giuseppe Maria Terni, nel farne esso pure il racconto in una lettera che scrisse a Pompeo Baldasseroni il 30 di quel mese, aggiunge: « fu incatenato un certo tenente Gi-rolami, capo del partito francese e portato avanti il cannone ; ma postosi colle ginocchia a terra, chiese la vita, col dare centocinquanta sacca di grano per la truppa, e fu lasciato subito » (5). Ecco che il giorno 28 arrivano i promessi e tanto aspet-rati organizzatori delle Municipalità. Erano Luigi Valdrighi - IO — e Pietro Notari , membri tutti e due del Comitato di Governo, e avevano per compagno Giovanni Fantoni. Giunti a S. Pellegrino, vennero avvisati della sommossa e del pericolo che correvano. Si diressero a Camporgiano, come ad asilo sicuro; infatti le poche milizie di quel paese giacobi-neggiante presero le armi per difenderli. Mancavano però di munizioni, non avendo che solo otto once di polvere, bastanti appena a caricare una sola volta gli archibugi. I rappresentanti del Governo fecero occupare il vicino forte delle Verrucole e chiamarono a Camporgiano le altre milizie della Vicaria ; ma l’ordine, inviato tre ore circa dopo la mezzanotte, non fu prontamente ricevuto, nè potè essere eseguito con la necessaria prestezza, essendo gli uffiziali distanti quali cinque, quali sei e sette miglia e alcuni abitando in paese diverso da quello de’ propri soldati. I rivoltosi, inteso il loro arrivo, decisero di correre in armi a farli prigionieri. A notte avanzata giunse a Camporgiano un segreto avviso di quanto si tramava ; « ma la sicurezza della rocca, ov’ erano alloggiati i rappresentanti della Repubblica, la distanza de’ rivoltosi, la lusinga che non avrebbero nulla tentato prima dell’arrivo delle ordinate milizie, soprattutto il desiderio di porre in freno i traviati li fece restare e preferire la speranza del ben pubblico alla loro stessa salvezza ». La mattina dopo giunge la notizia « che venivano truppe dalla parte di Castelnuovo. Al primo annunzio tien dietro un secondo, che dette truppe sono una parte delle chiamate milizie. Sopraggiung*e il terzo ed assicura che arrivano i rivoltosi. La fama, che ingrandisce le cose, parla già di quattrocento vaglini e di oltre a seicento castelnovesi ; benché non giungessero in realtà che a circa ottanta teste. I dodici o quindici uomini di Camporgiano , che guardano la rocca, chiedono gli ordini, sebbene male armati e senza munizioni; ma i comizi » (cioè i tre rappresentanti) « si avvisano di dover cedere ai tempi. Una pronta ritirata li salva dalle mani della forza armata, che poco stante s’impadronisce della piazza e del castello e va cercando ogni angolo per scoprirli » (6). Sul numero degli assalitori i contemporanei sono di- - II - scordi. Il Commissario di Castiglione, terra allora appartenente alla Repubblica di Lucca , scriveva al proprio Governo, « che cinquecento persone di Castelnuovo si erano portate a Camporgiano per arrestare i Commissari francesi, ossia del Governo di Modena » (7). Il Terni cosi informava del fatto il Baldasseroni : « La sera, essendo ritornati in Castelnuovo centocinquanta soldati, spediti dietro ai due Commissari Valdrighi e conte Fantoni di Fivizzano, portarono due valigie e altra roba predata ai medesimi, che per la fretta lasciarono in Camporgiano , fuggendo colla sola camicia e calzoni; e ciò seguì perchè i soldati, poco pratichi, entrarono in Camporgiano a cassa battente. Le dette valigie furono aperte nella piazza di Castelnuovo alla presenza di un numeroso popolo (8), ove trovarono il carteggio tenuto coi partitanti francesi, che , per quanto ho inteso, sono circa a dodici famiglie delle più facoltose della Provincia. Il Pieracchi di già n’è il capo, che fu quasi impossibile il trattenere quel popolo che non gli abbrugiasse il palazzo. Il colonnello Carli, che ha fatto capitano per S. A. S., gli acquietò e solo vi mandò la sentinella acciò non fuggisse, essendosi ammalato, o vero, o pur fìnto; e degli altri ne andarono in cerca , che , per quanto sento , alcuni sono in fortezza , guardati dalla truppa, ove si trovano centocinquanta soldati , essendo capitano un certo Torelli di Careggine, uomo di coraggio. Tanto il luogotenente del Governo di Castelnuovo, quanto il capitano di Ragione di Camporgiano , sentito che erano state fermate le lettere dei Commissari, se ne fuggirono , ed infatti furono trovati rei per il carteggio tenuto con i medesimi. Detto luogotenente gli aveva di già avvisati della rivalità seguita in Castelnuovo , additandoli di andare in Camporgiano a mettere insieme dei soldati e che poi si portassero segretamente in Castelnuovo..... Il capitano di Ragione poi aveva di già mandato ordine a tutti i capitani delle milizie del suo Vicariato per eseguire quanto sopra; come di fatto si erano principiate a radunare tali truppe, ma arrivate quelle di Castelnuovo , si unirono anche quelle contro i Commissari suddetti , gridando tutti ad una voce: Evviva S. A. S. Ercole III duca di Modena. Nelle dette due valigie vi furono ritrovate tante corone con medaglia, e in detta medaglia, da una parte vi era una donna ignuda e dall’altra una pessima iscrizione..... Mi si dice che il Val- drighi possa essere ammalato , essendo ciò seguito per il disastro del viaggio » (9). De’ tre fuggiaschi chi ebbe a passare « per Silicagnana, per Alassa, per Sassorosso, dove ricevette ogni aiuto, venendo scortato da un amico della patria » ; chi , « presa altra strada, si diresse per diversi paesi della Provincia, dove o non incontrò alcun sinistro accidente , o incontrò solo umanità e fratellanza. Tutto ciò, per altro, non potè sottrarli dai disagi di un lungo e faticoso viaggio per luoghi i più alpestri » (10). Sarebbero stati inseguiti e raggiunti : dovettero la propria salvezza all’ avvedimento del giudice di Camporgiano , Pier Vincenzo Caselli ; il quale , accortosi che i rivoltosi ritenevano fossero nascosti nella rocca, dove frugarono per ogni dove, avvedutamente li mantenne nell’ incertezza, guadagnando in tal modo tempo bastante ai fuggiaschi d’allontanarsi e mettersi al sicuro (11). Alla fine del 1796 doveva tenersi a Reggio il congresso della Confederazione Cispadana, composto di cento rappre sentanti, venticinque de’ quali scelti da’ Reggiani. Il giorno 11 decembre vennero convocate in Reggio le assemblee parrocchiali perchè eleggessero i centurioni, i quali poi il 15 avevano a nominare gli elettori , e questi ultimi nel giorno stesso i rappresentanti. Labindo tornò a Reggio per dare il proprio voto; ma non gli fu consentito. Si reco allora a Modena per richiamarsene col Governo centrale e lo fece con questa lettera. Libertà. Eguaglianza. Modena, 23 Glaciale [13 decembre] anno V della Repubblica Francese una e indivisibile. Primo della libertà Lombarda. Cittadini Rappresentanti, Dichiarato per i servigi prestati alla libertà , prima della mia partenza per Milano, con le più fraterne dimostrazioni da Reggio libera e dai componenti allora il suo Governo cittadino reggiano , tomo da — 13 — colà il dì 20 glaciale [/o decembre] per dare il mio voto all'assemblee primarie che dovevano farsi la mattina seguente. Mi presento la sera del citato dì 20 alla Municipalità ed essa mi rinvia al parroco della parrocchia ove sono domiciliato, per farmi inscrivere. Faccio interpellare il parroco, ed esso , dopo avermi fatto aspettare la risposta fino all’ora dell’elezione, forse per consultarsi, mi risponde finalmente, come potete rilevare dall1 annesso foglio (i2)t che gli sembra che io sia escluso dalla legge per non essere un decennio che sono dcmici-liato in Reggio. Credetti prudenza non intervenire aV’ assemblea parrocchiale, ed acciò la malevolenza non potesse servirsi de suoi soliti raggiri, stimai saggio il non uscire in quel giorno di casa e di partire immantinente per consultarvi. A voi, cittadini Rappresentanti, che avete fatta la legge, ne domando l’interpretazione. Voi sapete meglio di nie che non può darsi un effetto retroattivo alla legge , e che dichiarare uno cittadino è lo stesso che accordargli tanti anni di domicilio , quanti sono necessari per renderlo votante ed eleggibile. Tutti i giuresprudenti convengono su di ciò, e n’avete sotto i vostri occhi un esempio: il cittadino Mar-chini, il quale, prima che la Garfagnana si riunisse alla Confederazione Cispadana, fu creato cittadino reggiano, per poter essere eletto fra i membri del nostro Governo Provvisorio, e nell’ istesso giorno creato e cittadino reggiano e per Reggio membro di questo Governo. Attendo prontamente la vostra risposta. La vostra decisione non può essere che conforme alle leggi ed alla giustizia; nè potrò mai credere che il voto della Nazione Reggiana espresso per l’organo de’ suoi primi rappresentanti mi abbia voluto dichiarare, con un nuovo e non inteso decreto, cittadino passivo. Salute, fratellanza e rispetto. Giovanni Καντόνι. Lo stesso giorno (13) gli venne risposto: Attesi i vostri particolari talenti ed il vostro singolare patriottismo rincresce al Comitato che voi, malgrado la dichiarazione ottenuta dalla città di Reggio, non possiate esser riguardato come cittadino a tutti gli effetti e segnatamente pel diritto di votare nelle assemblee che ora si tengono. 11 regolamento promulgato dal Comitato stesso espressa-mente richiede per tale diritto l’origine, o il domicilio per dieci anni in quest! Stati , perlocchè in forca di simi! prescritto nulla può giovarvi l'antecedente concessione della cittì di Reggio ; tanto più che dopo la medesima non avete stabilita in alcun luogo dello Stalo la sede delle vostre fortune. Desidera bensì il Comitato , che giunga il tempo nel quale in voi concorrano tutti i necessari requisiti , mentre dal zelo e dall’opera vostra non ponno che aspettarsi importanti servigi alla Patria (i.j . — 14 — Gli convenne rassegnarsi, e tornò a Milano, dove il 21 gennaio del 1797 propose una soscrizione di trentamila scudi, a uno scudo a testa , per erigere un monumento a Cesare Beccaria (15). Il nuovo soggiorno non fu però di lunga durata, e riprese la strada di Modena. Ad abbreviarlo dovettero contribuire i fieri contrasti avuti con alcuni degli esuli dell’altre parti d’Italia, rifugiati a Milano, che fatto del patriottismo un monopolio, coprivan di fango chiunque non secondasse e non favorisse le improntitudini ed i ghiribizzi de’ loro sconvolti e deliranti cervelli. « I pubblici ladri » (scrive Giambattista Giovio) « lusingandosi di poter rosicchiare ossa ancor umide, già dai francesi spolpate, e con essi i gonzi visionari, empievano ogni angolo di ciance stampate, di panegirici repubblicani. Gli stessi letterati diventarono la versiera della politica ». E aggiunge: « I clubisti, i pazzi, gli uomini perduti, i fuorusciti napolitani , romani, veneti , piemontesi, i semplici che avevano sempre fitta in mente la fantasima della repubblica, appestavano Milano, divenuto ormai sentina e cloaca » (16). In questa pittura si vede il pennello del reazionario, le tinte son tutte annerite, ma il fondo del quadro è vero. Davide Bertolotti nelle notizie sul Fantoni, da lui raccolte « mercè di lungo commercio di lettere », scrive: « Le piazze di Milano e di Modena lo intesero predicare la popolare autorità, ed in quest’ ultima città ancor rammentasi la radunanza di ragazzi da lui fatta, armata di fucili di legno , eh’ egli chiamò il Reggimento della Speranza (17), e per cui scrisse un inno, che andò a stampa e che comincia : Or siam piccoli Ma cresceremo » (18). Racconta il cronista Antonio Rovatti, che il 21 maggio del 1797, « verso mezzogiorno, sessanta circa giovani delle basse scuole, ammaestrati nei maneggi delle armi colla tattica francese , a tamburo battente si portano al fabbricato dell’Accademia di pubblica istruzione al 1 eatro anatomico, dove depositano 1 loro fucili » ; e che il dopo pranzo si recano dinanzi al palazzo Campori, alloggio del generale — 15 — Dallemagne, e « quivi eseguiscono diverse manovre, giusta la tattica francese, alle quali lo stesso generale sta spettatore e applaude dalla finestra » (19). Era la schiera ammaestrata da Labindo. Quattro giorni dopo la Municipalità di Modena deliberava « che si formino quattro battaglioni di fanciulli, e questi siano istruiti per tempo nell’ arte militare » ; il primo venga denominato della Salute, il secondo della Speranza , il terzo della Riserva e il quarto del Soccorso della patria ; « ogni battaglione abbia la sua bandiera », e il farle sia cura del patriottismo delle cittadine. Il Battaglione della Salute, composto di cinquanta ragazzi, era formato degli scolari di grammatica, umanità e rettorica ; il Battaglione della Speranza ne contava sessanta e raccoglieva sotto la sua bandiera gli scolari di grammatica inferiore e della quarta classe ; il numero de’ ragazzi del Battaglione della Riserva, composto de’ figli degli orefici , de’ sarti e de’ calzolai, ascendeva a ottanta ; a settanta il Battaglione del Soccorso, di figli di parrucchieri, di fabbri ferrai e di falegnami. Le bandiere erano bianche , rosse e turchine , i colori della Francia, spartiti però in quattro quadrati ; de’ quadrati accanto all’ asta, quello superiore era bianco , quello inferiore rosso ; degli altri due, quello superiore turchino, e quello inferiore bianco, con dentro ricamata una corona civica. Vi si leggeva pure a ricamo, ma spartita negli altri tre quadrati : B. N. d-ella Patria — Senza coraggio e senza istruzione — non si fondano le repubbliche (20). Il Congresso Cispadano , che si era adunato a Reggio il 27 decembre del 1796, dopo aver deliberato il 9 gennaio del 1797 « di spedire due deputati ai popoli di Massa e Carrara per invitarli alla unione » colla nuova Repubblica, e avere scelto per deputati il Lamberti e il Notari (21), si sciolse, decretando di riprendere il proprio lavoro a Modena il 20 del mese stesso (22). Lo riprese invece il giorno 23, « fra gli applausi e gli evviva per le notizie delle strepitose vittorie riportate dall' armata francese » ; e l’Isolani chiese e ottenne si desse pronta esecuzione al decreto già emanato a Reggio, « che la bandiera nazionale, rossa, — ιό — bianca e verde, abbia l’impronta di un turcasso ed il motto: Libertà senza rivoluzione » (23). Nella sessione del giorno 30, il presidente, che era Ignazio Magnani, annunziò 1’ arrivo de’ deputati di Massa e Carrara (24), fece lettura « de’ loro mandati e Γ atto d’ unione di quelle popolazioni alla Repubblica Cispadana ». Venner poi introdotti nella sala « fra le più vive acclamazioni e fra i segni del giubilo u-niversale » (25). Nell’ adunanza del primo febbraio il No-tari proponeva che agli articoli preliminari della Costituzione si aggiungesse : i.° L’istruzione è un bisogno pubblico e la società è obbligata a renderla comune uniformemente a tutti i cittadini. 2.0 La società dee soccorrere gii infelici dando loro il bisognevole alla vita, se non possono lavorare ; e se possono, somministrando loro de’ mezzi onde abbiano a guadagnarselo. La mendicità dee essere sbandita pur dal territorio della Repubblica. Erano le idee che il Fantoni propugnava e che appunto per bocca del suo amico Notari si facevano strada nell assemblea e trionfavano. Lodovico Lizzoli, uno de’ deputati di Massa, propose che il Congresso « assegni tre giorni al Comitato di Costituzione a presentare il piano di questa e sei giorni a sè stesso a deliberar sul piano presentato ». Ne venne di fatto affrettata la compilazione e la discussione, sollevando, peraltro, le ire de’ più arrabbiati tra’ giacobini; un de’ quali si sveleni contro di lui, scrivendo agli « estensori » del Giornale de’ Patrioti d’Italia: « Lodovico Lizzoli è un Lameth italiano. Nato conte , spendeva dieci dodicesimi dell’ anno nelle dorate anticamere della Duchessa e dell’ Arciduchessa e faceva la corte la più indegna e la più servile per ottener impiego nella Reggenza di Massa. Non dico altro.... Nessuna delle cause manifestate dal deputato di Massa è quella che gli ha fatto fare una proposizione sì bestiale. Ecco la vera. L ex-conte Lizzoli, il quale è attaccato dall’epizoozia dei deputati bolognesi, che sono stati P origine dello scisma scandaloso nato nel Congresso di Reggio, e che per sostener Γ aristocrazia son venuti forniti a dovizia di tutti i cavilli curialeschi , affretta Γ accettazione della Costituzione, perchè questo è uno dei mezzi per istabilir il sistema assurdo della confederazione, alla quale infame speranza alcuni deputati non hanno ancora rinunziato ; in secondo luogo, perchè, essendovi meno tempo a riflettere, non possa scoprirsi l’aristocrazia e gli altri vizi che si ten- — 17 — tano introdur nascosti nella Costituzione. Di fatti la precitata Costituzione di Bologna cosa racchiude in sè? Bruttura. Il pseudo repubblicano Lizzoli , per sostener meglio il suo assunto , sputa questa bella massima: È meglio una Costituzione imperfetta che ima Tirannide. Questa, confesso la verità, è per me una scoperta. Io non aveva mai veduta differenza alcuna tra Costituzione imperfetta e Tirannide; non ve Phan mai veduta i più acuti politici; non ve la vedono i popoli. Dovendo sentenziare, io avrei detto così : è meglio una Costituzione perfetta domani, che una imperfetta oggi..... L'ombra minacciosa di Bruto e le maledizioni de’ futuri innocenti italiani non obbligano i deputati a fare una Costituzione in tre giorni e ad approvarla in sei ; ma a farla democratica e a non tradire le speranze de’ loro committenti. Guai, Lodovico Lizzoli, se le cose vanno male per la malizia. Gli occhi di tutti i patrioti sono rivolti verso di te e dei tuoi compagni. Tu devi paventar questa gente più che Γ ombra di Bruto e le maledizioni degli italiani che nasceranno. O non vi sarà Repubblica in Italia, o sarà democratica, una e indivisibile, e tale da resistere a’ tiranni e distruggere col fiato i loro infami satelliti » (26). Anche il Termometro politico della Lombardia (27) spezzò una lancia contro la Costituzione Cispadana , non per la fretta con la quale venne compilata , ma per uno de’ criteri che la informarono. Così scrisse: Finalmente, dopo più mesi di discussione, è uscito alla luce il piano di costituzione per la Repubblica Cispadana, inutilmente atteso per lungo tempo dai buoni patriotti d’Italia, che vedono in essa gettata la prima pietra dell’edifizio repubblicano, che inalzerassi in questa bella regione ad onta della tirannia e della superstizione. La Costituzione francese dell’anno IV repubblicano ha servito di modello ai nuovi legislatori, ed essi hanno solennemente dichiarato di aversi proposto per esempio la Repubblica vittoriosa, madre della libertà universale, che s’inoltra al presente sin nella terra degli alati leoni e delle aquile bifronti. I popoli tripudieranno di patriottica gioia all’osservare un monumento che rassicura per sempre la loro democrazia e la sicurezza perfetta delle persone e delle proprietà. Noi siam certi che un tal piano verrà abbracciato in tutta la sua estensione, ma prima di questa solenne conferma di un popolo libero, desideriamo la riforma di alcuni articoli nei quali la copia non somiglia all’originale. Tralasciando P e-spressione un poco rancida avanti Dio, che i moderni scrittori e legislatori della Senna espressero assai più nobilmente coll’energico titolo d'Ente supremo, non può a meno di non scandalizzare ogni amico della buona filosofia il sentirsi intuonare all’orecchio dal consesso di Modena una Religione dominante. Questa parola dominante, che mai trovossi inserta nel vocabolario della ragione, è troppo lesiva dei di- Giorn. St. e Leti, della Liguria. 2 — 18 — ritti degli uomini, per non meritare la più severa censura e la più sollecita emenda. Come fu possibile che gli ultimi giorni del secolo XVIII, nato e cresciuto in seno dei lumi filosofici e che spira tra le braccia della libertà, fossero disonorati da quegli stessi che rinnovar doveano l’Areopago della Grecia e le glorie di Roma? Non si tratta qui di dichiarare qual sia la religione abbracciata dal maggior numero del popolo ; si tratta di una legge coercitiva, che obbliga cioè il popolo a conservare la Religione cattolica, apostolica, romana. In fatti così segue immediatamente nell’art. 4 del titolo I : e non permette verun altro esercizio di pubblico culto. Ma si dimanda: che ha che fare la società colla religione , e le leggi colla liturgia? La società è fondata sulle leggi, e l’uomo riparar deve all’ombra di queste, sempre mai debolissime subito che appoggiate alle idee soprannaturali e variabili di religione. La religione è un rapporto che unisce Γ uomo come individuo all’Ente supremo e vincola la ragione di ciascheduno a tributare al medesimo quell’omaggio che ognuno crede il più conveniente. Qualunque opinione religiosa, purché non turbi la società, è una cosa indifferente, e non v’è legge, non v’è motivo, per cui debba limitarsi. Il volerlo tentare, è un opporsi senza bisogno e senza frutto alla ragione, è un limitare il popolo, è un seminare dei germi di discordia tra i cittadini. Non si pretende già di denigrare la Religione cattolica, apostolica, romana, ma solamente si vuol dare un passaporto ed un salvo condotto alle altre, che non meritano per verun titolo quell’esilio a cui ha preteso condannarle il piano della Costituzione Cispadana. Il Fantoni, legato, corn’ era, d’ amicizia a Pietro Notari e a molti altri de’ deputati al Congresso cispadano , ebbe parte, col consiglio, al nuovo piano costituzionale, e appunto per questo si tirò addosso 1’ odio de’ giacobini più intemperanti e sfrenati. Uno di costoro scriveva da Modena a una nota e diffusa gazzetta di Milano: Ai compilatori del Giornale de’ Patrioti d’Italia. Cittadini: veggo una certa costanza in tutti gli articoli del vostro giornale, che mi assicura, senza ulterior dubbio, de’ vostri patriotici principi. Io vi chieggo scusa ; avvezzo a dubitar di tutto, poco mancò che non dubitassi di voi stessi. Or son convinto , e vi dichiaro degni dell’ impresa, e del nome che avete dato al vostro giornale. Inserite, se vi piace , questa lettera nel primo numero che vi riescirà possibile (28). Qui siam contenti sulla notizia sparsasi , che ci auguriamo voglia esser vera, che si trasferiranno a Milano i nostri Nomoteti per la prossima convenzione nazionale che dee fissare le basi costituzionali dell’Italia libera. Speriamo che così finirà la commedia, che ci ha offerta questo congresso, quanto nociva alla causa della libertà , altrettanto umiliante per il nome Italiano. — 19 — Abbiamo avuto finora dispiacere di veder, invece di un congresso nazionale, un concilio Ecumenico radunato in Modena. Si parlava della comunione sotto ambe le forme, della transustaziazione (sic), della confessione auriculare, e finanche del peccato filosofico, e si erano obliati i nomi ancor più sacri di libertà e di eguaglianza. I Nomoteti, avendo portato da’ paesi già soggetti al re Pio Io spirito d’infallibilità, non ammettevano alcuna modificazione ai loro sentimenti. La libertà della stampa si rattrovava e si rattrova presso a poco al grado del S. Uffizio di Lisbona. 1 diritti rivoluzionari sono e-guali a quelli che si scrissero in Napoli contro la Chinea. Lo spirito pubblico, agli stessi gradi del Termometro di Verona. Per dir tutto in breve , con la dichiarazione solenne , che la religione cattolica esser dovea la dominante , si restituirono implicitamente al Papa le sue dolci Legazioni, e si continuò l’influenza del Governo Teocratico. E che faceano i patrioti, voi direte? I patrioti fecero alcuni piccoli sforzi, e poi si adattarono alle circostanze: per meritarsi il nome di buoni cittadini, lasciarono la sterile difesa de’ diritti degli uomini e divennero amici di quel buon ordine, di quella tranquillità, che formano la base della repubblica Bizantina. II credereste, amici, che Pex-conte Fantoni è stato del numero di questi savi patrioti ? Pure è così: la sua moderazione è senza esempio, la sua tranquillità farebbe onore a Sileno. Vi ricorderete quanto era fervido patriota a Milano Pex-conte Fantoni ; ma allora non si trattava di agire. Il paragone e le circostanze disvelano il carattere degli uomini. A Modena egli è divenuto torpido e molle cortigiano, e non si è sognato neppure un istante di pensare alla repubblica. Ecco il Senofonte, ecco il Tirteo da voi altri vantato. Voi non sapevate la storia di Fantoni, perciò foste ingannati dalla sua zazzerina e dalla fronte calva: ma io vi dirò tutto. Fantoni è patriota da vero poeta ; leggete le sue opere , e lo troverete rampante or a piedi del trono di Carolina, or del Gran-Duca, or di Lord Couper , e del Re di Torino. Quest’arte nulla gli valse, lasciò di fare il cortigiano a Napoli, ove non fecero incontro le poesie di Labindo, e a Firenze, ove non era stimato un Macchiavelli il conte Fantoni, e si portò a fare il patriota in Parigi. Ivi si fece incidere in rame, per ioo lire in assegnati, fece parlar di lui in qualche giornale , e poi venne qual astro in ante ce de ìttici signorum dalle Alpi a rischiarar l’Italia (29). In Italia promise di chiuder le foci del Po con i suoi scritti, di far un’ Iliade patriotica di un numero di canti uguale ai giorni dell’anno platonico: tutte queste opere rimangono inedite, o volendo un giorno darle alla luce , bisognerà fare un monopolio tipografico per suo conto in tutta 1’ Europa. Del resto , voi non potrete dubitar de’ suoi vasti talenti politici : ne avete già un saggio nella sua Costituzione per V Italia; Costituzione eh’ egli , lodando sè stesso al solito, chiama Spartana, forse perchè in essa si proponeva far degl’ Italiani un’ orda d’ Iloti. --20 - Io v’ho seccato con l’ex-conte Fantoni ; ma pazienzà, v ho voluto insegnare a conoscerlo : voi lo vedrete forse al corpo legislativo in Milano; egli, non avendo ancor trovato un Augusto, già compera un campicello, il quale non dee servire ad alimentar nella placida solitudine la poetica fantasia, ma per acquistar il titolo di cittadino, e dar leggi ai popoli : ecco quanto degenerarono i poeti con questo vostro diabolico patriotismo. Fantoni, che potea aspirare al nome di buon poeta, lo perde per quello di cattivo legislatore. Del resto, Fantoni è un uomo accorto : non ha rinunciato alla sua nobiltà, ed è conte in Toscana, a Modena a secretis talvolta, e tal1 altra cortigiano del Potere esecutivo, ed attendetevi di vederlo in breve terrorista a Milano. Salute e fratellanza. Demetrio Giusti. A difesa dell’oltraggiato poeta si levò animoso il Termometro politico della Lombardia (30), stampando: La Verità vendicata. I patrioti di Reggio e Modena non si sono punto scoraggiati , nè potea credersi che la loro attività si sia posta in quiete. La Società d’istruzione di Modena nè manco ha abbandonata la non sterile difesa de’ dritti dell’uomo cittadino; ed il popolo di Reggio seguita au-cora a mostrarsi nella piazza, naturale comizio de’ popoli liberi e sulla quale ha ideata e compita la sua rivoluzione. I patrioti di quei paesi si ricordano ancora con vanto de’ loro petti nudi, che opposero alli sicarii del dispotico misero della Secchia nelle giornate del dì 25 e 26 agosto, ed è già tempo poi che appresero che nell’ origini delle civili società sono i capi che formano Γistituzione ed in seguito l'istituzione che forma i capi. È vero che la fortuna si mostrò avversa a que’ bei paesi, che, destinati alla pepiniera degli uomini liberi d’Italia, divennero in poche settimane il centro dei briganti papisti e duchisti. Una fazione tumultuosa di gente, che non fu mai impegnata nella carriera della rivoluzione, ne dettò tutti li decreti. Tutti li giornali han parlato del celebre Congresso e tutti ne sanno la stori?. Fu in allora che comparve una Costituzione sempre immatura presso de’ popoli che sorgono dalla tirannia. Si fecero quelle elezioni come esser lo dovevano in conse: guenza di sì infausti auspici, e con queste terminò la commedia e si diede l’ultima spinta ad annunziar lo spirito pubblico nascente. Che far dovevano i sinceri e sempre di breve numero patrioti, che sono fuor degli esaltati ? Riunirsi, confessare una volta che senza u-nione perivan tutti in dettaglio, e attendere dalla forte giustizia del liberatore d’Italia quel numero di forze ch’ei doveva portar dal seno della forte Germania su i nostri enceladi. A vera consolazione de’ buoni, quei patrioti d’ogni colore, d’ogni paese non si risguardan fortunatamente più che come fratelli. 11 cittadino Fantoni fu uno di questi saggi patrioti. Nato, f>er l'azzardo, in paese non libero, ambì una patria; e coperto di onorate cicatrici, l’ottenne. Reggio, sì quel bravo popolo, lo volle cittadino, con legge del dì 3 brumaio scorso. Ma il cittadino Fantoni se n’era già principalmente reso meritevole. Ei fu alla spedizione di Montechiarugolo ed assieme agli altri suoi bravi compagni segnò l’epoca prima dell’Italia guerriera. La crisi ch’egli sofferse, con altri buoni e sinceri patrioti in Milano, è pur nota a tutti quelli che sanno ingenuamente ravvisare da quel punto la luce che scese in Lombardia. Noi crediamo in conseguenza, che in luogo di ridicole dichiarazioni, debbano piuttosto tener luogo li fatti, che alla lunga disvelano il carattere delle persone. Questa moda è sparita anche di Francia, e noi non sapremmo affrettarne il ritorno in Italia con le ridicole e funeste scene di Mirabeau e di Gob-betto. Talché non sappiamo indovinare come si sia stesa a Modena e poi stampata con buona fede a Milano la lettera inserita nel Giornale de’ Patrioti n. 46. Fantoni fu poeta, ma questo vago nome non sempre richiama l’idea d'un cortigiano ; qualche volta ed anche spesso dimostra il moderatore della corruzione. Noi consigliamo perciò a leggere le odi del lirico Labindo e a gustarsi li mor ili sentimenti sparsi per ogni dove e che sono oggi giorno tutt’a proposito. Del rimanente, Fantoni travaglia da quindici anni a rivoluzionar gli uomini, ragione per cui non fece incontro la sua filosofia a Carolina e per cui sdegnò i favori dell’ingrata patria di Machiavelli. Invece noi stimiam più necessario che si tolga lo scandalo dai giornali di un genere detestato e detestabile di satira, sempre nulla e pericolosa quando attacca le persone , e troppo ridicola quando deriva da qualche mal umore letterario. Il Giornale de Patrioti si affrettò a rispondergli : L’incostanza della stagione ha fatto alterare sensibilmente il Termometro. Si è fatta un’apoteosi a Fantoni; era meglio non innalzarlo tanto e lasciarlo al livello del rimanente de’ mortali. La lettera di Modena, inserita in questi fogli , è accompagnata da’ documenti autentici : quantunque questi si mettano in dubbio , noi li sottoporremo alle più accurate esperienze termometriche. È falso poi che la nobil fierezza e il repubblicano contegno abbiano procurata a Fantoni la disgrazia delle corti di Napoli e di Toscana : basta legger le poesie di Labindo per conoscer ad evidenza quanto poco delicato ei si fosse in materia di adulazione. Ma il fatto è fatto; noi gli perdoneremo, purché, cangiando stile, ricanti di sdegno quanto cantò di amore (31). Il perdono non tardò a venire. Infatti, venticinque giorni dopo scriveva : Fantoni è perseguitato in Modena e altrove perchè aveva ammae- — 22 — strati i burattini e i sanculotti a gridar viva La democrazia , morte ai tiranni, morte agli aristocratici. Fantoni, per ben meritare dell’onesta gente, non dovrebbe più offendere le loro delicatissime orecchie con simili bestemmie: bensì sarebbe per loro cosa dolce l’udire : morte ai patrioti, viva la nobiltà. Avviso a Fantoni acciò stia in guardia e continui colla solita energia a dire ed insegnare il vero , ancorché non piaccia allyonesta gente (32). In che consistessero queste persecuzioni lo ignoro. Nelle carte dell’Archivio di Modena non ce n’è traccia. Per testimonianza del nepote, « la sua libera eloquenza gli concitò la persecuzione del partito allora dominante, talché fu dai Francesi imprigionato a Modena e a Milano ». L’anno dopo seguì il suo arresto a Milano. Nel 1797 non gli fu torto un capello nè a Modena, nè altrove. Anzi accompagnò a Venezia là deputazione inviatavi dal Comitato di Governo di Modena e Reggio, per rivendicare e far valere i suoi diritti contro 1’ esule Duca. L’ultimo degli Estensi, come notò un diplomatico lucchese (33), ebbe « una soverchia inclinazione all’economia e al risparmio » , la quale si rispecchiava in tutte le cose sue, fin « nei treni e negli equipaggi, divenuti quasi indecenti ». Essendo dunque « grandissimo l’ammasso del denaro » che era andato facendo, la Comunità di Modena si lusingò sarebbe venuto in soccorso del fedele e angariato suo popolo, concorrendo al pagamento delle enormi contribuzioni imposte dai Francesi ; e concorrendovi, « tanto con i beni della sua Ducal Camera, quanto con quelli del privato suo allodiale patrimonio ». La stessa Reggenza se ne fece caldeggiatrice, persuasa, com’era, dalle « voci della coscienza », essere un provvedimento che consigliavano e volevano concordi « la naturale ragione, i principii scritti dal gius naturale e delle genti, le massime della civile giurisprudenza, gl’ insegnamenti dei più savi teologi, Γ autorevole esempio di Principi giusti e di ottimi predecessori del Padrone Serenissimo » (34). Ercole III fu sordo a ogni preghiera. La Comunità , forte delle proprie ragioni e del proprio diritto, perseverò nel proposito di chiedere e nella speranza d’ottenere soccorso e aiuto, anche dopo l’occupa- -- 23 — zione de’ Francesi. Trovò , com’ era naturale , un fido alleato nel nuovo Governo Provvisorio; e inteso che lo spodestato Duca era sul punto di lasciar Venezia e rifugiarsi a Trieste, di comune accordo incaricarono Pietro Notari e Pier Luigi Leonelli di tentare il colpo. Partiron dunque alla volta di Venezia; e si unì a loro il Fantoni. L’albero della libertà era stato piantato sulla piazza di S. Marco e l’alito di questa nuova rivoluzione lo attraeva e lo tirava a sè. Appena il Poeta si fu messo in viaggio, la mano d’un anonimo denunziatore inviò « A S. E. il Sig.r Conte Mu-narini, a Venezia , al ponte di Cà Foscari a S. Barnaba , anzi dal Sig. Gio. Novello a S. Polo » , questo singolare biglietto : Fantoni cerca il vostro Padrone e voi: è fanatico e disperato (35). Tra le tante calunnie delle quali il povero Labindo venne fatto bersaglio, non mancò neppur quella di sospettarlo capace di macchinare un regicidio ! Assiduo frequentatore de’ tanti circoli popolari impiantati sulle lagune, nel più importante e autorevole di tutti, che s’intitolava Società di pubblica istruzione, essendo una sera « Γordine del giorno che ove non v’ è virtù , non v’è libertà », lesse u-n’ode « da lui composta prima della discesa dei Francesi in Italia »; e ne « fu ordinata per acclamazione la stampa » (36). È l’ode XXII del libro quarto : Invan ti lagni del perduto onore Italia mia ; che finisce : destati Dal lungo sonno e sulle vette alpine Alla difesa ed ai trionfi apprestati. Se il mar, se il monte, che ti para e serra, Vano fia schermo a un vincitor terribile, Serba la tomba nell’esperia terra All’audace stranier fato invincibile. La commissione modenese non cercò Ercole III, nè il Munarini; espose al ministro di Francia i propri disegni, pregandolo di aiuto e assistenza. 11 furbo francese , colta — 24 — la palla al balzo , revocò il passaporto già rilasciato al Duca, mise il sequestro sulle barche cariche de’ suoi oggetti, gli fece nella notte circondare da un corpo di truppa il palazzo, e alcuni uffiziali gl’ imposero lo sborso di parecchi milioni. Il Principe domandò « se la richiesta era fatta dai modenesi, o dai francesi » ; gli fu risposto « in termini sibillini, che la richiesta era fatta dai francesi per far valere le ragioni dei modenesi ». Gli convenne chinare la testa. Il giorno dopo (era il io giugno del *97) sborsò al ministro di Francia 208,000 zecchini. « Quella somma, con grande stupore e disillusione dei rappresentanti modenesi, non prese la via di Modena, ma entrò nelle tasche del cittadino Haller, direttore generale delle contribuzioni e finanze d’Italia per la Repubblica Francese » (37). Fin dal 14 di giugno era caduta l'oligarchia di Genova e sorta sulle sue rovine la Repubblica Ligure. Giambattista Serra, che ebbe mano a compilarne la costituzione, il 24 di quello stesso mese scriveva al Bonaparte : « D’après vos sages conseils, nous n’établirons pas chez nous de so ciétés populaires..... Il n’y aurait qu’un seul cas où elles pourraient être très-utiles : ce serait celui où nous aurions besoin de surmonter les préjugés de localité pour une réunion avec le reste de l’Italie libre , supposition qui est encore éloignée, mais que votre génie pourrait accélérer» (38). Degno di studio il sentimento dell’ unità nazionale che fin d’allora si accarezza e coltiva da’ patriotti della Liguria. Labindo vi accorse nel settembre. Così lo salutava la Gazzetta nazionale genovese : « Giovanni Fantoni, celebre in Italia per i suoi talenti poetici e per il suo patriottismo, è in Genova. Egli è uno di quei pochi che possono ripristinare le muse italiane al perduto antico splendore ». Nel giornale II Difensore della libertà, che aveva ad ispiratori e collaboratori Gaspero Sauli e Gaetano Marrè, dette fuori uno squarcio della sua « opera inedita sulla felicità delle Nazioni » (39). Un fatto è da segnalarsi : il giornalismo genovese non incontrò i gusti del Bonaparte. Se ne lagnò infatti in una lettera del 6 d’ ottobre al Faipoult : « J ai appris avec peine qu’un grand nombre d’étrangers , entre' autres, napolitains , qui ont toujours apporté en Italie le trouble et l’anarchie , commençaient à avoir une certaine influence sur le peuple de Gênes, et même écrivaient des journaux où la réligion était peu ménagée » (40). A Genova Labindo stampò, co’ torchi del Frugoni, l’Inno a Dio, parafrasi di quello di Giuseppe M.a Chenier; titolo che nella successiva edizione, fatta parimenti a Genova, presso Angelo Tessera, con la data: Italia, anno ultimo del secolo XVIII, mutò : All'Essere Supremo , parafrasi di un inno francese. In fronte all’edizione frugoniana pose un breve proemio , scritto il « 3 dei Complementarj , anno primo della Libertà Italiana e quinto della Repubblica Francese », cioè 19 settembre 1797. Si rivolge agli « uomini liberi dell’Universo » con queste parole animose: « Formate, benché sparsi in differenti paesi, una sola famiglia morale; guardate che alcuno di voi non sia offeso ingiustamente senza che gli altri tutti corrano a vendicarlo. Vedrete allora ben presto dileguarsi i nostri nemici; la filosofia, protetta dalla forza dei buoni, dominare nelle sale dei magistrati, e il governo della virtù, educando il popolo, renderlo realmente sovrano. Se non prendete , come altre volte faceste, l’opportunità delle circostanze, non meritate il nome di uomini liberi, e i futuri disastri delle nazioni saranno il frutto funesto della vostra debolezza e di quella disunione fatale, che ha finora resi potenti i tiranni , ed audaci i loro satelliti......Possa quel Dio, che invoco, che ci creò per essere liberi , che ci ha protetti finora , darci quella sagacità e quella forza, che conviene in questo momento ai difensori dei diritti dell’ uomo ». « Sta innanzi a te 1’ Italia », dice al « Gran Dio », e canta : Quando per man dei Franchi — dal nostro piè togliesti Dei vergognosi ceppi — lo scellerato impaccio, Tu ci guidasti all’Adige — tu ci guidasti al Cenio Con invincibil braccio. Del Panàro, del Crostolo, — del Po, del Reno, i figli Spingesti dì Verona — ad atterrar le porte, Per te di Brescia e Bergamo — gridan le armate genti, O libertate, o morte. Fra le lagune Adriache — tu l'alta mole antica Crollasti, e cadde il tempio — del dispotismo atroce, Tu su le sponde Liguri — col giusto piè calzasti L’oligarchia feroce. - 2 6 — Per te giurò fremendo — a Buonaparte invitto (41) Pace il nepote Austriaco — della Parmense Amalia, E con tremante destra — scrisse fra i grandi patti La libertà d’ Italia. Nell’ottobre, lasciata Genova (42), tornò a Milano, e di là scriveva a uno de’ tanti amici della Liguria, il giorno 24: « Mille abbracci a tutti i patriotti..... La bontà che mostrano per me, ora che sono partito , non confronta con quello che ha scritto qualcuno , che sono stato mandato via di costì. La lettera si è qui veduta. Oh che omicciattoli ! » (43) (1) Memoria al Direttorio della Repubblica Cisalpina per la Provincia della Garfagnana, Modena, presso Giuseppe Vincenzi e compagno, 1797 > pp. 7-10. (2) R. Archivio di Stato in Massa. Governo della Garfagnana ; scritture del 1796. (3) Migliorini L. Cronistoria della Garfagnana dal 1618 al 1800, Castelnuovo di Garfagnana, tipografia A. Rosa, 1900, pp. 26-32. (4) Memoria al Direttoiio cit.; pp. Ι5_Ι7· (5) R. Archivio di Stato in Modena. Cancelleria Ducale. Carteggio di Ercole III, 1796-1803. (6) Memoria al Direttorio cit. ; pp. 20-24. (7) R. Archivio di Stato in Lucca. Offizio delle Differenze; deliberazione del 30 novembre 1796. (8) A p. 26 della Memoria al Direttorio cit. si legge, in nota: « A Castelnuovo, fatto palco d’un tavolino sulla pubblica piazza, fu letto in mezzo all’affollato popolo il carteggio del Comitato, le lettere di quel luogotenente e quelle pure del Giudice di Camporgiano: e fu appesa al tempio, come-nemico trofeo, la sciabla d’un Comizio, che per restituirla al derubato, la Deputazione fece poi levare dall’altare, profanato dal dono illegittimo ». (9) Lettera di Giuseppe Maria Terni a Pompeo Baldasseroni, del 5 decembre 1796. (10) Memoria al Direttorio cit., p. 25 in nota. (11) Dal giudice Pier Vincenzo Caselli venne fatta rogare la seguente protesta : Libertà Eguaglianza In nome della Repubblica Francese una indivisibile, questo giorno 29 novembre 1796 v. s. 9 frimaire anno V di detta Repubblica , alle ore due e mezza circa pomeridiane. Appena ritiratasi da questa rocca, è partita da Camporgiano la sedicente armata castelnovese consistente in un attruppamento di molta gente in armi che ha assalito stamane questa rocca gridando: — evviva S. A. S. — e non avendo trovata resistenza, stante la mancanza di munizioni e di forze, ha costretto i Comizi Valdrighi e Notari, qui recatisi ieri sera, a salvarsi altrove col loro seguito, ed ha fatto inoltre minaccie e violenze al cittadino giudice. A — 27 — E pertanto recatosi il medesimo cittadino giudice Pier Vincenzo Caselli davanti me notaro e testimoni infrascritti , nel primo momento in cui si è trovato in libertà, ha protestato e protesta nelle più solenni forme contro l’atroce attentato de’ castelnovesi, dichiarando e protestando aver essi assalita come sopra questa rocca, ed in essa entrati violentemente col porre le sentinelle non solo al portone, ma alle, camere tutte ed a quella stessa di udienza, dove trovavasi esso giudice, averlo in primo luogo minacciato gravemente anche di tradurlo in piazza per moschettarlo, perchè loro indichi il luogo del confugio de’ membri del Comitato; ed alle sue replicate proteste eh egli non sa ove. i medesimi si trovino e per qual parte abbino preso il loro viaggio, avere gli stessi fatte replicate e rigorose perquisizioni in ogni angolo di questa rocca, frugando ed aprendo perfino i banchi ed armadi col forzare le serrature d’alcuni; avere levata la bandiera tricolorata, che trovavasi piantata sulla rocca, seco trasportandola, ed essersi impadroniti del bagaglio, valigie e carteggio tutto, di ragione de’ membri del Comitato; a-vere inoltre lacerata e portata via la maggior parte delle gride e proclami del Comitato. In fine, riuscite vane a’ medesimi le ricerche tutte fatte per rinvenire i membri del Comitato, salvati come sopra, essere giunti all’eccesso di costringerlo e minacciarlo colle baionette alla vita e schioppi montati a estradare tre o quattro ordini d’arresto di essi nominati membri del Comitato ad alcune Comunità della Vicaria. Le quali proteste ha fatto e fa, dichiarando di essere stato violentato e costretto dal pericolo della vita, ed ora che è cessato tale pericolo, ha annullato ed annulla e revoca solennemente i suddetti ordini d’arresto, protestandosi di essere, come è sempre stato, attaccato e divoto alle autorità costituite ed alla Repubblica Francese; e siccome poi essi armati castelnovesi sonosi impadroniti ed hanno rubato l’equipaggio suddetto , perciò ad ogni buon fine e perchè costi dei capi da essi involati , ha ordinato farsi l’inventario di tutto che possa essere qui rimasto di ragione de’ suddetti membri del Comitato, come infatti, presenti sempre gl’infrascritti testimoni, due de’ quali, cioè il cittadino D. Grassi e Giuseppe Meucci , sono stati anche presenti alle suddette violenze ed attentati tutti, si è veduto esservi rimasto, di ragione come sopra: i. Un tabarro di panno turchino: 2. Un cappello di tela cerrata nero e rotondo; 3. Una veste da camera bianca; 4. \Jn péchés di pellone castagno; 5. Due papazze di pelo; 6. Una sopraveste di panno scuro; 7. Uno strigone; 8. Un ferretto lungo un mezzo braccio; 9. Una scopetta di scopa. Inoltre ha dichiarato il cittadino giudice essergli restato in mano alcuni cartocci di denaro ad esso consegnato dal cittadino Monteventi, segretario de’ Comizi, e non rinvenuti dalla forza armata; quali cartocci, in numero di tre, sonosi aperti, e numerati si è rinvenuto contenere in tolale zecchini giliati effettivi numero dieci e filippi numero centoventidue e mezzo. Le quali proteste, dichiarazioni e descrizioni sonosi fatte nella rocca di Camporgiano e nello studio, alla continua presenza de’ cittadini D. Lorenzo Poggi abitante a Sillicano, Giuseppe Pagliani qui abitante, e de’ suddetti D. Iacopo Grassi e Giuseppe Meucci qui abitanti, testimoni noti, idonei, ecc. L. ψ S. Luigi Pagliani pubblico notaro collegiato in Modena ed ora cancelliere del foro di Camporgiano ho fatto rogito di dette proteste ». (12) Nell’ annesso foglio si legge: « Il cittadino curato di S. Prospero mi favorisca dire se il cittadino Fantoni, abitante in mia casa, può come parocchiano intervenire questa mattina all’unione de’ parochiani, averten- — 28 — dolo essere già dichiarato dalla Municipalità cittadino reggiano. Lod. Bolognini ». — « Non contando il mentovato cittadino un decennio di domicilio in questa città, parmi sia escluso dalla legge. Il Curato di S. Prospero umilissimo servitore ». (13) Il testo della deliberazione del Governo Provvisorio di Modena e Reggio è il seguente: « Sessione del giorno 23 frimaire anno V (13 decembre 1796 v. s.)...... Il cittadino Fantoni con sua petizione rappresenta di non essere stato ammesso a votare nell’assemblea parrocchiale di S. Prospero di Reggio, come non domiciliato da 10 anni secondo la legge nello Stato, quando la dichiarazione a di lui favore fatta dalla città di Reggio nominandolo cittadino potrebbe, secondo lui, farlo considerare per cittadino attivo. Si risponde che osta il Regolamento, che non può giovargli la dichiarazione della città di Reggio, e che però non potrà godere di tutti i diritti di cittadino finché non abbia adempito le condizioni ». R. Archivio di Stato in Modena. Atti del Comitato di Governo Provvisorio di Modena e Reggio; tom. I, p. 467. (14) R. Archivio di Stato in Modena. Comitato Provvisorio di Governo, filza 2. (15) ViccHi L. Vincenzo Monti, le lettere e la politicam Italia dal 1750 al iSjo (.sessennio 1794-1799)» Roma, Forzani, 1887; p. 463. (16) Giovio G. B. La conversione politica, o lettere ai Francesi, Como, 1799. Lettera n.° XIV. (17) Nelle feste celebrate a Milano il 16 febbraio del 1797 per la resa di Mantova, fece la sua prima comparsa una schiera « di fanciulli, in divisa di guardie nazionali, sulla cui bandiera leggevasi : Battaglione della Speranza. Cfr. Cusani F. Storia di Milano, V, 95. (18) Cfr. in fine, la Bibliografia. (19) Rovatti A. Cronaca Modenese, ms. nell’Archivio storico Municipale di Modena, an?io 1797, part. I, pp. 298, 303-3°4> 312, ecc· (20) Il capitano Mossotti della legione cisalpina, comandante la piazza di Modena, il 29 termidoro dell’anno V [16 agosto 1797] scriveva alla Municipalità: « Col maggior piacere fui ieri spettatore dei militari esercizi eseguiti dal Battaglione della Speranza. I giovinetti che lo compongono esser devono gli appoggi, i difensori della nostra libertà. Conviene dunque proteggerli e animarli. Rilevai che ve n’erano molti pieni di buona volontà, ma che non potevano travagliare cogli altri per mancanza di fucili. Dovrebbe la Municipalità farne fabbricare un discreto numero di legno e secondare in questa maniera 1’ entusiasmo e il patriottismo dei figli della patria ». Lo stesso giorno fu spiccato l’ordine di costruirne dugento; numero che fu poi ridotto a soli cento. (21) In una lettera scritta da Reggio il 18 aprile del 1797 al Termometro politico della Lombardia, tra le altre cose, si legge, che Giambattista Zuc-chi, podestà di Minozzo, « sotto la Reggenza, eccitò la montagna superiore ad inseguire l'ottimo cittadino Notari, colà portatosi alla casa paterna, e di poi incatenato lo fece trasportare a Modena, pel solo delitto di essere reggiano e pel timore ch’egli potesse influire sui progressi dello spirito pubblico ». Il Notari, riacquistata che ebbe la libertà, prestò largamente 1’ 0-pera propria alla rivoluzione; sedè nel Congresso Cispadano, prima a Reggio, poi a Modena, pigliando larga parte alle discussioni. (22) Fiorini V. Gli atti del Congresso Cispadano nella città di Reggio, Roma, Società editrice Dante Alighieri, 1897, pp. 75-76. — 29 — (23) Giornale de* Patrioti d’Italia, n.° io, 21 piovoso anno I della Libertà italiana. (24) Fin dal 23 di gennaio fu annunziato ne' giornali : « Le popolazioni di Massa e Carrara sono incorporate come parte integrante della già Repubblica Cispadana. Il cittadino Lamberti , deputato al Congresso, è stato colà spedito per organizzare il paese in conformità e prendere il disegno di una strada di comunicazione da aprirsi a scambievole utilità ». (25) Erano Alessandro Guerra e Lodovico Lizzoli per Massa; il Vaccà e il Marchetti per Carrara. (26) Giornale de’ Patriotiì n.° 21, 17 ventoso anno I della Libertà italiana (7 marzo 1797)· (27) N.° 85, 7 fiorile anno V repubblicano (26 aprile 1797). (28) Fu infatti inserita nel n.° 46, 15 fiorile anno I della Libertà italiana (4 maggio 1797). (29) Il Fantoni non si sognò mai d’andare a Parigi. Son menzogne del Giusti, per denigrarlo. (30) N.° 90, 15 fiorile (13 maggio 1797)· (31) Giornale de' Patrioti d’Italia, n.° 51, 2f fiorile anno I della Libertà Italiana (16 maggio 1797). (32) Giornale suddetto, n.° 62, 22 pratile anno I della Libertà Italiana (10 giugno 1797)· (33) R. Archivio di Stato in Lucca. Relazione di Nicolao Montecatini ambasciatore straordinario alla Corte di Modena nel 1791, nel reg. 615 degli Anziani al tempo della libertà. (34) Fiorini V. Catalogo illustrato dei libri, documenti ed oggetti esposti dalle Provincie dell’Emilia e della Romagna nel Tempio del Risorgimento italiano, Bologna, Zamorani e Albertazzi, 1897; vol. II, part. I, pp. 626-634. (35) R. Archivio di Stato in Modena. Cancelleria Ducale. Carteggio di Ercole III dal 1796 al 1803. (36) Cfr. la Bibliografia. (37) A [ngelo] N [amias], Storia di Modena e dei paesi circostanti dal-l'origine si?io al 1860, Modena, Namias, 1894; pp. 599-600. (38) Gli tornò a scrivere il 4 di luglio: « Suivant vos sages conseils, nous avons adopté les articles de la Constitution de 1795 sur les sociétés populaires, comme aussi ceux sur les attroupemens. Cela est d’autant plus essentiel dans notre pays, où la beauté du climat offre aux prédicateurs le moyen facile d’avoir des auditeurs auxquels on peut, ou par chaleur, ou par mauvaise intention, suggérer les mesures les plus illégales ». Cfr. Correspondance inédite officielle et co?ifidentielle de Napoléon Bonaparte. — Suite de Venise. Traité de Campo-formio. Affaires de Gènes, etc. Paris, Pan-ckouke, 1819; pp. 350 e 358. (39) Cfr. la Bibliografia. (40) Correspondance de Napoléon; III, 367. (41) Nell’edizione del 1800, invece di a Buonaparte invitto, stampò : al Franco Genio invitto. (42) Fece, peraltro, di nuovo una corsa a Genova nel decembre; infatti in un dispaccio del Roggero, ministro della Repubblica Ligure presso la Repubblica Cisalpina, si legge : « Ieri » (21 decembre '97) « arrivò da costi » (Genova) « a questo ministro degli affari esteri corriere espresso spedito dal ministro Porro ; in seguito del quale s’incamminò a codesta volta il — 39 — cittadino Fantoni ». R. Archivio di Stato in Genova. Repubblica Ligure, filza 36. (45) Lettera inedita del Fantoni a Matteo Mollino di Genova, nella Biblioteca Universitaria di Genova. VI. LABINDO A MILANO. Il io ottobre del 1797 venne sottoscritto il trattato di Campoformio. Lo salutò Vincenzo Monti co’ versi : Dolce brama delle genti, Cara pace, alfìn scendesti, Già l’invitto Bonaparte Il suo fulmine posò. Se ne sdegnava ΓAlfieri : una pace Han gli schiavi - Re Galli impiastricciata Pace non v’ è da libertà divisa. Del « giovane eroe, nato di sangue italiano; nato dove si parla il nostro idioma » , disperò Ugo Foscolo. « La natura lo ha creato tiranno; e il tiranno non guarda a patria e non l’ha ». Labindo, il 24 di ottobre, scriveva al suo amico Matteo Molfino : « La pace è sottoscritta ; si crede ceduta Venezia con, etc.; io non posso crederlo, e spero anche la guerra, giacché giungono truppe. Lutto è finora in oscurità ». Gli tornò a scrivere il i.° di novembre: « Si parla sempre della cessione di Venezia e del restante al di là dell’Adige; si spera non sarà ratificato a Parigi questo trattato. Vedremo. Intanto tutti siamo nell’ incertezza e nell’agitazione..... Speriamo sempre bene ; la libertà non può perire, se non periamo noi tutti ». Il cav. Borgese, inviato del Re di Sardegna presso la Repubblica Cisalpina, il giorno 9 del mese stesso inviava a Lorino questo dispaccio : L’annunzio della pace non ha prodotto veruna sensazione soddisfacente nè in questa, nè nelle altre città della Cisalpina. Gli individui affetti al partito repubblicano videro deluse le loro speranze di una — 3i — rivoluzione che speravano vedere estesa a tutta V Italia , colla formazione, oltre della Cisalpina, di una seconda Repubblica composta del rimanente dell’antico Veneto territorio. La vicinanza di una formidabile Potenza nemica, che, invece di esserne scacciata, acquista, in vigore del trattato di pace, maggiore consistenza nell* Italia e minaccia dalle sponde dell’Adige il centro della Repubblica Cisalpina, ha prodotto nel loro partito grave malcontento, massime dopo d’aver veduto l’esito della deputazione inviata dalla Municipalità di Venezia al sig. Generale in capo, il quale non solo ricusò di riceverla, ma ne fece arrestare i membri; la destituzione del Ministro di Polizia Porro; la severa censura cui vennero sottoposti i fogli pubblici; e la soppressione del Circolo costituzionale, composto dei più fanatici repubblicani; circostanze tutte che hanno loro ispirato dello scoraggiamento. Il partito poi assai più numeroso dei realisti, lusingati costantemente dalla concepita speranza di vedere restituita alla Casa d’Austria la Lombardia, lessero con sommo rammarico le condizioni della pace. Molti di essi infatti, ostinatamente pertinaci nell’erronea loro opinione, credono certo l’articolo segreto convenuto fra l’Austria e la Francia, che evacuato dalle armi francesi il territorio cisalpino, 1’ imperatore ne ripiglierà il possesso, senza che la Francia vi opponga ostacolo. Questa credulità è in vero un non equivoco argomento dell’opinione pubblica intorno al nuovo sistema di cpse, e fa giudicare del grado di attaccamento che tuttora domina nella maggior parte de’ lombardi verso 1’ antico governo (i). L’u di novembre, nel lasciare l’Italia, Bonaparte rivolgeva queste parole a’ Cisalpini : « Nous vous avons donné la liberté; sache? la conserver ». Però nelle istruzioni al Ber-thier, rimasto a Milano a tenere in briglia la nascente Repubblica, si legge: « nous devons toujours y conserver la haute police, comme la garde de toutes les places fortes ». Del trattato d’alleanza tra la Cisalpina e la Francia, dettò egli stesso le norme: alloggiati e spesati 25 mila francesi; nelle loro mani le piazze forti e la polizia; obbligo alla Cisalpina di mantenere e armare del proprio un esercito di trenta mila uomini e più, e con quello partecipare a ogni guerra della Francia. Il trattato assicurava l’integrità della nuova Repubblica, ma non accettato , tornava i Cisalpini (come notò Ugo Foscolo) « nell’infame e lagrimevole stato di conquista » ; accettato , « avrebbe, per la calcolata impossibilità di lungamente attenerlo», proclamati i Cisalpini in faccia « all’ universo sconoscenti e sleali infrattori de’ patti » e li avrebbe « ricondotti a un palese e meritato servaggio »; come appunto segui. Il 20 pratile dell’anno VI (8 giugno 1798) il Direttorio Cisalpino ricevette con grande solennità il Trouvé, inviato dalla Francia a risiedere a Milano come suo ambasciatore. « La prima Nazione del mondo tratta da sua eguale una Repubblica da lei creata » , disse il ministro degli affari esteri nel presentarlo. Rispose l’ambasciatore, che, a nome della Francia, salutava « l’indipendenza » del popolo cisalpino; e soggiunse : « Lungi da me la vana esteriorità di una astuta politica, la quale lusinga per corrompere ed accarezza per pugnalare. Lungi da noi la sottigliezza, le false promesse, le seduzioni e la doppiezza. Franchezza e lealtà, confidenza scambievole, giustizia imparziale, probità austera e inflessibile , inalterabile unione tra le autorità, ecco la base delle nostre relazioni, ecco il cemento della nostra ειΐ-leanza repubblicana ». 11 presidente del Direttorio lo congedò dicendogli: « annunziate al vostro Governo che se mai vi ebbe sulla terra amicizia sincera, lealtà pura, sentimento di filiale riconoscenza di un popolo verso un altro, voi lo troverete nel Governo e nel Popolo Cisalpino » (2). Ebbe in Milano accoglienza cortese, e nel fargliela tutti si tro-varon concordi. Il Termometro politico scrisse: « L’ambasciatore francese , con discorso degno dell’ autore e della circostanza, ha fatto concepire le più belle e reali speranze a chi l’ascoltava ». Il Giornale senza titolo gli rivolse queste parole: « A te spetta, 0 Trouvé, di rimarginare le piaghe che il regime dei passati governi e le circostanze dei tempi, difficili e sospettosi, hanno lasciato nel seno della nostra patria. A te spetta di far gustare al popolo cisalpino tutte le dolcezze della sua libera Costituzione. A te spetta sopra tutto di trattenere i differenti Poteri nelle loro rispettive giurisdizioni. Allora sì l’amore il più sincero e inalterabile animerà Γ Italia verso la Francia; il nome di Trouvé sarà caro mai sempre e memorabile nei fasti del popolo cisalpino ». Queste parole non andarono a sangue al Ranza, e cosi le rimbeccò nel suo giornale LAmico del popolo : « Io son sicuro che 1’ ambasciatore, qual buon pa· — 33 — triotta e vero rapubblicano , qual uomo conscio dei suoi poteri, circoscritti alla diplomazia e alleanza tra le due Repubbliche, madre e figlia, si sarà sdegnato a leggere queste anti-politiche e false espressioni, dettate da un’adulazione rampante ed atte solo a sconcertar 1’ armonia delle due Repubbliche. Egli sa che il suo carattere d’ambasciatore non è quello di dittatore o di moderatore d’una Repubblica amministrativa. Egli sa che se avanti la ratifica del trattato con la Francia vi potè esser luogo per parte di questa a qualche cambiamento nel Corpo legislativo e nel Potere esecutivo della nostra Repubblica , dichiarossi però a nome della Nazion Francese che dopo la ratifica sarebbe cominciata l’assoluta libertà e indipendenza Cisalpina. E però il rimarginare le piaghe dei passati governi; il far gustare al popolo cisalpino tutte le dolcezze della sua libera costituzione, il trattenere i differenti poteri nelle loro rispettive giurisdizioni, spetta al nostro Corpo legislativo e al Potere esecutivo , indipendentemente da ogni e-sterna influenza » (3). Tutti s’illudevano; erano tutti in inganno. Il Trouvé, sotto la veste apparente d’ambasciatore, nascondeva il segreto incarico di dare una nuova Costituzione ai Cisalpini; però aveva ordine di farlo con tatto e destrezza , affinchè la riforma apparisse invocata dagli uomini più in grido della Lombardia, non suggerita, voluta, imposta dalla Francia. Si mise all’ impresa , con al fianco 1’ Haller e il Faypoult; questo già provato agli intrighi per la parte a-vuta nel rovesciare a Genova la vecchia Repubblica; quello amministratore destrissimo, ma senza coscienza. Ci si mise però con tale avventataggine e con sì scarsa abilità che scoprì il giuoco alla prima mossa , sollevando la generale indignazione. Il 26 luglio uscì fuori — preludio alla lotta — una violenta scrittura, che invitava i patriotti a stringere « il ferro di Bruto » e a star « pronti a scannare qualunque cisalpino ardisse fare il menomo insulto alla Costituzione ». I Circoli diventarono furibondi; Milano echeggiò d’urli, di strepiti e minaccie. Lahoz e Teullié corsero a Parigi a protestare in nome della patria e della libertà con- Giorn. St. e Lett. della Liguria. 3 — 34 tro le macchinazioni dell’ambasciatore ; ma il lalleyrand sdegnò riceverli e li fece cacciar via dalla Francia , dove non trovarono che una voce amica nel seno del corpo legislativo : quella di Luciano Bonaparte. Il Trouvé, che s’era sottratto all’ impreveduta e provocata tempesta, recandosi alle isole Borromee sul Lago maggiore, « con la moglie , col ministro di Spagna e con altra numerosa compagnia di venticinque persone e più » (4), appena tornato, venne fatto segno alle ire d’un centinaio di patriotti, che gli circondano minacciosi la carrozza. Gli animi si accendono maggiormente per un altro, ma gradito, ritorno, quello del generai Brune. Gli gridano sotto le finestre: « benedetto colui che viene a mantenere intatta la Costituzione »; sotto quelle del Trouvé intonano le vecchie canzoni de’ terroristi, con uno scoppio tale d’ applausi che i soldati di guardia « poco mancò non caricassero la folla » (5). Al Consiglio de’ Giuniori « arrivano lettere di municipi, proteste di circoli, indirizzi di particolari; da per tutto si protesta contro il cangiamento della costituzione » (6). Di Francia vien ordine al Brune di prestare all’ambasciatore il suo appoggio, e gli è forza obbedire. La città è messa in stato d’assedio; il comandante Hullin entra nel Circolo costituzionale « colla sciabola sfoderata, intimando a tutti i membri d’uscire », e lascia « i suoi granatieri a custodia delle due porte, che furono suggellate » (7). La notte dal 27 al 28 « un numeroso corpo di truppe, composto di francesi e di cisalpini, ebbe ordine di trovarsi sotto le armi alle due dopo la mezzanotte sulla piazza del duomo, da dove , diviso in numerose pattuglie , si recò a diverse case per eseguirvi perquisizioni ed arresti. Infatti vennero arrestate circa trecento persone, fra le quali molti piemontesi, quasi tutte oziose, vagabonde e sospette, che vennero tradotte nel castello. Tutta questa gente verrà cacciata dal territorio cisalpino » (8). Che uno degli arrestati fosse Labindo lo attesta il Botta (9). Prima di lui l’aveva affermato il nepote. Il Trouvé la notte del 30 agosto chiamò nel proprio palazzo gli Anziani e i Giuniori che riteneva più docili e più servili. Soltanto ottantasei de’ centosedici invitati v’an- ■ 35 — darono; ma ventidue di questi, « sorpresi e indignati, stimarono meglio di rinunciare alla rappresentanza nazionale che di accettare la nuova Costituzione ». Melchiorre Gioia, nel raccontarlo, esclama : « Io pubblico questo fatto acciò i contemporanei e i posteri sappiano che si trovano nella Cisalpina delle anime coraggiose » (io). Il giorno dopo i due Consigli si adunarono in assemblea costituente per approvarla. Agl’ invitati della sera innanzi, assenzienti, fu permesso Γ ingresso ; agli altri lo vietò la soldatesca con le armi alla mano. Non erano che sessanta tra tutti e per loro vergogna si prestarono alla codarda commedia. Il i.° di settembre lo spadroneggiante Trouvé pubblicò questa legge : I. I giornali e altri fogli periodici e i torchi che servono a stamparli sono posti per un anno sotto Γ ispezione della Polizia, che potrà proibirli. II. Ogni Società particolare che occupandosi di questioni politiche professasse opinioni contrarie alle leggi, o tenesse discorsi tendenti a turbare la tranquillità pubblica sarà chiusa. Curiosa è un’ordinanza del Brunetti, ministro della Polizia, affissa alle cantonate il 5 di settembre. « Alcuni perturbatori dell ordine pubblico » (vi si legge) « spiegano segni di partito facendo uso di una coccarda di straordinaria misura, la quale potrebbe da taluni interpretarsi come un segnale di convenzione fra i mal intenzionati ». Proibisce di portarla e minaccia gravi pene, giacché « potrebbe tendere a disturbare la pubblica quiete ». Il 7 venne soppresso dal Direttorio il giornale II Censore , compilato da Melchiorre Gioia, « considerando che spargeva diverse proposizioni tendenti ad iscreditare il nuovo ordine di cose , che offendono nello stesso tempo la lealtà dell’ ambasciatore francese » (11). Il quale volle pigliarne vendetta da per sé, il giorno 16, (l’afferma il Cusani), destituendo il Teullié e il Lahoz e cacciando in esilio il Gioia, il Galdi, il Lattanzi e il Reina (12). Ebbe pure l’esilio anche Labindo. Lo asserisce il Ranza in un memoriale che indirizzò parecchi mesi dopo all’ Ej^mar, commissario civile del Di-réttorio Francese in Piemonte. Si trova nell’ Archivio del Dipartimento degli affari esteri a Parigi. ~ 36 — Jean Antoine Ranza..... à l’occasion du changement ile la première constitution cisalpine par le citoyen Trouvé, ayant manifesté avec des autres hommes deJettres et journalistes son opinion contraire quant à la manière antipopulaire du changement.... fut exilé avec les citoyens Fantoni de Toscane et Gioia de Plaisance. Alors Kanza s est retiré à Gènes , bien reçu et chéri par les patriotes, ainsi que par le Gouvernement ligurien.....Après peu de jours les choses ayant changé à Milan, la nouvelle constitution fut proposée au peuple pour l’acceptation dans les assemblées primaires. Ainsi on a fait droit a Γopinion de Ranza et de ses compagnons d’exil quant à la forme du changement: et par conséquence Fantoni et Gioia se sont de nouveau rendus à Milan et y sont restés tranquillement. Mais Ranza, se trouvant bien à Gènes, y avait fixé son domicile et transporté quelques effets de Milan, avec intention d’y faire passer dans peu de jours aussi sa famille. Quell’ aver voluto sotto la maschera della legalità, ma in sostanza con un atto arbitrario c usando la più stacciata e aperta violenza, mutare l’assetto fondamentale della Repubblica sollevò generali proteste; principalmente se ne tennero offesi gli esclusi, e prima e poi, dal Corpo legislativo e dal Direttorio , dal Irouve rinnovati e rimaneggiati a proprio interesse e capriccio. Se ne senti terito il Brune, forzato dalla Francia a prestargli mano, senza che per nulla approvasse que' mutamenti; « il bravo generai Brune, speranza e sostegno dei patriotti » (13)* che amava riamato. Presto venne a’ ferri corti e la ruppe con 1 ambasciatore , il quale fu richiamato ed ebbe a successore il Fouché, che il 31 d’ottobre presentò le proprie credenziali al Direttorio Cisalpino. Il presidente (era Giacomo Lamberti) nel ricambiare il suo saluto, dichiarò: « tutti i buoni vogliono una costituzione, base d’ ogni ben regolato governo : noi l’avremo ben presto sanzionata dallo stesso popolo sovrano ». 11 Corpo legislativo deliberò il giorno dopo: « è dell’onore e del dovere della rappresentanza nazionale l’assoggettare al libero voto del popolo, tanto la dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’ uomo e del cittadino , quanto l’atto Costituzionale del giorno 15 fruttidoro ». Il Direttorio nell’annunziarlo scriveva: « 11 Corpo legislativo ha reso l’omaggio il più giusto ed il più manifesto alla indipendenza della Nazione Cisalpina, quello cioè di presen- tare alici sovranità del popolo la libera accettazione dell’atto costituzionale » (14). Era il pieno trionfo delle dottrine propugnate con tanta ragione e con tanto coraggio dal Gioia, dal Fantoni e dal Ranza, ingiustamente cacciati in esilio (15). Nel Circolo costituzionale riaperto, Giuseppe Sacco potè alzare la voce , non più « soffocata dalla prepotenza d’ un arbitrio dominatore » , ma « animata e garantita dal fedele genio di libertà » e dire: « gioite, o pa-triotti , respira o popolo cisalpino : vi annuncio che avete vinto. Si avete vinto: ve lo confermano il generale Brune e l’ambasciatore francese Fouché » (16). Il 19 ottobre quaranta e più rappresentanti vennero cacciati via dal Corpo legislativo ; vi tornò a sedere , insieme con altri patriotti, Francesco Reina, uno degli esiliati. In luogo del Luosi, del Sopransi e dell’Adelasio furon chiamati nel Direttorio lo Smancini, il Sabbati e il Brunetti. 11 Fantoni venne impiegato dal Brune nell’ annata francese ed ebbe anche la carica di Commissario straordinario della Repubblica Cisalpina (17). Questo sfare l’opera del Trouvé tornò sgradito a Parigi. Il cav. Borgese , inviato del Re di Sardegna presso la Repubblica Cisalpina, il ió novembre scriveva in un suo dispaccio : « E qui giunto il cittadino Faypoult, di ritorno da Parigi. Egli reca degli ordini di quel Direttorio portanti la disapprovazione di quanto fu qui operato dal generai Brune e la reintegrazione in carica dei soggetti stati destituiti dal predetto generale. Dopo il di lui arrivo si pretende sicura la nuova, riferita ne’ fogli pubblici di Francia e contenuta in alcune lettere di Parigi, che l’ambasciatore Fouché sia destituito e destinato a rimpiazzarlo il suddetto Faypoult » (18). Il Fouché venne infatti destituito ed ebbe per successore il Rivaud; in luogo del Brune fu messo il generale Joubert. Questo non si mescolò « nelle riforme, perchè da uomo generoso e magnanimo rispettava la indipendenza altrui ed aveva grandi pensieri sopra l’Italia » (19); l’altro ricominciò l’opera del Trouvé, dichiarando nulli, a nome del Direttorio di Francia, « i cambiamenti operati il giorno 28 vendemmiale (19 ottobre) dal generale Brune nelle autorità costi- — 38 — tuite della Repubblica Cisalpina » (20). Vennero chiusi i Circoli, soppressi il Giornale senza tifolo e il Termometro politico , perchè « tendevano a servire le passioni di un partito, a turbare Γ interiore tranquillità del popolo, a seminare i principii della discordia fra la Repubblica Francese e la Cisalpina ». Così è scritto nel decreto, che ha la data del 17 decembre. Gli esuli napoletani Galdi e Aba-monti, con altri patriotti, furono imprigionati in castello ; Carlo Barelle, il Salvador e il Lattuada scamparono la carcere pigliando la fuga. Se Labindo fosse tra gl’imprigionati o i fuggiaschi non è chiaro. Il Ranza lo vuol rimasto a Milano e ligio e venduto alla Cisalpina. Ecco le sue parole, che tolgo dal memoriale all’ Eymar, già ricordato : Ranza, s étant rendu à Milan pour arranger ses affaires et transpoter à Turin sa famille et ses effets.... fut obligé d’en sortir dans 24 heures par ordre du Directoire Cisalpin , sous le prétexte que le décret de son exil n’était pas encore effacé : pendant qu’il était effacé à l’égard des citoyens Fantoni et Gioia, parce qu’ils ont prostitué leurs opinions et leurs plumes au bon plaisir du Directoire Cisalpin. In queste accuse non vi era ombra di vero , come lo stesso Rivaud scriveva all’ Eymar : Il est faux que ce gouvernement ait tenu une autre conduite à l’égard de Fantoni, qui serait arrêté ici, s’il paraissait. Il est faux surtout qu’il y ait eu ni persécution contre Gioia ni indulgence motivée sur ses complaisances pour le gouvernement Cisalpin , qui a depuis peu supprimé la Gazette nationale dont le dit Gioja était rédacteur et ou ce républicain à la manière de Ranza , parlait du gouvernement républicain et des circonstances, du ton de l’abbé Royon (21). Il Ranza era un forsennato che con le sue perpetue e-sagerazioni e aberrazioni si rendeva molesto e pericoloso così agli amici, come gli avversari ; il Gioia, un pensatore solitario, che maneggiava senza paura la penna, ma che stava fuori affatto dal campo dell’azione; il Fantoni, invece, parlatore facondo e affascinante , coraggioso fino alla temerità , univa al pensiero 1’ azione ed era per la Francia un avversario temibile in Italia, dove la Società detta dei Raggi, alla quale, a quanto sembra, era esso affigliato, cominciava a spiegare la bandiera dell’ indipendenza. Giovanni Sforza. — 39 — (1) R. Archivio di Stato in Torino. Dispacci del cav. Borgese, inviato del Re di Sardegna presso la Repubblica Cisalpina. (2) Raccolta delle leggi, proclami, ordini ed avvisi pubblicati in Milano nell'anno VIr repubblicano, pp. 1.30-132. (3) Cfr. nel n. 46 del Termometro politico l’articolo intitolato: Ingresso dell'Ambasciatore della Repubblica Francese; nel n. 76 del Giornale senza titolo l’articolo: Trouvé ambasciatoi’e; e nel tom. II, pp. 71-85 del periodico: L*Amico del popolo, varietà istruttive compilate dal rep. Ranza, 1’ articolo : Giornalisti anfibi e rampanti. (4) R. Archivio di Stato in Torino. Dispaccio del cav. Borgese , inviato del Re di Sardegna presso la Repubblica Cisalpina, del 3 agosto .1798. (5) Marelli, Giornale stoi'ico della Repubblica Cisalpina, ms. nell'Ambrosiana di Milano. (6) Il Ce?isore, giornale filosofico-critico di MEL[chiorre] G[ioia], n. 2, decadi 10 fruttidoro anno 6. (27 agosto 1798). (7) Marelli, Giornale storico della Cisalpina cit. (8) R. Archivio di Stato in Torino. Dispaccio del cav. Borgese del 29 a-gosto 1798. (9) Rotta C. Storia d’Italia dal 1789 al 1S14, III, 53. (10) Il Censore cit., n. 3, quintidì 15 fruttidoro anno 6.° (primo settembre 1798). (11) Raccolta delle leggi, proclami, ordini ed avvisi pubblicati in Milano nell’anno VI repubblicano, pp. 276-279, 280-281 e 318-319. (12) Cusani F. Storia di Milano; V, 234. — Il Giornale storico della Cisalpina aggiunge che fu loro « concessa una decade per allontanarsi dalla Repubblica »* (13) Cosi è chiamato in una corrispondenza da Milano del 3 fruttidoro, inserita nel Monitore Bolognese dell’ 8 di quel mese (25 agosto 1798). (14) Raccolta delle leggi, proclami, ordini ed avvisi, pubblicati in Milano nelΓ aiino VII repubblicano, pp. 60-62 e 67-68. (15) È notevole quello che si legge a pp. 3-4 delle Riflessioni del cittadino Ranza sopra la Costituzione della Repubblica Cisalpina, Milano, dalla Stamperia Patriottica nel soppresso Monastero di S. Zeno , 11 0 534, anno I della Repubblica Italiana (1797) : « La Convenzione Nazionale di Francia sin dalla prima sessione decretò che la nuova Costituzione della Repubblica, per aver forza, dovesse ottenere il libero assenso del popolo; ciò che poi si esegui per amendue le Costituzioni del 1793 e *795 · · · · I nostri legislatori si fanno organo della volontà del popolo a man salva; stendono la nuova Costituzione , ossia la copiano con picciole variazioni dalla terza Costituzione francese, e nel giorno della Federazione di tutte le città della Repubblica Cisalpina pensavano di spargerla al popolo, credendola in tal guisa abbastanza da lui sanzionata. Ma i nostri legislatori s’ingannano. Questa non è la marcia da tenersi in un affare di tanta importanza. La loro Costituzione deve intitolarsi semplicemente Progetto di Costituzione. La distribuiscano pure al popolo nel giorno della Federazione, ma non già per essere sanzionata, bensì perchè i deputati delle città della Repubblica Cisalpina la portino nel ritorno alle loro Società di Pubblica Istruzione, la facciano in esse discutere in tutte le sue parti alla presenza del popolo , e poscia, stampando il resultato delle loro discussioni, lo inviino dentro un mese al Comitato di Costituzione a Milano; il quale confrontate insieme le discussioni dì tutte le Società , ne raccolga il voto generale dei — 40 — popoli cisalpini e lo pubblichi, e allora stampi il nuovo codice col titolo assoluto di Costituzione della Repubblica Cisalpina, da essere solennemente accettato in ciascun capoluogo dei Dipartimenti dal popolò rispettivo , alla presenza delle autorità costituite , ed essere sanzionati» dal corpo legislativo ». (r6) NelΓ2&α/ des républicains fugitifs de VItalie, che si conserva negli Archivi municipali di Grenoble, figura, tra gli altri, il Fantoni « homme de lettres, nè en Toscane, propriétaire, employé auprès de l’armée française par le général Brune et jadis commissaire extraordinaire de la République Cisalpine ». Cfr. Roberti G. Per la storia delΓ emigrazione cisalpina in Francia durante il periodo austro-russo ; nella Rivista storica del Risorgimento italiano, ann. Ili, fase. VI. (17) Il giorno 18 tornò a scrivere : « È ora certo che gli ordini del Direttorio Francese, qui recati dal cittadino Faypoult, portano lo ristabilimento di tutti i soggetti stati destituiti dal &enerale Brune, tanto nei due Consigli, che nel Direttorio. Quanto ai membri dei due Consigli l’ordine di rimettergli in carica si vorrebbe eseguire con qualche limitazione , escludendone alcuni, sospetti di poco attaccamento al nuovo ordine di cose ». (18) Cosi il Botta, Storia cit. , III , 54. E la testimonianza di lui per quello che riguarda il generale Joubert è di molto peso, essendo stato seco in intimità grandissima. Cfr. Botta C. Lettere inedite, pubblicate da Paolo Pavesio, Faenza, Conti, 1875, pp. 148-149. (19) Raccolta delle leggi cit., pp. 153-154. (20) L’originale di questa lettera si conserva nell’Archivio del Dipartimento degli affari esteri a Parigi. SPIGOLATURE NEL CARTEGGIO DI GIUSEPPE GAZZINO Il dì 5 maggio deiranno 1884 moriva in Genova, nella sua abitazione di via Palestro , il prof. Giuseppe Gazzino. Vedovo e senza prole , egli lasciava al nipote Paolo Eugenio Mallarini le sue sostanze. Senonchè una clausola del testamento olografo del 14 settembre 1882, rog. not. Balbi, legava i « libri sì stampati che manoscritti, scaffali, raccolta di lettere autografe, scritti pubblicati ed inediti , sia in quaderni che in fogli volanti » alla Società Econoviica di Chiavari [Societas Clavarensis rei agrariae, covimerciis et opificiis promovendis), la quale già dall’anno 1818 tiene aperta al pubblico una biblioteca, che oggi conta circa 35.000 volumi. E un R. Decreto dell’8 marzo 1885 autorizzava la Società ad accettare il legato. — 4i — Gli « scritti pubblicati ed inediti » constano di note ed appunti autografi del Gazzino per recensioni od articoli originali, e note ed appunti per corrispondenza privata, nonché di componimenti , massime poetici , d’ altri, inviati al Gazzino per ottenerne un giudizio o per raccomandargliene la stampa. Le « lettere autografe » formano dei grossi fasci di lettere a lui dirette da uomini allora assai noti nella stampa, specialmente periodica, e talora dalle più cospicue personalità letterarie e politiche dell’epoca. Cito tra queste ultime il Tommaseo, l’Amari, il Carcano, il Fanfani, il Mazzini, Ugo Bassi, Agostino Ruffini , 1’Emiliani Giudici, il Canale, il Pitrè; e inoltre Luciano Scarabelli, Leonardo Vigo , Domenico Buffa , Benedetto Prina, Giunio Carbone. * * * Leggendo quelle lettere, che, pur essendo di sì numerosi e sì diversi personaggi , restano non di meno ora legate tra loro dal vincolo della comune amicizia e della comune stima per un uomo che, nella mitezza dell’animo suo, ammirava ad un modo — innanzi il 1870 — Niccolò Tommaseo e Giuseppe Mazzini , ed amava adulto il barnabita Ugo Bassi della stessa reverente affezione che aveva portato fanciullo al barnabita G. B. Spotorno , a me parve fosse cosa lamentevole e non opportuna eh’ esse rimanessero tutte mute e dimenticate nell’oblio della biblioteca di una città di provincia, quando non poche tra esse davano non dubbia promessa d’interesse per gli studiosi, ora per l’autorità della firma che portavano, ora per la singolarità del contenuto. S’ aggiunga a ciò che , per la storia delle cose liguri , esse hanno uno speciale interesse , in quanto contribuiscono a lumeggiare la figura di un professore genovese, che, oggi a noi poco noto, fu in Genova, nel secolo scorso, tra i più modesti, ma non tra i meno efficaci educatori. Che anzi , dando oggi alle stampe , su questo Giornale, parecchie di quelle lettere, parmi divenga intento secondario la pubblicazione di esse, e passi in prima linea, e divenga fine, ciò che io mi proponevo soltanto come — 42 — mezzo: il tratteggiare, sia pure fuggevolmente, la figura di Giuseppe Gazzino. * * * Ottime fonti di notizie sul Gazzino sono certe note autobiografiche (che trovansi tra le menzionate sue carte), da lui compilate, nel settembre del 1878, per trasmetterne copia all’Accademia dei Quiriti, che ne Γ aveva richiesto ; alle quali va aggiunto un piccolo « libro di memorie » in cui il Gazzino tenne copia, dal 1825 al *35, di parecchie sue lettere ad amici. Ottime fonti, e dal lato strettamente biografico, si può dire uniche , poiché , senza di esse, mal si ricorrerebbe a quello Studio biografico di G. Carlo De Simoni su Giuseppe Gazzino scrittore e 7/iaestro, nel quale l’enfasi retorica di circostanza (poiché quello Studio serviva di commemorazione) lasciò piccolo posto al dato biografico (1). Nato in Genova nel luglio del 1807, Giuseppe Gazzino compì gli studii elementari nel seminario arcivescovile, donde passò, a nove anni, nel Collegio Reale, diretto dai Soma-schi, ed ivi — non , come il De Simoni afferma, presso i Barnabiti — studiò sei anni. Uscitone, nel ’23, s’iscrisse, sedicenne, all’ Università. Ma, disertate, dopo un anno, le lezioni, attese allo studio del francese, dell’ inglese e della contabilità. Disertò le lezioni , dicono le menzionate note autobiografiche , « per instabilità giovanile ». Ed implicitamente lo confermano nel « libro di memorie » le lettere di quegli anni, nelle quali è costante, quasi insistente rimpianto, la reminiscenza letteraria : in esse egli si compiace d una artificiosa preziosità dello stile ; ama a quando a quando citar versi o invitare l’amico ad aprire « il commovente „ il tenero Metastasio » ; promette infine un romanzo ispirato ad un doppio suicidio avvenuto, nel 1827, a Milano, romanzo che poi non fa e non manda. Pareva che ora, più di quando frequentava l’Università, egli si sentisse portato alla let- (1) V. il Raccoglitore Scolastico, Genova, Sambolino, a. 1885. — 43 — teratura; pareva che da studente di lettere egli divenisse studioso delle lettere. « Dacché lasciai 1’ Università » scriveva « il mondo non mi vede più; non già che io lo fugga per odio, ma perchè il ritiro più si affa alle mie idee cupe e malinconiche. S’io mai son costretto a lasciar la casa, io corro per le vie solitarie , e medito sopra tutto ciò che veggo. T ’ assicuro , amico , eh’ egli è il mondo una scuola immensa: chi vi studia è sicuro di non gettare il suo tempo. Io osservava , pochi di sono , le follie del carnevale. Che ceffi!..... Quello che ha virtù in altri di eccitarli alla gioia, accendeva in me tanta bile, che mi sentiva oppresso! Possibile che l’uomo arrivi a tal grado di stupidezza, fino a correre le strade con abiti non suoi, con volto di cera, facendo mille sconci modi che destan nausea? Possibile che 1’ uomo, nel mentre contraffa il carattere di un folle, non s’avvegga d’essere egli stesso pazzo da catena?.....Ma non più morale ». L indole sua mite quindi, e 1’ educazione ascetica che al collegio i Somaschi gli avevano impartita, lo rimovevano dalla via del commercio, al quale il capriccio l’aveva spinto, e lo trascinavano ancora, quasi suo malgrado, agli studii. Entrato infatti, nel *26 , volontario nella segreteria dell’ Università , servizio che prestò senza rimunerazione , « come scala ad altre carriere », riprese frattanto gli studii interrotti, ed ottenne il diploma di baccelliere in lettere e la laurea di dottore in giurisprudenza. Non aveva ancora una meta, una direttiva, e si dichiarava, scrivendo ad amici , disposto anche a lasciar Genova, quando fu incaricato dal march. Francesco Carrega, cognato del Duca di Galliera, dell’educazione dei suoi due figli. Fu cosi, dal 31 al 38, precettore; e in questo frattempo, nel luglio del 35 , si sposò. Il « libro di memorie », che termina appunto col suo matrimonio, contiene una lunghissima lettera, con la quale egli rende noto al padre, capitano Antonio Gazzino, il suo amore. « Padre, io amo » è il segreto ed il grido che egli ha compresso per sei anni nel seno, e che adesso ancora, in procinto di dargli libero sfogo , sa trattenere ancor tanto — 44 — da far posto a questo classico esordio : « Ed è pur forza che mi tolga dal cuore quel cruccio che da si lungo spazio Γ opprime , è tempo oggimai che strappi dall’ anima quel rimorso che di continuo m’accusa: Perchè menti tu con tanta durezza ad un amoroso genitore?.... Padre, io amo ». Ed egli amava da sei anni. « Se il mio amore » diceva il venticinquenne Gazzino « se il mio amore datasse da qualche settimana, io vorrei dirlo inconsideratezza di gioventù, pazzia, furore; ma il mio è amore antico, amore di sei anni. E poiché , in sì lungo spazio, non si è mutato o intiepidito, pazzia non è, nè furore, nè inconsideratezza ». Ansrela Costa non era ricca « bella non era, benché di non sgradevoli forme », ma egli l’amava. Mai « parola di lusinga », mai « un proposito che potesse valere una dichiarazione » era sfuggito al giovane Gazzino in quei sei anni d’ amore. Ed ora, da buon figliuolo, egli domandava al padre il permesso « di spiegarsi ai genitori di lei ». Tale serietà di contegno e regolarità di procedimento in una quistione di cuore , mentre ci riporta ad altri tempi, non può non testimoniare della serietà dei propositi del Gazzino. La sua condizione finanziaria pare al giovane innamorato ornai sicura. Del resto — egli osserva filosoficamente al padre — che è, in fondo , sicuro quaggiù ? « Ma, Dio buono!.... Avvi un solo che possa dir con superbia: Quanto oggi ho , 1’ avrò sempre ? O non veggiamo noi tuttodì facoltà grandissime, e quelle ben anco che avevano maggiore solidità e fortezza, andare in fumo?.... Nè alcuno mi vorrà dir senza senno, se, appoggiato alla Provvidenza, che mai non abbandona chi nell’operare ha retta intenzione, oso ripromettermi meglio ancora del presente 1 avvenire ». Era un figlio che così parlava al padre — e che si firmava « di V. S. amato Padre ubb.rao e obbl.m° figlio Giuseppe ». — Ma era l’anno di grazia 1833. Segue nel libro alla lettera una postilla : Il giorno 10 [gennaio *34] alla sera fui l ultima volta in casa Costa, e mi spiegai col sig. Gaetano, ed altre, delle quali taluna caratteristica: Il /7 febbraio , ultima domenica di Carnevale, — 45 essendo andato di sfuggita a casa alle io ore di sera, per visitarvi mia sorella Luigia , a letto con flussione di denti, dichiaratasi in esterna ed interna enfiagione , venne poco appresso la famiglia intiera Costa, ed Angela in abito virile. Vi si fermarono fino alle ore io e tre quarti. La sera del 4 marzo fui in casa Costa , sotto il pretesto di rendere visita a Maria, sua sorella, malata di oftalmia, e mi vi fermai dalle 6 e mezza sino alle 7 e un quarto. Va notato che la scrupolosità nel registrare date ed ore corrisponde ad uno spirito di precisione e di regolarità molto sviluppato nel Gazzino. Ancora : Addì 19 aprile 1834. Confere7iza con Angela, e dono fattole di un anello. Anello con fior di pensieri : L. 7. — Addì 24 aprile. Dono fattole di un paio d'orecchini di lava di Napoli, del prezzo di L. 16,5. La sposa ebbe dal padre una dote di 15°° ^re nuove, e il 15 giugno del *34 furono celebrate le nozze. I-e quali riescirono veramente avventurate. Pochi mesi appresso, scrivendo ad un Bressiani, il Gazzino, dopo di aver dichiarato all’amico d’avere un mondo di cose da narrargli, non gli racconta altro che d’essersi ammogliato. « E dopo sette mesi di questo nuovo mio stato » aggiunge « mi trovo felice, nè fuor di speranza che la mia felicità non abbia per volger di tempo a scemarsi ». Nè in realtà scemò tale felicità, ma durò eguale, poiché durò eguale l’affetto tra lui e la moglie, sino a che non fu spezzata d’un tratto dalla morte di lei. Allora, nel suo dolore , il Gazzino ebbe il conforto di vedersi giungere da ogni parte, e da uomini quali N. Tommaseo, G. B. Giuliani, P. Fanfani, P. Giuria, G. Pitrè, prose e versi di compianto, ch’egli pubblicò, quasi intrecciando per la defunta una corona. Ma allora già era il ’7θ, e già molti in molte regioni d’Italia conoscevano quel prof. Gazzino, che lasciammo, insegnante, dal 1831 al *38, dei figli del march. Carrega. Dal *38 al ’45 il Gazzino fu precettore dei figli della contessa Francesca Pinelli, e amministratore dei beni di lei. L’anno 1845, nell’attesa d’un posto nell’insegnamento pubblico, egli pose a profitto gli studii commerciali, impiegandosi come ragioniere presso « una assai rispettabile casa — 46 — di commercio ». Ma la pubblicazione d’una sua traduzione del Byron, di varii lavori poetici e d’ altri scritti, e Γ amicizia contratta con insigni personaggi, fecero sì che , nel 1850, il governo piemontese lo nominasse professore di lettere italiane nel Collegio Nazionale. Già dal 1848 infatti Vincenzo Troya gli aveva scritto : Torino, ai 12 di novembre 1848. Carissimo Gazzino, Io sono dolentissimo di non aver mai sospettato che voi aveste la buona volontà di entrare nel pubblico insegnamento, pel quale sareste stato un prezioso acquisto. Egli è da qualche settimana che i professori tutti son già stati nominati. La nomina loro però è provvisoria, e sul fine dell’ anno si aprirà un concorso per iscegliere i più meritevoli. Accingetevi a questa prova, nella quale uscirete, ne son certo, vincitore. Nella settimana ventura mi restituirò a Genova, e ci parleremo più a lungo. Addio, carissimo. Seguitate ad amare il vostro AfF.mo amico V. Troya. Nel 1856 gli fu aggiunto l’insegnamento della storia e geografia. Lo stesso duplice insegnamento gli fu affidato, l’anno 1859, nella R. Scuola Normale femminile allora a-pertasi in Genova. Ma un anno appresso , ministro il Ma-miani, egli fu, con grande suo rammarico, rimosso dall’insegnamento, ed eletto segretario del R. Ispettorato Scolastico per la provincia di Genova. Onde egli, scherzando, ma con certa amarezza, scriveva in quegli anni: Salito al Ministero Lo scettico Mamiani, Mi tolse al magistero: E fu un agir da cani ! Ma tornerovvi, spero, Chè augurio non sinistro De Sanctis me ne dà, fatto ministro. 24 marzo 1861. In colui che De’ Sa?ilis udia chiamare Io confidai, confesso il mio peccato; Ma quando m’ebbi seco ad impacciare Ch’egli era de* Diavoli ho trovato. Scrisse il Mamiani, il torto a riparare, — 47 — Che tosto professor sarei tornato ; E il novello ministro, non che fare Quanto l’antico avea deliberato (E sì ’l potea tante volte e tante!) Fecemi, il tristo, orecchie da mercante ! 14 gennaio 1862. Quando, nel ’66, fu annesso al R. Provveditorato 1 1-spettorato che il Gazzino teneva, egli rimase due anni senza impiego governativo, finché gli venne, nel 1868, affidata la carica di sostituto al direttore ed agli insegnanti della R. Scuola Femminile di Genova. Egli , per altro , non aveva cessato d’insegnare, poiché, dal *51, era pure docente di storia civile alla Scuola Magistrale maschile pareggiata, in quell’anno istituita in Genova dalla Deputazione Provinciale. E non sono privi di brio i versi seguenti, che trovo, come già quelli sopra citati , sopra un foglietto volante , tra le sue carte. Egli risponde con essi all’ amico Cesare Cavara, R. Provveditore agli studii della provincia di Vicenza, il quale l’ha, con le parole del Petrarca , interrogato : « Che fai ? che pensi ?..... » Vi preme di saper che cosa io faccio? Ad un branco di giovani sventato, Che punto d’imparar non dassi impaccio, Narro degli avi i gesti al tempo andato, Di quanto in bene o in mal ebbero oprato A documento lor nulla ne taccio; Ma al postutto vegg’ io che perdo il fiato, Nè del mio dire i più curansi straccio. Se di cacce, di giochi o d’altrettali Leccornie ragionassi, come a dire Di scene, di romanzi o di giornali, A bocca aperta mi starieno a udire. Ma perchè i gravi espongo itali annali, Chi tosse o ride o ciarla o sta a dormire. Poi, quando il dies irae Venga, e chiamati sieno a dar ragione Del profitto che in loro si suppone, Cose da can barbone Ai dimandi rispondere s’udranno, Ch’era un santo Neron, Tito un tiranno, Che di Fiorenza a danno Mosse Ferruccio, fu lercio giudeo Il gran padre Alighieri, e Galileo — 48 - Un cosaccio, un baggeo, Attila un sofo, da Rienzi un frate : A dir breve, robaccia da sassate. Era allora il 1872. Da due anni gli era morta la moglie, ed egli s’era ridotto, come in un rifugio, tra i libri in casa e tra i fanciulli in iscuola. Era il 1872, ed egli aveva ancora dodici anni di quella vita tra giovani spensierati ed irrequieti : ancora dodici dei suoi trentaquattro anni di pubblico insegnamento. Una morte serena pose fine alla quieta sua. vita, vissuta tutta nella scuola e nella casa. * * * Come letterato — non ho che a ripetere qui quanto scrissi pubblicando le lettere di Ugo Bassi al Gazzino (1) — come letterato Giuseppe Gazzino appartenne alla scuola dei classicisti. Ciò si confaceva al suo temperamento mite, queto, rifuggente da ogni arditezza e dall’innovazione : ciò era in armonia coi suoi studii, che Antonio Nervi, elegante traduttore dei Lusiadi, e il barnabita G. B. Spotorno, erudito storico della Liguria, avevano guidati, e che l’esempio del Cesari aveva informati. E il suo temperamento ed i suoi studii gli avevano indicata la via, e quasi aperte le porte, di quel cenacolo del classicismo e dell’aristocrazia intellettuale, che era, a mezzo il secolo scorso, l’arcadica villetta del march. Gian Carlo Di Negro. Come letterato, adunque, Giuseppe Gazzino non fu certo un innovatore. Chè anzi il maggiore suo vanto letterario fu di traduttore. Tradusse in versi i Versi anacreontici di Giovanni Val-des Melendez (Milano, Manini, 1832; ristampati in riviste), il Pellegrinaggio del giovane Aroldo del Byron (2) ; le Fa- (1) Rivista d’Italia, aprile 1905. (2) Genova, tip. Arcivesc. 1836, e Torino, tip. Editr. 1853. Fu poi tre volte questa traduzione, senza il consenso del G., ristampata in Napoli. È da notarsi che, ad onta di quegli studii d’inglese che gli avevano fatte disertare le lezioni universitarie, il G. tradusse il Childe Harold dal francese. Onde il suo lavoro, che pure avea avuto lodi da Felice Romani (Gazzetta — 49 — volo morali (Genova, Sordomuti, '52), la Fata Galante (Firenze , Lemonnier , *56) e le Poesie (Torino , Un. Tipogr., 1858 -*59) di Giovanni Meli ; le Favole di Venerando Gangi d’Arcireale (1), il Bandito siciliano di Carmelo Piola (Palermo , Amenta , ’7o), e infine, in collaborazione con Niccolò Poma-Gangemi, le Poesie Siciliane del Piola medesimo (Palermo, Costa, *72). Ometto altre traduzioni di minor conto per riviste. Tradusse in prosa le Sette corde della lira della Sand (Novara, Ibertis , 1847), ^ Libro del popolo del Lamennais (Genova, Ferrando, *49), Graziella del Lamartine (Genova, Sordomuti , *50), le Parabole del Krummacher (Torino, Pomba , *51, e, con alcune favole in versi del traduttore, Genova, Sordomuti, '54), la seconda e terza parte del Fausto del Goethe, in continuazione alla prima, tradotta dallo Scal-vini (Firenze, Lemonnier, *57, e, con la Leggenda di Fausto del Widmann, Firenze, Lemonnier, ’Ó2). S’aggiunga, oltre a piccole traduzioni per riviste e giornali, un volume tradotto dal latino II fedele 171 orazione, con un opuscolo De via salutis aeternae (Besançon, Deis, 1858), riguardo al quale osserva il Gazzino : « Splendido volume con fine incisioni. Il poco onesto editore, forse a renderlo più accreditato, tacendo il mio nome, pose sul frontespizio: Due 0-pus co li d' un frate italiano! » Sull’ opera sua di traduttore del Goethe scrissero , in due notevoli lettere a lui dirette, Giuseppe Mazzini e Niccolò Tommaseo: Piemontese, io die. 1836), dalla Gazzetta di Genova (7 sett. ’3Ó), dal Nuovo Giornale Ligustico (ag. *57), e poi n’ebbe dal Giorn. Scient, e Letter. di Modena (giugno ’}8) e di Bologna (sett. *39) e dalla Far(alletta di Messina (ag. '42), venne aspramente censurato da un anonimo del Subalpino (sett. *37). Il G. inviò al Subalpino una lunga discolpa, dichiarando, tra l’altro, ch’egli aveva tradotto da due traduzioni francesi in prosa. Al che rispose, non senza ragione, il critico, che se il G. avesse avvertito ch’egli traduceva una traduzione, gli avrebbe risparmiata la fatica d’una critica. Ma la polemica non apparve sul Subalpino. (1) Genova, Sordomuti, 1868. Il 20 ottobre del '67 il prof. Longo dell’U-niversità di Catania gli inviava copia di queste favole, che, nel febbraio del ’68, il G. già stampava tradotte in versi. Giorn. St. e Lctt. della Liguria. 4 — 50 — Caro Signor Gazzino, Ebbi, pochi dì sono, la vostra traduzione del Fausto. Ho appena potuto leggere una o due scene della seconda parte, nelle quali avete, parmi, cozzato con successo colle immense difficoltà dell’originale. Andrò innanzi appena potrò. Ma intanto profitto d’ una occasione per mandarvi queste poche linee, gratissimo del vostro ricordo. Vi ricordo io pure, come ricordo ogni cosa di quelli anni di studi, gli unici lieti della mia vita. Proseguite. Iniziate più sempre i nostri ai capo-lavori stranieri. Dovreste tradurre il Goetz di Berlichingen. Se non che l’amore agli studi non risorgerà davvero in Italia che quando avremo Venezia e Roma. La vita del paese è or dimezzata, e non può concentrarsi pacata sulle vie dell’intelletto e dell’arte. Abbiatemi vostro Giuseppe Mazzini. 31 luglio (1). Firenze 14 febb. ’6o. Preg.“0 Signore Molte grazie le devo del dono , e congratulazioni , massime per la seconda parte del Faiisto, dove (non parlo della fedeltà , della quale io non posso giudicare) la prosa segnatamente a me pare più franca e più italiana che non sia nella versione dello Scalvini, e nel verso molte difficoltà superate valentemente. Ma Ella, che può comunicare all’Italia con vantaggio molte notabili opere di stranieri, giacché alle forze dell’uomo e alla vita angusti sono i limiti, scelga. Scelga, dico, e le opere di più sana moralità e i tratti più belli. Io le confesso che, senza voler detrarre alle mirabili facoltà dell’ ingegno del Goethe, comparandolo (chè si può bene e si deve) ai grandi poeti che gli precedettero e all’Alessandro Manzoni, mi par di vedere soverchio in lui lo sfoggio dell’ ingegno , che si diletta ora della riflessione senza affetto , ora della passione congelata in sofisma, ora dell’ amplificazione rettorica. Non ci sento, che rado, quella sincerità e quel calore che dà la natura ispirata , quella parsimonia potente che dà l’arte eletta. Per voler troppo dominare il suo teitia, egli è servo del sistema, ligio del paradosso. Questo difetto gli è aggravato dalle credenze sue filosofiche, se credenze possonsi dire ; le quali lo fanno retrocedere di là da tutti i secoli cristiani , senza ch’egli acquisti però l’impeto giovanile del mondo antico, e quella recente freschezza che serba nel male stesso un non so che d’innocenza, perchè il male, se non inconscio di sè, almeno non è meditato. ...... Suo D.n,° TOMMASÈO. (1) Sulla busta di questa lettera il G. scrisse: « Ricevuta li 12 agosto 1864 dalle mani del Signor Bartolomeo Savio ». Essa venne per la prima volta pubblicata da Federico Dona ver in Uomini e Libri, Genova, Sordomuti, 1888, pag. 75 e sg. — 5i — * Oncle molto s'accorò il Gazzino allorché Andrea Maffei, traducendo per la Collezione Nazionale del Lemonnier la prima (1866) e la seconda (1869) parte del Faust, menzionò soltanto , fra i traduttori che 1’ avevano preceduto , Gio-vita Scalvini e Anseimo Guerrieri per la prima parte , e per la seconda Federico Persico. L’ omissione, se involontaria, era strana , poiché la traduzione del Gazzino faceva parte appunto , come ristampa, della Collezione suddetta. E tanto se ne accorò il Gazzino, che, uscendo dal naturale suo riserbo, e vincendo l’innata modestia, trascrisse al prof. Lorenzo Schiavi, in una nota che quegli dovea pubblicare — e che ignoro se pubblicò — in certo suo manuale di letteratura, un elogio del Courrier Franco-Italien (Parigi, 26 febbraio 1858) della sua traduzione, facendogli cenno inoltre delle su citate lettere del Mazzini e del Tommaseo, e d’un elogio fattogli a viva voce dal Guerrazzi, e rammentandogli infine che, avendo Francesco Prudenzano, nella sua Storia Letteraria Italiana del secolo XIX (Napoli, Marghieri, 1864), taciuto fra i traduttori il nome del Gazzino, gli mosse di ciò rimprovero « un dotto letterato siciliano ». Il dotto letterato siciliano era Giuseppe Pitrè, il quale scrisse a tal proposito, al Gazzino, in lettera del 16 ottobre 1866: Sul volgarizzamento del Maffei lessi un lungo articolo nella Nazione > dove il meno che si parlava è appunto del Maffei: giusta ricompensa a chi voleva condannare all’obblio una fra le migliori traduzioni che del Fausto vanti 1’ Italia. Sicuro del plauso de’ buoni, V. S. non deve gran fatto arrecarsi del silenzio del Maflei. Per me oso dire che quando lessi cotesto lavoro del suo bell’ ingegno , io presi ad a-marla davvero , tuttoché il mio cuore le avessi già dato quando conobbi i suoi eleganti lavori sul mio dialetto natale. Francamente: tra’ volgarizzamenti del Fausto fatti o tentati dallo Scalvini, dal Guerrieri e dal Persico, quello di V. S. eccelle. Anche a proposito delle sue traduzioni del Meli il Gazzino ebbe da illustri personaggi lusinghiere parole. Così da Michele Amari : Parigi, 16 agosto 1S52. Mio Egregio Signore Una diecina di giorni addietro il Sig. Guigoni mi ha recato la sua lettera del 28 giugno e i due opuscoli , dei quali molto la ringrazio. Per quanto io ne sappia giudicare , mi sembrano utili lavori per la — 5- ~ gioventù. La versione del Meli, desiderabilissima al certo, parmi non si possa ben giudicare dalle Favole, che sono la men bella e certo la men difficile delle opere sue per chi non abbia succhiato col latte l’idioma siciliano. Per altro non ho sotto gli occhi il testo, e non vorrei dire una opinione qualunque senza poter paragonare quello con la versione. Però la prego di scusarmi se non profitto in ciò dell’ onore ch’Ella mi volea dare. La Fata galante è al certo un leggiadrissimo componimento da mettersi sotto gli occhi di qualunque italiano, e così anche il Don Chisciotte : ma se io potessi darle un consiglio, crederei lodevole sopra ogni altra cosa di tentare qualche versione delle Stagioni e delle Anacreontiche, che sono il vero capolavoro del poeta siciliano, o per dir meglio, la principale contribuzione ch’egli ha fatto alla letteratura della patria comune (i). Se 1’ Italia può rivaleggiare con la Grecia in tal genere di poesia , lo può in grazia del Meli ; e sarebbe un defraudarla a darle altre poesie del Meli, lasciando addietro Gli occhi, I capelli, Il labbro, ovvero L’autunno ecc. Accolga i miei distinti ringraziamenti e la considerazione, con che mi creda Suo D.mo Serv. M. Amari. Parigi 2 febb. 1S57 (ri Rue du Mont Tliabor). Gentiliss. Signore Intendo da Carini che siasi smarrita la lettera eh’ io le scrissi il 3 andato per ringraziarla della versione della Fata Galante del Meli, pregevolissimo suo lavoro, del quale si era compiaciuta farmi dono. Di che mi duole, perchè Ella avrà potuto notarmi di scortesia, e perchè ha tardato certamente a sapere che un altro italiano oltre i tanti che l’han lodato ha in pregio la sua bella versione. Il sapore che mi lasciò in bocca dopo averla letta fu dell’Ariosto , e ammirai la franchezza e proprietà del linguaggio e la traduzione fedele senza servilità. Gradisca coteste parole, ancorché le giungano tardi, e creda sempre alla mia stima ed affezione. M. Amari. E da Terenzio Mamiani : Riverito Signore ....... . In si breve spazio non ò potuto se non isfogliare e leggere qua e là alcun brano della sua versione del Meli. Ma posso (1) Domandava il G. aH’Amari, in una sua lettera d’ autopresentazione, del giugno 1852: « Del Meli in particolare (di cui, oltre alle Favole che le invio , ho già pronti per la stampa gli 8 canti della Fata Galante) , mi dica Ella, siciliano, con tutta schiettezza , se vale la spesa ch’io prosegua — 53 — sin da ora rallegrarmi con lei della scioltezza e perspicuità del suo stile; e parmi abbia sostenuto fatica molto utile, donando ai giovinetti la cognizione di quelle vaghissime favole, che dentro al dialetto siciliano si rimanevano come un tesoro mezzo nascosto e di piccolo uso. Il suffragio poi del prof. Napoli dee porre per sempre in quiete la sua coscienza di traduttore. E chi potrebbe con più sicurezza e miglior giudicio accertarla di aver colto il concetto ed il sentimento del gran poeta palermitano?.... Genova, giovedì, aprile del '52. Terenzio Mamiani. E da Atto Vannucci : Parigi 7 agosto 1852. Pregiatissimo Signore. La ringrazio di tutto cuore dei due bei libri inviatimi per mezzo dell’amico Guigoni, e mi tengo grandemente onorato del prezioso dono e del pensiero gentile che Ella ebbe per me. Ho ricevuto i libri poco avanti alla partenza dell’amico che le porterà questa mia, e quindi mi è mancato il tempo a leggere tutto; ma ho percorso una buona parte del Meli, al quale Ella ha dato la cittadinanza italiana, rendendolo caro a tutti gli amatori del bello, con quella elegante facilità che che pochi possono conseguire. Me ne rallegro molto con lei, e la ringrazio quanto più posso del piacere dolcissimo che mi ha recato questa lettura. Desidero avere occasione a mostrarle più che a parole la mia gratitudine, e intanto passo all’onore di dirmi pieno di stima profonda Di lei, pregiatissimo signore, Dev.mo Servo Atto Vannucci. E Giuseppe Pitrè, infine, gli scrisse, nel *67 : « Ora godo sommamente che il nostro massimo poeta abbia trovato un traduttore come Lei, che Γ ha fatto conoscere in Italia tutta, e un editore come il Pomba, che innamora ». Il Tommaseo tuttavia e l’Emiliani Giudici non s’astennero dal fare le loro riserve sull’ opportunità del tradurre poesie vernacole. La su citata lettera del Tommaseo infatti termina con queste parole : « La versione del Meli , che ad altri loderei, a lei dico schietto che non mi pare altrettanto felice, perchè qui le è forza coll’italiano comune sbiadito , e non sempre usato propriamente , gareg- ad impicciarmi ; o se dovessi starmi contento al fatto, senza tentare ancora (ultima fatica, a quanto io vedo) di volgarizzale il Don Chisciotte ». — 54 — giare con quanto di più snello e potente ha la vita della lingua parlata e del dialetto. Quest’è non giudizio ma parere ; e la schiettezza dice alla stima meglio che le accademiche cerimonie ». E, alla sua volta, l'Emiliani Giudici (4 giugno 1852): ........In quanto al Meli, sebbene io non abbia potuto a- vere il testo qui in Firenze , me ne rammento tanto da poterle dire la mia opinione intorno al suo esperimento. La versione mi parve ben condotta ; lodo lo stile puro , senza essere lambiccato e la verseggiatura agevole ed armonica. In generale io 1’ approvo , e la reputo di molto superiore alle scempiataggini dell’arcadico Rosini. Ma non so s’io debba consigliarla a procedere oltre questo saggio, perocché stimo difficile, per non dire impossibile, ridurre nella lingua letterale poesie, la bellezza delle quali sta tutta nelle grazie natie del dialetto, che su per giù non è se una modificazione di quella. Paragoni la Fugitiva del Grossi, in milanese , con quella da lui rifatta in italiano , e vedrà come la leggiadria del dialetto diventi spesso manierismo e talvolta freddura nella lingua italiana. Se Ella ha felicemente superate infinite difficoltà nel ridurre (uso questo vocabolo, che, nel caso presente mi sembra più proprio di tradurre) le favole del Meli , per quanti sforzi sappia adoperare, non farà la medesima pruova nelle canzonette, nelle egloghe e nel ditirambo, che sono le cose che più hanno un colorito affatto municipale ed intraslatabile. Ma qualora Ella volesse persistere nel suo pensiero, io le consiglio di provarsi nel Don Chisciotte. Nonostante, tutti i Siciliani debbono esserle grati per avere Ella comperato a diffondere la fama del loro poeta nella penisola. Le ripeto , ho parlato con ischiettezza , e ciò le sia prova che io stimo il suo ingegno, e ringrazio l’occasione che mi ha procacciata la conoscenza di un dotto suo pari. Paolo Emiliani Giudici. Meno notevole è l’opera originale del Gazzino, ch’io qui riferisco — omettendone gli articoli sparsi in giornali e periodici letterari, come il Subalpino, il Propugnatore, il Nuovo Giornale Ligustico, le Letture popolari,, Scuola e Famiglia* Il Giovinetto Italiano, ecc., e le poesie d’occasione, · 1 · canzoncine, parabole e simili — per completare la bibliografia gazziniana : 1 Rivali, polimetro, Genova, De Carli, 1831 ; Giulietta e Romeo dramma lirico, Milano, Avisai, 1832 (anche in Biblioteca ebdomadaria teatrale, fase. 166, del Visai); L* amico dei fanciulli, Genova, Tip. Arcivesc., 1836; Francesco Ferrucci, dramma, ivi, 1847; Libertà e Patria, versi, — 55 — ivi, 1848; Delle Istorie Liguri dalle origini fino al 1814. Sommario ecc., Genova, Ferrando, 1849; Brevi precetti sull*arte di scriver lettere, ivi, 1850; Manuale di Letteratura Italiana, Genova, Lavagnino , 1852; La Mitologia dei Greci e dei Romani, e principali rapporti di essa colla stona sacra e profana, ivi, 1853 ; Indice cronologico e bibliografico d'illustri italiani dal sec. XII al XIX, Milano, Silvestri, 1857 5 Canzoìicine sacre e morali, e altre poesie di vano genere, Firenze, Cellini, 1863 (ediz. di soli 100 esemplari, con fotografìa dell’autore) ; Biografìa di F. Petrarca, Biografia di Dante Alighieri e della Divina Commedia ai giovani, Genova, Sordomuti, 1865. Non hanno alcun valore critico — e la seguente dichiarazione prova che non potevano averne — le numerose recensioni ch’egli fece. « Fra i tanti libri ed opuscoli » egli scrisse in una d’esse « che dalla cortesia degli autori mi vengono da ogni parte spediti, messi da parte quei che non mi accontentano abbastanza , piglio ad occuparmi soltanto di quelli, ne’ quali molto sia da lodare , e nulla , a mio credere , o poco da censurare ». Dichiarazione questa, che, quanto più fa onore alla mitezza dell’indole di chi la scrisse, tanto più fa torto al suo criterio di critico. * * * Va in ultimo considerato nel Gazzino il bibliofilo. Le più che dieci migliaia di volumi, ottimamente conservati, e in massima parte rilegati, ch’egli lasciò alla Società Economica di Chiavari, fanno fede della sua passione , con la quantità, e, con la qualità , della sua scienza del libro. Di questa interessante biblioteca , che oggi può senza esitazione stimarsi a più d’ un centinaio di migliaia di lire, a lui erano costate, come risulta da un particolareggiato registro, da dieci ad undici migliaia di lire le prime duemila opere acquistate. E della sua accortezza nell’acquisto fanno fede le postille apposte al suo catalogo a schede, nonché ad ogni esemplare di buona o di rara edizione. Poiché quel giovane che, fidanzato , abbiamo veduto tenere scrupolosa memoria dell’ora in cui si recava a casa della sposa e dell’ ora in cui ne usciva , registra, fatto adulto , bibliofilo quasi bibliomane, oltre che sopra un catalogo a schede e sopra un apposito quaderno, sul lato interno del cartone o della copertina d’ogni buon volume acquistato, da quale opera bibliografica esso siacitato, ed a che pagina, e quanto vi veng*a stimato, e segna a tergo del volume il prezzo d’acquisto. Talora la spesa era grave, come quando egli pagò L.it. 60 1’ opuscolo Psalmi penitentiali di David, tradocti in Ungila fiorentina et commentati per Hieronymo Beni-vieni (1), ma il Gazzino spendeva volentieri in libri, quando sapeva di spendere bene, anche somme che dovevano gravare non poco sopra il suo modesto bilancio. Non sempre però era grave la spesa, sebbene fosse sempre felice lo acquisto. E tra gli acquisti più felici ricordo, oltre alle molte rare e rarissime operette del 600 e del 700 , avute a modestissimo prezzo, oltre ad un bell’Ovidio del 1530 (1) Una postilla a stampa del G. ci avverte che due carte di questo e-semplare furono « con mirabile grafia » scritte dal bibliotecario della Nazionale di Firenze Giunio Carbone, abilissimo in tali restauri a penna. Ho detto « ci avverte », poiché in verità c’è bisogno dèll’avvertimento. Cfr. al riguardo i seguenti due passi delle lettere del Carbone al Gazzino: « ..... Il libro di Hieronymo Beni vieni fu stampato dai Giunti, ed è rarissimo. L’ho fatto cercare, giacché nella Biblioteca Nazionale non vi è che una seconda ediz. Fu trovato alla Palatina, me lo sono fatto dare, l’ho portato a casa mia, ed io stesso ti farò il fac-simile delle 2 c. mancanti nel tuo esemplare, ben contento di poter dare a un mio amico d’infanzia questo attestato d’amicizia. Ma bisogna che non abbi troppa furia, perchè non posso attendere a questo lavoretto che nei di di festa...... Ho trovato la carta antica, simile a quella dell’es. di Firenze alla Palati?ia, e ho cominciato. Tu lo riceverai, come t’ho detto, per attestato d’amicizia, senza pensare a pagamenti; diversamente non tei fare’io, ma tei farei fare ». (12 maggio 1864). — « .... Se tu m’avessi mandato il tuo libro incompleto , io avrei potuto cercar la carta affatto simile, darle il medesimo colore, e far combinare li altri segni o macchie delle pagine; ma non me l’avendo mandato, sono stato costretto uniformarmi all’ esempi, della Palatina , il quale, essendo stato lavato, per il colore della carta e dell’inchiostro non può dar sicura norma ; nondimeno l’ho imitato il meglio che ho potuto: ho trovata carta antica similissima per la pasta e per il colore, ho similmente agguagliato l’inchiostro e fatto ogni diligenza per contentarti. Bene è vero che il lavoro non mi è venuto della perfezione desiderata, per aver io li occhi un poco stanchi da altri lavori simili, e per aver dovuto lavorare interrottamente, talvolta a due o tre righe per giorno..... » (25 giugno 1864). — 57 — (Venezia, Stagnini), avuto a L. 1,50, un Petrarca del 1503 (Venezia, Bevilacqua), eh’ egli pagò venti lire, un’Arcadia del Sannazaro tutta fornita et tratta emendatissima dal suo originale, del 1509, che pagò otto lire, e un’edizione aldina del Pontano (1518), che pagò cinque lire. E cinque lire pagò un bell’esemplare d’un’edizione ignota al Brunet del Bonvicini de Ripa « De moribus discipulorum » (1), e sei lire il rarissimo opuscolo Historia Pii pape de duobus amantibus cum inultis epistolis amatoriis dei 1514, e venticinque un Pii Secundi Epistolae del 1487. In tali acquisti anzi consistettero le gioie dei suoi ultimi anni: gioie semplici e serene, che oramai riempivano ai quieto professore la vita : gioie che non comprende e commisera chi non ha , come il Gazzino aveva , per i proprii libri l’affetto quasi d’un padre. Chi lo conobbe vivente gli lesse più volte in viso il giubilo d’un buon acquisto, prima che egli lo esprimesse a parole. Il nuovo venuto era per lui tanto più amato come figlio quanto più era pregiato come libro. E certo egli dovea provare un’intensa compia cenza allorché, comprato per due sole lire un libriccino mutilo e sfasciato, fattolo rilegare e racconciare, potea scriverci su, prima di riporlo tra i più cari ; « Sylve , Strambotti Juvenili etc. di Marcello Filoxeno Tarvisino. Brunet (volume IV, p. 622) scrive Philoxeno, rimproverando l’Iiayn perchè chiama ΓΑ. Filoxeno. E , detto che il frontespizio del libro è in rosso, e il registro è dall’.4 alla Z, aggiunge che un esempi, dopo il foglio Z ne ha altri tre , Γ ultimo dei quali bianco. E il presente appunto ha i fogli &, ?, R ». E certo il cuore dovea battergli forte nel petto , allorché, comprato per L.it. 15 il Quadragesimale de floribus sa-pientiep.roptimum editum et compillatum per egregium sacre theologie doctorem magistrum Ambrosium Spiera tarvisinum, (Pavia 1485), poteva notare sul suo registro una parola che il bibliofilo non ode senza un fremito : incunabulo. (1) Uri.vie impressum per Bernardinum Misintam de Papi a, a. 1497, die 24 Mail. Il Brunet, mentre cita altre sette edizioni dell’opera, non fa menzione di questa. - 58 — * * * vSpigolo adunque tra i voluminosi fasci del carteggio gazziniano. Sono centinaia e centinaia di lettere, sciolte in parte, come il Gazzino le lasciò , e imbustate con la data di ricevuta e il nome dello scrivente sulla busta, e in parte invece alfabeticamente ordinate , e rilegate in quattro volumi. Spigolo , avendo per norma nella scelta il nome di chi scrive ed il contenuto della lettera. Gius. Ugo Oxilia. AGOSTINO RUFFINI. Torino, li 19 Luglio 1848. Carissimo Gazzino, Fui molto dolente di dover ripartire da Genova senza avere avuto il bene di abbracciarti. Chiesi di te, ma non si seppe indicarmi dove tu stessi di casa. Al mio ritorno costì avrò a pregio venirti a vedere, e riscalderemo gli anni nostri virili, anzi volgenti al provetto, colle rimembranze e cogli affetti della gioventù. Trovai tra le cose di mamma Libertà e Patria, e mi fu grato il vedere siccome tu fossi venuto maturando e coltivando Γ intelletto poetico , accendendolo ad ispirazioni patrie, e volgendolo a prò dei presenti interessi d’Italia. Ti ho moltissimo obbligo della copia che me ne spedivi in dono ; la serbo e serberò con gelosa cura. I due ultimi atti della Colpa di Müllner non vennero mai stampati , anzi ne andò perduto il manoscritto, e a dir vero non me ne importa gran fatto. Preso posto così tardi tra i rappresentanti, e tenero del detto « Pensar ben pria , per non pentirti poi », è probabilissimo che io me ne stia queto queto per ora nella Camera ; ove però mi si rinnovasse il mandato per l’Assemblea Costituente, chiacchererò anch’ io. Nella speranza di abbracciarti tra non molto in carne ed ossa, ti do frattanto in ispirito un caldo amplesso, e sono Tuo buon amico Agostino Ruffini. MICHELE AMARI. Firenze, 15 aprile 1860. Egregio Signore, 1er l’altro trovai a casa, recato non so da chi, un involtino coi due volumi della sua traduzione del Meli e la cortesissima lettera del 14 novembre. Suppongo ch’Ella non sia riuscita a dare i due volumi, come io proponeva, al prof. Giuliani, perchè questi è a Firenze sin da mezzo gennaio, e ci siam visti varie volte , onde non è possibile ch’egli abbia dimenticato di farmi parola del gentil clono di lei. — 59 — Le scrivo qnesti due righi di ringraziamento , riserbandomi a leggere il suo lavoro, quando mi sia passata questa febbre che mi gitta addosso la rivoluzione di Sicilia e la infernale oscurità della quale il governo napoletano è riuscito ad avvilupparla per più di dieci giorni. È ferita che dee cuocere ad ogni italiano , non che a quelli nati nel-Γ isola. Gradisca dunque gli attestati della riconoscenza che le esprimo alla peggio, turbato com’ io sono, e mi créda sempre Suo Dev.“*° Serv. M. Amari. GIULIO CARCANO. Milano, io agosto 1879. Chiariss. signor professore, Al cortese dono di quel suo recente volumetto di novelle, scritte con raro sapore di lingua, sul fare de’ nostri vecchi maestri del cinquecento, Ella ha voluto aggiungere quello d’una sua lettera per me troppo indulgente. E io, che finora ebbi appena il tempo di scorrere queste festevoli pagine, che porterò meco domani, recandomi di città sul Lago Maggiore, a Lesa, ove passerò l’autunno, non voglio tardare a renderle grazie di cuore. Quanto a me, so d’avere fatto ben poco per meritarmi la sua lode; ma posso accertarla che quella intenzione ch’Ella accenna, di scrivere onestamente e liberamente, l’ho sempre avuta. E de’ versi suoi, dettati col medesimo proposito di bene, io mi ricordo d’averne letti parecchi, con piacere, in più d’una raccolta. Veramente, se ci fu momento, in cui fu sacro dovere il tener viva la buona tradizione antica, è questo! Non ci stanchiamo, dunque, di scrivere e di dire il vero con onesta franchezza. Mi creda, con grato animo e con la più sincera osservanza Suo dev.mo Giulio Carcano. NICCOLÒ TOMMASEO (1). P. S. Fir. 11 Ap. 60 Non ho ancora letto l’opera del sig. Marco Monier (2), ma dall’indice credo che sarebbe volentieri conosciuta in Italia; e sento che c’è (1) Nell’agosto del 1874, su proposta di Pier Viviano Zecchini, il G. inviò copia delle sei lettere che aveva del Tommaseo, e d’un sonetto, al figlio di lui Girolamo. (2) Marc Monnibr: L'Italie est-elle la terre des morts? Paris, Hachette, 1860. Sulla copertina della copia da lui possedutali G. scrisse: « Libro eccellente, eh’ io mi auguro tempo quanto se ne domanda per volgarizzarlo con artiere, s’intende con alcuna indispensabile modificazione. 2febbraio 1860*. — 6 ο — affetto alle cose nostre, e, per forestiero , assai conoscenza. Spetta a Lei giudicare se sìa da tradurre, e se apporvi note o appendici che riverentemente correggano, e aggiungano quel che manca. Nel rispondere al modesto suo invito, e nel dire schietto il parer mio intorno ai lavori dell’ operoso suo ingegno, non intendevo per certo di dare un giudizio. Ella dunque mi scusi; e creda alla stima del suo D.m0 TOMMASÈO. P. S. G. E la lettera e il libro (i) dimostrano vivi in Lei la fede, l’affetto, 1’ ingegno. La fede corrobori viepiù l’ingegno e l’affetto, l’affetto avvalori la fede e Γ ingegno , l’ingegno riscuota la fede e l’affetto ne’ cuori languenti. Quest’è l’augurio della mia gratitudine. 5 Apur. ’65. Fir. Suo Dev. TOMMASÈO. PIETRO FANFANI. Firenze, 26 ottobre 1869. Mio caro Professore, Sì, avevo già pensato a far qualcosa di lavori femminili, e ho già disegnato, sotto forma di una commediuola, che potrebbe anche recitarsi negli Istituti Femminili, un lavoro per la sarta , la crestaia e la cucitura di bianco: ella vede dunque che i versi del cieco sono opportunissimi. Però mi ci vorrà un poco di tempo, perchè volevo finire la mia Bambola, alla quale lavoro con tutto amore. Non so se Ella l’abbia veduta annunziata in qualche giornale; e però ne includo qui un annunzio, perchè abbia un’idea della qualità del lavoro. Ella sarà de’ primi ad averlo; e spero che, se non le parrà un buono libro, le parrà una buona azione l’averlo fatto, se non per altro per l’intenzione. Sono in Fiorenza per momenti, e scrivo in fretta e a disagio, nemmeno, come vede, in carta da lettere. Mi perdoni, e mi voglia bene il suo Fanfani. P.S. Ho pensato che è inutile includere l’annunzio, essendo stato messo nella Unità della lingua. Firenze, 12 Xbre 1869. Mio caro sig. Professore, Ma la sua benignità per me è soverchia ; e se il libretto la Bambola (2) avesse la metà dei pregi che il suo affetto le ci ha fatto vedere, io quasi quasi ne monterei in superbia. Mi basta però che paia (1) Le cit. Canzo?ici?ie sacre e morali. (2) Una Bambola , romanzo per le bambine, Firenze, Tip del Vocabolario, 1869. un buon libretto, e non indegno di essere annoverato tra gli utili alla buona educazione: e su questo, grazie a Dio, vedo che si accordano tutti, ed uomini e donne. Grazie dunque e rigrazie e del suo veramente bello scritto e delle parole amorevoli della sua lettera. La sua traduzione del proemio etc. la ebbi, fu accettissima, perchè cosa sua e perchè è in codesto dialetto , che , sebbene dicasi il più difficile, è per altro nel fondo simile quanto ogni altro alla lingua comune (i). .... E col desiderio di poterla, almeno in parte , ricambiare di tante sue cortesìe, me le ricordo il suo Fanfani. Firenze, 2 nov. 1870. Sig. Professore carissimo, Se mi fosse capitato sottocchio il garbato poema Grillo (2), sen-z’ altra indicazione , io certo Γ avrei preso per cosa originale, e forse d’un toscano. La ringrazio tanto del caro dono, e me ne rallegro tanto con lei. Mi pare di averle mandato là nell’agosto il mio Cecco d’Ascoli (3): ora spero che le sarà caro il sapere che il Brockhaus di Lipsia mi ha fatto chiedere facoltà di ristamparlo nella sua Collezione di avtori italiani, e già è firmato il nostro contratto. Il Polverini (4) le mandò le stampe della sua traduzione genovese, perchè le correggesse da sè ; la prego di rimandarle tosto , chè dee andare, con altre poche, in fine della terza edizione della Paolina. Si aspetta lei per mettere in torchio. A rivederla in gran fretta. Mi voglia bene. il suo Fanfani. GIANNINA MILLI. Mìo Pregiatissimo Signor Professore, Non ho mai dimenticato le belle sere estive che passai nella superba Genova, nel modesto salottino della mia casa in via Carlo Felice; e tra gli egreei che mi facean lieta di lor compagnia ricordo (1) Trattasi del proemio della Paolina, novella del Fanfani (Firenze, Tip. del Vocabolario, 1870). Tradotto in otto dialetti, esso usci prima su La Unità della lingua (v. per il G. Anno I, p. ^48), e poi con la novella. Cfr. lettera seg. (2) V. «Grillo ossia II Bandito siciliano » nelle cit. Poesie del Piola tradotte dal G. e da N. Poma-Gangemi. (5) Racconto storico del sec. XIV. (Firenze, Carnesecchi, 1870). Non glie l’aveva ancora mandato, e glie lo mandò poco dopo, con la dedica: « Al mio caro Prof. G. Gazzino — ricordo amichevole di P. Fanfani ». (4) Direttore della « Tipografia del Vocabolario sempre con viva compiacenza e gratitudine il Professor Gazzino , le cui opere, donatemi allora , ho qui sottocchio, tra' miei libri ! Pensi adunque se mi è giunta gradita la sua lettera , che mi prova come anch’Ella non mi abbia dimenticata! La Commissione di cui, immeritalamente, han voluto chiamarmi a far parte, non si è peranco riunita. Le confesso anzi un mio torto gravissimo : io non ho ancora scritta la lettera di accettazione ; non pertanto mi sono già pervenute da ogni parte raccomandazioni, opuscoli, giornali, ecc. ecc. (i). Mi risolverò a scrivere questa benedetta accettazione entr’oggi, ma confesso che lo fo con certa, più che ripugnanza , trepidazione. Non sarà già cosa da pigliare a gabbo il dover profferire un giudizio equo e spassionato, specialmente quando si è, come sono io, così poco convinti del valore e del merito del proprio giudizio! Basta, la volontà di esser imparziale non mi fa certo difetto ; e alla mia inesperienza supplirà il sapere del Ch.m0 Presidente e degli egregi uomini, che con la buona quanto brava Fusinato compongono la Commissione. In questo momento ricevo una lettera del signor Ferrari, che mi annunzia di avere spedito al mio indirizzo un pacco contenente le annate del giornale La Scuola e la Famiglia, e quelle dell’ altro giornale La Salute. Le leggerò col più gran piacere. Intanto Ella mi farà grazia, se vorrà per me ringraziare il sig. Ferrari, e così risparmiarmi la fatica di scrivere una lettera... Non si scandalizzi, nè mi noti di scortesia !... Se sapesse quante lettere ho qui sullo scrittoio , che at-tendon risposta, dacché una indisposizione di molti giorni mi tolse di poter scrivere, mi compatirebbe. La ringrazio delle cortesi parole della sua lettera e delle congratulazione per l'Istituzione Milli. Di tutti i premii profusi dalla benignità degl’ Italiani alle prove del mio povero ingegno , certo questo , immaginato dalle donne esclusivamente, mi è più caro e diletto. Oh io fui troppo, troppo più che non meriti, fortunata nella mia letteraria carriera, poiché ottenni, senza eccezione alcuna, la simpatia delle mie sorelle d’ Italia! Perdoni la fretta e il disordine di questa lettera ; accolga gli ossequi! di mia madre, e mi creda Firenze, 16 Sett. 1870. Sua dev. obbl. Giannina Milli. (1) Allude alla Commissione nominata, con decr. del 31 agosto 1870, dal Minist. della P. I. per assegnare a giornali e riviste d’istruzione i premii stabiliti Panno innanzi dal ministro Bargoni. Componevano la Commissione, presieduta dal Mamiani, il Settembrini, Berti, Tabarrini, Tenca, Fava, E. Fuà-Fusinato e G. Milli. — 63 - LUCIANO SCARABELLI. C.m0 Sig. Cazzino, Ella mi domanda qualche cosa per la Strenna Genovese, che si prepara pel Capo d’anno 1849; qualche cosa, s’intende, di degno e utile. Il tempo breve che rimane alla stampa , e la mia insufficienza, mi costringono a negarmi all’onore che Ella mi comparte. Pure, se la strenna domanda cosa utile , io le suggerisco di stampare i Pensieri sitilo studio della storia che Pietro Giordani ha disteso nella prefazione al mio volume di Sto7'ia piemontese, da me dati all’ Archivio Storico nei cenni biografici di quel mio illustre Maestro e benefattore, e non ancora noti universalmente (t). Io mi desidero di potere parlare a menti capaci, per giovare collo studio della storia in quel modo che mai non fu e il Giordani a voce m’ insegnava. Quando sarò posto dove mi giudico efficace, si insinuerà di quel grande italiano lo spirito generoso nella gioventù che vorrà essere italiana ; e ne abbiamo bisogno! chè tre secoli c’ inschiavò l'ignoranza e ci castrò la tirannide. Quei pensieri non saranno inutili ; se ella vorrà per rispondenza cortese farmi una grazia, stampi le iscrizioni che io dettai al funere del Mazzarella e dal Pellas furono attribuite ad altro nome; io le sarò obbligato. Gradisca la stima che faccio di Lei buona, e mi creda Di Lei sig. mio preg.m0 Genova, 18 Dicembre 1848. Dev. Servitore Luciano Scarabelli. PAOLO EMILIANI GIUDICI. Firenze, 4 Giuguo 1852. Egregio Sig. Professore, . . . Lessi con non poca attenzione il suo Manuale [della Letteratura Italiana], e, poiché 1’ ho trovato rispondere a un mio disegno, concepito e da attuarsi qui ai tempi dello Statuto, mi compiacqui oltremodo che nella sola provincia d’Italia, dove sventola glorioso il vessillo della patria libertà, Ella abbia pensato a provvedere al bisogno che abbiamo di buoni libri elementari. Io vedo con rammarico indicibile nelle mani de’ giovani certe compilazioni o barbare o strambe o scempiate; e le assicuro che nel leggere il suo libro , ideato con maturità di giudizio, e dettato con casta e semplice locuzione, sento il debito di esortarla a scrivere simiglianti lavori, che , se non dànno la fama pomposa di altre produzioni, nelle quali ha buona parte la impostura scientifica, che non dice nulla, anzi inganna, di certo riescono di maggior beneficio alle menti ingenue e vogliose de’ giovani. Pro- (1) Arch. Slor. It., App. t. VI, p. 425 e segg. — 64 — ceda dunque di galoppo e con fiducia, mentre mi è lieto poterle annunziare che due egregi professori toscani , a’ quali ho fatto leggere il suo Manuale intendono adottarlo per le loro scuole. . · . Obbl. Serv. Paolo Emiliani Giudici. Firenze, 30 Novembre 1852. Egregio Sig. PROF.re Scrivo poche parole per raccomandarle il sig. Achille Batelli. Egli pubblica la versione che io sto facendo della Storia di Macaulay , libro sublimissimo, di cui si è parlato in tutti i giornali del mondo vecchio e del nuovo (1). Vedendosi il Batelli minacciato di due altre traduzioni o ristampe in Piemonte, viene per diffondere la sua pubblicazione. In simile circostanza lo aiuto di uomini letterati gli è non solo utile, ma sommamente necessario. Lo raccomando adunque a Lei, e le anticipo i miei ringraziamenti. Ha Ella pubblicato la traduzione del Don Chisciotte del Meli ? Di cuore gli auguro plauso universale e veridico. Faccia gradire i miei complimenti allo egregio Prof. Napoli, e mi creda Obb.mo Paolo Emiliani Giudici (2). Firenze, 28 Maggio 1854. Egregio Sig. Professore, Con singolare maraviglia ricevo la sua lettera del 10 Dicembre. Cosa avrà Ella pensato di me, non vedendosi, dopo cinque e più mesi, arrivare una mia risposta? Eppure un fagottino da Genova a Firenze ha messo tanto tempo quanto ne metterebbe la valigia postale per andare e tornare quattro volte da Londra a Calcutta. Ricada dunque la colpa sopra la persona alla quale Ella affidò i libri. Non volendo io indugiare un solo momento a risponderle, mentre la ringrazio pel dono eh'Ella mi ha fatto della sua Mitologia, mi rincresce non poterle dir nulla, perocché mi parrebbe sconciamente adularla se glie la lodassi senza averla letta. Nondimeno , conoscendo io Γ indole del suo ingegno , sono certo che questo suo nuovo libretto sia fatto con isquisito giudizio, e che le acquisterà novello merito alla gratitudine della gioventù nostra , che , per essere bene avviata alle Lettere, innanzi tutto ha bisogno di libri elementari italianamente pensati e italianissimamente scritti. La ringrazio io adunque a nome della Italia, e la esorto quanto so e posso a perseverare nel santo pensiero di dettare simigliami opere , alle quali in Inghilterra , in Germania e (1) V. Storia d’ I?ighilterra di R. B. Macaulay , tradotta da P. E. G. Firenze, Batelli.. 1852, e Firenze, Lemonnier, 1859. (2) Sulla fascia il G. scrisse: « Consegnatami dal Batelli il 9 die. 1853 (un anno dopo) ». — 65 — in Francia non isdegnano di por mano i più illustri ingegni ; mentre in Italia i barbassori della Letteratura credono abbassarsi scrivendo libri per erudimento de’ giovani. Quanto a me in ispecie, le dico che il suo libretto mi giunge opportunissimo , imperocché tra pochi mesi mi toccherà trattare di mitologia (sebbene con scopo diverso del suo), dovendo nell’anno prossimo pubblicare una Storia della Letteratura Latina, che sarà come prima parte alla Italiana, sì che entrambe, informate da unico e identico concetto, e riducendosi ad un medesimo fine, insieme congiunte compongano un Corso di Letteratura Italica. Le Monnier nella sua Biblioteca Nazionale ristampa la mia Storia della Letteratura Italia7ia (l’opera maggiore, non già il Compendio), e l’ho talmente corretta nello stile, e vi ho fatte tali aggiunte, che sembrerà rifatta, e, con lo intendimento di non rimutarla mai più , verrà da me considerata come edizione normale. Io ne ho destinato un e-semplare per lei; e spero che la vorrà accettarlo quale ricordo d’affettuosa amicizia. Ho presentato al Professore Arcangeli il suo libretto, e gli ho dati i due esemplari pel Bindi e pel Tigri, ch’io non conosco; domattina darò l’altro allo egregio Pietro Thouar, che ha tanta stima di Lei. Il Guigoni sta trattando con me per pubblicare un mio lavoro , eh’ io interruppi nel 1847, mentre ne trattavo col Fontana, e poi col Pomba. È una Storia deWArte dalle vetustissime orìgini fino ai tempi nostri. Mi rammenti al Prof. Napoli, egregio ingegno che onora 1’ Italia. Gradisca i miei cordiali saluti, e mi creda Suo aff.mo Paolo Emiliani Giudici. Firenze, 10 Giugno 1855. Egregio Signore, Appena ebbi ricevuto la sua lettera sono andato a ragionare col Le Monnier intorno alla proposta che Egli gli fa. La voglia di risponderle subito mi sia di scusa-s’io non franco la lettera, perchè oggi , domenica, l’Ufficio è chiuso. Le Monnier non ha nessuna difficoltà di stampare il Meli e ή Fausto nella nuova Collezione da lui intrapresa con lo scopo di includervi i capolavori delle letterature straniere. Ma per ora , finché egli non vedrà assicurata la impresa come la Biblioteca Nazionale, non paga gli autori , ma offre solo un certo numero d’ esemplari. Quante volte Ella sia contenta a coteste condizioni, gli potrà" direttamente scrivere , mandandogli il ms. del Meli, che in poco tempo sarà stampato. Io non mi rischio a darle un consiglio, perocché mi pare un vero assassinio arricchire sul sudore degli scrittori , speculando sulla loro lodevole vanità di vedere le loro cose andare per la Italia in una bella e popolare edizione. Nulladimeno è così, pur troppo; ed io, sono pochi G ioni. St. e Lett. della Liguria. r — 66 — giorni, ne ho fatto amarissimo esperimento con la ristampa della Letteratura Italiana, che Dio sa quanti sudori e cure e meditazioni mi co?=ta perchè fosse ricomparsa al mondo rifatta e meno indegna della sua riputazione. Difatti è più che probabile che io pubblichi costì in Genova la mia Storia della Letteratura Latina, quantunque Le Monnier ne abbia stampato il manifesto. Queste cose io ho voluto dirle perchè non s’ inganni al pari degli altri sul conto di Le Monnier, il quale, sapendosi solo in Italia esperto a condurre un’ edizione in guisa da contentare gli autori, si mostra con essi avarissimo in fatto d’ interessi. Le ripeto adunque che egli è dispostissimo ad accettare la sua offerta. Se le condizioni le garbano, gli scriva, e in meno di due o tre mesi vedrà stampata la sua versione della Fata galante, che avrò il piacere di leggere (i). Appena saprò che qualche mio conoscente si rechi a Genova , le manderò la mia nuova edizione della Letteratura Italiana. Seguiti a volermi bene, a scrivermi, e credermi Suo aff.m0 Paolo Emiliani Giudici. P.S. Le scrivo da un Caffè, e non ho tempo nè anche di rileggere ciò che ho scritto. Egregio SiG.r Gazzino, Trovandomi in Villa, non poco discosto da Firenze, e non potendo ritornare in città perchè mi trovo inchiodato a letto da parecchi giorni, vi scrivo due parole come meglio posso per non farvi inutilmente a-spettare. Primamente mi rallegro che abbiate finito il Don Chisciotte, e son certo che Le Monnier lo stamperà. S’ egli non ha finora pubblicata la Fata Galante ascrivetelo non a mutazione di pensiero, ma a* troppi volumi eh’ egli da gran tempo ha incominciati e che prima vorrà finire. Scrivetegli direttamente, e sollecitatelo senza andirivieni, ch’egli ama lo sprone e non se ne ha per male. Lo stesso potrete fare rispetto al Goethe, e siate sicuro che la vostra lettera sarà presso lui efficace quanto le mie parole. Alla vostra Mitologia avevo pensato; ma ci sono poco riuscito solo perchè ne ha fatta un’ altra il Thouar, i cui libri nell’insegnamento privato sono generalmente adottati. Ne parlerò a qualche maestro degl’ istituti pubblici , dove gli scritti di lui non sono permessi. Lasciate eh’ io mi riabbia in salute, e mi adoprerò per voi. — Mando questa lettera a Firenze, e prego Dio che il contadino la imposti fedelmente. Per ora addio. Aff.mo vostro Giudici. [Timbro: 4 nov. 1855]. (1) Il G. mandò, nel '56, al Lemonnier il ms. del Fausto, accontentan- — 67 — Firenze, 16 Febbraio 1860. Egregio Amico, Suppongo ch’Ella abbia fatto le maraviglie non vedendo un rigo di risposta all’ ultima sua lettera. Il Prof. Silorata che me la recò, disse che fra pochi giorni sarebbe ripassato per Firenze , ed avrebbe presa la mia risposta. Sono passati non giorni ma mesi, e l’egregio professore non si è visto. Quindi rompo gl’ indugii e le scrivo, prima per ringraziarla delle affettuose parole che la mi dice, e della memoria che serba di me; poi per farle sapere che non ho per anche visto l’esemplare delle traduzioni del Meli nè il Padre Giuliani, eppure è cosa agevole sapere dove sto di casa e dove è l’Accademia delle Belle Arti. In ogni modo, quand’anche non avessi il suo libro, gradisco il dono e la ringrazio di cuore. S’ io posso servirla in qualche cosa, si vaglia di me, e pieno d’affetto e di stima mi creda aff.mo Amico Paolo Emiliani Giudici. Firenze, 18 Luglio 1860. Egregio Amico, Il Prof. Giuliani ritornando a Genova le farà i miei cordiali ringraziamenti per i due volumi della sua versione del Meli, che finalmente sono nelle mie mani. Gli ho scorsi, ma non ho avuto tempo di leggerli; non mi attento quindi dirle il mio parere , massime che io non son uomo da fare nè Ella da accettare i soliti complimenti ripescati nei luoghi comuni del vecchio galateo letterario. Come , dunque, avrò un pajo di giorni di riposo da poterli intieramente dedicare alla lettura del suo lavoro, lo farò volentieri, e tornerò a scriverle. Mi voglia bene. Suo aff.mo Amico Paolo Emiliani Giudici. Torino, 17 Marzo 1864. Egregio Sig. Prof., Grazie della sua cortesissima lettera. Io aveva indovinata la vera cagione di non esserci potuti combinare (1). Ma quod differtur non aufertur: la prima volta che verrò a Genova saprò dove trovarla, e ci vedremo in tutti i modi. Sappia che da due anni e mezzo sono lontano da Firenze, adesso ci anderò solo per due o tre giorni, e, dopo di essere ritornato qui e a Milano, nel prossimo maggio ripasserò le Alpi per recarmi nuova- dosi d’una gratificazione di L. 200, con qualche copia del volume, e d’ una sollecita pubblicazione. Ma dovette attendere un anno le prime prove di stampa, ed~assai più d’un anno le 200 lire! (1) Allude ad un invito che, passando da Genova, egli aveva fatto indarno al G. perchè si recasse a visitarlo all’ Hôtel de la Ville. __ — 68 — mente in Francia e in Inghilterra , dove mi tratterrò fino che avrò compito i miei studi per il mio lungo e difficile lavoro su Michelan-giolo e i suoi tempi. S’ io posso servirla, disponga di me, e mi creda Suo dev.mo [(piccola fotografia] G. B. GIULIANI. Roma, il 16 9bre 1846. CAR.m0 Gazzino, Eccomi a Roma, e piuttosto in buona salute. Qui tutto è cambiato, ma non pare che molto abbiano a confidarsi le nostre speranze. Il papa ha buone intenzioni, e non gli mancherebbe animo a recarle in effetto, se non fosse contrastato dentro e fuori. E ci vorrebbe altro spirito, per vincere gli ostacoli ed aprirsi speditamente le vie. Molto si va dicendo , ma senza fondamento, e questi vani romori saranno anche giunti costì. .... Il desiderio di Genova mi è divenuto un bisogno così vivo, che mi è gran necessità di soddisfarlo. Però ti assicuro che , se Dio m’aiuta, non mi tarderò che a luglio il dolcissimo piacere di rivederti. Io non posso altrimenti riposare , che nella tua cara presenza ed a-micizia. . . . Amami, e credimi per la vita il tutto tuo G. B. Giuliani. Roma, il 23 çbre 1846. Carissimo, ... Le cose di Roma le saprai meglio dalle gazzette che da me; perchè non ti potrei dire cosa vera, la quale io non vegga divulgata in cotesto paese. Bene si vociferano di' grandi cose, ma senza fondamento. Il papa vuol tempo alle sue deliberazioni, e in questo bisogna dargli tutta la buona ragione. Nulla si è veduto di nuovo dopo Veditto delle strade ferrate; e questo ora dà materia a tutti i discorsi fami-gliari. Io t’ informerò di quanto si verrà a sapere di certo e di utile (1). ... di cuore io sono il tuo Giuliani. Roma, il 13 Xbre 1846. (oggi cade la neve a grandi falde). Car.™0 Gazzino, Siamo alle feste del Natale, ed io voglio seguitar l’usanza, che mi pare ottima, di augurare ogni bene a chi più s’ama. Ed io che sento di amarti quanto me stesso, non lascio fuggirmi P occasione per far- (1) Scrisse, per contro, nel genn. del ^49: « Di Pio IX meglio è tacere che dirne poco ». — 69 — tene ognora più sicuro. Vivi or bene al desiderio del tuo amico lunghi e prosperi anni. . . . Del resto il Tevere ci tenne assediati per due giorni, il 9 e 10, e Roma è stata percossa da questa grande calamità, che non sarebbe stata a tempo , se Dio ogni cosa non disponesse pel nostro meglio. Pio IX, tenerissimo di cuore, si addolora di veder continuata la desolazione del suo popolo, e per soccorrerlo ha già fatto una commissione, della quale egli si fece capo, retribuendo del suo peculio duemila scudi. E i principi gareggiano col loro sovrano in diffondere loro beneficenze. . . . Credimi il tuo Giuliani. Siena, il 15 7bre [1847]. Carissimo, Se credi che possa stamparsi, va subito a portare questa allocuzione all’ editore dell 'Eco perchè le dia luogo per sabbato. Se mai la censura si opponesse, o non si fosse più a tempo, allora fa di mandarla subito al nostro Pompili, scrivendovi sotto Giambattista Giuliani C. R. S. Ne sentirò con piacere il tuo giudizio. Potrai farla leggere a chi tu credi, celandone il mio nome (1). . . . Addio. Ama sempre il tutto tuo Giuliani. Canelli, il 20 7bre [1849]. Car.mo amico, Hai bene ragione di lagnarti del mio silenzio ; ma che vuoi farci ? In questi giorni sono stato così occupato dall’orazion funebre di Carlo Alberto, che mi venne assegnata dal Municipio d’Asti, che io non ho potuto soddisfare ai più cari movimenti del mio cuore. Ma tu sai quanta sia, e come verace, l’affezione che mi ti scalda. Volevo compiangere insieme con tela morte del nostro [Ugo] Bassi, e sdegnarmene; ma ora mi consolo che il sangue di questo martire non sarà indarno per noi, nè certamente per quell’anima, che tante anime ha guadagnato al cielo. A quali miserandi spettacoli fummo noi riser- (1) Nel i° foglio della lettera sta l’Allocuzione, dedicata « A Iacopo D’Oria — a cui sopra ogni cosa è desiderata — la gloria di Dante, di Pio IX e d’Italia ». E ridondante degli entusiasmi del ’47. Dice il Giuliani a Dante : «... Rinfranca gl’ italici petti di quel patrio ardore di che tutto avvampasti , e a generose opere li conforta e di magnanimi sensi li rafforza. Mira come ansiosi e solleciti ricercano il tuo maggior volume. Deh! fa che a quel lume vivissimo si mantengano diritti e saldi e sicuri nella cominciata impresa!... Ecco dal Vaticano diffondersi novissimi splendori sulla bella e a te caramente diletta Italia: ecco il grandissimo Pio IX, che di lei sostiene e vendica le inviolabili ragioni.... Salve, o massimo Al-lighieri , e, insieme con noi, alla non più serva tua terra va gridando: pace, pace, pace ! ». — 70 — vati! — Ma pure Dio ci prepara un gran bene far tanto universale sciagura. Soffriamo e speriamo. Vorrei che tu fossi meco per leggerti la mia orazione, perchè l’ho destinata alle fiamme, appena l’avrò recitata. Basta, forse la conserverò per fartela vedere. Quando, ma subito subito che sarà uscito il discorso del Mamiani, mandamene copia in Asti. Se ti troverai in S. Lorenzo il giorno che verrà pronunciato, mi farai grazia ad informarmene subito e pienamente. Tu conosci quanto sia e come ammirabile e insuperabile il valore del gran filosofo e poeta. . . . Attendi^ se mai nelle scuole di commercio che vannosi ad aprire costì, ve n’abbia qualcuna per te. Ora, con Aporti, non sarà difficile nè del tutto inefficace la nostra raccomandazioue. Addio. Se vedi Cereseto, salutamelo, e credimi sempre e a tutta prova il tutto tuo G. B. Giuliani. Cutigliano, il 30 di luglio 1860. Car.MO .... Mi trovo nella beata solitudine di questa montagna pistoiese, che per me è veramente una delizia ognora crescente. Mi pare di accostarmi di più alla natura , trattando con gente sì buona e di tutta semplicità, che innamora. Poi questa lingua così armoniosa e schietta mi rapisce e dolcemente mi trattiene ; tanto che io mi terrei quasi beato, se non mi sentissi troppo lontano da’ miei cari. E noi, a Dio piacendo, ci rivedremo pel finire dell’agosto, dovendo 10 recarmi costì per l’inaugurazione del busto al nostro sempre desiderato Giancarlo Dinegro. Sono molto ingegnose le tue osservazioni su quelle rime del poeta montanino , ma le assonanze, e non le rime si ricercano da questi cantori, che non conoscono se stessi , nè saprebbero pregiare i loro canti. Tu prosegui ad amarmi, e tienmi presente ai nostri amici, persuadendoti che ti sono di pieno cuore e con somma stima aff.mo amico G. B. Giuliani. Canelli, il 29 di agosto 1865. Carissimo Gazzino, ... Fra pochi giorni partirò per la Germania, giacché amo di assistere al congresso di dantisti tedeschi, che deve tenersi in Dresda 11 14 del prossimo settembre. Ornai Dante mi tira tutto a sè, e bisogna di forza eh’ io gli obbedisca per ogni verso (1). (1) E. altrove: « Studio, ma sempre col pensiero al mio Dante, il quale proprio tutto a sè mi tira ». — 7i — Quando vedrai il Doria e il Padre Marchese , ti prego di salutarmeli coll’affetto maggiore. Addio. Fa di star sano, e ama sempre Il tuo aff.m° amico G. B. Giuliani. GIUSEPPE PITRÈ. Palermo, 16 8.bre 1866. Mio riverito e cortese Signore, E nuove e più sentite grazie Le rendo ancora per le affettuose e care parole onde cerca consolarmi ne’ tristi e dolorosi fatti che hanno funestato me e il mio paese (1). Oramai bisogna darsi pace , e per amore o per forza contentarsi , tanto il perso è perso , e non occorre più parlarne. Mi duole solamente per certi libri che mi erano preziosi nel lavoro de’ Proverbi che ho per le mani, e per un ms. che mi premeva assai. Fortuna che giunsi a salvare, con grave mio pericolo , la raccolta di 9.000 proverbi siciliani, che cominciai a fare nel 1859, e sulla quale giornalmente mi affatico, perchè L'assicuro, caro Signore, che se tanto tesoro del popolo, in mezzo al quale nacqui, si fosse smarrito, io sarei uscito pazzo. Ora mi studio di riottenere dal Continente le raccolte de’ proverbi veneti, toscani, ecc., in quella appunto che fo delle pratiche pe genovesi, pe’ piemontesi e pe’ napoletani, essendo mio intendimento di fare un’opera di comparazione e di confronto. ......Io farò i suoi saluti a’ comuni amici Di Marzo , Piola, Sapio, De Spuches. ^ ’ Tutto suo G. Pitrè. Palermo, 16 del 1867. Mio caro e riverito Signore, .....Io lavoro di continuo sui Proverbi, i quali spiacemi davvero non poter arricchire co’ Liguri, dei quali non si fecero giammai (per quanto mi fu scritto) speciali raccolte. Attendo che un mio amico di Toirano (2) me ne mandi un paio di centinaia, e sarò ben lieto di venirli mettendo in confronto co’ miei. Ma mi resta sempre ad appurare — e questo deve assolutamente essere — i pochi adagi che sono conferma dell’importanza de’ Proverbi; essendo mio speciale disegno di far precedere il libro da un capitolo di proverbi de’ principali dialetti d’Italia, i quali proverbi tessano 1’ elogio della sapienza del po- (1) Allude all’insurrezione del settembre di quell’ anno, nella quale furono incendiati alcuni pubblici edifìzi e rubati all’ Autore libri e manoscritti di paremiografìa. (2) B. E. Maineri , scrittore di romanzi, bozzetti, storie e viaggi e passeggiate nella natia Liguria. — 72 — polo. So de’ Veneti , so degli Umbri , so de’ Sardi , so de’ Toscani, ma ignoro de’ Genovesi , de’ Napoletani , de’ Lombardi , ecc. In Sicilia si dice : Li mutti siciliani sunnu tanti pezzi di Varicela, Li mutti siciliani sun?iu lu quintu Va?iceliu, Lu muttu anticu è lu Va?iceliu nicu, Lu muttu anticu lu modu ti ’jisigna , Lu muttu di Γantichi ?iun fallisci, Vuci di populu vuci di Diu (i). .....Mi creda di tutto cuore suo G. Pitrè. Palermo, 16 marzo 1867. Gentilissimo Signor Gazzino, .....E giacché V. S. mi parla della sua versione de’ lavori del Piola , io oso sommetterle che opera di maggior lode farebbe se togliesse a tradurre altro nostro poeta che il Piola non è. Domenico Tempio di Catania, Ignazio Scimonelli di Palermo, Marco Calvino di Trapani, Alcozèr, tutti morti, son tali scrittori, che, qua e là gareggiano col Meli. I Siciliani non conoscono il Piola, che pur ha de’ bei pregi, e sapranno grado a Lei più della Sua bella forma che del poema che ha voltato in italiano. Io stesso non ho pazienza di leggere un intiero canto del] Piola , ma del Tempio , dello Scimonelli, ne leggerei molti (2). Queste cose Le dico in confidenza, e non vorrei che V. S. se l’avesse a male. Mi perdonerà Lei? .....Con verace stima ed affetto mi dico Tutto suo G. Pitrè. Palermo, 8 marzo [1868]. Riverito e carissimo Sig. Gazzino, Povero contraccambio alla sua elegante versione delle Favole del Gangi, io le offro i Nuovi Profili Biografici eh’ Ella vorrà gradire con quel cuore onde glieli presento (3). Di queste Favole, se il nuovo gior- (1) La raccolta del Pitrè venne fuori in quattro volumi intitolati : Proverbi sicilia?ii raccolti e confrontati con quelli degli altri dialetti d'Italia (Palermo, Luigi Pedone Lauriel Edit. 1880) e preceduti dalla rubrica per la quale l’A. si rivolgeva al Gazzino. I proverbi siciliani sono 13000 ; i dialettali d’Italia, 17000. (2) Carmelo Piola, nato in Palermo il 15 giugno 1811, morto verso il 1882, fu mediocre poeta in dialetto siciliano. Lorenzo e Rita, racconto del secolo XVIII e Grillo, ossia il bandito siciliano, due poemi in ottave siciliane, vennero tradotti appunto dal Gazzino e pubblicati, testo e versione, nelle Poesie siciliane di C. Piola, voltate nella lingua illustre dai professori G. Gazzino e N. Poma-Cangemi. Seconda edizione. Palermo, Costa 1872. In-8° a due colonne. (3) Nuovi profili 'biografici di coyitemporanei italiani, Palermo, Cristina, 1868. — 73 — naie verrà fuori, dirò alcune parole, tanto per mostrare a chi noi sappia in Palermo che in Genova è un valentuomo che presta così notevoli servigi al nostro dialetto e a’ nostri migliori poeti. Tra’ quali , come favolista valentissimo , io mi reco a debito di rammentarle il tanto lodato Alcozèr, morto verso il 1850, che fu scrittore di molto pregio e di meriti letterarii. Le poesie di lui sono rarissime, e forse V. S. non le possiede. In questo caso , faccia che io lo sappia , e allora ne toglierò in prestito qualche volume da un a-mico, e glielo spedirò raccomandato perchè Ella lo veda. In appresso Marco Calvino, Domenico Tempio e Ignazio Scimonelli, di Trapani, di Catania e di Palermo, le forniranno altre e più belle favole. Mi rallegro della nuova direzione (1) affidatale dal Governo e le desidero giorni felici e pieni delle maggiori contentezze che il suo cuore desidera. ^ Dev.m0 an.mo suo Giuseppe Pitrè. Palermo, 24 giugno 1871. MIO VENERATO AMICO, Ho ricevuto la preg.ma sua de’ 16 corrente, e La ringrazio quanto più posso, non meno delle gentili cose che mi dice, che del volumet-tino di cui ha voluto farmi dono. Questo volumetto è un caro ricordo col quale V. S. ha reso uri bel tributo di affetto alla egregia e santa donna che le fu per sì lunghi anni compagna e consolatrice. Io Γ ho letto con devota mestizia , ed ho pensato con che cuore avrà dovuto metterlo insieme la S. V. Frattanto mi congratulo dei bei nomi che in -esso figurano, tra" quali sento piacere e rossore di vedere il mio oscurissimo. Non occorre dire che nelle Effemeridi sarà fatto cenno di questo prezioso volumetto. .....Ha Ella inteso a cantar mai in Genova qualche canzone popolare in lode di Caterina Adorno de’ Fieschi? Qui in Sicilia corre una lunga leggenda di una S. Caterina, stupenda. È, per la sua bellezza, la Principessa di Carini (2) delle leggende religiose ; ed io ho sospettato e annunziato potere essa, questa santa, essere la Beata genovese. Tra’ vari bellissimi brani ve ne hanno di una passione potentissima. Il contenuto è questo: Una Caterina, donna data al lusso, va in chiesa per farsi guardare da tutti. Un confessore la chiama; essa non vuol pentirsi de’ suoi peccati. Tornata a casa, vede passare un Cavaliere bellissimo; lo manda a chiamare; quegli risponde che se ella vuole lui , egli vuole l’anima di lei. Il Cavaliere è ricevuto, pranza (1) O meglio, del nuovo ufficio di Sostituto al Direttore ed insegnanti della R. Scuola Normale Femminile di Genova. In questa occasione detta carica fu aggiunta alla pianta Buoncompagni. (2) V. Pitrè : Canti popolari siciliani, Palermo, Tip. del Giorn. di Sicilia, 1068, p. 112 e segg. — 74 — con lei, e quel che tocca bagna di sangue. Ella entra a riposare con lui, ma lo vede sparire, e trova sulle lenzuola l’effigie del Crocifisso. Cosi si converte. E qui, stringendole affettuosamente la mano, mi dichiaro con riverente stima Tutto suo G. Pitrè. Palermo, 27 maggio '75. Mio venerato Professore, Profitto, senz’ altro, della squisita bontà eh’ Ella mi dimostra, per mandarle alcuni mss. contenenti 7 fole in dialetto genovese , state raccolte dalla bocca del popolo in Genova stessa. Prego V. S. car.ma di volerne correggere la scrittura , tanto che stampandole possa io esser certo di non aver falsificata la ortografia di codesta provincia. E qui mi permetto un’osservazione. Ella, maestro solenne in questi studi, m’insegna che il dialetto varia sì per le persone che lo parlano e sì pe’ luoghi ne’ quali si parla. Le novelle che sottopongo alla sua critica rappresentano , com’ Ella vedrà , il dialetto parlato in Genova dal popolo minuto, lontano ugualmente dalla raffinatezza del medio ceto e dalla sguaiatezza plebea. .....E dopo ciò, lasci, o illustre Sig. Professore, che io le anticipi i più vivi ringraziamenti del favore che sarà per farmi, e me le ripeto Aff.m0 di cuore Giuseppe Pitrè, ALCUNI DOCUMENTI INTORNO A LA RICOSTRUZIONE DEL CASTELLETTO E AD UN INTRIGO DI ALFONSO D’ARAGONA (1448-1455) Narra il Giustiniani che nell’anno 1448 il doge Giano di Campofregoso « faceua rinouare la fortezza del Castelletto, ch’era stata minata gli anni precedenti, et hebbe suspitione che Nicoloso giustiniano fossi contrario al suo stato per cagione di certe letere che Nicoloso haueua ha-uuto dal Re Alfonso da Napoli, et lo incarcero et missolo sotto la corda li fece pagare dieci millia lire, et lo confino a Lucca, et non dimeno doppo non molto tempo Pietro — 75 — fregoso Duce conosciuta la innocenza di Nicoloso il restituì alla patria ; et Nicoloso reimborso parte de i denari ch’aueua pag*ato al Duce Ianus » (i). Questo racconto , vero in diverse sue parti, richiede qualche schiarimento e sviluppo , nonché alcune rettifiche ed osservazioni, le quali ci sono fornite da parecchi documenti , dieci dei quali riporto in Appendice. In esso si contengono essenzialmente due notizie, che nella mente dell’annalista non paiono avere nulla di comune fra loro, mentre invece hanno, fosse pure solamente di fatto , un nesso diretto: la prima riguarda la ricostruzione del forte· di Castelletto; la seconda il processo e relativa condanna e la riabilitazione di Nicolò Giustiniani: quest’ultima ha speciale importanza perchè suppone a propria base un intrigo del re Alfonso d’Aragona ai danni di Giano Fregoso doge. Vedremo or ora il rapporto fra le due notizie. Del contenuto dei ricordati documenti si parlerà man mano che se ne presenterà l’occasione. Il I è un ricorso, il II ed il III sono decreti relativi ad esso, e questi primi tre si trovano scritti sullo stesso foglio: essi, giova pur riconoscerlo, sono a loro volta in qualche punto spiegati dal racconto dell’annalista. Risulta dal I, confermato, almeno in parte, dagli altri due, che non il solo Nicolò suddetto fu preso in sospetto dal Doge Giano, ma ancora Battista Giustiniani, per accuse che si dichiarano false , le quali non è specificato (ma lo sappiamo da altre fonti) in che consistessero; come i due infelici, gettati in carceri orrende, ebbero a sopportare tali tormenti che tutti i cittadini aventi in cuore qualche sentimento d’umanità furono contristati dalle loro sventure; che furono costretti a pagare, rispettivamente e « contra omnem iusticiam », Nicolò lire genovine diecimila e Battista cinquemila al doge Giano od a chi questo avesse ordinato. Il mese o i mesi in cui avvennero questi fatti non sono precisati, ma si potrebbe fin d’ora presumere che non siano da portare dopo il settembre, perchè Giano morì nella prima metà del dicembre dopo tre mesi di infermità conti- (i) Annali della Repubblica di Genova. Genova, Bellono, 1537, ad a. _ 76 — nua (i), e siccome in questo episodio (come nella decisione presa di ricostruire il Castelletto) egli dovette aver parte diretta, è più facile che ciò sia avvenuto mentre egli era ancor sano. Ma più avanti preciseremo ancor meglio l’epoca. Le dette somme, veramente ingenti per quei tempi (2) furono impiegate (ci è detto dal doc. I) in un lavoro molto importante, quello cioè impreso, come dice l’annalista, dal Doge Giano: la ricostruzione del Castelletto. È noto come questo forte posto sul colle che si atterga alla città, fosse stato rovinato dagli stessi Genovesi — i quali incominciavano a considerarlo quale cosa pericolosa alla loro libertà — nel 1436, al tempo della lotta acerrima da essi combattuta per riconquistare l’indipendenza contro il duca di Milano, Filippo Maria Visconti (3). Siccome però il detto forte costituiva pure la principale difesa della città, e, d’ altra parte, gli stessi Dogi vi annettevano molta importanza anche per proprio conto, si finì per decretarne la ri-costruzione, e quanto meno la volle Giano. Ora intorno a questo punto abbiamo un particolare , sappiamo cioè non solo da quale fonte siano provenuti i denari spesi intorno a quella storica fortezza, ma, riterrei anche, 1’ ammontare della somma impiegata, giacché dal contesto dei periodi in cui si parla di ciò , e particolarmente da alcune frasi, ad es. questa : « .. . . fabricata esset de pecuniis propriis ipsorum..,. » (cioè di Nicolò e di Battista), ed altre, sembra apparire che quei denari soli, senza ulteriore concorso di somme, siano stati sufficienti; e risulta per converso che tutti, e non una parte di essi, furono spesi in quel lavoro «..... que omnes converse fuerunt in utilitatem excelsi co- munis Ianue scilicet in fabricatione arcis castelleti.... » (4). (1) Giust., loc. cit. (2) Giusta la Tavola delle Monete del Desimoni (in Belgrano , Vita privata dei Getiovesi, Appendice) , tali somme equivalevano complessivamente ad oltre lire italiane 251000 (valore commerciale). (3) Giust., anni 1455, 1436. (4) E noto del resto, che le somme provenienti dalle multe inflitte venivano spesso erogate, in tutto od in parte , alla detta fabbrica , la quale doveva essere per le pubbliche finanze una voragine, abbisognando essa frequentemente, com’è naturale, di riparazioni a causa degli eventi sanguinosi di — 77 — Su questa opera fornisce ulteriori ed interessanti notizie il doc. IV, che ci dà a conoscere il nome di chi ebbe il delicato incarico di presiedere alla detta fabbrica e di amministrare il relativo denaro, nonché l’epoca in cui fu terminato il lavoro, che dovette essere il settembre o l’ottobre del 1449. Fu, l’incaricato, Giacomo de Benissia, uomo che godeva di molta considerazione, come lo provano le numerose cariche ed uffici da lui sostenuti (1); il quale ai 10 di ottobre o in quel torno (il decreto relativo porta questa data) presentava un ricorso con cui, dopo aver detto del mandato ricevuto e del denaro, che asseriva essere stata « magna pecunie summa », spesa per mano sua, instava perchè, essendo ora finito il lavoro, si nominasse dal Doge e dagli Anziani un magistrato coll’ incarico di esaminare i conti, essendoché ciò « convenit honori et fame ipsius Iacobi », ed affinchè « semper appareat eum recte omnia gessisse » nè si potesse lanciare il menomo sospetto sulla sua gestione; ed aggiungeva che quanto più quel magistrato si fosse mostrato minuzioso e severo , tanto più egli sarebbe rimasto soddisfatto. Tutto ciò potrebbe lasciar supporre che si andasse facendo qualche maldicenza sul conto di Giacomo de Benissia , il che non recherebbe alcuna meraviglia, oppure che questi volesse senz’ altro prevenirla. Ma il Doge e gli Anziani, col citato decreto dei 10 ottobre 1449, respinsero senz’altro l’istanza, con un rifiuto il quale, perchè non motivato , riesci tanto più onorevole al ricorrente (2). Nel primo dei documenti citati, che ho detto come consistesse in un ricorso — ed era diretto dai due Giustiniani al Doge ed agli Anziani per ottenere la restituzione delle somme che dicevano malamente pagate — si accennava all’ importanza del Castelletto come a vera cui era testimone e parte, e delle lotte che si combattevano sotto e contro di essa. V'., ad es., Littervoi. 15, n. 165 in Arch. di Stato in Genova, -Div., filza 17, ivi. (1) Fra l’altro fu degli Anziani nel 1451 (d.° Arch. di St., Off. Monete , filza 733 B, in un documento relativo alle paghe del castello di Voltaggio). (2) Documento V in Appendice. — 7S - chiave di difesa della città e si osservava non essere giusto che i ricorrenti dovessero pagare del proprio un’ o-pera di utilità così evidente per tutti i cittadini, mentre essa poi avrebbe dovuto essere compiuta egualmente col denaro del pubblico ; chiesta dunque la restituzione stessa, dicevano i supplicanti che, come a vantaggio del Comune era stata impiegata la somma, così a carico del medesimo do-\^esse dichiararsi l’obbligo della restituzione; e osservavano da ultimo come a tanta ingiustizia fosse da rimediare anche per non creare un precedente pericoloso , il quale sarebbe stato causa, in tante mutazioni cui andava soggetta la Repubblica , della rovina della città e dei cittadini. La supplica fu presentata nel 1454, chè tanto attesero (e certo dovettero attendere) quei due gentiluomini a chiedere e ad ottenere tale restituzione. Ed ai 15 di luglio del detto anno (1) il Doge, gli Anziani e l’Ufficio di Moneta, avuto il parere dei due giurisperiti Luca Grimaldi ed Enrico Stella, savii del Comune, e del Sindaco o Procuratore del Comune stesso, nonché del cancelliere del detto ufficio di Moneta , che era Filippo de Bonavei (2), decretarono doversi prendere in considerazione la supplica ; dopo di che il Doge e gli Anziani, dietro maturo esame, accolsero le istanze di Nicolò e di Battista ed ordinarono conseguentemente al ricordato Ufficio di inscrivere i ricorrenti quali creditori del Comune per l’intera somma chiesta, ciascuno per la sua quota. Un mese dopo (15 agosto) ΓUfficio di moneta approvava finalmente il decreto stesso (3). L’annalista dice che della somma in questione fu rimborsata solo una parte: ora tale asserto potrebbe spiegarsi ad es. supponendo che egli abbia voluto significare non essersi tenuto conto dei danni e degli interessi, di cui si fe’ cenno nel decreto, ma che non furono neppure chiesti nel ricorso , e non erano piccola cosa se si considera, quanto a questi ultimi, cioè agli interessi, essere trascorsi circa sei anni dal giorno del for- (1) Doc. 11. (2) Doc. III. — Arch. St. Genova, Off. Monete, filza 717. (0 Doc. III. — 79 — zato pagamento. Ma è più probabile che Γ annalista abbia senz’altro errato intorno a tale circostanza, ed egli, del resto, dimostra di non aver avuto conoscenza dei documenti prodotti e di non essere stato bene informato del fatto, non foss’altro perchè parla solo di Nicolò e non di Battista. Un primo atto però, durante il tempo trascorso innanzi che fosse stata ottenuta la restituzione, era intervenuto a favore di Battista Giustiniani. L’ingente somma, ch’egli aveva dovuto versare, e gli altri danni non lievi frutto delle tristi circostanze narrate, non potevano non aver portato un grave dissesto, un notevole assottigliamento del suo patrimonio. Nel giugno del 145° pertanto egli ricorreva affine di ottenere una riduzione d’imposta, esponendo appunto come le sue facolta, per cause a tutti in gran parte note, fossero ristrette a ben misera cosa (1). Il Doge, che era Ludovico Fregoso fratello al defunto Giano, e gli Anziani nominarono, con decreto dei 26 di quel mese (2), una commissione, i cui membri furono : Battista de Fornari , Bartolomeo de Franchi Borgaro , Marco de Cassina, Baldassare Maruffo, Giacomo de Riparolio no-taro, e Antonio Navone, coll’ incarico di istruire e decidere intorno alla pratica ; ed essa, non ignara « casus et iacture quas passus est dictus Batista » e volendo « de honesto re-medio illi providere », ordinò la riduzione (3). Senonchè, non essendo parso a Battista che questa fosse sufficiente, ricorse nuovamente per ottenerne una maggiore, la quale gli fu concessa dalla stessa commissione ai 13 di aprile del 1452 (4). Il Federici poi (5) dice di un decreto fatto per Nicolò nel 1449, senza peraltro spiegarsi di più : lo ricordo qui perchè potrebbe versare sulla stessa materia. Circa la parte della condanna riflettente l’esilio di cui parla l’annalista, è veramente da osservare che di essa non solo non vi è cenno alcuno nel ricorso, ma Γ intonazione di questo e le sue (1) Doc. VI. (2) Doc. cit. (3) Doc. cit. (4) Doc. VII. (5) Abecedario, fani. Giustiniani. — So — singole espressioni e parti , nonché lasciar quanto meno intravvedere tale circostanza, quasi sembrano escluderla; si accenna anzi persino al duro carcere sofferto ed ai tormenti come al massimo dei mali subiti. Tuttavia quanto al Nicolò non troverei questa sufficiente ragione per respingere senz’ altro Γ asserto dell’ annalista, non solo perchè egli ci sa dire anche il luogo dove fu confinato e il nome del Doge che lo restituì alla patria (Pietro Fregoso) , ma ancora perchè il fatto è confermato dal Federici (i). Circa il Battista la cosa può parere più discutibile anche perchè dal costui ricorso del 1450 risulta che egli era in Genova in quel torno di tempo e ancora nel 1451, e ciò potrebbe significare ad es., o che egli non fu accomunato col Nicolò in questa parte della condanna o che ne fosse stato già assolto (2). Altre soddisfazioni sembra abbiano avuto i Giustiniani oltre la restituzione del denaro: ciò è anzi certo pel Battista che trovo nel 1455 e per diversi anni appresso Presidente della Podesteria di Genova (3); pel Nicolò la cosa è tuttavia un po’ dubbia (4). (1) V. ciò che dico alla nota 1 della pag. 82. (2) V. tuttavia ciò che dico a pag. 84, nota 2, e a pag. 86. Inoltre nella filza Off. Moìiete 'n. 733 B si trovano cinque documenti, che parlano delVassenza di Battista senza tuttavia spiegarsi di più, i quali sembrano con ciò costituire una prova, per quanto non assoluta, che anch’egli fu esiliato. Sono estratti di parecchie partite di conto da cui risulta che Battista Giustiniani Longhi era possessore di numerosi titoli di credito , e da questi indirettamente, e dal doc. VI esplicitamente, si ricava che li possedeva, come in genere le sue sostanze, in comunione col fratello Damiano Sebbene non al tutto chiari, il loro significato più plausibile è che tali titoli siano stati sequestrati a favore di Giano nominato sempre colla frase « pro I. d. Iano de Campo-fregoso » etc. Due di detti documenti furono estratti ad istanza dello stesso Battista nel 1451 ai 12 di aprile, cioè pochi giorni innanzi che intervenisse il secondo provvedi mento (19 aprile) della commissione incaricata di decidere sulla riduzione delle imposte da lui chiesta. Altri due furono estratti nel 1455 agli 11 e ai 12 di febbraio, pochi mesi dopo i provvedimenti con cui si ordinò la restituzione del denaro a Nicolò ed a Battista. (V. anche doc. Vili e IX). Non voglio però da queste coincidenze dedurre con piena certezza che vi sia un nesso fra l’una cosa e l'altra. Il quinto contiene riassunti dei conti dello stesso Battista. (3) Abecedario. λ*, pure nota 1, a pag. 82, in fine, e doc. Vili e IX, ed inoltre ciò che dico a pag. 84. (4) V. nota i, a pag. 82. — 8ι — Fino a qui ho esposto i fatti puramente e semplice-mente quali sembrano sgorgare dai documenti che ho citato, i quali sono di tal natura da parere di per sè stessi esaurienti e da indurre quindi a credere che — oltre il richiamo dall’ esilio — il Doge e gli Anziani, ordinando la restituzione del denaro a Nicolò ed a Battista Giustiniani, abbiano compiuto un semplice atto di giustizia e fatto a-perta confessione che questi personaggi erano stati veramente vittima innocente d’un errore o di una prepotenza. Anche quindi questa parte del racconto dell’ annalista risulterebbe confermata. Senonchè non ho ancora parlato di un ultimo documento che ne pone in grave dubbio l’esattezza e che importa esaminare, perchè trattando la questione deirinnocenza dei Giustiniani si viene pure a toccare in qualche modo quella della esistenza o meno d’un intrigo di Alfonso d’Aragona contro Giano Fregoso. È noto come questo re fosse il naturale ed eterno nemico di Genova ed in particolare dei Fregoso : e più lo doveva essere di Giano, il quale sullo scorcio del gennaio dell’anno antecedente (1447) era riuscito con 85 compagni a sorprendere il Doge Barnaba Adorno e, cacciato dopo lotta accanita un corpo di 600 Catalani che Alfonso aveva inviato a guardia di costui, si era fatto eleggere in suo luogo (1). Non recherebbe dunque meraviglia che quel re vendicativo e sempre pronto ai danni dei Genovesi, avesse potuto meditare un qualche colpo contro Giano. Ma veniamo al documento. Consiste questo (2) in una serie di partite di conto formanti un totale dì L. 9620, s. 11, sotto cui con scrittura sincrona è detto: « prò nicolao Iustiniano de campis ». Non si capirebbe se detto conto fosse a costui debito o a suo credito, qualora non si trovassero scritte sul lato opposto le seguenti parole , che, mentre ci indurrebbero a credere si tratti di partite appartenenti a Nicolò , conteggiate a favore di Giano Fregoso , costituiscono il punto più importante deiratto e ce ne dànno approssimativamente la data, (1) Giust. ad a. (2) Doc. X. Gìorn. St. e Leit. (UUa Liguria. 6 di cui non vi è indicazione : « Illu. dns Ianus prò armas diversas tam defendibiles quam otendibiles. captas in domo dicti nicolai in valore librarum tricentarum octuaginta in quadringentas de acordio. sive 11. CCCLXXX in CCCC ». La frase « de acordio » riterrei voglia indicare che Giano nel fare quel conto abbia convenuto la valutazione e l'accreditamento coll’Ufficio di S. Giorgio o con quello di Moneta, anziché con Nicolò. Che questo documento si riferisca al nostro episodio non è per me dubbio. E da osservare innanzi tutto che ricorrono gli stessi nomi di Nicolò Giustiniani debitore e di Giano Fregoso doge, creditore. V’è in secondo luogo la cifra di L. 380 o 400, che aggiunta a quella di L. 9620 forma un totale di 10,000 o 10,020, valore corrispondente a quello pagato da Nicolò a Giano. Terzo: il substrato di tutto è una congiura, perchè, come vedremo meglio, le armi rinvenute in casa di Nicolò non paiono poter avere altro significato. In quarto luogo v’è l’epoca che, sebbene il documento porti unicamente la data del mese , risulta corrispondere , perchè il nome di Giano in esso indicato qual creditore ne tiene luogo (1). Del resto l’identità non soltanto nella data (1448), ma addirittura fra i fatti narrati dall’annalista ed oggetto dei documenti I, II e III e quelli contenuti nel X , risulta chiara dalla corrispondenza che vi è — per un lato, fra quest’ultimo e il Federici (2) che accenna appunto ad un intrigo (1) Questi fu doge una volta sola — dallo scorcio del gennaio 1447 al dicembre del 1448. (2) Del fatto narrato dall’annalista fa cenno (e già qualche cosa ne ho detto) il Federici n&W Abecedario parlando di Nicolò Giustiniani Campi. Lo ricorda nel suo solito modo sommario ed anche oscuramente ; ma cionondimeno l’aiuto che egli ci porge è valido sebbene scarso e generico, in quanto cioè da lui possiamo ricavare solamente che Nicolò cadde in sospetto del Doge nel 1448 e che fu bandito; e risulta ancora come egli dovesse essere beneviso al re Alfonso perchè andò a lui ambasciatore tre volte, ossia nel 1432, 1438, 1445, e fu console dei Catalani. Ma nel resto v’è qualche errore e contraddizione, e la stessa parte relativa al bando ed al consolato non si può ricavarla ed accettarla che dopo averla vagliata. Infatti il citato scrittore dice che Nicolò fu bandito nel 1446, mentre era console dei Catalani, da Giano, che ne scrisse anzi (si noti bene) ad Alfonso per farlo destituire. Ora Giano non era Doge nel 1446, e siccome sappiamo, anche dal doc. I, che fu egli appunto che condannò Nicolò, rimane vera la data del 1448 — 83 -- di un Nicolò Giustiniani Campi, il quale fu preso in sospetto da Giano — e per l'altro da un non meno evidente accordo fra lo stesso Federici (i) e Γannalista; dal che deriva il ricordato documento concordare con entrambi gli storici e coi tre primi. Quasi tutto ciò non bastasse, si aggiungono a riprova due altri documenti del 1455, l’uno dei 28 di maggio, l’altro degli 8 luglio (2). Questi contengono ordine di pagamento, circa proventi dell’ Ufficio di S. Giorgio, il primo a favore del Presidente e di Nicolò Giustiniani, o meglio a Silvestro da Pino per essi; il secondo a Nicolò Giustiniani q. Francisci a suo nome ed a quello di Battista Giustiniani Presidente etc. Ora uno dei cinque documenti citati alla nota 2, pag. 80, ci informa che Giberto da Pino era fattore di Damiano fratello di Battista Giustiniani Longhi; dunque il Battista qui detto Presidente è sempre più identificato con quello che porta il casato Longhi e che fu condannato, e se ne ricava pure una maggiore identificazione anche per Nicolò; questo e il Battista qui nominato sono insomma secondo ogni apparenza gli stessi colpiti dal asserita prima dal Federici. Ne deriva pure che Nicolò non potè essere bandito mentre era console, perchè dal 28 settembre 1447, giorno della nomina, fino almeno ai 4 di novembre del 1448 occupò quel posto Antonio Lomel-lini, come risulta da un ricorso fatto da alcuni Catalani esistente nella filza Div., n. 17 ; nè Γ annalista del resto accenna affatto a tale carica. Qui il Federici fece dunque una confusione, e forse non fu estraneo a ciò il sapere egli che quel sospetto e quel bando erano dovuti o attribuiti a rapporti non lindi fra re Alfonso e Nicolò, tanto più che egli conosceva quelli di benevolenza che avvincevano questo a quel principe. Di altre notizie relative specialmente ad alcune fra le numerosissime cariche attribuite a Nicolò e che questi avrebbe coperto in epoche in cui, dato anche che il bando fosse finito, non era però ancora totalmente tornato in grazia — non tenterò la spiegazione: noterò solo che diversi sono gli omonimi ricordati dal Federici. Lo stesso dicasi di notizie che egli dà del Battista (nessuna però riguarda il nostro episodio) rimanendo peraltro ferma quella dell’ essere egli stato Presidente della Podesteria di Genova, e 1 ’altra del decreto fatto per lui nel 1450, perchè di queste abbiamo la riconferma nei documenti citati. Del medesimo Battista — altri ve ne sono — parla in due riprese ed in esse dice cose in parte diverse. (1) V. nota prec.. (2) Sono i documenti Vili e IX già citati. Di questi riporto in appendice unicamente la prima parte, che ne costituisce la sostanza, e lascio le partite che seguono numerose, le quali raggiungono nel primo la somma di L. 224 s. 6 d. 11, e nel secondo L. 4254 s. 14 d. 2. — 84 — Doge Giano. Ma Nicolò è detto Figlio del fu Francesco e siccome il Federici nota precisamente che il Nicolò Giustiniani Campi era figlio di Francesco , si ha in ciò una nuova prova del legame diretto del doc. XV col nostro episodio; nè si potrebbe, dopo ciò , ammettere che nello stesso tempo e luogo siansi verificati in tante circostanze eguali due fatti diversi. Ho insistito in questa dimostrazione, perchè siccome dal documento I sembra risultare che Nicolò appartenesse al casato Longhi al paro di Battista (i), questa sarebbe apparsa a primo aspetto una grave difficoltà: ma dopo quanto ho detto si deve invece concludere che il detto doc. I pecca in ciò di negligenza per aver taciuto il cognome del Nicolò, mentre fece quello del Battista. Inoltre nel presente episodio si incontrano diversi punti oscuri e contraddizioni non sempre spiegabili con certezza, le quali lasciano intorno ad esso un’ombra di mistero; e volendo diradare per quanto si può tale oscurità, era necessario che la dimostrazione stessa riescisse irrefragabile. Il documento poi fornendo un grave indizio contro Nicolò, serve a farci riscontrare anche nei primi tre e nel racconto dell’annalista gli elementi, forse non prima avvertiti, del dubbio (2). Ora io non mi perderò a portare innanzi tutti gli argomenti che starebbero a prova della reale esistenza d’un intrigo: siccome i documenti che conosciamo (1) Queste infatti sono le parole scritte nel corpo di esso: «... exponitur pro parte Nicolai et Bapte Iustiniani olim longi... », le quali, a parte la grammatica, paiono suonare come dico nel testo. Noto che nella filza Off. Momte 733 B v’ è una copia dei documenti I, II e III: dico una copia perchè il solo fatto che in essa la scrittura è eguale dal principio alla fine — mentre nei doc. II e III (che sono i decreti) da me rinvenuti antecedente-mente, la calligrafia è diversa dal I (il ricorso), — lo dimostra. Ora detta copia è identica aU'originale, salvo che in luogo dell’espressione riferita sopra ha quest’altra: «. . Nicolai Iustiniani et Bapte Iustiniani olim longi... *, la quale si legge però anche a tergo dello stesso originale, mentre al tergo proprio non indica che il nome dell’albergo, il che tutto costituisce già un elemento di dubbio. I decreti poi portano la firma di Gottardo da Sarzana. (2) Qui devo avvertire che ritengo, almeno in genere, applicabile al Battista ciò che l’annalista ha detto di Nicolò, perchè dallo stesso tenore del ricorso, oltre che da altri dati, si vede che essi furono accomunati nella condanna e quindi anche nel fatto, salvo in qualche parte. non sono sufficienti a risolvere la questione (i), basta — e l’esattezza storica lo esige d’altro canto — che io accenni a quelli i quali servono a far sorgere serio il dubbio stesso sul punto di cui è caso. Abbiamo in primo luogo le lettere inviate da Alfonso a Nicolò. Perchè, in verità, 1’ annalista dice che il sospetto originò da lettere giunte a Nicolò stesso da parte di quel re , ma che poi si vide come tale sospetto fosse infondato. Ora questo modo non soddisfa, giacché rimane tuttavia il fatto affermato, e poi non contraddetto da lui, che le lettere realmente vennero ; e può essere benissimo che pel nostro storico il sapere per qualche via come poi il condannato sia stato restituito alla patria ed abbia riavuto il denaro, sia stato causa onde ne concludesse che dunque egli fu riconosciuto innocente; nè 10 quindi con ciò intendo tacciare di parzialità il buon \Te-scovo di Nebbio. V’è in secondo luogo il rinvenimento ed 11 sequestro , in casa di Nicolò, di armi tanto di difesa quanto d’offesa. Invero, il valore di esse fu fatto ascendere a L. 380 in 400, pari a L. it. circa 6364,62 o 6699,60 (valore commerciale) (2) : somma questa la quale dimostra come esse fossero in quantità considerevole e tale da doversene spiegare la presenza in quel luogo piuttosto attribuendola ad un fine criminoso e diretto contro 1’ ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, che non ad altre cause, quale ad es. la grandezza della casa. Neppure varrebbe il dire che le armi incriminate si trovassero presso Nicolò a cagione della carica di console dei Catalani da lui altra volta coperta — specialmente perchè diverse e-rano le mansioni del console e perchè in ogni caso troppo tempo era trascorso da che egli aveva cessato d’ esser tale (3) : nè d’ altro canto supporrei che le stesse fossero destinate al commercio. Altro indizio grave a carico dei due Giustiniani è la lunga attesa da essi frapposta (1) Dei parecchi documenti relativi al fatto, che ho rinvenuto, non ho creduto riportare in Appendice i meno importanti, specialmente pel motivo detto nel testo. (2) Cfr. la cit. Tavola del Desimoni. (3) V. nota i, pag. 82. — 86 — al chiedere giustizia. Non si può opporre la loro condizione di esiliati, perchè, anche, se come è più probabile, il loro esilio durò fino al 1454 (1), non poteva mancar modo agli stessi di ricorrere egualmente: ne è prova il ricorso presentato nel 1451 dal Battista (2) — fosse del resto egli ancora in esilio o no, poco importa; e taccio del decreto del 1449 fatto per Nicolò, per Γincertezza che si ha sul suo significato. Ma v’ è di più : v’ è cioè il ricorso ora ricordato fatto nel frattempo da essi, o almeno dal Battista, per ottenere una semplice riduzione d’imposta — e ciò senza protesta d’innocenza, ma col solo accenno a casi dolorosi subiti e noti, il che pare costituire piuttosto una specie di conferma, una sanzione apposta dalla stessa parte alla condanna avuta, quasi sapendo di non poter far altro di meglio. Solo più tardi — e dopo aver lasciato passare ancora qualche anno — i due si decidono finalmente a dire ed a chiedere qualche cosa di più, a proclamarsi cioè condannati a torto, e a domandare (lascio a parte la riabilitazione vera e propria, di cui non è cenno) non i danni patiti, sebbene li ricordino, ma la pura restituzione del denaro senza interessi. Sarà forse solo perchè col pretender troppo temevano di nulla ottenere? Ma qual è frattanto la causa per cui tutto ad un tratto compare un ricorso dei due in tal senso? E per quale prova avuta, per quale serio motivo, giacché non ne è indicato nessuno, si viene, dopo tanto tempo, dal Doge ad un provvedimento cosi grave quale quello di sconfessare un precedente giudicato (3) e restituire — con aggravio del Comune — somme cosi forti ? Forse non fu estraneo a tutto ciò, oltre all’influenza (1) V. nota 2, pag. 80. (2) V. nota precedente. (3) Di ricorsi di tale specie non v’è penuria in quell’epoca, ma essi per regola vengono proposti quando è mutato il regime, ossia allorché è sottentrata nel governo la famiglia rivale di quella sotto cui si pati la condanna od il sopruso. Inoltre, per ciò che è del caso attuale, Pietro Fregoso non era solo parente stretto di Giano, ma a questo doveva esser legato da speciale riconoscenza , perchè da lui appena divenuto doge era stato richiamato dall’esilio, a cui l’aveva condannato Raffaele Adorno, e fatto Capitano Generale. (Giist., anni 1446, 1447). che esercita il tempo e quella delle alte aderenze di quei due cospicui cittadini, l’intervento di Alfonso, il quale seguitava a dare gravi noie al Doge Pietro Fregoso e ne riceveva tuttora l’omaggio annuale dall’aureo bacile (i): intervento che potè essere maggiormente provocato in lui da istanze di persone della famiglia, primo fra tutti il padre di Battista, che era stato l’anno innanzi ( 1453) ambasciatore a Napoli (2), o degli Adorno suoi amici, fra i quali era Raffaele parente dei Longhi per parte della moglie Violantina figlia di Giacomo (3) — le quali cose tutte, e l’opportunità in genere, benché tardivamente (o forse perchè nulla si potè ottenere prima), avrebbero finito per vincere ostacoli e riluttanze. Ma torse influì più ancora un sentimento di riconoscenza verso questo albergo e sopratutto verso la famiglia di Battista, provocato dalla valorosa difesa di Costantinopoli fatta poco innanzi ed a prezzo dei proprio sangue da Giovanni Giustiniani Longhi (4). Per tal modo non sarebbe da conside- (1) Pretesto, od uno dei pretesti, di cui si giovarono quei mestatori i quali indussero o costrinsero il doge Raffaele Adorno ad abdicare (4 genn. ,447f — Giust., — Serra etc.) era stato appunto quello dell’umiliazione a cui quegli aveva acconsentito (1444) venisse sottoposta la Repubblica, di fare cioè ogni anno omaggio di un bacile d’ oro al Re Alfonso. Ora numerosi sono i documenti i quali ci fanno vedere come ancora parecchi anni dopo, e sotto gli stessi Fregoso, si seguitasse a compiere quell’atto; io, sebbene essi non siano privi di interesse (v’ è nota anche della spesa di fabbricazione, ecc.), mi limito nel presente scritto, a citarne uno — abbastanza curioso nella sua concisione per ciò che riflette una circostanza della vita del Cancelliere Francesco Vernazza. È una dichiarazione fatta da questo nel Vol. 2.0 delle lettere ducali, fra quella portante il n. 1364 e la data dei 9 Giugno 1456 e quella portante il n. 1366 e la data dei 9 Die. stesso anno, in questi termini: « Eo anno die Xa Junii domo abij cum patera ad regem Aragonum et die Va dee. redivi ex carcere. *. Dopo di che, dopo cioè il suo ritorno dal carcere (dove non so per qual motivo sia stato posto quel cospicuo personaggio), Francesco Vernazza riprese le sue funzioni, e la prima lettera da lui scritta è, come ho detto, dei 9 Die. (2) Federici, loc. cit. Questo scrittore ricorda diverse ambascerie portate in quel torno d'anni a re Alfonso da personaggi dell’Albergo Giustiniani. (3) De Rossi, Storia di Casa Adorno etc., Firenze 1719, pag. 77 e 144. (4)*Giust., ad a. 1453 La cosa era del più grande interesse per Genova, a causa delle sue colonie della Tauride. È però da avvertire che il Federici (loc. cit.) riesce a gettare il dubbio sulla qualità dell’ incarico, e sulla fedeltà ed eroismo di quest’uomo. I — 88 — rare come puro caso la presentazione del ricorso e la revoca della sentenza a distanza di pochi mesi dalla caduta di quella città, dopo lunghi anni di attesa, chè anzi le due cose avrebbero un nesso fra loro. Si tratta di supposizioni , le quali possono quindi non rispondere alla realtà ; ma — qualunque sia questa, quanto ai motivi dell’assoluzione — ciò che importa si è che gravi sono gli argomenti di dubbio in questo fatto. Ed ora nel supposto, che reale ed accertato fosse il crimine dei Giustiniani , il fatto stesso si potrebbe ricostruirlo ed appoggiarlo ad una base storica nel modo seguente. Alfonso non era solo nemico di Genova e dei Fregoso, ma, come abbiam visto, amico degli Adorno, i quali, costretti dopo la cacciata di Barnaba ad esulare, avevano sempre cospirato e fatto quanto stava in loro per ispingere quel re. già per se stesso disposto a ciò, a cacciare a loro volta i rivali; nè avevano parlato a sordo, come lo dimostrano le frequenti contese ed attentati di questo ai danni di quella casa. Ora, posta tale base storica, il seguito della ricostruzione che io tento si farebbe supponendo che fra i detti attentati possa appunto registrarsi quello di cui è caso, e per compierlo Alfonso avrebbe ricorso ad un uomo influente in Genova ed in cui doveva aver fiducia, quale Nicolò Giustiniani Campi (i), salvo a questo il cercarsi i complici. Scopertesi però , colla sorpresa delle lettere di Alfonso a Nicolò, le intelligenze fra i due, ed i rapporti non lindi sorti fra essi a danno dei Fregoso, ciò avrebbe provocato una visita (avanti il io luglio certo, come appare dal doc. X) in casa di quest’ultimo e la conseguente scoperta e sequestro o confisca delle armi; perciò quindi si sarebbe allora proceduto contro l'indiziato, a cui « la corda » avrebbe strappato confessioni che confermarono la verità delle accuse contro di lui e compromisero anche il Battista quale complice. Sventata per tal modo la • trama, sarebbe seguita la condanna dei due , i quali posti in orrendo carcere e costretti al pagamento di somme ri- (i) V. nota r, pag. 82. Si osservi ancora che Nicolò era ghibellino e chc i Fregoso erano guelfi. — 89 — levantissime (i), che servirono all'opera già detta, sarebbero stati poi anche banditi. Ma un terreno man mano sempre più favorevole ad essi — che quanto meno dimostrerebbe come non vi fosse contro di essi un accanimento sistematico o per partito preso — si sarebbe venuto formando. e abbiamo cosi la riduzione delle imposte e il condono dal bando , se però questo non precedette immediatamente e non fu connesso con quello della restituzione del denaro. Xon è difficile, in tale supposizione , immaginare che, volendo raggiungere questo risultato, siansi volute salvare le apparenze e combinare od accettare un ricorso che in realtà, se è pur vivo come protesta d’ innocenza, è però anche generico in questa corno nella narrazione dei fatti , giacché anche la prudenza doveva consigliare a tacerli ponendovi ornai senz’altro una pietra sopra: e così non si accenna alla natura delle accuse , dicendole soltanto note, nè si dà la più piccola prova di ciò che si as serisce nel ricorso stesso, mentre un cenno avrebbe potuto farsene, nonostante vi fosse poi la facoltà di esporre a voce le proprie ragioni etc.; e si chiede, esplicitamente, forse non a caso, che la restituzione venga posta a carico del Comune anziché dei Fregoso — e ciò senza interessi o danni (2). E il decreto che accoglie Γ istanza, come ho già avuto occasione di ricordare , non accenna a nessuno dei motivi che inducono il Doge e gli Anziani a tale accoglimento, ma si limita al solito formulario, dal quale non si ricava se non che si udirono le persone che si dovevano udire e che si procedette nella pratica colla dovuta ponderatezza. (1) Curiosa coincidenza, la persona di Alfonso sarebbe entrata indirettamente cosi nel fatto della distruzione del Castelletto, come in quello della ricostruzione: nella prima perchè avvenuta quando i Genovesi, giustamente sdegnati contro il duca di Milano per avere questo liberato lo stesso re da essi fatto prigioniero nella gloriosa battaglia di Ponza (1435) — avevano deliberato di scuoterne il giogo : nella seconda perchè una trama da esso macchinata sarebbe stata causa di una condanna da cui provenne il denaro che servì a quello scopo. (2) La restituzione delle somme aveva ancora da effettuarsi , almeno in parte, nel 145$* e cioè quando del Battista già sappiamo sicuramente che era presidente (doc. Vili e IX). — go — Notevole è poi il fatto che Γ Ufficio della Moneta (il quale peraltro si era pronunciato per la presa in considerazione del ricorso) abbia con ritardo non solito , dato la sua approvazione al decreto soltanto un mese dopo. Di un simile ritardo da esso frapposto abbiamo esempio in una circostanza che può considerarsi consimile , quando cioè il Doge Raffaele Adorno, in adempimento anche di un impegno deirantecessore Tomaso Fregoso , aveva promesso, per ragioni politiche, l’alta carica di ammiraglio della Repubblica, con lauto stipendio da pagarglisi a vita, a Gio. Antonio Fieschi (i). Certo, ripeto, v’è qualche cosa di mancante e di misterioso in questo episodio, e gli stessi argomenti da me avanzati hanno i loro punti deboli. Non ho parlato di quelli pure importanti favorevoli ai Giustiniani, perchè essendo i primi e più facili ad affacciarsi (salvo qualcuno che non risulta dalle fonti citate, ma che è di valore relativo) era inutile che io lo facessi, mentre era invece necessario esporre qualcuno degli altri, anch’essi numerosi: tuttavia se non ho creduto di tacere circa i dubbi gravissimi che sorgono sull’ argomento, mi sarei astenuto dal dare a questi il valore di cosa certa, affine di non avventurare a carico di Nicolò e di Battista Giustiniani (nè di Alfonso d’Aragona), con pericolo di essere ingiusto, una seconda e postuma sentenza funesta alla loro memoria. Ambrogio Pesce. DOCUMENTI. I. (*) Archivio di Stato in Genova — Divers, filza 17. A tergo: Pro. d. Nicolao Iustiniano et Bapta Justiniano longo. Carceratis ad Instantiam D. Iani de Campofregoso cum decreto Concessionis. Dentro : Illustri et excelso domino duci Januen. et magnifico consilio dominorum Antionorum civitatis janue Reverenter exponitur pro parte (1) Cfr. il mio scritto: Alcune notizie intorno a Gio. Antonio del Fies co ed a Nicolò da Campofregoso, in Giornale Storico e Letterario della Liguria del 1905, (anno VI), pagg. 372, 373. (*) In questa Appendice i documenti non sono riportati in ordine crono- — 9i — Nicolai et Bapte Justiniani olim longi: Quod tempore ducatus quondam bone memorie, d. Jani de Campofregoso ex malis et non veris informationibus ac falsis criminibus, eisdem et cuilibet eorum obiectis: fuerunt iniuste et indebite carcerati: et in horrendis carceribus inclusi: de mandato prefati. d. Jani tunc ducis: et adeo afflicti: quod omnes ciues Janue habentes in se aliquid humanitatis summe condoluerunt de eorum infelici casu : et illum egro animo et moleste tulerunt : fuitque coactus dictus Nicolaus contra omnem iusticiam ad soluendum ipsi quondam, d. Jano: et seu cui mandavit: libras decem milia Januinorum: et dictus Bapta fuit coactus ad soluendum libras quinque milia : que omnes converse fuerunt in utilitatem excelsi comunis Janue scilicet in fabricatione arcis castelieti: que est magnum ornamentum urbis Ianuen. et defendit urbem ipsam Januen. a multis imminentibus periculis: que reipublice Januensi evenissent et evenire possunt: nisi arx ipsa constructa et fabricata fuisset, ipsique nicolaus et Bapta non solum lesi fuerunt in quantitatibus predictis per eos ex bursatis: sed etiam pro solutione ipsarum passi fuerunt plurima damna civimenta et interesse : ut quilibet recti iudicij arbitrari potest, equissimumque est cyuod dicte pecuniarum quantitates restituantur eisdem per excelsum comunem Janue: postquam in utilitatem comunis: et in fabricatione dicte arcis castelieti converse fuerunt. Nam impium esset: quod ea arx: que comuni servit fabricata esset de pecuniis propriis ipsorum: que tamen de pecuniis publicis fabricata omnimodo extitisset. Idcirco dicti Nicolaus et Bapta humiliter supplicant celsitudini et dominationibus prelibatis: quatenus dignentur decernere et deliberare: dictos Nicolaum et Baptam fieri debere creditores excelsi comunis Janue in cartulario officij monete dicti comunis: scilicet dictus Nicolaus pro libris decem milibus Januinorum et dictus Bapta pro libris quinque milibus Januinorum. et de dictis quantitatibus pecuniarum integram solucionem et satisfactionem fieri debere ipsi nicolao et Bapte de pecunia et bonis excelsi comunis Janue cum clausulis, derogationibus et cautelis ad id necessarijs et opportunis. Alioquin dicti nicolaus et Bapta viderentur suis pecuniis indebite et contra iusticiam spoliati quod non credunt esse intentionis celsitudinis et dominationum prelibatorum. et esset malum exemplum in civitate nostra si liceret sine causa cives spoliare bonis suis: propterea quod supervenientibus varietatibus hoc exemplo procederetur in infinitum ad destructionem civium et civitatis: quod omni studio est fugendum. logico, perchè quello della narrazione ne esigeva uno diverso. Cosi, ad es., il doc. I contiene il racconto di fatti i quali accaddero avanti la presentazione dei ricorsi del 1449 e del 1450. Le ultime parole dell’iscrizione a tergo del doc. I sono di carattere posteriore (sec. XVII). >i< die XV. Jullii 1454. I. et excelsus d. dux Januen. etc. Et M. consilium dnorum an-tianorum et Spectabile offitium monete in plenis numeris congregatis Intellecta dicta supplicatione ac contentis in ea Auditis claris legum doctoribus d. lucha de grimaldis et d. enricho stella sapientibus excelsi comunis Ianue ac eius sindico et etiam scriba infrascripti memorandi offitii monete et his omnibus qui in favorem excelsi comunis Janue dicere ac allegare voluerunt sequti regulam positam sub rubrica Si quis comuni moverit controversiam etc. maturo inter se examine habito absoluentes se ad calculos albos et nigros repertis calculis albis quindecim affirmativam significantibus statuerunt ac decreverunt dictam petitionem et seu supplicationem admittendam fore et admitti debere sicque eam admisserunt. Postquam ea Ipsi. I. d. dux et M. consilium dnorum antianorum in pleno numero congregatorum examinata dicta petitione et seu supplicatione ac contentis in ea et causa cognita maturo etiam inter se examine habito declaraverunt diffiniverunt stàtue-rum ac deliberaverunt preffatos Nicolaum et baptam Justinianos fieri debere creditores excelsi comunis Janue de summis pecuniarum in ipsa petitione expressis videlicet ipsum nicolaum delibris decem milibus Januinorum et ipsum baptam quinque milibus Januinorum. Sicque virtutis presentium commisserunt ac committunt venerando offitio monete Eiusque scribis quatenus scribant et faciant in cartu-lariis excelsi comunis Janue et dicti offitii creditores preftatos nico-laum et baptam de dictis pecuniis ac summis pecuniarum videlicet unum quemque eorum pro sua parte de qua supra fit mentio satisfaciendo eis et solutionem faciendo de predictis Ita tamen quam satisfieri eis non possit de auariis civitatis genue factis vel fiendis nec de aliquibus auariis rippariarum Janue quas decetero fieri contingat, nec per formam jmpositionis aliquarum cabellarum nec de ipsorum partitis auariarum impositarum aut imponendarum. Que omnia fecerunt ac deliberaverunt et fieri debere statuerunt preffatus. I. d. dux et consilium predictum non obstantibus aliquibus legibus decretis aut statutis in contrarium disponentibus. III. (Ivi). 1454 die V augusti. Spectabile officium monete in pleno numero congregatum Surrogato nobili thoma cigalla loco brancaleonis grilli prout de dicta sur-rogatione constat manu filipi de bonavei scribe ipsius offitii Intellecta dicta deliberatione ac diffinitione de qua supra fit mentio et omnibus in ea contentis ea que diligenter inter se semel et pluries examinatis — 93 — perlectis que omnibus regulis ac decretis quas et que ad rem ipsam pertinere posse existimavit et presertim in favorem comunis Ianue sumpta que super predictis ea informatione que ipsi offitio necessaria visa est demum absolvens se ad calculos albos et nigros sex albis repertis affirmationem significantibus dicte deliberationi ac diffinitioni ac omnibus in ea contentis annuit et consensit ac sic fieri debere ac posse decrevit in omnibus et per omnia ut in ea continetur Ita tamen quod quicquid appareret non solutum per dictos supplicantes aut alterum eorum usque ad summas de quibus in petitione eorum fit mentio de dictis summis detrahatur, detrahatur que etiam ex illis summis quicquid pecuniarum aut beni fitii ab excelso comune Ianue per ipsos aut eorum alterum habitum appareret in recompensationem suprascripti debiti et exclusis per expressum formis illarum solutionum de quibus in predicta deliberatione fit mentio. IV. (D.° Arch., div., filza 17). Vobis Illustri et excelso dno Ludovico de Campofregoso dei gratia lanuensium duci et Magnifico consilio dominorum Antianorum exponitur parte devotissimi servitoris vestri Iacobi de Benissia: Quod ipse constitutus fuit ac prefectus fabricationi castelieti: in quod opus erogata est magna pecunie summa: que per manus suas distributa ac persoluta fuit. Nunc autem cum id opus perfectum sit : et conveniat honori ac fame ipsius Iacobi reddere rationem administrationis sue : ut semper appareat eum recte omnia gessisse : nec fidei sue obiici possit vel minima suspicio male administrationis: Supplicat quanta potest instantia dominationibus vestris : ut velint ei magistratum delegare: qui has impensarum rationes diligenter calculet et examinet et tandem liquidet. et quanto magistratus fuerit di-ligentior et severior: eo erit acceptior sibi. V. (Ivi). * MCCCCXXXXVIIIIo die X» oct. Illustris et excelsus dns Ludovicus de campofregoso dei gratia lanuensium dux et Magnificum consilium dominorum Antianorum communis Ianue in legitimo numero congregatum : quorum tunc presen-tium nomina sunt hec. Demetris Cataneus prior. — d. Carolus de francis legumdoctor. — Iulianus Italianus. — Franciscus Saluaigus. — Lodisius de casana. — Iulianus de Grimaldis. — Iohannes de Canali. — Franciscus de Levanto. — Constantinus de Marinis et philippus de Auria. — Intellectis ea supplicatione et contentis in ea: decreverunt eam non admittere. — 94 — VI. (D.° Arch., Off. Monete, filza 733 B.). Viri prestantes et E g...... domini.. Batista de furnarijs Bartholo- meus de franchis de Burgaro, Marcus de casina Badasar marrufFus Iacobus de Riparolio not. et Antonius nauonus congragati in camera solite residentie Spectabilis officij monete comunis Janue, ellecti et deputati per Illustrum dnum.. ducem et Magnificum consilium dominorum Antianorum, ad taxandum et parciendum partitam viri pre-stantis Batiste Justiniani Longi vigore rescripti pretacti Illustris dni ducis et prefacti consilij dnorum Antianorum cuius tenor talis est MCCCCL die XXVI Iunij. Illustris et excelsus d.nus dux Januensium etc. et M.cum consilium d.norum Antianorum in pieno numero congregato-rum, Audito Spectato viro Baptista Justiniano longo dicente propter causas quorum maxima pars universis nota est, condicionem facultatis eius tenuem factam esse et ad eum terminum deductam ut Amodo non perferre possit onera pubblica auariarum sub ea taxacione que fit per viginti quatuor manualia ubi non potest de re sua ita docere quod ab eo onere cum moderacione sublauetur , petenteque committi Spectabili Officio monete aut Alteri honesto officio quatenus audito ipsa (sic) Batista et sumpta informacione de facultatibus suis et habito respectu ad causus suos eum taxent pro Auaria sua sub ea quantitate et usque in illud tempus quod ipsi officio visum fuerit, quoniam ei facilius erit de condicione facultatis sue coram dicto officio aut Alteri simili ostendere quam coram tot viris quorum numerum capiunt viginti quatuor manualia decreti, petenteque partitam suam dividi et seiungi Adamiano (sic) fratre suo cum quo partita Auarie coniuncta est. non ignari casus et iacture quas passus est dictus Batista et volentes de honesto remedio illi providere, publice etiam et private necessitati aduertentes Absoluentes se ad calculos Albios et nigros repertis decem Albis Affirmativis commisserunt et virtute presentium committunt infrascriptis..... viris nominatis quos Ad hanc rem specialiter eligerunt omnimodam potestatem illi (sic) tribuerunt, quatenus Audito ipso Batista et diligenter examinata conditione facultatis sue ipsi Batiste provideant de ea taxacione pro suis Auarijs videlicet pro duabus auarijs et sub ea solucione que illis videbitur seiuncta ad diuisa eius partita Apartita damiani fratris sui. et hoc decretis Aliquibus non obstantibus et ectiam non obstante quod in presentibus manualibus avarie nondum aperte taxatus Aliter esset vel crederetur quorum virorum nomina sunt hec Batista de furnarijs Bartholomeus de franchis Burgarus Baldasar marruffus Marcus de cassina Iacobus de Riparolio et Antonius navontis. — Gotardus de sarzana cancellarius. Intendentes itaque procedere Ad execucionem commissorum eis virtute dicti rescripti et delibe-racionis Audito semel et pluries pretacto Batista et de eius facultatibus sumptis instrucionibus debitis et opportunis et precipue compacientes — 95 — graui iacture ipsius Batiste iam exactis annis passe, omni modo via et forma quibus melius et validius potuerunt et possunt, taxaverunt eundem Batistam ad solvendum libras sexaginta duas et soldos decem Januinorum pro Auaria anni de MCCCCL et totidem pro Auaria de MCCCCLI, et sic conscribatur et fiat debitor dictus Batista solus et de per se de dictis lb. LXII s. X in qualibet dictarum Auariarum. VII. (Ivi, sul medesimo foglio). φ MCCCCLI die XVIIII Aprilis. Pretacti d.ni Batista de Fornarijs et socij superius nominati con-greati (sic) itterato ut supra in camera Sp. officij monete Audito denuo prefacto Batista justiniano exponente cum querela se valde gra-uatum de dicta jmpositione et taxa, considerantes melius in facultatibus Ipsius Batiste et advertentes subtilius discrimina ipsius , et debitis et honestis respectibus moti taxando utsupra partitam ipsius Batiste, illam reduxerunt et taxaverunt in libris quinquaginta sex et soldis quinque per Auariam videlicet de MCCCCL.. et totidem pro auaria de MCCCCLI et per tantum videlicet libras LVI s. V conscribatur et fiat debitor in una quaque dictarum auariarum dictus Batista videlicet solus et seorsum a partita damiani fratris sui , non obstante aliquo dicta taxacione et seu deliberacione ut supra factis quam annulant et irritant virte (sic) presentis deliberacionis quam mandant et volunt robur et vim obtinere non obstante primaria taxacione et seu deliberacione utsupra factis. VIII. (Ivi, Off. Monete, Filza 733 B). * MCCCCLV die XXVIII Maij. De Mandato Illustris et Excelsi domini ducis januensium et Spectabilis officii monete Vos officiales et scribe comperarum sancti Georgij detis et respondeatis de proventibus Loci unius cum dimidio dictarum comperarum scripti super Ambrosium cataneum quondam Andree in cartulario sancti laurentij usque in quantitatem librarum sex Giberto de pinu recepturo nomine Mag.ci. d. presidentis et nicolai justiniani sive lb. VI s Item etc. IX. (Ivi, stessa filza). MCCCCLV die VIII Julij. Demandato Spectabilis officij monete comunis vos officiales et scribe comperarum sancti georgij tam presentis anni quam futurorum , obligetis et obligare debeatis omnes et singulos proventus tam anni presentis, quam futurorum , omnium locorum scriptorum super jnfrascri- — gò - ptis pro quantitatibus infrascriptis. prestanti viro nicolao Justiniano q. d. francisci recepturo suo nomine , et nomine etvice Mag.ci d.ni batiste Justiniani pressidentis etc., et de dictis proventibus, debitis temporibus respondeatis pretacto nicolao suo et dicto nomine usque in quantitates jnfrascriptas, etc. X. (Ivi, stessa filza). φ ihesus die X jullij. In Oliverio Justiniano......11. d Item XI jullij in dicto, O, in Sorleono Spinula..........11. CCC Item ea in dicto O. in raffaele de fur- narijs...........11. C Item XIIII in dicto O. in cart0 de XXXX V..........11. CCCCL Item in dicto. O. in cart0 florenj de XXXXVII.........11. dL Item in dicto. O. in cart0 primo de XXXXV I.........11. CCL Item in dicto. O. in raffaele de fur- narijs........... Item in dicto. O. in cart0 primo de XXXXVII . , ....... Item in dicto. O. in cart0 primo de XXXXVI de racione fohanms Justiniani q. D......... Item in dicto. O. in officio monete . Item in dicto in Sorleono Spinula de racione Johannis Justiniani q. D. . Item in dicto. O. in Sorleono predicto Item in Johanne Justiniano q. D. in thoma cigalla........ Item in oliverio in thoma predicto . 11. L. Item in Johanne Justiniano q. D. in cart0 secundo de XXXXVII ... 11. C Item in dicto. O. in consulibus S. G. 11. d Item in dicto. O. in raffaele Salvaigo 11. CL Item in dicto. O. in cart0 secundo de XXXXVI 11. d Item in dicto. O in numerato. . . 11. CLXXXXV s. XV Item in dicto in numerato .... 11. L Item in dicto in numerato .... 11 LXXXVI Item in dicto in numerato .... 11 CXXXVIII s. XVIII d. VI Item in dicto in numerato .... 11. CXVI s. 11. C 11. dC 11. CC 11. CLXXV 11. L 11. CL — 97 Item in dicto in numerato .... Item in dicto. O. in raffaele de fur- narijs........... Item in dicto. O. in dicto raffaele . Item in dicto. O. in thoma cigalla . Item in dicto. O. in dicto thoma . . Item in dicto. O. in raffaele Salvaigo Item in dicto. O. in dicto raffaele . Item in dicto. O. in dicto raffaele . Item in paride Justiniano in dicto raffaele ........... Item in nicolao Spinula de racione Johannis Justiniani q. D..... Item in paride Justiniano in nicolao spinula.......... Item in Oliverio Justiniano in Jeroni- mo lorlo..........11. CX 11. LXXX s. 11. C VIII s. 11. XXXX s. 11. L s. 11. C 11. LXXVII s 11. CLXX s. 11. C s, 11. d. XV XVII d. VI 11. d. 11. d. Item in dicto. O. in dicto Jeronimo . Item in dicto. O. in dicto Jeronimo. Item in paride Justiniano in dicto Jeronimo .......... Item in dicto paride in dicto Jeronimo Item in dicto paride in J. d. duce . Item in Oliverio in Sorleono Spinula Item in dicto. O. in dicto Sorleono . Item in dicto. O. in dicto Sorleono . Summa 11. VÌITl d prò nicolao Justiniano de campis. 11. CC 11. CCL 11. d 11. CCCCLXX 11. CCL 11. LXXXXII s. 11. LX 11. C C XX s. XI V Illu. dns Janus pro armas diversas tam defendibiles quam ofendi-biles, captas in domo dicti nicolai in valore librarum tricentarum otua-ginta in quadringentas de acordio sive 11 CCCLXXX in CCCC. VARIETÀ DIARIO INEDITO DELLA MALATTIA, MORTE E SEPOLTURA DI M.R BENEDETTO ANDREA D’ORIA VESCOVO DI AIAC-•CIO - 1794· In un vecchio libro conservato nell’archivio parrocchiale di S. Maria della Spezia,* il quale porta sulla fascia esterna l’indicazione: iyyo — Visi/a di — Monsig.r Lo meliini—con Giorn. St. e Leti, (iella Liguria. 7 - gS - alcune note — di Benefizj, Legati\ obbli — g hi e Cappelle, mutilo di molti fogli, si trovano a pag. 271, di mano di Don Giacomo Bertucelli, abbate parroco del tempo , le seguenti note in forma di diario: 1794. 20. 7bre. A......(1) venne da Genova rill.mo e Rev.mo Mons.0 Benedetto Andrea D’Oria Vescovo d’ Aiaccio in Corsica (di là partitosi già da varii anni per le turbolenze e rivoluzioni della Francia, conseguentemente anche dalla Corsica medesima) per ritrovare P 111.™3 Signora Cattarina D’Oria sua nipote e moglie dell’ Ill.mo Sig.1, Giacomo Giustiniani, e, come dicesi, per levarle al sacro Fonte il prossimo suo parto (2). Fermatosi d.to Monsig.re tre giorni in La Spezia partì poi per Ceparana, dove si ritrovava la d.ta Sig.a Catt.a sua nipote. Avvicinandosi il tempo del sgravarsi, il 10 7.bre ritornarono alla Spezia. Il giorno 14 di d.to mese alla mattina alle ore 4 fu sopragiunto da gran freddo d.° Mons.r Vesc.0 e chiamato il suo servitore si fece ben ricoprire, ma pochi momenti dopo restò quasi intieramente sopito con gagliardissima febbre. Il medico gli ordinò una emissione di sangue. Niente giovò; chè continuò in quello stato tutto il giorno e tutta la notte. A 15. Alla mattina gli furono ordinati ed applicati N. 5. Visi-canti, e il sopimento durava senza riaversi ad esclusione dei molti sbadigli e alcuni lamenti di quando in quando. A 16. Continuando sempre nel suo sopimento gli furono cavati i Visicanti, e allora si svegliò dal dolore. Si prese questa opportunità per amministrargli i Sacramenti della Penitenza ed Eucaristia, e si fece con somma premura alle ore 6 */2 della mattina. Poco dopo però ritornò al primo sopore. La sera verso le 7 gli presero le convulsioni, e temendosi della sua vita se le amministrò l’Oglio Santo. Durò tutta la notte con grandi convulsioni senza però far strepiti. A 17. Alla mattina seguente sfinito di forze a poco a poco mancando finì di vivere alle ore 11. circa. A 18. Vestito Pontificalmente fu esposto nella sala del Palazzo, ove giorno e notte sino al suo funerale fu sempre assistito da Religiosi e Sacerdoti, che salmeggiavano. (1) Lacuna nel ms. Manca la data. (2) La creatura, per levare la quale al sacro fonte Mons. D’Oria era venuto alla Spezia, nacque dodici giorni dopo la morte di lui, come rilevasi dall’atto di nascita e battesimo, che si legge a pag. 70 N.° t. del libro XIII Baptizatorum, e che è del tenore seguente: « 1794 die 29. 7bris. Inféns hodie natus ex Ill.mo D. Iacobo Yenantio Giustiniani Gubernatore q.m 111.™* D. Francisci et ex Ill.ma D. Catharina D’Oria 111.™* D.ni Ambrogii coniu-gibus et domi baptizatus per 111.™ et Rey.™ Alexandrum D’Oria Abbatem SS. Trinitatis de licentia Ordinarii ». Si noti che in quest’ atto di nascita non figura il nome imposto al neonato. - 99 — A 19. Alle ore 10 della mattina fu accompagnato in Chiesa coll’intervento di tutte le Religioni , eccettuati i PP. Cappuccini, e invito generale del Clero con candela di libbra e N.° 36 fiaccole al cadavere. Il funerale era seguito dalPIU.m0 Sig.0 Governatore, accompagnato dalla M.ca Comunità, tutti con candela di tre libbre , e servitù con fiaccole. Giunto in Chiesa io Giacomo Beitucelli Ab.te cantai Messa, e si fece dopo la celebrazione di essa Γ Orazione funebre dal M.to R.do Sig;.r Gio. Batta. Marchelli di Rossiglione, sacerdote della Congregazione della Missione (1) ; terminato la quale si fecero le solenni esequie da 4 Canonici vestiti con Piviale , secondo il Cerimoniale dei Vescovi. Il suo cadavere fu riposto in cornu Evangelii dell’Altar Maggiore, vicino alla muraglia dopo la porta del Campanile dirimpetto agli scalini di d.to Altare (2). G. B· d’ I· (1) Il M. R. Sig. Marchelli si trovava sino dal 30 Agosto con alcuni suoi confratelli alla Spezia per dare una missione; della quale non mi pare inopportuno trascrivere il Diario, che ha lasciato l'Abbate Bertucelli a pag. 285 del volume già citato: « 1794, 30· Ag.1®. Per ordine del Ser.mo Governo sono giunti in questa mattina n.° 3 Sacerdoti della Congc della Missione della Casa di Fasciolo di Genova, cioè i SSli Marchelli, Isolabella e Barba-gelata per farvi le funzioni della Missione. Hanno fatto il viaggio di terra per essere il mare contrario, sono stati alloggiati nella casa della Sigra Teresa Antonelli e in questa mattina si sono presentati con lettera pubblica airill.mo Sig.1’ Govern.e S. E.za il Sigr Giacomo Giustiniani. — 31. d.° Si è dato principio alla Missione dal Sig1’ Marchelli con grande concorso di popolo. Il Sig r Marchelli [è] Direttore della Missione. — 14. 7bre giorno di Dom.ca in cui cade la Festa del SSmo Nome di Maria Festa di Comunità non si fece la solita processione, che era stata destinata per le ore 4. pomeridiane a motivo del tempo, che minacciava, e invece si fecero le funzioni della Missione, e invece della predica il Sigr Marchelli fece il Panegirico della Vergine allusivo alla festa del suo SS.1110 Nome. Nel tempo del discorso si raccomandò con molto zelo una limosina per la ristorazione della Cappella di N. Sig.ra sotto il titolo della Misericordia, e fu raccolta la somma di L 45.4. Questa è stata la prima limosina raccomandata per dto motivo. — 19. d.t0 giorno di venerdì accaddero i funerali di Monsig.r Bened.to Andrea D’Oria Vescovo di Aiaccio in Corsica, morto in questo publico Palazzo il dì 17. Alla mattina non vi fu il solito discorso della Missione a motivo del concorso di Messe. Il Sig.1' Marchelli fece 1’ Orazione funebre con l’intervento dell’Ill.m® Sig.r Govern.·1 e M.ca Comunità. — 21. d.to Giorno di Dom.ca si fece la Comunione gen.le, alla sera la Processione: si raccomandò la limosina per l’Opera dei SS.m® Sacr.1® e ascese a L 85. — 23. La Benedizione Papale, e la limosina per il riscatto dei Cristiani schiavi in L. 70 circa. — Nota - al p.» 7bre giunse da Genova altro Sacerdote, Sigr Gazzani con un fr lo, quale aiutava a confessare: il che faceva ancora il Sig.r D. Stef.° Podenzaua. Posteriormente venne il Sig.r De Antonj, quale diede li Esercizi] a RR. Sacerdoti con molto gradimento di tutti, e terminarono a 27. 7bre ». (2) Ecco l’atto di morte trascritto dal vol. V. Mortuorum, p. 191, dello \ : : — ιοο — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Maria Ortiz. — II canone principale della riforma goldoriiana. — Memoria presentala alla R. Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti. Napoli, Stab. Tip. della R. Università, 1905, in 4.0 di pp. 80. L’egregia A. presentando questo suo breve saggio di più ampio lavoro , cui [sono da augurare solleciti il compimento e la pubblicazione, tanto buona prova esso vi fa di argutezza critica e di ponderata preparazione, ha voluto in parte riparare a una lacuna, che tuttavia si lamenta, degli studi sul Goldoni e del suo teatro. Dei numerosi che vi si dedicarono, tranne il Malamani in non molte pagine di un suo libretto e pochissimi altri, con qualche appunto forse più acuto che meditato , nessuno s’ è di proposito occupato di verificare in che consistesse la poetica del Goldoni, di accennarne i fondamenti, i limiti e lo svolgimento teorico. Questo studio si è proposto di compiere la O., la quale, per giungere allo scopo, riprendendo e sviluppando un’ opinione già, per la prima volta sostenuta da Achille Neri, discute, negandolo in parte, il stesso Archivio: « 1794. 111.mus et R.mus Benedictus Andreas D’Oria Episcopus Adiacensis in Insula Corsicae, omnibus Ecclesiae Sacramentis refectus, post triduanam infirmitatem obiit in Domino die 17. 7bris hora 11. matutina in Palatio publico hujus Civitatis; ejus cadaver humatum ad calcem arae maioris in Cornu Evangelii prope murum. Die 19. ejusdem mensis facta sunt ejus funera cum generali interventu omnium Sacerdotum et post feretrum cum cereis accensis sequebantur 111.us D. Iacobus Iustinianus Gubernator et Nepos ejusdem ex parte Ill.mae D. Catharinae D’Oria, et cum comitatu M.ae Comunitatis; sacrum celebravit 111.mus et Rev.mus Iacobus Ber-tucelli Abbas, et post Missam laudes celebravit aHm: R: D: Io: Bapta Marchelli Presbiter Cong.nis Missionis, et peractae fuerunt Exequiae ut in Ceremoniali Episcoporum. Aetatis annorum 80 circiter ». Ed ecco anche l’epigrafe, già edita in: Falconi, Iscrizioyii del Golf odi Spezia, Pisa, 1874, pag. 75, scolpita su lapide di marmo bianco, che misura m. 1.40 per 0.72, murata a sinistra entrando nel Presbitero della parrocchiale di Santa Maria Assunta della Spezia presso 1’ aitar maggiore, tolta di là per ragione di restauri. Le parole in carattere corsivo furono cancellate a punta di scalpello insieme collo stemma al tempo della Repubblica Ligure: d o. M. QUI GIACE L’ILL.MO E REV.MO BENEDETTO ANDREA D’ORIA patrizio genovese vescovo d’aiaccio e conte passato agli eterni riposi NEL GIORNO XVII DI SETTEMBRE dell’anno mdccxciv valore documentario delle Memorie. E dimostra chiaramente come le indicazioni che vi si contengono circa i concetti e gli intendimenti letterarii ed artistici debbano essere confrontate , completate e cor* rette con quelle che , nel pieno fervore della sua battaglia riformatrice e senza tardive considerazioni di prudenza e magari di vanità, egli seminò nelP epistolario , nelle prefazioni e nelle commedie stesse : specialmente in quel Teatro comico che è insieme il programma poetico e P introduzione polemica di tutta Γ opera goldoniana , e che ragionevolmente l’autrice sottopone a una minuta disamina, che però avrebbe dovuto integrare con quella di un’altra commedia del Nostro pur essa polemica e critica : 1 Malcontenti. Dalle sue varie e minute ricerche PA. è condotta a concludere che la riforma goldoniana , al contrario di quanto si è ora generalmente ripetuto, non fosse diretta contro la commedia dell’arte ; il Gol-doni, il quale, nato quando la commedia erudita, esiliata dalle scene popolari, viveva a stento la sua grama vita nell’ombra di qualche accademia, era stato educato al teatro unicamente della commedia improvvisa ; il Goldoni , il quale , così in giovinezza come , vecchio , in Francia, lavorò, assai più che non resulti dalle Memorie, per la commedia dell’arte, non poteva, secondo la O., esserle nemico. Invece il Goldoni, iniziando e proseguendo la sua riforma, non avrebbe avversato la commedia dell’ arte , ma sarebbe sceso in campo contro un morbo che inquinava allora questo come tutti gli altri generi letterari : il secentismo. Tale è , per la O. , il cardine e il canone principale della riforma goldoniana ch’essa riassume, in poche parole così : « negativamente esso rappresenta la guerra all’esagerazione, all’inve rosimile, a quello che abbiamo chiamato il secentismo nella forma e nella concezione; positivamente, rappresenta la ricerca del vero, del semplice, del naturale » (pag. 78). Ora, a mio credere, se queste conclusioni sono accettabili in massima, se è vero che la commedia goldoniana , come del resto fu già affermato, è, sotto qualche aspetto un rampollo della commedia dell’arte, rimane a provare che questa, nello stato di profonda e insanabile decadenza in cui si trovava , abbia potuto influir tanto grandemente sul poeta da essere la sua unica maestra e da meritarsi da lui una gratitudine, a dire il vero, non molto dimostrata. Giacché, concesso pure che le commedie scritte regolari fossero totalmente esulate dai palcoscenici , è certo che il Goldoni potè averne conoscenza leggendole: egli stesso ce ne dà qualche prova. Forse anche PA. carica un pochino la mano, riducendo la riforma goldoniana quasi solamente alla elocuzione resa schietta e naturale per reazione allo stile tronfio ed artificioso dei secentisti. E invero essa deve finir per riconoscere che la sua forse troppo sottile distinzione viene in fondo a confortare P opinione corrente , cioè ad ammettere che la reazione del Goldoni sia diretta contro la commedia dell’arte, perchè quel secentismo che la O. indica come l’oggetto della riforma goldoniana era talmente penetrato negli spiriti e nelle forme della commedia improvvisa da esserne divenuto, quando il Goldoni sorse a combatterla, l’elemento principale. Queste cose ho voluto notare perchè la lode eh’ io sento di dover tributare larga e sincera al bel lavoro della O. non sembri indulgente nè cieca. G. Sommi Picenardi. ANNUNZI ANALITICI. Migliore Cresci. Storia Italia?ia commentata dal prof. Ugo Giuseppe Oxiglia, Estr. dalla Miscellanea di Storia Italiana, S. Ili, T. XII, Torino, 1905. — Degna compagnia agli storici minori fioriti alla corte di Cosimo dei Medici, fa Migliore Cresci, la cui Storia Italiana , già segnalata dal Negri, dal Moreni, dal Manni e dal Flamini è stata opportunamente pubblicata e illustrata con accuratezza dal prof. Ugo Giuseppe Oxilia. Il quale ha compiuto un disegno che già aveva incominciato a mandare ad effetto Agenore Gelli nell Appendice alle Lettore di famiglia (Firenze, Cellini, 1857, vol. IV, pag. 552 e sgg., e vol. V, 1858, pag. 56 e sgg. , 170 e sgg.) dove imprese la pubblicazione della Storia che fu troncata a queste parole: « Perchè il signor Luigi Gonzaga si mostrò pronto ai servizi del papa, sua Santità gli fece il fratello cardinale ». Il Gelli stampava il testo secondo i codici Magliabechiani 65 e 66, Palch. Ili, e nella breve avvertenza rileva Terrore di coloro che confusero l’autore con un omonimo. Il testo è preceduto da una dotta e brillante prefazione nella quale PO. dimostra prima che a torto la tradizione letteraria ha creduto nella esistenza di un solo Migliore Cresci, storico e poeta ad un tempo, amico del Ficino, perchè l’amico di questo filosofo platonico non poteva narrare fatti che vanno sino al 1546; poi stabilisce in modo sicuro che i Cresci sarebbero discesi da Montereggi , in quel di Fiesole , nel secolo XIV e si sarebbero stanziati insieme coi Crociani e Tragnalzi presso il popolo di S. Michele Visdomini. Di questa famiglia è il poeta Migliore, autore di un sonetto in morte del Burchiello, vissuto tra la fine del sec. XIV e i primi del sec. XVI, il quale ebbe quattro figli: Migliore , Antonio, Bernardo e Gismondo, che alla loro volta ebbero ciascuno un figlio di nome Migliore , quindi non si può determinare 1’ identità. Certo è che lo storico ebbe vari uffici da Cosimo e morì dopo il 1546 più che cinquantenne, lasciando manoscritta la Storia /-taliana dal 1525 al 1546 e un trattatalo inedido sui doveri del principe. Il Cresci, come il Segni, il Varchi e l’Adriani, nella gioventù fu partigiano della libertà fiorentina e prese probabilmente viva parte nei rivolgimenti politici del 27-30, perciò tollerò a malincuore da suddito corrucciato , il governo di Alessandro dei Medici , ma quando vide il tentativo infruttuoso di restituire a Firenze la repubblica dopo il ti- — ιο,3 — rannicidio di Lorenzino , piegò la cervice , contento , sotto il nuovo principe, perchè comprese che alla fin fine Cosimo dava tranquillità allo Stato e con un regime assoluto parificava i dritti di tutti e impediva che i nobili riottosi continuassero a dilaniarsi. Dopo tanti ordinamenti legislativi , che avevano aggrovigliato sempre più il retto funzionamento del governo , dopo i tentativi infruttuosi , si sentiva il bisogno di un’ èra di quiete , dacché il Cresci si affezionò al figlio di Giovanni delle Bande Nere e n’ ebbe offici e onori , per il che nella Storia gli tributò incensi, paragonandolo per ben due volte ad Ottaviano Augusto. L’ essere divenuto partigiano di Cosimo non gli impedì di scrivere con veridicità la Storia Italiana , la quale si solleva dalle cronache pure e semplici, perchè pltre alla registrazione dei fatti che di mano in mano si succedono, riproduce talvolta l’ambiente storico e indaga gli intimi legami logici degli avvenimenti. Nuoce però il rigido sistema annalistico, sicché spesso lo storico deve interrompere la narrazione per ripigliare le fila di altri fatti che si svolgono altrove. Questo inconveniente, evitato mirabilmente dal Guicciardini col rimandare alla fine di ogni annata i fatti minori, conferisce alla narrazione una certa monotonia per il continuo uso delle espressioni: in questo mezzo, nel mentre che, intanto che ecc. Un altro difetto che si riscontra nella Storia Italiana del Cresci è la mancanza di proporzione fra le varie parti : spesso infatti vi si parla diffusamente di certi avvenimenti di secondaria importanza, e si tacciono invece fatti politici di primo ordine. Così , per es. , il Cresci non accenna affatto a quanto stipularono l’imperatore e il papa convenuti a Bologna, mentre descrive con ricchezza di particolari il temporale furioso che nel 1539 si rovesciò su Roma e le tappezzerie della sala che accolse il pontefice Paolo III e Francesco I a Nizza e tante altre minuzie. L’ Oxilia in ultimo s’intrattiene a parlare delle fonti, ma questa parte mi sembra un po’ monca. L’A. avrebbe potuto accorgersi che, oltre ai Commentari del Capra, il Cresci sfruttò le Historiae di monsignor Giovio e attinse a piene mani, per quanto riguarda il racconto dei festeggiamenti e altri minuti fatti, a quei libercoli diffusi nel sec. XVI, i quali spuntavano subito dopo un grande avvenimento che colpiva la fantasia popolare e che formava la cosidetta letteratura a un soldo. (M. L. G.). Vittorio Poggi. Relazione circa alla pertinenza dell' area su cui fu costrutta la fortezza di Savana. Savona, Ricci, 1906, in 4.0, pp. 32, — Nella controversia insorta fra il comune di Savona e lo Stato 111 riguardo alla proprietà della fortezza , la cui destinazione militare è ormai in forza di decreto reale cessata, 11 P. ricerca le ragioni storiche per le quali quell’ edificio non debba essere considerato come patrimonio dello Stato, ma tornare al suo antico proprietario , cioè al comune. La parte che si riferisce al diritto giuridico venne svolta con ampia competenza naile memorie defensionali degli avvocati Paolo E-milio Bensa e Paolo Bigliati, onde il P. con rigoroso metodo storico — 104 — espone i fatti che suffragano, mediante il lume dei documenti, la tesi sostenuta dal comune. Da cotesto diligente esame si evince in modo irrefutabile che gli edifici distrutti per erigere la fortezza o erano comunali, o, privati, lo divennero per i compensi pagati dal comune ai proprietari; che le spese occorse alla edificazione di quell’opera militare furono in definitiva sostenute dal comune. Da ciò il pieno diritto di rivendicazione , che però non fu tenuto valido dal Tribunale. Una parte assai interessante di questa relazione si è Γ esame storico della quistione, se dopo il 1528 le gabelle di Savona fossero di spettanza comunale o governativa. Storia del reame di Napoli dal 1734 al 1825 di Pietro Colletta con introduzione e commento di Camillo Manfroni. Milano, Vallardi, 1905, voi. 2. — Meritava questa storia una ristampa ? Risponde affermativamente il M. con i presenti due volumi, ne’ quali l’ha riprodotta secondo il testo datone già per le cure del Capponi, ritenendo inutile ricorrere ai manoscritti, poiché l’editore fiorentino, con quella postuma pubblicazione, intese seguire a puntino le intenzioni dell’ autore. Ma il M. non si è dissimulato il grave compito che gli incombeva; quello cioè di vagliare con diligenza somma il racconto del Colletta in ogni sua parte, non solo per metterlo in relazione con quanto intorno allo stesso argomento si era venuto scrivendo dopo il tempo in che venne fuori quelT opera, ma per ristabilire 1’ esattezza e la verità là dove lo storico, o per difetto di buone fonti, o per evidente parzialità, o guidato da un erroneo concetto artistico era venuto meno all’una ed all’altra. Perchè, come tutti sanno, la storia del Colletta, se non mancò di lodatori anche soverchi, ebbe pur critici severi, violenti, esagerati, e privi , per ragioni personali , d’ ogni serenità. Importava quindi innanzi tutto far conoscere l’uomo nella sua vita e nell’ opera sua, per vedere da quali ragioni mossero i difetti , le manchevolezze, le contraddizioni che in questa si riscontrano. A codesto l’editore ha provveduto nella prefazione biografica, dove sottopone ad imparziale disamina la figura del Colletta nelle vicende della sua vita, e giudica del pari con equa lance della importanza e della attendibilità della storia. Lacuale non poteva più oggimai comparire per le stampe, senza un conveniente apparato critico, un commento continuo , volto a ristabilire 1’ ordine e la verità dei fatti, correggendo in un tempo giudizi o avventati, o addirittura inaccettabili sopra uomini e cose. E questo, sebbene ristretto ne’ limiti richiesti dall’indole scolastica della pubblicazione, è riuscito in generale pienamente al suo fine; poiché avverte ed e-menda, chiarisce ed illumina. Il lavoro del M. viene opportunamente a provare che la storia, pur co’ suoi riconosciuti difetti, ha « una parte notevolissima, che resiste alla critica più diligente e più minuta , che non può essere messa in dubbio, che deve essere consultata e citata con onore », ed è poi singolarmente lodevole per « il magistero della forma, la robustezza dello stile, il concetto tutto moderno, a cui s’informa il racconto, che non consiste solo nella narrazione dei fatti po — 105 — litici, delle guerre, delle paci, ma che per la prima volta assurge allo studio delle condizioni morali e civili del popolo , dei progressi della civiltà », onde non parrà esagerato il conchiudere « che come opera d’ arte merita d’ essere tenuta , e non solo dagli italiani, in altissima considerazione ; perchè poche opere tra le antiche , pochissime fra le moderne, la possono superare o pareggiare ». Con queste parole infatti chiude il M. una sua comunicazione all’Accademia di Padova (Atti e memoriey XXI) nella quale rileva l’ingiusto giudizio del Iohn-ston sulla storia del Colletta, mentre nell’opera sua, che tratta lo stesso periodo , ad essa attinge e ne conferma implicitamente la narrazione. Diremo in fine che il M. ha fatto opera savia di storico, e buona di patriotta , e giustamente si ripromette che con le sue cure la storia apparirà « ora nella vera luce », e ne potranno « trarre qualche vantaggio anche i cultori degli studi storici ». Ugo Assereto. Ponte Carregci o ponte delle Carraie f Genova, Carlini, 1906. in 8.°, pp. 11 (estr. d. Rivista Ligure, 1905). — L'indicatore dell’Annuario genovese reca ora Ponte delle Carrarey in seguito certo ad un rilievo fatto da Francesco Podestà fin dal 1902 (Montesignano, Sant'Eusebio, Serrino e Doria, Genova, Gioventù, 1902, p. 2 e sg.). Ma l’A. tratta in questa sua scrittura di proposito l’argomento con la nota competenza , e raccoglie da documenti diversi la prova che la denominazione Carrega, la quale continua a comparire in giornali, in avvisi, in biglietti dei trams, è un errore e per di più relativamente recente , e perciò si avrebbe ormai ad uniformarsi al citato indicatore con una leggiera modificazione, che ci sembra molto plausibile, e cioè scrivendo e dicendo Ponte delle Carraie, che in questa guisa, mentre da un lato il vocabolo si porge più conforme all’ indole della lingua (ed esempio ce ne dà la Toscana), dall’altro meglio s’accosta alla pronuncia vernacola della quale, in fatto di toponomastica , convien pur tenere il debito conto. Aggiungeremo che FA. pone sotto i nostri occhi, secondo opportunità, alcune altre notizie ed osservazioni utili e peregrine. E. G. Parodi. La data della composizione e le teorie politiche del-r Inferno e del Purgatorio di Dante. Perugia, Cooperativa, 1905, in S.", pp. 40 (estr. dagli Studi Romanzi , n. 3). — Acuta disamina e rigorosa esposizione di tutti gli argomenti che valgono a dare la prova, nella difficile materia interpretativa, meglio plausibile, intorno al tempo in cui Dante scrisse le due cantiche , e le pubblicò. Egli per ragioni intrinseche ritiene essersi posto il poeta al lavoro (non disconoscendo la probabilità d avervi dato principio anche prima) di proposito nei primi anni dell esilio e condotto a termine VInferno v’abbia più tardi rimesso la mano con qualche giunta o conciero, com’è naturale; quindi pubblicatolo insieme al Purgatorio la cui composizione, secondo le sue argomentazioni strettamente logiche, deve porsi fra la elezióne di Enrico \ II e il 1312 ο 13. A queste conclusioni egli intende dar buon rincalzo con un rilievo importante tratto dalle viscere e dal concetto \ — i ο 6 — informatore del poema , dimostrando cioè che nell 'Inferno non c’ è € ancora profondamente meditato nè , quindi , foggiato in un vero e compiuto organismo quel sistema politico-sociale, che tutti credono di dover riconoscere in tutta l’opera sua , e che , per lo meno , appare realmente nelle due ultime cantiche del poema , nelle Epistole e nel De Monarchia », donde le « differenze che intercedono fra le teorie politiche esposte nel Purgatorio e quelle che sono accennate néìVInferno ». E poiché la teoria imperiale e quindi la distinzione de’ due soli, dei due reggimenti, l’indipendenza delle due Potestà ’ ib 11 og ra fi a dantesca vi relazione alla Luni'· g lana. — Il secondo volume contiene un lavoro di Giovanni Sforza dal titolo : Dante ed i Malaspina, che è diviso nei seguenti capitoli : I. Opinioni degli scrittori sul soggiorno di Da7ite in Lunigiana dal Boccaccio al Pelli (1394-175S). — II. Il risveglio del culto di Dante in Lunigiana — III. Esame de’ docume?iti danteschi di Sarzana — IV. Le discordie tra’ vescovi di Luni ed i Malaspina — V. La controversia sul Moroello amico di Dante. — VI. Quale de* Moroelli Malaspina sia Vamico di Dante — VII. GherardÌ7io Malaspina, vescovo di Luni e la lettera di Dante a’ Cardiiiali italia7ii. — Appendice di documenti. I volumi sono corredati da copiose illustrazioni, di alberi e di facsimili. **# È uscito coi tipi di Alberto Marchi a Lucca il primo fascicolo (novembre 1906) di Apua giovane rassegna d'arte , storia e filosofia compilata da « un manipolo di giovani scrittori lunigianesi » i quali si propongono, « rievocando l’aspra e fiera gloria degli antichi apuani, e illustrando 1’ arte e leggende delle chiese e delle castella onde lor madre terra ancor incorona le verdi valli risonanti del perenne strepito del Magra, chiarir qualche pagina oscura di lor gente, riesaltarne qualche bel mito», e così « raccogliere l’espressione e le attitudini varie dell’ingegno ligure e specialmente apuano ». Diamo il benvenuto alla nuova rassegna e facciamo voti ed auguri di prospera e lunga vita. Negli Appunti di bibliografia riferiamo l’indicazione degli articoli che interessano la nostra regione. *** Il quarantesimo anniversario dell’ insegnamento del prof. Arturo Issel venne festeggiato nell’ Ateneo genovese con speciali onoranze. L’illustre naturalista, il profondo indagatore de’ tempi preistorici, l’illuminato e sapiente viaggiatore, 1’ erudito geografo ben meritava codesta pubblica attestazione di stima da parte de’ colleghi, degli studenti, delle autorità, della cittadinanza. Le opere sue, e le scritture diverse, dettate con sicura dottrina, e con lucidità di forma, del pari che l’insegnamento, che si direbbe non senza ragione, apostolato della scienza, innalzano la sua personalità e costituiscono la solida base della sua fama. L’Associazione Ligure dei giornalisti ha promosso debite ed opportune onoranze per Anton Giulio Barrili, alle quali ha fatto adesione anche il nostro giornale. Conferenze. La Società letteraria Cristoforo Colombo continua le sue conferenze dantesche. Ha dato principio il prof. E. G. Parodi, nostro collaboratore, commentando il XII canto del Purgatorio; commentò il XIII il prof. Giulio Salvadori, il XIV il prof. p. Luigi Pie-trobono. — Il prof. Arturo Labriola ha tenuto al teatro Paganini una conferenza filosofica sul tema seguente : Il pregiudizio e le idee moderne. — Ceccardo Cecardi Roccatagliata ha tenuto una conferenza sul tema seguente : Il libero pensiero e alcuni Papi del rinasci?ne?ilo (1447-1520): notizie d' arte. APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Andreani Silvio. Il comune di Cascia in Lunigiana. Treviso, Nardi, 1906, in 8.°, pp. 62. Annuario della Società Ligure di Storia Patria. MCMVI. Genova (Roma, tip. Artigianelli) 1906, in 8.°, pp. 243, Annuario della R. Università degli studi di Genova. Anno scolastico 1905-1906. Genova, Olivieri, 1906, in 8.°, pp. 288. Antolini Carlo. Giuseppe Mazzini. Sanremo, tip. Ligure, 1906, in 16.°, pp. 27. Apua giovane rassegna d’ arte , storia e filosofia. Lucca , Marchi, 1906; η. I: Dalla torre di Miilazzo [ode] (Ceccardo Roccatagliata-Ceccardi) — La metropoli apuana (U. Formentini) — Il dio termine, novella di Val di Magra [frammenti] — Carlo Fo?itana , profilo : (C. Martinelli) — La commemorazione di Dante Alighieri in Val di Magra. A Mulazzo — A Sarzana. — Richiami, note e commenti — Per un ricordo marmoreo a Percy Bysshe Shelley in S. Terenzo — I della Robbia di Villa franca — Il Lupomanajo, leggenda pontremolese. Barrili Anton Giulio. Ippolito Gaetano Isola (in Annuario della R. Univei'sità di Genova, Genova, 1906, pag. 131). Bellet Daniel. Les transformations du Port de Gênes (in La Nature, 30 giugno 1906, pp. 65 sg., 2 figg.). Bennati Nando. Nella Alpi Apuane (In Rivista mensile del Tou-ri?ig C. I. Anno XII, n. 11. Novembre 1906, pp. 351-355, con 7 figure). Bertelli Timoteo. Se Cristoforo Colombo sia stato lo scopritore della declinazione magnetica. Nota postuma in risposta alle obiezioni del dr. A. Wolkenhauer edita a cura del D. L. Franceschi (in Rivista di Fisica, Firenze). Bigoni Guido. Il Museo Colombiano a Genova (in Rivista geografica italia?ia, anno XIII, fase. IX). Bigotte Felix E. Colon y su descubrimiento : El Nuevo Mundo ò la Gran Colombia. Caracas, I. M. Herrera, 1905, voi. 3, in 8.°. Boccazzi Isotto. Lettere inedite di Mazzini e Kossuth a P. F. Calvi (in Nuova Antologia, 1906, i.° luglio, p. 91). Bolzaneto antico e moderno, miscellanea di preziose memorie (in La Madonna della Guardia, 1906, n. 3-4 >. Bonaventura Arnaldo. Autobiografia di un violino (in Ebe, Chiavari, 1906, n. 12, pag 16). È il violino di Paganini. Buglia Luigi. I sonetti del Tavarone. Pontremoli , tip. Rossetti, s. a. (1905), in S.°, pp. 14. - 112 - — I sonetti de la Gordana. Pontremoli, tip. Rossetti, 1906, in 8.°, pp. 10. — I sonetti de la Capria. Pontremoli, tip. Rossetti, a. s. (1906, in 8.°, pp. 12. Bollettino della Socielà storica Savonese, Anno VII , 1906 , n. 1. — Il progetto di Canale navigabile Savona-Alessandria- Venezia (A. Bruno) — La tutela dei monume7iti e delle opere d’ai'te in Savona dal i88ç al 7906 (A. Bruno) — Cristoforo Colombo (A. e F. Bruno) — Omaggio a Paolo B ose Ili (A. Bruno) — Savo?iesi sospetti politicamente nel primo periodo del sec. XIX — Ly opera secolare dei PP. Scolopi in Savona (A. e F. Bruno) — Il bando contro Gia?iluigi Fieschi — L’orientazione e la discesa della Via Emilia nei Vadi Sabazi (A. Bruno) — Memorie sulla cattività di Pio VII in Savona (F. Bruno) — Qui-stioni di archeologia e di storia — Arte savonese — Il cortile del palazzo della Rovere in Savona (A. Bruno). Buscaglia Domenico. Giuseppe Bozzano da Savona e le sue o-pere (in Arte e Storia, XXV, 19-20). Cambiaso Domenico. L’antica parrocchia di Brasile-Cremeno annessa alla parrocchia di Brasile (in La Madonna della Guardia, 1906, n. 3-4)· Cappelle minori di Bolzaneto. La Cappella di S. Antonio e la Cappella Garibaldi. Mons. Antonio Garibaldi (in La Madonna della Gtiar-dia, 1906, n. 3-4). Capellini G. Aperçu historique du Congrès international d’An-tropologie et d’Archéologie préhistoriques. Paris, [1906], Librairie C. Reinwald, Schleicher FF. et C.ie. (Extr. de L’Homme Préhistorique, III année, 1905, n. 5) — in 8.° di pp. 7 (Macon , Protat FF. imprimeurs). — Fa la storia della Genesi dei Congr. intern. d’archeologia preistorica avvenuta alla Spezia nel 1865. — L’azione distruggitrice del mare nella costa dirupata dell’Ar-paia a Porto Venere e nelle vicine isole. Bologna , tip. Gamberini e Parmeggiani, 1906, in 4.° di pp. 15 con 6 tavv. (Estr. d. S. VI, t. Ili, d. Memorie della R. Accad. delle Scienze dell’istituto di Bologna). Carcerieri Luigi. Agostino Centurione mercante genovese processato per eresia e assolto dal Concilio di Trento (a. 1563). Trento, Zippel, 1906. Estr. àa\VArch, Trentino, a. XXI, fase. II. Caregaro-Negrin Umberto. Il « De felicitate » di Francesco Zabarella e due trattati sul bene e la felicità del secolo XV (in Classici e. neo-latini, Aosta, li, p. 281). Vi si parla dell’operetta di Bartolomeo Fazio : De vitae felicitate. Centenario (V) della morte di Colombo (in Rivista geografica ita- l.ia7iay XIII. p. 363). — 113 — Centenario (Per il sesto) dalla dimora di Dante in Lunigiana (in II Torneo, Sarzana, 1906, n. 7). Centenario (Il VI) di Dante in Val di Magra (in IL Popolo, La Spezia, 13 ottobre 1906, A. II, n. 41). Segue una nota storica. Centenario (II) della dimora di Dante a Sarzana (in II Lavoro, gazzetta della Spezia, 13 ottobre 1906, A. XXVII, n. 41), Centenario (II) dantesco in Lunigiana, e la terza pubblica solenne adunanza della Società dantesca italiana (in La Rassegna Nazionale, t6 ottobre 1906, pp. 604 sgg.). Cerchiari L. C. Nel paese delle pignatte (Albissola Marina) (in Il Secolo XX. n. 9, 1906, p. 730). Cerisier I. E. Le pasteur Nicolas Oltremare, 1611-1680. Son origine, sa vie et son temps. Avec des illustrations et une préface de M. le pasteur P. De Felice. Torino, Bocca , 1905, in 8.°, pp. VIII-308. 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Gli Arcivescovi di Genova e il Santuario di Nostra S. della Guardia in Val Polcevera. Genova, tip. Gioventù, 1906, in 8.°, pp. 18. Crispolti Filippo. Per il quattrocentesimo dalla morte di Cristoforo Colombo [discorso] (in Rassegna Nazionale, CL, p. 40). D’Ancona Alessandro. Epigrafe [a ricordo della venuta di Dante in Castelnuovo scolpita in marmo e collocata sui ruderi dell’antico palazzo episcopale] (in 11 Torneo, Sarzana, 1906, n. 6). — Pace ! [discorso pronunziato a Castelnuovo di Magra il 7 ottobre 1906 inaugurandosi la lapide dantesca] (in II Torneo, n. 7. anno I, Giorn. St., e Lett. della Liguria. 8 — 114 — _ in Giornale d'Italia, n. 286, anno VI — in Corriere della Spezia, n. 83, anno X — in La Rassegna Nazionale , 16 ottobre 1906 , pagina 625). Dante, la Lunigiana e Verona (in II Marzocco, A. XI , n. 42 , 21 ottobre 1906). De Ferrari T. G. B. Dei titoli nobiliari dei patrizi genovesi e della famiglia De Ferrari della Croce. 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Felice di Brasile. - Le prime origini della chiesa di Bolzaneto — I possessi dei benedettini a Bolzaneto — Due imperatori e un re a Bolzaneto — La serie dei Parroci (in La Madonna della Guardia , 1906, n. 3-4)· — US — — 11 « Siestri » di Dante Alighieri (in Sestri Levante, numero u-nico, p. 5)· — Documenti intorno alle relazioni fra Alba e Genova 1141-1270. Pinerolo, tip. Chiantore Mascarelli, 1906, In 8.°, pp. IV-307. — In Fontanabuona — Ad Ognio : impressioni e note (in II Cittadino , 1906, n. 266). _X porti della Corsica (in Monografia storica dei porti dell’Italia Insulare, Roma, 1906, Ministero della Marina ed. (Off. Poligraf. Italiana), pp. 1-66, con i tav.). _ X genovesi ai bagni attraverso i secoli (in Caffaro, 1906, numeri 219, 221). _ Documenti intorno ai trovatori Percivalle e Simone Doria. Seconda serie (in Studi medievali, II, 1, in continuazione). Feste dantesche (Le) a Sarzana (in La parola socialista , numero unico [ma seguito del giornale Libera parola] , Spezia , 12 ottobre 1906). Foglie sparse, n. 7 : Il Preziosissimo Sangue di N. S. Gesù presidio della città di Sarzana. — Il castello della Brina del documento dantesco. — N. 8 : San Michele di Casarza (P. R.) — La Lunigiana nella Divina Commedia (F. Podestà). — N. 9-10: Da7ite e la Luni çiana _ Net VI ce?itenario della venuta di Dante in Lunigiana (F. Podestà) — Dante nella vita a nelle opere — Io dico seguitando — Appunti storici. Dante in Lunigiana: trattenimento accademico — San Michele di Casarza (P. R.) — N. 11: I nostri illustri: Giacomo Car-niglia — Una lettera di Andrea Doria — Note storiche : Eremitaggio di Barcacima in Casarza. — N. 12: Appunti storici : Solenni funerali celebrati nella Cattedrale di Sarzana al Pontefice Pio VI. Fuscolino [Filippo Crispolti]. Dopo le feste dantesche in Lunigiana (in Il Cittadino, Genova, 11 ottobre 1906, anno XXXIV, numero 28). 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Epigrafe [a ricordo della venuta di Dante a Sarzana, scolpita nel marmo e collocata sulla facciata del Palazzo Comunale di quella città] (in II Torneo, Sarzana, 1906, n. 6). — Castelnuovo nel sesto centenario della dimora di Dante in Lunigiana (Ivi), — Un bacio dato non è mai perduto. Storiella del seicento. Città di Castello, Scuola tip. cooperativa, 1906, in 8.°, pp. 24. — Episodio della vita sarzanese. Penzig G. Federico Delpino (in A?inuario della R. Università di Genova, Genova, 1906, oag. 120). Per un Museo a Genova (in II Rinascimento, A. II, 1906 , 20 lu-glio, n. 17, pp. 92-95)· Persoglio P. L. Le vie di Genova (in Settimana religiosa, 1906, 11. 21, 24, 25, 26, 27, 28, 30, 31, 32, 34, 36). — Le figlie di Casa (ivi n. 23, 24). — Storia ecclesiastica di Genova (ivi, n. 28, 29, 30, 32, 33, 34, 36). Pesce Ambrogio. Un episodio del costume in Genova (il ratto di una fanciulla, 1451) (in Rivista Ligure, a. XXVIII, p. 160). Pica Vittorio. 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Una chiesa ove pregò Dante (in Ebe) Chiavari, 1906, n. 12, pag. 21), La chiesa di S. Salvatore di Lavagna. Seeliger P. Cristoforo Colombo [nel IV centenario della sua morte, 21 maggio 1906] (in Welt und Haus, V, n. 33). Sestri Levante. Tomaso di Savoia. Numero unico. 10 luglio 1906. Lavagna, tip. Artigianelli, 1906, in fol. pp. 8, fig. — 120 — Sforza Giovanni. Autobiografìa inedita di Gio. Antonio Faie speziale lunigianese del secolo XV (in Archivio storico per le Provincie parmensi, Nuova Ser., vol IV, p. 129). — Parole al popolo di Sarzana [Inaugurandosi la lapide commemorativa del VI centenario dantesco] (in La Rassegna Nazionale, 16 ottobre 1906, pp. 609-612). SiMONETTi Adolfo. Bartolomeo Beverini storico e poeta lucchese del sec. XVII. Foligno, tip. Giuseppe Campi, 1906, in 8.° di pp, 93. 11 B era oriundo di Beverino nei monti della Spezia, non nelle Alpi Apuane, come dice ΓΑ. Solmi Arrigo. Studii per la storia del diritto commerciale. A proposito di recenti pubblicazioni (in Rivista di diritto commerciale, Milano, A. IV (1906) fase. V). Specialmente a proposito dell* opera di H. Sieveking, Studio sulle finaiize genovesi nel medio evo e in particolare sulla Casa di S. Giorgio, trad. di O. Soardi, Genova, 1906. Sommariva Angelo. La prima « Festa Nazionale Italiana » in O-regina (in Caffaro} XXXII, n, 347). Suida Wilhelm. Genua. Leipzig, Verlag von C. R. Seemann, 1906, in 8.°, pp. 205, con fig. Strenna a benefizio del Pio Itituto dei Rachitici in Genova. Anno XXIV. 1907. Genova, tip. Imp. d’affissione, 1906, con tav. e figg. Tombe (Le) di Cristoforo Colombo (in Allgemeine Zeitung , 1906, n. 117). [Torchiana Luigi]. Epigrafe [a stampa nell’Archivio Notarile di Sarzana sullo stipo dove si conservano gli strumenti danteschi]. Fol. voi. s. n. tip. Trucco A. F. I primi municipali della città di Nove (in Rivista di storia, arte , archeologia della provincia di Alessandria , XVII, p. 409)· Vaina de Pava E. 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Prose di Giuseppe Baretti scelte ed annotate da Luigi Piccioni. Torino, Paravia, 1906. Fonti della storia di Verona nel periodo del risorgimento (1796-1870). Verona, Franchini, 1906. Achille Pellizzari. Su la più antica testimonianza delV esistenza del volgare 7ielle Gallie. Torino, Loescher, 1906. Alberto Lumbroso Stornelli popolari romani. Torino, Clausen, 1906. Alberto Lumbroso. Dal Renan al Thiers ed al Taine. Ricordi di un contemporaneo. Roma, (Troni Vecchi), 1906. Lèoìiard le coiffeur de Marie-Antoinette est-il mort guillotiné? pur Albert Lumbroso. Paris, Picard, 1906. Gaetano Capasso. L'officio di sanità di Monza durante la peste degli anni 1536-77. Milano, Cogliati, 1906. Giovanni Livi. Cultori di Dante in Bologna nei secoli XIII e XIV. Roma, 1906. Guido Bigoni. Dopo Lissa, (1811). Milano, Cogliati, 1906. Un bacio dato no?i è mai perduto, storiella del seicento per Achille Pellizzari. Città di Castello, Cooperativa, 1906. G. Micheli. Quattordici lettere di Pietro Giordani a Vincenzo Mistrali. Parma, Zerbini, 1906. Alfredo Segré. Appunti di storia, d'arte e di letteratura. Pisa, Mariotti, 1906. Autobiografia inedita di Gio. Antonio da Faje speziale lunigianese del secolo XV. Parma, Zerbini, 1906. Lodovico Frati. Rime Ì7iedite di Bai'tolovieo Fonzio. Torino, Loescher, 1906. Lodovico Frati. Poesie Satiriche per la guei'ra di Castro. Firenze, Galileiana, 1906. Giuseppe Giorcelli. Medaglia commemoi'ativa della co?iquista di Torino e di Po7itestura Mo7iferrato fatta dai francesi nelVa7mo 1643. Milano, Crespi, 1906. Docicnie7iti Ì7iediti e poco 7ioti della cittadella di Casale (1590-1695) pubblicati ed illustrati da Giuseppe Giorcelli. Alessandria, Picone, 1906. Giuseppe Giorcelli. Medaglia francese commemorativa della presa di Verruca 7iel 1705. Milano, Cogliati, 1906. Antonio Pilot. U71 peccatacelo di Domenico Venier. Roma, Centenari, 1906. Antonio Pilot. Ca7izo7ii Ì7iedite di Maffeo Venier. Capodistria, Previa, 1906. Mo7iografia storica dei porti dell*antichità nell*Italia insulare. Roma, Poligrafica, 1906. AVVERTENZE 1) Il giornale si pubblica di regola in fascicoli trimestrali di 120 pagine ciascuno. 2) Per ciò che riguarda la Direzione rivolgersi in Genova al Prof. Achille Neri - Corso Mentana, 43-12. 3) Per quanto concerne l’Amministrazione, esclusivamente all’Am- ministrazione del periodico - Spezia. 4) Il prezzo d’associazione per lo Stato è di L. 10 annue. — Per 1’ estero franchi 11. AI SIGNORI COLLABORATORI La Direzione concede ai propri collaboratori 2 5 copie di estratti dei loro scritti originali. Coloro che ne desiderassero un maggiore numero di copie, potranno rivolgersi alla Tipografia della Gioventù - Via Corsica N. 2 (Genova) che ha fissato i prezzi seguenti : Da i a 8 pagine Da 1 a 16 pagine Copie 50.....L. 6 Copie 50.....L. 10 » 100.....» 10 » 100.....» 15 » 100 successive » 6 » 100 successive . » 8 In questi prezzi si comprendono le spese della copertina colorata e della legatura, nonché di porto a domicilio degli Autori. Prezzo del presente fascicolo L. 3 ~ IORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA T s—·ν nr -y τ a diretto da ACHILLE NERI * * * ^l(^rU rvlrV e DA UBALDO MAZZINI * * * pubblicato sotto gli auspici della Società Ligure di Storia Patria I9°7 ANNO \ II Aprile-Maggio-Giugno Fascicolo 4-5-6 SOMMARIO. U. Mazzini : La guerra del 1799 nell’Appennino Ligure, pag. 121- G. Sforza: Contributo alla vita di Giovanni Fantoni, pag. 141 — G· Brogno igo . n pio Tessere del seicento, pag. j92. - BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO : si parla di M. Roberti (G. Bigoni), Pag. 205. - ANNUNZI ANALITICI : Vi si parla di F. Neri, Autografi di Mazzini, Garibaldi e Mameli, S. Andream, Lettere di L. Colombo, M. Lupo Gentile {C. Manfroni), N. Damianos - P. Sturlese (N. Vinello), L. d’Isengard, G. Krilov - F. Verdinois {G. Bigoni), F. Bouvier (G. Βι goni), F. Rizzi (F. L. Mannucci), G. A. da Faie, A. Pesce, G. Micheli, L. Prati, G. Giorcelli, G. Bigoni, A. Lumbroso, A. Segré, G. Livi, G. Capasso, A. Pel-lizzari, pag. 2oç. — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 223. - NECROLOGIO : Nicolò Anziani {P. Bologna); Vincenzo Paoletti; Luigi Arnaldo Vassallo; Guglielmo Ghinetti ; Angelo Solerti ; Giosuè Carducci, pag. 227. - SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA: Cronaca della Società, pag. 235. DIREZIONE Genova - Corso Mentana 43-12 LA SPEZIA Società d* Incoraggiamento editrice Genova - Tip. della Gioventù AMMINISTRAZIONE La Spezia - Amministrazione del Giornale \ LA GUERRA DEL 1799 NELL’APPENNINO LIGURE In una lunga digressione inserita neirerudito studio sul Maggio, Giulio Rezasco s’indugia a narrare con minutissimi particolari un episodio della guerra del 1799 avvenuto sul versante pontremolese deir Appennino, e precisa-mente nel territorio di Zeri. Non dispiaccia che qui lo riproduca con le sue stesse parole : « Ho lasciato ultimo Zeri, villata sulla montagna pontremolese , per dove non si passa senza fermarsi a pensare al sanguinoso mucchio di Franceschi che vi fece la guerra il 26 maggio 1799; taciuto dalla storia che nota i fatti grandi, ed i piccoli, mossi dalla stessa origine e condotti con la stessa virtù, talvolta maggiore, trascura. In quel giorno memorando due colonne di Francesi provenienti, Γ una dal Borghetto di Vara e l’altra dalle Cento Croci, circa trecento comandati da un Graziani Corso , penetrarono nel territorio di Zeri , dove diretti non si sa bene. Ella è pur dubbia la causa prossima del movimento popolare contro di loro. Alcuni vogliono che i Francesi facessero larga rapina di bestiame , come in terra nemica ; alcuni che oltraggiassero le donne. In coscienza si può credere Γ uno e Γ altro. I Francesi rttberiano coll'alito , scrisse il Machiavello che li conosceva ; e l’insolenza loro verso le donne è storica. Se c’entrò l’amore di parte, secondo il motto informatore della vita civile e religiosa dei Zeraschi e degli altri montanari liguri: Un solo Dio, un solo Papa, un solo Imperatore: questo che fa ? Le Parti che spazzano pure un lembo del sacro suolo della patria, in quell’ atto non sono parti, ma Nazione, e siano benedette. Fatto è che alla notizia dell’a-vanzarsi dei Francesi, quanti in Zeri avevano esperienza d’armi, ed erano capaci di menar le mani e comunque di aiutare i combattenti, corsero ad incontrarli sui monti che cingono la loro valle. I Francesi procedevano sparsi, non sospettando che un branco di villani e male armati osassero contrastare ai primi soldati del mondo ; ancora erano Giorn. St. e Leti, della Liguria. 9 - 12 2 incerti delle vie , non conoscenti dei luoghi. Di ciò trassero lor vantaggio i nostri montanari; ed al suono della campana a martello , guidati da un umile sacerdote , Giovanni Monali, gli affrontarono. Combatterono con veggente coraggio, divisi in piccole squadre, come vuole la guerra di montagna, senza esserne stati insegnati (il cuore è maestro a chi l’ha), sempre appostati alla proda di una fossa, ad uno scheggione di monte , ad un ciglione o qualsiasi riparo, aspettanti chetamente il nemico all’agg-uato ; quindi saltar fuori improvvisi, terribili, una o due scariche di fucilate e qualunque altro capitasse alle mani , a colpo sicuro, e via ad appostarsi di nuovo. Assaliti i Francesi in questa forma, di fronte, a tergo ed a’ fianchi, invece di fare una testa grossa sul centro del paese , per difendersi tutti e da tutti, si sparpagliarono e indebolirono di più. Ornai pericolavano palesemente. Più volte alzarono segno di resa e di pace ; ma o non inteso , o non voluto intendere , i Zeraschi continuavano a fulminarli con furia crescente. Se il Prete capitano aggiungeva al valore il senno guerriero, de’ Francesi non ne scampava uno. Laonde riusciti vani i loro sforzi di aprirsi un varco in quelle strette mortali e proseguire alla loro via, messi alla disperazione dovettero contentarsi di poter retrocedere. E stremati e franti risalirono il mal disceso apenninò , e calarono pel passo della Foce grande su Borgotaro. De’ Francesi , caduti nel combattimento molti , oltre agli sbandati trovati pe’ boschi il giorno dopo e trucidati anch’essi, forse feriti, forse preganti pietà, certo innocui ; e ciò umilia l’affetto e strazia l’anima. De’ Zeraschi, morti non più che sette, compresovi un prete, Domenico Giuseppe Filippelli cappellano di ottantadue anni, ed una donna, Caterina Rossi di tren-tacinque , ferita a morte col figliuolo delle sue viscere in braccio ; il che fa credere che oltre i sacerdoti , pur così vecchi come il Filippelli, anco le donne avessero parte alla nobiltà del pericolo. Il bambino poi strappato dal freddo seno materno fu gittato dai Francesi in uno spineto. Ma fortunato sopravvisse alla rabbia straniera, tanto che morì da pochi anni. Una sola famiglia, quella del Filippelli, diede — 123 — tre morti alla patria: sia lode al suo nome. Ai Zeraschi della gloriosa vittoria restarono trofeo molte armi nemiche, delle quali conservavano ancora buon numero ultimamente; restò il modesto compiacimento nell’ opera forte ed il plauso de’ fratelli; e restò a me l’onore di rinfrescarne la fama » (i). Questo , che il Rezasco racconta , non è che uno de’ tanti episodi della guerra del 1799, durante la quale la reazione , alleata delle armate austro-russe , faceva ogni sforzo per ribadire al piede de’ popoli le catene della servitù ; quelle catene che le armi francesi in nome della libertà protestavano di essere venute a spezzare. In verità gli entusiasmi del chiarissimo filologo per il fatto di Zeri non si arrivano a spiegare che con la poca conoscenza che mostra delle cose di quel tempo; giacché ormai, a più d’un secolo di distanza, è possibile giudicare serenamente, senza passione, e comprendere che non amore di patria o spirito di parte animava quei montanari ad opporsi alle armi francesi, ma solo ignoranza e superstizione fomentate dai capi liguri della reazione sorretti dalle armate, allora vincitrici, del dispotismo. (1) Giulio Rezasco, Maggio. In: Giornale Ligustico di Archeologia, Storia e Letteratura fondato e diretto da L. T. Belgrano ed A. Neri, Anno XIII , 1886 , pp. 115 -11S. — A proposito delle « armi nemiche » il R. aggiunge in nota (pag. 118): « Le armi francesi tenute rimpiattate, furono da’ Zerarchi rimesse alla luce e forbite nel 1847 , quando il loro Comune pel trattato di Firenze del 1844 venne ceduto in baratto con altri dal Governo della Toscana a quello di Parma, ecc. ». Posso a questa notizia aggiungerne un’altra, di poco posteriore, che prova con documento che quelle armi non erano il preteso bottino di guerra fatto sui Francesi, ma poveri fucili da caccia. Nel 1853 pare che il Governo Parmense imponesse o avesse in animo di imporre la consegna all’autorità di tutte le armi che si trovavano in mano dei privati; e quei di Zeri per timore di perdere i loro fucili li depositarono al di là del confine in Orneto, frazione della parrocchia di Chiusola, e del Comune di Godano (Stati Sardi), dividendoli fra le varie case di quegli abitanti. Trapelò la faccenda, e le autorità della provincia della Spezia procedettero a indagini che chiarirono trattarsi di circa un centinaio di fucili, « quali però si ritengono tutti da caccia », di modo che non si « crederebbe che il deposito in paese dello Stato possa motivare la misura del sequestro ». (Dispaccio dell’ Intendente della Prov. in data del 15 marzo 1853). — 124 — L’episodio è narrato con tinte poetiche , e però necessariamente esagerate. Ed è naturale. Il fatto , tramandato per tradizione orale di padre in figlio, ha assunto un tono quasi da epopea, e ha trovato nel Rezasco il poeta che lo ha abbellito nelle sue carte. Non rapine infatti, nè oltraggi, nè strupri : i Francesi passavano per quel territorio diretti a rioccupare gli sbocchi dell’Appennino tolti loro dalle armate nemiche, con cui si azzuffarono in quel di Zeri. Quivi ebbero contro , oltre che gli Austriaci, i paesani sobillati dai preti e chiamati alle armi dal suono delle campane a martello. Ma non è vero che retrocedessero , e che stremati e franti risalissero « il mal disceso apennino » ; chè anzi, messi in fuga gli Austriaci, rioccuparono sui monti i passi perduti. E 1’ affermare che fa il Rezasco la loro calata su Borgotaro , è appunto la prova contraria di quel che asserisce! Più curioso assai di quanto narra il Rezasco, che d’altronde raccolse i fatti dalla tradizione orale quasi ad un secolo di distanza, e che d’ alcuni particolari protesta di non rendersi mallevadore , è ciò che ne scrisse il Montanelli con questo fuggevole cenno : « Li Zeraschi , famosi per la resistenza del 1799 al generai Victor, la quale, a confessione di Napoleone stesso, contribuì a fargli perdere la battaglia della Trebbia, mostravano le gloriose carabine degli avi » (1). Ma il fatto della Trebbia avvenne tra il 17 e il 19 di giugno, e questo combattimento di Zeri, del 26 maggio, non impedì le mosse dei francesi che vi si trovarono impegnati, i quali nel tempo prestabilito dal generale Dombrowski si ricongiunsero col resto delle sue truppe ; e giustamente già notò Giovanni Sforza che il Victor non si trovò a questo fatto d’ armi , e che Napoleone in nessuna delle opere dettate o ispirate da lui vi accenna (2). Se questo episodio , come l’intero movimento di cui è (1) Giuseppe Montanelli, Memorie sull’Italia e specialmente sulla Tosca?ia dal 1814 al iSjo, Torino, 1853, Vol. II, pag. 49. (2) Giovanni Sforza, Memorie e documenti per servire alla storia di > Pontremoli, Firenze 1904, Vol. I, p. II, p. 842. — 125 — parte, son poco noti, non son per altro del tutto « taciuti dalla storia », la quale ci chiarisce dell· intento dei Francesi, e della loro direzione. E però gioverà riassumere brevemente i fatti conosciuti, che verranno meglio lumeggiati dai documenti che pubblico , i quali possono considerarsi come inediti, perchè stampati in fogli volanti del tempo, e finora affatto ignorati. Sorta , dopo la partenza per Γ Egitto del Bonaparte (1798), la nuova lega delle nazioni contro la Francia, alla quale presero parte l’Inghilterra, la Russia , l’Austria e la Turchia, cominciò nella primavera del 1799 la campagna ch’ebbe sorti così tristi per l’Italia. Dopo i primi rovesci toccati ai Francesi, questi, padroni tuttora del golfo della Spezia, e occupate Massa e Carrara, mossero alla presa di Pontremoli , con un battaglione di milizie genovesi spedite dalla Repubblica Ligure , cui si unirono volontarie molte Guardie nazionali della Spezia e di Sarzana. Pontremoli era la chiave dell’Appennino : se ΓArmata del Mac-donald poteva arrivare fino a questa posizione, la sua ritirata e la/ congiunzione delle sue con le forze del generale Moreau, sia di qua come di là degli Appennini, erano assicurate (1). Il 2 di aprile il Graziani, capo di stato maggiore della Suddivisione della Riviera di Levante, Massa e Dipendenze , e comandante del Golfo della Spezia, alla testa delle forze anzidette, in tutto da quattrocento uomini, occupò senza colpo ferire Pontremoli, disarmò e fece prigioniere le truppe toscane di guarnigione, piantò ΓAlbero della Libertà, instituendo un governo provvisorio democratico, e il successivo giorno 6 tornò alla Spezia (2). Ma il generale Ott, distaccato con la sua divisione per impadronirsi di Modena e Reggio, conscio della importanza strategica eccezionale del posto di Pontremoli, mandò (1) Cfr. Précis des èvènemens militaires, ou essais historiques sur les campagnes de iyçç à 1814 par M. le Comte Mathieu Dumas lieutenant-général des Armées du Roi. Campagne de 1799. Paris, 1817, Tome I, pag. 161. (2) Cfr. Sforza, op. cit., pag. 841, e: Pontremoli e l’invasione francese del 179p. Quattro documenti storico-aneddotici pitbbl. a cura di C. Cimati. Pontremoli, tip Rossetti, 1893, in f°l- ad attaccarlo, e dopo di averlo facilmente occupato, spedi distaccamenti de’ suoi austriaci fino a Massa e a Carrara sulla linea di Pisa. I Francesi ripiegarono verso il Golfo e Sarzana, respinti dagli Austriaci, e molestati dalle popolazioni delle campagne, dove la reazione , alzata la cresta dopo le vittorie degli Austro-Russi , soffiava a pieni polmoni nel fuoco, specialmente per opera dell’ex nobile Andrea Doria, soprannominato il Rodomonte (i). Il generale francese Faivre comandante la Suddivisione della Riviera del Levante faceva pubblicare il 19 di maggio dalla Spezia il seguente proclama , seguito dalle severe minaccie del Gaultier, comandante della Toscana, contro le popolazioni ribelli all’armata francese: Liberté. Egalité. FAIVRE Chef de Brigade Commândant la Subdivision de la Rivière dii Levant. La Spezia le 30 Floréal An. sept de la République Française une et indivisible. Proclamation. L’Armée Autrichienne qui par sa marche menaçait d’envahir la Toscane , ainsi que le territoire de la Ligurie , avait inspiré aux ennemis de la République l’audace de réunir leurs bandes pour arriver aux hordes des esclaves du Nord , pour tomber sur les armées de la Grande Nation qui leur avaient donné la Liberté. Les agens des tyrans insultaient impunément les amis du peuple, et les. Patriotes avilis pour le moment par quelques revers, incertains du sort de l’Italie, gémissaient dans le silence et dans Pamertume, et ne vivaient plus qu entre la crainte et P espoir; mais deux jours de succès des armées Françaises que j’annonce avec tout le transport aux bons Citoyens, vont getter l’épouvante dans l’âme des perfides perturbateurs de l ordre social , comme aussi , j’en suis sur , ils ranimeront 1 esprit public et rendront aux vrais Républicains leurs vertueuse fierté et leur prémière energie. J’ai la satisfaction d’annoncer à tous les bons Citoyens de la Rivière Orientale de la Ligurie que l’ennemi a été complètement battu le 22 et 23 Floréal entre Novi et Tortonne, nous avons fait 4000 prisonniers à l’ennemi , qui à perdu beaucoup d’hommes dans ces affaires surtout les Rousses , dont un grand nombre s'est noyé en repassant la Scrivia. (1) Cfr. Annali della Repubblica Ligure dall'anno 1797 a tutto V anno 1805 [del Clavarino] Genova 1853, vol. Ili, pag. 5. Le Général Augereau avec des nombreux renforts est arrivé à l’armée. Les Généraux Joubert et Championnet on pris le commandement d’une Division. Cent milles hommes d’une nouvelle levée décrété par le Directoire Executif marchent à grands pas avec tout l’enthousiasme possible pour renforcer l’Armée d’Italie. Le Général Massena avance dans les montagnes du Tyrol avec ΓArmée qu’il commandait dans les Grisons. Les Autrichiens ont évacué à la hâte Milan, Pavie, Binasco, etc. Les insurgées du Piémont et des Monts Liguriens ont subis la peine dûe à leur témérité. Oneille et Arquata ont étés incendiés. Si d’après ces heureuses nouvelles propres à inspirer la plus grande confiance de la victoire , quelque commun osait ancore prendre les armes contre les troupes .Républicaines ou montrer de l’animadversion au système démocratique , des loix justes et des punition sévères les attendent ; que les méchants tremblent en lisant la proclamation du Général Divisionaire Gaultier, Commandant en Chef la Toscane. Article I. Toute Commune qui se permettra de former des attroupements séditieux sera sur le champ regardée comme rebelle, et traitée comme telle, tous les habitants trouvés les arms à la main seront fusilés à Γinstant, s’il ne mettent pas bas les armes à la première intimation qui leur en sera faite. Article IL Les Communes qui avront sonné le Tocsin et feront resistence à nos troupes seront livrées au pillage et brûlées , et les habitants qui ne mettront pas bas les armes, ou qui porteront la Coccarde ennemie seront fusillés. Les habitants qui n’auront pas pris part aux attroupements seront protégés et leur propriétés respectées. Article III. Les nobles et les prêtres répondront sur leur tête à l’Armée Française de la sûreté de tous les Républicains. Ils sont mis sous la surveillance permanente des Commandants Militaires. Article IV. Lors qu’une Commune se metra en insurrection les Curés et les Prêtres seront tenus d’aller au devant des insurgés, et d’employer leur influence pour les faire rentrer dans l’ordre. Ceux qui n’exerceront pas cet acte de civisme et d’attachement à leur patrie , seront regardés comme Chefs des Complots de l’insurrection et punis comme tels. Faivre (i). (i) Nella Stamperia di Gio. Batista Barani e Compagni [della Spezia]. - 128 — Primo a sperimentare gli effetti della rappresaglia francese fu il paese di Albiano sulla destra della Magra , che osò opporsi con le armi all’esercito repubblicano. Il generale austriaco Moczin, comandante l’avanguardia delle truppe imperiali , mandava il 21 di maggio dal suo quartier generale di Pontremoli al Graziani , che era a campo presso Ceparana, la seguente lettera , spirante nobile sdegno, e immenso amore per quelle misere popolazioni...... a parole ! Copie d’une lettre de M. MOCZIN General commandant l’avantgarde des Trouppes Imperiales à Monsieur le Commandant des Trouppes Françaises à Ceparana. Pontremoli le 21 Mai Pan 1799· Monsieur. J’ai été bien étonné d'apprendre hier par mes patrouilles, que vos Trouppes se son souillées d’un crime atroce, en pillant et brûlant le malhereux endroit 6'Albiano; mais je Pai été encore plus de voir par une proclamation que vous avez envoyée à Madrignano que cette barbarie etoit authorisée de vôtre part. J’ai crû jusqu’ici d'avoir à combattre des Guerriers humains, comme on le peut attendre d’une Nation civilisée. Mais voyant le contraire, je vous préviens , que si vous continuez à rénouveller ces scènes d’horreur, chaque français qui tombera entre nos mains m’en sera responsable; sans ménagement je le traiterai comme le meritent les incendiaires et les voleurs , en les aban-donant à la rage et à la vengeance juste d’un peuple qui ne cherche qu’a se garder du pillage et de defendre ses propriétés. Signé Moczin Commandant de ïAvantgarde. Non meno sdegnosa e fiera la risposta del Graziani : Le Cit.en GRAZIANI Capitaine Commandant les avant postes de la Division des Apennins à Monsieur le Général Autrichien Commandant à Pontremoli. Je suis bien plus étonné moi-méme, Monsieur le Général, que vous cherchies à nous faire la guerre en appellant à vôtre appui les pauvres habitans des campagnes, que vous les animiéz à se révolter contre nous ; en leur fournissant des armes et des munitions , en les arrachant du sein de leur familles et de leur traveaux , sous le vain Anno II della Repubblica Ligure. In-fol. di i pag. Ho conservato nel riprodurre questo e i seguenti documenti la grafìa degli originali. - 129 - pretexte de defendre la Religion; vous portéz la cruauté jusq’à mettre en avant le fanatisme et la superstition pour faire marcher à la mort un peuple ignorant, crédule et incapable de connaître le bût de votre ruse, et de votre ambition. Les hommes libres en faisant la guerre à leurs ennemis , savent respecter les propriétés et les personnes des habitans qui paisibles dans leurs chaumières, ne prenent aucune part à la guerre que les tirans nous ont suscitée ; mais si ces habitans malgré nos avertissements se rangent du coté de nos ennemis , tout ménagement serait injuste , et même inexcusable aux jeux de quiconque voudra nous juger avec impartialité. Les habitans de la Lunigiana que vous avez séduit, ne pouvoient pas plus que vous-même, ignorer la proclamation du Citoyen Général qui comande la Toscane, ils pouvoient choisir entre la paix et la tranquillité, ou le châtiment et la mort! C’est à eux-mêmes, c’est à vous qu’ils doivent imputer le sort, que les habitans d’Albiano , qui ont attaqués nos trouppes, ont éprouvés. Vous oséz parler d’humanité, et de civilisation! Comparez notre conduite, envers les blessés en grande nombre que vous avez laissés à Fivizano , et l’assassinat horrible dont votre gouvernement s’est souillé a Rastadt!...... Le monde entier , les nation mêmes les plus indifferentes à notre querèlle ont à juger entre vous et nous!.....la postérité burinera dans 1’ histoire de cette guèrre sanglante pour l’humanité , et les traits de cruautés qui ont accompagnés vos opérations militaires , et ceux de notre générosité ! Vos ménaces appuyées sur des faits dont vous aurez à rougir, ne m’en imposent pas; mes frères d’armes ne changeront point de principes ni de conduite; elle nous distinguera toujours des barbares du Nord, qui voudroient nous associer a leur honte et à leur esclavage; et c’est sur les vertus du Républicanisme que nous présenteront toujours au monde entier le spectacle d’un peuple décidé a vaincre ou à périr pour le maintient de sa Liberté et de l’honneur National. Signé Graziany (i). Ma la comunicazione appenninica si rendeva addirittura necessaria per i Francesi , eh’ avevano ancora in potere la Liguria e la Toscana ; bisognava al più presto liberarla dal nemico e ristabilirla , prima che gli alleati a-vessero tempo di fortificarvisi, o di concentrarvi un numero più grande di forze. Il generale Ott, lontano più di (i) Spezia 1799, nella Stamperia di Gio. Batista Barani e Compagni. Anno II della Repubblica Ligure. In-fol. di 1 pag. — 130 — quindici leghe da Pontremoli , non avrebbe potuto sostenere il suo distaccamento comandato dal Moczin ; e però Macdonald dispose sollecitamente per la rioccupazione dei punti perduti. Il generale polacco Dombrowski, o Dabrowski, che allora da Cortona era stato chiamato in Toscana per domarvi la reazione, il 19 di maggio ebbe ordine di occupare gli Appennini e di prendere il comando delle truppe agli ordini del generale Merlin , sotto la denominazione della Divisione des débauchés des Apennins. Già gli Austro-Russi minacciavano d’impadronirsi della Spezia, e di tagliare di là ogni comunicazione con l’armata d’Italia. Urgeva adunque agire con la massima sollecitudine. Per non perder tempo il generale Dombrowski divise la legione, e dette ordine al 2.0 battaglione, comandato dal capo Chlopicki, di rinforzare senza indugio il passo di San Pellegrino , occupato dalla 3.* mezza brigata formante la destra della divisione, per coprire con maggiori forze Modena. Lo stesso corpo si condusse per Lucca a Sarzana, lasciando in quella città una riserva composta di truppe francesi e della cavalleria polacca. Gli Austriaci erano già penetrati fino al Borghetto sulla Vara, all’Aulla sulla Magra, e a Sassalbo sull’Appennino. Il 3.0 battaglione, a rinforzo del passo di Fivizzano , si congiunse allora con la 55/ mezza brigata agli ordini del capo di brigata Ledru. Il i.° battaglione rinforzò il posto di fronte al Borghetto; congiungendosi con 1’ 8.a mezza brigata comandata dal capo di brigata Brun. Il generale Dombrowski s’arrestò in Sarzana con i granatieri e i cacciatori e una parte della cavalleria sotto gli ordini del capo Forestier, per sorvegliare il nemico al-l’Aulla. Suo scopo principale era di scacciare gli Austriaci eh’ erano in forza a Pontremoli, e di obbligarli di là ad abbandonare gli Appennini. Il 23 di maggio impartì i suoi ordini a tale effetto col seguente ordiìie del giorno emanato da Sarzana : — 131 — Pla?i d*expédition pour reprendre les débouchés de Pontremoli et de Cento-Croci, occupés par Vennemi. Sarzana, ce 4 prairial an VII. La colonne de gauche commandée par le chef de brigade Brun partira de Borghetto , et se portera près de Varèse pour attaquer Cento-Croci , d’où elle chassera l’ennemi. Elle poussera le plus loin possible , en jetant neammoins sur sa droite une bonne partie de sa troupe pour empêcher l’ennemi de se jeter sur Pontremoli. Si au delà de Cento-Croci il n’y a point de bonne position à garder, et qu’elle offrit au contraire à l’ennemi le moyen de faire un développement considérable et de reprendre l’offensive après avoir renforcé, alors le chef de brigade Brun se bornera à jeter seulement quelques tirailleurs à sa droite, en avant de Cento-Croci, pour le harceler et le forcer à se ritirer sur la gauche. Il laissera 400 hommes bien placés à Cento-Croci, et avec le reste de sa colonne il se portera par le chemin le plus court et le plus praticable , en descendant par sa droite pour joindre la colonne du citoyen Graziani, qui est aussi à ses ordres, et qui doit attaquer l’ennemi à Zeri, et le chasser au delà de Pontremoli. La colonne du citoyen Graziani, qui est sou les ordres du citoyen Brun, partira de Piana (1) , et par la route de Borghetto se portera par Brugnato, Suvero, Pietra-Tospiano (2), attaquera et enlèvera l’ennemi à Zeri. Cette position occupée, il en préviendra aussitôt le citoyen Brun, afin qu’il puisse régler son mouvement en conséquence, pour forcer l’ennemi à la retraite et abandoner Pontremoli. Dans le cas qu’il tiendrait ferme , la colonne se portera avec rapidité sur les hauteurs de Monte-Sungo (3) pour lui couper la retraite , tandis que le corps que le chef de brigade Brun aura détaché tombera sur Pontremoli, y cherchera à cerner l’ennemi. Les citoyens Graziani et Brun concluront d’avance ce mouvement ensemble , de la manière qu’ils croiront le plus convenable; ils fixeront l’heure du départ de leurs colonnes respectives, s’assurreront des moyens de communication entre eux, ainsi que de précaution nécessaires pour se secourir réciproquement. Avant de quitter le positions de Verano (4) et Folia (5), le citoyen Brun formera un détachement d’élite de 300 hommes, dont 100 de la demi-brigade et 200 Liguriens, compris les grenadiers. Ce corps passera la Varra (6) à Bocca-di-Battagna (7), venant par Caperano (8) et (1) Piana di Follo. (2) Torpiana. (3) Montelungo. (4) Vezzano. (5) Follo. (6) La Vara. (7) Bottagna. (8) Ceparana. — 132 - Bolano, et se portera à Podenzano (i) sur l’ennemi; il fera des mou-vemens pendant toute la journée sans pourtant inquiéter les habitans. Cette petite colonne se tiendra en hauteurs de Bolano. Ce même détachement d’élite aura à sa droite les chasseurs polonais qui sont à San-Stefano et Fosdinovo , et ont ordre de faire une reconnaissance jusqu’à Ribola (2) en face d’Aulla, et de prendre position derrière la Ullella (3). Ils feront mine de vouloir passer la rivière pour attaquer Aulla, et favoriser l’attaque simulée des détachemens d’élite, qui doivent prendre position à Podenzano. La réserve se portera à SaivStefano, en laissant 100 hommes à Sar-zanella (4), dont 80 Liguriens et 20 Polonais. De là la réserve, le détachement d’élite et les chasseurs polonais attaqueront Aulla. La colonne du centre du citoyen Ledru partant de Fivizzano , attaquera brusquement Sassalbo, observant bien pourtant sa gauche. Il fera sa manoeuvre de manière à pouvoir faire le plus promptement possible sa jonction avec les colonnes de Brun et de Graziani, qui auront dû gagner déjà les hauteurs de Pontremoli et Monte-Lungo. Avant de quitter Fivizzano, il laissera 200 hommes commandés par un officier ferme dans cette place. S’il est vrai que l’ennemi ait un camp à Sant-Anastasio, ce dont le citoyen Ledru s’assurera d’avance, le bataillon de la 3.e demi-brigade, qui est à Piazza (5), recevra l’ordre de faire un mouvement en avant, après la réussite de la prise de Sassalbo; cependant afin que, au moment où le bataillon de la 3.e demi-brigade attaquera de front l’ennemi, un détachement parti de Sassalbo puisse tomber sur les derrières et lui couper la retraite. Enfin la colonne de droite , commandée par le chef de brigade De Partes, ayant laissé 100 hommes à San-Pellegrino et 100 hommes à Castelnovo (6), attaquera l’ennemi sur tous les points. Le citoyen De Partes manoeuvrera de manière à lui présenter des forces sur tous les points, et s’il parvient à s’emparer de quelque position tenable, il s’y conservera, sinon il restera pendant la nuit dans sa position. Il préviendra le commandant de la colonne de San-Marcello, faisant partie de la division Montrichard, de son opération, afin que celui-ci poussât de son côté de fortes reconnaissances en avant pour attirer l’attention de l’ennemi de ce côté-la. Le quartier-général avec la réserve se tiendra à San-Stefano, et s’avancera après par Aulla. C’est là que les chefs des colonnes donneront les avis nécessaires au général commandant la division. Les troupes du chef de brigade Brun se mettront en marche le 5; (1) Podenzana. (2) Bibola. (3) L’Aullella. (4) Sarzanello. (5) Piazza al Serchio. (6) Castelnuovo di Garfagnana. — 133 — elles iront bivaquer à Borghetto. Le 6, le plus proche possible de Varese, et le 7, attaqueront Cento-Croci. La colonne de Graziani partira de sa position actuelle le 6 , biva-quera à Borghetto, le même jour hors du village, et ira attaquer le η Zeri. Le détachement de 300 hommes , destiné à se porter sur Podenzano, passera la Varza (1) le 6, à----(2) et se montrera le 7 > à la pointe du jour, à Podenzano. Les chasseurs polonais à Fosdinovo et à San-Stefano, ainsi que la réserve avec le quartier général, se rendront le 7, à la pointe du jour, à la position indiquée, pour attaquer Aulla, Villa Franca et Pontremoli. Le chef Ledru attaquera Sassalbo le 6, et s’il réussit dans son entreprise, il fera le 7 son mouvement sur Pontremoli. Le chef de brigade De Partes attaquera et inquiétera l’ennemi pendant le 7 et le 8 , et invitera le commandant de San-Marcello d’en faire autant. Les commandans des colonnes Ledru et Brun et Graziani feront prendre du pain à leur troupe pour trois jours. Ils laisseront en même temps des ordres dans leurs cantonnemens respectifs pour qu’on y prépare des vivres de deux en deux jours, et que le lendemain du départ l’on fasse partir pour chaque colonne un premier convoi de pain pour deux jours, et ainsi de suite. Le général commandant la division recommande aux commandans des colonnes la plus stricte discipline, de faire marcher leurs troupes réunies et militairement, et de les faire bivaquer pendant leurs marches dans des positions militaires et susceptibles de défense. Ils feront scrupuleusement respecter les habitans et leur propriétés. Il faut éviter autant que possible d’engager des affaires avec les insurgés, vu que cela entraînerait la nécessité de brûler et de piller leur habitations, et que cela arrêterait la marche de nos troupes. Il faut marcher en avant, et si l’on trouve, chemin faisant, des paysans armés sur la route , il faut les désarmer, et en cas de résistence les fusiller , mais suivant toujours avec la masse sa marche vers le point désigné. La bonne conduite des soldats , la douceur et la prudence des chefs nous fera gagner la confiance des habitans, nous assurera la communication entre les colonnes et ses derrières, et nous facilitera les moyens de leur faire parvenir des sécours en subsistances et munitions. Le général réitère ses ordres à cet égard, et recommande cet objet bien vivement à tous les chefs; fait et arrête comme ci-dessus. Le général de division, commandant les débouchés des Apennins, Dombrowski (3). (1) La Vara. (2) Lacuna nel testo; ma si deve intendere a Bottagna, come sopra. (3) Histoire des Légio?is Polonaises en Italie, sous le commandêmen — 134 — Come furono eseguiti i precisi ordini del g'enerale polacco, quali le mosse dei Francesi e degli Austriaci, e quali fazioni avvennero in questa fase della guerra , è esposto assai chiaramente e con molti particolari nel racconto che ne stese il Chodzcho, dal quale traduco. Gli ordini « furon bene eseguiti, eccetto che dalla colonna del centro , dove si trovò il 3.0 battaglione, il quale , invece di girar Pontremoli lasciandosi la città alla propria sinistra secondo l’ordine ricevuto, si congiunse l’8 (27 maggio) con la riserva presso Scorsetolo [Scorcétoli] , e non occupò Montelungo. Se questa colonna non avesse fallita la via prescrittale, non uno solo dei nemici avrebbe potuto fuggire per questa foce. « La colonna di sinistra di Brun, di cui faceva parte il primo battaglione, attaccò il nemico il 6 (25 maggio) presso il Borghetto, e lo respinse indietro. E avendo questi preso in seguito posizione alle Cento Croci, lo attaccò ancora lassù il 7 e lo costrinse, dopo un combattimento molto ostinato, a prendere la fuga. « Brun si condusse l’8 (27 maggio) a Borgotaro, e mandò subito distaccamenti a Bardi, Varzi [Varsi] e Beiforte, lungo lo Zeno [Ceno] e il Taro, per osservare il nemico a For-novo. Il corpo delle truppe leggere francesi, con un battaglione genovese agli ordini del capo Graziani scacciò il nemico appostato fra la Vara e la Magra, ed occupò la Cisa Γ8 (27 maggio). « Il generale Dombrowski comandava in persona la riserva. Attacca il nemico all’Aulla da ogni banda , e lo scaccia della sua posizione. Questi si arresta a Villafranca rinforzandovisi; ma vedendo che il generale si dispone ad aggirarlo coi cacciatori, e ad attaccarlo di fronte con i granatieri, si ritira a Filattiera , dov’ è inseguito dalle truppe polacche che lo spingono fino a Pontremoli. Frattanto la colonna del centro avendo sbagliato la strada , come s’ è veduto, non può più arrivare come doveva la mattina del- du général Dombrowski, par Léonard Chodzcko de la Società più lo technique, de celle de Géographie de Paris , etc. Paris, publié par J. Barbezat, Genève, même Maison, 1829, in-8, tome II, Pièces officielles et justificatives de l’histoire, n.° LU, pp. 402-407. — 135 — l’otto a Montelung'o. Dombrowski entra questo giorno stesso in Pontremoli, che il nemico aveva abbandonato con tutta celerità, e rinvia la colonna del centro a Montelungo dove il nemico, volendo opporre qualche resistenza, è all’istante attaccato e messo in rotta. La colonna investe gli avamposti fino a San Terenzo , dove il nemico si raccoglieva. Il distaccamento di questa colonna, destinato a sloggiare gli Imperiali da Sassalbo, l’attacca subitamente, lo costringe in ritirata e l’insegue fino a Culagna sulla Secchia, e prende sulla sua dritta il posto di Abati di Liveri. « La colonna di dritta , di cui faceva parte il 2.0 battaglione, agli ordini del capo De Partes, si porta in avanti il 6, e attacca il nemico a Sillano sul Serchio il 7, lo mette in fuga e l’insegue fino ad Ospedaletto, dove è raggiunta dalla pattuglia della colonna del centro. La massima parte della colonna fu diretta da De Partes verso Frasinone , donde il nemico minacciava continuamente di cadérgli sopra di fianco. Gli Austriaci, protetti da montagne e difendendo il terreno passo a passo, furon pertanto caricati con tanto impeto da esser costretti a ritirarsi fino a Paullo e a Sassuolo. Questa colonna si congiunse alla sua dritta con la divisione Montrichard, appostata a Pieve Pelago, la quale avendo fatto un movimento retrogrado fino agli Appennini, dopo la ritirata dell’ armata d’Italia agli ordini dal generale Moreau, aveva preso posizione in quel punto. « Le truppe gallo-polacche venivano quindi per questo movimento ad essere padrone degli Appennini e di tutti gli sbocchi che mettono alla pianura. Sei bocche da fuoco prese all’Aulla, una grande provvista di cartuccie che venivano molto a proposito , perchè si cominciava a mancarne, grandi magazzini di viveri abbandonati dal nemico a Pontremoli , e 600 prigionieri furono il frutto di questa vittoria. La legione perdette in questi diversi combattimenti una sessantina d’uomini ed ebbe altrettanti feriti » (1). Terminata con quest’esito la sua spedizione, dal suo (1) Chodzcho, op. cit., vol. I, pp. 159-162. — 136 — quartier generale di Pontremoli il generale Dombrowski pubblicava il seguente proclama contro gli abitanti delle campagne ribelli all’armata francese : Libertà. Eguaglianza. DABROWSKI Generale divisionario comandante una delle divisioni degli Appennini. I Nemici irreconciliabili del Popolo hanno sollevato una gran partita degli Abitanti degli Appennini, e gli hanno fatto prendere le Armi contro la Repubblica Francese. Se noi potessimo avvilirci al punto di seguitare l’esempio dei nostri nemici, i disgraziati Abitanti armati contro di noi sarebbero di già la vittima del nostro giusto risentimento; in effetto qual torto si può rimproverare alle Armate Francesi, fuori che averli sempre trattati con una dolcezza senza riserva, ed una fraternità analoga ai nostri principj, ed ai sentimenti del nostro cuore? Ma no.....Il Popolo traviato non sarà sacrificato come lo vogliono i barbari partigiani della Tirannìa ; sorridevano già questi all’aspetto del ferro micidiale , che andava a cadere sopra tante teste innocenti; quanti sarebbero stati contenti, e quante vittime della loro barbarie avrebbero voluto sacrificare! Ma ancora una volta la loro rabbia contro il Popolo che difendiamo andrà a vuoto. Popolo delle Campagne rientra ne’ tuoi focolari, abbandona le armi, che la perfidia dei tiranni ti ha fatto impugnare, consola le tue spose, abbraccia i tuoi figlj ; dille che gli Austriaci , i Russi ti avevano tra- scinato sulle sponde d’ un precipizio.....Dite fra voi non mancava che un sol giorno ancora perchè il nostro delitto fosse conosciuto , e noi.....non esisteressimo più senza la generosità de’ Francesi, che ci ha perdonati, e ci ha resi alle nostre Famiglie. L’ Armata Francese è pronta a versare il suo sangue per sostenere la Libertà, e la tua indipendenza : Osserva con stupore la sua costanza e la sua magnanimità; riguarda in ogni soldato il tuo Difensore, il tuo sostegno. Se malgrado tutto questo una parte degli Abitanti persiste nella Rivolta, dichiaro in nome della Repubblica Francese, che non vi sarà più luogo a pentimento, nè a risparmio. In conseguenza di che, e in seguito agli Ordini del Generale Di-visionario Gaultier Comandante in Capo nella Toscana dichiaro I. Qualunque Abitante arrestato coll’armi alla mano , sarà fucilato sul momento. II. Ogni Paese, che farà resistenza alle nostre Truppe si darà in preda alle fiamme. III. I Campanili dei Paesi, nei quali si è suonata Campana a martello, saranno distrutti, e le Campane messe in pezzi. — 137 — IV. In fine tutti i Capi-Complotti, e d’insurrezione saranno tradotti avanti una Commissione Militare, e condannati a morte in ventiquat-tr’ ore. I Nobili, ed i Preti saranno responsabili di tutti i movimenti d’insurrezione, che avranno luogo nel loro Comune ; questi sono essenzialmente sotto la vigilanza delle Municipalità, e de’ Comandanti Militari. Tutti i Comuni della Provincia di Pontremoli , della Garfagnana e del Lucchese saranno generalmente disarmati, le armi rimesse nel termine di ventiquattr’ore ai Comandanti delle Piazze, che le manderanno all’Arsenale di Lucca. Quei, che non le renderanno saranno riguardati come cospiratori contro la sicurezza del Popolo , e dell’Ar-mata; saranno perciò giudicati a morte in termine di ventiquattr’ ore da una Commissione Militare. Ordino a tutti i Curati di leggere il presente Proclama al Popolo riunito per la Messa grande. Quei Curati, che non leggeranno, e non faranno intendere questo Proclama, saranno arrestati, e condotti al Forte della Spezia. Dato al Quartier Genei'alc di Pontremoli li 8 Pratile Anno VII Rcpublicano. [27 maggio 1799]. DabrowSKI (i). E all’ indomani con la lettera che segue al generale Gaultier comandante della Toscana, pure in data di Pontremoli , dava ragguaglio di quanto aveva operato in seguito agli ordini avuti : Liberté. Egalité. Ait Quartier général à Pontremoli le ç Prairial an 7. Républicain. DOBROWSKI, Général de Division Commandant une des Divisions des Apennins. Au Général de Division GAULTIER Commandant en Chef en Toscane. Conformément à l’avis que je vous en ai donné par une lettre d’avant hier, j’ai fait marcher trois Colonnes commandées parles Citoyens Brun, Graziani, & Ledru pour attaquer l’ennemi sur toute la ligne de l’Apennin , & le chasser des positions qu’il nous avoit prises. Le Citoyen Brun Commandant la gauche à marché sur Centocroce, Borghetto et Varese; & après une foible résistance l’ennemi s’est re- (1) Spezia ΐ799· Nella Stamperia di Gio. Batista Barani, e Compagni. Anno II della Repubblica Ligure. In-fol. di 1 pag. Giorn. St. e Leti, della Liguria. IO — 138 — tiré en desordre & lui a laissé quelques prisonniers; hier il Fa poursuivi jusq’à Borgotarro, ou il parroit que l’ennemi a fait une résistance opiniâtre. Je n’en ai point reçu le détail officiel , mais je suis assuré indirectement que le Cit. Brun est maitre de la position. Graziani a attaqué l’ennemi à Zeri, l’ennemi étoit sostenu par quatre mille paysans, on s’est battu avec acharnement toute la journée, enfin le poste nous est resté, et l’on a fait un carnage terrible des révoltés. Le Citoyen Ledru parti de Sassalbo par une marche forcée & rapide est venu faire sa fonction [leggasi jonction] avec la reserve à Filatera, je l’y avois devancé avec 1’Adjutant Général Franceschi vôtre Chef d’Etat Major , un bataillon de Granadiers âr' de Chasseurs Polonais, ainsi qu’un fort detachement Ligurien. L’ennemi avoit évacué hier au soir Pontremoli , j’y suis entré à sept heurs du matin, & la Colonne de Ledru est allée gagner le de-bouche de la Ci s a et de Monte lungo. L’ennemi s’est également retiré , nous lui avont fait environ 150 prisonniers. Toutes mes trouppes se sont battues avec bravoure ordinaire, & j’ai aussi à rendre des eloges aux Bataillons Liguriens. Nous avons eu très peu de blessés, S3 nous regrettons une dixaine de nos Braves, morts sur le champ de bataille. La perte de l’ennemi est considérable, les insurgés on laissés aumoin mille hommes sur le champ de batailles à Zeri (1). Salut & fraternité. Signé Dabrowski (2). « Il generale Dombrowski », aggiunge il suo biografo, « 1’ 8 pratile (27 maggio) aveva finito questa spedizione , ed occupato la posizione che il generale Victor, distaccato dall’armata d’Italia, avrebbe dovuto prendere nel momento stesso in cui non faceva che arrivare alla Spezia » (3). (1) « A tempo di guerra con bugie si governa » dice un proverbio toscano, che trova riscontro in altro di questi luoghi il quale tradotto e ripulito suonerebbe cosi: « In tempo di guerra più...... bugie che terra ». I mille morti fra gli insorgenti dovettero essere stati molti di meno, se della parrocchia di Zeri solo sette furono gli uccisi, come resulta dall’ e-stratto degli atti di morte di quella chiesa, pubblicato dallo Sforza (Op. cit. II, pag. 842). Aggiungendone pure altri di parrocchie vicine, saremmo sempre molto lontani da quella cifra ! Ma era buona tattica di guerra che il generale polacco esagerasse nella sua lettera pubblicata per le stampe, al fine di incutere timore e rispetto fra le popolazioni ostili delle campagne. (2) Spezia 1799. Nella Stamperia di Gio. Batista Bàrani , e Compagni. Anno II della Repubblica Ligure. In-fol. di 1 pag. (3) Chodzcho, op. cit. tome I, pag. 162. — 139 — In fatti il Victor, arrivato alla Spezia alla fine del maggio, trovò libera dai nemici la strada della Cisa. E dal suo quartier generale di Pontremoli il 7 di giugno bandiva ai popoli insorti della campagna il seguente proclama, segno che la reazione, dopo il passaggio dei francesi, non aveva ancora deposte le armi : Libertà. Eguaglianza. REPUBBLICA FRANCESE. Proclama del Generale di Divisione VICTOR agli abita?iti dei paesi insorti contro VArmata Francese. Popoli ingannati! cosa pretendete armandovi contro di noi? Vecchi, Giovani, Maritati, chi è che vi strappa alle vostre famiglie per venirci a combattere? Qual prestigio vi accieca ? Riflettete un momento sulla sorte che vi aspetta, e voi vedrete quanto i nostri nemici siano colpevoli nello strascinarvi miseramente alla vostra ruina. In fatti quali possono essere le conseguenze di una insurrezione cosi stravagante ? Ognun di voi facilmente lo può comprendere. La morte quasi certa di quelli, che noi troveremo armati; la devastazione delle loro Case per spaventar quelli , che fossero tentati d’imitarli, e la disperazione di tutti i loro congiunti, e Parenti, che resteranno in vita. Queste spaventevoli idee vi facciano aprir gli occhi sopra la perfidia di quelli, che vi ingannano; e vi ritenghino dentro i vostri focolari per coltivare le vostre terre , ed accudire ai vostri interessi. Ascoltate le voci de’ vostri veri amici. Per un Popolo, che si ritrova in mezzo alle Potenze Belligeranti, la Neutralità è il solo partito che li conviene , e che possa assicurare le sue persone, il suo riposo, e le sue proprietà. Se per ignoranza, o per pazzia un tal Popolo si arma in favore di una, l’altra non ha forse diritto di riguardarlo come nemico , e da tale trattarlo ? Abitanti più sfortunati di quello che colpevoli, rientrate nelle vostre Case, e depositate le Armi. Voi risparmierete delle grandi sventure alle vostre Famiglie. Rigettate lungi da voi i perfidi consigli, che vi hanno ingannato fino al presente. I nostri nemici vi parlano di Religione, e se ne servono di prelesto per armarvi contro di noi. Ma hanno eglino una Religione? Questi uomini feroci , che non hanno giammai conosciuto nè Tempio, nè Sacerdoti , nè probità , nè virtù , hanno eglino Religione? Questi impostori, Luterani e Calvinisti, che l’un dopo l’altro a vicenda hanno sempre perseguitata la Religione, e i suoi Ministri, han forse una Religione, quest’Orde riunite di uomini di tutte le Sette, di cui pochissimi possono dirsi Cristiani ? Non è dunque la Religione, ma l’ambizione di soggiogare e dominare quella che li conduce. Ecco, Popoli infelici, la vera cagione, per cui quell’ Ipocriti ed Impostori hanno acceso la guerra nelle vostre contrade. Tali verità, senza dubbio, devono illuminare la vostra mente, e ricondurvi alle vostre Famiglie, dove i Francesi vi rispetteranno. Dal Quartier Generale dì Pontremoli li 18 Pratile Anno VII Repubblicano. Victor (i). In tal modo ebbe termine questo episodio con pieno successo, tanto da ristabilire perfettamente la comunicazione fra le due armate, e da poterne eseguire subito la riunione. Ma di questo vantaggio non si seppe, o, meglio, non si volle trarre profitto. Fatale errore, che fu la causa prima dei successivi rovesci toccati all’ armata francese : « On n’à pas voulu qu’il en fut ainsi, sous pretexte qu’il n’y avait pas de bons chemins pour faire passer l’artillerie, comme si l’on n’avait pu l’embarquer à Lerici où ailleurs. On concerta des opérations dangereuses. Cette jonction , qui était faite de le 29 mai à Sarzana , on voulut la faire vers la mi-juin à Tortone. Il était impossible qu’elle se fît sur point: aussi , après la perte de beaucoup de temps et de plusieurs batailles , on fut trop heureux de revenir un mois plus tard la faire comme elle aurait pu être faite un mois plus tôt » (2). Altro che i vecchi fucili degli eroici montanari di Zeri-celebrati dal Rezasco e dal Montanelli ! Ai quali si è aggiunto ultimamente anche un poeta: il signor Luigi Buglia, il quale ha cantato in un sonetto « i giovini gagliardi » che piombarono con veloce Impeto sopra quella orda straniera Che, rotta, a stento valicò la Foce, terminando così : Oh tripudio di forti ! oh benedetta Festa di libertà che quella sera Per la valle sonò di vetta in vetta ! (3). (1) Spezia 1799. Nella Stamperia di Gio. Batista Barani , e Compagni. Anno II della Repubblica Ligure. In-fol. di pag. 1. (2) Gouvion Saint-Cyr. Mémoires, Paris, Auselin, Libr. pour l’art militaire, 1831, C. II, pag. 217. (3) Luigi Buglia. I sonetti de la Gordana, Pontremoli , Tip. Rossetti, — 141 — Festa di libertà ? ah, no ! nel cantare i trionfi del Sou-warow quella santa parola non deve uscir dalla penna. Ma il poeta ha la sua scusa nel favoleggiare degli storici. Ubaldo Mazzini. CONTRIBUTO ALLA VITA DI GIOVANNI FANTONI (LABINDO) VII. GLI SFORZI DI LABINDO PER IMPEDIRE L’UNIONE DEL PIEMONTE ALLA FRANCIA. Carlo Emanuele IV, Re di Sardegna, forzato a abdicare, la sera del g decembre 1798 lasciò Torino e prese la via dell’esilio. Quali fossero gl’intendimenti della Francia sulla sorte futura del Piemonte si ricava di questo dispaccio del Direttorio all’Amelot , commissario civile presso 1’armata d’Italia, scritto il 28 di quel mese (1): Vos deux lettres , citoyen , des 24 et 26 frimaire fixent l’attention du Gouvernement sur deux objets principaux , sur le sort futur du Piémont et sur la nature des prétentions du Gouvernement Provisoire qui vient d’y être établi. Le Directoire s’est déjà expliqué sur le premier point. Il n’est pas et il ne sera pas question de la réunion du Piémont à Ja Cisalpine. Si le Directoire ne s’est pas exprimé en même temps sur la réunion à la République Ligurienne , c’est parcequ’on ne lui avait pas encore témoigné d’inquiétudes à cet égard; mais puisqu’elles se développent aujourd’hui , il déclare pareillement qu’il ne veut pas plus de cette réunion que de la précédente. Quant au Gouvernement Provisoire le Directoire exécutif a peine à concevoir que les membres de cette Commission se méprennent assez sur leur état pour se regarder comme tenant leurs provinces du Roi de 1906, in-8, pag. 9. Al sonetto PA. aggiunge la seguente nota: « MDCCXCIX: Due forti ed agguerrite colonne di Francesi calarono quell’anno a scopo di rapina nella valle di Zeri. Quei coraggiosi montanari, dato di piglio alle armi, assalirono ferocemente il nemico , che pesto e malmenato riparò a Borgotaro pel passo della Foce grande ». (Pag. 11). - 142 - Sarcîaigne. Certes rien n’est plus opposé au titre de leur création. Ont-ils pu sitôt oublier dans quelles circonstances, par qui et sous quelles conditions ils ont été nommés?..... Il importe de détruire dans Peeprit de ses membres jusqu’au germe de cette idée , qu’ils tiennent leurs provinces de l’abdication d’un Roi dont les armes françaises ont purgé le Piémont. Quand ils seront pénétrés, comme ils le doivent, de cettç vérité qu’ils n’existent que par la volonté du Général en chef, qu’ils ne peuvent rien faire qu’avec son approbation et qu’ils n’administrent que passagèrement, toute espèce de difficulté sera bientôt résolue, parce qu’ils trouveront le Gouvernement français toujours juste et bienfaisant. Il 18 febbraio del ’gg il Ministro degli affari esteri della Repubblica scriveva ad Angiolo Maria Eymar, già ambasciatore di Francia presso il Re spodestato , allora commissario civile presso il nuovo Governo Provvisorio : J'ai entretenu le Directoire du projet d’une réunion du Piémont à la République. Les commissaires chargés de la démarcation des limites dans les Alpes ont eux-mêmes envoyé sur cet objet des mémoires que j’ai consultés pour le travail que je lui ai présenté. Le Directoire exécutif a cru devoir ajourner pour quelque temps encore la décision d’un point aussi important. D'un côté, le voeu du peuple piémontais n’est point encore suffissament manifesté: de l’autre, on n’est point d’accord sur la limite à donner à l’extension de notre territoire au de-là des Alpes. Cette question est d'ailleurs liée de si près à un arrangement général de toute l’Italie, qu’il y aurait peut-être de l’imprudence à précipiter une détermination sur le premier de ces deux points, en laissant l’autre dans l’incertitude, et vous sentez que la solution du dernier ne saurait être l’affaire du moment. Enfin des considérations politiques d’une nature très-élevée , et qui exigent de la méditation et du calcul , ne permettent pas de brusquer une résolution. L’intention du Directoire, citoyen , est donc que, dans toutes vos démarches, vous imitiez sa circonspection : ne repoussant ni ne provoquant des résolutions ou des communications qui tendraient à décider pour ou contre ce grand problème ; et dans les circonstances où vous aurez occasion de manifester une opinion, vous rassurerez toutes les inquiétudes, en protestant à tous des intentions bienveillantes qui animent le Directoire exécutif envers les habitans du Piémont. Leopoldo Cicognara, ministro plenipotenziario della Repubblica Cisalpina a Torino, rivolse a’ componenti il nuovo Governo Provvisorio un caloroso saluto. Diceva : « Protetto il vostro Governo dalle armi invincibili d’una Nazione — 143 — benemerita e grande, difeso dal valore de’ vostri petti, possa risorgere la Nazion Piemontese forte per l’armi, alla quale pare destinata per il coraggio degli agguerriti suoi abitanti, temuta per la fermezza propria degli itali figli di Bruto ed emula della generosità dei Francesi, ai quali debbe una rivoluzione la più felice che riscontrar si possa negli annali del mondo ; rivoluzione senza strage, successa dopo che la scure tiranna ne è stata stanca e non sazia per evitarla. Abbiano pace , o madri subalpine , le ombre dei figli vostri, estinte per tanta ragione , e possa questo secolo riprodurre altrettanti eroi per portare il dono della libertà fino all’estrema Italia » (2). Il 15 decembre così ragguagliava di quanto succedeva a Torino, il Birago, ministro degli affari esteri della Cisalpina: « Ho la compiacenza di assicurarvi che gli individui componenti il Governo e la Municipalità sono riusciti nella loro scelta secondo il voto di tutto il Piemonte e di tutti gli amici della libertà. Chi ha potuto influire sulla loro scelta è sicuro del loro voto per il miglior destino del Piemonte, qualora questa parte d’ Italia dovesse essere costituita....... La mia attuai posizione mi ha messo in circostanza di procurar tutta la possibile libertà al Governo Provvisorio. Qualcuno voleva che gli atti fossero intitolati in nome del Governo Francese e che fossero ordinati da chi lo rappresentava ; ma ciò, fortunatamente, essendo contrario agli ottimi principii del generale Joubert, è andato a vuoto, parte colla sua mediazione diretta, parte co’ miei impulsi ». Tornò a scrivergli : « Il generale in capo mostra per me assai di cortesia e di deferenza....... Bramerebbe di unire il Piemonte alla Repubblica Cisalpina. La sua poca salute lo obbliga a ritirarsi dall’armata; io mi adopero coi patriotti e spero ». Seguita il 2 di gennaio : « ho voluto interessarmi per rilevare quanto poteva penetrarsi sul destino di questo paese. Ho saputo dalla viva voce del cittadino Eymar che il Piemonte non sarà unito nè alla Liguria , nè alla Cisalpina e che egli stesso era incombenzato dal Direttorio e-secutivo a dir tutto questo a chiunque, a fine non fossero coltivate queste misure. Ho inteso a cosa era diretto questo — 144 — discorso e mi è bastato. Intanto si vanno spargendo ad arte fra il popolo i sofismi dimostrativi la necessità di u-nire il Piemonte alla Francia , la impossibilità che questo paese sussista da sè , e si cerca di estinguere nel suo nascere l’orgoglio nazionale italiano » (3). L’influenza del Cicognara sul Joubert, uno de’ pochissimi francesi che amassero schiettamente l’Italia e la desiderassero libera (4) ; il tanto armeggiare del diplomatico cisalpino co’ patriotti del Piemonte, dette ombra aH’Amelot. Il Rivaud, ambasciatore di Francia a Milano, ne chiese il richiamo a nome del Direttorio, e fu forza obbedire (5). Il Cicognara così se ne spassionava col Birago : « Sappiate che deve aver molto mal umore meco, per aver io sostenuto l’indipendenza di questo Governo ed aver ottenutala dal generale Joubert contro il suo avviso. Deve essere irreconciliabile con me, per la disgrazia che ha avuto d’ essere sorpreso in momenti d’avanzamenti particolari di sue finanze ; delitti che non si perdonano mai, giacché V opinione e Γ interesse sono due gran molle del cuore dell’uomo. Ma venendo la cosa da Parigi e volendola giustificar pienamente , basta riflettere che vi si trova il segretario della Legazione , che mi ha reso tutti i mali uffici possibili dovunque, in ogni tempo, dicendo eh* io sono un unitario, un principista, un patriotta italiano, un patriotta esigente. Da ciò vedrete chi è egli e chi sono io » (6). I piemontesi erano tra loro discordi sull’assetto da darsi al proprio paese: chi voleva formarne una repubblica indipendente , chi aggregarlo alla Cisalpina , chi unirlo alla Ligure , chi incorporarlo alla Francia , chi rimpiangeva il suo esule Re e ne sospirava il ritorno. 11 Ranza , venuto in que’ giorni a Torino, metteva il campo a rumore, urlando e sbraitando per tutti e più di tutti. Nel 1794* da Nizza, aveva istigato il Comitato di Salute pubblica a intraprendere una quarta campagna contro il Re di Sardegna. « Donnons aux Piémontais la liberti » (scriveva) « et les Piémontais seront dignes des Français....... Ainsi les Piémontais réunis aux Français délivreront de même la Lombardie du dispotisme autrichien...... Quelle république — 145 — florissante deviendront alors le Piémont et la Lombardie en un seul corps! Quel avantage pour la France alliée avec elle!». In un discorso, pronunziato da lui al Circolo costituzionale di Genova il 9 dicembre del *98, dopo avere affermato che le « nazioni » ligure e piemontese « erano fatte dalla natura per essere una sola », fini con dire: « L’inesauribile fertilità del Piemonte ha bisogno dei porti della Liguria per uno sfogo marittimo, e la sterilità dei liguri monti e la marittima industria dei suoi abitatori ha bisogno dell’ ubertà del Piemonte per alimento dei propri individui e del suo commercio » (7). Nell’aula dell’istruzione democratica aU’Università, la sera del 1.° gennaio *99, prese invece a caldeggiare 1’ unione del Piemonte alla Francia (8). « Si tratta, o piemontesi », (in questa maniera fini il suo discorso), « si tratta di riunirci ai nostri fratelli, di rientrare nella gran famiglia da cui siamo partiti per mezzo dei nostri avi. Ben sapete che queste contrade chia-mavansi la Gallia cisalpina, perchè abitate , coltivate e ingentilite dai Galli , venuti di qua dell’Alpi ; e che varie delle nostre città furono da essi fondate. Consapevoli i moderni Francesi di tal origine comune, dopo aver essi ricuperata la libertà, vollero discendere dalle Alpi e portarla anche a noi , cioè a* loro discendenti. E noi esiteremo a domandare la riunione con l’antica nostra famiglia? Non vorrem noi fraternizzare coi nostri fratelli, coi nostri benefattori e rigeneratori ? » Non trovò fortuna. Sta li a farne fede l’avv. Luigi Iiossi, succeduto al Cicognara come agente diplomatico a Torino della Repubblica Cisalpina (9), che cosi ne informava il proprio Governo: « Il cittadino Ranza....... venne qui a predicare l’unione alla Francia; fu fischiato al Circolo, combattuto in iscritto, minacciato d’arresto » (10). Gli venne detto per le stampe: « 11 repubblicano Ranza afferma che un’ udienza di tremila e più persone hanno applaudito al suo discorso e da questi applausi ha Γ impudenza di dedurre che la volontà generale è già abbastanza spiegata. Primieramente si vede che Ranza ha confuso con gli applausi le voci di coloro che gridavano contro di lui ; in — 146 — secondo luogo ha interpretato per applausi anche il silenzio ed il disprezzo d’ una gran parte dell’ udienza. La volontà generale è così poco pronunziata per il repubblicano Ranza, che montato una volta alla tribuna, l’udienza non volle più ascoltarlo. Caro repubblicano Ranza, pensate che siete conosciuto ed osservato dai veri amici della libertà » (n). Nello stesso Circolo , il 3 di gennaio Gio. Alberto Rossi-gnoli lo tacciò di ladro, provandolo ; lo dipinse cattivo marito e cattivo padre, mercante de’ libri « più osceni e lascivi », e ne addusse le testimonianze; stampò perfino una lettera con la quale il Ranza, a suon di danaro , offriva i suoi servigi al Re Carlo Emanuele IV, ripromettendosi di renderne c immortale il nome » (12). Nè mancò chi gli diede del « prezzolato » e dello « spargitor di menzogne » e scrisse: « chi parla per 1’ unione alla Francia è oratore di mestiere , un comico , un uomo senza carattere , senza genio, senza sentirsi la forza di tenere un libero linguaggio ». In quella medesima adunanza Γ avv. Felice Bongioanni, che era « capo d’uffizio negli affari interni », con grande assennatezza e vigore confutò quanto al Ranza era uscito di bocca a sostegno dell’ unione del Piemonte alla Francia (13). Il Governo Provvisorio , sebbene mandasse a Milano come suo agente diplomatico Gio. Giulio Robert, non a-veva buon sangue con la vicina Repubblica. Il 27 decembre, nel dargli le istruzioni , ebbe a dirgli : « Importa assai che da noi si vigili ai maneggi della Cisalpina tendenti a riunire al suo territorio le provincie che furono smembrate nel corso di questo secolo dall’in addietro Stato di Milano ». Gli soggiungeva poi : « Vi si terrà certamente discorso in Milano del probabile futuro stato del Piemonte, cioè o di sua indipendente esistenza, od unione ad alcuna delle Repubbliche vicine. Non conviene in questo momento al Governo Provvisorio di nulla articolare sopra un punto cosi importante, su di cui la Repubblica madre vorrà avere la più grande influenza; con tutto ciò, non occorre che vi mostriate alieno da idee di Repubblica italiana o indipendente o ad altre unita, al fine di meglio co- — 147 — noscere le viste dei Cisalpini e di raffreddare l’impegno loro di procurarsene una parte, dove trovino chiuse le strade all’intero » (14). A Gio. Giacomo Francia, che spedì suo agente diplomatico presso la Repubblica Ligure, scriveva il 16 gennaio del ’gg : « Corre voce per questa città che i Liguri molto ambiscono 1’ unione al Piemonte. V’ incarichiamo perciò a verificare con prudenza onde parta tal voce, o se, sussistendo, abbia dato luogo a qualche passo o maneggio di cotesto Direttorio ». Lo avvertiva il giorno 30 : « Per ciò che riguarda la sorte del Piemonte, è necessario bensì che siate attentissimo nell’ osservare ed esaminare tutto ciò che possa somministar qualche lume, ma bisogna che vi guardiate su questo articolo, che le circostanze rendono delicatissimo , dal fare degli eccitamenti e sopratutto dal manifestare alcun partito in qualunque senso » (15). L’unione del Piemonte alla Repubblica Ligure non mancava di favoreggiatori anche a Torino. Luigi Bossi in uno dei suoi dispacci scrive: « Un giovane di molto ingegno , chiamato Riccati, ha stampato un volumetto intitolato: Interessi del Piemonte, il quale parlando con molta decenza della nostra Repubblica, prova però, o si studia di- provare, la necessità dell’unione del Piemonte alla Liguria. Quello che vi è di osservabile è che questo novello autore non è stato punto perseguitato, come erano nei giorni addietro quelli che si opponevano all’unione colla Francia * (16). Mette conto esaminarlo (17). « Mi lusingo » così Carlo Riccati, « che coloro i quali hanno letto il discorso del repubblicano Ranza sopra l’unione del Piemonte alla Francia non isdegneranno gettare un colpo d’occhio sulle Osservazioni di un amico della Libertà sopra il medesimo. Non farò il paralello di questi due opuscoli. Siami però lecito il dire , riguardo al primo , che la debolezza delle addotte ragioni, ò un motivo non indifferente per non aderirvi ». De’ partigiani dell’unione alla Francia fa questa pittura : Nel secolo de* lumi, nel secolo in cui i progressi dell*intelletto u-mano nelle arti, nelle scienze, nella filosofia e nella legislazione sono prodigiosi, fa stupore lo intendere come da non pochi si pronunziano, — 148 — non so se dir io debba, enigmi ed oracoli, o mostruosi vaticini sopra le viste politiche della più grande delle Nazioni. Tutta ancor si trav-vede ne’ discorsi di tali ragionatori V impressione del dispotismo spirato. Accostumati ad una passiva esistenza , si lusingano essi che la Nazion rigeneratrice vorrà pur anco renderli tali : per una cieca illusione, l’avvilimento appar gloria agli occhi loro abbagliati, la servitù decoro, e danno una prova non dubbia che la forza d’inerzia è legge comune a’ fisici corpi, non men che a’ morali. Sperano questi che quando la Francia avrà dichiarato il Piemonte sua conquista, Torino unirà alla gloria d’esser piazza di frontiera quella di divenir pur anco, malgrado le Alpi, il veicolo del commercio, delle manifatture e dell’a-rti di questa gran Repubblica. Senza ulteriori ricerche, io domando a questi ragionatori, se un trattato di commercio non sarebbe forse più utile alle due Nazioni p er tutti gli altri rapporti legislativi, che l’unione; e non procurerebbe all’ arti, alle manifatture ed al commercio generale vantaggi anche maggiori ? .......Ove l’unione del Piemonte alla Repubblica Ligure potesse effettuarsi, i porti di Marsiglia, di Tolone, di Nizza ed altri, non meno che la corrente e le foci de’ fiumi chè bagnan la Francia, non renderebbero ad essa più facile il procurarsi le derrate del Piemonte, di quel che non farebbe qualunque comunicazione aperta dalla parte delle Alpi? Il 18 di gennaio il Bon vicino , uno de’ membri della Municipalità di Torino, scriveva al Robert: « In confidenza vi dirò che ho tutti i motivi di credere alla riunione del Piemonte alla Repubblica Francese. Ve lo dico acciò vi serva di regola; e credo che tra 15 o 20 giorni la cosa sarà decisa. Voi sapete che ho la confidenza del generale Grouchy e di Eymar, onde potete far conto di quanto vi dico; ma non compromettetemi » (18). Il Bossi in un colloquio che il 31 di gennaio ebbe con Pietro Avogadro conte di Valdengo e Formigliana che faceva parte del Governo Provvisorio lo trovò « favorevole alla unione del Piemonte alla Cisalpina, dichiarandosi non persuaso della volontà della Francia di estendere tant’oltre i suoi confini, e protestando che questo Stato non può sussistere da se solo indipendente » (19). Nel ragguagliarne il proprio ministro faceva questa pittura del Piemonte : Lo spirito pubblico è qui sufficientemente avanzato, ma gli ex nobili e tutti quelli che posseggono qualche cosa sono straordinariamente irritati contro il Governo Provvisorio, che veramente in materia di fi- — 149 — nanza ha fatto dei passi arditi e di una durezza che riduce molte famiglie alla mendicità. Questo non serve male a far amar da molti il Governo della Cisalpina , sotto il quale sarebbero persuasi di esser molto meno aggravati. Molti individui del Governo medesimo non disconvengono da questa massima...... Il popolo comincia a strepitare per la carezza dei generi, e perchè, essendo cessate le leggi del passato Governo, la vendita di tutto dipende dall’arbitrio privato. Ed appunto per la scarsezza del numerario, i prezzi sono accresciuti oltremodo, perchè si teme sempre il pagamento in carta, e nessuno si arrischia d’aver carta, per timore che non venga del tutto abolita. Il pane è ad un prezzo eccessivo; la carne ugualmente; un pollo meschino costa 12 lire nostre, una libbra di zucchero ne costa 16, e così a proporzione (20). Molti per questo invidiano lo Stato nostro...... E qui il cittadino Fantoni; egli ha predicato in qualche Comune della provincia ; ma in questa vive tranquillo e non briga nè punto, nè poco (21). Come nota Carlo Botta, uno aneti’ esso del Governo Provvisorio , « si viveva in queste incertezze », quando ecco che a troncarle arriva da Parigi il conte Carlo Bossi. Ministro plenipotenziario all’ Aia di Carlo Emanuele IV, era entrato in segreta connivenza col Direttorio di Francia, e fu appunto per questi suoi amoreggiamenti che venne chiamato egli pure a sedere nel Governo Provvisorio. I colleglli gli avevano scritto fin dal 17 decembre: « en passant à Paris, vous vous présenterez au Ministre des relations extérieures pour lui exprimer la confiance que nous mettons dans les bonnes dispositions du Directoire de la République Française pour la prospérité et les plus grands avantages de notre commune patrie » (22). Si abboccò non solo col Talleyrand , ma anche col Rewbell, uno del Direttorio ; e inteso ciò che la Francia voleva fare del Piemonte , « parendogli che miglior consiglio fosse Γ esser congiunto con chi comandava che con chi obbediva » (son parole del Botta), « si era deliberato a proporre in cospetto al Governo il partito dell’unione colla Francia. Seguì tosto l’effetto, perchè avendo favellato con singolare eloquenza, e confermato il suo favellare con raziocini speciosissimi, perciocché nell' una e nell’ altra parte valeva moltissimo, vinse facilmente il partito, non avendovi nessuno contraddetto, perchè alcuni non vollero , altri non seppero , stan-techè la proposta era inaspettata » (23). — 150 — Ecco nel suo testo originale la presa deliberazione, fin qui inedita: Libertà Virtù Eguaglianza Sessione del Governo Provvisorio delli 14 Piovoso anno 7 repub.0 e i.° della Libertà Piemontese [2 febbraio 1799 v. s.]. Presidenza del cittadino Favrat. Sono intervenuti tutti i membri (24) , alla riserva dei cittadini Cerise, Rocci, Simian e Botton. Il Presidente ha aperta la sessione colla solita acclamazione : Libertà o morte alle ore 1 1/2. Il cittadino Bossi , unitosi al Comitato generale , ha prestato , secondo la solita formola (25), il giuramento di fedeltà al Governo Re-pubblicano e di mantenere con tutte le sue forze la libertà e Γ eguaglianza; giurò eterno odio alla tirannia e di essere fedele all* allenza della sua patria colla Repubblica Francese , sua liberatrice. Soggiungendo che prestava tanto più volentieri quest’ ultima parte del giuramento, in quanto che credeva che da questa alleanza, anzi dall’unione del Piemonte alla Francia, dipenda la salvezza. Il risultato fu il seguente: i.° Tutti ad una voce gli individui del Comitato generale enunciarono il loro voto per la riunione del Piemonte alla Francia. 2.0 Si incaricano i cittadini Bossi , Colla o Botton , assente , di e-sporne le ragioni in iscritto e di riferirle in Comitato generale domani alle ore 3. 3.0 Il Governo Provvisorio , per mezzo della stessa Commissione, manifesterà la sua deliberazione al Commissario civile Eymar ed al generale Grouchy. 4 0 II Governo trasmetterà quindi lo scritto alla Municipalità di Torino e ne chiederà il di lei voto. 5.0 Il Governo trasmetterà lo scritto suddetto ed il voto della Municipalità di Torino alle Direzioni centrali , acciocché queste rapportino il libero voto delle Municipalità delle loro Provincie, nel modo che verrà concentrato come infra. 6.° A tal effetto il Governo ha nominato un’ altra Commissione, nelle persone dei cittadini Cavalli, Avogadro, Geymet, Chiabrera e Bu-nicoi, per proporre tutte quelle misure per il felice esito della delibe-zione suddetta (26). La sessione è sciolta, colla solita acclamazione: Uguaglianza o morte, alle ore 5. Nell’adunanza del giorno successivo l’assemblea sospese ogni altro negozio « per sentire il rapporto dei cittadini Colla , Bossi e Botton ». Il Colla fece « la lettura dello scritto di cui è stata incaricata la Commissione del giorno di ieri, che è applaudito. Partono in seguito li stessi tre deputati del Governo presso la Municipalità di Torino per l’effetto divisato nell’art. 4 della deliberazione di ieri » (27). Notevole è il giudizio che di questo « rapporto » dà Federico Sclopis : « si eseguì sopra un infausto tema un meschino lavoro. Anziché riferirsi al corso degli avvenimenti, all’impossibilità di fare altrimenti....... invocarono la geografia antica secondo la quale il Piemonte faceva parte delle Gallie , 1’ esempio delle repubbliche greche al tempo di Filippo il Macedone, ed alterarono la tradizione del proprio paese asserendo, contro ogni verità storica, che nel secolo XVI la restaurazione della Casa di Savoia erasi compiuta contro il desiderio de’ piemontesi » (28). Il Bianchi e il Carutti ne riportarono alcuni squarci. Lo stesso faccio io ; li vado però spigolando dove essi non hanno mietuto. • L’idioma francese è famigliare in Piemonte ed è cosa sorprendente l’osservare come i Piemontesi, avidi e appassionati per le verità grandi e filosofiche, quasi presaghi del glorioso destino a cui erano chiamati, trascurarono generalmente 1’ italiana favella per coltivare di proposito la francese...... L’unione del Piemonte alla Francia deve in singolare maniera desiderarsi da’ veri repubblicani come un mezzo validissimo di estinguere affatto le speranze dell’ aristocrazia piemontese e di reprimere i suoi tentativi , imperocché quale speranza potrà rimanere agli interni nemici della patria quando unito il Piemonte alla Francia il dispotismo non potrà più risorgere in queste contrade, se non con la distruzione della Repubblica Francese?..... L’erezione del Piemonte in Repubblica indipendente non sarebbe così facile come potrebbe sembrare di primo aspetto...... Trarrebbe dietro necessariamente la creazione di un Direttorio , di un Corpo legislativo , di un’ armata nazionale e il mantenimento di agenti diplomatici presso altre Potenze. Ma noi domandiamo : come potrebbero reggere a spese sì gravi le nostre finanze, ridotte ad uno stato cosi deplorabile dai delitti e dagli errori dell’estinto Governo? Le produzioni precipue del nostro suolo consistono nel riso, nella canapa e nella seta. Hanno queste insino ad ora formato i rami principali de’ nostri traflìci colla Francia. La loro e-scita, sciolta da’ vincoli, accrescerà lo smercio e la conseguente riproduzione , le manifatture verranno a ristabilirsi accanto alle materie prime che servono loro di alimento, e Torino gareggierà fra non molto con Lione. Che se il destino della Francia e 1’ interesse della causa della Libertà chiamano la Grande Nazione ad esercitare sopra P Italia una specie di preponderanza, noi piemontesi, divenuti parte integrante della Francia, parteciperemo i primi a’ vantaggi che ne debbono resultare. La posizione geografica del Piemonte lo ha destinato a servir di frontiera alla Francia o all’Italia. Supponendo che quest’ultimo venga un giorno a formare un solo Stato , v’ ha niuna apparenza eh’ ella possa giammai gareggiar colla Francia di potenza e di forza. Adunque, poiché ogni prudenza umana non basta sempre a preservare i popoli dalla guerra, egli è assai meglio d’appartenere come frontiera a quella nazione che dà maggiori mezzi di difesa (29). Carlo Botta, fonte autorevole, perchè parla di avvenimenti de’ quali fu testimone e parte, scrive : « Accettatosi dal Governo il partito dell’unione, furono tentati al medesima fine i municipali di Torino. Vi aderirono volentieri. La deliberazione della capitale fu di grandissima importanza, perchè, essendo conforme a quella del Governo, facilmente tirava con sè tutto il paese ». La Municipalità di Torino, che aveva per suo presidente il calzolaio Genesy, mandò fuori fin dal giorno 5 un focoso proclama, per chiedere e volere « ardentemente la riunione alla Francia ; riunione santa di due nazioni degne Γ una dell’ altra ; riunione dettata dall’ interesse , dal dovere e dalla prima fra le repubblicane virtù, la riconoscenza ». Il Governo soltanto Γ 8 mise fuori il proprio proclama, nel quale, mentre annunziava d’avere « unanimemente » dato il suo voto « per la riunione del Piemonte alla gran Nazione , a cui già ebbe la gloria di appartenere da tanti secoli », finiva con l’invitare « tutti i suoi concittadini, qualunque sia la loro opinione , a tenersi in guardia contro gli intrighi de’ malevoli ». Prosegue il Botta: « si mandarono commissari nelle provincie a far gli squittinì per Γ unione. I popoli-non l’intendevano e certamente ripugnavano ». Un de’ commissari fu appunto lui, che, insieme col Cerise, indusse le popolazioni d’Ivrea e d’Aosta a farsi francesi. Si misero in viaggio la mattina del 6 alla cheta. Lo annunziò II Repubblicano piemontese non senza mistero. « Questa mattina » (così quella gazzetta) « partirono da Torino per le provincie otto membri del Governo e dieci della Munici- — 153 — palità. Il loro mandato dicesi che sia di qualche importanza per la futura sorte di questo paese » (30). Francesco Massuccone , ministro della Repubblica Ligure a Torino, lo stesso giorno 6 di febbraio così ne informava il proprio Governo : Si fortifica sempre più la voce che il Piemonte debba essere, o in tutto, o nella massima parte, unito alla Francia; e si pretende che alcuni membri, tanto del Governo Provvisorio, che di questa Municipalità, i quali devono fra breve partire per diverse Provincie dello Stato, saranno, tra le altre cose, incaricati di contribuire a disporre gli animi degli abitanti alla detta riunione. Nulla però vi è ancora di fatto, per quanto si sappia , ed il tutto si riduce ad induzioni di apparenza che ne fanno i due commissari piemontesi commoranti in Parigi (30) unite alla condotta che tengono in Torino gli agenti francesi. Molti anzi sono di parere che il Direttorio Francese, tuttoché forse intenzionato di incorporare il Piemonte alla sua Repubblica, vi lascerebbe ancora per qualche tempo sussistere una specie di governo militare misto, e temperato in apparenza, sul piede che è presentemente, sino a tanto che sia, o ultimata la guerra sul continente, oppure decisa e conclusa la pace, per non aggiungere ai mezzi dei nemici dichiarati le interne discussioni dei popoli...... Mentre sto scrivendo, vengo assicurato che una parte dei di sopra enonciati commissari del Governo Provvisorio e della Municipalità di Torino sono già partiti all’oggetto di disporre gli abitanti delle Provincie ad essere uniti alla Francia , e probabilmente per persuaderli ad emettere attivamente un tale loro voto. Il Governo Provvisorio stesso lo ha emesso. La Municipalità di Torino egualmente; e mi vien supposto che stieno in questo momento radunate le altre autorità e magistrati provvisori piemontesi per esprimere appunto il desiderio della loro riunione alla Gran Nazione (31). De’ commissari, il Bellini scriveva da Novara al Governo Provvisorio : « non mi riuscì grave far cammino, lungo la valle scoscesa del Po, al lume d’un fanale verso la mezza notte, per accelerare l’impresa. In mezzo però ai disagi d’un penoso viaggio, mi fu però di non picciolo alleviamento il vedere come que’ popoli, illuminati su’ loro veri interessi , con giubilo mi accolsero , e tra le più vive acclamazioni tutti unanimi rinnovarono il voto già da loro emesso per la riunione della Francia, loro liberatrice. Non debbo però lasciarvi ignorare che alcuni emissari cisalpini girarono e forse girano tuttavia mendicando voti per la riunione alla loro repubblica. Io non ho tralasciato, dal canto Giorn. St. e Lett. della Liguria. 11 — 154 — mio, d’invigilare contro la seduzione, ed avrei preso anche delle misure violente, se non che l’avversione di queste popolazioni è così decisa che non mi lascia luogO al menomo dubbio » (32). Il Cotti, da Bruscasco, così lo informava: « da mal intenzionati di codesta capitale furono disseminate in queste colline nuove allarmanti e capaci di sedurre queste popolazioni, massime sul punto della riunione....... Gli anarchisti, che colla vostra saviezza avete ridotti al nulla, fanno ancora i loro sforzi presso i contadini , che sono più facili alla seduzione; ma non mancheranno a voi i mezzi di paralizzarli anche a questo riguardo » (33). Per confessione stessa del Botta, il Governo nel volere l’unione alla Francia e volerla a ogni costo « scemò di riputazione, perchè il popolo non amava l’imperio de’ fora-stieri ; gl’ italiani si adoperavano a farlo vieppiù odioso. Fantoni, poeta celebre, che allo alito delle rivoluzioni sempre si calava, udito di questo moto piemontese, si era tosto condotto nel paese, e quivi faceva un dimenare incredibile contro il Governo e contro la sua risoluzione, qualificandola di tradimento contro 1’ Italia. Insomma tanto disse e tanto fece che fu forza cacciarlo in cittadella. Certamente Fantoni amava molto l’Italia, ma egli era un cervello così fatto che se fosse stato lasciato fare il manco che le sarebbe accaduto fora stato 1’ andar tutto sossopra » (34). Dell’arresto del Fantoni ne parla il generale Grouchy, comandante del Piemonte, in questa lettera, che 1’ 11 di febbraio (35) indirizzò al generale Delmas, il quale, essendosi ritirato per la sua malferma salute lo Joubert, aveva preso provvisoriamente il comando dell’armata d’Italia: Il fermento è aumentato in Torino. Vi sono comparse coccarde e bandiere dissimili dalle nazionali. Stampati incendiari coprono i muri, per eccitare il popolo ad insorgere contro i Francesi. Poiché s’era cominciato a formare degli assembramenti, ho dovuto prendere rigorose precauzioni per assodare la pubblica tranquillità e ricondurre la questione delPunione entro quei limiti di pacifica e liberissima discussione dai quali non avrebbe dovuto uscire. Era inoltre mio dovere di far rispettare i colori della bandiera francese. Conseguentemente, ho fatto sospendere le adunanze della Società Popolare , ho disciolti militarmente gli assembramenti ed ordinato che si imprigionassero i princi- — 155 — pali provocatori di anarchia e di strage. Con siffatti espedienti ho con seguito i migliori risultati. Tradotti nella cittadella Fantoni, Bongioanni, Richetta, Stura, Ferrari, Cerelli, sciolti gli assembramenti senza sangue, la pubblica tranquillità è ricomparsa. Vi garantisco , cittadino generale , che essa sarà mantenuta mediante i due battaglioni della 5.a mezza brigata che voi mi mandate. La 4.a mezza brigata piemontese, che dovrà rimpiazzarli nell’ esercito di operazione, partirà di qui il 27 del corrente mese (36). Il Piemonte manifesta il suo voto per P unione alla Francia , sino ad ora unanime. Penso che Torino sarà il solo Comune, nel quale i dissidenti momentaneamente acquisteranno il sopravvento. Tuttavia i loro rumori e gli altri mezzi posti in opera sono troppo deboli per impedire che il voto dell’ unione terminativamente non ottenga una gran maggioranza. Tre giorni dopo l’Eymar così scriveva al Governo Provvisorio : Turin, le 26 Pluviose An y.e de la République Française [14 febbraio 1799]. Liberté Egalité A. M. Eymar Commissaire Civil du Directoire exécutif en Piémont Au Directoire Exécutif — 14 février 1799. C.ens Directeurs Quoique la tranquillité paroisse régner dans ce moment à Turin les circonstances dont j’ai eu l’honneur de vous rendre compte m’ont engagé à faire au g.al Grouchy la réquisition suivante. Considérant combien il importe de maintenir la tranquillité dans la Commune de Turin ainsi que dans les autres Communes du Piémont, pour déjouer les intrigues des Aristocrates et des Anarchistes qui cherchent à agiter les esprit dans la coupable espoir d’un désordre favorable à leur sinistres projets; Considérant que dans les circonstances actuelles il est nécessaire d’éxercer la surveillance la plus active pour maintenir la tranquillité publique que la police la plus vigilante et la plus prompte peut seule assurer; Considérant enfin que le Gouvernement provisoire a jusqu’à présent rempli ses fonctions dans cette partie avec un zèle et un dévouement qui lui méritent la reconnoissance de tous le bons citoyens, mais que la multiplicité de ses opérations et le nombre de membres dont il est composé peuvent dans le cas d’urgence nuire à la promptitude et au succès des opérations d’une police ferme et vigilante; Requèrt Comme mesures nécessaires au maintien du bon ordre, que le G.ftl Commandant en Piémont se charge provisoirement de la police de — 156 — la Commune de Turin et prenne en conséquence les mesures qu’il jugera les plus propres à y maintenir l’ordre et la tranquillité publiques. Les nouvelles qui arrivent à tout instant de l’intérieur du Piémont annoncent que le vœu des habitans pour la Réunion est partout u-nanime. Salut et respect (37). Il Massuccone così raccontava questi avvenimenti al ministro delle relazioni estere della Repubblica Ligure : Il Governo Provvisorio e la Municipalità seguitano ad essere pienamente e quasi privatamente occupati di fare manifestare da qualunque ceto e classe di persone il loro voto per la riunione alla Francia. Sono stati a tale oggetto radunati tutti i battaglioni organizzati della Guardia Nazionale, gli ufficiali dei quali riferiscono che la maggiorità dei loro soldati sono stati per l’affermativa. I medici , gli avvocati , i causidici, i senatori , i soggetti del consolato , li negozianti , gli artigiani ed insomma tutte le corporazioni e mestieri restano invitate a riunirsi in un qualche locale ed a manifestare la loro opinione. Siffatte operazioni hanno ieri ed avant’ieri [7 e 8 febbraio] eccitato delle effervescenze. Ciò non ostante , le frequenti pattuglie d’ infanteria e di cavalleria franco-piemontese, che scorrono continuamente le strade di Torino , hanno impedito qualunque disordine. Vari stampati si sono veduti comparire nel Pubblico, alcuno dei quali disapprovava addirittura la riunione del Piemonte alla Francia come contraria e perniciosa al vero interesse della Nazion Piemontese, la quale ha invece ogni suo naturale rapporto politico e commerciale colla Liguria. Altri poi fanno vedere che la maniera con cui il Governo Provvisorio Piemontese e la Municipalità di Torino hanno preteso, come dicono essi , di estor-quere il voto del popolo,’senza prima permettergli di radunarsi legittimamente in comizi e di esaminare le proprie politiche convenienze, è indegna di un sistema democratico e repubblicano. Fra i fogli più interessanti che girano , vi inoltro , cittadino ministro , un esemplare degli acclusi, segnati A. B. C. D. E., che per curiosità del Direttorio vi compiacerete di rimetterglieli. La cronaca scandalosa di Torino pretende di sostenere, che quelli cittadini i quali si studiano di dimo strare che non conviene al Popolo Piemontese di incorporarsi alla Francia, sotto il pretesto di alterare il buon ordine e la tranquillità pubblica vengono o arrestati , o ridotti a nascondersi , qualora non manifestino poi un sentimento differente. Li cittadini Fantoni cisalpino, Bongiovanni ed alcuni altri torinesi, che appunto non inclinavano al Circolo costituzionale o altrove a simile operazione, sono stati arrestati e mandati in questa cittadella. Nel caso che realmente il Governo Francese sia disposto a prestarsi a questa riunione, non è nep pure da mettersi in dubbio che il voto del Popolo Piemontese non sia pienamente favorevole, o presunto almeno e considerato per tale. — 157 — Quindi più che sapere in qual maniera abbiano votato le diverse Provincie del Piemonte, nelle quali sono stati mandati degli efficaci esortatori , o membri del Governo Provvisorio, o della Municipalità di Torino , importa informarsi cosa ne pensa il Direttorio esecutivo di Parigi. Egli solo ha la penetrazione di giudicare della validità o invalidità degli atti del Popolo Piemontese, Cisalpino ed Italiano in generale (38). « Per far decidere » la Guardia nazionale a votare l’unione alla Francia, il Governo si valse dell’ « influenza del cittadino Campana ». E della Guardia sospettava e temeva, « dacché » (a sua stessa confessione) « la speranza dei Cisalpini sembrava fondarsi » sopra di essa (39). Invece fu docile : al contrario , dette del filo , e molto , da torcere la « Società Patriottica o sia Circolo costituzionale ». Incaricò il prof. Bono di « esplorarne il sentimento»; e nell’ adunanza che tenne il Governo il 7 di quel mese « lesse un rapporto sulla missione appoggiatagli »; disgraziatamente andato disperso. Venne deliberato di « far chiamare cinque dei direttori del detto Circolo e d’invitarli a non permettere che nella Sala patriottica si discorra più della riunione del Piemonte alla Francia ». In quella stessa adunanza il Sartoris, « a nome de1 Comitato di sicurezza generale », lesse una lettera di Felice Bongioanni con la quale rinunziava « all’ impiego confertoli di capo d’ uffizio nel Comitato degli interni ». Diceva: « Le nostre massime sono troppo dissimili, perchè io possa rimanere più lungamente con voi senza disonorarmi, vedendomi complice delle mal combinate vostre operazioni. Il popolo vilipeso è altamente sdegnato contro di voi, che senza interrogarlo, già avete capricciosamente pronunciato sopra la futura sua sorte politica e fissato il destino della posterità ed ora vi ingegnate di sanzionare la prepotenza vostra con carpiti e mendicati suffragi...... Io rientro nel mio stato privato a gustare il dolce piacere di aver detto la verità e di essermi sforzato di essere utile alla mia patria » (40). Nel processo verbale fu scritto : « Il Governo si mostra giustamente sdegnato contro le espressioni indecenti usate dal detto cittadino nella sua lettera, la quale contiene eziandio delle calunnie manifeste contro il Governo Provvisorio » (41). - 158 - Fin dal 3 era stato impostoci forestieri di presentarsi dentro tre giorni « alla Municipalità, per giustificare col mezzo di due conosciuti e probi cittadini 1’ oggetto della loro permanenza in Torino ed il modo che vi hanno di sussistenza ». Se vi dimoravano « due o più mesi », erano muniti di una « carta di sicurezza » ; se meno , di una « carta di autorizzazione ». Il Governo Provvisorio s’indusse a questi rigori, essendo « informato che la tranquillità » di Torino potesse « venir turbata da persone nemiche della libertà e dell* ordine , che abusandosi della facilità accordata fin’ allora a chi vi stabiliva il suo domicilio», vi s’erano introdotti « per promuovere disordini e fomentare gli attentati dell’aristocrazia ». Il giorno 8 uscì fuori un nuovo decreto. Stabiliva: « Qualunque persona e-stera e non domiciliata nel Piemonte, la quale non fosse munita di passaporto, potrà essere espulsa ». Anche la stampa venne infrenata , proibendosi , con un decreto del 12 , lo stampare , vendere, distribuire e affiggere « verun scritto sedizioso, o calunnioso, o tendente a corrompere i costumi »; e mettendo 1’ obbligo a’ tipografi di porvi il loro nome (42). Nell’ adunanza dell’ 8 il Bono riferì « essere venuti da lui tre sedicenti rappresentanti del popolo, i quali chiesero: i.° Una sospensione di due mesi sul punto della riunione del Piemonte alla Francia ; 2.0 Il richiamo dei deputati spediti nelle Provincie a questo effetto; 3.0 L’assegnazione di un locale dove il popolo possa emettere il suo voto ». Il Governo passò « all’ ordine del giorno sopra tali domande ». Gli era cessata la paura; il Grouchy aveva con la violenza soffocata ogni libera manifestazione del pensiero ; e il Fantoni, uno de’ « sedicenti rappresentanti del popolo », era chiuso nella cittadella insieme col Bongioanni. Degli altri arrestati, il Ferraris scrisse una lettera al Governo Provvisorio, e fu letta nell’ adunanza del 9. Nota il verbale: « nel tempo stesso che si parla del medesimo viene la notizia della sua liberazione ». Un altro fatto registra il verbale. Ecco quanto dice: «Il Sartoris riferisce il resultato della conferenza avuta il giorno precedente col — 159 — generale Grouchy relativamente ai torbidi eccitati in questa Comune nei giorni ultimi scorsi ». Due giorni dopo si leggeva affisso sui muri di Torino: Virtù Egualità Libertà Il repubblicano Ranza Al cittadino Grouchi generale divisionario dell’ armata francese in Piemonte. Cittadino Generale Voi avete fatto arrestare alcuni individui perchè col loro partito disturbavano la pubblica tranquillità ed impedivano agli altri di manifestare liberamente il loro voto sul destino del Piemonte, La nostra Patria applaudì alla vostra saviezza. Ma la nostra Patria crede pur sufficiente il loro arresto sinora per una salutar correzione. Un arresto ulteriore sarebbe interpretato dai nemici della medesima per terrorismo onde costringere i deboli e gV indecisi a dare il loro voto per l’unione alla Francia. La gran pluralità dei voti è ormai decisiva per tale unione. La Patria dunque, per mio organo, v’ invita, cittadin generale, a mettere in libertà senza indugio i detenuti; i quali, comechè d’opinione con traria, seguiranno da buoni cittadini il voto maggiore e pressoché u-niversale e plenario della Nazion Piemontese. Rispetto, salute e fraternità. Torino, 23 pluvioso anno VII [11 febbraio 1799]· G. A. Ranza (43). De’ « torbidi » di quei giorni tocca di sfuggita un rapporto politico e amministrativo della ventisettesima divisione militare, che abbracciava il Piemonte, scritto al principio dell’anno XI, cioè sulla fine del 1802 (44) ; ne tocca di sfuggita, ma svelandone la cagione e la ragione. Dopo avere affermato che l’unione alla Francia trionfò, sebbene « fortement combattue par des hommes trés-marquants dans le parti républicain », prosegue: « Le peuple fut consulté, et le voeu de réunion ne fut point équivoque. De cette époque date la naissance du parti de l’opposition , connu sous le nom de parti italien. Ceux qui composaient ce parti, et surtout les clubs, voulaient l’indépendance piémontaise, ou tout ou moins la réunion de leur pays au territoire italien. Ils présentaient sans cesse à l’appui de leur système l’existence d’une barrière insurmontable placée entre eux et la France, dont la langue , les moeurs et les institutions , disaient-ils, — 16o — ne pourront jamais devenir communes aux Piémontais. Des écrits pour et contre furent imprimés et publiés (45). Le parti italien échoua dans ses projets, mais il n’en fut ni moins ardent, ni moins actif » (46). Nicomede Bianchi si sforzò di chiarire e illustrare questo episodio. « Trionfando in Italia la democrazia francese » (così scrive), « i patrioti non avevano cessato di cospirare. E appunto nel tempo della votazione per l’unione del Piemonte alla Francia, si era costituita una vasta società segreta al doppio fine di scacciare dall’ Italia i Francesi e d’istituirvi una federazione di Repubbliche democratiche. L’organamento di questa società era qual segue. Un comitato segreto di cinque sperimentati patrioti doveva aver sede in ogni capoluogo di Provincia. I designati per Torino erano Cerise , Piccot, Fantoni e altri due , facili alle violenze estreme. Ciascun comitato direttore aveva ad i-strumenti delle sue decisioni quattro inscritti nella cospirazione, che dovevano eseguire e trasmettere gli ordini ricevuti senza rivelare i nomi dei loro capi a chicchessia. Questi quattro dovevano costituire, alla loro volta, in ogni provincia un comitato di diciassette, ai quali rimaneva affidata la cura di formare bande di gente armata. Il grido della chiamata alle armi doveva essere sempre e unicamente quello della difesa della libertà. Chiunque degli inscritti nella fratellanza si fosse rifiutato di sgozzare un nemico al momento opportuno , od avesse svelato qualche segreto, sarebbe stato pugnalato » (47). La società segreta della quale parla il Bianchi è quella de’ Raggi. Non si costituì « nel tempo della votazione per l’unione del Piemonte alla Francia»; era sorta tra il marzo e l’ottobre del 1798. Lo attesta il Botta, che fu, si può dire, presente agli avvenimenti e in intimità con molti degli affigliati. Nè la società dei Raggi ebbe i propositi sanguinari che il Bianchi le attribuisce. Egli non cita la fonte alla quale attinse ; si tratta probabilmente di qualche rapporto francese. Come s’è visto, il Grouchy chiama « provocatori di anarchia e di strage » que’ generosi che volevano che il Piemonte restasse terra italiana; col nome di « anar- — 161 — chisti » li bolla il Governo Provvisorio. Non è da quella tavolozza che uno storico , desideroso di servire la causa del vero, deve togliere i suoi colori. In ben altro modo ne giudicò Domenico Carutti. Scrive: « vuoisi che di quei giorni fosse introdotta in Torino la società dei Raggi, o una a quella simigliante, e che ai governanti apportò noia inestimabile , tanto che Grouchy e i commissari Eymar e Amelot la denunziarono al Direttorio come una formidabile congiura intesa a compiere un nuovo Vespro Siciliano. Ne sospettavano , anzi ne diceano occulto capo il dottor Cerise , membro del Governo...... La società segreta non durò, ma gli spiriti suoi non si spensero, in quanto riguardavano Γ indipendenza ; e chi non badi ai nomi, ma alle cose, dee riconoscere che tanto quegli scontenti repubblicani del 1799 e degli anni seguenti, non ostanti le loro e-sagerazioni, quanto i così detti aristocratici, non ostanti i lor furori contro gli ordini liberi, furono quelli che allora mostrarono di sentire dignità e sentimento di patria. Il partito, allora chiamato italiano, fu dopo quel tempo dai Francesi, per dispregio, domandato la Banda nera, e se ne parlò per assai tempo. Di certo, coloro che vi appartenevano, nel mese di febbraio 1799 non macchinarono eccidi di sorta alcuna , ma vollero solamente costringere il Governo a revocare il proposto plebiscito, biasimandone la forma e dimostrando, quanto al merito, che la lingua, i costumi e le istituzioni, opponevano ostacolo insuperabile al-Γ unione alla Francia. Il conte Giovanni Fantoni (il poeta Labindo) era in quei giorni venuto in Piemonte con animo d’indurre i repubblicani subalpini a congiungersi stretta-mente cogli altri italiani , e preparare la vera e compiuta unione dell’ Italia in un corpo di nazione. A lui, già educato nell’Accademia militare di Torino , donde era uscito uffiziale, e che verisimilmente apparteneva alla società dei parve tradimento l’atto dei venticinque; parlò impetuoso e compose una scrittura , in cui dimostrò la vergogna e il danno del rinunziare alla patria naturale (48). Massuccone , l’inviato ligure, ragionava col medesimo ardore. Furono affissi cartelli per la città, sui cappelli com- - lÓ 2 - parve la coccarda italiana invece della francese (49) ; ve-devansi crocchi e cupi assembramenti. Finalmente una deputazione si presentò ai venticinque, chiedendo che i commissari mandati nelle provincie, fossero richiamati e la votazione differita per tre mesi. Se lo recò a male il generale Grouchy, e, d’accordo col Governo, fe’ arrestare e condurre in cittadella , oltre al Fantoni, altri cinque in voce di capi della Lega nera, che erano il Bongiovanni , un Ricchetta , uno Stura, un Ferrari e un Carelli ; il dottor Cerise non fu ricercato. Quindi proibirono ai Cisalpini e ai Liguri di varcar la frontiera , e Massuccone fu invitato a partirsene alla buona (50). Quando le operazioni del plebiscito furono compiute, gli arrestati uscirono dalla fortezza, e il solo Fantoni vi rimase, perchè stimato da Grouchy uomo più degli altri pericoloso » (51). In che consisteva la società dei Raggi ? Sentiamo il Botta. « Sorse una setta, la quale contraria del pari ai Francesi, che ai Tedeschi, dagli uni e dagli altri voleva liberare l’Italia, col fine di darle un essere proprio e indipendente. Perlochè si unirono i capi in Milano , i principali dei quali erano i generali Lahoz, Pino e Teuillet e con questi Birago di Cremona con alcuni altri, si della Cisalpina, che di altre parti d’Italia. Restarono d’ accordo che a questo scopo s’indirizzassero tutti i pensieri. Deliberarono che le voci d’independenza si spargessero fra i popoli, che si tirassero nell’ unione quanti corpi di genti assoldate si potessero ; che a questo fine si facesse una intelligenza coi romani e coi napolitani, e che ad ogni caso si formasse un’accolta di genti in Romagna , perchè quindi o nei circonvicini e piani paesi si spargesse, o sul dorso degli Appennini si ritirasse, secondochè gli accidenti richiederebbero. Per nutrire il disegno ordinaron adunanze segrete, che fra di loro corrispondevano e la cui sede principale era in Bologna ; e siccome da Bologna , come da centro, queste adunanze si spandevano, a guisa di raggi, tutto all’intorno negli altri paesi d’Italia, così chiamarono questa loro intelligenza Società dei Raggi » (52). Che avesse per ideatore e capo il Lahoz lo attesta il — 163 Comelli di Stuckenfeld (53), al quale il Lahoz stesso svelò il disegno della congiura (54) ; che poi il Fantoni ne fosse uno de’ propagatori più convinti e operosi, molti indizi lo inducono a credere. Ad ogni modo, abbia, o no, appartenuto alla società de’ Raggi , poco importa. Difese a viso aperto Γ indipendenza del Piemonte quando di quella bellissima parte d’Italia si volle fare un dipartimento francese ; e appunto per questa gagliarda difesa patì la prigionia e fu cacciato in esilio. E una nobile pagina della tanto tempestosa sua vita. (1) Questo dispaccio all’Amelot e quello che segue all’ Eymar sono ine diti tutti e due. Si conservano a Parigi nell’Archivio del Dipartimento degli affari esteri. (2) Il Governo Provvisorio così gli rispose: « I voti che voi fate per la libertà di tutta l’Italia, saranno, si saranno esauditi da quella Provvidenza che veglia sulla felicità delle Nazioni e si compirà questa gloriosa impresa dai trionfatori del dispotismo. Ha questo di proprio la tirannia che allorquando più s’ adopra per avvolgere le catene tanto più precipitosamente corre verso la sua rovina, e i raddoppiati sforzi dei superstiti dispotici Governi, che ancor deturpano le belle contrade d’Italia, non avranno altro termine che quello dei tiranni del Piemonte ». R. Archivio di Stato in Torino. Registro delle lettere del Governo Provvisorio del Piemonte. (3) Cantò C. Corrispondenze di diplomatici della Repubblica e del Regno d’Italia, Milano, Agnelli 1885, pp. 168-169. (4) Carlo Federico Zundeler, maestro di filosofia e belle lettere, cantava di lui : O del bel suolo italico Costanti patrioti, Che il Duce si benefico Avete ai vostri voti ; I pregi suoi ridite In forme più gradite. ........ Come potrete esprimere La grazia e l’energia Ond* egli fece ai Popoli Amar Democrazia, E la novella luce, Che Libertà conduce? Cfr. Al generale in capo dell’armata d’Italia il cittadino Joubert per la libertà restituita ai Subalpini, iti nome de’ patrioti [ode anacreontica], Milano, dalla Stamperia dell’Armata d’ Italia, s. a.; in 16.°, di pp. 8 n. n. — A p. 46 delle Notizie istoriche sulla Rivoluzione del Piemonte nell’anno y° della Repubblica Francese, Torino, anno 8.°. Dalla Stamperia di Giacomo Fea, così è ricordato Joubert: « La sua morte fu per gli Italiani tutti un fulmine, che dissipò per allora ogni loro speranza: le lacrime sparse da essi - 164 — sulla sua tomba saranno un perpetuo monumento della riconoscenza e dell’amore di que’ popoli verso un uomo che riguardavano qual padre ». (5) Il Direttorio esecutivo della Repubblica Cisalpina il 1$ nevoso dell’anno VII [4 gennaio 1799] scriveva al Birago, ministro degli affari esteri : « Il Direttorio Esecutivo Francese , per 1’ organo del suo Ambasciatore , ci domanda istantemente il richiamo del nostro Ministro da Torino. Siete quindi invitato, cittadino Ministro, dare le disposizioni che sono del vostro istituto perchè al più presto si trasferisca a Milano. Luosi ». Il Birago rispose il 17 [6 gennaio]: « In esecuzione degli ordini da voi comunicatimi in data dei 15 con lettera riservata , mi sono fatto un dovere d’ ingiungere al cittadino Cicognara di recarsi tosto a Milano. Non essendo poi stata finora destinata altra persona onde rimpiazzarlo, ho creduto opportuno d’im-porgli di recare con sè le carte ed il sigillo della Legazione. Mi fo intanto premura di osservarvi che essendosi dal Governo Provvisorio Piemontese accreditata persona onde risiedere presso di noi in qualità di Agente, sa-rebbe altresì opportuno che si facesse lo stesso per parte nostra , nel riflesso ancora che la presenza d’ un nostro concittadino in Torino potrebbe essere di molto utile per ultimare gli affari che sono tuttora pendenti ». (6) R. Archivio di Stato in Milano. Lettera del Cicognara al Birago del 16 nevoso [5 gennaio]. (7) Roberti G. Il cittadino Ranza , ricerche docume?itate ; nella Miscellanea di storia italia?ia; tom. XXIX, pp. 73-75 e 151. (8) Ecco come combatteva l’unione con le Repubbliche sorelle e vicine : « La diversità della lingua e dei costumi non permette la unione con la Elvetica. La Cisalpina io credo che verrà esclusa da chiunque conosce la sua politica situazione e le strane vicende a cui fu sinora soggetta. L’unirsi con lei sarebbe un esporsi alle stesse vicissitudini, e un voler curare a nostre spese i gravi suoi mali. Fors’anche la Francia non permetterebbe un suo maggiore ingrandimento, per avventura già soverchio. E quando lo permettesse, continuando, come può accadere, l’attuale di lei stato convulsivo, sarebbe allora ben altro che una tutela per noi. Resta dunque l’unione con la Repubblica Ligure. Questa io proposi al Circolo costituzionale di Genova nel mio discorso del 9 dicembre , pronunciato nel tempo stesso che il tiranno qui capitolava per la sua uscita. Allora io non sapeva il tenore della rinuncia: ora che lo conosco, torno a dirvi che anche uniti ai Liguri non saremo sicuri senza la tutela della Francia ». Cfr. discorso del repubblicano Ranza sopra Vunione del Piemonte alla Fraticia, Torino, Saverio Fontana, 1799, in 16.0 di pp. 16. (9) Il Bossi era ministio plenipotenziario deila Repubblica Cisalpina a Genova, e dopo il richiamo del Cicognara venne spedito a Torino come incaricato d’affari presso il Governo Provvisorio. Il Rivaud , ambasciatore di Francia a Milano, cosi lo raccomandava all’Eymar: « Ce sujet réunit à la probité et au patriotisme l’activité, l’habilité et la connaissance des hommes si nécessaires aux agents diplomatiques. Il est attaché à son Gouvernement et ami du bon ordre. Tans de qualités lui ont concilié mon estime, et je le recommande à la votre». Lettera dell’8 piovoso anno VII [27 gennaio 1797] nell’Archivio del Dipartimento degli affari esteri a Parigi. (10) Cantò C. Op. cit. p. 170. (11) Osservazioni d’un amico della libertà sul discorso del repubblicano Ranza sopra l’unione del Piemojite alla Francia, Torino, dalla Stamperia patriottica di Pane e Barberis, s. a., in 16.0 di pp. 18. — i65 — (12) II cittadino Rossignoli al cittadino Ranza sedicente sansculotte, In Torino, dal Mairasse, s. a., in i6.° di pp. 14. (13) Osservazioni del cittadino Felice Bongioanni sopra I’ unione del Piemonte alla Francia in seguito al discorso del cittadino Ranza, Torino, a spese del cittadino Denasio stampatore, [1799]; in 16.0 di pp. 20. — Trovò un contradditore in F. Bonafide, autore della Lettre sur le Piémotit, ou Réponse aux: observations d'un Piémontais sur la réunion de cette contrée à la Republique Française. A Paris, de l’imprimerie de Rabaut le jeune, an VII, in 8.° di pp. 36. Il Bonafide a pag. 35 ricorda « le judicieux article du citoyen Baivinais et ceux du citoyen Hus, inserées dans les journaux », a sostegno anch’essi dell’unione alla Francia. (14) R. Archivio di Stato in Torino. Governo Provvisorio del Piemonte. Relazioni con l’estero. Repubblica Cisalpina, filza 36. (15) R. Archivio di Stato in Torino. Governo Provvisorio. Relazioni con l’estero. Repubblica Ligure, filza 41. (16) R. Archivio di Stato in Milano. Dispaccio del Bossi del 9 piovoso [28 gennaio], (17) Interessi del Piemonte combinati coti quelli delle nazioni limitrofe e della libertà generale, opuscolo, Torino, nella stamperia del cittadino Denasio, [1799], in 16.0 di pp. 78. (18) R. Archivio di Stato in Torino. Governo Provvisorio. Relazioni coll’estero. Repubblica Cisalpina, filza 36. (19) R. Archivio di Stato in Milano. Dispaccio del Bossi del 14 piovoso anno VII [2 febbraio 1799]. (20) Il dispaccio si chiude con queste parole : « Mi dispiace di dover discendere ad un articolo economico sul mio particolare. I prezzi sono tanto alterati, come vi scrissi più sopra, che io qui non potrei a lungo sussistere colla indennizzazione di Genova, minore di lire 700 al mese di quella che è accordata ai ministri di Torino. Io mi vergogno di esporvi i dettagli del-l’incarimento di ogni genere, che fa orrore a tutti. Il cittadino ex ministro Birago mi aveva detto di mettere nelle spese 1’ importo giornaliero della carrozza, ma questa, essendo stati requisiti tutti i cavalli, costa per somma grazia lire 16 di Piemonte al giorno , che fanno 24 di Milano e 30 colla mancia; il che io avrei uno scrupolo di mettervi in nota un giorno senza avervene prevenuto. Ho cercato, per risparmio, a comprare due cavalli, che io avrei sperato di cedere al mio successore; ma è impossibile, perchè cavalli non ne esistono più. Io ve lo annunzio, per mio discarico, e non mancherò d’altronde di curar l’interesse della nazione più che non il mio >. (12) Cantù C. Op. cit., p. 170. (22) R. Archivio di Stato in Torino. Registro delle lettere del Governo Provvisorio, c. 11 tergo e segg. (23) Botta C. Storia d’Italia dal 1789 al 1814; III, 208-209. (24) Il Joubert, con decreto del 9 decembre, aveva chiamato a far parte del Governo Provvisorio il barone Francesco Favrat, Vincenzo Botton, Felice San Martino conte della Motta, Felice Clemente Fasella, G. B. Berto-lotti, il conte Carlo Bossi, l’avv. Luigi Colla, Giuseppe Fava, il prof. Agostino Bono, il conte Pier Gaetano Galli, l’avv. Francesco Brayda, l’avvocato Giuseppe Cavalli, il prof. Innocenzo Baudisson, Stefano Giovanni Rocci e il medico Giuseppe Sartoris. Con successivo decreto del 19 decembre, « considerando che la celerità colla quale. dovevasi indispensabilmente organizzare il Governo Provvisorio non gli ha permesso in quei primi istanti — 166 — di sceglierne i membri che fra gli abitanti in Torino , come quelli di cui meglio poteva conoscerne i talenti e le virtù civiche » ; θ « che d’altronde Ja giustizia esige che anche le altre parti del Piemonte siano a parte del vantaggio d’avere nel Governo Provvisorio uomini che ne dividano le fatiche; rischiarino le sue deliberazioni e vi rechino quelle notizie locali, colla scorta delle quali il Governo potrà occuparsi degli interessi di ognuno ed invigilare ad un tempo ai diritti di tutti », ai quindici, già in carica, aggiunse il medico G. B. Balbis, Secondo Enrico Chiabrera, Domenico Capriata, il medico Carlo Botta, l'avv. Alessio Antonio Simian , Pietro Avogadro conte di Valdengo e Formigliana , 1’ avv. Filippo Benedetto Bunico , il prof. Antonio Bellini, Guglielmo Cerise e Pietro Geymet pastore evangelico. Ebbero di stipendio « la somme de mille livres en valeur par mois » a testa , con biglietto del Suchet, scritto a nome del generale in capo. (25) La formola era questa: « Giuro all’Onnipotente Dio fedeltà al Governo Repubblicano e di mantenere con tutte le mie forze la Libertà e l’U-guaglianza. Giuro odio eterno alla tirannia, e di essere fedele all" alleanza della mia Patria colla Repubblica Francese, sua liberatrice ». (26) Le « misure » proposte furono tenute segretissime. Qui le trascrivo, non essendo mai state messe alla luce: « Per assicurare la grand’opera che a prò’ del Piemonte si è intrapresa, la Commissione è in senso che si eseguissero le seguenti operazioni: 1.0 Appena eseguita la stampa de’ motivi che indussero il Governo Provvisorio a votare la riunione del Piemonte alla Francia, si deputassero nelle Provincie li cittadini a ciascuna di esse annotati. La prontezza colla quale devesi eseguire la cosa , per togliere il campo alla cabala ed alle trame dei malevoli e degli anarchisti , la maggior probabilità di riescire nell’impresa qualora si trasportino ne’ diversi punti delle Provincie persone bene vise e che godano d’una riputazione stabilita, finalmente l’obbligo che corre al Governo Provvisorio, dopo l’atto solenne da esso esternato, di assicurarne l’esito, rendono necessaria questa misura. Li deputati a questo grande oggetto saranno muniti d’un ordine del Generale Grouchy, non già per valersene a forzare le opinioni, ma per essere autorizzati a servirsi della forza francese nel caso che si creda necessaria per la loro sicurezza. Giova sperare che i deputati non troveranno ostacoli e molto meno ancora delle ostilità , ma non è fuori di proposito il munirli di questa salva-guardia per ogni avvenimento. La 2.a misura si è che nella Comune di Torino si deputino per i Collegi della città ed alla Università li cittadini Bono e Baudisson , li quali faranno riunire i Collegi ed i studenti nelle scuole e comunicheranno loro l’operato del Governo, ed esploreranno pure il sentimento della Società Popolare, prevalendosi di quegli aggiunti che stimeranno. Si crede che l’influenza del cittadino Campana possa mettersi a profitto per far decidere la Guardia Nazionale. Questo resta tanto più necessario dacché la speranza dei Cisalpini, sembra fondarsi sulla Guardia Nazionale. Si chiameranno pure i comandanti dei corpi militari che sono in Torino e si combinerà con essi il modo di far emettere il voto della riunione ai soldati, che certamente non vi saranno contrari. La Municipalità sarà incaricata di prendere il voto delle Università delle Arti, come anche di quella degli Ebrei, Qualora la Municipalità di Torino credesse di poter far emettere un voto — 167 — clamoroso al Teatro, senza rischio del buon ordine, si eseguirà questa misura colle precauzioni necessarie dalla medesima. Nella Provincia di Torino si trasporteranno in tutie le Comuni più cospicue le persone che verranno nominate dalla Municipalità di Torino e munite di una commissione del Governo. Dovrebbero anche chiamarsi dal Presidente del Governo i presidenti dei vari Tribunali nazionali e comunicati loro i motivi della risoluzione fatta dal Governo, invitarli a fare emettere il voto dai membri d’essi Tribunali ». Per i deputati compilarono poi speciali istruzioni, che tolgo dal loro o-riginale : « I deputati del Governo si trasporteranno indilatamente al capoluogo delle rispettive Provincie. Comunicheranno alle Municipalità e quindi alle Centrali V oggetto della loro missione e chiederanno il voto loro. Nel caso che trovino le Municipalità bene disposte e sentano da esse essere sperabile di ottenere il voto o parziale o unanime dei cittadini, apriranno delle inscrizioni individuali ed ostiarie per mezzo delle persone che verranno loro indicate dalle Municipalità. Nel caso contrario non cercheranno di forzare le opinioni e continueranno il loro giro nel rimanente delle Provincie. Giunto il Commissario al capoluogo s’informerà dalle Municipalità e dalle Centrali intorno alle persone delle quali possa far capo per inviarle indilatamente nelle Comuni più cospicue della Provincia a preparare lo spirito dei municipalisti e dei locali, ovvero anche per ricevere i voti. I commissari si trasporteranno pure in quelle Comuni che stimeranno più propizie e di là chiameranno anche le Municipalità di quelle altre Comuni nelle quali non credessero necessario di portarsi. I commissari s’ informeranno specialmente nelle diverse Comuni dove vi sono Società Patriottiche, dello spirito che anima queste Società, ed ove credano prudenziale di eccitarle a dare il voto, lo eseguiranno con quella circospezione che le circostanze loro suggeriranno. Tra le informazioni che i commissari dovranno prendere, sono sostanziali quelle che riguardano i nemici della riunione. Se questi fossero cosi potenti che si potessero temere dei movimenti per parte loro, cercheranno que’ mezzi prudenziali che le circostanze li permetteranno, per paralizzare le loro azioni. Nel caso poi che non fossero a temersi, procureranno di risolverli a cangiar opinione col mezzo di persuasive dei loro amici. Stante la circostanza degli ultimi giorni di carnevale si crede che i deputati per le -Provincie non debbano partire che al mercoledì mattino. Al giovedì si eseguirà concordemente in tutti i capoluoghi delle Provincie la grande operazione ». La « formola del voto da emettersi dalle Municipalità e dai cittadini del Piemonte » fu questa: « Noi infrascritti, persuasi che la gloria ed il vantaggio del Piemonte esigono che sia questa Nazione riunita alla Nazione Francese, nostra liberatrice, dichiariamo unanimi e concordi tale essere il nostro voto libero e sincero, invitando il Governo Provvisorio del Piemonte a trasmetterlo al Direttorio esecutivo della Repubblica Francese e sperando che verrà da questo favorevolmente accolto ». II Governo nominò commissari « per trasportarsi nelle Provincie rispettivamente ad essi assegnate », i cittadini Riva, Pinchia, Vinay, Gastaldi e Chiavarina, a Torino; Giobert, ad Asti; Chiabrera e Cavalli, a Casale, A-lessandria, Voghera, Acqui e Tortona; Colle e Bay, a Vercelli; Avogadro, — ι68 — a Biella; Botta, ad Ivrea e nella « Provincia di Torino al di là della Stura »; Bongioanni [membro della Municipalità, e da non confondersi col Bongioanni capo dell’uffizio degli interni], ad Alba; Geymet, a Pinerolo ; Fasella, a Susa; Balbis, aSaluzzo; Gandolfi e Bonvicino, a Cuneo; Bellini, a Novara e nella Lomellina; Arise e Botta, ad Aosta; Bunico, a Mondovì; Riccardi, a Oneglia; Cotti di Brusasca, « nelle colline tra l’Astigiano ed il Monferrato » ; l’avv. Debernardi, a Vigevano, a Orta e nella Valsesia. R. Archivio di Stato in Torino. Atti riguardanti il Governo Provvisorio Piemontese e decreti del medesimo, reg. i.°, cc. 113 tergo e segg. (27) R Archivio di Stato in Torino. Processi verbali originali delle sessioni del Governo Provvisorio Piemontese dalli 1$ nevoso alli 14 germile anno 7.0 repubblicano e i.° della Libertà Piemontese. (28) Sclopis F. Storia della Legislazione italiana, III, 63. (29) Cfr. Transunto del processo verbale del Governo Provvisorio delli 14 Piovoso anno 7.0 Repubblicano e primo della Libertà Piemontese (2 febbraio 1799 v. s.), Torino, dalla Stamperia Nazionale , [1799] > in l6·0 pp. 16. (30) Il Repubblicano piemontese, n.° 18, 18 piovoso anno 7.0 repubblicano, 6 febbraio 1799 v. s. (31) Il Governo Provvisorio, con decreto del 17 decembre 1798 , inviò a Parigi Stefano Giovanni Rocci ed Ercole De Villa, « per esprimere al Direttorio Esecutivo la sensibilità ed eterna riconoscenza della Nazione Piemontese pel sacro dono di libertà da lui ricevuto ed a cui anelava da sì lungo tempo inutilmente ». Cfr. Atti riguardanti il Governo Provvisorio Piemontese e decreti del medesimo, reg. I, c. 11 tergo. (32) R. Archivio di Stato in Genova. Dispaccio del Massuccone al Ministro delle relazioni esteriori della Repubblica Ligure, del 6 febbraio 1799· (33) R. Archivio di Stato in Torino. Lettera del prof. Antonio Bellini al Governo Provvisorio del 28 piovoso [16 febbraio 1799]. (34) Lettera del Cotti al Governo Provvisorio, del 27 piovoso [15 febbraio 1799], nell’Archivio suddetto. (35) Botta C. Op. cit. Ili, 210. (36) Così la riporta tradotta dal francese N. Bianchi , Storia della Monarchia Piemontese dal 1773 al 1861; 111,90-91. Non mi fu possibile trovarne l’originale. (37) È inedita e si conserva nell’Archivio di Torino tra le carte del Governo Provvisorio, filza n.° 4. (38) R. Archivio di Stato in Genova. Dispaccio del Masuccone del 9 febbraio 1799. (39) Cfr. la nota n.° 26. (40) PiNELLi F. A. Storia militare del Piemonte, II, 120-121. (41) R. Archivio di Stato in Torino. Processi verbali originali delle Sessioni del Governo Provvisorio Piemontese, seduta del 7 febbraio 1799. (42) Raccolta delle leggi, provvidenze e manifesti e7na?iati dai Governi Francese e Provvisorio e dalla Municipalità di Tori?io unita7ne?ite alle lettere pastorali del citt. Arciv. di Torino, Torino, colle stampe del cittadino Davico , anno 7.0 rep. i.° della Libertà Piem., vol. I , pp. 194-195 e 224-226. (43) Il Ranza in una lettera sua all’Eymar cosi racconta le vicende della propria vita in que’ giorni: « Ranza se trouvant bien a Gênes y avait fixé son domicile et transporté quelques effets de Milan, avec l’intention d’y — 16g — faire passer dans peu de jours aussi sa famille. Maintenant le Piémont fut révolutionné par l’armée française. Alors Ranza est couru à Turin, et le premier il a proposé la réunion du Piémont à la France par un discours prononcé à la Société patriotique, et ensuite imprimé. Ce discours, qui a fait beaucoup de bruit, lui a provoqué la haine des factions contraires, surtout des Cisalpins qui désiraient la réunion du Piémont à leur République. C’est en conséquence de cette haine que Ranza s’étant rendu à Milan pour arranger ses affaires et transporter à Turin sa famille et ses effets il fut obbligé d’en sortir dans 24 heures par ordre du Directoire Cisalpin , sous le pretexte que le decret de son exil n’était pas encore effacé ». L’ originale di questa lettera trovasi a Parigi nell’Archivio del Dipartimento degli affari esteri. (44) È indirizzato al consigliere di Stato Laumond, e fu scritto da P. La-boulimière, capo divisione nell’amministrazione dell’interno. (45) Degli scritti venuti alla luce, sia in favore dell’indipendenza del Piemonte, sia della sua unione alle Repubbliche Liguri e Cisalpina, sia alla Francia dà l’elenco il Roberti [Il cittadino Ra?iza> pp. 154-155]. Ricorda, tra gli altri, il Ma?iifesto dei patrioti al Popolo Piemontese, [Torino], Stamperia della Libertà in Canneto n.° 1346, 1799; in 8.° picc. di pp. 8 ; e aggiunge : « È emanazione del partilo italico, che getta qualche luce sull’ o-perato degli affigliati e sulla chiusura dell’adunanza patriottica ove avevano finito per prevalere ». Esso però ne ignora l’autore; cosa che a me è riuscito scoprire. In una lettera del Francia, agente diplomatico del Governo Provvisorio a Genova, scritta il 23 febbraio 1799, si legge : « ieri per di lui ordine [dell’avv. Ugazzi] mi mandarono dalla Stamperia della Libertà due copie della stampa intitolata : Manifesto dei Patrioti al Popolo Piemontese. Fui assicurato che questo scritto venne da Torino stampato. Li stampatori però che mi mandarono le copie cosi si esprimono nella lettera che le rivolgeva : D’ordi?ie del cittadino avv. Domenico Ugazzi editore della pre-seyite stampa ». Il Governo gli rispose il 27: « Il Manifesto statomi consegnato del cittadino Ugazzi, essendo ingiuriosissimo al Governo Provvisorio ed alle autorità costituite piemontesi qualora ne sentiate parlare non mancherete di disapprovarlo ». R. Archivio di Stato in Torino. Governo Provvisorio Piemontese, filza n.° 41. Delle pubblicazioni fatte contro 1’unione alla Francia restò sconosciuta al prof. Roberti la seguente: Riflessioni so-fra alcune conseguenze che risulterebbero dalla riunione del Piemonte alla Repubblica Francese, [In fine:] Nella Stamperia di Giuseppe Denasio, 1799; in fol. volante. Sono sottoscritte: Pietro Riccati. Esso con altri due scritti combattè quell’unione: a) AlVestensore del Repubblicanopiemo?itese [lettera]; nel n 0 24 di quel giornale , 12 ventoso anno 7.°, 2 marzo 1799 v. s. Vi rispose nel n.° stesso Modesto Paroletti, che n’era il direttore, b) All’esten so?'e del giortiale iìititolalo La verità vendicata in supplemento al n.° 9. [Torino], Nella stamperia nel cittadino Giuseppe Denasio, in 4.0 di pp. 4 n. n. È m data del 13 germile, ossia 12 aprile. — All’elenco dato dal Roberti son pure da aggiungere: a) Indirizzo del Piemonte al Popolo Francese sull'unione del medesimo alla Liguria, [In fine:] Genova 1799. Stamperia Scionico e De-Grossi ; in 8.° di pp. 8. b) Pensieri d' un repubblicano sul destiiio del Pietnonte, [In fine:] Il presente opuscolo, impresso dal cittadino Saverio Fontana, si trova vendibile in Torino dal cittadino Saverio Giaccone, libraio presso Santa Teresa; in 16.0 di pp. 16. [Ha la data: « To- Giom. St. e Leit. aella Liguria. 12 rino, 23 nevoso » (12 febbraio '99), e conclude: «la patria, l’amata patria non è fatta per formar parte d’ altri paesi, il suo destino è di reggersi da sè »]. c) II Piemonte. Pridie caveat ne faciat quid pigeat postridie, Torino, A. VII. R. primo della libertà piemontese. Dalla Stamperia Briolo ; in 16.° di pp. 60. [È di Alessandro Francesco Riccardi. Finisce con queste parole alla Francia: « Più forte e sicura sarai se li Piemontesi saranno liberi e valorosi cittadini devoti tuoi alleati, piuttosto che se ti saranno fieri ed accaniti schiavi, sempre pronti a cogliere il momento di scuotere 1' ingiusto ed empio giogo »]. d) Ragio7iame?ito filosofi co-cristiano sulla riunione del Piemonte alla Repubblica Fra?icese, (In fine:) Torino, dalla Stamperia Briolo; in 16.0 di pp. 8. [È « del cittadino F. L. ». Conclude: « l’interesse d’entrambe le nazioni esigono che promuovasi questa riunione »]. Sul Piemonte si leggono interessanti notizie nel Redattore Bolognese , che aveva un buon corrispondente a Torino. Ne spigolo qualcuna : 28 piovoso (16 febbraio. «Il cittadino Bossi, ministro cisalpino a Torino, fece un assai sensato discorso nell’atto di sua presentazione a quel Governo Provvisorio. Gli fu risposto in termini analoghi, ma che fanno vedere quanto poco sieno fondate le speranze di coloro che chiedevano che il Piemonte in tutto o in parte dovesse essere unito alla Cisalpina. Il seguente scritto merita di essere riportato in tutta la sua estensione: —Si tratta di decidere per sempre il destino della nostra patria, si tratta di scancellare un popolo dal numero delle nazioni, si tratta di riunire una parte preziosa dell’Italia alla Francia. Questo popolo, che ha il diritto inalienabile sovrano di disporre di se stesso, questo popolo che ha meritata la libertà con sacrifizi di cui la storia offre pochi esempi, questo popolo sarà come una mandra d’armenti condotto dalla volontà, dagli interessi di pochi uomini, che invano pretenderebbero essere li suoi rappresentanti? No: questo popolo non è vile a tal segno: s’ egli deve pronunziare il suo voto, egli vuole pronunziarlo liberamente, con cognizione di causa e con quelle solennità che possono provare all’ universo che la sovranità delle nazioni non è un nome inventato dai despoti e dagl’intriganti per meglio opprimere e signoreggiare. E voi, cittadini del Governo Provvisorio, che avete per un momento riconosciuto che gli uomini del Piemonte sono liberi, con qual diritto vi avvisate di trattare e di decidere nel silenzio la nostra causa? Sì, cittadini, la causa che trattate è quella della nazione, ed essa non riconosce per sua la vostra volontà; le tenebre sono figlie della tirannide, il mistero è padre del delitto : interrogate il popolo, esso vi risponderà: illuminatelo sugli interessi suoi ed esso saprà decidersi pel migliore partito, ma non pensate di sorprenderlo: l’inganno sarebbe fatale per gl’ingannatori. Se la riunione al virtuoso popolo Francese, nostro fratello, sarà utile per noi, sapremo desiderarla ed esprimerne il desiderio liberamente; ma voi pensate che non si deve sacrificare 1’ interesse dei secoli al vantaggio apparente di un momento: pensate che la nazion Francese è troppo grande e generosa per non esiger da noi sacrifizi impossibili, e che i sacrifizi possibili per la gran causa della libertà saranno da noi fatti spontaneamente: considerate che voi non siete i padroni della nostra libertà, dellejnostre sostanze e della nostra civile esistenza ; riflettete che il momento s’avvicina in cui renderete all’Europa intiera il conto della vostra amministrazione. Se avete fatto degli errori, non coronate la vostra carriera con un passo irreparabile : se non conoscete che la confusione dei poteri che coesercitate è la vera sorgente dei nostri mali e della imperfezione delle vostre operazioni, se non potete fare la nostra felicità, se siete — 171 — deboli a segno di non osarlo, invocate il consiglio della grande nazione consecrate li principii da essa adottati e deponete con dignità il vostro potere nel seno del Popolo Piemontese. Salute e fratellanza ». — / ventoso (19 febbraio). « La nostra sorte pende da pochi istanti. L’incertezza svanirà a momenti dal nostro Stato. Le autorità provvisorie hanno consultato il popolo che desidera di unirsi alla Francia. Gli unici che si siano mostrati renitenti sono stati i giudici e gli avvocati. Costoro coi loro cavilli hanno cercato di far apparire al popolo essere cosa migliore una Repubblica Piemontese. Ma il popolo non è così gonzo da lasciarsi sopraffare dalle loro cicalate. Egli conosce lo stato delle sue finanze e ben comprende che da sè solo non potendosi sostenere bisogna che ricerchi un appoggio potente e generoso per assicurare la sua esistenza ». (46) Sclopis F. Op. cit., I, 62. (47) Bianchi N. Op. cit., Ili, 89. (48) 11 Carutti aggiunge in nota: « Di questo scritto del Fantoni parla una lettera del Botta del 1799, ma a me non fu dato di averlo sott’occhio, per quante ricerche abbia fatto, nè so dire, se sia corso manoscritto o stampato ». La lettera del Botta è del 22 agosto '99, quando egli si trovava a Parigi ed il Fantoni a Grenoble, dove appunto compose quello scritto, per propugnare l’unità d’Italia. E dunque posteriore, e non riguarda per nulla l’unione del Piemonte alla Francia, avvenuta parecchi mesi prima. (49) Fin dal 14 aprile 1797 la Commissione centrale di Polizia della Lombardia aveva ordinato agli abitanti di « portare la coccarda nazionale francese o lombarda in luogo assolutamente visibile », con la minaccia che chi « verrà trovato senza coccarda sarà arrestato, considerato come perturbatore della pubblica tranquillità e come tale punito con un mese di carcere ». Cfr. Raccolta degli ordini, avvisi, proclami, ecc. pubblicati in Milano, II, 373. Anche in Piemonte divenne generale l’uso di portare la coccarda, ma fu esclusivamente la coccarda francese. (50) Partì assai più tardi, infatti il Robert scriveva da Milano il 1.0 d’aprile al Governo Provvisorio: « Il Direttorio e principalmente Rebwell con una lettera fece sentire non essergli grata la residenza in Torino dei due ministri delle Repubbliche Ligure e Cisalpina. Questa è la ragione per cui Massuccone partì...... Intànto [Luigi] Bossi continua nella sua qualità di ministro a Genova e d’incaricato d’affari a Torino, e per non dar gelosia si tratterrà ora in un luogo, ora in un altro, secondo le occorrenze ». ($1) Carutti D. Storia della Corte di Savoia durante la rivoluzione e Vitupero francese, II, 32-34. (52) Botta C. Op. cit., 57-58. (53) Entrato nell’esercito austriaco il 1795, prese parte alle campagne del Y\ urmser e dell Alvinzy; dopo Campoformio fu di guarnigione a Verona; riaccesasi nel 1799 la guerra tra l’Austria e la Francia combattè ne’ Gri-gioni e venne fatto prigioniero alla battaglia di Taufìers il 25 marzo e condotto a Milano, dove conobbe il Lahoz ed ebbe vari convegni con lui. (54)11 Comelli di Stuckenfeld in una sua relazione all’ imperatore d’Austria scrive : « V. M. trouvera dans mes anciennes notes le plan que me fit connaître le général Lahoz, en passant par Milan. Il avait organisé un parti qui s etendait jusque dans le fond de la Calabre. Le projet était d’opérer une défection générale sur les français, aussitôt que leur armée eût de nouveau pénétré en Allemagne. Toute l’Italie devait se réunir en un seul corps et se déclarer indépendante..... Pour le malheur de Lahoz, l’armée répu- blicaine, au lieu de s’éloigner de l’Italie, revint en Lombardie ». Cfr. Co-melli de Stuckenfeld, Histoire des co?ispirations formées contre Napoléon Buoyiaparte depuis 1798 jusqu'au 1814, ou chronique secrète de F?‘a7ice et d'Italie. [Londra, 1815], II, 57. Come nota il P. Ilario Rinieri [Il generale Lahoz, il pi’imo ptopugnatore dellindipendetiza italia7ia (a.7i7io 1799), in La Civiltà Cattolica, ann. 55(1904), vol. II, pp. 63]: « La speranza del Lahoz era che i Francesi nella campagna pigliassero la via del Tirolo ed invadessero l’Austria; in quel momento egli avrebbe sollevato il popolo in Italia e sarebbesi destreggiato per guisa che nè Tedeschi nè Francesi avessero più nè modo nè possibilità di rivalicare le rive dell’Adige. La cosa andò invece a rovescio: gli Austriaci invasero l’Italia, e la battaglia di Verona, vinta da essi contro i Francesi, rovinò il disegno e le speranze del Lahoz ». Vili. LABINDO ESULE E SOLDATO. Il 3 maggio del 1799, guardato da un sargente di linea francese, il Fantoni venne condotto a Grenoble. « Una gentile signora, a cui il poeta era caro, e che il giorno della sua partenza da Torino era stata impedita di visitarlo, precedendolo per via , a una fermata presso Rivoli gli diede l’addio » (1). A Grenoble, dove da principio fu confinato e poco dopo rimase in libertà, « trovò ammiratori ed a-mici ». Così il nepote; e aggiunge: « Rammentava egli con sentimento di gratitudine il pittore Luigi Jay, il quale, con rara ospitalità e sincera amicizia , profugo e privo di mezzi, nella propria casa l’accolse ». Furon giorni crudeli per Labindo, « peregrino in Francia e senza potere ricevere prontamente le rendite dell’ avito patrimonio , lontano dalla patria e privo di speranza di potervi tornare con sicurezza »' (2). Pure, « le sue poesie ancor là dolcemente suonarono all’orecchio degli intelligenti e il i.° ottobre del 1799 gli acquistarono l’onore d’esser nominato membro del Liceo di scienze ed arti di Grenoble ». Tra le odi da lui immaginate per VEpodon, e che poi disgraziatamente non scrisse , divisò d’intitolare La Speranza a Carlo Couturier di Versailles e La Calunnia allo Jay. In questa si difendeva da un’ accusa ingiusta e atroce , della quale fu fatto segno per la perfidia degli altri profughi. La raccolse il poeta Luigi Cerretti con la voluttà che met- — 173 — te va nella maldicenza; nè sdegnò farsene eco Gian Galeazzo Serbelloni. Il Cerretti, ricordato che ha nel suo Giacobino « un poetaccio detto Fur-Fantone », aggiunge in nota : « costui , conosciuto sotto il nome arcadico di Labindo , fece in Grenoble una colletta di ottanta luigi pe’ rifugiati italiani e se ne fuggì col danaro raccolto ». Il Serbelloni scrive da Parigi : « Lo spirito pubblico è sempre lo stesso, e i sognatori politici non si destano mai; fra questi quanti tristi , quanti falsi profeti ! E non se n’ ha punto difetto anche fra noi : il Pozzi (3), che tanto sbracciasi per infiammare gli animi sulle future sorti d’Italia, è uno sciagurato agli stipendi dell’Austria, già sussurrone ed eccitatore di torbidi a Pavia ; ora , per carpirsi più largo sussidio, è ligio a Faypoult. Che dir poi del Fantoni, scialacquatore di quel denaro che la pietà dei Francesi aveva raccolto pei miseri raminghi italiani, il quale si dà attorno per rovesciare tutto e pescare nel torbido? Sopra ogni altro poi rimarrà notato d’infamia Adelasio, ex direttore dei Cisalpini (4), che per salvare se stesso si è fatto delatore all’Austria di ciò che Melzi trattava a Rastadt coi plenipotenziari Gòrz e Lehrbach, e veduta l’irreparabile ruina della Repubblica , empì una carrozza di grosso valsente e se n’andò a Novara per porlo in salvo. Poi, di celato, tornando tranquillo a Milano, sotto colore di matrimonio colla marchesa Serponti, svelò al nemico gli archivi, e, quel che è peggio, additò alla vendetta del vincitore il nome dei più caldi fautori della Repubblica » (5). Voci tutte prive quasi affatto di ogni fondamento , ripetute e credute senza accertarle, nè vagliarle. Una pittura fedele delle condizioni degli emigrati italiani in Francia si trova in una lettera di Giulio Cesare Tassoni (6) , scritta da Marsiglia il 3 novembre del ’99 : « Fra i patriotti, o sedicenti tali, vi è pur troppo pei buoni la sentina de’ scellerati : chi per soddisfare particolari vendette , chi per ambizione , chi per interesse. Insomma si trova fra i rifugiati una massa d’ enti irrequieti, torbidi, bricconi, che anche a Parigi ci hanno fatto e ci fanno un male infinito. Io certo mi professo d’essere e sarò sempre — i74 — patriotto ; ma in questi difficili tempi sono contento molto di essermi separato dalla massa dei medesimi , scegliendo per mia residenza una piazza come Marsiglia , nella quale ne sono venuti pochissimi, e questi poi vivono tranquillissimamente. Ecco il motivo per cui non volli andare nè a Grenoble , nè a Grasse , nè a Chambery. In quest’ ultima città non vi sarei mai andato , per non trovarmi in compagnia del Governo, che in totalità non può, nè potrà mai godere la mia confidenza. Dall’inquietudine e mala condotta di alcuni pochi, mio caro amico, i nostri nemici, quelli cioè che odiano i veri repubblicani, trovano argomento di porci tutti in un fascio e di dipingerci tutti come anarchisti e bevitori di sangue , e si servono poi di questo mezzo per pervenire ai propri fini » (7). Nè meno viva è la pittura fattane da Giovanni Labus : « Io non so trattenere la bile che in me suscita il quadro vergognoso dei rifugiati. Miserabili! Colà gl’intriganti trattano di sleali, di traditori coloro, che, a vicenda, predicano quelli assassini, ladri, infami. Qui si trincia di punta e di taglio sui dolori • e fino sui respiri delle infelici vittime che loro si parano dinanzi. Dappertutto una smodata smania di primeggiare in patriottismo, in moralità, in sapere ; una febbre di erigersi sulle altrui ruine , lacerandosi a vicenda » (8). Carlo Botta scriveva al suo amico Gsymet: « I patrioti si straziano l’un l’altro per screziature di opinioni , e per fatti o supposti o sinistramente interpretati » (8). In una lettera di Leopoldo Cicognara si legge : « I molti italiani che sono qui non sono capaci di unirsi e stare insieme neanche pochi istanti........Il sospetto, l’invidia, la maldicenza, la discordia li terrà sempre disuniti, inquieti, malcontenti » (10). Il fondo del quadro è vero, ma nel dipingerlo, tutti hanno annerito le tinte. Bisogna dunque fare una tara e grande a queste appassionate testimonianze. Il Direttorio Cisalpino, fuggito da Milano il 28 d’ aprile all’ avvicinarsi degli Austriaci vittoriosi, s’era rifugiato a Chambery, e di là intendeva e voleva comandare, senza che avesse la stima e la fiducia de’ profughi, troppe essendo le prove d’inettezza, d’incapacità e di servilismo codardo alla Francia date da — 175 — esso nel tenere il governo. Di qui Γ accapigliarsi tra loro de’ pochi partigiani del Direttorio e de’ molti che l’avversavano ; raccolti questi ultimi in grandissima parte a Grenoble, divenuto il centro maggiore degli emigrati, e dove, passando per Brianzone ed Aguilles, trovo rifugio anche l’Amministrazione del Piemonte. Una voce s’era fatta strada e si ripeteva e credeva senza accertarla e vagliarla: quella che il Direttorio nel lasciare Milano avesse portato con sè il tesoro della Cisalpina; ricco, dicevasi, di ben diciassette milioni; tesoro che il Direttorio, alla sua volta, sognava rubato dall’Adelasio. Nessuno toccò un soldo : il Direttorio, per giunta , non avrebbe avuto di che vivere senza gli scarsi soccorsi del Governo Francese, ottenuti a stento dal Serbelloni col pianger sempre miserie, e miserie non finte, a Parigi. Ecco che capita a Grenoble il Cerretti, uno de partigiani più ardenti del Direttorio , e segue una baruffa. Brandendo un coltello, gli si avventa contro il medico militare Dell’U , e il Direttorio vien tacciato d’infame e di ladro (n). È da credere che il Fantoni, focoso e pronto di lingua, com’era, non se ne stesse in disparte. L’odio implacabile che il Cerretti serbò contro di lui lo fa sospettare. Asserisce il Ousani che il « Dell’U e i compagni erano spalleggiati dai sedicenti patrioti francesi, i quali ivi ed a Parigi nella società detta del Manège tentavano una rivoluzione per ricominciare il terrorismo del ’93 ». Di più, aggiunge : « I circoli di Grenoble divennero tumultuosi al segno che il Governo li chiuse, disperdendo que’ riottosi ». Il Cusani nel descrivere « l’odio irreconciliabile dei cisalpini dei due partiti » e le violenze che ne furono il frutto, tiene a guida le carte del Direttorio, e ingannato dal suono d’ una sola campana , sei\za accorgersene e senza volerlo, esce fuori del vero : per il Direttorio ed i suoi seguaci non ha che parole di lode; per gli avversari non risparmia vituperi : son * fanatici sognatori d’una democrazia impossibile », è una « turpe gazzarra di utopisti o furfanti , i quali continuavano i vergognosi intrighi sulla terra d’esilio » (12). De’ furfanti e de’ sognatori ve ne furono da una parte e dall’altra. I rifugiati di Grenoble non — 176 — macchinavano per nulla imprese di sangue ; propugnavano un ideale più alto , più nobile , più generoso , e siccome questo ideale non andava a genio di chi teneva allora il Governo della Francia, furon presi in sospetto e tenuti bassi. Sulla vita degli esuli in Francia spargono larga luce le lettere che Angiolo Pico, segretario capo dell’Amministra-zione generale del Piemonte, andava scrivendo al Botta e al Robert, inviati da essa a Parigi per tutelarne gli interessi. « In seguito d un messaggio del Direttorio Esecutivo » (così nel dispaccio dell’ 8 mietitore anno 7, ossia 26 giugno 1799) « il Gran Consiglio [della Repubblica Francese] ha accordato 200 mila franchi al Direttorio Cisalpino, al Corpo legislativo, agli impiegati e patrioti cisalpini. E i piemontesi , che non hanno un Direttorio ricco di cinque in sei milioni, come quello della Cisalpina , ma bensì un’Ammi-nistrazione generale, la quale dopo d’aver consumato i pochi fondi nazionali per l’approvisionamento di Fenestrelles, è costretta vivere col denaro particolare degli amministrati, il quale presto mancherà e saremo ridotti all’elemosina ; e i piemontesi, che stan campati in faccia al nemico, quando i Cisalpini se la passeggiano per le belle città di Francia, i piemontesi sono affatto dimenticati. Pare aU’Amministra-zione che voi potreste procurare ai nostri fratelli un pari soccorso, giacché ne sono più degni e più bisognosi. Non mancate dunque di fare gli opportuni passi. Ieri giunse qui [a Brianzone] la nuova della presa della cittadella di Torino dopo avere per cinque giorni sofferto un furioso attacco. Ecco le cose nostre a mal partito....... Procurate a- dunque che i nostri fratelli, martiri della libertà e che combattono in oggi ancora, abbiano qualche sussidio, e così pure chi si adopera in ogni modo per la patria ». Notevole è il dispaccio del 17 mietitore, 5 luglio , sottoscritto non solo dal Pico, ma anche dal Geymet presidente della raminga Amministrazione generale: « Avendo sentita la presa della cittadella di Torino , che da prima non si credeva e che poscia fu avverata , vedendo lontano il nostro ingresso in Piemonte, ci risolvemmo di venire a Grenoble, — 177 — ove siamo da due giorni. Noi ignoriamo perfettamente il nostro destino, nè sappiamo cosa saremo per fare....... Qui siamo trattati da questa Amministrazione compartimentale colla maggior fratellanza, e veramente qui cominciamo ad accorgerci che siamo in terra libera....... I cambiamenti arrivati nel Governo , che ci indicate , ci erano già noti, e veramente essi hanno ravvivato le nostre speranze. Se Joubert è ancora in Parigi continuate a vederlo e ringraziatelo in nome nostro dell’interesse che prende per il Piemonte e pregatelo a continuare i suoi buoni uffizi. Procurate di far sentire al Governo una gran verità che può sola al buon esito delle armi francesi in Piemonte ed è la sicurezza del futuro nostro destino politico. Pulsate ed inculcate ». Il Pico torna a scrivere il 7 di luglio: « i rifugiati piemontesi si trovano in estrema miseria e l’Ammi-nistrazione che, come ben sapete, non ebbe mai fondi, salvo di trentamila lire in biglietti , coi quali dovette far fronte alle spese, pendente il suo soggiorno in Piemonte , si ritrova anch’essa al sommo angustiata, tanto per la sua giornaliera sussistenza , che nel non poter soccorrere gli infelici suoi compatrioti ». Il giorno 10 riscrive: « Più di 1000 infelici compatrioti e fra essi gli istessi amministratori gemono nella miseria. Si era pur scritto a voi più volte per ottener qualche sussidio , ma nemmeno una risposta. Possibile che vi siate dimenticati di esser piemontesi. Non lo voglio credere; conosco abbastanza il vostro cuore e la vostra energia , ma per carità scrivete qualche cosa....... I Cisalpini fanno ogni possibile per la lega d’I- talia in una repubblica, e noi dobbiamo saper da tutt’altri che da voi cos’essi fanno a Parigi. Perchè non secondare i passi di coloro che potranno portare maggior felicità al Piemonte ? perchè non stampar memorie, parlare? Botta, tu hai pianto nel perder il nome d’italiano , ed ora cosa fai ? » Quattro giorni dopo pigliò la penna il Rossignoli, vicepresidente dell’Amministrazione generale : « Cittadini, lo stato de’ rifugiati piemontesi è addolorante ; privi d’ogni mezzo di sussistenza, dopo d’aver sostenuto con tanto zelo e col loro sangue la libertà in Piemonte, e dopo d’aver — 178 — disputato al nemico il terreno piemontese palmo a palmo, si trovano in Francia mancanti di tutto. L Amministrazione che non solo non è capace di venir a loro soccorso , ma che ne abbisogna pur essa; i Cisalpini, guidati da Fantoni, che tentano ogni mezzo per deprimerci : e questi sono appoggiati a Parigi, mentre da noi non si sa cosa facciate costì: eccovi il nostro luttuoso quadro ». Λ1 dispaccio fece il Pico questo poscritto: « Finalmente si è ricevuto una vostra....... Le nuove in essa ci paiono consolanti, e avres- simo bisogno di vederle avverate , mentre siamo assoluta-mente ridotti ad un miserabile stato. L Amministrazione e pure della stessa vostra opinione di non voler partècipare dei sussidi concessi a' Cisalpini , mentre fra le molte ragioni di rifiutarli vi entrerebbe anche una delicatezza per nostra parte di dover chiedere i soccorsi da chi ci odia cordialmente. Credete che l’impolitico e fanatico 1·anioni, seco giunti i Dell’ U e qualche piemontese, giovinastro per altro e da tenersi in niun conto , tentano ogni strada per avvilire la nazione Piemontese , nel mentre appunto che essi domandano per ogni verso la riunione del Piemonte alla loro Repubblica. Si possono dare bestie simili? » La lettera del Robert e del Botta, alla quale accenna il Pico, non m’è riuscito trovarla. Da un copialettere de’ due inviati, tutto di mano del Rotta, trascrivo la seguente , che ha la data del 27 di giugno: « Già molti giorni sono abbiamo dato una memoria, per la quale domandiamo un sussidio al Governo a benefizio de patrioti piemontesi rifugiati in Francia, siccome fu già concesso ai cisalpini. Oggi ne presenteremo anche un’altra e ne speriamo buon esito. Sappiamo che esso Governo e già disposto a sovvenire brevi manti quelli fra i piemontesi esuli che si trovano a Parigi....... Avrete certamente già inteso dai rumori e dai fogli pubblici i cambiamenti occorsi nelle persone de’ Direttori e di varii ministri, mercè la prudenza ed il coraggio del corpo legislativo. Questi importanti avvenimenti influiranno senza dubbio sul destino di tutta la Francia e specialmente della nostra Italia. I patrioti, che sono ora i più forti, vogliono che non solamente essa sia libera . ma che — 179 — unita tutta in una sola repubblica ; e si prendono dal Governo le più efficaci e pronte risoluzioni, per discacciarne i barbari che la infestano. Vi possiamo assicurare che molti dei rappresentanti che vediamo, come François de Nantes, Briot, Delfaire , Decoumbrousse , ecc. ecc. sono amicissimi della nostra libertà. Ci giova sperare un più felice avvenire. Non sarebbe inopportuna cosa, se andaste già via spargendo fra tutti i patrioti l’idea dell’unità della Repubblica Italiana. Abbiamo fatto a quest’ oggetto una lunga memoria , che probabilmente si stamperà e ve la faremo pervenire ». In un altro dispaccio, scritto il 12 di luglio, seguitano a dire: « Vi abbiamo già notificato per le nostre antecedenti, che 1’ opinion pubblica, come anche questa di molti rappresentanti , si è di formare dell’ Italia una sola, o al più due Repubbliche; del Piemonte, o almeno parte di esso, si dubita, se sia per appartenere alla Repubblica Francese, od all’italiana. Comunque sia, noi non cessiamo mai di dimostrare , che qualunque abbia ad essere il destino del Piemonte, egli è necessario, per prevenire i mali di cui finora siamo stati vittima, ch’esso destino sia determinato prontamente, e venga cosi tolta quell’incertezza totale, che finora tenne con tanto danno sospesa la nazion piemontese....... Championnet parte quest’ oggi per costà : procurate di vederlo. Joubert deve partire alla volta di Nizza per raunare le truppe di quei dipartimenti e calare in Italia. Noi speriamo grandemente che questi due gran-d’uomini siano per liberare dai barbari la nostra patria ». L’Amministrazione generale replicava il giorno 21: « Potete immaginarvi il contento de’ patriotti, ai quali abbiamo partecipate le speranze da voi rinnovellateci d’un soccorso, e potete egualmente immaginarvi Γ ardenza de’ loro desiderii di vederle effettuate e realizzate, attese le decise positive miserie nelle quali giacciono. Tutti perciò confidiamo che non rallenterete i passi e le attenzioni al proposito, mentre il bisogno è al grado che si avvicina alla disperazione. L’ oggetto appunto il più interessante è quello da voi opportunamente manifestato di decidersi lo stato politico del Piemonte nel primo entrare dell’ armata in Italia. Si procurerà anche qui di farne un cenno al generale Championne^ giunto qui ieri l’altro a sera....... Nella ultima decade ci siamo radunati tutti gli italiani ad un pranzo onde fraternizzare e dissipare qualche ombra di emulazione o dissapore che sembrava inalzarsi. Vi fu la maggiore armonia ed una discreta allegria. Dagli italiani di diverse provincie si sono estese alcune memorie tutte tendenti a dimostrare i vantaggi dello stabilimento di una sola repubblica in Italia; ma stante il famoso voto emesso dal Piemonte, voi ben comprenderete che dobbiamo essere in imbarazzo a risolvere per l’adesione » (13). L’idea dell’unità si faceva strada nel cuore degli esuli. Uno de’ diplomatici della Cisalpina, Luigi Bossi, segnalava che a Parigi « tutti gl’italiani di miglior fama, come Cicognara, Serra, Sant’Angelo, Dandolo, Alessandri, Smancini, Varese, Tassoni, Cortese , la moglie di Vincenzo Monti a-nelano l’unità d’Italia. Questa è la meta dei loro voti e del brigare che fanno: speriamo avere quanto prima una dichiarazione favorevole » (14). Il 16 di luglio il Robert e il Botta ne toccavan di nuovo in un loro dispaccio all’Am-ministrazione generale : « Continuamente andiamo gridando unità di Repubblica, convenzione italica, libertà agli italiani di adottare quella costituzione repubblicana che sarà di loro maggior grado e convenienza. Vi possiamo assicurare che vari rappresentanti sono stati tratti al nostro parere dall’evidenza de’ nostri ragionamenti. In questo momento si stampa una nostra memoria su tale oggetto che vi faremo pervenire (15). Ci siamo intesi su questo proposito con parecchi de* cisalpini, e crediamo che non cediamo di zelo a nissuno. Ma volesse il cielo che non si parlasse più di cisalpini , toscani, romani, piemontesi , ecc. ecc. ecc., ma il nome italiano fosse l’unico e il solo nostro nome....... Volesse pur il cielo che il vicino secolo vedesse nascere una Repubblica italiana accanto alla Francese, e con la medesima di stretti vincoli congiunta , onde potessero comandare a loro volontà la pace, o la guerra, e la felicità del genere umano » (16). Interessante è la risposta del Pico : * Qui non si tralascia di lavorare a due braccia nel nostro — iSi — senso e già regna una perfetta unione tra gli italiani. Sarebbe però desiderabile che rarcipatriotissimo Fantoni non fosse qui. Ieri [22 luglio] è da qui partito il cittadino Paribelli già membro del Governo Provvisorio di Napoli. Egli viene da Genova ; ci portò un indirizzo al Corpo Legislativo per domandare la repubblica italiana una e indivisibile. Rossignoli, io e vari piemontesi abbiamo aggiunto le nostre sottoscrizioni alle altre di tanti italiani colà sotto-scritti. Quindi il Paribelli parti per Parigi ieri sera con Julien de la Drome , e questi furono scortati da varie lettere di Bassal e Championnet. Procurate di parlar con Paribelli e con Julien. Io sarei di sentimento che nello scritto che mi avete annunziato stamparsi da voi, aveste ragionato sul voto emesso dai Piemontesi. Cioè, che questi furono violentati dalle concussioni di Amelot, che domandava il Piemonte paese di conquista; che il Bossi lo strappò dal Governo Provvisorio sotto una specie di meto riverenziale, parendo che il Bossi parlasse con la bocca di Talleyrand, Réveillère, ecc. ; che non si discusse la questione, com’era dovere in un oggetto di tanta entità; che finalmente non ebbimo altra alternativa fuori quella di dire : mi unisco alla Francia, oppure: io non mi unisco; cosa che poteva far presa nell’ animo dei deboli , come fece, avendo paura di essere considerati nemici dei Francesi, qualora avessero detto no ». L* Indirizzo dii Pair ioti Italiani ai DircttOrì c Ideisi a -tori Francesi, compilato da Cesare Paribelli, venne anche tradotto in lingua francese ; e sulla copia in francese si legge : « L’auteur l’a redigere à Gênes, et l’a faite signer de la plus parte des patriotes Italiens, qui s’y trouvaient, et l’a presentee personnellement à Paris ». Ma, corne nota Benedetto Croce, « per isfortur.a, nè in questa, nè nella copia in italiano, sono trascritte le firme » (17). Indubbiamente tra’ sottoscrittori fu anche il Fantoni. L'Indirizzo finiva cosi: « Un gran numero di Patriotti, i più pronunziati di diversi Stati Italiani , non temendo dichiararsi Γ organo della Nazione intera , hanno riunito le loro firme al piede di co-deste memorie , affine di ottenere dai Legislatori e Diret- — 1 82 — tori del Popolo Francese , che la Repubblica Italica indi-pendente, una, indivisibile, e alleata della Repubblica Francese, venga prontamente e solennemente proclamata ». Tra gli esuli che secondarono con la voce e con la penna questo movimento unitario figura Labindo. Ne rende testimonianza il Botta stesso, che gli scrisse il 26 d’agosto « Ho veduto gli amici nostri Savoldi, Frangini, Pozzi, Paribelli, ecc. i quali bramosamente s’adoperano per la comune causa........ Ho piacere che le mie idee sull’unità della Repubblica italiana siansi incontrate colle tue , che ho letto essere in quella tua scrittura. Se fossimo Archimede , il quale con una sola tròclea si sentiva da muovere il mondo, lo potressimo fare. Ma la virtù di un patriotta non si e-stende tant’oltre. Vivi felice, caro Labindo mio » (18). Senza frutto ho cercato questa sua « scrittura » in Francia. Come tante altre cose di lui, le tempeste della vita raminga l’hanno travolta nell’oblio. Il nuovo Direttorio , con a capo il Siéyès , sembrava « più amico della libertà italiana » ; di qui le « molte belle speranze » del Botta , del Paribelli , del Fantoni e degli altri esuli; speranze fatte più vive per la scelta di Joubert e di Championnet, « in voce 1’ uno e 1’ altro di amare il nome italiano », a comandare gli eserciti che dovevano scacciar dalla penisola gli Austriaci ed i Russi , che n’ e-rano divenuti affatto padroni con le vittorie di Magnano e della Trebbia. Per conseguenza, que’ repubblicani d’ Italia ricoverati in Francia « molto insistevano e con le parole e con gli scritti e con le opere » nel proposito « dell’ indipendenza e dell’ unità italiana , persuadendosi che con questo nome in fronte avessero i francesi e chi sentiva con loro a far correre i popoli in loro favore ». Nel generale Joubert (19), che « secondava questi sforzi con volontà sincera », avevano essi collocata « la loro principale speranza, perchè sapevano che suo intento era, o volesse il Governo francese, o no , di ridurre l’Italia in una sola repubblica unita e independente, purché fosse strettamente congiunta con la Francia » (20). Il Joubert era però veduto di cattivo occhio dal Direttorio Cisalpino e da’ suoi pochi se- — i83 — guaci, che sognavano, col ritorno in Italia, di « rimettere, almen per poco, il Governo attuale, composto de’ rifugiati qual’è », e di « autorizzare una nomina provvisoria, per completare, di concerto col generale in capo, i supplemen-tarj » ; due cose che i più non volevano , nè tolleravano. Si ricava da’ dispacci che andava scrivendo all’agonizzante Direttorio il suo inviato a Parigi. « Il destino d’Italia è indeciso » (così il 16 di luglio); « Joubert, partito ieri sera con foglio bianco, pensa organizzare una Convenzione nazionale di mano in mano che riconquisterà le belle, sebben desolate nostre contrade....... Lambert, napolitano , lo seguirà dopo dimani, organizzatore di società rivoluzionarie. Vuoisi che Polfranceschi (21) l’accompagni come aiutante. I patriotti piemontesi gli tengon dietro, per agire all uopo di comune concerto........ So da Nizza e da Marsiglia che la marcia di fresche truppe è continua, che l’armi e i denari occorrenti si trovano; per cui se i realisti interamente disperano , possiamo lusingarci ancora coi repubblicani di ritornare ai nostri lari ». Il 20 riscrive: « Non si parla che con fierezza di voi. Mengaud , in un rapporto a Dubois, che gli Anziani hanno decretato di stampare, vi dice metti, imbecilli, organi delle traditrici misure qui decretate, nemici della libertà e dei patriotti ». Il 26 d’agosto rincalza: « I nostri fratelli e amici ricominciano la leggenda d’ un Governo provvisorio italiano. Pozzi ne conosce già i membri. Anzi le prime organiche leggi. Fantoni a Grenoble decreta deputazioni a Joubert colla nota de’ candidati. Poggi (22) va qui spiegando cert’aria istrionico-diplomatica e pretendesi l’ambasciatore prestabilito a rimpiazzar Serbel-loni. Fu già ben augurato quel popolo che fosse governato da un re filosofo, or qual bene augurar non dobbiamo ai Cisalpini se verran mai governati da questi patriotti Leib-niziani?....... Certo è che Joubert s’avanza con ampia plenipotenza, che odia l’attuale cisalpino governo, e che più l’odiano quegli entusiasti che lo circondano e lo influenzano sciaguratamente » (23). Labindo fece parte dell’esercito liberatore. Joubert, che ne pregiava il patriottismo e l’ingegno, lo volle con sè, e - 184 - gli offrì, spontaneo, il grado di capitano del suo stato maggiore (24). Bernadotte , ministro allora della guerra e già divorato dall’ ambizione che doveva fare di lui un maresciallo, poi un re, volendo guadagnare, come Carnot, il titolo d’ organizzatore della vittoria, stabilisce il piano della nuova campagna e ordina al Joubert di dare immediatamente battaglia. « Je vous invite » (gli scrive) « à ne pas différer votre départ ; c'est la voeu du Directoire qui compte, avec tous les amis de la République, sur vos succès, dignes de votre réputation militaire. La gloire de mon ministère sera de seconder la vôtre et de favoriser vos opérations pour anéantir les peuples et barbares ennemis de notre patrie ». Le condizioni, peraltro, in cui trovò l’armata d’Italia erano desolanti. Si legge infatti in uno de’ suoi rapporti al ministro : « 20,000 chevaux seraient nécessaires pour rétablir la cavalerie; les remontes sont nulles; point d’argent. Le matériel de l’artillerie a besoin d’être réparé en entier; point d’affûts; point de moyens de rechange; et les équipages qui pourraient encore servir ne trouvent que des routes délabrées et enfoncées. Les troupes qui marchent à l'ennemi manquent de subsistances dans la route ; les étapes sont partout interrompues, et les soldats, éprouvés dans les batailles, se débandent ». Il 15 agosto seguì la battaglia di Novi. Joubert , per testimonianza del Suchet, con 43 cannoni, 1654 cavalli e 33,860 uomini affrontò gli austro russi (25), comandati dal Souvarow e dal Melas, forti di 93 battaglioni di fanteria e di 52 squadroni di cavalleria, formanti 66,740 uomini (26). Salito sopra un’ altura , dalla quale si dominava la posizione del nemico , mentre piglia il cannocchiale, una palla nemica gli trapassa il cuore (27). I Francesi vennero disfatti (28). Uno de’ generali austriaci, che al seguito del Souvarow attraversò il campo di battaglia, ebbe a dire il giorno dopo : « Sul volto de’ tedeschi e de’ russi non vidi che la tranquilla immagine della morte; sui tratti esanimi de’ francesi l’espressione del furore e della rabbia: i loro cadaveri sembrava si volessero slanciare ancora contro il nemico e abbatterlo » (29). Il vinto esercito si ritirò nella riviera di Genova. « La — i85 - misère est affreuse parmi nous », scriveva al Direttorio il Moreau, rimasto al comando; che poi il 21 di settembre rassegnò allo Championnet, nuovo generale in capo del-Γ armata d’ Italia. Labindo , per testimonianza del nepote, « nell’ottobre di quell’ anno raggiunse a Cuneo il quartier generale, e trovossi poi con Massena rinchiuso in Genova, per tutto il tempo di quel memorabile assedio, ove, in mezzo al tumulto della guerra, potè dare alle stampe una decuria d’Odi in nitida ed elegante edizione ». Il 4 giugno del 1800 la città, vinta dalla fame, si arrese agli Austriaci ; e il giorno dopo il Fantoni, insieme con Antonio Boccardi, con Giuseppe Bollo , con l’ab. Giovanni Cuneo e altri patriotti , uscì da Genova co’ Francesi. Il 16 si trovò al Finale quando dal Massena venne costituita la Deputazione straordinaria di Governo della Repubblica Ligure. Composta del Boccardi e del Bollo, a cui fu aggiunto Andrea Badarò, si installava lo stesso giorno, nominando il Fantoni capo del proprio Burò ; così francesemente era allora chiamata la seg'reteria. Labindo in questa qualità, seguì la Deputazione, prima a Savona, poi ad Albisola, finalmente a Genova, quando il giorno 24 vi rientrarono i Francesi, guidati dal Suchet ; e seguitò ad esser capo del Burò finché la Deputazione non si sciolse il 2 di luglio (30). La stampa della prima decuria delle Odi, fatta a Genova durante 1’ assedio , fu occasione che il poeta riannodasse la spezzata amicizia col suo vecchio condiscepolo Az- zolino Malaspina (31), fratello di Carlo Emanuele, lo spo- \ destato Marchese di Fosdinovo. E un carteggio che merita di essere trascritto. L. E. Al cittadino Azzolino Malaspina Giovanni Fantoni. Genova, 27 agosto 1800 vecchio. Cittadino carissimo, Ho ricevuto la vostra lettera del 30 luglio scaduto, che mi rimprovera di essermi dimenticato della vostra amicizia, nata con l’infanzia e di non avervi inviata la prima decade delle mie Odi. V’invio subito questa, per darvi un attestato dell’altra, che non può variare quando Giorti. St, e Lett. della Liguria. 13 — 186 — professiate i principj che dite nella carissima vostra. Permettetemi però che vi dica, con la solita mia franchezza repubblicana, che non so intendere come professando altamente la causa della libertà , non abbiate fatto il possibile per impedire in cotesti feudi la persecuzione degli amici della medesima. Gradirò su questo articolo la vostra giustificazione , per poter far conoscere a voi ed al pubblico che meritate che vi stimi e vi ami. Salute repubblicana. Gio. Fantoni. Azzolino gli rispose: ........Mi domandate una giustificazione. Ah , caro amico, domandatela al pubblico giusto e imparziale, che già più di una volta mi ha reso giustizia in casi somiglianti ed ha saputo distinguere i guelfi ed i ghibellini. Domandatela alle anime oneste , sensibili e virtuose, repubblicane non già per le circostanze, ma per principi e per sentimento. Esse vi diranno che ho declamato contro le ripercussioni politiche e contro il sistema di sangue ed orrore, che per favorire la causa de’ Principi s’ introduceva in tutta Italia. Domandatela ai miei concittadini, ai processati medesimi, ai loro parenti e a quelli in fine che sono state le vittime , non dirò della libertà , ma de* tempi e di un malinteso fanatismo e mal guidato per difetto d’ educazione e di lumi necessari. Questi mi faranno testimonianza se mi sono opposto con tutte le forze al torrente , se ho parlato , se ho scritto in favore degli inquisiti e se mi sono adoprato in tutte le maniere per trattenere o per mitigare il colpo che andava a piombare su tanti infelici. Ma , carissimo Labindo , il dado era già tratto : io stesso non potevo azzardarmi a far de’ passi più clamorosi e pubblici, perchè io stesso, sorvegliato e mostrato a dito , dovea tacermi ; e perchè il mio nome era in quasi tutte le liste de’ proscritti, che anime più vili del fango presentavano ogni giorno ai generali austriaci e nelle quali io veniva dipinto come uno de’ più decisi e risoluti partigiani del sistema attuale e del giacobinismo....... Già fui Democrito: ora son diventato un Eraclito che piange per la sorte di tanti infelici , su tante sciagurate reazioni e sul destino di un mio rispettabile amico (32), che dopo un anno di prigione nella fortezza di Firenze e nel castello di Mantova geme presentemente in qualche oscuro sotterraneo d’Ungheria. Se un fortunato accidente non mi avesse da lui separato a mezza strada di Firenze sulla fine di giugno dell’anno scorso, e non mi avesse obbligato a portarmi a Lucca, per mille titoli io sarei stato associato all’illustre e innocente prigioniero (33). Labindo non solo rimase persuaso, ma vivamente commosso e gli replicò: — i87 - Libertà Eguaglianza Al suo amico Azzolino Malaspina Gio. Fantoni. Torino, 4 Vendemmiaio anno 9 repub.0 [26 settembre 1800]. Mi è giunta la vostra lettera del 5 settembre ed ho provato il massimo piacere a conoscere che non ho perduto un amico. Il giorno in cui trovo un uomo indegno della stima de’ buoni , mentre io lo stimava , è per me un dì di dolore : quello in cui lo rilevo ancora stimabile, è per me un giorno felice. Vi ridono dunque quei sentimenti che meritate, e, come voi avete detto altre volte, sono nati nella nostra infanzia. Spero che la pace , comunque ella sia , potrà rapprossi-marci. Invidio la vita che mi dite che fate. Beatus ille qui procul negotiis, etc. Gli uomini sono corrotti e quei che dovrebbero guidarli, invece di condurli al bene, si occupano per lo più di allontanarli da quello. Consolatevi, se avete potuto fra tanti urti contrari conservare un’anima pura, e stimate coloro che più in alto mare di voi hanno saputo nelle maggiori tempeste conservarsi degni della stima dei buoni e della causa che difendevano e difenderanno finché avranno vita. Conservatevi per gli amici, e se volete scrivermi dirigete a Genova le vostre lettere, di dove me le faranno pervenire. Salute ed amicizia. Gio. Fantoni. Quanto tempo soggiornasse a Torino , lo ignoro. Afferma il nepote che « dopo la battaglia di Marengo, restò presso il generale di divisione Miller fino al momento che vedendo di poter tornar tranquillamente tra i suoi, lasciato il servizio militare, rimpatriò ». Giovanni Sforza. (1) Carutti D. Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e Vitupero Francese, II, 34. (2) Nella Liste des réfugiés cisalpi?is1 che si conserva negli Archivi Municipali di Grenoble, « Fantoni, né à Fivizzano », figura tra’ « réfugiés ayant une carte de sûreté ». Una volta ebbe dal Governo Francese 65 franchi di sussidio. E da credere non fosse il solo, nè l’ultimo. Certo dovette condurre una vita di stenti, di sacrifizi, di patimenti. Senza la mano provvida dell'amicizia avrebbe sperimentato anche il tormento della fame! (3) Giovanni Pozzi di Milano. (4) Anche il Monti nella Maschei-oniana [I, 220] scaglia contro di lui i propri strali : « Vidi in cocchio Adelasio ed in catene Paradisi e Fontana ». E, in nota, altri aggiunse: « Adelasio di Bergamo fu membro del Direttorio Cisalpino e ardente propugnatore delle nuove idee repubblicane. Trovò nondimeno grazia appo gl’imperiali per aver loro svelato i depositi — 188 del denaro e degli archivi della Repubblica. Egli era di carattere debole ed un bizzarro miscuglio d’idee liberali e cappuccinesche ». Cfr. Locatelli-Milesi G. Girolamo Adelasio Direttore Cisalpino, Bergamo, Mariani, 1904; in-8°. (5) Cusani F. Storia di Milano dall’origine a’ ?ioslri giorni; V, 308. (6) Giulio Cesare Tassoni, nato a Modena il 20 marzo 1759, passò la giovinezza alla Corte degli Estensi. Scoppiata la rivoluzione, con altri nobili e cittadine folleggianti, danzò intorno all’albero della libertà, e mentre con una mano gettava la chiave di ciamberlano sul rogo, alimentato dal libro d’oro e da’ diplomi nobiliari, stendeva Γ altra in pegno di matrimonio alla graziosa modista popolana Luigia Baschieri. Alla venuta degli Austri-russi esulò a Marsiglia; tornato in Italia dopo la vittoria di Marengo, fu membro del corpo legislativo della Repubblica Cisalpina e incaricato d’affari di quella Repubblica e del Regno d’ Italia a Genova , a Firenze, a Napoli e a Berna. Mori il 14 decembre del 1821. (7) Valdrighi L. F. Estratti di un carteggio famigliare e privato ai tempi della Repubblica Cisalpi?ia e italiana e specialmente de’ Comizi di Lyon dèi conte Luigi Valdrighi, Modena, Gaddi, 1872; pp. 180-181. (8) Cusani, F. Op. cit. ; V, 310. (9) Bon-Compagni C. Notizia storica su Carlo Botta; negli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino; II, 265. (10) Malamani V. Memorie del conte Leopoldo Cicognara; I, 155. (11) Nel Registro 7'iservato delle deliberazioni del Direttorio esecutivo, che si conserva nel R. Archivio di Stato in Milano [Sezione storica. Direttorio esecutivo della Cisalpina in Francia, busta 319] sotto la data di « Chambery, 4 termidoro anno VII repubblicano » [22 luglio 1796] si legge: Il cittadino Ceretti, ministro della Repubblica presso la corte di Parma, dopo avere richiesta ed ottenuta udienza dal Direttorio, si presenta e viene ammesso alla seduta. Premette la narrazione di diverse vicende e disastri ai quali gli è toccato di soggiacere nel lungo periodo della sua ritirata in Francia. Si loda ed encomia il contegno ospitaliero delle autorità costituite e di diversi generali, che ha avuto occasione di vedere nei diversi paesi francesi, nei quali ha dovuto rimanere per qualche tempo. Distingue segnatamente il generale Muller, dal quale ha ricevuto ottima accoglienza e diverse attenzioni durante il suo soggiorno a Briançon. Costretto finalmente ad abbandonare questa città, che si allestiva per far fronte agli attacchi ostili , che per il momento potevano temersi, ho dovuto, dice il ministro, avviarmi per Gap, e quindi passai a Grenoble. Giunto a Grenoble, ove contava rimanere per alcuni giorni, si abbattè nel cittadino Ragazzi, piacentino, commissario di guerra della Repubblica Cisalpina , soggetto che il ministro aveva nella sua legazione a Parma avuto incontro di obbligare, ed altronde couosciuto per un processo di mala vessazione , e che aveva potuto sopprimere, rifondendo il vuoto coi proventi di una eredità nel frattempo a di lui favore verificatasi. Il Ragazzi abbraccia amichevolmente il ministro, si chiama fortunato per l’incontro, e gli si offre per compagno e guida in un paese del tutto nuovo per lo stesso ministro. Giunta essendo l’ora del pranzo, il Ragazzi dice al ministro che vuol condurlo presso un buon vivandiere, e lo conduce infatti in una locanda : trovando in una stanza la tavola ripiena di più di 50 persone, il ministro esterna la brama di non trovarsi in cosi numerosa e rumorosa compagnia. Il Ragazzi fa allestire la mensa in un vicino camerino, e allorquando il pranzo era oramai al suo termine entra nel camerino il cittadino Dell’ U, medico delle truppe cisalpine, in compagnia di un veronese, sarto di mestiere, e che non deve certamente avere la cittadinanza cisalpina, soggetto che il ministro riconobbe, senza però potersene richiamare il nome , per a-vergli prestato assistenza nello scorso anno in Parma. L’ingresso del Dell’ U coll’indi-cato veronese fu quasi un segnale di battaglia pel ministro. Interpellato egli se inten- — i8g — deva trattenersi in Grenoble, e sulla risposta che contava rendersi presso il Direttorio a Chambery, non vi fu improperio e strappazzo che non si proferisse contro il Direttorio stesso dal Dell'U, al quale facevano eco il nominato Ragazzi ed il sarto veronese. I titoli di ladro, di assassino, di infame, furono prodigati contro il Direttorio. Dall’andamento di questa scena il ministro non ha potuto a meno di sospettare una congiura ed una cospirazione del Ragazzi per perderlo. Avendo creduto di opporre alle invettive qualche riflesso, veniva fischiato ed altamente sgridato. Siccome gli improperii e le villanie d’ ogni genere erano dirette sopra tutti i direttori, e motivate anche sulla riforma Trouvé, il ministro credette di osservare che li cittadini Marescalchi e Vertemate Franchi erano stati nominati alla carica di direttore dal Corpo Legislativo. A questa proposizione il medico Dell’ U montò più che mai sulle furie, e in tuono da furia disse le precise parole: « Eletti da consigli infami, infami essi stessi ». Dopo avere sofferto tutto ciò che la più longanime pazienza può soffrire, dopo avere più volte replicato che essendo egli anche per ragione dell’impiego attaccato al Direttorio non poteva convenire nella loro opinione e concetto, finalmente non potendo più reggere a questa scena, il ministro si avvia, prende il capello ed un pezzo di sottile canna d’ India, rotto e non più lungo di tre palmi, per andarsene. Il Dell’U crede, o piuttosto fìnge di credere, che il ministro abbia preso il bastone per investirlo. Si avventa furioso contro il ministro e nell* atto di tirare di sotto la giubba uno stile od una pistola, lo minaccia altamente, trattandolo da infame, da briccone, ecc. Il ministro protesta di non avere mai avuto intenzione di minacciare : rileva la qualità del bastone rotto, esile e corto, e finalmente gli riesce di sottrarsi : fa attaccare e si reca a Chambery. Si è interpellato il ministro se lo scopo di questo rapporto fosse quello di ottenero una riparazione agli insulti ed alle minacce. Il ministro ha risposto che nel fare il detto rapporto , della cui piena verità e sussistenza si trovava in grado di rispondere in qualunque guisa, altro non aveva di mira che di mettere al fatto il Direttorio di quanto gli era accaduto in Grenoble, e perchè in ogni evento constasse, che se si era trattenuto in Grenoble, e la sua mala ventura aveva portato di trovarsi con le indicate persone, ciò non desse ansa di credere, che egli avesse partecipato ai loro sensi, che anzi abboiriva altamente, essendo pieno di rispetto e di confidenza nel Direttorio, che riconosceva per sua autorità superiore immediata. Il Direttorio ordina che questo rapporto sia riposto e si serbi negli atti governativi per memoria del fatto, ed anche per farne il conveniente uso all’occorrenza. Il Presidente del Direttorio esecutivo Marescalchi. Vertemate-Franchi. Luosi. Pel Direttorio esecutivo, il Segretario generale Canzoli. (12) Cusani F. Op. cit. V, 313. (13) R. Archivio di Stato in Torino. Amministrazione generale del Piemonte, filza n. 2. (14) Cusani F. Op. cit. V, 307. (15) Intorno a questa memoria cfr. Dionisotti C. Vita di Carlo Botta, Torino, Favaie, 1867, pp. 83-84 e 507-516. Esso afferma che fu « stampata »; il prof. Giuseppe Roberti invece lo nega, e con ragione. « Della memoria non c’è più traccia nelle carte del Botta, nè in quelle del Robert, chè non fu mai stampata ; ma non tanto importa il suo contenuto quanto il poter fissare che fin dal 27 giugno 1799 i due delegati piemontesi l’avevano terminata e pochi giorni dipoi la comunicavano ad alcuni rappresentanti al Consiglio dei Cinquecento, indi al direttore Siéyès ». Cfr. Roberti G. Un anno della vita di Carlo Botta, Roma, Forzani, 1901, p. 7. (16) Questo brano fu messo alle stampe da Carlo Bon-Compagni, Notizia storica su Carlo Botta; negli Atti della R. Accademia' delle Scienze di Torino, II, 260. (17) Croce B. Relazioni dei patrioti napoletani col Direttorio e col Consolato e Γ idea dell* unità italia?ia (1799-1801) , Napoli, presso Luigi Pierro, 1902, pp. 65-73. — ίφο — (ι8) Botta C. Lettere inedite, pubblicate da Paolo Pavesio , Faenza, Conti, 1875, pp. 164-166. (19) Bonaparte, il 16 novembre del 1796, cosi lo dipinse al Direttorio: « Le général Joubert, qui a commandé â la bataille de Rivoli, a reçu de la nature les qualités qui distinguent les guerriers. Grenadier par le courage ; il est général par le sang-froid et les talents militaires. Il s’est trouvé souvent dans ces circonstances où les connaissances et les talents d’un homme influent tant sur le succès. C’est de lui qu’on a dit avant le 18 fructidor : cet homme vit encore. Malgré plusiers blessures et mille dangers , il a é-chappé aux périls de la guerre, il vivra longtemps, j’espère, pour la gloire de nos armes, le triomphe de la Constitution de l’an III et le bonnheur de ses amis ». Cfr. Corresponda?ice de Napoléon; III, 447-448. (20) Botta C. Storia d’Italia dal 1789 al 1814, III, 342"343· (21) Pietro Polfranceschi nacque a Verona nel 1766, servi nell’artiglieria veneta, poi negli eserciti francesi. Fu ministro della guerra della Repub -blica Italiana e ispettore generale della gendarmeria del Regno Italico. Mori nel 1845. (22) Giuseppe Poggi, nato a Piazzano nel Piacentino , il 1761, fu segretario di Scipione de’ Ricci, vescovo di Pistoia; da Bonaparte venne chiamato a Milano a istituirvi la Società di pubblica istruzione ; fondò il periodico, VEstensore cisalpino, dove prese a difendere il Direttorio contro le accuse di Pietro Custodi. (23) Lettere del cittadino Labus al Direttorio Cisalpino; in Melzi Gio. Francesco Melzi d'Eril, Duca di Lodi , memorie-documenti e lettere inedite di Napoleone I e Beauharnais, Milano, Brigola, 1865, I, 507-512. (24) Per testimonianza del Thiebault [.Mémoires, III, 42], Joubert « avait de fait deux chefs d’état-major ; un de bureau, et c’était le général Suchet; un de bataille, et c’était l’adjutant général Préval ». (25) Gachot E. Le campagnes de 1799. Souvarow en Italie, Paris, Perrin, 1903, p. 470. (26) Trucco A. F. Gallia cotitra omnes. L’anno 1799, appunti storici e militari sugli. avvenimenti d’Italia, Milano, Tipografia degli Operai, i9°4> p· 315· (27) « Il avait à peine braqué sa lunette , que , frappé par une balle en plein coeur, il expira ». Cosi il Thiebault, op. cit., III, 44. (28) I Francesi perdettero 6500 uomini ; gli Austro-russi 7936. (29) Blancard, Histoires des batailles, III, 25. (30) Tra le carte della Deputazione, che si conservano a Genova nel Regio Archivio di Stato [.Repubblica Ligure , filza n. 371] , si trovano alcune minute di lettere e di decreti di mano del Fantoni. E senza dubbio è uscito dalla penna di Labindo il proclama de’ 17 di giugno, che si legge a pp. 74-75 de’ Decreti della Deputazione di governo negli affari militari, investita poi dei poteri amministrativi e militari, ecc. Genova , 1800. Anno IV della Rep. Ligure, Stamperia Franchelli. Qui lo trascrivo: Il governo Ligure Agli Abitanti del Tei ritorio della Liguria non occupato dalle armate nemiche. Concittadini, Genova per la totale mancanza di sussistenze è stata costretta ad aprire le porte agli Austriaci. La libertà che ella seppe ricuperare in pochi giorni nel 1746 si è rifugiata nella Riviera di Ponente per ritornare ben presto fra le mura della Centrale ri- — igi — condotta dalle armate Francesi, che hanno battuto il nemico al Varo, al Ticino e sulla dritta del Po. Liguri ! soffrite ancora per pochi giorni, e mostratevi degni di questo nome con la vostra fermezza : stringetevi tutti intorno al vostro legittimo Governo, che circondato da voi in tempi cotanto difficili non trascurerà alcun mezzo per sollevarvi dai mali indispensabili della guerra, e per ristabilire quella prosperità Nazionale, che è, e sarà sempre Punica meta di tutte le sue operazioni. Autorità della Repubblica legittimamente costituite ! spiegate quel carattere di e-nergia e di conciliazione, che conviene ai veri Repubblicani, e alle circostanze. Uno zelo illuminato, e costante, un civismo puro, ed imparziale distingua ogni vostra azione, e faccia conoscere ai nemici dell'ordine e della giustizia, che il solo bene del Popolo è la nostra guida, e la nostra^ ricompensa. Affidato al vostro repubblicanismo], ed amore per la libertà , che ha sempre distinto la Nazione Ligure, il Governo stende coraggiosamente la mano al timone degli affari. Pochi giorni ancora di sacrifizio, e il nemico evacuerà intieramente la Liguria, e la Repubblica sarà salva ». (31) Di Azzolino, figlio di Gabriele e d’isabella Orsucci, il Litta [Malaspina, tav. XV] se ne sbriga con dirlo « nato in Lucca nel 1755, 26 luglio; morto in Fosdinovo nel 1820, 26 giugno ». Il Branchi [Stona della Luni-giana feudale, III, 651] aggiunge, che « vestì abito clericale », fu « benefiziato » e « scrisse discretamente in prosa e in verso ». De’ suoi studi parla in questa lettera a G. B. Agostini Trombetti di Fivizzano , in data de’ 13 gennaio 1800. « Sono mortificatissimo per non poter corrispondere ai tratti di amicizia lusinghieri e alla fiducia che Ella ha in me riposta per la compilazione della Storia Lunense. La storia e la critica furono in altri tempi l’oggetto delle mie più gradite occupazioni, ma vi ho rinunziato perchè conobbi che non vi sarei riuscito. D’altronde gli avvenimenti de’ Feudi in generale sono a me altrettanto sconosciuti che a Lei, e quando si dicesse che codesti infelici paesi , composti di capanne, e dove si contrasta da un anno all’altro colla fame e con la miseria, furono clandestinamente sottratti al governo non invidiabile de’ Marchesi, per soggettarli a un altro, cui la natura e la costituzione fisica ripugnava , sarebbe tutto quello che si potesse dire. Scendendo al particolare e al feudo di Fosdinovo, quando ho detto che costì non si conosce educazione, ho detto tutto; e se Véducation fait tout, dunque in questo paese non vi è nulla affatto di spirituale e sentimentale , e tutto è animale! Per que’ piccoli fattarelli occorsi nel tempo che ci siamo fatti conoscere per infelicissimi copisti e mal adatti scimmiotti; fattarelli che meritano o la scuola di grammatica per tre anni, o 25 sferzate sul preterito perfetto; io non saprei che dire. Se sono criminali, potrà consultare il dottissimo avv. Tornei , che ne ha fatto doviziosa raccolta; e se sono civili, cui meglio del di Lei cognato e mio amico dott. Marchini potrà soddisfare la pubblica e privata curiosità? Ecco quanto io posso suggerirle sul proposto soggetto, e mi rincresce per questa volta non poter essere utile maggiormente alla repubblica letteraria ». Fu ascritto all’Arcadia col nome di Eratteo Sicionio e compose delle novelle sul fare di quelle del Casti, che erano allora in grandissima voga; però senza metterle alla luce. Conosco quella intitolata: L'Alpe di S. Pellegrino. Non è autografa, ma ha correzioni di suo pugno. Delle proprie Novelle parla in questa lettera, scritta da Caniparola il 5 ottobre 1813 e indirizzata a Giacomo Lari di Sarzana: « Mantengo la parola, e mi faccio un dovere di presentarvi le mie Novelle , figlie della mia solitudine , e di quelle poche ore d’ozio, che avanzano alle mie più serie occupazioni. Dalla vostra amicizia mi ripro- — 192 — metto, che saranno esse accolte non con la fronte accigliata di un Aristarco, ma col sorriso di un amico Compastore, giacché nos Arcades ambo et cantare pares, et respo?idere parati. E benché il mio sistema sia quello di non cercare la lode, nè curare il biasimo de’ miei scritti , mi sarà infinitamente caro il vostro giudizio, perchè dettato da un cuore sine ira et studio. Vi prego di sottoporle egualmente al fine criterio dell’ amico mio Sig. llario, e dirli che troverà la Caterina in più sufficiente stato di comparsa, perchè riformata, corretta, e accresciuta di due ottave. Gradite infine questo attestato della mia stima e amicizia ». (32) Azzo Giacinto Malaspina Marchese di Mulazzo. Cfr. Sforza G. Contributo alla biografia di Azzo Giacinto Malaspina Marchese di JVTulazzo, nel Giornale Ligustico, ann. XXII [1897], pp. 181-191. — Un feudatario giacobino, nel Giornale storico e letterario della Liguria, ann. IV [1903], pp. 5-46. (33) La minuta di questa lettera di Azzolino e gli autografi delle due lettere di Labindo si conservano a Caniparola nell’ Archivio de’ Malaspina di Fosdinovo, e ne debbo copia all’ amicizia del Marchese Alfonso. Son le uniche carte che vi sian rimaste. Carlo Emanuele Malaspina , quando Labindo, fattosi repubblicano spezzò bruscamente la vecchia amicizia con lui, ne rimase così offeso che non volle più sentirne parlare e andò distruggendo ogni scritto suo che gli venisse alle mani. UN PROFESSORE DEL SEICENTO Il professor Giuseppe Laurenzi (1), o Lorenzi come anche si trova scritto, dottore in sacra teologia, appena arrivato a Vicenza, dove era stato chiamato a insegnare lettere umane nelle pubbliche scuole della Magnifica Città, dovette creder giunto il momento di pubblicar quella prima centuria di sue lettere latine , eh’ egli aveva già messo insieme (2) ad imitazione del suo maestro Giusto Lipsio (3), (1) Cfr. Cesare Lucchesini , Della storia letteraria di Lucca, libri sette, in Opere edite ed inedite, Lucca, Giusti, 1832-1834, vol. XV, p. 73; vol. XVII, p. 196; vol. XVIII, p. 29, 105 e no. (2) Eppure da Vicenza verso la fine del 1619 egli scriveva ad un amico (Cent. I, ep. 17): « in centuriam redacturus (sum) quasdam meas litterulas. Ride, sed intra labia ». Probabilmente voleva dire che stava facendo i mutamenti resi necessari dalle speciali circostanze in cui doveva veder la luce una raccolta preparata in vista di casi ancora indeterminati, dalla quale alcune lettere dovevano essere tolte e sostituite con altre dirette a vicentini. Ma di che cosa doveva ridere o sorridere l’amico? A questo non so trovare risposta, onde resta insoluto un piccolo problema storico-psicologico. (3) Del Lipsio, infatti, sono a stampa: Epistolarum selectarum centuria I (Anversa, 1584) ed Epistolarum centuriae duae (Leida, 1591). — 193 — e che ancora inedita era stata non ultima dei titoli i quali gli avevano ottenuta la cattedra vicentina. Infatti, in un certificato, dirò così , *d? idoneità a lui rilasciato, il dottore di leggi Guido Vannini , pubblico professore di umanità a Lucca, scriveva di « aver veduto, letto, et ammirato la sua prima centuria di Epistole alla lipsiana piene di concetti, di eruditioni et sentenze greche », e in un altro consimile il francese Giulio Cesare Bulanger, professore nello studio di Pisa, confermava « Epistolarum centuriam (Laurentium) scripsisse quae cum Iusti Lipsii epistolis elegantia, et latini sermonis integritate certare possint » (i). Ma la raccolta, accompagnata dai soliti versi in lode dell’ autore e della città che l’ospitava (2), vide la luce soltanto nel 1622 a Venezia, dedicata, naturalmente, ai capi del Comune Vicentino (3); sedici anni più tardi, nel 1638, le tenne dietro (1) Ecco, per intero tratti dal sesto volume, pag. me segg., dei libri partium del Comune vicentino i due interessanti documenti : I. — Adi 24 maggio 1619. — Io Guido Vannini dottor di leggi Professor d’ Huma· nità in questa prima Cattedra di Lucca faccio fede vera , et integra come i) S.r Giuseppe Laurenzi cittadino nostro lucchese Dottor di Sacra Theologia doppo aver fatto il corso delle scienze in Lovanio, et udito Giusto Lipsio, et il puteano, ha processato qui in Lucca per spacio de undeci anni pubblicamente Immanità cioè lettere greche, et latine, con pienissima sodisfazione e concorso di gentil Huomini, et oltre a ciò ha letto più volte sfera, logica, politiche, e morali, et ha qualche cognitione delle matematiche, e per tutto questo tempo è stato stipendiato come ancora è di presente dalla Excellentissima Repubblica di Lucca per proffessore di Humanità con gusto grandissimo di tutti li Cittadini. Ha in ordine per stampare molte cose di suo attinenti alla cognitione dell’una, et altra lingua dalle quali si potrà conoscer il suo valore, et io stesso ho veduto, letto, et ammirato la sua prima centuria delle Epistole alla lipsiana piene di concetti, di eruditioni et sentenze greche ; et per esser egli toscano (notisi la toscanità messa innanzi tra i titoli che rendono il Laurenzi degno di una cattedra) et d’anni 35 esercitato nelle scole, di costumi lodevolissimi, et vita integra come ne haverà testimonianza pubblica, lo giudico degno d’esser promosso a qual si voglia catedra per istruire la gioventù nelle belle lettere, et di tutto questo ne faccio pubblica, et verissima fede. — lo Guido Vannini soprascritto mano propria. II. — Ego Julius Caesar Bulangerus Doc. Theologus in Pisana Academia humanioris litteraturae professor Testatum facio Iosephum Laurentium lucensem sacrae theologiae doctorem verum graecae et latinae (suppi, linguae) doctissimum Epistolarum centuriam scripsisse quae cum Iusti Lipsii epistolis elegantia, et latini sermonis integritate certare possint, has non sine singulari voluptate et admiratione me legisse profiteor, eumque humaniorum et philosoficarum litterarum scientissimum esse, si quid est mei Iudicii, testor. — Lucae quinto Kal. Iunias anno 1Ó19. — Ego Julius Caesar Bulangerus manu propria. (2) Fra questi , tutti latini, (ina breve ode di Guido Vannini in lode di Vicenza : il Savi, nel libro che citerò più oltre scrive invece che del Vannini e in lode della città è la prima lettera di questa centuria. (3) Ad perillustres Reip. Vicentinae Decemviros χαίρειν; la data: i.° marzo 1622. «ττ —^*94 — la seconda centuria, dedicata alla gentildonna lucchese Cat-terina Bonvisio e seguita da altre venti lettere raggruppate in due decadi (i): tranne le prime della prima centuria, che sono disposte con un certo ordine (2) , tutte le altre lettere si seguono alla rinfusa; di più nella data non solo sono quasi sempre dimenticati il mese e il giorno, ma l’indicazione dell’ anno è spesso evidentemente sbagliata , sì che riesce difficilissimo, per non dire impossibile, il seguire in queste lettere quanto vorremmo da presso le vicende del professore. Inoltre la sua vita fu di errabondo è vero, ma nell’errare monotona, e la monotonia si rispecchia nelle ben tornite frasi e nelle studiate metafore , le quali al ritornare delle stesse circostanze ritornano eguali , anche a distanza di anni, sotto la penna del Laurenzi. Tuttavia la figura di lui esce da questo epistolario abbastanza nitida e tale da interessare, o io m’inganno, i suoi colleghi di oggi e forse anche alcuni che suoi colleghi non sono , ma a-mano gli studi e gli studiosi e , a dirla col D’Annunzio, cercano con avidità , gustano con gioia , pur negli uomini (1) Epistolarum Centuria prima Iosephi Laurenti Doc toris Theologi Civis Lucensis Academici Olimpici Apud Vicentinos Humaniorum publici professoris. Superiorum permissu. Venetiis (in fondo al volume: Venetiis, MDCXXII Apud Evangelistam Deuch). — Epistolarum Centuria II Iosephi Laurenti Theol. doct. Lucae, apud B. de Iudicibus, MDCXXXVIII. — Iosephi Laurenti Lucensis Sac. Theol. Doct. Academici Olympici E-pistolarum Centuria I et II. Editio tertia. Patavii , ex Typographia Camerale: (1657? di quest’anno è la dedicatoria). Non ho potuto vedere la prima e la seconda edizione delle due centurie riunite nè averne altrimenti notizia. Alla Centuria II seguono: Decades duae Epistolarum Iosephi Laurentii : sono dunque, in tutto, 220 lettere e non vanno oltre il 1637. (2) Nella I ediz. della Cetituria I la dedicatoria è fuori numero; nel-l’ediz. che riunisce le due centurie è la prima della prima. Fra le due edizioni è qualche altra differenza nella disposizione di queste prime lettere, ma lievissima e trascurabile. Nell’ediz. del 1622 la i.a lettera e al Santa-sofia, del quale dirò; la 2.a, la 3.* e la 4.a rispettivamente a Simandio Chiericati, Quinzio Saraceno, Ottavio Piovene vicentini gymnasii triumviri; la 6.a, la 7.a e l’8.a sono pur dirette a illustri cittadini vicentini, e tutte queste sette, scritte in un medesimo giorno, il 15 ottobre 1619, annunciano il prossimo arrivo dell’autore e sono di carattere, dirò cosi, tra l’ufficiale e l’ufficioso; ad esse frammezza la 5.a (2.a nell’ediz. riunita), con la quale il Laurenzi annuncia pure il suo prossimo arrivo all'insigne Accademia Olimpica, ma con la data dei 28 ottobre. — 195 — oscuri, « tra i segni della vita particolare quelli che più appaiono dissimiglianti dai comuni, quelli che non concernono se non la singola persona ». Nato a Lucca nel 1584 (1), il Laurenzi aveva studiato a Pisa, e poi per un anno aveva potuto udire a Lovanio le lezioni di Giusto Lipsio , per il quale s’ accese di profonda ammirazione , e morto questo nel marzo del 1606, quelle del suo successore Enrico Puteano, volgarmente Enrico Dupuy ; fatto così il suo corso di perfezionamento al-ΐ estero , « Lovaniensi academia Lucam accitus », come scrive egli stesso (Cent. II, ep. 25), professò in patria come scrive il Vannini, « per spacio de undeci anni pubblicamente humanità cioè lettere greche et latine , con pienissima soddisfazione e concorso di gentil Huomini « (2), quando fermarono su di lui la loro attenzione i tre nobili cittadini vicentini Simandio Chiericati, Quinzio Saraceni (3) e Ottavio Piovene, che dal Comune avevano avuto l’inca- (1) Nel 1573 secondo il Lucchesini, sufficientemente ma non compieta-mente nè sempre esattamente informato: il certificato, ufficiale, del Vannini, già riferito, nel quale l’età del Laurenzi è esplicitamente indicata, mi conforta a mutar questa data; altre considerazioni potrei aggiungere. (2) Cfr, P. Barsanti. Il pubblico insegnamento in Lucca dal secolo XIV alla fine del secolo XVIII (Contributo alla storia della cultura nazionale). Lucca, Marchi, 1905 ; pag. 169, testo e nota 4: con deliberazione del Consiglio generale della Repubblica il 9 ottobre 1609, « fu eletto il secondo maestro (di un secondo ginnasio) nella persona di Giuseppe Laurenzi lucchese »; licenziato nel 1611 il primo maestro, o umanista, Scipione Bendi-nelli , la scuola rimase col solo secondo maestro, il nostro Laurenzi, del quale il B. altro non dice rimandando nella nota, con indicazione incompleta, al Lucchesini. Nè men ricorda il B. i libri del Laurenzi, i quali l’avrebbero potuto illuminare sui testi in uso nelle scuole, cui accenna in generale a pag. 177 , e sul metodo dell’insegnamento. Da parte sua il Laurenzi scrivendo nel 1615 all'amico vicentino A. Branzo (Cent. I, ep. 27) ci informa di una onorifica conferma ottenuta in quell’anno: « priusquam hanc obsignem , scito mihi auctum munificentia nostri excellentissimi Senatus stipendium annuum cum onere oratorio ter publice in anno »: il Laurenzi, dunque, non deve esser rimasto sempre, a Lucca, secondo maestro, come apparirebbe dal libro del B., il quale ignora pure l’incarico oratorio di lui mentre lo ricorda per altri professori. (3) È, forse, lo stesso di cui faccio parola come autore dell’ invenzione di un torneo combattuto a Vicenza nel 1588: cfr. il mio articolo Feste di armi a Vicenza nei secoli 16.0 e /7.0 ne\VItalia Moderila di Roma dei 31 agosto 1906, pag. 20. — igò — rico di cercare un professore per le pubbliche scuole della città (i). Il 29 agosto del 1619 le parti firmavano i capitoli dell’accordo (2), i quali furono: i.° che la condotta fosse di tre anni continui a cominciare dall’ 11 di novembre, e lo stipendio di 300 ducati annui di moneta veneta da pagarsi di quattro in quattro mesi anticipatamente (3) ; 2.0 che al Laurenti fossero dati per una volta 50 ducati da servirgli per le spese di viaggio ; 3.0 eh’ egli avesse il debito di una sola lezione al giorno, meno le feste e i tempi delle ferie, i quali gli dovevano essere indicati al suo arrivo, nel luogo che sarebbe stato destinato e sugli argomenti che sarebbero piaciuti ai presidenti scelti dalla città; 4.0 che nella scuola privata, da tenersi ogni giorno , egli dovesse insegnare la grammatica e le lettere greche e latine agli scolari della città con Γ obbligo di uno o più ripetitori (s’intende a sue spese) secondo il bisogno ; 5.0 che gli alunni della scuola privata dovessero pagare ciascuno quattro lire venete, o troni, al mese (4); 6.° che volendo (1) (I. Savi) Memorie antiche e moderne intorno alle pubbliche scuole in Vicenza. Vicenza, 1815, Tipografia dipartimentale, pag. 92 e segg. Il S. cade in alcune lievi inesattezze e omette uno dei capitoli deir accordo tra il Comune e il Laurenzi, che per noi non è senza interesse; essendo ricorso alle sue medesime fonti, i libri partium del Consiglio della città, ora nel-l’archivio cosi detto di Torre presso la biblioteca comunale di Vicenza, stimo inutile indicare volta per volta le sue inesattezze. I volumi dei libri partium, dove sono le notizie da lui date e da me controllate, sono il VI, alle pag. in, 239 e 304, e il VII alla pag. 91. (2) Per il Laurenzi firmò Camillo Santasofia , teologo, canonico latera-nense e allora benemerito rettore in Treviso; di lui fu letta al consiglio anche una dichiarazione, pure a nome del Laurenzi , sul modo di valutare i ducati dello stipendio patteggiato. (3)'Il Laurenzi non parla mai, se non in forma molto vaga e generale (honorificum, perhonorificum congiarium o stipendium) degli stipendii che egli ebbe nella sua lunga carriera; nè il Barsanti ci dice quanto egli avesse a Lucca, ma c’informa che i primi ripetitori, o secondi maestri, poiché solamente con tale qualità egli ricorda il nostro professore, « avevano in generale sessanta scudi l’anno », però quando mancava il primo lettore lo stipendio aumentava e di più essi avevano 25 scudi annui per la pigione. (4) Non si può certo fare confronto tra un pubblico professore, quale era il Laurenzi, e un insegnante privato, o meglio domestico; pure a proposito di questo capitolo, non paia erudizione inopportuna la mia se ricordo quali patti in quegli stessi anni eran fatti a un professore privato, a un — 197 — tenere in casa come dozzinanti, degli scolari, egli dovesse preferire i cittadini della città di Vicenza. Quindi, presentato questo accordo al Consiglio della città, il 29 settembre successivo (1) il Laurenzi era nominato maestro delle pubbliche scuole del Comune vicentino con 94 voti favorevoli e 31 contrarii, e nello stesso giorno i tre nobili cittadini che Γ avevano scelto e proposto erano nominati, per tutta la durata della sua condotta, protettori della scuola « per tutte quelle cose che riputeranno essere d’universal beneficio degli scolari ». Con l’orazione latina di prammatica (2) il Laurenzi inaugurò solennemente il suo insegnamento nel novembre di quello stesso anno 1619; ma prima di raggiungere la sua nuova residenza egli aveva modestamente scritto così a un amico ( Ceni. II, ep. 10): « hoc unum non me latet, Atlantes et Hercules vestros, (intendi i dotti accademici olimpici), huic oneri, (deirinsegnamento), sustinendo pares, me nanum pedante, come ancora si diceva. Fra le lettere del gentiluomo bolognese Cesare Rinaldi (Delle lettere di Cesare Rinaldi, volume secondo. In Bologna, B. Cochi, 1620, pag. 35) ve n’è una datata da Bologna il dì 7 marzo 1620, nella quale cosi rispondeva a un innominato gentiluomo ferrarese che gli aveva chiesto un maestro per i suoi figli: « Sarà presto di ritorno a Bologna un prete faentino, huomo di venerabile aspetto, e di buonissima erudizione , e che havrà per ottima ventura in casa di V. Sig. la stanza, il vitto, e lo stipendio di cinque scudi il mese. Io prometto che verrà a servirla, quando però se gli conceda libero il sagrificio della messa, ond’egli possa, aggiunta Γ una all’ altra mercede, soccorrere più agevolmente i suoi bisogni ». Chi non ricorda l’abate maestro della satira alfieriana? A questo disgraziatissimo tre scudi il mese, il vitto, con l’obbligo di alzarsi al desco molle, e « qualche incertuccio a Pasqua ed al Natale »; quanto alla messa doveva dirla gratis alla padrona. Quanto peggio egli stava del suo collega di oltre un secolo prima! (1) È quindi evidentemente sbagliata nel giorno la data IV Kal. Oct. i6iç della lettera io.* della 1.» Cent. (ediz. del 1622), nella quale il Laurenzi dice di essere stato chiamato a Vicenza « viatico et stipendio satis honorifico », a meno che egli non si riferisca ai patti conclusi con la Commissione e non ancora approvati dal Consiglio: forse questa lunga ed eruditissima lettera, diretta com’ e a insigne vicentino, era destinata ad esser letta tra i consiglieri perchè avessero un saggio della sua erudizione e del suo stile epistolare. (2) Ricordata dal Lucchesini, che la indicò così: Oratio auspicalis, Vi-centiae 1620. A me non fu dato vederla. — 198 — pumilionemque omnino imparem »; arrivato, dovette trovare la realtà peggiore dell’aspettazione, se subito si vide involto in tali e tante brighe che quasi disperò di sè : « negotiorum phalanx», scriveva infatti nel 1620 allo scozzese Tommaso Dempster professore dell’ Università di Bologna [Cent. I, ep. 51), « in primo limine vicentini Gymnasii me pene obruit, atque impar muneri publico domesticoque pene succubui »; del resto, di lamentele son piene queste lettere. All’errabondo Ulisse spesso e volentieri egli si paragona, e si compiace di chiamarsi, come quello, polytropos: « Ulysses peregrinor mille periclis , nec spe deiectus , nec Ithacae oblitus », scriveva a un amico nel 1620 [Cent. II, ep. 93), e non scelgo che un esempio a caso, fra i tanti: dieci anni più tardi il paragone gli ritorna sotto la penna nella prefazione dell’eruditissimo volume che intitolò Poly-mathiae: « polytropos ut Ulysses cum Minerva ego peregre, sine lare licet, sine tribu multa lustravi....... Loton tamen numquam gustavi, Ithacae inoblitus ». Il rimpianto della patria, dove spesso tuttavia, nelle vacanze, pare ritornasse, ma per visite troppo brevi, e il desiderio inquieto di una vita tranquilla tutta consacrata al libero culto delle Muse lo accompagnarono sempre nelle sue lunghe peregrinazioni, e ancora hanno un’eco, frequente e commossa, in queste lettere: come tanti suoi colleghi di oggi, all’insegnamento, egli, forse, s’ era piegato per le dure necessità del vivere quotidiano e per esse si piegava ancora alla compilazione di opere di fredda e scolastica erudizione, ma con altre speranze , giovane, egli s’ era avviato agli studii ; forse s’ era scoraggiato troppo presto e troppo frettolosamente aveva disertato il campo ; ora ne portava la dura pena , ma con la rassegnazione serena dei forti e dei saggi. «Voluntatem scis mihi aliquam semper fuisse ad scientias, ad quas quam lento pede orbitam calcavi, ipse sentio, cum parum in tanto annorum spatio promoverim , nihilque ferme promeruerim. In culpa haec rota Ixionia mihi, eheu, agitando, fatis iniquis. Sed superis ita visum. Ad divinam amussim nostros applicemus lapides ; hac simus contenti Sparta (Vicenza), quam sumus nacti, quaeve nobis sorte divina cessit, et quia — 199 — saluberrima , celeberrima , o utinam nobis faciat paginam felicissimam » (Cent. II, ep. 98, Vicentiae 1621). E più tardi ad altro amico, imaginosamente, scriveva: « Ecquando mihi vivam, meumque salem lingam? Satis, superque in hac publica arena quinque et amplius lustris digladiatus , perfun-ditusque laboribus , rudem expecto emeritam. Sed somniis ag-or; ad extremum usque spiritum arma tractanda; in statione vivendum, moriendum, nulli tessera militari delegata optioni. Haec lex humanae militiae. Imperatoriis edictis parendum, nec sibi latum unguem parcendum » ( Cent. II, ep. 6, Venetiis, 1629). Ruota d’ Issione , Sasso di Sisifo , Euripo tempestoso, dove nuda supervenit unda, rupe caucasica, cui catenati labores lo tenevano avvinto, era dunque per lui Γ insegnamento , improba fatica che appena gli permetteva di sputare (palaestrae labores improbi, qui vix nobis expuere permittunt), che invece di una bella anfora lo costringeva a dar fuori un misero orciuolo , come metaforicamente indicava, scrivendo al Vossio , la sua erudita opera Polyma-thiae; perfino, in una lettera a Claudio Achillini, arriva a chiamare la sua scuola una stalla d’Augia , il peso della quale, Herculeis humeris vix sustinendum, a lui è più grave dell’ Etna. Ma dobbiamo credergli del tutto ? o non piuttosto ritenere che il desiderio di sfoggiar belle frasi lo portasse oltre il suo intimo pensiero? Certo è che accanto alle frasi ben tornite con le quali esprime la sua saggia rassegnazione al duro destino , altre ce ne sono , ci sono anzi lettere intere , che attestano del suo amore per la scuola, per gli scolari e per quelle che furono, diciamo pure, le sue successive sedi. Il suo rimpianto più vivo era per il tempo passato nel Belgio: «vestras oras », scriveva al Vossio {Cent. II, ep. 26, Venetiis, 1628), « Musarum sacraria, olim quadriennium (1605-1609) inspexi, cum Lovanio tyrocinium primum posui et praetextam philosophicam in paedagogio Falconis sub occasum solis litterarum Lipsii Magni, orientemque Puteanum adoravi enim adiri audivi, sed vix a primo limine primoribus labiis salutavi, libavi ». «O Lovanium, mihi altera parens», scrive al Puteano (Cent II, --- 200 - ep. 30), « o musaeum virtutum, scientiarum emporium celeberrimum, quo votis saepe iturio! »: lì aveva raccolto primum eruditionis aurum Lipsianum {Cent. I, ep. 95). Troppo presto, per il suo desiderio , aveva dovuto allontanarsene, chiamato, come dissi, ad insegnare in patria; di là andato a Vicenza, non aveva avuto ragione, sulle prime, di essere molto soddisfatto : « Gymnasium meum », scriveva infatti al Santasofia (Cent. I, ep. 98, ma 99 nell’ediz. del 1622), «prò tempore satis frequens, sed (ah pudet) discum quam philosophum audire malunt, ad molam non ad scholam , ubi ocium litterarium, relegati videntur , ac vix a grammaticis dedolati sublimia quae scientiarum consectantur », e forse di aver accettato di insegnare a Vicenza era nel suo intimo pentito se concludeva: « insipienter factum (me monet ille) sapienter feras ». « Non umbrae silentes », scriveva nello stesso torno di tempo a un amico lucchese {Cent. II , ep. 100), « sed congerrones perstrepitantes me habent..... Utor, non fruor fortunae, etsi tenuis opibus, mehercule, perraro pedem ex aedibus effero , misanthropus factus. Paventavi animi relaxationibus (ah piget) et studiis. Sed bonus animus in re mala dimidium est mali ». Ma ad altro amico scriveva {Cent. I, ep. 51): « vicentinorum tamen benignitate respiravi paulisper » ; e nel 1622 salutava i suoi o-spiti « venetorum decus, religionis templum, ara legum, philosophiae portus , ingenuarum disciplinarum propugnaculum, bonarum artium domicilium » ; di loro « splendorem atque in bonas artes ardorem palam ostendunt Gymnasium publicum cui ego (quae vestra magnificentia) praepositus, Academia Olympica, cuius ego (quae illius beneficentia) quotula pars, in quo Olympico studio ad amplissimam, ho-norisque coronam promerendam tot viri strenui contendunt ». È vero che queste son parole di una dedicatoria, ma della affezione del Laurenzi per Vicenza e per i vicentini sono frequentissime e sincere sempre le attestazioni in questo epistolario, come numerose sono le lettere datate da Vicenza anche di anni posteriori a quelli del suo insegnamento colà; spesso vi ritorno, anche per attendere alla stampa dell* opera Potymathiae, che esigette tempo - 201 - assai (ne parla in lettere del 1628), ed uscì alla luce nel 1631 (1). Il 24 giugno del 1622 , essendo prossimo a spirare il triennio della sua condotta , una lettera del Laurenzi era letta nel Consiglio della Città di Vicenza con la quale supplicava gli fosse confermato rincarico deirinsegnamento, e confermato gli fu per un secondo triennio con 73 voti contro 31; ma poco più di un anno dopo, Γ 11 novembre 1623, egli stesso chiedeva al Consiglio d’esser licenziato e il giorno dopo il Consiglio accoglieva la sua domanda con 75 voti contro 11 (2): ricordando il « fedel servitio, noto ad ogni uno » da lui prestato fino a quel giorno, egli scriveva: « e continuarei anco a far il medesimo se un cataro eh’ ho contratto in questa città stilandomi dalla testa non (1) Non nel 1630, come scrive il Lucchesini. Eccone la precisa indicazione bibliografica : Polimathiae sive variar, antiquae eruditionis libri duo in quibus ritus antiqui romani externi qua sacri qua profani qua publici qua privati sacrificiorum, nnptiarum, comitiorum, conviviorum , fori, theatìiri, militiae, triumphi, funeris et huiusmodi, e philosophiae, politiae, philologiae adytis eruuntur. Proi>crbiis historiis rebusque criticis illustratis enucleantur. Cum indicibus locupletissimis. Auctore Iosepho Laurentio Lucensi S. T. D. MDCXXXI. Vicentiae, apud haeredes Francisci Grossii. I due libri son divisi in dissertazioni, ciascuna delle quali dedicata a un amico o mecenate , ma dalle dediche nulla si ricava per la biografia dell’autore. I due indici (ind.ex proverbiorum, index rerum) furono compilati, come è osservato , da un nobile veneto scolaro del Laurenzi. A un terzo libro egli accenna in una lettera (Ceni. II, ep. 12, 1629) dicendolo in opuscula dispertitus, e il Lucchesini conosce di lui un volume Opuscula p hi lo log ica t che afferma pubblicato a Venezia nel 1630: non avendo potuto veder questo volume non mi è possibile dire se è tutto una cosa col terzo libro delle Polymaliae annunciato dal Laurenzi stesso. Altra opera erudita di lui è una specie di dizionario latino-italiano intitolato Amalthea Onomastica in qua voccs universae, abrusiores, sacrae, profanae, antiquae, antiquatae ecc. ecc. c lalinis, latino-grecis, lai ino-bar baris ecc. ecc. glossari is mal/irseos, iurisprudentiae, medicinae ecc. ecc. excerptae italùe interpretatae cum onomastico italico-latino ad calcem addito ordine alphabe-tico digestae. Lucae. Sumptibus B. de Iudicibus, MDCXL. A questa prima edizione altre numerose seguirono in Italia e in Francia. A\V Amalthea lavorava fino dal 1626, chè ne fa cenno in una lettera di quest’anno (Cent. II, eP- 39) esprimendo il desiderio di recarsi, finitala, a visitar Roma. Secondo il Savi (Memorie citate) sono del Laurenzi molti trattati filologici nella raccolta delle antichità romane del Gronovio. (2) Per queste due deliberazioni cfr. i citati Libri partium , VI, 239 e 304. Giorn. SI. e Leti, della Liguria. u - 202 - mi levasse le forze e non mi minacciasse di levarmi in breve anco la vita; onde consigliato dai medici son necessitato mutar aria con speranza che questa mutatione mi sollevi almeno in parte da questo travaglio ». Lasciate le fatiche dell’ insegnamento dovette sentirsi veramente sollevato se nel novembre del 1624 era in grado di riprenderle, non più a Vicenza , che pare non avesse abbandonata in quell’anno di vacanza, bensì a Bergamo: « Bergomum », scriveva all’amico Lelio Guidiccioni a Lucca {Cent. II, ep. 19, Vicentiae, 1624)», me tuae posthac convenient, ubi rector rectoricaeque praelector Collegii Mariani destinatus quadriennio » (1). Compiuto il quadriennio, ed erano oramai venticinque anni eh’ egli andava errando e insegnando, sperò venuto il momento del riposo , credette di poter finalmente, veterano delle battaglie scolastiche, « in aliqua colonia sibi vivens, Musis operari » {Cent. II, ep. 26, 1628), quando tale un invito gli venne che non gli fu possibile rifiutarlo. Annunziava, infatti, al vicentino conte Terdinando Trissino {Cent. II, ep. 92, 1628): « haec a me in procinctu cum vasa conclamabam a Bergomensibus aestivis ad Patavina hiberna, ubi tamquam in colonia acturus, a vicenis et amplius (2) stipendiis publicis exhautoratus , ecce mihi litterae a Dominico Molino , unico litterarum Mecenate , ad alia castra me arcessentes , sed praetoriana , sub auspiciis Io. Theupoli Patriarchae Venetiarum in Collegium Cyprianum nobilium venetorum (3) praelectorem rethoricae perhonorifico congiario. Tanto patrono qua fronte refragarer ? Tot heroum liberisque doctrinam recusarem? En consilia hominum. Haec mutanda cum fata volunt. Quo me cumque vocat Deus , eundum ». Ad altro amico tra il serio e (1) Su questa insigne scuola reca importanti notizie il libro del Fiam-mazzo, Nuovo contributo allo, biografia di L. fascherom , Bergamo, Arti grafiche, 1904, passim. (2) « Publice vicena quinque et amplius promerui stipendia, numquam tamen emeritus exautorationem p, scriveva con maggiore esattezza , nello stesso torno di tempo (Cent. II, cp. 26, 1628). (3) Non deve trattarsi dell’Accademia che la Repubblica aperse il 1619 nella Giudecca per l’educazione dei giovani nobili, ma del seminario patriarcale ch’era nell’isola di Murano. - 203 - il faceto scriveva: « dum vitae funem trahimus, ad fatorum fines trahimur , quae volentem ducunt, nolentem trahunt. Quid mirum , si non infulae (ut meum iocaris) (i) sed insulae destinatus, insulari poenae addictus videar? Iam diu haec urbs mihi in votis et pietas in corde , qua initiatus (utinam rite) quid reliqua curem? praeclusus mihi aditus? alibi reclusus. At opulentiori congiario hic ego condecoratus, et eo meliori quo meliori rotae additus...... Ego meo doliolo contentus, Alexandros mecum solem intercipientes, repello » (, com’è a dire il Rucellai, il Martelli, ΓAlamanni; e a ragione si ferma a parte e più di proposito sui tentativi metrici di Alessandro Pazzi, sulle traduzioni dal Greco, e sulla Didc in Carthagine, tragedia originale, tratta dall'Eneide, e che si riconnette in qualche guisa alle imitazioni di Seneca. Ma ecco che sul mezzo del secolo scende in campo Giambattista Giraldi con VOrbecche che segna una riforma notevole ; dà luogo a polemiche e dibattiti letterari, ed eccita lo Speroni a comporre la sua Canace, intorno alla quale si acuiscono gli ingegni e si accendono le critiche. Giustamente 1’ a. si intrattiene ad esporre con lucido ragionamento in che consista quella ch’ei chiama riforma giraldesca, ponendo sotto gli occhi del lettore a conforto e ad esempio, quanto produsse il poeta e novelliere ferrarese per il teatro tragico ; poiché di qui incomincia veramente quel gran numero di tragedie che uscirono nella seconda metà del cinquecento. E nel capitolo dove appunto si parla della diffusione ch'ebbe la tragedia, ci vengono innanzi i nomi di Pietro Aretino, e di Ludovico Dolce; autore I IO - il primo di quell’unica Orazia per tanti rispetti notevole; l’altro di più componimenti tradotti , imitati e originali , fra cui riesce più importante la Marianna: seguono ad essi altri minori fino a giungere a quel Leonico che nel Soldato ci fa tornare col pensiero alla tragedia cittadinesca de’ primi del secolo, e prelude in qualche guisa a quella specie di dramma che fu detto più tardi tragedia urbana. Ma se il Giraldi aveva dato l’esempio di sceneggiare le sue stesse novelle, altri lo seguirono, attingendo così ai suoi Hecatommithi, come al Decame-rotu\ e alla nota novella del Da Porto. Nè mancarono sulle scene i fatti storici contemporanei ; la caduta di Famagosta porge argomento a tre distinte tragedie, fra le quali è rilevante il Bragadino del vicentino Valerio Fuligni, per aver rappresentato il fatto nella sua reale essenza storica, senza simbolismi, travisamenti, finzioni ed abbellimenti. E qui il N. toccato della tragicommedia e della tecnica rispetto alla unità, studia più a lungo la forma metrica, che, secondo dimostra, fu argomento di esitazioni e di ricerche in que’ tempi ; forma che costituisce tanta parte dello stile tragico. Ma perchè si scrissero anche tragedie in prosa, vien data notizia dall’a. del Libero Arbitrio di Francesco Negri; componimento che ha precedutola Tamar del de Velo, già considerata come la prima dettata in questa forma ; al quale segue l’esame del Cianippo d’Agostino Michele , il sostenitore appunto con la parola e con l’esempio della tragedia in prosa. Tre, secondo Γ a., sono le tendenze vincitrici che si affermano nel cinquecento rispetto al teatro tragico ; tiene il primo e più cospicuo luogo l’orribile, ossia quella ferocia onde gli scrittori si compiaquero a fine di destare la compassione e l’orrore, interpretando in questa guisa un concetto aristotelico; viene poi l’elemento romanzesco che si manifesta in ispecie ne’ viluppi , negli amori , in tutto quanto ha tratto alla parte inventiva ; mentre non sono dimenticati nè le leggi della poetica nè i modelli classici. Di tutte le quali cose con opportuni rilievi e convincenti osservazioni porge il N. larga e ben nutrita dimostrazione, donde si trae che il trasformarsi dell* azione drammatica , cosi nella sostanza come nella forma prelude agli atteggiamenti che, meglio disciplinato, verrà ne’ secoli successivi ad assumere il teatro italiano. Ma al compiuto svolgimento del tema preso a trattare in questo volume conveniva vedere come fossero rappresentate le tragedie, quale l'apparato scenico, quale il vestiario. E di tutto ciò possiamo ampiamente trovar notizia nell’ultimo capitolo che appunto riguarda il teatro, dove singolarmente si reca la minuta descrizione del modo col quale fu rappresentata in Reggio nel 1568 la tragedia Atidoro, che può servir d’esempio e di modello a tutte le altre ; con ciò Pa. non si dispensa di raccogliere molte altre notizie ordinate a dar maggiore sviluppo al soggetto. In conclusione libro buono, ben pensato, convenientemente distribuito, materiato di fatti, e con una esposizione che corre dritto al suo fine : utilissimo perciò alla nostra storia letteraria. — I I I - Autografi di G. Mazzini — G. Garibaldi - Goffredo Mameli che si conservano nel Museo del Risorgimento di Genova. Stabilimento F.lli Pagano — Fot. A. Noach. [1906]. — È un albo contenente dieci ben riuscite fototipie le quali riproducono — di Garibaldi: il proclama agli Italiani per la spedizione dei Mille ; il proclama ai Siciliani ; il proclama all’ esercito napoletano ; due lettere al Municipio di Genova e la nota dei genovesi martiri della causa italiana nel 1848-49 ; la lettera con la quale accompagna la bandiera dei Carabinieri genovesi; una lettera alla madre di Mameli—di Mazzini: una lettera alla madre di Mameli — di Mameli : l’inno Fratelli d*Italia secondo il primo getto. Inoltre: la bandiera dei Carabinieri genovesi, e la bandiera dei Mille. Quest’albo venne fatto eseguire a cura del Municipio per la esposizione del Risorgimento tenuta a Milano nel novembre del 1906. Silvio Andreani. Il comune di Casola in Lunigiana. Treviso, Nardi, 1906, in 8.°, pp. 64, con figg. — L’ a. vuole darci specialmente con questo suo libretto le notizie del moderno comune di Casola e delle sue vicende dalla costituzione, che risale al periodo francese imperiale fino al presente. E perciò egli non si trattiene che assai poco e con brevità sulla storia antica del paese , che fu tra’ feudi malaspiniani, appartenne alla repubblica di Lucca, e poi a Firenze, finché incorporato con Fi vizza 110 ne seguì le sorti. Ebbe suoi antichi statuti. Del dominio esercitato sopra di esso dai lucchesi discorre lo Sforza in qut-sto giornale (I, 170) con una monografia intitolata: Casola di Lunigiana sotto il dominio dei lucchesi; ma sembra che questa scrittura sia rimasta ignota all’A. 11 quale, come abbiamo accennato si distende a parlare del modo come fu costituito il comune nel 1812, e discorre le fasi a cui andò soggetto , ne’ diversi tempi del secolo XIX , a seconda dei cambiamenti di governo, fino all’assetto politico e amministrativo deH’Italia dopo il 1859. Aggiunge documenti atti a provare il suo racconto e non poche notizie, diligenti e curiose, statistiche, eco» nomiche, artistiche, le quali ci danno piena contezza di quei luoghi onde il comune si compone. 11 suo stemma è simile a qutllo della città di Fivizzano, poiché e topograficamente e storicamente può dirsi parte d’essa antica comunità e ne ha comune l'origine. Tre lettere autografe di Cristoforo Colombo conservate nel Palazzo Municipale di Genova. Genova, Armanino, 1905, in 4.0, pagine 16 n. n. con tre tav. facsimili. — Questa bella pubblicazione venne offerta, con ottimo consiglio, dal Municipio di Genova ai componenti il Congresso internazionale di navigazione tenuto a Milano, quando vennero a visitare la città ed il porto. Precede una succosa e precisa notizia di Angelo Boscassi (che curò la pubblicazione) in-lorno agli autografi colombiani; questi sono riprodotti assai bene, e seguiti dalla trascrizione moderna, e dalla relativa traduzione italiana. La raccolta si chiude con la copia della lettera di risposta che 1’ Officio di S. Giorgio scrisse a Colombo. - 2 12 - M. Lupo Gentile. Sulle fo?iti della Storia Fiorentina di Benedetto Varchi. Sarzana, Costa, 1906, in 16.°. — Continuando le sue indagini sulla storiografia fiorentina, delle quali si diè breve notizia in un precedente fascicolo di questa rivista, il giovane studioso M. Lupo Gentile ci dà ora una memoria sulla Storia Fiorentina del Varchi, col proposito ben chiaro di ricercare a quali fonti attingesse questo storico. È premessa una breve biografia del Varchi, desunta da precedenti autori ed improntata a grande benevolenza , perchè, quantunque non si celino i difetti dell’uomo, allegando la tempra fiacca e debole dell’animo suo e l’esempio di altri fiorentini si vuol giustificare la sua condotta, l’improvviso passaggio dalla famigliarità degli Strozzi e di altri capi della parte antimedicea alla smaccata adulazione di Cosimo. Alcune delle ragioni addotte dal L. G. hanno qualche peso : ma altre non reggono alla critica : e Γ a. stesso , con certe ingenue scappate (dovute, più che altro, per quanto a me sembra, ad insufficiente pratica nell’arte di scrivere) contribuisce a render antipatica la figura del Varchi. Veggasi, ad es., il periodetto a pag. 17, dove certo il L. G. volle dire qualche cosa di diverso , da ciò che la parola suona : « Il dover chinar la fronte sotto il doppio giogo del suddito e del cortigiano poco importava al Varchi : ormai Cosimo era divenuto per lui Pater, imtno Deus ». Se ne potrebbero ricordare molte altre di queste frasi di colore oscuro, e che mostrano quanto poco curata sia la forma dai giovanissimi nostri scrittori. Veggasi , ad es, , a pag. 4 , là dove parla della domestichezza del Varchi coi Pazzi: « Con tutti costoro venne in domestichezza, perchè egli, oltre ad esser bello nella persona e affabile nei modi, lodava il vivere libero e il casato dei Pazzi, i quali con tanta animosità si erano ribellati ecc. ». Se ne dovrebbe concludere che ogni adulatore, purché bello nella persona , poteva diventar intrinseco della famiglia Pazzi ? Dopo aver brevemente descritta la vita del Varchi, viene 1’ a. a studiare quali fonti egli usasse nella sua storia. Che egli attingesse largamente ad altri scrittori o a documenti è dimostrato innanzi tutto dagli spogli, da lui fatti , e che ancor si conservano: e il L. G. passa in rassegna, divise in cinque gruppi, le fonti diverse. Fra le storie edite si ricordano i commentari del Nerli (di cui il Varchi conosceva la poca credibilità , ma che assai largamente fu sfruttata e nel disegno generale e nel contenuto di alcuni libri) , le Historiae del Giovio, di cui però si valse solo per la storia generale d’Italia, mentre per la storia di Firenze ne raccolse in un volume gli errori: Γ Istoria d'Italia del Guicciardini , che potè vedere soltanto assai tardi (1561-64), le Historié del Guazzo (ma solo per la parte descrittiva) ; il poemetto di M. Roseo, la vita di Filippo Strozzi, la vita di N. Capponi del Segni ecc. ecc. Tra le fonti inedite un diario anonimo, una storia dell’assedio di B. Carnesecchi, un diario di L. Mar. (che con molti argomenti Γ a. sostiene fosse Lorenzo Martelli) , una storia di M. Ruberti. In questa parte il L. G. si mostra molto accurato e diligente, e così pure nel ricercare quali documenti pubblici ed — 213 — epistolari privati fossero messi a disposizione del Varchi dal duca Cosimo. La indagine era facile, perchè negli spogli del Varchi si trovavano tutte le indicazioni ; ma il nostro autore è andato a ricercare gli originali, li ha raffrontati con gli spogli e col testo della storia, ha discusso, non senza abilità, alcune questioni controverse. E, specialmente nella chiusa, dando un giudizio finale sulla Storia Fiorentina, e combattendo in qualche punto il precedente giudizio del Manacorda, giunse a conclusioni che mi sembrano lodevoli. Brutto sistema è però quello del L. G. di citare nella prima parte solo un piccolo brano o al più due, per dimostrare la dipendenza del Varchi da questo o da quello scrittore : la brevità è lodevole, ma quando Γ evidenza non ne soffre. E qui invece talvolta l’esempio citato ci lascia dubbiosi. Almeno avesse aggiunto in nota, indicandoli soltanto col numero delle pagine , altri esempi che un lettore curioso o poco persuaso potesse riscontrare sui testi. Nè vale il dire che ciò fu fatto avendo riguardo all’ economia del lavoro ; nel quale abbondano le notizie non indispensabili. Poiché in uno spoglio del Varchi si dice: « tutto quello che è scritto da carte.... a carte..... è cavato dal libro di Mambrino Roseo » , a che scopo indugiarsi a parlare dei sentimenti di questo autore, a che ricordare le sue imitazioni dell’Ariosto, consumando molte righe a discutere di una similitudine ? Non sarebbe stato bene dare quello spazio ai raffronti d’altri autori? Così a pag. 50-51 con molta facilità si afferma essere stato severo il Ferrai nelTaccusare il Varchi d’aver giudicato gli Strozzi con rigore soverchio; e si aggiunge : « Ciò è inesatto ; e basta a provarlo Tesarne di tutti i luoghi, dove il nostro storico parla degli Strozzi ». O-gnuno si attende di veder indicata nella nota una lunga serie di passi del Varchi, se non tutti, dove si parli degli Strozzi: invece leggiamo: « Cfr. p. es., Varchi. Storia, II, pp. 418-419, dove Filippo Strozzi è giudicato equanimamente ». Insisto su queste minuzie perchè l’autore è ancora molto giovane e può correggersi di questi difetti di metodo, purché voglia ascoltare i consigli di chi ha esperienza. Una certa frase della prefazione, a proposito di giusti e benevoli appunti fatti ad un precedente suo lavoro dal Pellegrini , mostrerebbero invece nell’ a. una tendenza ad inalberarsi delle osservazioni , anche se espresse , come sempre è costume del dotto scrittore livornese , con molta cortesia e mitezza d’animo. (C. Manfroni). Michele Lupo Gentile. La politica di Paolo III nelle sue rela-zioni colta corte medicea. Sarzana, tip. Lunense, 1906, in 16 °. — Difficile oltre ogni dire è il giudicare oggi delle intenzioni e dei sentimenti degli uomini vissuti in età lontane; nè le testimonianze dei contemporanei, per diverse ragioni a noi sospette, nè le parole stesse dei personaggi , che si vogliono giudicare , quasi sempre fallaci, special-mente quando si tratti d’ uomini politici , sono sufficienti elementi di convinzione. I fatti soli, e anche questi non sempre, possono aiutarci a comprendere le tendenze e i propositi degli uomini; ma si capisce come scrittori spassionati e scrupolosi abbiano potuto pronun- — 214 — ciare sopra un medesimo personaggio giudizi disparatissimi. Ai giorni nostri la politica di Paolo III fu variamente giudicata , e fra gli altri autorevoli scrittori il Capasso ha tentato con fortuna la rivendicazione degli intenti del pontefice di casa Farnese , asserendo che principale movente della sua mutabile politica fu, non l’esagerato affetto per la sua famiglia, ma 1’ avversione al dominio straniero , il desiderio di liberare la patria dalla servitù. A questa conclusione , fondata special-mente sui carteggi diplomatici, si oppone ora, almeno parzialmente, il L G., che studiando sulle carte medicee le relazioni fra Cosimo I e il pontefice, viene a concludere che Paolo III nella sua politica verso il secondo duca di casa Medici, non si propose certo la pace d’ Italia , ma fu costante avversario di Cosimo per interesse personale o almeno per debolezza verso i propri congiunti. L’esame delle carte, V enumerazione e la discussione dei fatti sono in generale diligenti, minute, convincenti; ma non mi sembra possa assicurarsi che i risultati dell’indagine nuova infirmino le conclusioni del Capasso, perchè è lecito supporre che Paolo III vedesse in Cosimo lo strumento della politica imperiale , il fido servitore di Carlo V, e , combattendo lui nelle piccole e nelle grandi questioni, si proponesse lo scopo di far crollare il più valido sostegno degli oppressori stranieri. Nè d’altra parte i fatti dall’autore ricordati e i documenti citati giustificano gli elogi che il L. G. fa di Cosimo I , principe senza alcun dubbio prudente, abile, accorto ; ma ai miei occhi ben diverso dal « tipo di governatore vagheggiato da Nicolò Machiavelli ». Questo ad ogni modo deve dirsi a lode dell’autore: che la sua monografia giova a chiarire un periodo storico intricatissimo e che 1’ esposizione dei fatti, benché un po’ monotona e pesante per difetto d’arte, è buona testimonianza dell’attitudine del G. agli studi storici. (C. Manfroni). N. Damianos. Thalassa-Mare. Poesie tradotte dal prof. P. Stur-lese. Recco, Tip. N. da Recco, 1906; in 8°, p. XIII-58. — Il Damianos, autore di queste liriche, il cui titolo ci rammenta il fatidico grido dei Diecimila, quando si trovarono dopo infiniti stenti al cospetto del mare, non è un letterato di professione ; segretario della Società neoellenica di navigazione a vapore in Syra, cerca nell’arte un conforto alle quotidiane fatiche, e non ignaro delle arole di Quintiliano, che velut attrita cotidiano actu forensi ingenia optime renivi talium blanditia reparantur, ama la poesia per quei vantaggi morali eh’ essa offre e per le gioie vere ch’essa procaccia. Greco di stirpe e d’anima il D. sa che dal mare trasse origine l’antica grandezza della sua patria, la cui fama durerà quanto il moto lontana; vede nel mare un ristoratore delle forze fisiche e un purificatore delle forze morali, e spera che Nettuno col suo tridente spinga ancora una volta i Greci sulla via della virtù e della gloria. Poesia dunque civile e patriottica è questa del D., semplice per contenuto e per forma, talvolta anzi ingenua, ma atta a destare nobili affetti. Nelle ispirate liriche — Ad una vecchia ancora — Sul mare — Il mozzo, par di sentire la freschezza e la ingenuità degli — 215 — antichi canti popolari greci. Degno di lode è pertanto lo S. per aver cercato di farci gustare una poesia spontanea e schietta della rinata Grecia. Dalla breve introduzione si comprende che anche il traduttore italiano è un entusiasta della letteratura greca; che il nome della patria di Omero, Sofocle, Platone e Demostene gli ridesta il ricordo di una meravigliosa potenza tramontata da lungo, la cui luce rimane ancora diffusa sull’orizzonte ; eh’ egli non può pensare alla terra benedetta e fortunata che dopo aver salvata 1’ Europa dalla servitù delle orde persiane si fece maestra di Roma e con Roma del mondo, senza ammirazione e..... senza sconforto vedendo la stolta guerra che contro quell’antica e pur sempre viva civiltà muovono i barbari moderni. Gli assalti diventano ogni giorno più forti ed audaci, nè contro essi credo che basterebbe quello studio preparatorio del greco moderno propugnato ora dallo Sturlese, come lo fu anni or sono da altri. Finché vi sarà in Italia chi comprenda il valore intrinseco della coltura e dell’arte greca, starà in onore lo studio della lingua greca, ma quando (iquod deus avertat) questo dovesse esser bandito dalle nostre scuole, conserverebbe sempre il suo posto in quelle scuole straniere che ci rivelano continuamente quanti tesori di sapienza siano riposti nelle o-pere dei grandi artisti greci. Ma lasciati i vani lamenti e le vane doglianze torniamo alla poesia. Lo S. ha voluto con non lieve fatica con servare nella traduzione il metro e la strofa dell’ originale , perchè il lettore italiano si facesse un’idea della semplicità delle forme metriche della Grecia moderna e della loro affinità colle italiane. È questo il vero modo per far conoscere uno scrittore straniero, ma è pure il più difficile e pericoloso, perchè restringe la libertà al traduttore e lo induce a sacrificare talvolta la parola o la frase a questa necessità che egli si è imposta. Fortunatamente questo accade di rado nella traduzione dello S., e si può dire che la poesia del Damianos ha conservato anche nella veste italiana fornitagli dal valente professore dell’istituto Nautico di Camogli la sua semplicità e schiettezza. (Niccolò Vi anello) . Luigi d’Isengard. Pagine vissute e cose letterarie. Città di Castello, Casa Tip. edit. S. Lapi, 1907; in 16, di pp. VI-510. — Come l’a. avverte in una breve prefazione, tutti gli scritti pubblicati in questo volume furono già stampati in tempi diversi e sopra vari periodici. Ordinandoli a seconda del loro carattere, e mettendoli fuori in questa nuova edizione e sotto questo titolo, il d’I. ha inteso di fare , come egli stesso lo chiama, « il suo testamento letterario ». La prima parte, cioè quella che porta per titolo Pagine vissute, è la più interessante. Sono memorie autobiografiche dell’ a. scritte in prosa elegante e corretta, con facile scena, piene di arguzia, di genialità, di schiettezza ; con forma sobria, talvoltta fin troppo sobria, tanto da desiderare che s’ indugi di più sopra un aneddoto , un episodio di quella sua vita avventurosa e così varia, di missionario e di garibaldino. Nelle cose artistiche e letterarie sono riuniti alcuni articoli d’ indole puramente — 2 16 — letteraria insieme con qualche pagina di critica ; le quali cose, a parer nostro, se rivelano sempre naturale buon gusto ed eleganza di stile, mostrano d’altra parte come in altro campo il chiaro autore può far meglio spiccare le belle qualità del suo ingegno. In questa parte sono compresi alcuni lavori di carattere regionale, come : Un nuovo melodista, cenni intorno ad un giovane maestro; Dime?iticato, memorie sul poeta Giuseppe Gando ; Esumazione letteraria, breve rivista del can-zionere di Lorenzo Costa; Luigi dyIse?igard seniore, ricordi biografici del patriota letterato e scenziato, che si desiderano più completi perchè riesca del tutto lumeggiata quella interessante figura. Nella Theatralia e nelle Liriche, con le quali si chiude il volume, sono pure alcune cose di argomento ligure ; come un dramma in versi su Cristoforo Colombo, un canto sul Monastero del Corvo, e alcuni sciolti sul Golfo della Spezia. Giovanni Krilov. Favole scelte. Prima versione di F. Verdinois. Milano, Sonzogno, 1906 fase. 356 della Biblioteca Universale. — Giovanni Krilov nato a Mosca nel 176S comunemente viene chiamato il La Fontaine della Russia* Egli è molto superiore nella favola a qualunque scrittore del suo paese, benché il suo pregio stia piuttosto nella grazia con cui tratta i suoi soggetti che nella profondità e originalità. In Italia è un genere che cultori di primo ordine non ha avuti mai ; per la semplicità e certa grazia quasi ellenica certo sta avanti a tutti Gaspare Gozzi. Vivo nostro desiderio è di leggere nel volume sulla « Satira in prosa e in poesia » che Vittorio Cian prepara per la Storia dei getieri letterari italiani le belle pagine che egli dedicherà al nostro veneziano, e le ragioni da lui meditate intorno alla evidente inferiorità de’ poeti nostri in generale, anche dei novellatori (come il Casti), quando vogliono diventare favolisti. Il Verdinois dice che su ducento favole circa di Krilov ben centosessantuna sono originali e le altre trentasei sono imitate da Esopo, da la Fontaine, anche dal nostro Straparola. È peccato (dico pel lettore chè il piacer del traduttore nello sforzarsi di rendere il bel testo del Krilov in italiano non lo discutiamo) che nel volumetto del quale parliamo si trovino parecchie imitazioni anziché le sole favole originali del Krilov. Che interesse può esservi nel rileggere « Il silenzio e la morte », « Il lupo e 1’ a-gnello » ovvero « La cicala e la formica » tradotte dal russo in italiano? Lo diciamo perchè il traduttore vuol consiglio se abbia da continuar la versione o smettere; è vero ch’egli lo vuole dalle persone colte e capaci di giudicare, e non sappiamo se egli ci vorrà mettere tra queste dopoché avremo confessato d’ignorare il russo. La grande popolarità acquistata da Krilov, e rapidamente acquistata colla pubblicazione delle prime ventinove sue favole, provenne non solo da una maestria e da un garbo nuovo nell’adattare alla poesia la lingua che, contemporaneamente, adattava Karamvin alla narrazione storica, ma nella moderazione della satira , nella verace eppur non profonda critica dei difetti, delle debolezze, delle sconvenienze della vita indivi- - 217 - duale e sociale, si che la cortç stessa dell’autocrate (ricordiamoci però ch’esso chiamavasi Alessandro I) applaudì sinceramente allo scrittore e questi ebbe dovunque, in tutte le classi della società, plauso, onori, premi , uffici pubblici fino al 1844 in cui la sua morte venne considerata come un vero e proprio lutto della nazione. Egli parve come uno di quei savi dell’ India e della Persia che sotto il velo della favola ai monarchi, ai tiranni, palesavano aspre, incomode eppure utili verità; quel che d’orientale era nella gente e nello stato della Russia serve a spiegare la fortuna del favolista, anche indipendentemente da’ suoi pregi come felice maneggiatore dell’idioma. Se i tratti caratteristici de’ costumi nazionali fossero più frequenti in lui, egli sarebbe più interessante per gli stranieri. Se lo spazio consentisse, vorremmo riprodurre dalla versione del Verdinois la favola IL Fioraliso. Egli n’ ebbe in premio dalla sua protettrice la czarina Maria Feodorovna un mazzolino di fiori che tenne seco sempre e che volle sepolto con lui. Ha fatto bene il Verdinois a tradurre dal russo qualcosa che ci mostra non esser tutta la letteratura di quel nobile paese amara come lo pseudonimo di un grande scrittore contemporaneo, Massimo Gorki. (Guido Bigoni). Bouvier Felix. La révolté de Casalmaggiore (Août 1797). Macon, Rotat, 1906; in g.0, pp. 27. Extrait de La piume et l'épée, 6.me annee. — Tra le rivolte avvenute contro i Francesi in Lombardia nel 1796 particolarmente note sono quelle di Pavia e di Binasco , d’altre abbiamo notizie oltre che dal Botta e dagli Annali d'Italia del Coppi, dalle memorie contemporanee non meno che dalla Corrispondenza di Napoleone , dove si leggono gli ordini che si reprimesse , si reprimesse senza pietà perchè il fuoco non s’ avesse a dilatare. Il Barone Bouvier, che ha scritto sulla campagna di Bonaparte in Italia un primo volume meritamente premiato dall’Accademia di Francia, un altro ne sta preparando frutto di ricerche pazientissime condotte sui luoghi. Egli, a differenza di parecchi dei napoleonizzanti francesi (del Driault per citarne uno), ha fruito degli studi particolari pubblicati in questi ultimi anni in Italia intorno a questo o a quell’ episodio, studi che non possono essere trascurati, perchè spesso mutano in misura più o meno grande il racconto degli avvenimenti italiani in quei fortunosi anni, e conseguentemente il giudizio sul contegno delle popolazioni malmenate or dai vecchi or dai nuovi padroni. L* opuscolo sulla rivolta di Casalmaggiore è appunto un estratto del capitolo IX del secondo volume , che presto leggeremo intero, dell’opera del Barone Bouvier e per confessione dell autore steso tutto sulla narrazione stampata dal prof. Silvio Pellini nel 1897 nella sua Guida storico descrittiva di Casaltnaggiore. Il Pellini, come dice il Bouvier nelle note, si era servito di un gran numero di memorie contemporanee, alcune a-nonime, altre di autore noto, fra le quali ultime ricorderemo la Cronaca dei tumulti popolari che funestarono Casalmaggiore nell’ epoca Giom. St. e Lett. della Liguria. It. — 2 18 — dell’ assedio di Mantova nell* anno 1796, tratta dalle memorie inedite dell’abate Giovanni Romani (1757-1822). Il Pellini, che è nativo di Casalmaggiore , ha potuto fornire allo storico francese altri ragguagli tratti dagli archivi della città. È noto che se dei promotori della rivolta di Casalmaggiore nessuno venne fucilato, se la contribuzione imposta alla piazza fu ridotta da un milione (la somma voluta da Bonaparte) a centomila franchi, questo fu dovuto alla cedevolezza dell’ « ingenuo compassionevol giovane > Murat, come lo chiamò uno dei delegati della municipalità, e anche all’ interposizione della buona Giuseppina che il Murat, assiduo allora e anche troppo presso di lei, avea saputo persuadere perchè agisse presso Γ imperioso marito. Quanto alle Memorie del Landrieux di prossima pubblicazione , e delle quali son in questo opuscolo citate le prove di stampa comunicate al Bouvier dal Grasilier, sarà utile certamente usare, nel giovarsene, le precauzioni che il Belletti chiariva indispensabili nella sua comunicazione al I Congresso del Risorgimento Italiano (Milano, novembre, 1906), comunicazione che verrà ampliata e lormerà — crediamo — Γ annunziato volume della « Biblioteca storica del Risorgimento Italiano ». Il silenzio che il Landrieux serba sulla rivolta , sulle sue conseguenze , mentre di se stesso narra e della sua dimora a Casalmaggiore parecchi particolari, è una prova da aggiungere a quelle e non poche che il Belletti ha raccolte e illustrate. Come ne’ processi così anche al gran tribunale della storia testimoni si presentano vari e di molto varia attendibilità. Saperli pesare : ecco una fra le doti parecchie che occorrono al vero storico. (Guido Bigoni). Fortunato Rizzi. Parva selecta , Città di Castello , Scuola tipog. coop. edit. , 1906 ; in 16.0 , pp. 394· — L’A. ha qui raccolto più di venti scritti d’argomento storico-letterario, molti dei quali già pubblicati su giornali o riviste, distribuendoli in quattro parti, che recano i seguenti titoli : La canzone IX del Petrarca e la « frottola », Oel tre-cento e del volgare, Tra parole vecchie e 7iuove , Noter e Ile dantesche. Però, in tesi generale, la sua scelta non ci sembra del tutto subordinata a quei savi criteri che voglionsi osservare in simili casi. Se possono dirsi interessanti e importanti alcuni di questi studj , come , ad es., il primo — ampio e davvero coscienzioso — sulle origini , i caratteri, le vicende, il metro e gli argomenti della frottola, e come anche quello che, verso la fine della raccolta , riguarda questioni di ermeneutica dantesca , risollevate per il libro magistrale del D’ Ovidio; molto male a proposito, a parer nostro, ricompaiono qui , dacché risentano ancor troppo del difetto d’origine, nemmeno attenuato da un opportuno adattamento alla nuova condizione, altri parecchi , che si riducono a semplici esposizioni , secondo 1’ ordine cronologico , di notissimi fenomeni letterari (ved. , specialmente , i tre primi capitoli della seconda parte : Sulle soglie del trecento , Le prime armi della prosa volgare, Del latino e del volgare) , o suonano vana rampogna rispetto a lavori che nessuno si curerà mai di approvare e di usare - 2 19 - (ved. il primo della parte quarta : A una signora dantista), o contengono disquisizioni filologiche , poggiate su esempi spigolati qua e là, con un metodo poco rigoroso , se non proprio empirico , da un numero ristretto di scrittori, per lo più cinquecentisti (ved. tutti quelli compresi nella parte terza). In ogni modo questo difetto capitale non dovrà farci dimenticare i pregi del volume. Tanto gli scritti, onde trarrà giovamento la storia delle nostre lettere, quanto quelli meno u-tili e originali, attestano larga cultura, lodevole attività e versatile ingegno nell*A., e tutti si presentano — il che non dispiace fra tanto imperversare di nuda erudizione — con veste elegante e spesso ge niale : veramente garbata è poi la sua maniera di polemizzare fra una citazione e l’altra, e, di proposito , nella lettera sullo stile indirizzata al prof. Ambrosini Sicché, in fin de’ conti, anche la parte più scarsa di valore intrinseco potrà tornar utile e senza dubbio piacevole cui manchi il tempo o il modo di rifarsi, per certi argomenti , ai trattati e in genere ai libri scientifici. (Francesco Luigi Mannucci). Autobiografia i?iedita di Gio. Antonio da Faie speziale lunigia7iese del secolo XV. Parma, Zerbini, 1906, in 8.°, pp. 55. — Fino dal 1876 Iacopo Bicchierai pubblicò negli Atti della Società Ligure di Storia Patria la Cro?iaca di Giovanni Antonio da Faie, traendola da un co-dicetto autografo di sua proprietà ; ma lasciò inedita Γ autobiografia che sta innanzi alla cronaca stessa. Ora, Giovanni Sforza, con ottimo consiglio, mette fuori tutta questa parte inedita, affatto personale, la quale viene appositamente ad integrare i pochi accenni biografici inseriti qua e colà nella cronaca. Le memorie si arrestano al 1466, mentre i ricordi inseriti nella cronaca vanno fino al principio del 1470, anno in cui il 6 settembre l’autore morì, come pietosamente annota il figliuolo, al quale si deve probabilmente l’amorosa cura di eternare il nome di quello che primo fra i bagnonesi esercitò l’arte dello speziale, secondo dice l’iscrizione postagli sul sepolcro a Bagnone. Giovanni Antonio si è proposto di scrivere, oltreché per ricordanza , anche per « ammaestramento » ; ed ha ragione, poiché la sua vita può servire d’esempio a" figli suoi, e non ad essi soltanto. Un uomo che nasce in sì umile stato, ed ha i primi indirizzi tanto miseri e bassi; mentre giunge al-P estremo della vita speziale e notaro per episcopale privilegio, sì come in assai discreta condizione economica, può e deve fermare l’attenzione di chi sa trarre utili insegnamenti anche dalle persone meno in vista. Attraverso a quali ostacoli , a quali vicende , a quali avventure ei sia passato nei dodici lustri di sua vita per raggiungere un fine perseguito con volontà fermissima, e tenacia unica, ci dicono le sue memorie dettate con sincera ingenuità , in una forma che nella sua naturai trascuratezza assume atteggiamenti scultori e solenni, non senza qua e colà osservazioni, incisi, motti, esclamazioni ed uscite di bonaria arguzia. E quel che a noi par notevole si è il considerare come questa autobiografia non consti di un’arida serie cronologica di fatti individuali , ma si presenti in una esposizione piena ed ordinata - 220 - da far quasi credere fosse nello scrittore una certa intenzione artistica, che è invece il naturai modo di concepire e di narrare , e manifesta dirittura di mente non ordinaria, e bella facilità nel trovare subito la veste meglio atta a dar vita ed efficacia al pensiero. Ambrogio Pesce. Un episodio del costume m Genova (il ratto d'ima fanciulla) 1451. Genova, Carlini, 1906; in 8.°, pp. 19. Avvenimento curioso, e che assume singolare importanza rispetto alle persone che ne sono gli attori. La giovane è una di Negro , famiglia nobile e di molto seguito fra i così detti guelfi d’allora; il rapitore un Fregoso cugino del doge. Il fatto, com’è naturale, accende le ire di parte, indi la necessità nel doge di non veder compromessa la propria autorità, e minacciato il potere. Prudenza dunque e risolutezza per appianare la cosa senza pubblico scandalo , e con soddisfazione della famiglia lesa e de’ suoi aderenti. Senonchè il rapitore rifiuta la proposta più ovvia di sposare la giovane « che è maculada » e risulta che « a a-vudo comertio cum altri », ed anche l’altra di sposare per riparazione una sorella di lei, mentr’ essa avrebbe preso il velo ; e il doge crede opportuno custodire il cugino in castelletto. Ma se ciò giovasse non si sa, perchè come si risolvesse 1’ episodio non dicono i documenti. L’a. illustra il suo racconto con utili notizie e buone osservazioni. G. Micheli. Quattordici lettere di Pietro Giordani a Vi7icenzo Mi-strali. Parma, Zerbini, 1906; in 8.°, pp. 32. — Una di queste lettere, ed è la ben nota de’ 4 giugno 1833 sul divieto dello scritto intorno allo Spasimo, già aveva veduto più volte la luce, ed è posta qui a ragione per compiere la serie di quelle altre tredici affatto inedite , le quali costituiscono il carteggio del Giordani col Mistrali. Notevolis sima quella onde mette sotto gli occhi del ministro le indegne sevizie usate da’ maestri di Parma contro i ragazzi delle scuole, che si ricongiunge alla guerra mossa dal Giordani ai maestri della « scitica Piacenza » fin dal 1819 come ognun ricorda. Del pari importante la risposta dell’8 giugno al Mistrali, il quale alla sfuriata del 4 aveva replicato con la lettera già edita dal D’Ancona, e che qui ricomparisce di sulla minuta; è documento caratteristico dell’ uomo e dimostra di qual natura fossero le private relazioni fra i due, collocati in così diverso stato. Al che giovano altresì le altre raccolte dalla diligenza del M. il quale le ha fatte precedere da un accomodato e ben nutrito preambolo, mentre con note materiate di buone notizie tutte le illustra nel modo migliore. Rime inedite di Barlolomeo Fonzio [per cura di] Ludovico Frati. Torino, Loescher, 1906; in 8.°, pp. 10. — Questi versi dell’umanista fiorentino rimasero sconosciuti al più recente suo biografo, e si conservano in uno de’ codici che già furono del Campori , ed ora sono della biblioteca Estense di Modena. Il F. ne dà P indice con i capoversi, e riproduce alcuni sonetti d’ argomento amoroso e morale, oltre ad una canzone politica per eccitare alla guerra contro i turchi. - 221 - Rime che rivelano nel Fonzio un petrarcheggiante ; carattere che spicca maggiormente nella canzone. Giuseppe Giorcelli. Medaglia francese commemorativa della presa di Verrua nel 170s. Milano, Cogliati, 1906; in 8.°, pp. 11. — Il lungo assedio della Verrua durato ben cinque mesi (novembre-marzo 1704-05) e strenuamente sostenuto dai piemontesi , che fecero alla fine saltare in aria le fortificazioni, riuscì per più rispetti utile alla salvezza di Torino, come rileva il G. illustrando la medaglia che i vincitori fecero coniare a ricordo di Verruca capta. Egli espone in un lucido racconto le cause e le vicende di quell’assedio diretto dal più illustre capitano di que’ dì, il duca di Vendôme. Guido Biconi. Dopo Lissa (18j/). Milano, Cogliati, 1906; in 8.°, pp# 8. — Nicolò Pasqualigo comandante la fregata Corona, fatto prigioniero nella nota battaglia del 13 marzo , dove eroicamente si condusse , tanto da meritare , oltre all’ omaggio degli avversari, 1’ elogio immortale d’un grande poeta, il Byron, scrisse da Malta una relazione sulle condizioni dell’ armata nemica dopo la battaglia , indirizzata al vicere. Il B. la pubblica per la prima volta con una diligente illustrazione densa di notizie , dovute alla conosciuta sua competenza. Utile contributo a rilevare quello spirito patriotticamente italiano, onde, voglia o non voglia, si deve riconoscere la formazione nel periodo fortunoso con cui si aprì il secolo XVIII. Alberto Lumbroso. Stor?ielli popolari romani. Torino (Ciriè Capella), Clausen, 1905; in 16.°, pp. 7. — Vennero raccolti da Raffaele Andreoli , scrittore e patriota napoletano , e da Lina Tomassetti. Li manda il L. con una sua lettera al Pitrè. Léo7iard le coiffeur de Marie-Antomette est-il mort guillotiné? par Albert Lumbroso. Paris, Picard, 1906; in 8.°, pp. 35. — Il L. mette dinanzi agli occhi dei lettori con sue erudite annotazioni la curiosa polemica sorta in Francia intorno a questo argomento , ed alla quale presero parte Vitrac, Bord, Lenòtre, Montorgueil e Vict. Sardou; polemica che diede luogo a qualche non esatto articolo in giornali italiani. Da essa risulta che si confusero due fratelli, l’uno davvero ghigliottinato, l’altro no ; morto invece più tardi nel 1820, in condizione assai povera. Alberto Lumbroso. Dal Renan al Thiers ed al Taine. Ricordi di 1171 co7ite77ipora7ieo. Roma (Trani, Vecchi), 1906 , in 8°, pp. 10. — Il contemporaneo, Oliviero di Watteville ch’ebbe un alto ufficio nel ministero dell’Interno, raccontò al L. alcuni aneddoti caratteristici riguardanti i tre ilustri francesi eh’ ei conobbe assai da vicino. Egli ne fa qui una gustosa esposizione. Sono aneddoti d’indole affatto personale, utili a conoscere certi atteggiamenti specifici dell’animo d’uomini insigni. Alfredo Segré. Appunti di storia, d’ arte e di letteratura. Pisa, Mariotti, 1906; in 16.o, pp. 17. — Sono frutto di particolari ricerche a cui l’a. attende da pezza con fortuna, e fa bene di comunicarne al — 222 - pubblico de’ studiosi e curiosi , man mano il risultato. Queste note e documenti riguardano i secoli XVI, XVII, XVIII e XIX. Si comincia dagli obblighi del nuovo cancelliere di Pisa eletto nel i575> e dai di-ritti d’ufficio che gli spettavano; segue un brano d’inventario di cose appartenenti a cavalieri di S. Stefano , dove , oltre ad oggetti di vestiario e suppellettili, si ha un Valerio Massimo, « un libro da imparare et parlare latino », una « carta da navigare », una « Italia in stampa »; c’è poi un de’ tanti avventurieri che propone certe sue mirabili invenzioni, fra le altre una « polvere » e una « decotione » per sanare le ferite; a questo ciarlatano viene appresso un medico autentico , Andrea Cesalpino , che fa un certificato alquanto spropositato. Si passa al seicento e si vede che pur allora venivano in Italia gli stranieri a portarci via oggetti di archeologia e d’ arte ; qui infatti è un « Luca Pfaut mercante alemanno » che nel 1638 spedì in casse al suo paese urne sepolcrali e termini antichi trovati a Pisa nel « fare il baluardo di S. Lazzaro », bontà sua se non ebbe modo d incassare anche una testa di Giove e i « pavimenti con piastruole intarsiate...* e di calcestruzzo con altra materia che pareva pietra mista tanto erano belli ». Una battaglia navale fra olandesi e inglesi , avvenuta il 14 marzo 1653 nel mare toscano appresso Livorno , attrasse i curiosi sul « campanile del Duomo », donde « si vedeva con gli occhiali benissimo i vascelli ». Il libretto si chiude con nozze e funerali, e cioè con un sonetto del Goldoni stampato a Pisa nel 1745 per il matrimonio di Antonio Quarantotto con Maddalena Incontri ; bruttino a dir vero, ma quando si pensa alla ressa che gli si faceva intorno (comicamente descritta ne’ componimenti in versi) per costringerlo a scrivere in quelle o simili circostanze , ci sentiamo davvero inclinati a perdonargli co-desta produzione scadente. I funerali sono quelli celebrati alle spoglie di Pio VI che passarono a Pisa il 9 febbraio 1802. Aspettiamo con desiderio dal S. l'annunziato lavoro sul Goldoni a Pisa. Giovanni Livi. Cultori di Dante in Bologna nei secoli XIII e XIV· Da nuovi documenti. Roma , 1906 ; in 8.° , pp. 15. — Reca la riproduzione della pagina di uno dei ben noti memoriali bolognesi dove si trova scritta una terzina del canto XIX de\V Inferno di Dante. Il notaro che la scrisse è ser Giovanni dal Ferro , e per le ragioni chiaramente esposte dal L. dobbiamo ammettere che ciò fu lo stesso giorno 22 dicembre 1321, data che si legge sopra i versi stessi. Di qui deriva il fatto che questo è il più antico frammento , sebben piccolissimo , fin qui conosciuto del poema. Ma un’ altra cosa si rileva, vale a dire la conoscenza assai larga della Commedia, non ancora divina, in Bologna mentre Fautore era ancora in vita, o almeno subito dopo la sua morte. E qui abbiamo una importante e piacevole esposizione intorno ai dantofili o dantografi che certamente vissero in quella città nel dugento e nel trecento, e che in ispecial modo si trovano in quel consesso di notari che furono preposti all’ufficio de’ Memoriali. - 223 — Gaetano Capasso. L’ufficio della Sanità di Monza durante la peste degli anni 1576-77. Milano, Cogliati, 1906 ; in 8.°, pp. 32. — Un manoscritto che contiene la maggior parte degli atti ufficiali del Magistrato di sanità di Monza per gli anni sopra indicati , quando infierì la pestilenza, ha dato modo al C. di narrare, meglio che altri senza questo sussidio abbia fatto, quanto si operò in quel triste periodo per attenuare i guai dell’ infezione , e , secondo i metodi allora comuni, combatterlo con i provvedimenti ritenuti più adatti. E perciò noi vediamo per filo e per segno quali furono gli ordini emanati per le segregazioni, le quarantene, i cordoni o steccati , le disinfezioni e cose simili. Non tutte queste provvidenze riuscivano al fine cui miravano, nè venivano sempre e con rigore rispettate; e neppure la loro seve rità si palesava nella pratica scevra d’inconvenienti, donde le proroghe, le attenuazioni, le eccezioni. Con tutto ciò, fatta ragion de tempi, de pregiudizi e dell’ empirismo in ordine alla polizia sanitaria , è a confessare che l’opera del magistrato di Monza riuscì vantaggiosa e assai ben regolata. Achille Pellizzari. Su la più antica testimonianza dell' esistenza del volgare nelle Gallie. Torino, Loescher, 1906; in 8.°, pp. 5. — Torna a discutere il modo migliore d’ interpretare un passo dell’ antica biografia di S. Mommoleno, dove secondo il Novati, non si doveva riconoscere un accenno all’esistenza della lingua romana nelle Gallie , sì come, sulla fede d’ un rifacimento posteriore di quella biografia , parecchi ritennero. Il P. con una particolare e ingegnosa analisi, intende dimostra che anche nel testo genuino dell’antico biografo si riscontra una sicura testimonianza della volgare parlata d’ « oil » fin dal secolo Vili. Giuseppe Giorcelli. Medaglia commemorativa della conquista di Tritio e di Po7itestura Monferrato fatta dai francesi nell9anno 1643. Milano, Cogliati, 1906; in 8.°, pp. 4. — Una medaglia di bronzo d’incisore francese, J. Mauger, reca da un lato l’effigie del quinquenne re di Francia con la leggenda : Ludovicus XII1I Rex christianis-SIMUS ; dall’altro la figura simbolica del Po e in alto le parole: Padus Liber, sotto: Trino et Ponte sturae captis. MDCXLIII. Ricordo della presa di questi due luoghi da parte dei francesi contro gli spa-gnuoli nel settembre-ottobre 1643. Il G. con la consueta competenza dà ragione del nummo e ne illustra la storia. SPIGOLATURE E NOTIZIE. ^ Nel Codice diplomatico di Federico III (in Documenti per servire alla storia di Sicilia, vol. IX, fase. IV, 1907) oltre a diversi documenti dove è menzione dell’ ammiraglio Corrado D’Oria, troviamo una lettera in data 22 gennaio 1358 (n. DCVIII) in cui il re , fra le altre cose, notifica al nobile Giorgio di Grafeo la pace fra il re di - 224 - Castiglia e i genovesi; ed un’ altra scritta lo stesso giorno (n. DCIX) al nobile Riccardo Abbate di Trapani, nella quale smentisce le voci messe fuori di un’ alleanza dei genovesi coi nemici , ed a questo fine comunica di aver mandato suoi nunci a Genova per saperne la verità, e sventare occorrendo le trame degli avversari. Il 12 marzo poi pubblica un editto (n. DCXXXI) per ricordare le buone relazioni con i genovesi, onde affida gli abitanti di Genova e delle Riviere che venivano nell’ isola, e conferma i privilegi già ad essi concessi. Poiché ebbe notizia nel giugno 1360 (doc. DCCLI) che il Grafeo, essendo in corso contro i nemici, aveva sorprese e danneggiate alcune navi mercantili genovesi nel mare di Sardegna di Oberto Finimondo , Bartolomeo Rizzo , Bartolo di Savona , Andreolo e Domenico di Sanremo, Giovanuccio di Calvi, dopo aver ordinato che il bottino rimanesse se questrato a disposizione regia, rende ragione alle rimostranze del governo genovese fatte per mezzo di Carmelo di Bonanno suo inviato, ed ordina al Grafeo la restituzione delle merci predate o del loro valore (n. DCCLXXXV). Importante contributo alla storia letteraria ligure nel periodo dell’umanesimo, reca Roberto Valentini pubblicando per intero Le invettive di Bartolomeo Facio contro Lorenzo Valla tratte dal Cod. Vat. Lat. 7179 e Oxoniense CXXXI (in Rendiconti della R. Accad. dei Lincei , Classe di scienze morali , storiche e filologiche , ser. quinta, vol. XV, pag. 463). Se ne aveva a stampa il magro ed inesatto sunto di una sola, e rari sono i codici che le contengono. Per darle integre a due codici ha ricorso il V. Le ha corredate di note opportune in cui si correggono gli errori dell’amanuense, e a questo fine ha tenuto a riscontro così le Recriminatioiies del Valla , dove molta parte di quelle invettive si trova riportata , e un frammento della biblioteca Angelica. Rileva poi che il Mehus scrisse erroneamente che codeste invettive esistevano nel Cod. Vat. Lat. 2906; in esso invece, oltre alle Dijfere?itiae verborum, si trovano alcune lettere inedite del Facio ed altre a lui indirizzate. *** Marc Dubruel in un ottimo articolo dal titolo : Iiwocent XI et Vextensioyi de la régale d'après la correspondance confide?itielle du cardi?ial Pio avec Leopold /, ci mette sotto gli occhi con evidenza la parte importantissima che ebbe monsignor Agostino Favoriti , segretario del pontefice e suo ben affetto confidente e consigliere, nella celebre contesa fra il Papa e il re Luigi XIV. Notevole contributo alla vita di quel prelato sarzanese (Revue des questioiis historiques , n. s., vol. XXXVIII. pag. 101 e segg.). *** Ne\V Archivio Storico MesstTiese (A. VII, fase. 3-4, pp. 220 sg.) V. Saccà ha pubblicato un documento tratto dalla « Tavola Pecuniaria » di Messina, dal quale risulta che ai 23 di luglio del 1602 la flotta della Repubblica di Genova, reduce dalla fallita impresa contro i Turchi, si approvviggionò di biscotto nel porto di Messina. Era comandata da Tomaso D’Oria. — 225 — *** Nel recente lavoro di Dino Muratori, Una principessa sabauda sul trono di Bisanzio , Giovanna di Savoia imperatrice Anna Paleologina , Chambery , 1906 , troviamo alcune particolarità desunte dai libri de’ conti , intorno al suo viaggio e permanenza a Savona, dove giunse il 18 ottobre 1325 , e ripartì per Bisanzio nella seconda metà di novembre. Rileviamo in ispecie le spese che due frati minori fecero a Genova ; quivi espressamente mandati , per fornire la cappella dell’imperatrice di calici, tovaglie, breviari e messali. * Fra i Consultori del Santo Uffizio nel 1632 , anno che si riferisce al processo di Galileo, troviamo fra Tommaso Gastaldo de Alaxio Ord. Praed. (Favaro , Scampoli Galileiani in Atti e Memorie d. R. Accad. di Padova, N. S. vol. XXII. pag. 21Ì. *** Nella Breve noticia del Archivio que fué del duque de Ostina data da Francisco Alvarez-Ossorio (Revista de Arch. Bibliot. y Museos, 3-a Ep., V. 89, 90) troviamo indicati Nueve papeles manuscritos que se referien a la guerra de Saboya con Genova ; hay relaciones minutas y copias de cartas (1625) , e una Carta del Duque de Tur sis, Carlos Doria Carretto del 1645. Il Catalogo III della « Biblioteca Nacional » di Madrid, che si pubblica a puntate aggiunte alla Revista, registra al n. 897: « Raguaglio di Parnaso. - La repubblica di Genova manda un suo secretario in Parnaso per che li sia decretato il trionfo, come a liberatrice d’Italia, è recevuto nella sala Regia.... In Genova , 1637. Con licenza de’ Superiori. — Apollo conferma alla Rep. di Genova il privilegio di sedere nella sala Regia e come a liberatrice d’ Italia dall’ ultime conversioni de’ francesi gli decreta il trionfo. In Torino 1627. Con privilegio », *** In Storia ed Arte (XXV, 122) Girolamo Rossi segnala l’importanza del Cartolario dell’Abbazia di Lerino , pubblicato da Henri Moris (Cartutaire de ΓAbbaye de Lérins, Paris, 1905) nel quale trovano luogo documenti riguardanti la Liguria. Egli scrive: « La disposizione dei documenti viene fatta secondo le diocesi, le quali sono Arles, Avignone, Frejus, Gap, Glandèvez, Antibo (i cui vescovi passarono a Grasse nel 1244), Nizza, Riez, Senez, Ventimiglia e Genova, e per ciascuna si hanno inedite carte , cavate da un manoscritto del Peiresc , dagli archivi di Provenza , delle Alpi marittime , e della Biblioteca nazionale di Francia. Basta l’enunciazione di tanti materiali per ripromettersi nuova luce per la storia della nostra contrada. Abbiamo trovato quattordici istrumenti riguardanti Genova e il suo O-spedale di Sant’Antonio, oltre non pochi che si riferiscono alla chiesa di Ventimiglia, notevole uno dell’anno 1288, che ricorda il vescovo Bonifacio, nome fin qui ignorato da quanti scrissero di questa cattedrale ». *** Vittorio Poggi ha incominciato a stampare nella Miscellanea di storia italiana (3a Sez., vol, X, p. 241 e segg.) la Cronotassi dei principali magistrati che ressero e amministrarono il comune di Savona dalle origlili alla perdita della sua autonomia , lavoro di lunga — 2 2 6 - lena e condotto con ottimo metodo critico, e con grande diligenza. Secondo il disegno, muove dal 1134 e deve giungere al 1528; qui intanto s’ arresta al 1230. Non è fatto con intendimenti ristretti ; chè anzi così nella notazione dei singoli magistrati dai più alti ai più umili, da quelli cioè che esercitarono mansioni politico-amministrative di gran momento , fino ai bassi funzionari ; come nelle notizie storiche e documentarie poste a corredo dei nomi, egli s’ è tenuto, con buon consiglio, ad una conveniente larghezza. E perciò qui abbiamo in un tempo nomenclatura cronologica, regesti o sunti di documenti, notiziario storico e relativi rilievi critici, sempre importanti ed acuti. E ad augurare che il lavoro sia presto composto. *** Il giorno 27 gennaio nella grande aula del Municipio di Genova ebbero luogo le onoranze ad Anton Giulio Barrili , promosse dalla Associazione ligure dei giornalisti. Alla presenza delle autorità, delle rappresentanze di tutte le scuole genovesi dalle universitarie alle elementari , e di gran numero di cittadini, il delegato dall’Associazione rimise al Sindaco la targa d’ oro destinata al Barrili ; ed egli con belle e patriottiche parole , ricordando come la città onorasse in lui lo strenuo giornalista, il prode soldato, lo scrittore geniale, Γacclamato maestro , gliene fece solenne consegna fra gli applausi di tutti gli intervenuti. Aggiunsero omaggi, felicitazioni ed auguri il Prefetto, il Rettore dell’Università anche a nome del Ministro della Istruzione Pubblica , il Sindaco di Savona , gli studenti ; ai quali tutti rispose con felice improvvisazione il Barrili , ringraziando , commosso, per la unanime concorde manifestazione di stima e di affetto. E la manifestazione fu davvero significativa e straordinaria, anche per le adesioni namerosissime mandate da uomini politici , letterati , artisti, municipi, istituzioni, sodalizi, ecc. di tutta Italia e dell’estero. La targa venne eseguita dairincisore Ferrea, sopra il disegno dello scultore E-doardo De Albertis , e reca da un lato una figura simbolica allusiva alle onoranze , e dall’ altro il ritratto del Barrili in mezzo busto , con sotto la seguente leggenda dettata da Paolo Boselli: Anton Giulio Barrili improntò di classico genio i palpiti della vita moderna , apprese al romanzo storie gloriose , fantasie leggiadre , idealità animatrici, e — in ciò più che poeta — onorò la magistratura della stampa colla dignità del sentire e della pernia , propugnò la libera patria gagliardamente , oratore e soldato , e nelle istituzioni universitarie co?i dottrina alta e feconda accende gli ingegni, solleva i cuori. A commemorare il bicentenario di Carlo Goldoni PAccademia Filodrammatica Italiana ha inaugurato il 3 marzo nel Vico S. Antonio, sulla casa abitata dal poeta veneziano, la seguente iscrizione dettata da Anton Giulio Barrili : Attergato al vecchio teatro del Falco?ie — il prossimo ceppo di case ricorda — ima felice unione di amantissimi cuori — onde tra Carlo Goldoni veneziano — e Nicoletta Connio genovese — parve auspicata una pace fraterna di popoli — nel presentimento della Italia futura — A memoria del 1736 pone nel marzo del - 22 7 - /pc>7 — VAccademia Filodrammatica Italiana. Parlò del Goldoni Silvio Caligo ; e a nome del Municipio Gaetano Poggi. L’Accademia recitò la sera stessa la commedia di Paolo Ferrari : Goldoni e le sue sedici commedie. Conferenze. Associazione scientifico letteraria Cristoforo Colombo: Lectura Dantis: Purgatorio, Canto XV, Arturo Linaker; Canto XVI, Umberto Cosmo; Canto XVII, Filippo Crispolti; Canto XVIII, Francesco Buttrini ; Canto XIX, F. Polese; Canto XX, Giuseppe Picciola; Canto XXI, Manfredi Porena; Canto XXII, Filippo Ermini; Canto XXIII, Albino Zenatti. — Le sais Borgia in Vaticano, Alessandro Ghignoni; Giosuè Carducci , Filippo Crispolti ; Fra i libri, Domenico Gnoli ; Commemorazione di Giuseppe Giacosa, Vittorio Ferrari. — R. Università : Commemorazione di Giosuè Carducci, Anton Giulio Barrili. — Società di Letture scientifiche : Applicazioni scientifiche dell'elettricità alla fotografia, Ernesto Mancini ; Il divorzio sui gradini di Montecitorio , Arnaldo Bartoli ; Nell’Eritrea, Ferdinando Martini; Pragmatismo , Giovanni Papini ; Carlo Goldoni, Alfredo Testoni. — Università popolare : Genova nella storia, Gaetano Poggi ; Garibaldi, Rondini ; Elettricismo, Angelo Frascara ; Giosuè Carducci, Flaminio Pellegrini ; Il teatro moderno, Sabatino Lopez ; I tesori della terra , Cas-sinis ; Carto Goldoni , Sabatino Lopez. — Istituto « Genova »: Gol-doni e la commedia italiaìia , Valentino Coda. — Società Impiegati civili : Selvaggi e delinquenti, Enrico Ferri. NECROLOGIO L’AB. NICOLÒ ANZIANI GIÀ PREFETTO DELLA MEDICEO-LAURENZIANA. È mancato ai vivi , in Firenze , il 13 novembre 1906 , a ore 7 del mattino. Appartenne a famiglia antica e nobile di Pontremoli, ove nacque il 26 febbraio 1828 dal Cav. Matteo e da Anna Maria Teresa di Giovanni Federici. Attese ai primi studj nel Seminario Vescovile di Pontremoli ; e fattosi poi sacerdote, riportò nel 1S51 la laurea dottorale nel pubblico Studio di Siena, che allora formava, con quello di Pisa, la Università Toscana. Venne ammesso nel 1853 al pubblico insegnamento nel Ginnasio di Firenze, finché nel febbraio 1861, per decreto del Barone Ricasoli , Governatore Generale della Toscana, fu nominato Sotto Bibliotecario della Nazionale, già Magliabechiana. Da questa passò alla Mediceo-Laurenziana , ove nel 1S79 fu promosso a Bibliotecario, e poco dopo a Prefetto, in luogo del celebre Luigi-Crisostomo Ferrucci. Con decreto del 9 settembre 1889 fu messo a riposo al seguito di sua domanda. Queste sono le poche e semplici date che compendiano la biografia dell Anziani , ma non fu poca nè semplice l’opera sua nel periodo di - 228 - 25 anni, durante il quale stette alla Laurenziana. Ivi, fino dal primo giorno, si dedicò tutto agli studj di erudizione indispensabile al servizio di quella singolarissima Biblioteca , composta , come tutti sanno, di codici antichi nella maggior parte ebraici , greci e latini ; e vi divenne tanto valente da acquistare estimazione e credito grande presso gli studiosi e gli uomini culti d’ Italia e dell’ estero. In lui si vide la continuazione di quella scuola, fiorita sotto i passati governi, che dette bibliotecarj elettissimi , i quali, coltivando studj speciali, ed esercitando una lunga pratica, crescevano educati appositamente per le rispettive biblioteche loro affidate. Erano essi uomini di cultura e letteratura tutt’altro che brillante, ma di dottrina profonda, e interamente dedicati , non alla semplice custodia , ma alla piena conoscenza delle biblioteca in vantaggio degli studiosi, senza essere distratti da altre occupazioni più geniali o lucrose. La nostra Laurenziana accrebbe la sua intrinseca celebrità anche pei Bibliotecari insigni che ne ebbero la cura. Il canonico Anton Maria Biscioni, dottissimo , e praticissimo della Biblioteca , che lungamente custodì per conto del Capitolo di S. Lorenzo , vi compilò il Catalogo dei codici ebraici, pubblicato a Firenze nel 1757. Il Canonico Angelo Maria Bandini lavorò quarant’anni alla compilazione del grande Catalogo di tutti gli altri codici della biblioteca, greci, latini e italiani, pubblicato esso pure, in ir grandi volumi in foglio, dal 1764 al I793Î opera superiore, per consenso degli stessi stranieri, ad ogni altra di simil genere. L’Abate Francesco Del Furia non lasciò tracce grandiose e luminose come i precedenti, ma, versatissimo nella letteratura classica e nelle lingue orientali, può dirsi che era il commento parlante ai lavori fatti dai primi due, e una guida sicura per gli studiosi. Non intendiamo certamente di mettere l’Anziani a livello di quei sommi , ma vogliamo dargli il merito di essere stato seguace e continuatore valente della loro scuola. Studiosissimo , indefesso e curioso indagatore dei codici, aveva non soltanto acquistata piena conoscenza della Biblioteca , ma anche cumulata una quantità di notizie svariate e aneddotiche special mente sull’epoca del rinascimento, della quale era ammiratore quasi appassionato. Ma (conviene dirlo, quantunque fosse in lui un difetto) il suo carattere morale mal si prestava a lavori di qualche mole e che richiedono continuata pazienza , per cui trascurava quasi sempre di prendere note ed appunti, affidando tutto alla memoria , veramente non comune, oppure postillando con semplice matita i libri a stampa. E noi , che lo abbiamo conosciuto con qualche intimità , pensammo spesso che se egli avesse raccolto ordinatamente tutte le notizie ed osservazioni che aveva in mente o notate nelle sparse postille, l’opera sua sarebbe riuscita di non scarsa utilità. Qualche volta la memoria potrà avergli fallito; ma la sua molta cultura e il tesoro di pratica lungamente fatta nella Biblioteca, erano di grande sostegno e guida agli studiosi e ai visitatori. Basta a provarlo il consenso unanime di dotti ed eruditi della forza di Teodoro Mommsen e di Gio. Batta De’ Rossi, i quali lo ricordarono più volte con onore nelle loro pubblicazioni , non per semplici cortesi accoglienze ricevute, ma per aiuti e lumi in svariate e speciali materie ; e bastano anche le attestazioni di stima e simpatia ch’ebbe da ogni parte allorché, mal suo grado, dovè lasciare la biblioteca. Fra queste merita il primo posto una lettera direttagli collettivamente da diversi uomini che rappresentavano il fiore di quanto eravi di più illustre ed autorevole in Firenze per senno e cultura. Essa infatti porta le firme di Tommaso Corsi , Sansone D’Ancona , Achille Gennarelli, Angelo De Gubernatis, Augusto Alfani, Pietro Dazzi, Anseimo Severini, Cesare D’Ancona , Augusto Conti. — E il Delisle , Direttore della Biblioteca Nazionale di Parigi, grande erudito e celebre conoscitore di antichi manoscritti, gli scriveva nella stessa occasione: Cher et illustre ami. — Je ne saurais vous dire combien j’ai été attristé en apprenant le parti que vous avez pris de vous retirer de la Lauren-tienne. Vous étiéz l’âme de cette Bibliotèque , et si jamais je retourne à Florence ce ne sera pas sans un serrement de coeur que je verrai les admirables collections des Medicis privées du gardien qui les connaissait à fond, qui les entourait de soins si éclaires et qui en faisait les honneurs avec tant de grâce et de compétence. — Ces sentiments sont partagés par Madame Delisle qui se rappelle toujours la charmant hospitalité que vous nous avez donnée au printemps de 1885, quand vous me donnâtes le moyen d’examiner les mss. de Libri. — En vous exprimant tous mes regrets permettez moi , cher et illustre ami, de vous reitèrer l’assurance de ma haute estime, de ma vive reconnaissance et de mon inaltérable attachement. — L. Delisle. Finché stette alla Laurenziana, l’Anziani nulla pubblicò, se si eccettui una Relazione ufficiale contenente la storia compendiata delle origini della Biblioteca, e la rassegna dei cimelj più preziosi che vi si custodiscono. Essa ha per titolo : Della Biblioteca | Mediceo-Lauren-ziana \ di | Firenze | Firenze | Tipografia Tofani | Via S. Zanobi N. 25 I 1872. — Ma cinque pubblicazioni egli fece dopo che fu collocato a riposo. Una sola di queste, l’ultima, è di argomento esclusivamente attinente ai suoi studj, mentre le altre quattro hanno carattere personale, quantunque riguardino la Biblioteca, e per il fatto del suo licenziamento, e per alcune operazioni speciali delle quali fu incaricato , e per la interpretazione dei regolamenti sulle biblioteche. Di queste quattro parleremo per ultimo ; ricordiamo intanto brevemente la prima. In essa, che s’intitola: Intorno | a due bellissime | Bibbie Corvi-?iiane | Notizie, Documenti e Co?igettiire \ a cura | di | Niccolò Anziani I Firenze Tipografia di Salvatore Laudi | 12 Via S. Caterina 12 | 1906 — di pag. 29, egli discorre delle commissioni di codici date a Firenze nel 1494 da Mattia Corvino Re di Ungheria, e singolarmente di una Bibbia splendidissima, in 7 volumi in gran foglio, con copiose miniature di Monte e di Attavante, che, dopo la morte del Corvino, acqui- — 230 stata da Giulio II, fu da lui mandata in dono a Emanuele Re di Por-gallo, conservata già nell’archivio di Belem , ed ora nell’ archivio do Tombo in Lisbona, e di due altre Bibbie, esse pure Corviniane e con miniature di Attavante, una in un volume, e l’altra in tre volumi esistenti nella Laurenziana. Fanno beH’ornamento a quest’opuscolo il ritratto del Corvino , tolto dal secondo dei detti codici Laurenziani , e quello di Vespasiano, unico conosciuto, levato da un codicetto antico contenente notizie della vita del celebre cartolajo. Questo codicetto, di proprietà dell’Anziani , che è un cimelio prezioso , in quanto il ritratto e le miniature che contiene sono giudicate opera di Attavante, e che ha trovato subito, pochi giorni dopo la morte dell’Anziani , un privato compratore, e forse anderà, in definitivo, ad arricchire qualche biblioteca estera , avrebbe dovuto trovare la sede naturale nella Laurenziana , alla cui fondazione Vespasiano contribuì colla sua professione sotto Cosimo, Piero e Lorenzo de’ Medici. Ed infatti Γ Anziani, che voleva bene alla biblioteca quasi come a cosa sua, allorché il Governo comprò i Codici Ashburnham e li destinò alla Laurenziana, scrisse al Ministero una lettera gratulatoria, manifestandogli la intenzione di lasciare , per atto di ultima volontà , il Codice alla Laurenziana , come attestato della sua vivissima soddisfazione. Ma dopo le divergenze eh’ ebbe più tardi col Ministero , e finirono col suo collocamento a riposo, e al seguito di una lettera (a dir vero non molto ponderata) del Ministero stesso che gli richiedeva quel codice insieme ad altri manoscritti ritenuti erroneamente mancanti nella consegna, egli sdegnosamente rispose che la manifestata intenzione, era rimasta, col suo ritiro dall’ufficio, una comunicazione accademica. Le altre quattro pubblicazioni portano i seguenti titoli : 1. _ Celino storico j intorno | ai Codici Ashburnham | mancati al 'riscontro di consegna j fatta \ a Niccolò Anziani | Prefetto della Biblioteca Mediceo-Laurenziana | con documenti inediti | (j dicembre 1884-24 marzo 1886) I (M. Coppino — F. Martini — P. Villari — | 6*. Costantini __ N. Anziani) | Firenze Tipografia M. Ricci | Via S. Gallo 31 | 1894 I — in 8.° pp. 24. 2. — Un Brano di Storia contempora?iea | della | Biblioteca Mediceo-Laurenziana I Documenti spiegativi j della dimissione di Niccolò Anziani \ Prefetto perpetuo di quella Biblioteca | preceduti da un discorso analitico | ...... (B. Ricasoli - U, Peruzzi — M. Tabarrini | G. Baccelli — S. Costantini — M. Coppino — F. Marimi — P. Bo-selli — F. Mariotti — E. Gianturco — G. Biagi) | Firenze | Tipografia di M. Ricci I Via S. Gallo N. 31 | 1888 1 — in 8.° pp. 82. 3. _ Più falsi I Nel Decreto Sovrano di riposo | di I Niccolò Anziani I Prefetto vitalizio | della R. Biblioteca Mediceo-Laurenziana \ firmato Umberto — controfirmato P. Boselli | del 9 settembre 1889 | Conlradittorio I di documenti ministeriali e prefettizj dedicato ai possessori di Rescritti Sovrani | Preludio a un’ azione civile | Firenze | — 231 — presso il librajo Cesare Cecchi | 19 Piazza del Duomo 19 | 1903 j tip. M. Ricci Via S. Gallo — in 8.° pp. 31. 4· — Le sostanziali contradizioni | del regolamento organico \ delle RR. Biblioteche italiane ! del 28 ottobre 1885 \ causa naturale dello incendio della R. Torinese \ e minaccia ad altri simili Istituti | Inutili reclami ufficiali | di Niccolò Anziani oggi Prefetto onorario | Firenze I Tipografia di Salvadore Landi | 12 Via S. Caterina 12 | 1906 — in 8.° pp. 20. Non è il caso di fermarsi ad analizzare queste pubblicazioni. Esse sono la manifestazione di un animo esacerbato, e contengono le querele di un uomo che, dopo lunghi e fedeli servigi, si credè ingiustamente perseguitato, e costretto a ritirarsi da un ufficio che , oramai, era divenuto gran parte della sua vita. Con esse l’Anziani (lo dice egli stesso) intese di mettere insieme un brano di storia della Biblioteca Medìceo-Laurenziana ; e circa i fatti che costituiscono questa storia, non può pretendersi dai contemporanei un sereno giudizio ; lo daranno i futuri. Ci sembra certo, per altro , che la vivacità e franchezza del-l’Anziani, se da una parte gli nocquero, dall’ altra lo fecero apparire come uomo fermo e non disposto a transigere colle proprie convinzioni, e altamente geloso della propria dignità. E, del pari, ci sembra certo eh’ egli fu un uomo erudito e dotto , al quale soltanto si potrà dar torto per non avere resa duratura la sua dottrina con opere scritte , ma di averla soltanto adoperata per la sua biblioteca ; torto che, del resto, si converte in merito per un bibliotecario. Nè a scemare questa sua riputazione può invocarsi qualche equivoco o errore (ben raro per altro) in cui sia caduto. E qual’ è 1’ uomo dotto che non possa, anche per una sola volta, essere colto in fallo? Le sue dimissioni furono provocate dalla resistenza che oppose alla facile concessione del prestito dei codici. Considerato l’Anziani semplicemente come impiegato, non abbiamo difficoltà di riconoscere che quella resistenza fu soverchia , ed anche ingiustificata , perchè gli ordini ministeriali , dopo le rimostranze da lui fatte in contrario , cuo-privano la sua responsabilità ; ed infatti come impiegato finì coll’ obbedire, inviando bensì contemporaneamente le dimissioni, che furono subito accettate. Ma come funzionario che si sacrifica piuttosto che rinunziare ai convincimenti impostigli dalla coscienza , dall’ affetto al-1’ Istituto e dall’esperienza, egli è, secondo noi , ammirevole e degno di grande rispetto. A lui, impegnato per ufficio alla custodia e buona conservazione dei tesori di letteratura e d’ arte affidatigli, uso a vedere , per originario istituto della biblioteca , i codici incatenati sui plutei , toglieva ogni tranquillità il doverli avventurare a viaggi e a mani estranee, perchè pensava che, trattandosi di codici spesso unici, veniva meno ogni garanzia materiale che potesse prendersi : e intendeva di giustificare la resistenza , interpretando il regolamento nel senso di negare al Ministro la facoltà di asportare dalla biblioteca i — 232 — codici senza il parere favorevole del bibliotecario che li aveva in consegna , e ne conosceva i pregi intrinseci e le condizioni materiali. E in massima , e forse anche secondo la lettera del regolamento , non aveva torto , tanto più che nel caso si trattava appunto di due codici Ashburnhamiani, i quali, oltre ad essere unici, erano sciolti, cioè a fogli volanti. Ma il sic volo, sic jtibeo doveva diventare legge in questa parte gelosissima di pubblica amministrazione ; e lo divenne. Un articolo ufficioso del giornale la Tribuna (i settembre 1889) comparve subito a dare di bizzoso all’Anziani e a proclamare la gran massima, osservando che, dopo tutto, il Gover?io è padrone e può disporre dei codici come gli piace. Non commenteremo queste parole, giacché sarebbe inopportuno ed inutile il farlo, ma aggiungeremo soltanto, riguardo alla Laurenziana , che il sic volo sic jubeo (per parlare di un fatto venuto in pubblico) lo si vide allorché un prezioso codice Cor-viniano, con miniature di Attavante , comprato .dalla Laurenziana nel 1899, per L. 4000, fu, d’ordine del Ministro della Istruzione , portato nel maggio 1900 a Roma. Passarono undici mesi senza che si sapesse rosa n’era avvenuto, perchè non ne fu fatto neppure il deposito, prescritto dal regolamento, in una Biblioteca di Roma; e intanto cominciò a circolare la voce di un dono o di uno scambio che se ne voleva fare con uno Stato estero , per cui la opinione pubblica tanto si commosse in Firenze, che ne fu fatta interpellanza nella Adunanza del Consiglio Comunale del 3 aprile 1901. Del resto, comunque andassero le segrete cose riguardo al nostro Anziani, nella tristezza che, per questi fàtti, turbò la serenità dei suoi ultimi anni , egli ebbe il conforto di una lettera di quello stesso Ministro, on. Boselli, che firmò il suo decreto di riposo, scritta con tutta la lealtà e deferenza di un uomo veramente onesto. Essa è del 21 ottobre 1894, in questi termini : Pregiatissimo Signore. — La S. V. con la sua lettera ha suscitato un ricordo che è dei più incresciosi nel mio passaggio al Ministero della pubblica istruzione. Se un giorno avrò occasione di vederla , potrò meglio a voce riandare il passato. Se ben mi ricordo io ho provocato il suo ritiro dopo non so quale contrasto o polemica, che non mi rendeva possibile in quel momento operare diversamente. Ma Ella ha ornai ragione di considerare vane ricerche storiche questi miei cenni, che nulla tolgono al fatto compito. Ella sa come spesse volte alla responsabilità legale non corrisponde realmente la responsabilità morale, ma ciascuno deve rispondere degli atti ai quali ha dato il proprio nome; e se perciò vi fu errore in quello che lo riguardava, Terrore, per quanto involontario, deve essermi attribuito. Le auguro i conforti che meritano gli uomini studiosi e costanti , e unisco a questi augurj l’espressione della mia osservanza. — Dev.mo P. Boselli. E qui, concludendo, non sappiamo se sia il caso di dire : « E questo fia suggel che ogni uomo sganni ». Pipjtro Bologna. . — 233 — Vincenzo Paoletti nacque in S. Terenzio (Lerici) il 5 aprile del 1821 da Bernardino e Benedetta De Marchi. Cominciò gli studi in Sestri di Levante, e li compì in Parma , dove pure imparò musica e contrappunto dal Barbarini. Nel '48 fu volontario nell’esercito piemontese ; ma, ammalatosi , fu mandato a Genova , dove prese a scrivere sul giornale Pensiero e Azione. Nel 1849 entrò nell’Amministrazione provinciale, donde passò nella Pubblica Sicurezza nel 1859. Vi rimase fino al 1890, nel quale anno fu messo in istato di riposo. Ebbe incarico di importanti missioni , specialmente durante la soppressione del brigantaggio , e fu parecchie volte commissario straordinario presso comuni del regno. È morto in Milano il 28 giugno 1906. Lascia parecchie pubblicazioni. Astenendoci dal giudicare quelle di carattere amministrativo, dobbiamo dire con dispiacere che le altre storico-letterarie non solo sono destituite di valore, ma riescono dannose perchè divulgano errori grossolani. Eccone l’elenco: Attraverso mefitica corrente. Romanzo storico. Lecce; 1878, pp. 190. — Avvedimenti politici ed amministrativi. Milano, 1888, G. Prina e C., in 8.°, pp. 62. — Bagni Marini di S. Terenzo al Mare. Venezia, 1868, Tip. del Tempo. — Biografia dell'ex ministro Stefano Castagnola. Venezia, 1872, tip. del Commercio. — Considerazioni amministrative di Sicurezza pubblica. Sarzana, 1869. — Dal Brandisio alle Alpi. Reminiscenze di un Ispettore di S. P. Milano, E. Richiedei e C., 1891, 8.°, pp. 91 — Giovanni Caboto 7iavigatore genovese. Milano, tip. lib. Agraria, 1897, 8.° pp. 8, n. n. — Lerici. Moiiografid. Milano, G. Prina e C., s. a. [1888] in 8.°, pp. 56. — Memorie de IV antica Tigulio e della Segesta Ti g liliorum oggi Sestri a Levante. Asti, 1856, A. Raspi e C., in 8.°, pp. 40. — Monografia di Santerenzo al mare. Venezia, 1867, tip. del Giorn. Il Tempo. — Narrazione al Municipio di Moneglia, sul territorio del Comune ed uomini illustri del medesimo. Chiavari , 1853 , tip. Argi-roflfo. — Ottave sulla storia di Sestri a Levante. Asti, Raspi, 1856. — Patria. Carme. Milano, Réchiedei e C., 1891, 18.°, pp. 28. —Patria, Libertà, Amore1 versi ispirati dall*Elicona. Genova , G. Sambolino, 1894, 8.°, pp. 46. — Piacenza- e Valenza non sono la patria di Gio. e di Dom. Colombo, avo il primo e padre il secondo dell'eroe Cristo-foro Colombo* Polemiche sostenute nei Giornali II Piccolo di Piacenza, L’Italia Termale e La fine di secolo di Milano. Milano, tip. del Commercio y 1905, 8.°, pp. 26. — Poesie varie sul Risorgimento Italiano scritte dal 1828 (?) al /86j. Ivrea, Curbis, 1863, pp. 60. — Poesie varie. Milano, 1S89. — Portovenerey note storiche e descrittive. Milano, G. Prina e C. s. a., [ma 1899] , in 8.° , pp. 47. -- Quinto al mare. Schizzi a penna. Milano, Cogliati, 1892, in 16.°, pp. 65 con 7 figg. — Santereìizo al mare. Note storico-descrittive. Milano, 18S7, tip. Enrico Piazza, 16.0, pp. 52. — Su IP antichità storica della Chiesa e poi parrocchia di Portovenere. Milano, tip. lit. Agraria, 1897, 8.°, pp. 7. — Sulla Patria di A. Persio Fiacco , osservazioni. Milano , tip. lit. A- Giorn, St. e Leti, della Liguria. 16 ------ — - - - - - - - - — ^34 — graria, 1897, 16.°, pp. 15. Tra le sue carte sono parecchie cose ined te, tra cui alcuni Cenni biografici (sic !) dell'Isola Capraia, e una Stona di Spezia e suo golfo. Ci auguriamo, per l’affetto che nutriamo alla storia e alle lettere, che non vedano una postuma luce. Luigi Arnaldo Vassallo genovese cessò di vivere il io agosto 1906 in età di cinquantatre anni. Ingegno vivo, pronto e versatile si distinse specialmente nel giornalismo , dove spiccarono in singoiar modo le doti della sua penna feconda, della dialettica stringente, del multiforme umorismo. Conscio che a degnamente esercitare Γ ufficio giornalistico occorre solida preparazione e larga cultura, aveva atteso con ardore e costanza a studi molteplici, e diversi, nel tempo stesso ch’egli esercitava l’acutezza del suo spirito osservatore, penetrante ed arguto sopra uomini e cose. Ebbe squisito il senso dell’arte, e si manifestò sempre difensore caldissimo de’ monumenti che attestano le antiche glorie. Il suo tirocinio fu breve, chè ben presto si rivelò maestro, e seppe acquistare dovunque notevole autorità. Scrittore facile e piano, dettò romanzi ne’ quali non manca piacevole intreccio di avvenimenti, rilievo di caratteri , studio coscienzioso d’ ambiente , indagine psicologica. Nè mancano di genialità i suoi versi, dove sotto una veste che sembra gaia e leggiera si trova la nota melanconica e dolorosa. Fra le sue cose a stampa ricordiamo: Diana ricattatrice : romanzo. Milano, Treves, 1886; Drammi di corte: la regina Margherita, anno 1/60. Roma, Sommaruga, [883; Guerra in tempo di bagni; raccoìito. Milano, Treves, 1899; La battaglia di Legnano. Genova, Lavagnino, 1876; La Contessa Paola Flamini: scetie moderne. Roma, Sommaruga, 1882; La signora Cagliostro: romanzo. Milano, Treves, 1894; Nel mondo degli invisibili. Roma, Voghera, T902 ; Dieci monologhi. Torino, Streglio, 1903 ; Poesie. Genova, Artisti Tip., 1874. Guglielmo Ghiuetti il 4 di febbraio , dopo fiera e brevissima malattia, moriva a Pesaro dove era direttore di quella R. Scuola pratica d’agricoltura. « Nacque egli a Bagnone in Lunigiana nel 1857 »; così il giornale pontremolese A Noi/(a. IV, n. 6 , 10 febbraio 1907). « Fece i suoi primi studi in paese; passò quindi all’I-stituto tecnico di Pisa, ove studiò con lodevole profitto, e più tardi all’ Università, ove ottenne a pieni voti la laurea in scienze fisiche e naturali. Fu professore e vice direttore in vari istituti agrari e pubblicò scritti che riscossero la generale approvazione ; ed i maestri del Padovano lo ebbero più volte, applaudito ed esauriente conferenziere in materia di agraria. Fu anche letterato , e si mostrò forbito e di elettissimo ingegno ; di modo che in lui piacque sempre la forma e la sostanza ». Per i suoi scritti si consulti la bibliografia del Pagliaini. — 235 — Angelo Solerti nato a Savona, di padre Veneto, il 20 settembre 1865, è morto â Massa il 10 gennaio passato. Della sua vasta dottrina e molteplice erudizione porgono bella prova le opere maggiori, gli scritti minori di lui, e le numerose pubblicazioni alle quali ha dato le sue cure indefesse e intelligenti. Altri ha detto e dirà ancora della vita ; a noi è doveroso il mesto ricordo, non solo per la buona amicizia, ma perchè egli fu tra i collaboratori del nostro periodico. Giosuè Carducci, nato a Val di Castello nella Versilia il 27 luglio Ι&35, è morto a Bologna il 16 febbraio 1907. Non è nostro ufficio dire di lui, ma il ricordo di sì grande scrittore non poteva mancare in queste pagine come segno della parte vivissima che prendiamo al lutto nazionale; come.testimonianza dell’alta ammirazione per l’uomo, il poeta ed il critico ; come riverente omaggio verso colui che lascia tanta orma di sè all’epoca nostra. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA CRONACA DELLA SOCIETÀ. La Società Ligure di Storia Patria che , con 40 volumi dei suoi Atti ha portato un largo e valido contributo di memorie e di documenti alla illustrazione della storia genovese , è venuta nel proposito di festeggiare il 50.0 anniversario della sua fondazione nel modo che le sembra il più degno. Si fa cioè promotrice di un concorso per un libro di storia di Genova che, tenendo conto della considerevole opera analitica prodotta nel mezzo secolo della sua esistenza , e degli studi autorevolissimi di dotti italiani e stranieri, quali il Bent , il Bruun , il Caro, 1’ Heyd, 1’Hopf, il Jarry, l’Jurgewicz, il Pélissier , il Riant, il Saige, lo Schaube, lo Schulte, il Sieveking, il Wustenfeld e tanti altri che recarono validissimi contributi alla migliore conoscenza della storia genovese , possa , in una maniera sintetica , raccogliere le notizie di maggior conto, sì da essere adatto per le scuole e per quanti vogliano avere una conoscenza sicura della storia del nostro paese. Il concorso avrà luogo secondo queste norme: τ.ο L’estensione ed i limiti dei lavori presentati dovranno essere commisurati all’indole speciale d’un libro destinato alla scuola e di costo così limitato da essere accessibile anche alle borse più modeste. 2.0 II compendio dovrà essere completamente inedito, e far risaltare in modo e-vidente che l’autore ha attinto alle fonti criticamente più accreditate, si da mostrare una sicura padronanza della materia , e da rispondere nella forma alle regole della buona lingua italiana. La Società Ligure di Storia Patria non intende di avere con questo concorso soltanto un arido ristretto sommario , cronologico ; ma uno studio organico in cui, limitatamente all’indole del lavoro ed in forma piana, si scriva della — 236 — storia di Genova, dalle origini fino all’annessione al Piemonte, con intelletto d artista e criterio di studioso. 3.0 11 premio da attribuirsi al lavoro prescelto sarà di L. 1000 (mille) e non potrà essere divisibile, intendendosi di premiare unicamente l’autore dell’ opera riconosciuta corrispondente agli intenti del presente concorso. 4.0 Per conseguire il premio, il compendio storico prescelto dovrà essere ritenuto non solo il migliore fra quelli presentati, ma anche di merito intrinseco sicuro, e tale che dia buon affidamento della sua pubblicazione. 5.0 I lavori dovranno essere consegnati anonimi e contraddistinti da un motto o da un numero, ripetuto su di una carta suggellata, che conterrà il nome dell’autore ed il suo indirizzo, e che sarà aperta soltanto dopo il giudizio, e dietro facoltà concessa dall’autore stesso. 6.0 Gli autori sono vivamente consigliati di inviare i lavoii sci itti a macchina, perchè più facili alla lettura, e per dare ai concorrenti maggiore garanzia sull’ imparzialità del giudicato della Commissione. 7.0 I lavori dovranno essere consegnati alla Segreteria della Società Ligure di Storia Patria non più tardi del 31 Gennaio 1908. 8.0 Giudicherà dei lavori una commissione appositamente " eletta dal Consiglio direttivo della Società Ligure di Storia Patria fra competenti delle discipline storiche. Questa Commissione dovrà riferire Del termine di tre mesi dal giorno della chiusura del concorso. 9.0 L’opera scelta sarà stampata a spese della Società, la quale se ne riserva la proprietà letteraria, salvo a corrispondere all’ autore una peicentuale non inferioie al 30 ojo sugli introiti netti da ogni spesa. * * Il Sindaco di Genova , avuta notizia del concorso , ha diretto al Presidente della Società Ligure di Storia Patria la seguente lettera : Addi 8 Febbraio 1907. L’Amministrazione civica ha inteso con vivissima soddisfazione 1 annuncio che la Società Ligure di Storia Patria ha bandito un concorso per un compendio di Storia di Genova, che risponda ad un tempo alle esigenze delle nostre scuole e al desiderio di quanti vogliono avere una conoscenza sicura della storia del nostio paese. È una nobile iniziativa che onora la Società Ligure di Storia Patria , già tanto benemerita degli studi storici in Liguria, e rende nello stesso tempo un segnalato servizio alla nostra città. Gli Atti della Società costituiscono un prezioso patrimonio di cognizioni raccolte a prezzo di pazienti e faticose ricerche dai soci di codesto illustre sodalizio, ed era veramente desiderabile che il lavoro accumulato in cinquantanni; coordinato cogli studi compiuti all’estero, fosse con sintesi rapida e chiara condensato in un libro alla portata di tutti in modo da rendere popolare la storia nostra, così bella e così poco conosciuta finora. La Giunta ha deliberato che del nuovo lavoro, appena pubblicato , saranno acquistate 500 copie da distribuirsi nelle scuole, come pure ha deliberato di acquistare anno per anno 10 copie degli Atti che la Società verrà pubblicando a cominciare dall’ annata 1906. Con ciò la Giunta rende omaggio agli intenti altamente scientifici e patriottici della benemerita Società Ligure di Storia Patria , alla quale invia i più fervidi auguri di prosperità associandosi al fausto ricordo del cinquantesimo anniversario della sua fondazione. Gradisca, egregio signor Presidente, i sensi della mia vivissima considerazione. Il Sindaco G. Da Passano. — 237 — * * * Il io Febbraio 1907 ebbe luogo sotto la presidenza del Marchese Cesare Imperiale di S. Angelo , l’Assemblea generale ordinaria della Società. Aperta la seduta il-Presidente rilevò con dolore che dalle file del Sodalizio scomparvero, dopo l’ultima Assemblea, i Soci Corrispondenti Guglielmo Cristoforo Heyd, antico Prefetto della Biblioteca Pubblica di Stoccarda, e Barone Comm. Rajfaele Starrabba di S. Gennaro, So-vraintendente Generale degli Archivi Siciliani, figura veneranda di studioso e dottissimo paleografo (Palermo, 4 gennaio 1834, φ i2 maggio 1906) ; e i Soci effettivi March. Giacomo Filippo Air oli, (Genova, 12 febbraio 1831, φ Firenze, 24 novembre 1906), Cav. Uff. Avvocato Riccardo Magenta , Consigliere della Corte d’Appello di Genova (φ 27 agosto 1906), March. Ambrogio Negrone, (>$ 2 gennaio 1907), Cav. Vincenzo Paoletti (φ Milano, 28 giugno 1906), On. Conte Edilio Raggio (φ Novi, 21 ottobre 1906), Cav. Luigi Arnaldo Vassallo (Genova, 1852, φ io agosto 1906). Alle famiglie degli Estinti il Presidente inviò ancora con elevate parole l’espressione del cordoglio della Società. Procedendo in un breve resoconto morale dell’ andamento della Società il Presidente ricordò la parte presa da essa alla pubblicazione fatta sotto gli auspici del Ministero della Marina della Monografia Storica dei Porti dell*Antichità nell’Italia Insulare testé uscita, e che fa seguito alla Monografia Storica dei Porti dell’Antichità nella Penisola Italiana. Annunziò che il Socio Arturo Ferretto illustrando dottamente I Porti della Corsica rappresentò degnamente il Sodalizio nel nuovo volume. Presentò quindi il volume XXXVI degli Atti della Società contenente il Liber Magistri Salmonis Sacri Palatii Noiarii (1222-1226), con prefazione di Arturo Ferretto , e l’Annuario della Società, MCMVI, messi in distribuzione. Dovendosi quindi procedere all’ elezione delle cariche sociali, il Presidente propose, a nome dell’intero Consiglio Direttivo, che la votazione fosse preceduta da un voto solenne dell’Assemblea, la quale associandosi alle onoranze tributate in quei giorni da tutta l’Italia ad Anton Giulio Barrili, acclamasse l’illustre uomo Presidente Onorario della Società Ligure di Storia Patria. La proposta fu accolta da una triplice salva di applausi. Le elezioni alle cariche sociali, diedero il seguente risultato: Presidente — March. Cesare Imperiale di S. Angelo. — Vice Presidenti — Mons. Ab. Prospero Peragallo — March. Marcello Staglieno. — Consiglieri — Avv. Giulio Balbi — Cav. Prof. D. Luigi Beretta — Prof. Arch. Giovanni Campora — March. Avv. Antonio Carrega — Avv. Pier Francesco Casaretto - Cav. Luigi Augusto Cervetto — Comm. Francesco D. Costa — Arturo Ferretto — Avv. Prof. Mattia Moresco — Avv. Cav. Gaetano Poggi.— March. Comm. Paolo Ale-rame Spinola — Conte Prof. Luigi Staftetti. Procedendosi quindi alla ricomposizione delle singole Sezioni della Società , risultarono eletti : Sezione di Storia — Vice Presidente — Prof. Dott. Guido Bigoni. — Vice Segretario — Prof. Dott. Emilio Pandiani. — Sezione di Belle Arti — Segretario: Dott. Ubaldo Mazzini. _ Yice Segretario : Dott. Silvio Bellotti. — Sezione di Paletnologia — Segretario: March. Prof. Gaetano Rovereto. Dopo ΓAssemblea, le sale sociali furono visitate dal Socio Corrispondente Principe Pietro Lanza di Scalea , Deputato al Parlamento, e da parecchi autorevoli personaggi dell’Associazione Nazionale Italiana pel movimento dei forestieri , intervenuti alla solenne adunanza in Municipio per la fondazione del Comitato Genovese dell’Associa-zione stessa. Nella successiva adunanza Consigliare del 16 febbraio, si riconfermarono le precedenti delegazioni ai vari servizi : alla segreteria , Moresco, predetto — alla contabilità, Spinola, predetto — alla tesoreria, Costa, predetto — alla biblioteca, Slaffetti, predetto. * * * Il Presidente ha rappresentato ufficialmente la Società alla solenne adunanza tenuta il 27 Gennaio 1907 nella maggior sala del Comune, in onore di Anton Giulio Barrili, da molti anni nostro autorevole Vice Presidente , ed ora chiamato dal voto unanime dell’Assemblea sociale alla Presidenza Onoraria della Società. * * * Alla R. Università di Genova ebbero luogo il 9 Dicembre 1896 le solenni onoranze tributate al Comm. Prof. Arturo /ssei, in occasione del XL anniversario del suo insegnamento universitario. La Società Ligure di Storia Patria era rappresentata dal suo Segretario Avv. Professore Mattia Moresco, che prese la parola per esprimere i sentimenti di riconoscenza e d’affetto che' stringono il nostro Sodalizio all’illustre Presidente della sua Sezione di Paletnologia , e presentò al festeggiato il diploma di Socio Onorario. * * * La Società è stata degnamente rappresentata al IX Congresso Storico Subalpino tenutosi in Torino in occasione della commemorazione bicentenaria dei gloriosi avvenimenti del 1706 , dal 3 al 6 settembre u. s., dai Soci Comm. Prof. Vittorio Poggi e Conte Prof. Luigi Staf-fetti ; ai festeggiamenti commemorativi del VI Centenario della dimora di Dante in Lunigiana , che ebbero luogo in Sarzana e Castelnuovo nei giorni 6 e 7 ottobre 1906, dai Soci Corrispondenti Cav. Pro- — 239 — fessore Achille Neri e Nob. Cav. Giovanni Sforza ; e alla commemorazione del III Centenario della nascita del Grande Ammiraglio Olandese Michele Adriano De Ruyter, che si fece in Amsterdam il 23 marzo 1907, dal Gr. Uff. M. Meerens. * * * In occasione della morte di Giosuè Carducci, la Società si è associata al lutto nazionale, inviando un telegramma di condoglianza alla R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna, di cui il grande Defunto era Presidente. * * * La Società si compiace di annoverare tra i suoi nuovi Soci i Signori : Domenico Balduino di Giuseppe - Edward E. Berry — Cavaliere Ing. Eugenio Crociatelli — Carlo Dassori — Avv. Aronne De Benedetti — Antonio De Marchi — Cav. Prof. Michelç Ferrari — Ing. Giuseppe Gajardi — Avv. Eugenio Ghilino — Raimondo Lari — Avv. Francesco Giovanni Massuccone — Dott. Carlo Mario Pertusio — Avv. Alberto Prencipe di Antonio — Emanuele Raineri — Luigi Ricci — March. Prof. Gaetano Rovereto — Antonio Testa — Salvatore Valabrega — Umberto Vivani — March. R. Guiscardo Zaccaria. * * * Alla Biblioteca sociale furono donate le seguenti opere : Autografi di G. Mazzini , G. Garibaldi, Goffredo Mameli, che si conservano nel Museo del Risorgimento in Genova. Ricordo offerto dal Municipio di Genova alla Società « Dante Alighieri ». Ottobre 1906. Genova, Stabilimento Fratelli Pagano, cartella con 10 fototipie. — Bert Amédée. Fête du Simplon. La Colo?iie Suisse de Gènes. Conférence au « Circolo Svizzero » le mardi 19 juin 1906. Genova, Stab. Tip. Lit. Fratelli Waser, 1906, 8.°. — Carcereri Luigi. Agostino Centurione mercante genovese processato per eresia e assolto dal Concilio di Trento (a. 1363). Trento, tip. Giovanni Zippel, 1906, 8.0. — Catalogo delle Opere componenti la Raccolta Colombiana della Civica Biblioteca Berio di Genova. Edito a cura del Municipio. Genova , Stabilimento Fratelli Pagano, 1906, 8.°. — Dellepiane Giovanni. Guida per escursioni nelle Alpi ed Appennini Liguri. Con note di A. Issel, G. Rovereto, O. Penzig, R. Gestro e G. C. Raffaelli. Terza e-dizione. Pubblicata per cura della Sezione Ligure del Club Alpino I-taliano, 1906. — Epistola di D. Emauaele Re di Portogallo al Papa Leone X, annunziandogli Ventrata solenne dell'Ambasciata Portoghese in Abissinia. La riproduce da una antica edizione con note bibliografiche e storiche Prospero Peragallo. — Feriis Saecularibus R. A-thenaei Taurinensis A. D. VI Kal. Nov. An. MDCCCCVL Litterarum formis expressum in Regia Officina Libraria Fratrum Vigliardi. — 240 — Paravia, Augustae Taurinorum, f.°. - Fregni Giuseppe. Sulla firma in sigle di Cristoforo Colotfibo. Cosa ebbe a dire il Prof. (Tesare Lom-broso e come la ìti terp rctci7'0 τι o 7W7i pochi dei più di stiliti ed illusti'i biografi ed archeologi d'Italia e fuori· Appunti critici , storici e filologici. Modena, Unione Tip. Lit. Modenese , 1906 , S.°. Hasluck F. W. Dr. Covers Notes on Galata. Reprinted from thè Annual of thè British School at Athens. No. XI, 1904-1965. — Ausonio Liberto. La CanzoTi di Vittorio. Preludio e XII canti. Edizione popolare con molte correzioni ed aggiunte a cura di G. Levantini-Pieroni. Firenze, G. Carnesecchi e Figli, 1906, 32.0. — Mazzini, Conferenze tenute in Genova (Maggio-Giugno 1905), [per cura] del Comitato per le Onoranze a Mazzini nel primo· centenario della sua nascita. Genova, Libreria Federico Chiesa. (Empoli, tip. di Edisso Traversari), 1906, 8.°. — Ministero della Marina. Leva marittima sui nati 7iel 1884 e situazione del Corpo Reale Equipaggi al 31 Dicembre 1905. Relazione a S. E. il Ministro della Marina. Roma , Tip. Ludovico Cecchini, 1906, 4.0. — Ministero della Marina. Statistica Sanitaria deir Armata per gli anni 1899 e 7900. Roma, tip. Ludovico Cecchini, 1906, 4·°· N[avone] C[arlo]. Navoneide. Due secoli di Memorie famigliari ed intime. Genova, tip. della Gioventù, 1906, 32.0. — Orme di Dante in Val di Magra. VI ottobre MCCCVI- VI ottobre MCMVI, a cura di Achille Pellizzari. Sarzana , Ediz. del Tomeo , coi tipi di Enrico Costa, 1906, f.°. — Ai Ponti della Valle. I Ottobre MDCCCLX. Numero Unico. Maddaloni, I Ottobre MDCCCXÇIX. Pozzo Matteo. Il Cardinale Giacomo Filippo Franzoni genovese. 1775-1886. Genova, tip. della Gioventù, 1906. — Scheurleer D. F. Michiel Λ-driaensz. De Ruyter. Leveu en daden naar berichten en afbeeldÌ7igen van lijdge7iooten.* S. — Cyravenhage , Martinus NijhofF , i9°7 > 8°· Sforza Giovanni. Autobiografia inedita di Gio. Antonio da Faje Speziale lunigianese del secolo XV. Parma, 1906, 8.°. Soardi Onorio. Sopra un caso particolai'e di amino7'tamento. Ricerca. Roma , Stab. Bontempelli, 1888, 8.°. — Solmi Arrigo. Studii per la storia del Diritto commerciale. A proposito di recenti pubblicazioni (Sieveking, Garcia de Quevedo, Godart). Milano, 1906, 8.°. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE A. Vannucci. I martiri della libertà italiana dal 1799 al /S48 vite scelte e annotate per cura di Rosolino Guastalla. Firenze, Barbera, 1906. Maria Merlato. Mariti e cavalieri serventi nelle commedie del Goldoni. Firenze, Carnesecchi, 1906. Fortunato Rizzi. Pe?isiero ed arte. Città di Castello, Scuola tip. coop., 1906. A. Moìraghi. Un critico insigne in veste da camera. Osservazioni a certe osservazioni critiche di G. Romano. Pavia, Scuola tip. Artigianelli, 1906. Littérature italienne par Henri Hauvette. Paris, Colin, 1906. Antonio Pi lot. L'elezione del Doge Niccolò Tron. Firenze, (Prato, Vestri), 1906. Federico Donayer. Asilo infajitile Follot di Genova. Genova, Carlini, 1906. Gioachino Brognoligo. Un vicentiiio benemerito. Il conte Pietro Bissati {1767-/820). Vicenza, Fabris, 1906. Fortunato Rizzi. Pensiero ed arte. Città di Castello, Scuola Tip. coop. edi-trice, 1906. - Delle farse e commedie litorali di G. M. Cecchi. Studio critico. Rocca S. Casciano, Cappelli, 1907. Vittorio Capetti. L’anima e l'arte di Dante. Livorno, Giusti, 1907. ΆΙαηα Bricca. Conferenza detta in Pianezza il 1. Ottobre igos dall'on. Paolo Boselli. Torino, tip. Subalpina, 1906. Achille Pellizzari. Il deliito della « Signora ». Saggio di critica. Città di Castello. Scuola tip. coop. editrice, 1907. Vittorio Ci an. Ugo Foscolo inedito. Torino, Loescher, 1907. Navonetde.' Due secoli di memorie famigliari ed intime dell’ ing. C. N. Ge-nova, tip. Gioventù, 1906. M. Pozzo. Il cardinale Giacomo Filippo Fransoni genovese. 177^.-18^6 Ge nova, tip. Gioventù, 1906. Cesare Levi. Saggio sulla bibliografia italiana di Molière. Firenze 1906 - Saggio bibliografico su Pietro Cossa. Prato, 1906. - Saggio di bibliò- S' afia degli studi cnt/ci su Carlo Gozzi, s. n. — Il Goldoni ’ persona ™ί0 di Peatro. Roma, 1907. Il gergo dei barcaiuoli di Venezia e Carlo Goldoni. Appunti di Cesare Mu-satti. Venezia, Pellizzato, 1907. Lettere del Caldai annotate da Edgardo Maddalena. Venezia , Scarabei-lin, 1907. Gioachino Brognoligio. Nel teatro di Carlo Goldoni. Napoli, Pironti, Iyo7 TTiLio Momigliano. Il « Campielo » di Carlo Goldoni. Roma, Società Poligr., 3907. Alfonso Lazzari. Il padre di Goldoni. Roma, 1907. Carlo Bonardi. Enrico Heine nella letteratura italiana. Livorno, Giusti ,907. relazione ad un amico di quanto è seguilo in Genova all’arrivo della Serenissima Principessa Carlotta Aglae sposa del Serenissimo Prìncipe Fran-cesco di Modena. Bologna, Garagnani, 1906. AVV ERTENZE 1) Il giornale si pubblica di regola in fascicoli trimestrali di 120 pagine ciascuno. 2) Per ciò che riguarda la Direzione rivolgersi in Genova al Prof. Achille Neri - Corso Mentana, 43-12. 3) Per quanto concerne l’Amministrazione, esclusivamente all Am- ministrazione del periodico - Spezia. 4) Il prezzo d’associazione per lo Stato è di L. io annue. — Per Γ estero franchi 11. AI SIGNORI COLLABORATORI La Direzione concede ai propri collaboratori 25 copie di estratti dei loro scritti originali. Coloro che ne desiderassero un maggiore numero di copie, potranno rivolgersi alla Tipografia della Gioventù - Via Corsica N. 2 (Genova) che ha fissato 1 prezzi seguenti : _ Da i a 16 pagine Da i a 8 pagine ^ Copie 5° · · · · » 100 ... » 100 successive L. 6 Copie 50 . · · - » L. 10 »10 » 100........ 15 6 » 100 successive . » 8 » In questi prezzi si comprendono le spese della copertina colorata e della legatore, nonché di porto a domicilio degli Autori Ρτβζζο del presente fascicolo L· 3 IORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA y τ T T Τ Λ DIRETTO DA ACHILLE NERI * * * LILjU ivlr\ e DA UBALDO MAZZINI * * * pubblicato sotto gli auspici della Società Ligure di Storia Patria G. Manacorda: Un testo scolastico di grammatica del secolo XII in uso nel basso Piemonte ; P&g · 24.1— G·. Sforza: Contributo alla vita di Giovanni Fantoni, pag. 283. — VARIETÀ: A. Pesce: Fuochi avvisatori, pag. 338. — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO: Vi si parla di V. Samanek (C. Manfroni), pag. 341. _ANNUNZI ANALITICI : Vi si parla di F. Rizzi (F. L. Manmccci), Monografia sui porti italiani , M. Pozzo , Feriis saecul. R. Ath. Taurinensis , La biblioteca Marciana, P. Barsanti , P. Boselli , C. Manfroni, H. Hauvette (F. P.), pag. 345· — SPIGOLATURE E NOTIZIE, pag. 357· ANNO Vili Fascicolo 7-8-9 1907 Luglio-Agosto-Settembre SOMMARIO. DIREZIONE Genova - Via Lomellini Scuola A. Lomellini AMMINISTRAZIONE La Spezia - Casella Postale n. 56 Genova - Tip. della Gioventù UN TESTO SCOLASTICO DI GRAMMATICA DEL SEC. XII IN USO NEL BASSO PIEMONTE I. CENNI SULLE GRAMMATICHE LATINE MEDIOEVALI IN FORMA CATECHETICA. L'Ars Minor di Donato, è il più antico trattato di grammatica latina in forma catechetica (i); è da escludersi infatti che Aspro (2) e Palemone siano vissuti, l’uno sotto Antonino imperatore, l’altro ai tempi di Quintiliano. I trat-tatelli catechetici di questi due grammatici devono ascriversi senza alcun dubbio a tempi più recenti, ed altrettanto dicasi del piccolo libro che si attribuisce a Dositeo, il quale, se dobbiamo prestar fede ad Igino, sarebbe vissuto circa 200 anni dopo Cristo. La forma catechetica inaugurata da Donato fece presto fortuna; nel sec. IV medesimo, oltre all'Ars di Mario Vitto- (1) L’età in cui Donato visse possiamo solo desumerla da due passi di S. Gerolamo, che, dice, lo ebbe per maestro {Apoi. in Ruf., [, 16 — Chron. 355). Per le fonti più antiche a cui i grammatici romani della decadenza attinsero, rimando all’ opuscolo del Keil, Quaestiones grammaticae, Lipsiae, Teubner, MDÇCÇLX. (2) Il maggior numero di filologi ammette che siano esistiti due grammatici col nome di Aspro, l’uno vissuto sotto Antonino, l’altro posteriore a Prisciano. Cosi crede ad es. 1’ Osann Gesch. d. lat, Gramm. in Beitr. zur griech. u. rom. Litleraturgesch. Leipzig, 1855, II, 121 e segg. L’ Hagen (.Anecdota Helvetica, Bernae, 1878) tuttavia sostenne che il trattato catechetico non è che un rifacimento dell’^r^ di Aspro seniore; il che pare assurdo al Keil (Cfr. Scholia bernensia ad Vergili Bucolica in Suppl. Afin. Phi log., IV, 728). Anche Dositeo, autore di una grammatica in parte catechetica, si crede da alcuni che vivesse.nel 207 d. C.; ma questa falsa data, desunta da Igino, non è ammissibile e Dositeo si ritiene comunemente vissuto nel sec. IV, al tempo di Donato. Valerio Probo, di cui Svetonio narra la vita, fu forse il primo il quale sparse qua e là nel suo trattato brevi domande per lo più in forma dilemmatica (Cfr. Keil, Grammatici lati?ii, Lipsiae, 1877-80, IV, 212). Giorn. St. e Lett. della Liguria. 17 — 242 — rino, che per un buon tratto è scritta in quella forma, adottano il dialogo catechetico due altri trattatelli di grammatica, attribuiti pure a Massimo Vittorino, i quali ebbero grande fortuna nel medio evo. Di questi due trattati il primo, che ha per titolo De arte grammatica, svolge brevemente tutta la parte morfologica, l’altro intitolato De metris et de hexametro versu heroico, espone succintamente regole di prosodia e di metrica che mancano nel Donatus Minor: entrambi nella forma del dialogo spedito e conciso imitano Donato, dal quale però si discostano spesso nel contenuto ; alcune volte infatti Vittorino ama aggiungere regole che non si trovano in Donato, p. es. quella che insegna a riconoscere le varie declinazioni dai genitivi. Soltanto un passo del De arte grammatica di Vittorino, nel quale si rimanda, per quel che riguarda il pronome, a ciò che aveva scritto Donato, ci fa sicuri che il vanto della priorità nell’uso della forma catechetica spetta a Donato medesimo: ma purtroppo della vita di Vittorino nulla sappiamo e di quella di Donato assai poco ; solo ci è noto che egli fu maestro di S. Gerolamo, che, dissi, si vantava d avere appreso da lui la grammatica. I trattati di Donato e di Vittorino, che nel contenuto, non solo nulla avevano aggiunto, ma si erano limitati anzi a compendiare ciò che si trovava nei grammatici precedenti, divennero l’esemplare ed il modello di tutte le grammatiche catechetiche del medio evo. Già Audace, vissuto nel VII secolo, come si apprende da Giuliano Toletano (1), aveva incluso nella sua Ars, due trattatelli di Vittorino (2) ampliati in parte e corretti, intitolandoli: Excerpta de Scauri et Palladii libns (3). E certo (1) Keil, V, 318: « Ut si dicas mihi, quid sit Audax , dico: grammaticus ». (2) Keil, VI, XIX e XXIV, XXV. Pare che Audace possedesse una redazione di Vittorino migliore di quella giunta fino a noi e che di quella si servisse per l’opera sua. Cfr. Hagen, XXXIV. (3) Del valore della tradizione che attribuisce a Scauro e Palladio o a Palemone l’opera di Vittorino discute il Keil, ibidem, in base a ciò che avevano già detto 1’ Osann (Beitrdge zur griech. und romanich. litteratur-gesch. cit. II, 352), il Lersch (in Zeitschrift fur Alterthumswisscnschaft, 1840, pag. 115) ed il YVentzel (Symbol. critic. ad hist. script. rei me ir. lai., pag, 55). che Audace per accrescere e migliorare i due trattati di Vittorino attinse ai grammatici antichi anteriori a Donato e forse anche, come vuole il Keil (i), ad un rifacimento di Diomede ridotto a forma catechetica ad uso delle scuole ed attribuito appunto a Scauro ed a Palladio; rifacimento che avrebbe pure potuto servire di fonte al Donatus Minor. Audace adunque fu il primo che giovandosi di Donato e più assai di Vittorino , nonché ancora di una redazione catechetica di Diomede, allargò ed elevò Γ uso di quella forma dialogica, diventando a sua volta l’esemplare su cui modellarono i loro trattati Aldelmo anglo , Beda il Venerabile e Giuliano Toletano (2), che vissero non molto dopo di lui. Intanto le grammatichette catechetiche si moltiplicavano ; non è più possibile distinguere nel gran numero le imitazioni e le derivazioni. Donato è rifatto mille volte sempre con nuove aggiunte, ora coi paradigmi delle declinazioni, ora con quelli della coniugazione. I compilatori medioevali trascrivono meccanicamente le domande e le risposte dei vecchi grammatici, senza preoccuparsi di aggiungere nuova luce o di recare nuovi e-sempi (3); al più al più, essi s’ingegnano di riempire le lacune che si trovano in Donato con passi tolti da Vittorino, (1) Keil, VII, 319. (2) Giuliano Toletano si attenne però più strettamente a Donato, salvo l’aggiunta dei paradigmi (Cfr. Keil, V, 317)· Di lui sappiamo che visse sotto il re Ervigio, di cui si professa fedele servo; il re Ervigio regnò sui Visigoti di Spagna dal 680 al 687. (3) Foca aveva ridotto Donato, per cosi dire, a forma tascabile, si che al suo trattato diceva: Te longinqua petens comitem sibi ferre viator Ne dubitet, parvo pondere multa vehens. Egli fa anche un quadro ben triste degli scolari del suo tempo: « Adule-lescentes vero nostri saeculi — scrive egli - non desiderio litterarum et a-more virtutis ad studia se applicare, sed aut necessitate compulsos aut o-dore voluptatum (sic!) per aetatem adflatos execrari magistros, quorum ut quisque est diligentior, eo maiore odio premitur et ginnasium sapientiae, quo ad beatam vitam semita demonstratur, vel ut taeterrimum carcerem demonstrari, alias autem, quamvis scire cupiant, omnis tamen fructuosi laboris onus detrectare, nec assiduis inhaerere lectionibus, nec curiosa perscrutatio (?) nec veterum eruere commentarios, qui dum semper volunt docti esse, fieri nunquam possunt ». Keil, V, 411. — 244 — e quelle che riscontrano in Vittorino con passi tolti da Audace, da Beda, da Giuliano. Aspro, quello stesso che fu da alcuni confuso con un grammatico omonimo rammentato da Quintiliano, è appunto uno di questi compilatori ; in quella parte della sua Ats9 dove fa uso della forma catechetica, egli saccheggia Donato, Vittorino, Audace e quanti prima di lui avevano adottato quella forma. L’uso del dialogo catechetico si diffonde via via che ci avanziamo nel medio evo ; nei secoli di mezzo, non solo si scrivono a domanda e risposta i trattati grammaticali, ma anche i commenti agli autori precedenti ; molti maestri spiegano ed illustrano Donato ai fanciulli con trattatelli catechetici, nei quali le domande non sono più dirette ad apprendere cognizioni grammaticali, ma ad indovinare perchè Donato abbia usato questa o quella parola, abbia recato questo e-sempio o quell’ altro. Non mancano, è vero, nel medio evo le grammatiche latine redatte in forma espositiva, ma esse non possono sottrarsi alla forza dell’ uso che predomina e spesso, in mezzo a lunghi squarci continui, si ritrovano intercalati dialoghetti tra maestro e scolare, tolti di peso da Donato, da Vittorino e da Audace. Tale è il commento di Sergio a Donato, che risale ai primi secoli del medio evo; uno scolare diligente, Filocalo, ogni tratto interrompe il maestro che spiega e provoca uno scambio di domande e risposte. Tuttavia Sergio medesimo, che nel commento a Donato usa solo qua e la la forma catechetica, scrive le sue Expositiones a domanda e risposta per un bel tratto fino alla spiegazione del verbo. Pompeo, nel suo commento a Donato redatto in forma espositiva, ci attesta che ai suoi tempi la maggior parte delle grammatiche che si scrivevano erano in forma catechetica. A rendere più diffuso quel genere di dialogo contribuiva certamente il bisogno sempre più forte di restringere e compendiare , come dice il Wrobel, ciò che era stato esposto ampiamente dai grandi grammatici e sopra tutti da Prisciano. La tavola delle grammatiche catechetiche che noi presentiamo, dimostra quanto diffuso fosse nel medio evo l’uso di quella forma di dialogo nei trattati che si scrivevano in Francia ed in Germania. — 245 — Molti maestri solevano cominciare i loro trattati elogiando vivamente Γ efficacia della forma catechetica e tributando ampie lodi a Donato, che per il primo ne avea fatto uso. Soltanto allorché cominciano a diffondersi i trattati redatti in forma metrica, la grammatica catechetica si ritira a poco a poco dalla scuola (i); a poco a poco, diciamo, perchè anche quando Alessandro di Villedieu ed Everardo di Bethune imperano da sovrani nel campo grammaticale coi loro rozzi esametri, la forma catechetica sopraffatta, ma non vinta, si ritrova usata in qualche trattato (2). Anzi nel sec. XIV in Francia un nuovo avvenire pare le si apra d’ un tratto dinnanzi, quando si incomincia ad insegnare la grammatica (1) « A tertio decimo saeculo, usu venit, ut spreta prosa oratione, versibus tradere disciplinam affectarent docti homines, adeoque ratio illa obtinuit ut ullus esset artis magister, quin secundum metricam rationem conformanda sibi praecepta putaret ». Wrobel, Praefatio ad Grciecismiis Everhardi Be-th uni ensis in Corpus Grammaticorum medii aevi, pag. VIII. Vratislaviae, 1887. Cfr. pure Thurot, Notices et extraits de divers manuscrits latins pour servir à l’histoire des doctrines grammaticales au moyen-âge (in Notices et extraits de mss. d. Bibl. Nat., Tom. XXII, part. II, pag. 101). (2) Un anonimo commentatore del Dottrinale di Alessandro di Villadei dimostra la superiorità del suo autore sopra Prisciano, che usò la forma e-spositiva, non sopra Donato , che adottò la forma catechetica. Egli crede che la forma metrica sia adatta assai «ad faciliorem acceptionem, ad venustam et lucidam brevitatem, ad memoriam firmiorem » (Thurot, pag. 101). — In Italia il Dottrinale del Villadei ed il Graecismus del Bethune si diffusero più di quel che non creda lo stesso Thurot (.De Alexandri de Villadei', eiusque falu, Parigi 1860) specie nel '300 e '400. Il Mazzatinti (.Inventari dei mss. d. Bibl. d’Ital.) ci fa conoscere un codice perugino del sec. XIV, contenente il Graecismns, il Dottrinale ed altre grammatiche (vol. V pag. 81) ed un altro codice di Ivrea, di non sicura età il quale, oltre al testo di Alessandro, ne contiene pure una breve biografia (vol. IV, pag. 15). A parte quei due maestri, di altri trattati in versi trovo pure menzione, che forse non sono nè di Alessandro, nè di Everardo, come uno a Fabriano del sec. XV (Id. vol. I, pag. 231) ed uno parte in versi e parte in prosa della Nazionale di Firenze (vol. XII, 93). Un Dott?‘i?iale del Villadei con commento di un anonimo italiano del '300 trovasi a Ravenna (III, 238). Il titolo del Dottrinale ricorre spesso anche negli obblighi d’insegnamento enumerati dai Comuni. Per le edizioni a stampa di Alessandro, oltre quelle cit. dal Brunet, segnalo fra quelle italiane, una fatta a Venezia per Bernardino Benalio il 1488 e molto rara (Cfr. Mo?iume?ita tipografica in Bibliofilia di L. S. Oischki, vol. Ili, disp. IX-X, pag. 341). — Per la fortuna di Alessandro di Villadei in genere, Cfr. H. Huemer — Alexander de Villadei und das Alphabetum maius in Mittheilungen der Gesellschaft für Deutsche Schulgeschichte, ann. 1904. — 246 — in trattati catechetici redatti in parte o totalmente nel nuovo idioma volgare (1). Ed ancora in pieno Rinascimento, mentre nelle città i più celebrati maestri vanno in cerca di nuove arti di insegnare, di nuovi mezzi per fare che i fanciulli si innamorino dello studio, nelle campagne e nei conventi lontani qualche monaco , a cui non giunge Γ eco del fervore delle ricerche e della critica, amante del buon sistema antico, scrive per gli scolaretti del villaggio la facile grammatichetta a domanda e risposta. Così Corradino da Pontremoli (2). E non mancano neppure (cosa veramente notevole, perchè rara) gli umanisti che non sdegnano Γ umile forma catechetica del buon tempo antico. Due codici, parigino l’uno e l’altro montepessulano, ci conservano un trattato di grammatica a domanda e risposta, scritte in latino ed in greco sul principio del sec. XVI (3). Nei trattati medioevali catechetici invano , dicemmo, si ricercherebbe 1’ originalità ; i maestri che nei secoli della decadenza usarono pei primi quella forma di dialogo, erano stati essi medesimi, per quello che si riferisce al contenuto, compilatori e null’altro ; il merito loro sta appunto nell’ a-vere escogitato una forma massimamente adatta a restringere e compendiare. Ma i maestri del medioevo attinsero da questi primi autori di grammatiche catechetiche, non solo il contenuto e la forma dialogica, ma le parole stesse. Donato fu imitato dai trattatisti medioevali più di ogni altro antico grammatico : ciò è provato dal numero grandissimo dei codici che ci conservano il Donatus Minor ed il Maior e dalla grande quantità di commenti , di imitazioni e di rifacimenti, a cui andò soggetto (4). Già abbiamo visto come i grammatici dei sec. IV, V, VI e VII imitino frequentemente Donato ; Vittorino, Audace, Aspro, Beda, Giuliano di Toledo ecc., attinsero tutti più o meno diret- (1) Il più antico trattato grammaticale in francese che noi conosciamo è quello del cod. nazion. parig. Saint Germain 1460 del sec. XIV. Cfr. Thu-rot, pag. 51 (2) V. Tavola dei cod. nel presente lavoro, n. XXXXII. (3) V. Id, η. XXXVIII. Cfr. Thurot, pag. 57. (4) Keil, voi. VII, pag. XXXVIII. — 247 — tamente da lui. Più tardi coll’ avanzare dei secoli, mentre le tenebre si addensano sempre più ed il fondamento più sicuro della scienza è riposto nell’autorità e nella tradizione, la grammatica, ridotta a dogma, riconosce tra i suoi maestri infallibili Donato. « Auctoritas scripturarum in tribus modis cognoscitur — scrive un anonimo commentatore dell 'Ars Minor nel sec. X — aut ex titulis tantum, ut Evangelista, vel ars ista Donati grammatici... (i) ». Ipse dixit! Donato ha un’ autorità indiscutibile, assoluta. — Intanto la sua Ars Minor imitata, ampliata , corretta, rifatta, viene svisandosi e cambiando di aspetto; oramai nella moltitudine infinita di trattatelli catechetici simili fra loro, quasi non è più possibile riconoscere quale è l’antico Donatits genuino, quello che usci dalla penna del celebrato maestro. In un codice che risale al sec. X Y Ars Minor è preceduta dalle seguenti parole assai significanti : « Artis Donati liber ita a pleri-sque vitiatus est et corruptus, dum unusquisque pro libito suo, sive ex aliis auctoribus quod ei visum est addidit, sive declinationes aut coniugationes et cetera huiusmodi inseruit, ut, nisi in antiquis codicibus, vix purus et integer, ut ab eo editus est, reperiatur » (2). Ed era vero; fra le modificazioni più frequenti infatti a cui andava soggetto il testo del Donatus Minor, erano notevoli quelle delle definizioni che venivano per lo più sostituite con altre tolte da Pri-sciano, e fra le aggiunte che al medesimo trattatello più di frequente si facevano, va ricordata quella dei paradigmi delie coniugazioni e delle declinazioni (3). Questi paradigmi, benché interrompessero il dialogo catechetico , parevano tuttavia indispensabili nei trattati scolastici ; senza di essi il Donatus Minor non poteva essere adoperato come testo di scuola. Ed ecco come pullulano nel medio evo numerosissimi quei trattatelli di grammatica a forma catechetica, i (1) Hagen, pag. xxxix. (2) Cod. Leiden 122, sec. X. Cfr. Keil, Vol. V, *25. Le stesse parole leggonsi nell’Wrj anonima che è nel cod. naz, parig. 7558 sec. IX Cfr. Thu-rot, pag. 7, (3) L Hagen (pag. XX) sostiene che già anteriormente a Giuliano Toletano, il Donatus Minor fosse stato ampliato con paradigmi. — 2 48 — quali non si discostano da Donato in nulla altro quasi che nell’aggiunta dei paradigmi. Già nei primi secoli del medio evo era stata avvertita la mancanza degli schemi di declinazioni e di coniugazioni nel Donatus. Giuliano di Toledo per es., pur attingendo, anzi trascrivendo quasi letteralmente da Donato , aveva intercalato lunghi paradigmi ed altrettanto aveva fatto Aspro in quella grammatica attribuitagli nel cod. bernese 611. In generale quasi tutti i codici bernesi contenenti il Donatus ce lo presentano arricchito di paradigmi ed altrettanto fanno non pochi codici parigini, È poi notevole il fatto che mentre Donato aveva insegnato a riconoscere le declinazioni dei sostantivi dall’ ablativo, molti grammatici medioevali, tra i quali il nostro, insegnarono a distinguerle dal genitivo, accostandosi in ciò a Massimo Vittorino (i). A provare ancor meglio quanto grande fosse l’autorità di Donato nel medio evo, oltre al fatto che lo prese a modello il Faidit nel suo Donatz provenzale, non va dimenticato che anche il Donatus Maior, assai vasto e diffuso, trovò nel medio evo pazienti maestri che lo tradussero in forma catechetica passo per passo ad uso dei fanciulli (2) e non mancò neppure chi tentò di compilare un vasto zibaldone grammaticale a domanda e risposta, attinto agli antichi grammatici e indirizzato piuttosto ai dotti che ai ragazzi di scuola (3). Ma ciò che più efficacemente dimostra 1’ autorità di Donato è il fatto che il suo nome rimase fino ai nostri giorni a significare trattato di grammatica in genere ed in tale significato lo troviamo usato presso gli autori di libri scolastici, che pure usarono la forma espositiva o la forma metrica (4). (1) Nell’^rj Anonima del cod. bernese 123 del sec. X si legge: « Quoniam Donatus regulas declinationum ab ablativo diffuse composuit, nos a genitivo, compendio declinationum, earumdem ordinum persequemur » Ha-GEN, XXXV. (2) Cod nazion. parig. Saint-Germain 1180, sec. X, fol. 51. (3) V. tavola dei cod. nel presente lavoro, η, XXXIV. (4) Anche nei secoli ultimi del m. e., quando ovunque erano oramai stabilite le scuole comunali, gli scolari si dividevano in latinantes e non latinantes e di questi, una classe, la più alta, era detta De Dottato o legentes Donatimi, appunto perchè studiavano grammatica, qualunque fosse l’autore — 249 — Meno diffuso, ma sempre assai noto ed autorevolissimo nel medio evo fu Massimo Vittorino; i due trattati a lui attribuiti pervennero a noi in molti codici ed un gran numero di grammatici attinsero largamente ad essi o dichiarando esplicitamente la loro fonte (che talora vien chiamata Ars Palaemonis) o non facendone alcun accenno (i). Brevi domande e risposte e talora squarci interi che noi ritroviamo intercalati nel Donatus Minor quale ci è pervenuto in parecchi codici, sono tolti di peso da Massimo Vittorino , e ciò in special modo, dicemmo, per ciò che si riferisce all’ agnizione delle declinazioni. Il Keil osservò che spesso Massimo Vittorino è scelto per correggere qua e là Donato ; il che è prova dell’ altissima stima in cui erano tenuti nel medio evo i suoi due trattati catechetici (2). È noto che il Donatus Minor pareva a molti maestri troppo ristretto e succoso ; il trattatello di metrica attribuito a Vittorino serviva mirabilmente a colmare le lacune di Donato. Benché l’imitazione di Vittorino sia cominciata assai presto, — fin da quando cioè Audace incluse nella sua Ars, modificandoli, i due trattati catechetici di lui, — tuttavia è notevole che nel tempo in cui la forma a domanda e risposta cominciò a cadere in disuso, cedendo il campo alla forma metrica, Vittorino fu tolto a modello da quasi tutti i trattatisti e fu tradotto quasi alla lettera da due autori di grammatiche latine scritte in volgare francese. Ecco alcuni raffronti : Qu’est conionction? Coniunctio quid est? C’est une partie d’oreson qui Pars orationis nectens ordinans-conioint e desioint les autres par- que sententiam, ties d’oreson en ordre. del testo usato (Cfr. i miei Studi di storia scolastica e universitaria in Studi storici di A. Crivellucci, vol. XIII, p. 127, 12S e gli studi ivi citati del Rossi, del Gabotto, di cui è da aggiungersi il recente Supplemento al Dizionario dei maestri (Asti, Brignolo, 1906). — Per la storia in genere delle scuole vescovili e comunali del m. e. rimando ad una mia recente Rassegna in Giornale storico di lett. Hai. ann. 1907, fase. I, pag. 100. — Per le edizioni del Donatus italiane oltre a quelle citate dal Brunet rimando alla Bibliofilia su ricordata (II, 9-10, 590; III, 7-8, 283; IV, 5-6, 211). (1) Keil, VI, XXVI. (2) Quaest. grammat part. II. De Maximi Victorini libris, de arte grammatica qui feruntur. 1871, pag. VI. — 250 — Quantes choses lui affierent? III. Quelles ? Poteste, figure et ordre. Quantes potestes de conionction Coniunctioni quot accidunt? Tres. Quae? Figura, ordo, potestas. Potestas coniunctionum in quot sont ? V. Quelles ? species dividitur? In quinque; sunt enim copula- tivae, desiunctivae, expletivae, ra- La copulative couple, la disiuu- tionales, causales, ctive desioint, 1’explective remple, la causele rent cause, la rationale rent raison ecc. (i). Grandissima fu pure l’autorità di Prisciano negli studi grammaticali del medio evo e gli autori di grammatiche catechetiche, se non tolsero da lui la forma, attinsero molto pel contenuto (2). Prisciano, dice il Reichling, era nel medio evo nel campo della grammatica ciò che Aristotele era nel campo della filosofia, il maestro supremo, il faro luminoso ; nessuno fra i vecchi grammatici, all’ infuori di Donato, si trova tante volte citato, di nessuno, eccetto che di Donato, sono giunti a noi tanti manoscritti quanti di Prisciano ; nessuna piccola biblioteca , a giudizio di Martinus Hertz, che collazionò un numero infinito di codici grammaticali , è priva di un ms. di Prisciano (3). Molti trattatisti esaltano entusiasticamente il fortunato maestro e lo chiamano: Romanae lumen facundiae, commuiiis hominum praeceptor, latinae eloquentiae decus. Dante stesso , ponendolo all’inferno fra i più turpi peccatori (4), indirettamente riconobbe a lui il vanto di sommo grammatico , se, come vogliono antichi commentatori, al nome di Prisciano dob- (1) Thurot, pag. 51. (2) « Was Aristoteles in der scholastichen Philosophie, das vvar Priscian in der Grammatik: der allgemeine Lehrmerster der Menschen, das Licht und die Zierde lateinischer Beredsamkeit, Keiner der alten Grammatiker wird daher neben Donat in den Schriftwerken des Mittelalters so hàufig citirt, von Keinem, ausser vielleicht von Donat, sind so zahlreiche Abschriften aus uns gekommen, als von Priscian » Reichling. Prefazione al Dottrinale del Villadei in Monumenta Germaniae Paedagogio a. Berlino, 1893, pag. XIII. (3) Prefazione alle Institutiones di Prisciano. Cfr. Keil, VI, XII. (4) Ini. Cant. XV, v. 109. — 251 — biamo annettere il significato antonomastico di grammatico in genere. Si deplorava, è vero, dai maestri che Prisciano avesse scritto troppo e che quindi il suo trattato non potesse servire che agli studiosi e non agli scolari, ma era pur sempre quello il mare vasto, d’onde si potevano attingere tesori di erudizione. E perchè quei tesori non andassero perduti i maestri si ingegnavano di spigolare qua e là un esempio, una citazione, e più spesso una definizione, che poi intercalavano nei loro magri trattatelli catechetici (i). Ah se il Donatus MÌ7ior avesse la dottrina di Prisciano ! Se Prisciano possedesse la concisione, Γ ordine, la limpidezza di Donato! (2) Questi erano i desiderii vivissimi dei maestri di scuola e s’ affaticavano a fonderli assieme ingegnandosi a ridurre Prisciano alla forma catechetica e di infarcire Donato di sempre nuove aggiunte. Ne derivavano quei miscugli ibridi, quei Donati zeppi di paradigmi e di addizioni, che facevano disperare quei maestri alla buona, che si sarebbero contentati di possedere un Donato, scritto tutto di pugno dal celebre grammatico per mandarlo a memoria tale e quale, tranquilli e sicuri, senza fastidi di dispute. Intanto se Donato e Prisciano facevano testo nelle scuole medioevali, caro l’uno per la forma catechetica, l’altro per 1’ abbondante dottrina , non mancavano però i maestri di attingere anche ad altri antichi grammatici. I trattati catechetici, benché assai meno ostentatamente di quelli espositivi, sfoggiano talora una erudizione notevole (3): Diomede, Eutiche, Cassiodoro, Servio, Isidoro, Proto, Audace, Vittorino, Beda sono citati spesse volte ed i buoni maestri, sempre persuasi che tutto ciò che è antico sia aureo, (1) Thurot, pag. 158. (2) « Accedit quod a Prisciani operis prolixitate vehementer abhorrebant. Testem adfero aetatis illius grammaticum quemdam qui, illa enim, inquit, Prisciani spatiosa volumina grammaticam artem ita diffuse et confuse pertractant, ut non nisi omni cura et ab omni negotio expeditis illa sit replicare consilium » Wrobel Pref. cit., pag. IX. (}) Così 1111 grammatico francese del sec. IX, il cui trattato è contenuto nel cod. nazion. parig. 7560. Cfr. Thurot, pag. 62. — 252 — s’inquietano quando trovano in disaccordo (e la cosa non è rara ) due antichi maestri ; essi si industriano allora con ogni sforzo di metterli in accordo, e pur di raggiungere il loro intento, ricorrono alle più fatue sottigliezze dialettiche. Oggi a noi ciò che più preme di studiare nei trattati catechetici medioevali è la forma. Dalla forma espositiva alla dialogica non si passò, come dicemmo, d’ un tratto; via via che si raffinava lo studio di riprodurre nel trattato tutti gli artifizi dell’insegnamento orale, passarono da questo a quello e le domande enfatiche che il maestro suole rivolgere a se stesso spiegando, e le domande indirette, con le quali mette alla prova la diligenza e la perspicacia dell’allievo e tutti quegli incoraggiamenti e quei consigli che noi già segnalammo nei trattati di Servio e di Pompeo. Probo intercala domande indirette frequentissime nella sua Instituta artium; Sergio nel suo commento a Donato ora immagina che il maestro rivolga a se stesso domande, ed ora fa sì che uno scolare interrompendolo gli chieda questa o quella spiegazione (i). Quest’uso di scrivere grammatiche in forma mista, ora espositiva ed ora catechetica, continuò per tutto il medio evo ; la monotonia delle cadenzate domande e risposte veniva così bellamente interrotta ed il trattato raggiungeva l’intento di accostarsi sempre più al-l’insegnamento orale, che suole essere misto di dialogo e di esposizione. Ma la fusione delle due forme catechetiche ed espositiva può essere fatta in due modi, o intercalando sparsamente qua e la qualche domanda, o alternando pagine scritte nell’ una forma fra pagine scritte nell altra. Di entrambe abbondano gli esempi : Sergio stesso nel commento a Donato sparge a caso qua e la brevi domande e risposte e nelle Expositiones ci dà un esempio del secondo genere di forma mista, attenendosi per un buon tratto, cioè fino alla trattazione del verbo, alla forma espositiva, ma adottando dal verbo in là il dialogo cate- (i) KeiL· , IV. Così anche in secoli assai tardivi; ad es. nella Ars del cod. bernese 207 a fol. 127. ψ — 253 — chetico (i). Non altrimenti fanno Dositeo e Mario Vittorino (2) contemporaneo t pare , di Massimo (3) ; nei secoli posteriori ci offrono esempi di tal genere il cod. bernese 207, contenente tra Γ altre una grammatica parte catechetica e parte espositiva (4), ed il codice nazionale parigino 1380, contenente un trattato grammaticale pure di quella forma (5). — Ma restringiamo il nostro studio ai puri trattati catechetici. Una lettura anche affrettata di questi numerosi trattatelli dimostra come essi siano concatenati strettamente gli uni agli altri: e la catena fa capo a Donato. Non soltanto si ricercherebbe invano Γoriginalità di notizie, di considerazioni , di esempi, ma le domande e le risposte sono esse pure quasi sempre le medesime. Il compilatore esita ad usare una parola, a riferire un esempio, che non sia confortato dall’uso di Donato, o degli altri grammatici, che adottarono la forma catechetica, di Vittorino , di Audace, di Giuliano, di Beda. I numerosi commenti a Donato avevano sviato lo studio grammaticale dallo scopo al quale deve essere diretto. Non si studiava più la grammatica in sè, ma Donato, non si cercava più di impadronirsi delle cognizioni espresse da Donato, ma si torturavano le menti per indovinare perchè Donato aveva detto così e si sforzavano di provare con sottigliezze dialettiche, talora ridicole, che ogni minima parola di Donato era stata scritta con questo o quell’ altro recondito intento. Giuliano Toletano per il primo nella sua Ars aveva afflitto ragazzi di scuola con domande sottili e frivole ; perchè ad es. Donato aveva scritto: Verbum quid estì e non quid est verbum? Moltissime grammatiche cominciano interrogando: « Quare Donatus non per longitudinem metri artes suas scripsit? » (6). E la risposta che si finge data dall’ alunno è tutto un’apo-logia del vecchio grammatico ed un elogio altissimo della (1) Hagen, pag. 143. (2) Keil, VII, 375· 0) Keil, VI, XV. (4) Hagen, XXVII. (5) Thurot, luog. cit. (6) Thurot, pag. 11 e pag. 15. — 254 — forma catechetica. Resi cechi da questo feticismo, è naturale che gli autori di trattati ripetessero di secolo in secolo, di testo in testo, con poche aggiunte e trasposizioni le stesse domande , le stesse risposte , gli stessi esempi. Studiare quindi il modo con cui Donato si servì della forma catechetica equivale a studiare quello con cui della forma medesima fece uso grandissima parte dei trattatisti medioevali. Pompeo, che commentando Donato, aveva voluto insegnare ai maestri Γ arte di interrogare , osserva molto bene quale via tenesse il maestro nell’ interrogare il fanciullo. Regola fondamentale del buon metodo di interrogazione è quella di procedere dal generale al particolare. Incominciandosi la trattazione d’un argomento qualsiasi Donato suole chiedere nella prima domanda la definizione di ciò che forma soggetto della lezione. Così incominciandosi in generale un trattatello di grammatica, si chiederà che cosa sia la grammatica; trattandosi in particolare del nome, del pronome e del verbo, si incomincierà col domandare all’allievo la definizione del nome, del pronome e del verbo. Quando l’esatta definizione data dall'alunno avrà reso certo il maestro che il concetto preciso ed esatto dell’argomento fondamentale è posseduto, allora si passerà a domandare come si divida quel concetto che è argomento della lezione, oppure se esso vada soggetto a mutazioni. Appresso via via scendendo ai particolari, il maestro chiederà la definizione, la divisione, la denominazione, ecc. di ciascuno di quei concetti, che l’alunno nelle risposte precedenti avrà mostrato di sapere distinguere. I trattatelli più elementari procedono lentissimi per la brevità delle domande e delle risposte; la domanda è sempre limitata ad un semplice concetto ben precisato, e la risposta a sua volta risponde esclusivamente a quello. Cosi se il maestro chiede : Quante sono le parti del discorso? l’allievo si limiterà a rispondere: olio, e non le nominerà, se non sarà stato prima nuovamente interrogato. Non cosi nelle grammatiche meno elementari. Talora infatti noi troviamo in queste che non solo la risposta è assai complessa (tanto che V allievo richiesto ad es. di fare una divisione, da sè e senza ulteriori — 255 — domande, distingue, enumera e definisce i vari rami, per così dire, del concetto diviso) ma ancora le domande stesse talora sono doppie. Il maestro evita la monotonia delle trite e minuziose domanduccie , ed interroga Γ allievo in modo da lasciargli campo a rispondere lungamente da se. Quanti sono i modi del verbo e quali sono? Ecco una domanda che si trova nei trattati meno elementari e che nel Donatus Minor non sarebbe certo possibile rinvenire. Deve essere notato tuttavia che la tendenza a raggruppare in una sola tre o quattro domande si manifesta sempre più viva , di mano in mano che ci avanziamo nei secoli del medio evo. Nel *300 anche le grammatiche massimamente elementari, che per farsi comprendere dai rozzi scolaretti usano il volgare francese , adottano Γ uso delle domande complesse e noi ne abbiamo visto degli esempi nel raffronto esposto. In mezzo alla uniformità monotona del dialogo catechetico, che procede lentamente da una definizione a una divisione, poche osservazioni restano a farsi; merita un accenno speciale soltanto una particolare forma assunta col procedere del tempo dal dialogo catechetico ed è quella che si potrebbe chiamare ad esempio premesso e che appare propria di un insegnamento elementarissimo. Il maestro comincia sempre la serie delle sue domande premettendo un esempio (1), un nome se si deve parlare del nome, un verbo se la ripetizione tratta del verbo. Ecco un saggio tratto dal cod. bernese 207 del sec. IX ο X: — «Codex, quae pars orationis est? — Nomen est. — Unde hoc scis? — Quia res nota est et per casus inflectitur. — Cuius qualitatis nomen est? — Appellativae (2) ». Ed il trattato procede cosi, premettendo via via alla trattazione del verbo , della preposizione, dell’ avverbio le parole lego, porro, extra. L’uso divenne assai frequente; ben (1) L’Hagen, pag. XXI, osservò già questo particolare modo d’interrogazione e richiamò l’attenzione sull’esempio che noi riferiamo. (2) La stessa forma di dialogo è usata nel trattato del cod. parig. 7517, sec. XI. (Cfr. Thurot, 24) nel Bernese A, 95, (sec XI ο XII), nel parig. 11277, (sec. XIV), nel parig. 1460 Saint-Germain , (sec. XIV), nel parig. Sorbon. 1741 ecc. — 256 — otto trattati di questo genere troviamo tra quelli enumerati nella tabella che segue, ed i più appartengono ai secoli, nei quali la forma catechetica cominciava a venire in disuso. Forse via via che la forma metrica invadeva il campo dell’ insegnamento , la catechetica si ritirava nelle infime scuole, studiando di adattarsi alle intelligenze più tenere ; il sistema di premettere gli esempi infatti facilita lo studio, non obbligando mai la mente del fanciullo ad afferrare un concetto generale ed astratto attraverso a definizioni rigorose e complesse. Anche quando però la forma catechetica era massimamente in uso, i maestri solevano nei loro trattati intercalare tra le domande dirette anche qualche domanda indiretta espressa per lo più mediante le formule : Dic mihi, scire volo ecc. Per ciò che si riferisce al contenuto i trattati grammaticali catechetici si possono distinguere anzitutto in commenti (ed i più numerosi sono quelli del Donatus Minor) rifacivienti e versioni in forma catechetica di trattati antichi scritti in forma espositiva. Non sempre però questi magri trattatelli scolastici svolgono tutto quanto l’insegnamento della grammatica ; più spesso invece si limitano alla trattazione di una sola parte di essa , di preferenza della morfologia, qualche volta della metrica o della sintassi, rarissimamente della etimologia o della ortografia (1). E le grammatiche catechetiche che insegnano la morfologia (le quali sono le più numerose) non sempre espongono da capo a fondo, sia pure sommariamente, le principali nozioni sulle otto parti del discorso ; molte limitano la trattazione loro ad una o due parti, di preferenza al nome ed al verbo , i quali vengono illustrati da opportuni paradigmi (2). Talora il nome ed il verbo sono studiati assieme ih appositi trattatelli catechetici, che sogliono intitolarsi appunto Ars de (1) V. la tavola delle grammatiche nel presente lavoro. (2) L'Ars anonima del cod. bernese 123, fol. 78, che è assai diffusa, giunge solo fino al pronome. Il cod. naz. parig. 548, del sec. XIV contiene un trattato catechetico che tratta soltanto dell’aggettivo. nomme et verbo, (i) Qualche maestro poi attingendo largamente a Prisciano , che di ogni singola parte del discorso aveva fatto una trattazione assai ricca ed ampia, compose pure trattatelli speciali intorno al pronome , alla preposizione o all’avverbio. Senonchè noi pensiamo che questi piccoli trattati catechetici, così speciali, dovevano tornare superflui nelle scuole, ove occorre apprendere ciò che è necessario ; forse , come noi sospettiamo , essi non son sono altro che frammenti di trattati più comprensivi , nei quali doveva essere svolta in forma catechetica, tutta quanta la parte morfologica. Ciò deve parere tanto più verosimile in quanto che , come si è detto , non mancano trattati assai ampi in forma catechetica, dove le nozioni attinte per lo più a Prisciano sono esposte abbondanti e particolareggiate col corredo di esempi : e noi crediamo che questi testi scolastici fossero destinati ad essere letti dai giovani parte per parte, durante più anni di scuola. L’intento che si prefiggevano gli autori di trattati grammaticali usando la forma catechetica è senza dubbio quello di rendere più facile ed attraente lo studio ai fanciulli (2). Essi medesimi lo ripetono spesse volte ; ammiratori entusiasti della dottrina profonda degli antichi grammatici, di Probo, di Servio, di Eutiche , di Dositeo e sopra tutto di Prisciano , erano tuttavia persuasi che quei sommi erano troppo alti per essere compresi dalle tenere menti infantili; occorreva scendere fino al livello dell’intelligenza degli scolari e la forma catechetica pareva a loro massimamente a-datta a quell’ ufficio. I più, dicemmo, sogliono premettere nei loro trattati catechetici un M. (magister) a ciascuna do- ti) L'Ars che noi pubblichiamo trattava appunto, come noi crediamo, De nomine et verbo. Nei Fragmenta bobìensa, che si conservano a Vienna vi è pure una Ars de nomine et verbo espositiva con qualche domanda sparsamente intercalata: (2) Nel cod. eisidlense 266, sec. X, fol. 201, leggesi questo curioso passo: « Fundamenta quibus lectio plantatur septem sunt: visus, auditus, penna, manus, atramentum, caera, charta. Nutrimenta quibus lectio crescit quattuor sunt: discendi scrutandique sedulitas, docendi scribendique frequentia. Tribus modis lectio contexitur: litteris, accentibus, sillabis. Duobus modis lectio consistit: natura et compositione ». Cfr. Hagen. LX. Giorn. St. e Leit. della Liguria. iS — 258 — manda) ed un D. (discipulus) a ciascuna risposta (i). Quel medesimo grammatico, del quale noi riferimmo le lagnanze per la corruzione e la manomissione a cui andava soggetto il testo del Donatus Minor, sostiene che quel piccolo testo scolastico doveva essere considerato come sacro ed intangibile, dacché un uomo sapientissimo lo aveva composto con gran cura « ob instructionem puerorum sub interro-gationis et responsionis formam (2) »; i maestri di scuola del suo tempo, che osavano svisare Donato, non sapevano neppure Γ arte di ben interrogare i fanciulli. Un altro commentatore di Donato spiega assai più dettagliatamente perchè , secondo lui, 1’ antico maestro abbia preferito nel suo trattateli la forma catechetica alla espositiva. « Scripsit e-nim artem duplicem, id est octo partes, quas minores vocant artes, a quibus secunda haec est editio. Sed notandum est quibus personis primam quibusque scripsit secundam, et interrogandum est quot et quibus causis artes minores scripsit. Hoc est personis puerorum et causis tribus. Prima, ut scirent quibus modis esset ars; secunda, ut discerent interrogare, ut est : partes orationis quot sunt ? tertia causa, ut possint solvere interrogata, ut est : octo et reliqua. In prima ad docendos pueros interrogationi satisfacit et solutioni, in secunda autem editione personas perfectas docet scientiam latinitatis. Sed nos nunc dicere convenit quibus modis sit interrogatio ; id est tribus : quasi discere volens vel docere aut quaestionis promendae gratia. Sed in artibus minoribus quasi docere volens interrogat Donatus ». Già Cassiodoro aveva tributato al Donatus Mmor lo stesso elogio, parendogli che esso fosse « et pueris specialiter aptus et tironibus accomodatus ». (3) Benché nel suo trattato de ortographia egli non adottasse la forma catechetica , pure le attribuiva il vanto di essere efficacissima in quei tempi (1) Cosi Ugo di S. Vittore. L9Ars che leggesi nel cod. bern. 123, fol. 31, sec. X, termina colle seguenti parole: « hanc quam brevissime, 7iostris pueris legem interrogationis ex Donati arte promulgatam conscripsimus ». Hagen, XXXII. (2) Cod. Leidense 122, sec. X, in Keil, vol. V, 325. (3) Institutio De art. Grammatica in Keil, VII, 214. — 25$ — in cui i monaci stessi del cenobio si rivolgevano a lui (secondo quello che egli medesimo scrive) supplicandolo a voler loro esporre le nozioni grammaticali nella forma più lucida e piana. « Monachi mei clamare coeperunt : quid prodest cognoscere nos vel quae antiqui fecerunt vel ea quae sagacitas vestra addenda curavit diligenter, si quem ad modum ea scribere debeamus ignoremus? Nec in voce nostra reddere possumus quod in scriptura comprehendere non valemus » (i). Ma se in gran maggioranza i trattati catechetici si possono ritenere destinati esclusiva-mente alla istruzione dei fanciulli, non mancano tuttavia dei trattati che per la loro estensione e per la sottigliezza minuziosa della esposizione possono essere stati scritti col-Tintendimento di servire ai dotti ed ai maestri ; tale è , a giudizio dell’Hagen, ΓArs anonima del cod. bern. 123 , la quale tratta solo della morfologia e non va più in là del pronome. Due intenti si potevano prefiggere gli autori di questi ampi e dettagliati trattati catechetici ; primo di i-struire il maestro medesimo arricchendogli la mente di cognizioni superiori a quelle solite a ripetersi nelle scuole ; secondo porgergli un esempio ed un ammaestramento dell’arte di ben interrogare il discepolo , la quale , come vedemmo, era tenuta in gran conto. Nella storia delle grammatiche catechetiche noi già segnalammo un fatto assai singolare e notevole ; verso il secolo XIV in Francia si incominciarono a scrivere trattati di grammatica latina catechetici in volgare. Lo scopo che si prefiggevano quei maestri è assai chiaro ed evidente ; la lingua che parlava il popolo , era oramai assai lontana dalla latina ; occorreva rendere facile ai fanciulli lo studio, non solo sotto il rispetto della forma di insegnamento, ma anche sotto quello della lingua; occorreva che l’insegna-mento catechetico scritto, confinato nelle infime scuole per il sopravvenire della forma metrica, cercasse di rendersi vieppiù adatto alle tenere menti. Nella forma esso si rese più facile, come vedemmo, adottando il metodo dell’esempio (1) Ibidem, pag. 143. - 2 6o - premesso; nella lingua, adattando il volgare usato dai fanciulli, che lo avevano appreso dalle labbra della madre: così assunse un carattere più famigliare ed accessibile. Ma l’artificio, se era utile, era però fondato su un principio assurdo ; come immaginare infatti che il maestro in iscuola parli coi fanciulli il dialetto del luogo? Un trattatista del sec. XIV cercò di ovviare a questo inconveniente immaginando che il maestro rivolga al fanciullo le domande in latino e questi a lui risponda in volgare (i). Ma in verità, dacché l’allievo comprende le domande che il maestro gli rivolge in latino, a che serve usare il volgare? Il sec. XIV è quello in cui massimamente fiorisce l’uso del volgare francese nelle grammatiche latine catechetiche ; appresso quei pochi trattati che ancora adottarono quella forma ripresero a servirsi del latino. In Germania gli studi magistrali del Keil e dell’ Ha-gen, non ci fanno conoscere alcun trattato catechetico disteso in parte o tutto in volgare ; e la ragione è ovvia ; troppo si staccava il volgare dalla lingua latina, ed era perciò indispensabile che nella scuola, bandito affatto il dialetto , gli allievi di buon’ ora si abituassero ad usare il latino. La tavola delle grammatiche redatte in forma catechetica offre occasione ad una osservazione assai importante ; in Francia ed in Germania abbondano i trattati a domanda e risposta, in Italia invece sono scarsissimi. I cataloghi antichi e moderni di manoscritti conservati nelle biblioteche italiane, ci rivelano che la forma catechetica non attecchì molto presso di noi (2). Numerosi sono i testi a penna che (1) Cfr. tavola dei cod., nel presente lavoro; η. XXXVI Cod. Naz. parig. Mazarin. 578-1. (2) Dagli Inventari del Mazzatinti sopra citati, apprendiamo che si trovano molti ms. del Dottrinale (Assisi, Ravenna ecc.) di Prisciano (Ivrea 1 di Pietro Riga, ma non v’è accenno di trattati catechetici. Così per quel che noi abbiamo visto nei cataloghi del Bartoli per Firenze, nell’antico spoglio del Pasini per l’Universitaria di Torino, del Giannelli per Napoli (salvo i due cod. di Massimo Vittorino citati dal Keil), del Porro per la Trivulziana di Milano. Ciò non esclude in modo assoluto che manchino nelle Biblioteche nostre ms. di grammatiche catechetiche. Notiamo intanto che ad Udine si conservano tre trattati di grammatica in forma espositiva, ma ricca di avvertimenti e consigli diretti allo scolare. - 2 6 I - ci conservano il Donatus Minor ma più numerosi quelli che ci conservano Prisciano redatto in forma espositiva. Massimo Vittorino è conservato in alcuni codici napoletani, ma nelle altre biblioteche non se ne ritrova che scarsi frammenti. Commenti catechetici di Donato si ritrovano raramente negli spogli ed indici delle ricche raccolte di codici ed è difficile pure incontrare traccie di rifacimenti di Donato, di fusioni, ampliazioni, ecc. tanto frequenti, come vedemmo, in Francia ed in Germania. Al più qualche raro frammento di grammatica redatto in forma espositiva contiene sparse qua e là poche domande indirette ; ed è quello tutto ciò che resta a testimoniare che forse la forma catechetica tentò, senza ben riuscirvi, di entrare nelle nostre scuole o meglio nei nostri trattati scolastici. Abbondano invece in Italia ed assai per tempo i trattati scritti in forma metrica. Lungo e difficile sarebbe voler cercare le cause del fatto, il quale del resto non può ritenersi sicuro, potendo nuove ricerche portare alla luce altri codici di grammatiche catechetiche redatte in Italia. Qui osserviamo che di quelle poche grammatiche catechetiche dettate da maestri italiani, le quali sono da noi esposte nella tavola che segue, alcune si conservano in codici francesi e più specialmente parigini. Ciò prova che parecchi maestri, italiani di nome e di nascita, vissero, studiarono in Francia e pei fanciulli francesi, piuttosto che per quelli italiani, scrissero i loro trattati, de’ quali neppure una notizia giunse a noi. Qui fra noi , dove lo studio del diritto cominciò presto a rifiorire, piacevano agli studiosi abituati alle sottili disquisizioni giuridiche i trattati vasti ed analitici di Boncompagno , di Guido Fava, di Bene. Giustamente osserva il Thurot che in Italia si studiava la grammatica con intendimento dialettico ; come potevano bastare a sì alto scopo le rozze grammatiche catechetiche? Per noi il Donato era fatto ad uso dei fanciulli; le Ars dictandi erano invece dirette ai giovani. E quando la forma metrica sopraffece la catechetica ed invase il campo dell’insegnamento, Everardo di Bethune, e più ancora Alessandro di Villadei, trovarono fra di noi commentatori pazienti e maestri entusiasti. ELENCO DELLE GRAMMATICHE Secolo Autore Titolo I III (?) Dositeo Ars grammatica II IV Elio Donato Ars Minor III IV Massimo Vittorino De arte grammatica De exametro versu heroico v IV Mario Vittorino Ars grammatica VI VII Audace De Scauri et Palladii libris excerpta per interrogationem et responsionem VII . VII Aspro Ars grammatica Vili VII Giuliano di Toledo De nomine et pronomine IX VII Beda Ars X VII (?) Foca Ars de nomine et verbo CODICI XI I IX 0 X ? De partibus orationis XII 2 IX 0 X ? Commentum in Donati artem minorem XIII \ IX 0 X ? De nominibus mobilibus XIV 0 IX 0 X ? Ars compendiaria 4 XV 5 X ? Ars grammatica XVI 6 X ? Ars grammatica XVII 7 X ? De litteris XVIII 8 X ? Commentum in Donatum XIX 9 X ? Commentum in Donati artem XX IO XI 0 XII ? De litteris communibus CO DICI XXI I IX Paolo Diacono Ars Donati XXII 2 X ? ? XXIII 3 X ? ? XXIV 4 X ? ? XXV 5 X ? Commentum in Donati artem maiorem XXVI 6 X ? Commentum in Donati artem minorem XXVII 7 X ? Interrogationes de arte grammatica XXVIII 8 X Malrachanus De nomine XXIX 9 X ? ? XXX IO X ? ? XXXI II XI Ugo di S. Vittore ? XXXII 12 XI ? XXXIII 13 XIII ? De re metrica XXXIV 14 XIV ? ? XXXV 15 XIV ? De adiectivis XXXVI l6 XIV ? ? XXXVII 17 XIV ? ? XXXVIII18 XIV ? ? XXXIX 19 XVI Polucius De quotidiana lecutione --- περί καθημερινήζ ομιλίας CODICI xxxx I X ? De nomine et verbo XXXXI 2 XI Paolo camaldolese ? XXXXII 3 XV Corradino da Pontremoli i*\ rito nui solo le edii ioni più autorevoli e la ed. principe di molti grammatici singoli; specie di Donato alle aggiunte da me fatte a Pag. 245. Raccolte di grammatiche latine anteriori Lindemann {Corpus grammaticorum latinorum veterum, Lipsiae 1831-40) 1 alti a del Guessard (g in Rhein Mus. Phil. 1868, XXIII, ni) --- Cfr. Valmaggi, - Manuale di Letter. lat. - Torino, Loescher, 9 4 catechetiche FINORA NOTE i„ parte catechetica catechetica id. id. in parte catechetica catechetica id. id. id. id. BERNESI numerosi Keil, V, 375· numerosissimi Keil, V, 280 — Augustae Vindeli- corum 1481 (e. p.) regin. 1587 sec. X-Napol. IV a. 34 f Keil, V, — Basileae apud Ioh. Si-sec. XI e XII - Gothan. XV -J chard 1577 (e. p.) Sangal 177 sec. IX ο X. (Lindemann, Granivi. lat. Vol. I. numerosi Keil, Vol. VI. id. Hagen, XXXIV (frammenti). Bern. 611 sec. VII, Bern. 207 sec. X, Frising. 8x. Bern. 207 sec. IX ο X. numerosi id. catechetica Bern. 207 fol. 17 id. id. id. id. 18 id. id. id. id. 127 id. id. id. id. 129 id· id. 123 id. 31 id. id. id. id. 78-117 id. id. 417 id. 104 id. id. 522 id. 96 id. Vossian. Leid. 37 id. Bern. A, 92 fol. 34 FRANCESI catechetica Vaticano 1746 id. Nat. Parig. 11277 fol. 21 id. id. id. 7570 fol. 2 id. id. id. id. fol. 78 id. id. id. Saint Germ. 1180 fol. 51 id. id. id. id. id. id. 73 id. id. id. id. id. id. 60 id. id. id. 2772 id. id. id. 755S fol. 128 id. id. id. 8903 id. 59 id. id. id. 7571 id. id. id. 3702 id. 142 id. id. id. 7562 id. 13 id. id. id. 1460 id. 15 id. id. id. 548 id. i id. id. id. fond. Mazarino 57S-1 id. id. id. id. S. Germ. 1460 id. id. id. 7565 id. id. id. 3049 ITALIANI catechetica id. id. Fragmenta bohiensa Nat. Parig. 7517-1 id. id. 7599-1 Keil, V, 536. Keil, V, 320. Hagen, XLV (frammenti), Keil, V, 411 (id.) Hagen, XXI (frammenti). Id. id. (id.) Id. XXIX (id.) Id. id. (id.) Id. XXXV (id.) Id. LXXXIII (id.) Id. LUI (id.) Id. XLI (id.) Keil, V, 327 (id.) Hagen, LUI (id.) Montis Casini, MDCCCXCIX. Thurot, 13 (frammenti). Inedito (Cfr. Thurot, pag. 13). Id. (id. id.) Id. (id. id.) Thurot, 15 (fra Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id A Boucherie. Comptes rendu des séances de Γ Academie des inscript.; boli, lett. a7ui. 1868 (greco-latino). Keil, V, 565. Thurot, 24 (frammenti). Id. * id. (id.) 15 (frammenti;. Od.) 18 (id.) 7 (id.) 13 (id.) 17 (id.) 43 (id.) 26 (id.) 51 (id.) 52 (id.) 53 (id. ) parte in volgare. 51 (id.) in volgare. 57' cava» n legor, legeris; audio, audis, audior, audiris. Et futurum tempus eiusdem modi in am et in ar sillabam mittit, ut lego, legam, legor, legar; audio, audiam, audior, audiar. — Ubi possunt hec discerni? (*:), — hec in imperativo et in infinitivo modo statim (ûQ discerni possunt, utrum litteram correptam habeant (e) , an productam , nam i littera si fuerit correpta in e convertitur (f), producta si fuerit, non mutatur. — Est quando tercia coniugatio futurum tempus non in am, tantum, (g) sed in bo et in bor sillabam mittit? — Interdum, cum i litteram non correptam habuerit, sed productam, ut eo> is, ibo; queo, quis, quibo, eam vel queam (h). Genera verborum quot sunt? (16) — Quinque — Que? — Activa, passiva neutra , communia et deponentia. — Activa quae sunt? — Qui in o desinunt et accepta littera r faciunt ex se passiva, ut lego legor — Passiva quae sunt? — Quae in r desinunt et, ea adempta, redeunt in activa, ut legor lego — Neutra que sunt? — Que in o desinunt ut activa, sed accepta r littera, latina non sunt, ut sto, curro, story curror, non dicitur Sunt preterea neutro passiva , ut gaudeo gavisus sum, soleo solitus sum, fio fis factus sum, mereo mestus sum — Deponentia que sunt? (17) — Que in r desinunt, ut passiva, sed ea adempta, latina non sunt, ut luctor, loquor, sequor, ?iascor et ordor (f) — Communia quae sunt? — Quae in r desinunt, ut deponentia, sed in duas formis (sic) cadunt, patientis et agentis ut osculor, minitor; dicimus enim osculor te vel (j) osculor a te, minitor te vel (k) minitor a te (18) — Numeri verborum quot sunt? — Duo — Que? — Singularis, ut lego y pluralis, ut legimus ( 19) — Figure verborum, quot sunt? (20) — Due — Que? Simplex ut lego y composita ut ?iegligo — Tempora verborum quot sunt? — Tria — Que? — Presens ut lego, preteritum ut legi, futurum ut legam (21) — Quot....... Varianti dell ediz. Keil: — (a) in indicativo. — (ó) i correptam vel i productam. — (c) Manca. — (rf) Manca statim. — (e) Utrum i littera correpta sit an producta. — (/") Nam correpta i littera in e convertitur. (g) Quando tertia coniugatio non in am tantum ecc. — (//) Mancano le parole eam vel queam. — (f) Mancano le parole sequor . nascor et orior. — (J) et. — (k) et.). Frammento V. .....Verbo impersonali (22) modo (?), tempore presenti: amatur; preterito imperfecto: amabatur; preterito perfecto: amatum estf vel fuisset; preterito plus quam perfecto: amatum erat vel fuerat; futuro: amabitur, imperativo modo, tempore presenti : ametur; futuro: amator; optativo modo, tempore presenti et preterito imperfecto: utinam amaretur ; preterito perfecto et plus quam perfecto: utinam amatum esset vel [am] avisset; futuro: utinam ametur; coniunctivo modo, tempore presenti, — 276 — cum ametur; preterito imperfecto: cum amaretur; preterito perfecto : cum amatum sit vel fuerit; preterito plus quam perfecto: cum amatum esset vel fuisset; futuro: cum amatus erit vel fuerit; infinito modo, sine numeris et personis, tempore presenti et preterito imperfecto: a— mari; preterito perfecto et plus quam perfecto: amatum esse vel fuisse; futuro: amatus ero; gerundia vel participalia verba sunt haec: amandi> amando, amandum; supina: amatum, amatu; duo participia trahuntur ab hoc verbo activo, presentis temporis et futuro; presentis: ut amans; futuri : ut amaturus (23). Amor, amaris vel amare, amatur. Et pluraliter: amamur, amamini, amantur; preterito imperfecto: amabar, amabaris, amabatur. Et pluraliter: amabamur, amabamini, amabantur; preterito perfecto: amatus sum vel fui, es vel fuisti, est vel fuit. Et pluraliter: amati sumus vel fuimus, estis vel fuistis, sunt, fuerunt vel fuere; preterito plus quam perfecto: amatus eram vel fueram, eras vel fueras, erat vel fuerat. Et pluraliter: amatis eramus vel fueramus, eratis vel fueratis, erant vel fuerant; futuro: amabor, amabaris vel amabare, amabitur. Et pluraliter: amabimur , amabimini, amabuntur; imperativo modo, tempore presenti, ad secundam et tertiam personam : amare, ametur. Et pluraliter: amemur, amemini, amantur (sic); futuro; amator tu vel ille. Et pluraliter..... ...... amentor; optativo modo, tempore presenti, preterito imperfecto: utinam amarer, amareris vel amare re , amaretur. Et pluraliter: utinam amaremur, amaremini, amarentur ; Preterito perfecto et plus quam perfecto : utinam amatus essem vel fuissem , esses vel fuisses, esset vel fuisset. Et pluraliter: utinam amati essemus vel fuissemus, essetis vel fuissetis, essent vel fuissent; futuro: utinam amer, ameris vel amere, ametur. Et pluraliter: utinam amemur, amemini, amentur; coniunctivo modo, tempore presenti: cum amer, ameris vel amere, a-metur. Et pluraliter: cum ameremur, amemini, amentur; preterito perfecto (sic) : cum amarer, amareris, vel amarere, amaretur...... (Nell· ediz. Keil manca). Frammento VI. ......Et pluraliter: cum amati fuimus vel fuerimus, fuistis vel fueritis, fuerunt vel fuerint; preterito plus quam perfecto : cum amatus essem vel fuissem , esses vel fuisses, esset vel fuisset. Et pluraliter : cum amati essemus vel fuissemus, essetis vel fuissetis, essent vel fuissent; futuro : cum amatus ero vel fuero, eris vel fueris, erit vel fuerit. Et pluraliter: cum amati erimus vel fuerimus, eritis vel fueritis, erunt vel fuerint; infinito modo, sine numero et personis, tempore presenti et preterito imperfecto: amari; preterito perfecto et plus quam perfecto: amatuni esse vel fuisse; futuro: amatum iri; Duo participia trahuntur ab hoc verbo passivo; preteriti temporis et futuri, preteriti: ut amatus, futuri: ut amandus. — 277 — Doceo doces, docet. Et pluraliter: docemus, docetis, docent; preterito imperfecto: docebam, docebas, docebat. Et pluraliter: docebamus, docebatis, docebant; preterito perfecto: docui, docuisti docuit. Et pluraliter: docuimus, docuistis, docuerunt vel docuere; preterito plus quam perfecto: docueram, docueras, docuerat. Et pluraliter : docueramus, docueratis, docuerant ; futuro , futuro (sic) : docebo, docebis, docebit. Et pluraliter: docebimus, docebitis, docebunt; imperativo modo, tempore presenti, ad secundam et terciam personam: doce, doceat. Et pluraliter: doceamus, doceatis, doceant; futuro: doce tu, vel ille. Et pluraliter: doceamus, docetote, docento vel docentote; optativo modo, tempore presenti et preterito imperfecto: utinam docerem, doceres, doceret. Et pluraliter: utinam doceremus, doceretis, docerent; preterito perfecto et plus quam perfecto: utinam docuissem, docuisses, docuisset. Et pluraliter utinam docuissemus , docuissetis , docuissent ; futuro : utinam doceam, doceas, doceat. Et pluraliter : utinam doceamus, doceatis, doceant; coniunctivo modo, tempore presenti: cum doceam, docearis vel doceare, doceatur (sic! -passivo!)* Et pluraliter: cum doceamus, doceatis, doceant; preterito imperfecto et plus quam perfecto: cum docuissem, docuisses, docuisset. Et pluraliter: cum docuissemus, docuissetis, docuissent; futuro: cum docuero, docueris, docuerit. Et pluraliter: cum docuerimus, docueritis, docuerint; infinito modo, sine numeris et personis, tempore presenti et preterito imperfecto : docere; preterito perfecto et plus quam perfecto: docuisse; futuro: doctum iri vel docturum esse; verbo impersonali, indicativo modo, tempore presenti: docitur; preterito imperfecto: docebatur. Preterito perfecto: doctum est vel fuit, preterito plus quam perfecto: doctum erat vel fuerat. Futuro; docebitur; imperativo modo, tempore presenti: doceatur; futuro:..... (Nell’ediz. Keil manca). Frammento VII. ......presenti et preterito imperfecto : utinam doceretur ; perfecto et plus quam perfecto : utinam doctum esset vel fuisset; futuro : utinam doceatur; coniunctivo modo, tempore presenti : cum doceatur; preterito imperfecto: cum doceretur; preterito perfecto: cum doctum sit vel fuerit; preterito plus quam perfecto: cum doctum esset vel fuisset ; futuro : cum doctum erit vel fuerit ; infinito modo, sine numeris vel personis, tempore presenti et preterito imperfecto: doci; preterito perfecto et plus quam perfecto: doctum esse vel fuisse; futuro: doctum iri; gerundia vel participialia verba sunt ista: docendi, docendo, docendum; supina: doctum, doctu; duo participia trahuntur ab hoc verbo activo, presentis temporis et futuri, presentis: ut docens; futuri: ut docturus. Doceor, doceris vel docere, docetur. Et pluraliter: docemur, docemini, docentur; preterito imperfecto: docebar, docebaris vel docebare, do- — 2 78 — cebatur. Et pluraliter : docebamur, docebamini, docebantur; preterito perfecto: doctus sum vel fui, es vel fuisti, est vel fuit. Et pluraliter: docti sumus vel fuimus , estis vel fuistis , sunt vel fuerunt vel fuere ; preterito plus quam perfecto: doctus eram vel fueram, eras vel fueras, erat vel fuerat. Et pluraliter: docti eramus vel fueramus, eratis vel fueratis, erant vel fuerant; futuro: docebor, doceberis vel docebere, docebitur. Et pluraliter: docebimur, docebimini, docebuntur; imperativo modo, tempore presenti ad secundam et terciam personam : docere , doceatur. Et pluraliter: doceamur, doceamini, doceantur ; futuro: decetor tu vel ille. Et pluraliter: doceamur......docentur; optativo modo , tempore presenti et preterito imperfecto : utinam docerem , doceris vel docere, doceret. (Nell’ ediz. Keil manca). Frammento VIII. ......Legebamus, legebatis, legebant; preterito perfecto: legi, legisti, legit. Et pluraliter: legimus, legistis, legerunt; (a) preterito plus quam perfecto: legeram, legeras, legerat. Et pluraliter: legeramus, legeratis, legerant; (£) futuro: legam, leges, leget. Et pluraliter: legemus, legetis, legent; imperativo modo, tempore presenti, ad secundam et terciam personam: lege, (c) legat. Et pluraliter: legamus, legatis, legant; (d) futuro: legito (e) tu vel ille. Et pluraliter: legamus, legitote, legunto vel leguntote; (/) Optativo modo, tempore presenti et preterito imperfecto: utinam legerem, legeris, legeret. Et pluraliter: utinam legeremus, legeretis, legerent; (g) Preterito perfecto et plus quam perfecto : utinam legissem, legisses, legisset. Et pluraliter: utinam legissemus, legissetis, legissent; (//) futuro: utinam legam, legas, legat. Et pluraliter: utinam legamus, legatis, legant; coniunctivo modo, tempore presenti: cum legam, legas, legat. Et pluraliter: cum legamus, legatis, legant; (i) preterito imperfecto: cum legerem, legeres, legeret. Et pluraliter: cum legeremus, legeretis, legerent; preterito perfecto: cum legerim, legeris, legerit. Et pluraliter: cum legerimus, legeritis, legerint; preterito perfecto (y) et plus quam perfecto: cum legissem, legisses, legisset. Et plaraliter: cum legissemus, legissetis, legissent; (k) futuro: cum legero, legeris, legerit. Et pluraliter : legerimus, legeritis, legerint ; infinito modo, sine (/) numeris et personis, tempore presenti et preterito imperfecto : legere ; preterito perfecto...... (Varianti dell’ediz. Keil: — (a) vel legere. — (b) Eodem modo. — (r) lege vel legas. — (d) Eodem modo, tempore futuro. — (e) Legito vel legas, legito vel tegat. - (/) legitote vel tegatis, lega?it vel legunto vel leguntote. — (g) Eodem modo. — (//) Eodem modo. — (i) Eodem modo. — (j) Manca perfecto. — (k) Eodem modo. — (/) manca sine). — 279 — USTO TE. (i) Danno le agnizioni delle declinazioni secondo il genitivo le seguenti grammatiche: i.° Commento anonimo a Donato (cod. bern. 522, fogl. 89-91, sec. IX) il quale però non dà le desinenze degli altri casi: — 2.0 L1 Ars a-nonima del cod. bern. 207, fol. 17, redatta in forma catechetica ad esempio premesso (notisi: Codex, quotae declinationis nomen est? — Tertiae. Unde hoc scis? — Quia genitivus singularis in is terminatur). — 3.0 L 'Ars anonima dello stesso cod. 207, fol. 3, la quale concorda quasi perfettamente colla nostra. Quivi è detto che la fonte da cui sono tolte le cosidette agnizioni è Prisciano, il quale infatti (VII, 49) dà minutamente le desinenze di tutti i casi di ciascuna declinazione. Il Donatus Minor, come il trattateli di Massimo Vittorino, non passa in rassegna ad uno ad uno i casi di ogni declinazione, ma indica quale desinenza può avere ciascun caso considerato indipendentemente dalle declinazioni. Cfr. Sergio, Explan, in Don., lib. II, Keil, IV, 540. (2) Prisciano, VII, 17. Servio, Comment, in Don., (Keil, IV, 409). Frag-menta Bob.. Keil, V, 536. (3) Gli accidenti del pronome secondo Donato sono: qualità, genere, figura, persona, caso. Donato però, il cod. Vat. 1746 e molti altri dividono ancora i pronomi in finita ed infinita, secondo che hanno o non hanno persone, il che il nostro non fa. Tuttavia il nostro segue Donato ritenendo che siano pronomi anche quis, quisque, ecc. contrariamente all’opinione di Prisciano. Cfr. per gli accidenti del pronome Probo, Comment, in Don., Keil, V, 207; Id., Instituta artium, Keil, IV, 131; Charisio, 1, 157. Prisciano. (XII, 1), ammette sei accidenti del pronome cioè: species, persona, genus, numerus, figura, casus. Il trattato catechetico di Massimo Vittorino non parla affatto del pronome, poiché a lui pare che l’argomento sia stato esaurito da Donato. (4) Per i numeri Cfr. Prisciano, VII, 32. (5) Per le figure dei pronomi Cfr. Prisciano, XII, 21; Aspro, Keil, V, 55; Audace, VII, 343; Ars anon. bern. cod. 123, Hagen, 139. (6) Pei casi di pronomi Cfr. id., XIII, 1 e Comment, eisid. in art. maior., Hagen, 249. (7) La forma mis è data, oltre che dalle due redazioni di Donato, anche da Dositeo (Keil, VII, 402) da Sergio (Explan. in Don. 502) e da Cledo-nio (Keil, V, 14) il quale aggiunge subito che al suo tempo , cioè nel V sec., mis è una forma affatto fuori d’uso. Alessandro di Villadei ripete però nel suo Dottrinale le forme arcaiche mis e tis per mei e sui; ma già gli antichi grammatici, come Audace (343) e S. Agostino {Regulae, Keil, V, 507) dando il paradigma del pronome personale avevano omesse quelle forme. Prisciano, non solo aveva registrato il genitivo mis, ma aveva anche tentato di spiegarlo « nominativus primae personae — scrive egli — disso-nus est a genitivo, tertie vero defuit, ut ego, mei vel mis, tui vel tis, sui, quod debuit secundum analogiam esse suis vel sis, dubitationis causa, ne verbum esse putetur, recusaverunt proferre. Nam ad Graecorum imitationem his quoque utimur duplicibus genitivis pronominum ; apud illos enim εμου et έμους, dorice σου et σοΰς, et ου et ούς dici solet : in ούς - 28ο — autem desinetis genitivus, solet apud ?ios in is definit'i, ut ^ Δεμοσθενουζ Demos te nis, 'Ερμογένους Ermogenis; — in ου vero, in i: Πριάμου Priami, Κυρου Ciri; sic ergo εμου, σου, ου, mei, tui, sui ; εμους, σοΰς , ούς, mis, tis, sis: sed propter supradictam causam tacitus est huiusmodi genitivus ». Segne citando un esempio della forma mis usata da Ennio. « Iti-gens cura inis concordibus aequiparare ». Friedrich Neue a pagina 127 del vol. Ili del suo Formenlehre der lateinisclien Sprache (Stuggart, 1886) conforta con nuovi esempi tolti dalle migliori edizioni Γ uso del mis e del tis. (Plauto, Miles gloriosus, IV, II, 42; Trinummus, II, II, 62; Bacchi des, V, II, 94; Pseudulus, I, I, 4). Secondo Quintiliano (VIII, 3» 25) Virgilio stesso avrebbe usata la forma mis. Sergio nelle Expian. in Don., luog. cit., dice come e in quale tempo si usasse mis ed in quale altro si u-sasse met: <1 dicimus enim: tui causa te rogo — et tis causa et lui causa te rogo; sed mis et tis a consuetudine recesserunt ; habes tamen in Plauto ». Virgilio grammatico del VI sec. così distingue il significato del genitivo mis da quello del genitivo met: « Mei dicitur de ea re quae in presenti possidetur, mis autem de ea re dico quam ab alio spero ». (8) Questi stessi esempi leggonsi in Prisciano, XII, 23. Nel Donatus Vat. si chiedono i propositiva del pronome, i subiunctiva ed i communia. E-gotnei ecc. sarebbero communia. (9) La definizione è tolta quasi alla lettera da Prisciano: « Verbum est pars orationis cuin temporibus et modis sine casu agendi vel patiendi significativum ». La definizione data dal nostro è tolta alla lettera da Pompeo. (Iveil, V, 213) ed è ripetuta nel cod. bern. 207. (Hagen XXVII) nel-YArs Malrachani, del IX sec. (Tiiurot, 4) e nel Don. Vat. — Aspro definisce il verbo così: «pars orationis cui tempus accidit et persona, non casus». Ma altrove cambia la definizione e dice: « Verbum est pars orationis actum aut passivitatem, cum tempore et persona significans ». Probo molto concisamente scrive: « Verbum est pars orationis ». Consenzio specifica meglio : « Verbum est pars orationis factum aliquod habitumve significans cum tempore et persona sine casu ». Charisio dice: « Verbum est pars orationis administrationem rei significans cum tempore et persona numerisque, carens casu». (Keil, I, 164). E Sergio: «Verbum est pars orationis cum quo quid agatur vel actum vel agendumve sit indicamus ». (Keil, IV, 549)· Cassio doro: « Verbum est pars orationis cum tempore et persona sine casu ». (Keil, VII, 215). — UnVlrj anonima bernese definisce : « Verbum est pars orationis cui'tempus accidit et persona, non casus ». Diomede: « Verbum est pars orationis praecipua sine casu ». (Keil, I, 324)· Un anonimo ita liano, segnalato dal Thurot (pag. 51) definisce: « Verbum est pars orationis declinabilis, actionem vel passionem distantis a substantia cum temporibus significans ». Corradino da Pontremoli infine definisce: « Verbum est pars orationis declinabilis significans per modum fixum et fieri (?) distantis a sub stantia » (Thurot, 52) ed uno dei trattati di volgare francese: « Qu est le verbe? c’est un partie d’oreson qui senefie faire ou soufirir avec meuf, temps, formes et persones de verbe, sans case ». (10) Per gli accidenti del verbo cfr. oltre a Massimo Vittorino, che del verbo non dà definizione (Keil, VI, .96), anche Sergio (Keil, IV, 503), Id. Explan in Don. (Hagen, 150), Conscnzio (V, 365), Diomede (Keil, I. 334)· nostro attinge tale e quale da Donato, invertendo l’ordine del due ultimi termini. Prisciano ne enumera otto aggiungendo la species. — Sette accidenti attribuiscono al verbo anche la grammatica in volgare francese (Thurot, - 281 - pag· 53) ed il Comment, eised. in Don. (Hagen, 118). — Così pure Macrobio (De differentiis et societatibus graeci latinique verbi. Keil, V, 598). (11) Intorno alla qualità dei verbi. Cfr. Cledonio (Keil, V, pag. 16). — Pompeo (Keil, V, 214). (12) Prisciano (Vili, 63) enumera solo cinque modi del verbo escludendo Γimpersonale. Massimo Vittorino invece ne enumera nove, « Indicativus, promissivus , optativus , coniunctivus , concessivus , infinitus , impersonalis, gerendi, hortandi » ed aggiunge che alcuni ne contano uno di più il per-ctinctativiis (Keil, VI, 191). S. Agostino, seguendo Prisciano, enumera cinque modi, Audace ne dà sette aggiungendo Γ impersonale ed il promissivo, e Servio nel Commeìit. in Don. ne enumera otto, contando il modus gerendi (gerundio): Probo concorda con Servio. L'Ars anonima del cod. bern. 207 scrive: « Modi verborum alii quinque, alii septem, nonnulli novem, plures decem esse arbitrantur. Qui quinque modos esse putant ita dicunt : indicativum, imperativum, optativum, coniunctivum, infinitivum. Qui septem, impersonalem, et gerendi modum addunt ; qui novem, promissivum et concessivum iungunt. Qui decem pronunciativum superimponunt. Sed eorum procacitas respuenda est ». (13) Le forme dei verbi (che da alcuni sono chiamati genericamente qualità p. es. da Dositeo) sono enumerate ugualmente ed illustrate dagli stessi esempi che dal nostro in Dositeo (Keil, VII, 406), Audace (VII, 345), Macobrio (V, 635) e Massimo Vittorino (VI, 290) danno la stessa divisione, ma il primo non dà esempi, il secondo li toglie dal verbo amo. Cfr. pure Pompeo (Keil , V, 219), Eutiche (Keil , V, 448), Cledonio (Keil, V, 54), Alessandro di Villadei. Questi fonde la definizione delle forme del verbo con quella delle coniugazioni e dice che i frequentativi sono della prima, gli incoativi della terza ed i meditativi della quarta. Anche il Villadei seguendo Prisciano cita il verbo legito, come esempio di frequentativo, fer-vesco e calesco come esempio degli incoativi {Dott. vers. 1048 e segg. — Per le forme dei verbi cfr. pure Thurot, pag. 185 dove si vede che anche i trattati in volgare usavano gli stessi esempi sopra citati. (14) Prisciano (Vili, 93) ammette quattro coniugazioni di verbi. Massimo Vittorino invece segue quasi alla lettera Donato, ripetendo le stesse domande. Così dicasi di Audace , di Pompeo, di Foca, il quale ultimo però nomina anche una « quarta coniugatio vel tertia producta » Cfr. pure Probo (Keil, IV, 158). Charisio (luogo cit., 175, 19), Consenzio (luogo cit., 371, 1). Tutti questi grammatici si accordano pure nel modo di riconoscere le coniugazioni dei verbi e ripetono con poca differenza ciò che il nostro risponde alla domanda: Ubi hec discerni possunt? (15) Lo stesso leggesi presso Massimo Vittorino (Keil, V, 543). Intorno alla formazione dei futuri cfr. Probo , Inst. (Keil , IV. 180), Audace (VII, 345), Prisciano IX , 3). Palemone insegna candidamente al suo discepolo: « Ne dicas faciebo, dicebo, scribebo , legebo, quia tertia coniugatio in arti semper promissivum tempus mittit (Keil, V, 543). (16) Eccezion fatta di Charisio il quale, pure ammettendo cinque generi del verbo fa menzione di certi grammatici che ne ammettono quattro soli (agens, patiens, commune, neutrum), e di Pompeo (il quale dice che in fondo in fondo i generi sono poi sempre due : age?itis et patientis, luog. cit. 227), gli altri, cioè Massimo Vittorino (luog. cit., pag. 198), Cledonio (Keil, V, 19), Palemone (V, 541), Audace (Vili, 346), Consenzio (V, 367), Foca, (il quale però aggiunge i verbi supini che hanno forma attiva e significazione passiva come — 282 — vapulo — Keil , V, 430. Cfr. Diomede, 337, 13, Charisio, 165, 25), Probo (Inst., 156) distinguono cinque generi del verbo come Donato. Foca seguendo più strettamente il nostro parla pure dei verbi neutro-passivi ed aggiunge « et sunt haec sola secundae coniugationis audeo, gaudeo, soleo, tertiae autem fio ». Per il genere dei verbi cfr. pure Aspro (Hagen , 50) , Macrobio (Keil, V, 627). Aspro però non chiamava col nome di ge?tere questo accidente del verbo, ma col nome di significazione. (17) Alcuni grammatici come Cledonio tentarono di trovare l’etimologia della parola deponente «dictum est deponens, quod deponat significationem activam ». L’autore dell’-4r.ì anonima bernese (cod. 204 , fol. 12) si mostra buon dialettico più di quello che Cledonio non sia. « Deponens verbum ideo nominatur quoniam, ut quibusdam videtur, r litteram non deponit et activam significatione in se continet. Sed si ob hoc dicitur, quoniam r litteram non deponit, et commune deponens dici potest, quod r litteram non deponit. (Hagen, XXVIII). (18) Cfr. Palemone (V, 545) ove sono riferiti gli stessi esempi. Cfr. Eu-tiche (Hagen, IV). (19) Per i numeri a cui vanno soggetti i verbi cfr. Massimo Vittorino (luog. cit., 198), Aspro (Keil, V, 531), Pompeo (V, 235), Consenzio (V, 579), Audace (luog. cit., 346), Prisciano (Vili, 105). (20) Per le figure dei verbi cfr. ai luoghi citati Massimo Vittorino, Aspro, Pompeo oltre a Probo (insiti., 159) » Eutiche , De finalitatibus (Keil, V, 485), Consenzio (luog. cit.), Macrobio (Keil, V, 600). Prisciano invece scrive: 4 Figura quoque accidit verbo quomodo nomini; alia enim verba sunt simplicia nt cupio, taceo, alia composita Ait concupio , contaceo, alia recomposita, id est a composita derivata ut concupisco, conticesco » (Vili, 81). (21) Pei tempi dei verbi cfr. Audace (luog. cit.), Consenzio (Keil, V, 377), Pompeo (luog. cit.), Massimo Vittorino (luog. cit.), Charisio (Keil, V, 362), Prisciano (Vili, 38) il quale tosto aggiunge: « sed praeteritum rursus dividitur in tria * e Probo Inst., IV, 155. (22) Gli antichi grammatici non s’accordavano nel dirci che cosa fosse l’impersonale. Consenzio infatti scrive: « De istius modi verbis inter veteres praeceptores nonnulla dissensio est: alii vero hoc genus verbi modis applicant, aliis generibus potius et significationibus iungunt et aiunt modum esse non posse » {Ars, Keil, V, 370). Egli intanto la considerava come un sesto genere accanto all’attivo, passivo, medio, comune e deponente. Cledonio osserva giustamente che Donato dopo avere inscritto 1 impersonale fra i vari modi del verbo, nel paradigma di lego poi ne offre un’intera coniugazione, come se fosse un genere da porsi accanto all attivo e medio. E cosi fa pure il nostro nei paradigmi che ha aggiunto : da lui — 309 — scritta a Pisa ne’ primi mesi del 1801. Ideò pure alcuni « dialoghi istruttivi — politici, filosofici, cortigianeschi, religiosi, misti — », che voleva intitolare: Il nuovo Luciano o II Luciano italiano (8). Per testimonianza di Luigi Ciam-polini, « negli ultimi anni di vita erasi appassionatamente appreso a studi di scienza civile, e noi medesimi, in compagnia d’ altri giovani », (son parole sue) « l’udimmo sovente in Pisa trattare famigliarmente gravissimi argomenti, con facile eloquenza, secondo venivagliene il destro, direm così, socratizzando ». Napoleone, con decreto del 30 marzo 1806, staccò Massa e Carrara dal Regno d’Italia per unirle a Lucca; la quale insieme con Piombino formava un piccolo Principato, sotto lo scettro della sorella Elisa, moglie di Felice Baciocchi. Luigi Matteucci, Gran Giudice Ministro della Giustizia, al quale erano stati chiesti dalla Principessa « degli schiarimenti sopra la persona del sig. Giovanni Fantoni, segretario dell’Accademia di Carrara, che S. A. S. desidera incaricare delle misure di esecuzione per il miglioramento del-l’Accademia medesima », il 9 marzo del 1807 domandò al Prefetto di Massa « se egli è fornito di talenti e di attività necessaria ». Il Prefetto, che era Pietro Agostini, gli rispose: « Il sig. Giovanni Fantoni di Fivizzano, segretario deH’Accademia di Carrara, è assai benemerito della Repubblica letteraria, non meno che specialmente dello stesso Istituto, onde credo i felici talenti ch’egli possiede siano più che valevoli a disimpegnare le misure di esecuzione che fossero lui ad affidarsi pel miglioramento della suddetta Accademia, cui sono dirette le paterne clementissime provvidenze dell’augusto Sovrano. Forse la sublimità del di lui genio sarà per eccitare ai dati incontri dei rilievi in punto di massima, che produrranno qualche breve ristagno alla marcia delle operazioni, ma che non saprei tenere in calcolo d’inconveniente, dopoché lo scontro delle diverse opinioni giova a perfezionare le vedute di qualunque oggetto e stabilimento ». Niccolao Giorgini, che di lì a poco succedette al-l’Agostini, « considerando che l’istruzione pubblica è 1’ a-nima delle società e la più sicura sorgente della prosperità — 3i° — dei popoli », il i.° di maggio scriveva a Labindo: « A lei mi rivolgo, sig. Segretario perpetuo , affinché si compiaccia di rimettermi quel progetto che nelle lunghe e virtuose sue meditazioni ha compilato per la consistenza di uno stabilimento , che tanto lustro accresce ad un paese, che la natura ha voluto arricchire di talenti e di prodotti atti a perpetuare ovunque il nome dei grandi ; come pure mi obbligherà moltissimo a compilare quelle leggi organiche che reputasse necessarie, onde possa sottoporle alla magnanimità dei nostri Principi quai materiali che possano consolidare detto stabilimento , che verrebbe , a mio credere, un tempio sacro alla riconoscenza di quel genio grande ed incomprensibile di chi ci governa e alle arti rianimate; riconoscenza che non potrebbe venir meno neppure nelle generazioni future. Ella, sig. Segretario perpetuo , dopo i Sovrani augusti, avrà il primo un merito, che vivrà con i secoli ». Gli rispose, da Carrara, il giorno dopo : « Ricevo nel momento di partire per Pisa la gentilissima sua n.° 643. Ne accuso la ricevuta, riserbandomi al mio ritorno a rispondere dettagliatamente alla medesima. Gli elogi eh Ella mi tributa sono per me troppo lusinghieri per non sentirne tutto il valore. Desidero meritarli e contribuire , come ho sempre desiderato, alla propagazione dei lumi, al vantaggio dei miei simili ed alla gloria d’Italia. Se alla stima e alla considerazione che le professo posso aggiungere i sentimenti della mia antica amicizia, Ella comprenderà con quanta soddisfazione mi debbo pregiare di riconoscerla come Prefetto di questo Dipartimento e di salutarla distintamente ». Nel R. Archivio di Stato in Massa, dal quale vado spigolando queste notizie, non si trova la risposta dettagliata promessa. C’ è una lunga lettera di Labindo , scritta da Massa il 14 di luglio, in cui gli parla della commissione che deve giudicare le opere « presentate al concorso per il monumento da erigersi a S. Μ. l’Imperatore e Re » ; dove, peraltro, si legge: « Per il mio ritorno , che sarà verso il fine di agosto , quando non ne sia impedito da qualche causa indispensabile , la prego di avere la bontà di farmi ottenere il permesso di ritirarmi, non permetten- — 311 — domi, come ho esposto , in sua presenza , al sig. Enrico Beauvais (9), nè la mia salute, nè i miei interessi di potermi prestare più a lungo airincarico di dirigere ΓAccademia di Belle Arti di Carrara , alla quale ho accudito da maggio passato in qua, e per non abbandonarla prima che se ne stabilisse una definitiva organizzazione , e per dare un attestato della mia affezione e dovuto riguardo al Governo di Lucca ». In una lettera, senza data, ma de’ primi d’agosto, il Gior-gini annunzia al Fantoni la sua nomina a Presidente del-ΓAccademia , e gli rimette il decreto, che è del 27 di luglio. « Il genio benefico dell’augusto Sovrano » (gli scrive) « non poteva accordare all’Accademia un attestato più certo dell’interesse che prende nella di lei illustrazione che col darle per Presidente un personaggio tanto benemerito per le sue produzioni della Letteraria Repubblica e tanto distinto per le profonde sue cognizioni in ogni genere di belle arti ». Labindo gli rispose, da Parma (10), il 22 d’agosto: « Sono rimasto sorpreso della bontà e predilezione a mio riguardo di cotesto Governo, che ha voluto nominarmi Presidente perpetuo dell’Accademia Eugeniana di Carrara ; ma ancor più della proposizione fattane a cotesti Augusti Sovrani dal Gran Giudice Ministro della Giustizia, a cui doveva esser nota, per mezzo della mia lettera scritta a cotesta Prefettura , l’impossibilità in cui ero di poter restare in cotesto Principato e di accudire personalmente alla direzione di cotesta Accademia. Ella sa meglio di qualunque altro le mie ragioni e quanto esposi al sig. Enrico Beauvais ed al sig. Ettore Sonolet (11) su tal proposito; e come io, non possidente nel Principato di Lucca, appartenente al Regno Italico, ove sono domiciliato e ho effetti che richieggono la mia presenza (12), non posso, senza mio gravissimo scapito e de’ miei diritti civili e de’ miei interessi, risiedere in altro paese. Vorrei non ostante, e per mostrare la mia riconoscenza a Sovrani, che tanto meritano, e per poter contribuire all’ incremento delle arti e per affezione che porto alla gioventù studiosa e ad un paese che, ben diretto, ha tutti gli elementi necessari per distinguersi, — 31 ^ — prestarmi ai cenni di un Governo e al desiderio dei buoni; ma ciò non può combinarsi che col permettermi di risiedere nel Regno Italico e fornirmi quei mezzi che sono necessari per venire di quando in quando a Carrara. Spero alla metà di settembre , eseguito il matrimonio di mio nipote, di potere essere a Massa ; potrò allora a voce esternarle più facilmente i miei sentimenti ». L’ 8 di settembre scriveva al dottore Antonio Lei di Sassuolo: « Il Governo di Lucca non ha accettato la mia dimissione, e con decreto del Principe sono stato creato Presidente dell’ Accademia di Carrara, con facoltà però di stare assente e di avere chi faccia le mie veci. Questo mi imbroglia assaissimo e farò di tutto per esentarmi ». Dell’accasamento del prediletto nepote , fin dal 7 di giugno aveva dato 1’ annunzio a Niccola Severi. « Agostino è tornato da Parma e da Reggio ov’ha fatto la scritta di matrimonio con l’erede, già contessina , Vallisnieri, della famiglia del celebre naturalista (13). La giovane è bella, il partito assai ricco, onde mi pare ben collocato. Anderà a stabilirsi a Reggio ». Fu 1’ ultima gioia della sua vita. Non rifinisce di parlarne. « Aspetto lettera da Reggio di mio nipote, colà arrivato colla famiglia il dì 30 dello scorso [agosto], per potere trovarmi al suo matrimonio ». Così al Lei, 1’ 8 di settembre. Il 13 gli riscrive : « Il nipote si è maritato il dì 9, ed io, per non essermi giunta a tempo una lettera, non ci sono stato ». L’amava con la più grande tenerezza; era il suo orgoglio, la sua speranza; voleva farne un poeta, voleva fosse l’erede della sua gloria. Sta lì a renderne fede questa lettera inedita ; una tra le più belle che siano uscite dalla penna di Labindo (14)· Mio caro Agostino, Non so spiegarti di quanta consolazione mi sia stato la sodisfa-zione che mostri nell’ultima tua di quelle poche correzioni che ho fatte alle tue odi, per cui ti sembra che siano divenute gradevolmente intelligibili. Non credere però che tu sarai abbigliato delle mie penne, ed è falso che tu sia queir animale che si vestì d’altrui spoglie; le penne sono tue, io non ho fatto che indicarti come meglio distribuirle, giacché, a dir vero, alcuna, che andava all ala , era alla coda, ed alcune del ventre alla schiena, ed in qualche luogo il colorito si era in- — 313 — debolito dal maneggiarle con troppa fatica, e senza quella facilità che richieggono le cose delicate. Mio caro Agostino , le bellezze della dizione dei classici sono come quelle piume minutissime , che hanno le farfalle (sotto la figura delle quali simboleggiaro egregiamente gli antichi lo spirito, o anima), che appena si toccano perdono il colorito e lasciano un polviscolo sulle dita di chi senza delicatezza le maneggia. Io , correggendo i tuoi lavori, nulla di più faccio , che insegnarti la via che d-evi tenere, gPistrumenti che devi usare e la maniera con cui devi servirtene. Osserva bene i miei cambiamenti , rifletti sul primo tuo sbozzo, misura 1’ uni e 1' altro sul classico, e pondera i modi tenuti dall’uno e dall’altro, e le variazioni fatte all’originale; e se in meglio , come e perchè furono fatte. Io ti faccio una scuola pratica di comporre, e, dirò così, ti metto al livello del carattere e delle circostanze dOrazio, nel tempo stesso che l’obbligo dopo mille ottocento anni a parlare teco una lingua, che tu devi insegnargli. Ti lasciai, m'i pare, la traduzione dell’ode: Albi, ne doleas plus nimio, etc.; mandamela col Solvituì' acris hyems, etc.; che cercherai di riunire, come puoi, con la memoria ; se ne rinverrai delle strofe intere, col soccorso del metro e delToriginale si farà presto a ricomporla. Manda pure con esse quanto hai fatto e corretto, che io sistemerò il tutto. Ottimo pensiero è 1’ impostare un libro , che vorrei diviso in tal guisa : Le prime traduzioni come sono uscite dalle tue mani , con le varianti al fianco che tu vi hai fatte; Le mie correzioni, con le osservazioni a fianco delle osservazioni che gli ho fatte; L’ode corretta, con le osservazioni che ci farai ; che servirà per redigere il tuo opuscolo. Godo che la proposizione che ti ho fatta ti lusinghi ; fra me e Cesarotti spero che potremo procurarti pubblica benevolenza ; la cosa stessa può darti nome ed è tempo di farselo, acciò tu sia conosciuto vantaggiosamente all’ occasione. Io vado declinando ; se ti cedo una parte della mia buona opinione, non ti dò che un titolo d’addozione, che ti devo, e per la bontà del tuo carattere , e per le premure che mi sono preso per la tua educazione, e per quell’amicizia che ci unisce, e che nasce più dal desiderio che tu faccia del bene, che dai legami del sangue. Non so quanto ancora potrò aver la facoltà vivente d’esser utile ; ma ridotto insensibile , vorrei almeno poter sperare di lasciare chi seguitasse il mio esempio. Che piacere per un uomo , che non ha potuto fare tutto il bene che voleva, lasciare qualcuno dopo di sè che lo ami, e conduca gli altri, che lo stimano, appiè del suo sepolcro a giurare , che l’Italia un dì ritornerà con più saggi principj all’antica grandezza ! Versiamo, nipote caro, lagrime di speranza su di un pensiero così degno di noi, e possa il nome Fantoni non essere l'ultimo a contribuire a quest’opera, che l’istoria passata e il coraggio futuro dei nostri compatriotti hanno un diritto di ripetere. Abbrac- — 314 — ciami, Agostino mio, abbracciami di lontano; e il nostro nome corra alla posterità indiviso, con quella soave facilità , con cui la virtù ed i talenti scorrono liquidamente (per servirmi della frase di Pindaro) nel-l’anime degli uomini liberi. Forse saremo la vittima della malignità e dell’invidia; forse la prudenza e il coraggio ci salveranno; ma se dob biamo perire, periamo onorevolmente, degni dell’ammirazione dei contemporanei e della venerazione dei posteri (15)· ■............ ...... Amami e credimi di cuore il tuo amico e zio Giovanni. Fivizzano si trovava allora in potere della vedova del Re d’ Etruria ; a Carrara ed a Massa comandava Elisa Ba-ciocchi. Labindo, insofferente di quella doppia dominazione, deliberò di ridursi nella campagna di Modena ; pensiero che vagheggiava da più mesi e gli faceva conseguire a un tempo tre intenti, tutti e tre graditi al suo cuore : riavvi-cinarsi al nepote, che aveva preso stanza nella vicina Reggio ; appartarsi dal mondo e « restituirsi intieramente allo studio, finire le incominciate opere, limare e correggere le già compite» (16); tornar suddito del Regno d’Italia, « ove essendo l’amministrazione della cosa pubblica pressoché tutta in mano di nazionali, se non rattempravansi abbastanza i rigori di quella dura dominazione , qualche dignità pur nell’obbedienza rimaneva» (17). È notevole un fatto. Ne’ discorsi che pronunziò all’ Accademia di Carrara non gli uscì mai di bocca il nome di Napoleone, allora da tutti inneggiato. Ricordò invece, e fu giustizia, il Regno d’Italia: «Governo benefico, che sente il dovere e l’onore di proteggere parzialmente le scienze e le arti, fonte limpida e pura della pubblica felicità ». L’anno prima, ripresa con ardore la cetra abbandonata, aveva dato pieno sfogo al « profondo disgusto » e alla « malinconia, in cui per le vicende d’Italia di quel tempo era caduto » (18), con tre odi; le ultime che scrisse. In quella a Salomone Fiorentino (19), Onor de’ figli d’Israel dispersi, cantava : Non odi, amico, 1’ Elegia che piange, Lacera, lorda e scarmigliata il crine ? Mirala; siede a quel cipresso accanto Fra le ruine. — 315 — Archi già furo, e del domato mondo Trofei latini, or li ricopre l’erba, Che la più parte ne ridusse in polve L’ età superba. Perduta gloria dei passati tempi Tu ci rinfacci il nostro onor sepolto; Nè a tanto obbrobrio per vergogna abbassa Italia il volto ! In quella a Gaetano Capponi (20) si domanda : Ov’è fra noi chi docile Della patria all’amor doni se stesso, E ad ogni giogo indocile Ami pria di servir cadere oppresso ? E ai « rei nipoti » ricorda gli esempi magnanimi de’ vecchi e gloriosi cittadini di Genova e di Venezia, sempre pronti a sacrificarsi per la patria ; ricorda Pier Capponi, che in faccia D’ un tiranno stranier stracciò i patti abbominevoli ; Di pochi in petto or fervono Gl’ itali sensi dell' antico orgoglio ; Curvi i più stolti servono E lo stranier le spoglie Dell’ Italia impotente avido parte. In quella a Lazzaro Brunetti (21), grida a Napoleone: O tu, che osasti rompere Tanta speranza, con esempio orribile, Tutto potrai corrompere, Fuorché il sordo rimorso incorruttibile. ........In petto A lacerarti il cor sempre l’avrai. Teco fia a mensa, in letto, Alla tenda, alla pugna e ovunque andrai. Fu l’ultima ode sua. La chiuse con questi versi fatidici: So che a parlar sincero Si accorcia il saggio della Parca il filo, Ma all’ amico del vero La morte è sonno ed il sepolcro asilo. — 316 — Di lì a pochi mesi, trovò finalmente il sonno e Γ asilo invocato ; lo trovò mentre stava preparando con cura amorosa il suo dolce nido di Corticella; la villa del Modenese, datagli a godere dalla liberalità cordiale di Antonio Lei, uno de’ suoi amici più affezionati e più fidi (22). Rimasto vedovo con un figliuoletto, ebbe consigli, stimoli, conforti dal Poeta; il quale, da Massa, il 27 decembre del 1803, così gli apriva il proprio cuore : Sento P esibizione che indirettamente mi fai, dicendo che hai bisogno d’un amico che conviva teco e ami tuo figlio; e 1 accetterei , se le mie circostanze me lo permettessero. Ascoltami, e profitta della confidenza onorevole che ti faccio in poche parole. Tu sei padre; io non lo sono per natura, ma per scelta; tu hai un figlio da educare, io tutt’ i miei simili ; tu desideri la tua quiete e la felicità della tua famiglia, io quella della Italia e la felicità del genere umano. Ti amo e ti stimo, perchè non si può essere buon cittadino senza essere buon padre o della patria o della sua famiglia; ti venero, perchè dubiti di te stesso e pensi in qual modo sicuro tu possa formare un figlio degno dell’ Italia e di te. Lascialo, finch’è debole, in braccio all’ educazione fisica; quando comincia a fremere sul male che sente, dallo all’educazione dei rapporti. La fisica intanto gli offrirà la reazione dell’educazione morale. Avvezzalo a non avere migliore amico di te, guardati di non affidarlo altrui, circondalo di buoni esempj o passati o visibili , trattalo da uomo , cioè mostragli la tua stima finch'è ragazzo, se vuoi che sia uomo e non ragazzo a suo tempo. Insegnagli un’arte meccanica fino d’adesso, non come studio, ma come divertimento; svilupperà il fisico e lo renderà destro : quella del falegname fino ai dodici anni, è la più adattata e la più omogenea; indi le altre quattro dei primi bisogni sociali fino ai diciotto. Verranno sviluppati i precetti con la matematica e geometria pratica prima e mostrati i vantaggi su la scala della felicità sociale. Su di ciò ho abbastanza di semplice e di precettivo da comunicare agli amici, e ad ogni bisogno te lo darò. Crederei però utile che tu mi rispondessi a questi due quesiti : Pensi tu di occuparti soltanto di te e della minore infelicità possibile di tuo figlio? Vuoi renderti utile all'Italia e renderci tuo figlio, rendendolo piuttosto utile che felice? Dalla tua pronta risposta dipende la soluzione d’ogni tuo dubbio, ed il metodo che hai da prendere. Intanto ti dirò: gli estinti riposano tranquillamente, noi restiamo nell’agitazione. La loro memoria, cara per le doti che gli adornavano vivendo, deve servire ad incitarci ad occupazioni che rimpiazzino quelle che abbiamo perdute. La cura che avrebbero avuta per i figli si è tutta trasfusa in chi resta. Tu dunque — 317 — sei divenuto Teresa e te, ed hai duplicate le obbligazioni. Prima ella aveva le domestiche , tu le sociali ; ora sei incaricato dell’ une e del-Γaltre. La maggior parte dei padri crede d’avere adempito al suo obbligo compiendo le prime; uno, come te, deve occuparsi distintamente delle seconde. Non ti scoraggiare della debolezza e della corruzione attuale ; la moralità umana è come il mare : il vento delle circostanze e la progressione dello spirito umano vi genera le tempeste e vi dirige a salvamento le navi. Tu sei stato buono ed utile; rendi tale tuo figlio, e grande anche, se puoi. Comprendo che, dopo quanto ti è accaduto, il tuo spirito dev’ esser prostrato e deve aver bisogno di elettricità. Vieni a prenderla dall’amicizia. Passa con tuo figlio gli Appennini. Fra mezza giornata sei a indi a Fivizzano, ove alloggerai da mio nipote, che non è indegno di te ; in un’altra giornata da me a Massa. Vivremo tranquillamente, e a noi totalmente, se vuoi. La natura qui è ridente, galvanizzata dall’aria del mare; il Golfo della Spezia è vicino, la Toscana, la Liguria ed i monti ; la varietà svaga, consola e ridona quell’elasticità che ci hanno tolta i disgusti. Risolviti, e scrivimi che vieni col figlio ; non ne sarai malcontento. Combineremo la sua educazione e lo divertiremo istruendolo a segno da divenire nostro amico..... Stu- dieremo intanto insieme, vivremo stimandoci, e ti parlerò sovente delle buone qualità della nostra Teresa. Abbracciami il figlio come fosse mio, saluta i pochi che vedi degni di noi, e conservati alla patria ed al tuo amico Gio. Fantoni. Della villa del Lei a Corticella (23), e de’ poderi che vi aveva all’intorno, parla Labindo in più d’una lettera. « Per migliorare i tuoi fondi », così gli scrive, « ricordati del gran precetto di Virgilio , in cui è stato più filosofo che altrove, nelle sue Georgiche : Loda il vasto poder, coltiva il piccolo. Laudato ingentia rura, exiguum colito ». E gli soggiunge: Non ambire dunque di aver molto terreno , ma di coltivare bene quello che hai. Per ben coltivarlo ricordati che bisogna conoscerlo, sapere quali piante vi convengano , quali animali vi siano necessarj e proporzionati al fondo, la loro natura , la loro vita, la loro utilità, le loro malattie: ecco la parte di storia naturale che devi studiare. Non posso indicarti i libri che ti sono a ciò necessari, perchè non conosco le tue terre, ma essendo vicine al Panàro ricordati che l’irrigazione dei prati, il bestiame bovino e le api debbono essere le primarie tue cure. Il grano e il vino non debbono mancarti, quand’anche tu tenga i metodi soliti, nè l’ortaggio per i bisogni della famiglia, avendo l’acqua — 3 ï8 — vicina. Il tuo Gaetano deve seguitarti nelle operazioni della campagna, essendo il tuo amico e il tuo allievo ; e da’ tuoi esempj di buon cuore, di puntualità e di beneficenza imparare ad essere sensibile, puntuale e benefico. Il nascer del giorno, il comparir della sera , una famiglia di contadini che lavora cantando, o mangia cibi semplici , contenta e pronta a ricominciare la fatica, sono lezioni indelebili per un fanciullo che ha un padre capace di fargliele sentire (24). Gli torna a scrivere: Sento con piacere la vita che fai a Corticella e che t’invidio, giacché beatus ille qui procul negotiis paterna rura bobus exercet suis solutus omni foenere. Veggo che tu progetti molte cose per la tua campagna; lodo che tu lentamente n’eseguisca alcuna, ma non approvo che ne progetti molte in una volta. La miglior cosa che possa farsi è di fare un solo piccolo progetto per volta e di eseguirlo ; così si va avanti, e uno non si perde nelle idee grandi, che per lo più tormentano chi non può eseguirle, ed arrestano le piccole che potrebbero farsi. Fai bene a fare un giardino di frutta; non approvo quello di fiori; cerca 1* utile e lascia il dilettevole ; qualora volessi mettere dei fiori utili per tinte o altro, mettili tra i tuoi frutti, che gli avrai belli egualmente. Fa pure la vasca, ma o per riserva di pesce, o per trarne acqua da irrigare il tuo giardino fruttifero. Non fare parterri innanzi al casino, ma siepi basse, disposte simmetricamente e fruttifere di alberi nani da frutta. Alberi da taglio, o fruttiferi ornino i tuoi viali ; e buone vacche pascolino ne’ tuoi prati, che, se bordeggia il Panàro, abbiano siepi vicine a quello, che forniscano alimento alle api di molti alveari. Questi animali utilissimi meritano le premure di un repubblicano a cui danno tante buone lezioni. Fai bene a leggere molti libri di agricoltura e ad occuparti, da buon padre di famiglia , de tuoi domestici affari ; fai però male a non leggere altro ed a non scrivere qualcosa su di altri oggetti, egualmente utili. L’ ore del giorno sono molte, gli oggetti tanti della vita e della società che non bisogna dimenticarsene. Se ho da darti un consiglio, provvediti di un Senofonte, il migliore fra i scolari di Socrate, che, come noi, ritirossi a Scillonte; leggi i suoi trattati della caccia, della pesca, il suo economico, ecc. e vi troverai vedute eccellenti di felicità privata e d’interesse domestico. Leggi gli antichi e compiangi i moderni. Altra volta ti scriverò qual è la mia vita ed impiegherò un foglio a narrartela. Non posso occuparmi de* miei poderi, che lascio coltivare; mi occupo però a coltivare le mie carte per ridurle ubertose, se posso, per i miei simili (25). Il mio metodo è semplice, la mia vita tranquilla, per quanto può essere quella di uno che ama gli uomini e li vede infelici ; i miei desiderj ben piccoli , perchè moderatissimi. Non trascuro però l'agricoltura, che amo e conosco, e spero di potere occuparmici di proposito se Il terribil fragor d’armi discordi non turba di nuovo la pace dei campi. — 319 — Approvo quanto fai per il tuo piccolo; per ora non è suscettibile d’altra educazione morale che di quella che nasce dalla fisica. Su questo articolo ti scriverò come devi regolarti (26), giacché in tal materia sono forse meno indietro degli altri. Per ora divertilo , e soprattutto non ti far mai sorprendere in contraddizione. Se cessa di stimarti, non ti amerà più sinceramente (27). Il Lei perduta che ebbe la moglie , si dette agli impieghi; e gli convenne lasciar le cure della campagna, il casino e i poderi di Corticella. Su quel casino pose gli occhi Labindo, e gliene scrisse ; ma la lettera andò smarrita. Tornò a esprimergli il vagheggiato desiderio, da Firenze, il 15 marzo del 1807. « Ti proposi », gli diceva, « se volevi cedere a me Corticella, che avrei amministrato il tuo , rendendone conto , e senza alcun interesse , come fossi un tuo agente ; e , se più ti piaceva, che tu mi dicessi cosa ti rendeva, e che io l’avrei presa in affitto, molto contento di poterla migliorare, e farci un piacere vicendevole ; ma non ho mai avuto risposta alcuna. Ti dicevo i-noltre che pensavo di passarla a vedere nella buona stagione...... Fammi sapere se hai ricevuta quella lettera ; e se 1’ hai ricevuta, se mi hai risposto, e se mai a Massa, di dove però ricevo lettere, ma di dove sono assente da quasi tutto l’inverno. Rispondimi con sopra coperta al Ministro Italico Tassoni a Firenze ». L’amico fu lieto di offrirgli un asilo ospitale nel suo casino di Corticella, nè manca d’interesse il carteggio corso tra loro. Il 17 di luglio il Lei gli scriveva da Forlì: Eccoti per le mani del mio amico dott. Savigni la risposta alla tua..... Tu la riceverai forse sotto gli auspicj di quelle benefiche Deità che presiedono alla custodia delle poche mie sostanze. Vedrai P asilo della mia vecchiaia e il luogo ove ho destinato di erigere un altare all’amor di sposo e di padre (28), la mia isoletta. Tu il troverai ben diverso da Scillonte, ove il guerriero e filosofo di Grecia riposò i suoi giorni. Era quello il soggiorno della Saggezza, che la gratitudine de’ Lacedemoni verso Senofonte aveva reso più ameno; il mio non può essere che il ritiro di un uomo mediocre e discreto ne’ suoi desiderj. Qualche prudente risparmio potrà un giorno abbellirlo e renderlo comodo a’ miei amici. I colpi troppo frequenti della fortuna non mi permettono ora che di nutrirne il desiderio. Io te Poflfro tal quale, ed io ti sarò grato se tu solliciterai il mio ritiro con qualche utile prò- — — —— — t r — 32° — getto per ambedue. L’ idea di teco convivere è troppo bella e lusinghiera perch’ io l’alimenti senza pericolo. Non sono troppo assuefatto alla felicità per gustarne i piaceri, o per sperarla durevole. Malgrado tutto quanto di morale mi dici intorno la vita , appunto io devo soggiungere che, avendola all’altrui bene dedicata, tu devi farne economia, per accrescerne i vantaggi all’ umanità ». Labindo così gli rispose, da S. Vito, il 25 del mese stesso: Ieri sera arrivai dal nostro buon dott. Savigni, che mi ha colmato di cordialità e da qui innanzi sarà nostro amico comune. Sua moglie, suo fratello il Rettore (29), infine tutti mi si sono dimostrati affettuosissimi. Sono partito da Massa e, passando di Fivizzano, in meno di tre giorni, prendendo la via di Sassuolo , sono arrivato a S. Vito. Il caldo non mi tormenta come il freddo, onde il mio reumatismo al capo fa tregua e posso approfittare della mia attività. Stamani alle 7 siamo andati col dottore, facendo una passeggiata, al tuo casino di Corticella, ed abbiamo visitata tutta la tenuta ed i fabbricati. Sono molto contento dei lavori fatti al Panàro e che vuol seguitare il Savigni ; il podere è ben tenuto, però all’uso lombardo; il resto ha bisogno di coltivazione e di più saggia distribuzione di prodotti. La situazione mi piace infinitamente ; non ha di scomodo che la chiesa , che per me non sarebbe un gran male , ma bisogna non scandalizzare questi fedeli, se si vuol vivere in pace. La divozione nelPinverno dev’essere scomoda, special-mente per chi patisce di reumatismi. Il casino è buono ed ho subito disposto per riattare le finestre servibili e le porte del terreno e piano di mezzo, ristaurare il soffitto della sala e rimbiancarla tutta. Aggiusterò egualmente la camera ove volevi dormire e tutto sarà fatto al fine di agosto. Sono molto contento dei servigj e della buona gente che vi sta. Ho già cominciato a fare le mie provviste di carbone, legna, ecc. e partendo dimani per Modena, ove mi tratterrò un paio di giorni, andando quindi a Reggio per affari di famiglia ecc. e poi a Parma per una ventina di giorni, dalla nipote colà maritata (30), tornerò a vedere i riattamenti, che debbono esser fatti per il 25 d’agosto, come abbiamo convenuto col nostro dott. Savigni. Eccoti in fretta le mie osservazioni e misurè prese su Corticella. Spero che le approverai..... Credimi intanto grato di core delP amicizia che mi hai fatta fare col dott. Giorgio Savigni e del piacere che mi dai di prepararti l’asilo della tua vecchiezza. Ci vivremo tranquilli e ragioneremo a sangue freddo sulle stravaganze degli uomini e dei tempi. Da Parma gli riscrive a lungo il 9 d’agosto. Finisce con dirgli: Ai 16 oai 17 conto di fare una corsa dal dott. Savigni, vedere quel — 321 — che si è fatto e distribuire 1’ occorrente..... Quanto ai lavori, lasciami fare, nè metterti in pensiero ; figurati che io sia tuo fratello e che lavori in famiglia. Avrai però, quando vorrai, il più esatto discarico di quanto avrò operato e non farò cosa alcuna quando non ti sia di gradimento. Agli ultimi di settembre spero di essere definitivamente a Corticella con la mia gente : il ritardo dipende dal matrimonio di mio nipote, che sarà al 7 di settembre. Appena compito correrò a Massa e presto ritornerò. Da Corticella, Γ 8 di settembre ripiglia a informarlo di ciò che faceva: Fino dal dì 29 agosto giunsi qui da Parma. D’ allora in poi (da due giorni in fuori che ho dovuto andare a Modena per provvedere il bisognevole e parlare con gli amici) mi sono occupato indefessamente di mettere il tuo casino in istato di essere decentemente abitato.... Tutto è riattato decentemente, e da quello che deve cangiarsi in fuori, le cose sono disposte bene, essendomi, qualunque tempo abbia fatto, sempre alle 6 trovato a Corticella fino a mezzogiorno e da dopo pranzo fino alla sera, giacché per dormire e mangiare ho approfittato dell’ ospitalità del buon dott. Savigni; a cui ti prego, a posta corrente, di esternare la tua e la mia riconoscenza. In un’altra sua lettera del 3 d’ottobre, scritta da Massa, si legge: Ricevo qui ieri la cara tua del 22 dello scorso settembre, a cui rispondo più a lungo che posso, occupatissimo, come sono, e di smontare una casa e d’ incassare robba e di terminare ogni affare e particolarmente quello dell’Accademia di Carrara, la quale sicuramente non mi tratterrà qui oltre i 20 del mese, giacché assolutamente voglio passare Γ Appennino in ottobre. Non dubitare dunque che io non venga presto a Corticella, giacché quando ho fissato una cosa , sono stabile nel mio proposito. Permettimi che, con la libertà dell’ amicizia, io ti faccia alcune interrogazioni. Credi che il tuo Fantoni sia veramente interessato per i tuoi vantaggi ? Lo credi capace di ridurti bene il tuo luogo e rendertelo , quanto è possibile, fruttifero e decente? Sei persuaso che la simmetria è la prima parte del bello, ma che i prodotti utili sono la parte essenziale del buono? Ami di far bene e a un poco per volta ; o presto, e forse non bene, e con scomodo di ambedue? Queste interrogazioni ti faranno capire che io desidero i veri vantaggi e che mi sono contentato di star quest’anno come posso, per mettermi al fatto di tutto, combinare le cose con cognizione di causa Giorn. Si. e Lett. della Liguria. 22 f — 322 — e conoscere veramente cosa è il tuo luogo, le persone che ti servono e le cose che gli convengono. Parmi di aver latto assai in pochi giorni con la mia solita attività; se facevo di più gettavo le spese e non a-vrei potuto far bene. Smanioso di ridursi alla tanto sospirata e vagheggiata e desiderata Corticella, raccolte in gran fatta le sue robe e le sue masserizie, lascia Massa per sempre e si mette in viaggio. Fa una sosta a Fivizzano, e lì un fiero dolor di capo lo caccia nel letto (31). Il male, creduto lieve e passeggiero , si aggrava ; i rimedi dell’arte riescono vani; cade in delirio e ogni speranza è perduta. Si avvede che la morte lo incalza, e Γ affronta rassegnato e sereno. Un solo desiderio lo preme: quello di rivedere il nepote lontano e affidargli la cura di ricercare e raccogliere i suoi manoscritti. L’acqua, dolce refrigerio nell’ arsura abbruciante che lo consuma, ridesta l’estro spento del poeta, e morente ne tesse le lodi, con parola immaginosa. Fu l’ultima che gli uscisse dal labbro (32). « A nome dell’ Italia piangente » 1’ onorò allora Carrara (33); il i.° novembre del 1907 — centenario della sua morte — l’onorerà Fivizzano a nome dell’Italia risorta (34). È il poeta della libertà, che in piazza e in carcere , cittadino, tribuno , soldato , propugnò indomito e indomabile l’indipendenza e la grandezza della patria. Giovanni Sforza. (1) Lazzoni E. Carrara e la sua Accademia di Belle Arti, riasstifilo storico, Pisa, Nistri, 1869; pp. 23-28. (2) Quando il 7 brumale dell’anno X [29 ottobre 1801] Giacomo Ortalli di Fosdinovo, in quel tempo Commissario aggiunto di Governo delle Alpi Apuane, pronunziò nella Colonia Aruntica di Carrara un discorso per celebrare «la festa della pace fra la Francia e l’Inghilterra» la vecchia Accademia di Belle Arti era talmente in basso, che nell’intitolare al Ministro dell’interno quel « tenue lavoro», finì col dirgli: « la gloria è il principale vostro bisogno, ed io non dubito che vorrete eternare la memoria vostra nei fasti della Repubblica Cisalpina col procurare lo stabilimento dell’Accademia delle arti belle in Carrara ». Cfr. Ortalli G. Discorso pro?iunziato dal Commissario aggiunto di governo per le Alpi Apuane nell’Accademia di Carrara il giorno 7 brumale in cui si celebrò la festa della pace fra la Francia e l’Inghilterra, In Massa, anno X repub.; in 16.0 di pp. 16. Il 9 nevoso del medesimo anno [30 decembre 1801] , l’Amministrazione municipale di Carrara scriveva alla Consulta di Lione: « Il nostro Istituto — 323 — di belle arti dalla legge stabilita dal Governo Provvisorio Cisalpino ha ricevuto 1 ultimo fatai colpo. Godeva in addietro del prodotto di un piccolo dazio sui marmi greggi: la Finanza ha avocato tutto a sè, onde appena può continuarsi la scuola serale del nudo. I precettori senza indennizzazione perdono il coraggio e l’attaccamento all’istruzione della gioventù : la cassa municipale, estenuata dalle requisizioni militari, non può far argine al pernicioso inconveniente...... Speravamo di veder la nostra Accademia provveduta di appuntamenti: le nostre speranze sono riuscite fin qui sterili. Si sono provviste molte altre accademie della Repubblica, e ciò è ben fatto: Carrara sola è stata negletta ». Finiva con dire: « La nostra Accademia ha bisogno di mezzi con cui mantenere il lustro che le conviene , e voi li accorderete //. Cfr. Sforza G. Saggio d'una bibliografia storica della Lu-nigiana ; negli Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia patria per le Provincie Modenesi e Parmensi, serie I, vol. Vili, pp. 240-242. L’ Ortalli , « incaricato dalla Municipalità a sottoporre al guardo perspicace e benefico del Governo lo stato infelice di quel distretto » ed « eccitato dal Ministro dell’interno a suggerire i mezzi che facilmente potessero a nuova vita chiamarlo »; messo in sodo che « duemila persone circa sono in questi ultimi tempi emigrate da Carrara per mancanza di sussistenza ; trecento, scultori d’ogni qualità; gli altri, scavatori, lustratori e facchini », prese a indagare « le cagioni di questo languore e di questa emigrazione», e le trovò nel non essersi fin allora potuto nè voluto « scavare uno sbocco alla materia greggia » e « animare l’industria nazionale ». « Era necessario, ed ora lo è più che mai » (cosi scrive) « aprire un porto nella vicina spiaggia di Massa, onde facilitare le uscite, e creare un’Accademia di scoltura ed architettura, che desse impulso e servisse di guida alla gioventù. Francesco III , Duca di Modena , cercò di realizzare il primo progetto ; ma sia che cominciasse il lavoro ove opponevasi la confluenza dell’acqua del fiume Magra, sia che venisse tradito dalla gelosia ed avidità d’ artefici stranieri, egli è certo che spese un milione senza profitto. Cangiando piano, affidandosi a persone esperte e nazionali, si potrebbe, con minore spesa, recar questo vantaggio a Carrara e a tutti gli altri paesi apuani. L’ idea d’un’Accademia, o d’ un Istituto , fu progettata da Maria Teresa Cybo nel 1769, la quale gli prefisse un direttore in capo, sei maestri di scultura, quattro di architettura , uno di geometria, un altro di notomia e ordinò la distribuzione di sei medaglie in ogni triennio a quegli alunni che dal concorso riuscissero vincitori. A questo stabilimento , che risvegliò 1’ entusiasmo della gioventù, per esser perfetto non mancava che un professore di storia, antichità e costumi. Ma sia che gli stabilimenti pubblici allettino più la vanità d’ idearli, che il desiderio di promuoverli; sia che le ristrette viste d’ una sordida economia prevalessero nell’animo di una donna sui lontani vantaggi d’una ragionevole generosità , Maria Teresa sospese la distribuzione de’ premi e ricusò ai maestri la dovuta indennizzazione. All’ attività successe quindi il languore e rimasero inoperose le mani degli artisti, perchè mancò all’entusiasmo l’alimento. L’Accademia di Carrara, decaduta dal primiero suo splendore, non contando che un fondo di cinquantuno zecchini ed un picciolo dazio sul marmo grezzo, abbandonata dagli scolari egualmente che da’ maestri, non può da sè stessa salire su quelle cime di gloria cui la chiamano le ricchezze del suolo e i talenti degli abitanti ». Cfr. Vantaggi e necessità di stabilire un*Accademia di scultura e archittetura i?i Carrara, promemoria del citi.0 Giacomo Ortalli, ex Commissario delle Alpi A- — 324 — puane, Milano, dai torchi di Pirotta e Maspero, 1802, in 16.0 di pp. 14. Da Milano fu mandato Angelo Pizzi a insegnarvi la plastica; i concorsi da tanti e tanti anni abbandonati, tornarono a essere sprone e palestra per la gioventù. In quello del 1804 (il primo tenuto), tra gli altri, rivelò il proprio ingegno Carlo Finelli , poi così famoso nell’ arte. Il Viceprefetto di Massa, di sua mano , dispensò il premio a’ vincitori. Oltre una medaglia (coniata a bella posta) ebbero verdi e fresche corone di quercia e olivo : e furono appese a’ lavori; trofeo del conseguito trionfo. Non era che un risveglio, e sarebbe rimasto infecondo senza la mano vigorosa di Labindo. (3) Nel R. Archivio di Stato in Milano [Governo. Studi. Pittura. Comuni. Carrara] si trova una filza di atti riguardanti l’Accademia di Belle Arti di Carrara, la quale con decreto del 14 agosto 1805 prese il nome di A ccadem ia Euge niana. (4) Al suo amico Niccola Severi scriveva da Massa il 30 maggio del 1807: « Moltiplichiamo i saggi, formiamo la gioventù alla virtù, facendole conoscere la verità , e questa moltiplicherà i maestri, che formeranno molti discepoli e ridesteranno il perduto coraggio. Questa sacra commissione appartiene ad ogni animale che potè essere iniziato alle funzioni di uomo , e chi la trascurò, la contaminò o la vendette, reo dei mali futuri della sua specie, merita l’esecrazione, o almeno il disprezzo della posterità. Fortuna per la più parte che se ne ignora 1’ esistenza , e che recano , almeno come letame, un qualche vantaggio. Persuaso di quanto ti ho detto, è per questo che cerco in ogni giovane un discepolo, e che ci trovo un amico. La verità ne fa sempre non incerti, come quelli delle passioni , ma sicuri ed eterni coni’ essa è. Socrate però, vittima dell’ impostura , ma circondato da suoi discepoli, dolenti, ma non spaventati dalla prepotenza, nell’opere loro dissero quello che la sua modestia ed il suo disinteresse non scrisse. Amo gli uomini, come lui; ne desidero il bene senza alcun fine; gl’istruisco, senza scompiacerli con una rigidezza, da amico, e compatendoli, compiangendoli, e soccorrendoli come posso, servendomi dell’esempio de’ miei stessi difetti, per spogliarli dei loro; non dandomi sopra tutto aria alcuna di distinzione, o di singolarità, cerco di meritare la loro confidenza. Ecco il mio segreto, eh’è sì poco conosciuto, e che dovresti dire piuttosto sì poco praticato ». Gli tornava a scrivere, parimente da Massa, il 7 di giugno: « Coìioscete, esaminate, sentite, e sarete autore ancor voi; giacche sarete un’emanazione della prima autrice, la verità. Periranno tutti coloro che non la presero per prototipo, e solo qualche frase, o qualche pensiero staccato resterà a galla sull’onda di oblio, come i viglietti che raccoglievano i cigni dell’Ariosto. Mancarono le canzoni di Tirteo, l’odi di Alceo, ma n’esiste il nome e l’oggetto, perchè utili agli uomini, Vi sia primo precetto Tesser utili: la patria che avete ve ne somministra più motivi di ogni altra. Siete italiani , rammentatelo, e basta ». (5) Delle feste celebrate a Carrara 1’8 maggio del 1807 si legge questa descrizione nella Gazzetta di Lucca del 26 di quel mese: « Ricorrendo il giorno onomastico di S. A. S. il Principe Felice, alle ore 4 pomeridiane nella sala di questa Accademia di Belle Arti di Carrara si è tenuta pubblica sessione, con l’intervento delle Autorità locali, del Corpo Accademico e degli alunni tutti dell’Accademia e del Prefetto del Dipartimento sig. Nicolao Giorgini, qua trasferitosi a questo effetto da Massa. Il professore di architettura e di ornato sig. Paolo Bargigli vi ha reso conto con un breve discorso dello stato attuale delle scuole e dei progressi fatti dagli alunni — 325 — in quest’anno e ha dimostrato quanto essi e la Comune debbano sperare dalla speciale protezione accordata a Carrara dai Principi: quindi il nomi-, nato sig. Prefetto con eloquente allocuzione ha fatto sentire come Pattuale Governo si sia occupato d’ogni ramo di pubblica felicità e quanto Carrara abbia da sperare dalle dolci cure paterne e dalla predilezione sovrana, già per lei dimostrata con il decreto del 2 maggio stante. Alla quale allocuzione ha risposto il Segretario perpetuo dell’Accademia s\g. Giovanni Fantoni, cognominato Labindo, dimostrando i progressi non comuni fatti dalla medesima dopo la sua restaurazione, 1’ associazione ottenuta degli artisti più celebri d'Europa, le distinzioni riportate da molti alunni dell’Accademia nel Regno italico, in Roma e per fino in America, ove due sono stati impiegati dal Presidente del Congresso degli Stati Uniti per 1’ erezione del nuovo Campidoglio a Washington e finalmente quanto Carrara possa sperare dalla particolare protezione del Governo con 1’ erezione di un Liceo, che dia alla popolazione quei mezzi d’istruzione necessari alla pratica di quelle arti che i più scelti professori e i migliori metodi condurranno alla perfezione, rendendo l’Accademia il centro d’instituzione di una città intera di artisti. Terminata la sessione, il nominato sig. Prefetto Giorgini si restitui a Massa, ove la Comune per solennizzare giorno tanto festivo ha fatto distribuire ai poveri di ogni parrocchia del Circondario un’abbondante quantità di pane. Alle ore nove della sera è stata data dal signor Prefetto nel Palazzo di S. A. I. una festa da ballo, con scelto e numeroso invito, servita de’ più copiosi rinfreschi ». (6) I due carraresi furono Giovanni Andrei, ornatista e architetto, e Giuseppe Antonio Franzoni, scultore di figura. Quest’ ultimo menò con sè il fratello Carlo; l’Andrei vi condusse Pietro Bonanni, giovane che dava grandi speranze nella pittura, e che mori a Washington di ventisei anni. La lettera dello Jefferson, che Labindo ricorda, è indirizzata a Iacopo Mazzei dì Pisa, che era stato da lui incaricato d’ inviargli i due artisti. Cfr. Mazzei J. Vita e peregrinazioni, Lugano, 1846; II, 379. (7) Queste notizie son tolte da una lettera del conte Agostino Fantoni al-l’avv. Vincenzo Salvagnoli, scritta nell’aprile del 1840. (8) Di quest’opera si trova la tela seguente tra le carte di Labindo: « Dialoghipolitici, Dei morti. 1.0 Rousseau, Elvezio, Mably e Montesquieu; 2.0 Marat, Robespierre, Vergniaud, Brissot; 3.0 Rousseau, Mirabeau, Gabriel, Orléans, Petion; 4.0 Barbaroux, Isnard et Gabrielle de Corday; 5.0 Le pape Ganga-nelli, le général Ricci, le père Mamachi, le prince Chigi: 6.° Il re di Svezia, Ankastron ed il conte di Vergennes; 7.0 Carlo Emanuele di Savoia, Federico II re di Prussia, Maria Teresa e Bonifazio VIII; 8.° Enrico IV, Luigi XVI, Carlo I e Teodoro di Corsica; 9.0 Gujon, Camillo Desmoulins e Franklin; io.° Lo czar, Rawdovitz, la guardia del corpo e Caterina II; 11.0 II tiranno o il passaggio della barca, etc. Caronte, la Parca, Mercurio, l’Angelo custode; 12.0 II Re di....., il sansculotte M., un filosofo cinico montagnardo, l’abate di..... e molti morti, il giudice G. C., la Giustizia, il Segreto. Dei vivi. I Contemplatori. Due filosofi della Luna, il generale Clayrfait, Caterina II, il generale Ingestrom. — Licinio e l’amico sui vizi di Roma. — La guerra dell’ opinione — I politici all’ asta pubblica — Le sette. Il giansenista, il raolinista, lo scotista, il tomista, un rigorista, un moderantista. Il dialogo succede in S. Pietro — I miracoli e le profezie. La santa di Falcinello, il cappellano di S. Pellegrino dell’Alpi. Il dialogo è in quel santuario nel mese di agosto del 1796 — La società popolare. Gregoire, un contadino I — 326 — ed un vandeìsta con vestito alla libertà — Si salvi chi può. Il Papa, Giorgio III re d’Inghilterra , Francesco II , il Duca di Modena , il Re di Sardegna ed i principi dell’impero, il Capitano di S. Marino , il Gonfaloniere di Lucca — Il conclave a Venezia. I romani, i cardinali, le truppe. Vi si fa il Papa — Il sogno o la gazza — La disputa. Disputa di tutte le sette dei filosofi sulla felicità — Sulla debolezza dell’ attuale generazione — Sulla menzogna — La squadra combinata di Livorno. Tre negozianti, un sensale, due facchini di Venezia nuova, un ufficiale della sanità, due inglesi del partito ministeriale, un ufficiale spagnuolo , un capitano di vascello francese. Dialogo nel negozio Micali — La sig.a M.co e la Regina di N. La sig.a V.° e Monsignor confessore. Le confidenze. Vedi i dialoghi delle cortigiane di Luciano — Su quei che cambiano opinione secondo le circostanze — La mascherata — Il Capitolo dei Francescani — Il democratico rigorista e l’aristocratico. Mosè, Gesù Cristo, Maometto, Confucio, Socrate, Machiavello, Federico II re di Prussia, Andrea de Silva autore della tattica , Francesco Algarotti (sulle vere opinioni di Machiavello) , Vittorio Alfieri , abate Antonio Conti, Mario Pagano, Galluzzi (sull’ incertezza dei partiti politici di Alfieri) ». (9) Il Beauvais si chiamava Adolfo, non Enrico. Mori tisico a Lucca, in giovane età, il 6 agosto del 1810. Elisa Baciocchi, della quale era uno de consiglieri più fidi, il 18 maggio del 1806 lo nominò governatore del palazzo di Piombino; ebbe poi il grado di colonnello e quindi di governator generale di quel Principato. Per decreto del 9 febbraio 1810 venne fatto comandante della forza armata di Lucca e di Piombino. (10) Sul tanto girare che fece in quel tempo cosi parla in questa sua lettera inedita al poeta lucchese Giovanni Caselli, scritta da Massa il 16 luglio del 1807: « Torno di Lunigiana e trovo in casa consegnata ujaa lettera tua del 29 giugno con la prima canzone e lo schedone della seconda. Ti dico a tergo della medesima il mio sentimento. La prima non mi pare ripresen— tabile; la seconda, sul piano che ti propongo, può diventare buona. Farei di più se non dovessi partire dopo domani a sera per Modena , Reggio e Parma; ove puoi dirigermi lettera, se vuoi scrivermi, così intitolata: Al Sig. Gio. Fantoni Labindo, in casa Ferroni, Parma. Al fine d’agosto tornerò a Massa, per stabilirmi in Lombardia a settembre. Salutami [Cesene] Lucchesini, abbracciami Binda nostro , comandami e credimi di core 1 a- mico Gio. Fantoni Labindo ». (ji) Con decreto del 2 maggio 1807 la Principessa Elisa stabili a Carrara una Cassa di soccorso, per «assicurare un lavoro non interrotto alla nume-» rosa classe di operai delle cave, e per dare a tutti i lavori di scultura » quella perfezione che debbe illustrare l’Accademia ». Questa Cassa, dal nome della Principessa, si chiamò Banca Elisiana. Fu più precisamente ordinato in qual modo dovesse sovvenire l’industria carrarese, col nuovo Statuto dell’Accademia, sanzionato il 25 luglio dello stesso anno 1807. Ettore Sonolet ricopriva la doppia carica di Direttore del Museo dell Accademia Eugeniana e di Direttore generale della Banca Elisiana. (12) Si riguardava come suddito del Regno d’ Italia per essere cittadino di Reggio, allora capoluogo del dipartimento del Crostolo, e per avere possessi nelle montagne reggiane. (13) Marianna, figlia del conte Girolamo Vallisnieri, apparteneva al ramo di Reggio, diverso da quello del celebre naturalista, ma forse derivante da — 327 — un ceppo comune. Il matrimonio venne celebrato civilmente il 5 di settembre e in chiesa quattro giorni dopo. (14) Si conserva nella Biblioteca Estense. Fu scritta da Massa il 28 maggio del 1805. (15) Prosegue a dirgli: « La tua questione sarà soggetto di una lettera aperta. Essa riposa sulle due proposizioni : « Rem , quocumque modo rem salus populi suprema Lex esto »: prima però ch’io possa risponderti, conviene che tu mi dica su i seguenti articoli il tuo sentimento: Cosa è un uomo onesto? Per sè , per gli altri, — in morale, e in politica? — Cosa è esistenza nazionale? — Cosa sono fondate speranze di esistenza nazionale? — Quali siano i sistemi di vero Governo? — Da quanto tu definirai, io potrò darti risposta. La mia lettera può essere un catechismo di risposta per quei che dovranno esser utili. — Definisci bene , acciò io non debba traviarne. Spero però che non uscirò di strada; i miei principj non hanno altra mira che il bene; onde non possono sbagliare, che per mancanza di logica; scienza che non mi ha abbandonato sì facilmente; giacché la vanità dell’imaginazione a chi ben studia non si fa padrona della ragione. Non ti parlo più del noto affare matrimoniale; te ne ho detto abbastanza ; non far passi senza consigliarmi. Sono sicuro che il zio Antonio non si lascierà sorprendere , e conoscendo il carattere della nota persona, salverà la sua e 1’ altrui buona opinione all’ occasione. Fai bene ad aver pazienza ; la più parte degli uomini per impazienza si perde, al fine quasi dell’opera. Tu hai tanta ragione, che te ne avanza ; ma devi guadagnarti i mezzi per averla in un momento favorevole. Io sarò il primo a sostenerti, quando occorra: ma onorevolmente. Ricordati che la prudenza vince la forza. L’idea della Centuria Italica è utile ed onorevole; se trovi squarci o componimenti italiani, indicameli prontamente. A Sarzana sono un secolo indietro, onde non mi sorprende che non sappiano scorgere. Ieri giunse qui Fenucci Giuseppe e recò notizia che la Liguria era decretata unita alla Francia e che Sarzana do-vea prestar giuramento all’ Imperatore e Re d’ Italia. Gianni mi scrive che Saliceti e Senci , tornati da Milano, aveano recato questa nuova; poi mi soggiunge, che al partire delle lettere si diceva per Genova: Imperatore, Re d'Italia e Principe di Genova. Da Parma e Pontremoli mi scrivono lo stesso, onde pare sicura la sorte di Lunigiana fra il Serchio e la linea delle Cento Croci. Non dire ad altri tal notizia, che allo zio Odoardo , benché sappia che codesto Vicario ne ha dei riscontri quasi sicuri.... Le lettere di Genova danno guerra infallibile; e la venuta di colà di Bonaparte Napoleone, in privato, il dì 30 del cadente. Tutto quello che si fa tende a rovesciare il nuovo e ristabilire l’antico, e la soverchia fretta nel farlo a far rinascere il nuovo. Si dicono mille cose in contrasto fra loro: il saggio aspetta la soluzione ed osserva. Vorrei che si decretasse subito la nostra riunione in parte o in tutto, prima che s’intorbidassero gli affari. Se veniamo alla lotta, questa sarà decisiva e di un contrasto ostinato; gli elementi contrari sono appresso a poco di forza eguale ; chi avrà più talenti trionferà. Ecco perchè bisogna aver talento, e per agire e per salvarsi ». (16) Così il nepote a p. 299 delle Memorie istoriche sulla vita di Giovanni Fantofii. (17) CiAMPOLiNi L. Cfr. la nota 32 del cap. I. (18) Parole del nepote a p. 300 delle Memorie suddette. (19) Labindo gli scriveva da Massa il 9 ottobre del 1S06: « So che Salomone, fra i disgusti e l’incertezza dei tempi, si abbandona all’inerzia, che — 328 — mal conviene a colui che potrebbe innestare in Italia l’anima di Callimaco e di Tibullo e richiamare coi lamenti dell’ Elegia la madre Italia a scuotersi dai suoi vizi, causa della sua umiliazione, e a desiderare l’antica, però meno ingiusta, grandezza. Non parliamo d’uomini, amico, parliamo di cose, e cerchiamo di passare alla posterità col soave titolo d’ amici della virtù e del bene dei nostri simili e della nostra patria. Chi sonnecchia è reo del bene che non fece; nè intorno alla sua tomba s’udrà susurrare soavemente la lode, nè le lacrime conforteranno la sua memoria. Pretendo dunque dalla vostra amicizia che scriviate elegie e che contribuiscano i vostri conosciuti talenti all’onore e alla rigenerazione d’Italia. Era’ pochi a cui ho diretto l’intero volume delle mie Odi, voi pure siete scritto; giustificate i miei desideri ed eseguite quanto vi chieggo. Benché sia solito non dare le mie odi che stampandole, pure ve ne trascrivo una, a condiziono che non esca dalle vostre mani, e sia data in deposito, fino che io non la dia alle stampe, alla vostra amicizia ». L’ode che gli trascrisse è la XXIII del libio IV, intitolata appunto al Fiorentino. Gli tornò a scrivere da Pisa il 17 novembre dello stesso anno: « L’amicizia che mi dimostrate è corrisposta dal mio core; vorrei che la mia vi potesse essere utile , e che mi procacciasse la soddisfazione di giovare ad un uomo che stimo e che l’Italia dovrebbe ben contare fra i suoi figli diletti ». (20) Inedita è questa sua lettera al marchese Gaetano Capponi di Firenze, scritta da Pisa il 30 marzo del 1802 : « Vi pregai di farmi avere il medaglione col mio ritratto, per il Direttore della Posta Faleni; essendo questo rimosso, vi prego di prendere una sicura occasione per farmelo aveie al più presto, per mezzo del Fenzi, o di altro a voi conosciuto. Spero che ci rivedremo, come mi avete promesso, al più presto. Profittate intanto di me; e facendo i miei saluti alla Fantastici ed al nostro Giotti, credetemi sinceramente il vostro aff.m0 amico Labindo ». (21) Il conte Lazzaro Brunetti nacque a Massa di Lunigiana il 13 ottobre del 1781; studiò legge a Pisa e fece le pratiche a Firenze. Entrato nella diplomazia , era segretario della Legazione del Regno d’Italia presso la Corte di Napoli quando nel '14 cadde Napoleone. Si ritiro a Massa. Il Governo di Maria Beatrice d’Este prese a sospettare che il Brunetti nel *15 parteggiasse per Gioacchino Murat; e il sospetto aveva fondamento nel vero. Soffri una minutissima perquisizione e fu minacciato d’arresto. N’ebbe tanto dispetto che fini con lo spatriare. La Contessa di Lipona [Carolina ex Regina di Napoli], con la quale era in grande intrinsechezza , lo raccomandò al Metternich, il-quale lo prese nella sua cancelleria, poi lo mandò a Madrid segretario della Legazione austriaca. La conobbe il conte Solaro della Margarita, e tra’ due diplomatici nacque l’inimicizia che un giorno doveva essere la rovina del Brunetti. Promosso ministro plenipotenziario , da Ma— d"id nel '35 fu mandato, con ugual grado, a Torino. La scelta riuscì sgradita al Della Margarita, allora ministro degli afTari esteri del Re Carlo Alberto, che nel suo Memorandum storico-politico (Torino, 1851.» pp» 59» **3 e 115) cosi lo dipinge: « egli era della scuola dottrinaria, e prima d’essere al servizio d’Austria professava principii assai liberali ; la reciproca maniera di trattar gli argomenti politici era in noi poco analoga ». Tanto fece, che il Brunetti nel '38 andò in congedo, e poi fu messo a riposo. Tornò a Massa, alternando il soggiorno tra la nativa città e la vicina Pisa. Nella sua giovinezza venne ascritto alla Società Colombaria di Firenze , dove lesse un ragionamento intorno a Bernardinò Telesio e l’elogio dell’amico Giovanni — 329 — Fantoni ; lavori che non hanno veduto la luce. Il Brunetti è ricordato in una lettera di Labindo aH’improvvisatrice Fortunata Sulger Fantastici di Livorno, scritta da Massa il 21 marzo del 1806. Se ne conserva l’autografo nella Biblioteca civica di Torino. Essendo inedita, qui la trascrivo: « All’amica Temira, Labindo. Per l’amico Lazzero Brunetti vi scrivo due righe. Egli vi darà mie nuove e vi dirà che sempre vi amo e vi stimo con 1’ ottimo sig. Giovanni [Fantastici, il marito di lei] e tutta la vostra famiglia, che mi saluterete cordialmente con tutti gli amici che vi frequentano e che si sovvengono di me. Io vivo al solito tranquillamente tra i miei fogli e i miei libri, occupato per quanto posso utilmente. Se valgo, profittate di me, giacché dovete essere persuasa che lo desidero. Credetemi di cuore il vostro amico Labindo ». (22) Labindo voleva indirizzare al Lei la prima ode deWepodon, che poi non scrisse, intitolata: La Filantropia. In un epigramma, edito dal nepote [Poesie; III, 46] gli dava questi consigli: Della fortuna, sia contraria o destra, Se vuoi esser signore Rendi soggetti alla ragion maestra Ira, interesse e amore. Il Lei, nato a Sassuolo nel 1765, da giovane studiò a Pesaro , e prese i primi ordini sacerdotali; poi, recatosi a Bologna, s’iscrisse all’Università come studente di medicina e vi fu priore degli scolari. Laureatosi , andò medico condotto a Fiorano. Scoppiata nel 1796 la rivoluzione , le file de’ giacobini lo contarono tra’ più ardenti seguaci. Istituita a Modena, verso la fine d’ ottobre, la società d’ istruzione pubblica ne fu uno degli oratori. In un discorso che vi pronunziò nel novembre , ed è alle stampe , diceva : « Libertà! Oh dolce nome che inebrii l’anima mia e la trasporti ad un piacevole delirio! Ah, che io sento tutta la forza del tuo potere! Quanto c’in-vidierebbero le passate generazioni, vittime invendicate della Tirannia , se nel fondo dei sepolcri potessero innoltrarsi le grida di giubilo che s’alzano dovunque per queste fortunate contrade e se scorgere potessero quant’anche maggiore sia per essere la sorte felice che noi prepariamo alle future generazioni » Cfr. Il Giornale repubblicano di pubblica istruzione, di Modena, 11.0 XI, 2 agghiacciatore deiranno V (22 novembre 1796). Nella seduta del 6 giugno ’97 annunziava « che a Sassuolo è stata istituita la Società d’istruzione, e che i bravi patrioti di Vignola chiedono, per suo mezzo, che siano deputati due membri della Commissione d’istruzione di Modena, dove lo spirito repubblicano è esteso mercè ancora le premure di alcune cittadine patriote ». Vi fu mandato lui insieme con Pietro Brighenti. Della missione felicemente compita rese conto il Brighenti a nome proprio e del compagno nella seduta del 15 giugno. In essa seduta « il cittadino Lei recita un e-nergico discorso contro i nemici della pubblica istruzione. Il cittadino Bel-lentani, atteso l’aggradimento dimostrato dalla Società e l’importanza dell’oggetto trattato, domanda la stampa del discorso del dott. Lei; questi si oppone, ma il Bellentani, il Presidente e la Società insistono perchè sia stampato ». Cfr. Il Gioitale repubblicano cit., n.° LXIX e n.° LXXII. Fin dal 22 fiorile (11 maggio) « imprese a provare la necessità di stabilire un Comitato centrale di Pulizia e additò i modi di organizzazione onde favorire l’energia repubblicana e togliere ai nemici della libertà i mezzi di paralizzare lo spirito pubblico ». Cfr. il n.° LXI del suddetto Giornale. Datosi poi agli impieghi, fece le prime armi appunto nella Polizia, della quale — 330 — venne eletto Delegato a Imola nell’ ottobre del 1797. Ridottosi a vita privata durante il trionfo degli Austro-russi, fu poi Delegato di Polizia nel Dipartimento del Reno (Bologna), al tempo della Repubblica Italiana. Il 30 luglio del 1805 venne nominato Viceprefetto di Castelnuovo di Garfagnana, che allora formava parte del Dipartimento del Panàro. Riunita poi la Garfagnana al Principato di Lucca e Piombino (6 marzo 1806) fu promosso Segretario generale (equivale all’attuale Consiglier delegato) del Dipartimento del Rubicone (Forlì), e vi rimase fino all’occupazione murattiana, 26 dicembre 1813, che lo forzò a tornare a vita privata. Il 23 ottobre del 1823 scriveva al conte Mario Valdrighi : « A soddisfare la sua richiesta , eccole due saggi del carattere di Labindo. Ho scelto, tra le molte, una lettera che mi ricorda una dolorosa circostanza della mia vita , la perdita dell’ unico mio figlio, la cui memoria non deve esserle ignota, se ben si ricorda,' che gli fu condiscepolo nella prima età. Questa lettera contiene trascritto di mano di Fantoni un consulto del celebre Vaccà Berlinghieri : amo però che fattone l’uso che vuole mi sia restituita. Può a suo piacere servirsi degli altri due fragmenti di suo scritto: l’uno contiene il pensiero d’un idilio tolto da Orazio, l’altro alcuni sciolti. Ella vedrà con chi discorre il Vate e Profeta, che son la cosa stessa ». Il Lei adottò per figliuolo ed istituì suo erede testamentario Gaetano Solieri; il quale poi, co’ torchi de’ Cappelli, diede alla luce in Modena, nel 1846, lo scritto postumo di lui , intitolato I Poveri, lavoro statistico e-conomico. Ha pure alle stampe l’Elogio funebre del cittadino Antonio Cep-pelli pronunziato nella Società di Pubblica Istruzione dal cittadino Antonio Lei ?iella seduta del giorno ç del mese di Pratile, In Modena ijòj. Si distribuisce al negozio del Libraro Dalla Brida; in 8.° di pp. 20. I seguenti scritti ignoro se siano, o no, stampati : Ge?iealogia dell’ insigne famiglia de’ Calboli Paolucci ·— Elogio di Domenico Manzoni [di Forlì] — Statuto dell*Accademia Liviense — Investigazione del carattere morale degli antichi Boi. La rivoluzione del '31 non scordò il vecchio giacobino e dal Governo Provvisorio di Modena fu nominato Prefetto di Polizia. Al ritorno del Duca, riparò a Bologna, dove morì il 13 luglio del 1833. (23) La località di Corticella si trova sulla sinistra del Panàro , e forma parte della parrocchia di S. Vito, frazione del Comune di Spilamberto. Il casino Lei, ora proprietà degli Stanzani, distante da Modena 11 chilometri circa, è sulla strada che da S. Donnino mena a Spilamberto, passato di poco il torrente Guerro. Ampie e ben disposte le stanze , in posizione bella e ridente, ben meritò le lodi di Labindo, che se l’era scelto a suo ultimo asilo. Andai a bella posta a visitarlo il 30 dello scorso maggio, in compagnia degli amici modenesi conte Giorgio Ferrari Moreni e dott. Tommaso Sandonnini; nè si mancò di fare anche una sosta nel vicino S. Vito, dove Labindo fu ospite de’ Savigni , che con memore affetto tante volte ricorda nelle sue lettere al Lei. (24) Lettera scritta da Massa il i.° aprile 1803. (25) Tra le carte di Labindo trovo questo elenco de* suoi componimenti, scritto nel tempo che abitava a Massa: « Educazione pubblica — Pensieri sulla felicità delle Nazioni — Odi — Idilj, sciolti e scherzi scelti — Fisico moralimetro — Elementi d’istoria sociale — Lettere due a mio nipote — Lezioni di eloquenza — Traduzioni di classici — Progetto di un breviario poetico e di prose — Piano del poema lirico — Teatro istruttivo d’ istoria naturale e sociale ». — 331 — (26) Nelle Appendici stampo il carteggio di Labindo col Lei, per più conti importante e curioso. (27) Lettera scritta da Massa il 13 aprile 1803. (28) A p. 64 del Libro de’ morti dal 1792 al 1861 della parrocchia di S. Vito, frazione del Comune di Spilamberto, si legge: « A 9 settembre 1803. La sig.a Teresa figlia del fu sig.r Giovanni Nostrini e moglie del signor dott. Antonio Lei rese l’anima a Dio in età di anni 33 circa, munita prima di tutti i SS.mi Sacramenti ed assistenza fino alla morte. È morta ieri sotto la parrocchia di S. Agostino di Modena, e questa mattina è stata trasportata a questa parrocchia, dove, fattegli le solite esequie ed offizio, è stata tumulata sotto il banco di sua ragione in un deposito da parte del-Γ altare del SS.mo Crocifisso, come dalla lapide. In fede. Pancrazio Sa-vigni curato ». L’iscrizione è questa: a Teresa nostrini | implorano DALL’ALTISSIMO I PACE E RIPOSO | L’AFFLITTISSIMO SUO SPOSO | ANTONIO DOTTOR LEI I E | L’INNOCENTE FIGLIO | 8 SETTEMBRE 1803 AN. II R. — Era intendimento del Lei costruire un oratorio presso il suo casino di Corticella e là trasportarne le ceneri e erigerle un ricordo marmoreo ; cosa che poi non ebbe effetto. Labindo, che n’era consapevole, in una lettera senza data, ma scritta da Corticella nel settembre , gli diceva : « Ho preso tutte le dimensioni necessarie per fare un oratorio pubblico con pochissima spesa..... Si farebbe in fondo l’altare e in mezzo ai due muri laterali due sepolcri in faccia; si dipingerebbe la facciata, che sarebbe la seguente, con una semplice iscrizione sulla porta ». Qui a penna gliene traccia il disegno; poi prosegue: « Se hai a Sassuolo qualche quadro grande di Santo, o Vergine, che possa servire all’ancona, fammelo avere: esso darà il titolo all’oratorio ». (29) Pancrazio Savigni curato di S. Vito. (30) Agnese-Amalia, figlia del fratello Luigi, fin dal 24 giugno del 1806 si era maritata coll’ avv. Andrea Ferroni di Parma II matrimonio ebbe luogo nell’oratorio domestico de’ Fantoni a Fivizzano ; lo celebrò D. Angelo Tonelli di Reusa; furono testimoni il capitano Francesco Vigorelli di Mognano e il dott. Cirillo Cilla di Giuncugnano. (31) Il nepote scrive: « Negli ultimi giorni della sua dimora in Massa ammalò di febbre gastrica maligna la signora Marianna Del Medico. Labindo , per quello spirito soltanto d1 amorevolezza che lo portava sempre a soccorrere ai mali altrui, andò qualche volta a visitarla ed assisterla. Vogliono alcuni che la carità dell’amicizia fosse a lui causa di morte, facendogli contrarre i germi della medesima malattia a cui dovè soccombere la Del Medico poco avanti la sua partenza da Massa. Vogliono altri che non solo questo contagio, ma il profondo disgusto e la malinconia in cui per le vicende d’Italia di quel tempo era caduto, fossero le principali cause dell’alterazione di sua salute ». Cfr. Memorie istoriche sulla vita di Giovanni Fantoni, p. 300. Nè l’una nè l’altra di queste supposizioni ha fondamento nel vero. Labindo lasciò Massa il 18 di luglio, nè vi fece ritorno che alla fine di settembre. Marianna figlia del conte Carlo Del Medico Staffetti di Carrara morì a Massa nell’età di trentaquattro anni il 25 d’agosto, quando Labindo era assente. Esso, tutto al più, potè visitarla al principio della malattia ; se pure la malattia incominciò quando era sempre a Massa. Più che il disgusto e la malinconia per i casi d’ Italia, il tanto viaggiare e gli strapazzi e le cure e le fatiche per prepararsi il suo nido di Corticella dovettero alterarne la salute ed essere cagione e occasione della malattia che immaturamente lo trasse nel sepolcro. — 332 — (32) D. Maurizio Solferini Proposto di Fivizzano cosi ne notava la morte, sotto il n.° 1272, a p. 228 del registro parrocchiale E : « A di 2 novembre 1807. L’ Ill.mo Sig. Conte Giovanni Nepomuceno Celso Gaetano, patrizio fiorentino, figlio del fu Ill.mo Sig. Conte Lodovico Antonio Fantoni dì Fivizzano, nato il dì 28 gennaio 1735, infermo, essendogli stato amministrato il Sacramento della Penitenza dal M. R. Sig. Pier Niccola Morotti Rettore di Luscignano, ed assistito in morte dal M. R. Sacerdote Sig. D. Angelo Tonelli di Reusa, passò da questa all’ altra vita ieri sera alle ore sette circa. E il dì seguente il di lui cadavere colla legittima licenza dell’111.mo Sig. Vicario Regio di Fivizzano fu seppellito in un sepolcro fatto a bella posta nel chiostro interno dei RR. PP. Minori Osservanti del convento di S. Francesco presso Fivizzano». Il fratello Odoardo così ne annunziò la morte al Marenco, segretario delTAccademia di Torino: «Signore, La perdita che una famiglia, gli amici, 1’ Italia hanno fatto nella morte di Giovanni Fantoni, conosciuto presso il mondo letterario sotto il nome di Labindo, deve essere oltre modo sensibile a codesta rinomata Accademia nella mancanza di un suo membro. La sera del primo novembre corrente, alle ore 7 e mezzo, cessò di vivere per un tifo maligno, che al tredicesimo periodo lo fece soccombere. Voi , che ne siete il degno Segretario, spero che vorrete entrare a parte del comune dispiacere e vi compiacerete di partecipare questa infausta nuova agli egregii membri componenti l’Accademia. In tale aspettativa, con la più sincera stima e rispetto si rassegna », ec. La lettera è scritta da Fivizzano il 7 novembre 1807 e si conserva nelTArchivio della R. Accademia delle Scienze di Torino. Il nepote Agostino gli fece poi dipingere il ritratto ad olio dal pittore Ulivi di Pistoia, che ebbe per guida soprattutto la maschera. Nel foglio, che il Poeta tiene in mano, si legge: Lode non vendo, non macchio 1’ anima D’ util menzogna, nè la mia cetra Il grato suon riscuote Di adulatrici note. (33) Nell’esequie fatte a Labindo dall’Accademia di Belle Arti di Carrara, ricorrendo Γ anniversario della sua morte , il prof. Giovanni Landini recitò l’orazione funebre, « che per la sua patetica eloquenza produsse una universale emozione *. Cfr. Gazzetta di Lucca, n 0 99» 9 decembre 1808. Sulla porta dell’Accademia si leggeva questa iscrizione , dettata dal conte Lodovico Lizzoli : A Labindo \ novello * Orazio * filantropo · come * Socrate j vivace * come * Anacreonte * immutabile · come · Alfieri | a * nome · dell'Italia * piangente | i * Carraresi. (54) La festa commemorativa avrà però luogo il 22 di settembre. APPENDICE I. LE PERSECUZIONI DE* FRANCESI CONTRO LABINDO. Nel capitolo V, riportando un articolo del Giornale de Patrioti d,’ Italia , di Milano, del io giugno 1797, dove si legge: « Fantoni è perseguitato a Modena e altrove, perchè aveva ammaestrato i burattini e i sanculotti a gridar — 333 — viva la democrazia, morte ai tiranni, morte agli aristocratici », notavo : « in che consistessero queste persecuzioni lo ignoro. Nelle carte deirArchivio di Modena non ce n’è traccia. Per testimonianza del nepote, la sua libera eloquenza gli concitò la persecuzione del partito allora dominante y talché fu dai Francesi imprigionato a Modena e a Milano. L’ anno dopo segui il suo arresto a Milano. Nel 1797 non gli fu torto un capello nè a Modena, nè altrove ». Alcuni documenti, da me poi scoperti, mettono in chiaro che, oltre l’arresto del 1798, ebbe a patire anche un altro arresto a Milano al principio del 1797; e che appunto per questo arresto venne perseguitato a Modena, dove era corso a cercare un rifugio all’ ombra della nuova Repubblica Cispadana (1). Ecco i documenti (2) che mettono in chiaro questo punto oscuro della vita di Labindo. Libertà Eguaglianza La Giunta di Difesa Generale della Repubblica Cispadana Al Comitato di Governo di Modena e Reggio. Modena, 26 gennaio 1797, anno primo della Repubblica Cispadana una e indivisibile. Cittadini, Ci facciamo un dovere di rimettervi qui annessa copia di una lettera indirizzataci dal General Berruyer. Vedrete dalla medesima la commissione di cui egli c’ incarica riguardo al cittadino Fantoni. Av- (1) Una parte della Lunigiana si trovava compresa nella Repubblica Cispadana e costituiva il Dipartimento di Luni. Massa, che n’era il capoluogo, formava un Cantone, insieme co’ villaggi del Mirteto, di Castagnola, di Pariana, di Altagnana, dell’Antona, di Lavacchio, di Bergiola e del Forno. In Carrara , altro de’ Cantoni, tenevano residenza i tribunali, e si componeva dei villaggi dell’Avenza, di Gragnana, di Colonnata, di Moneta, di Sorgnano, di Torano, di Miseglia, di Codena , di Castelpoggio, di Be-dizzano e di Fontia. Formavano parte del Dipartimento di Limi anche « gli ex feudi Imperiali nella Lunigiana e Val di Magra uniti al territorio della Repubblica Cispadana ». Ciascuno di essi, « con le sue rispettive sezioni o sia parrocchie », costituiva un Cantone a sè. Cfr. Tabella dei Dipartimenti e Cantoni provvisionali, con le loro sezioni o siano parrocchiet del territorio della Repubblica Cispadana, In Modena, per gli eredi Soliani, s. a.; pp. 3-4. (2) Son posseduti dal cav. Azzolini di Roma, che gentilmente me li comunicò. Gli esprimo la riconoscenza più viva. — 334 — vegnacchè Γ esecuzione ne sia immediatamente commessa al nostro Ministero, noi, ciò non ostante, per un delicato nostro riguardo verso la vostra giurisdizione, affidiamo interamente a voi l’esecuzione stessa. V’invitiamo dunque ad adempier Γ ordine del General Berruyer non tanto rapporto al Fantoni, quanto a tutti gli altri, che com’egli, potessero rendersi ed essersi già resi pericolosi alla causa pubblica. A-vrete poi la compiacenza di avvisarci delle disposizioni che avrete prese affinchè possiamo renderne conto al Generale da cui è emanato un tal ordine. Vi piacerà altresì d’ indicarci in qual modo dobbiamo rispondergli sull’altro articolo di Sestola e di Montalfonso, articolo intorno al quale egli ha chiaramente esternata la sua mente. Siate certi, o Cittadini, de' costanti nostri sentimenti di stima e di considerazione. Salute e fratellanza. G. C. Tassoni per il Preside7ite. F. Zacchiroli Segretario. La lettera del generale Berruyer è del seguente tenore : Armée des Alpes et d’Italie. Republique Française. Liberté Egalité A Bologne, le 5 pluviose de l’an 5 de la Republique Française une et indivisible [5 gennaio 1797] - Berruyer Général de Division , Inspecteur Général des Troupes de de Cavalerie des Armés des Alpes et d’Italie, commandant Bologne, Modéne, Reggio , Fort-Urbain et arrondissements A la Gunta (sic) de Défense Générale. Je suis informé, cittoyens, que le nommé Fantoni, toscan, homme dangereux par ses opinions contraires au bien public , qu’il n’a que trop*de fois manifesté, et encore dernièrement à Milan ou il été arrêté, et ensuite relâché avec ordre de sortir du territoire de la Lombardie, se trouve pour le moment à Modéne. En conséquence de l’ordre du Général en chef qui enjoint d’eloi-gner du territoire de la Républiqne tous ceux qui pourroient faire craindre des mouvemens seditieux pour cause d’opinion, vous voudrez bien, citoyens, intimer l’ordre au citoyen Fantoni de quitter le pays dont le Général en chef m^a donné le commandemens. Vous me prévenez par votre meme lettre que le Gouvernement de Modéne vous fait la dimande des troupes de la cohort Cyspadane pour garder les postes de Sestola et Mont-Alphonse. Je ne puis, citoyens, consentir à ce que les forces sur les quelles compte le Général en chef soient ainsi répandues et éloignés en différents postes. Il faut que — 335 — le Gouvernement avise aux moyens de faire garder ces postes de la meme manière qu’il en a été ordonné par le Sénat de Bologne pour ceux de Fort-Urbain et du C. Bolognese soit par la Garde Civique, soit par les troupes soldées. Vous voudrez donc bien, citoyens, vous occuper de faire rentrer les détachemens de la cohorte qui avoient pû etre employés ailleurs et les faire réjoindre leurs corps a fin qu’ils se trouvent reunis tous et prêts à marcher. Je compte sur vous pour l’éxécution du present ordre et vous invite a vouloir bien me faire savoir les dispositions que vous aurez prises pour les faire connoitre au Général en chef. Salut et fraternité. Le Général de Division Berruyer. Il Comitato di Governo di Modena e Reggio così rispose : Alla Giunta di Difesa generale per la Repubblica Cispadana. 26 gennaio [1797]. Sensibili all’ amichevole riguardo della Giunta di difesa generale verso il Comitato di Governo , ci dispenseremo però di prestarci al vostro invito di dare esecuzione all’ ordine del Generale Berruyer intorno al cittadino Fantoni , perchè 1’ ordine stesso non essendo a noi diretto , nè constandoci legalmente di alcuna eccezione del suddetto Fantoni ci sembrerebbe agire senza autorità diretta. Vi presentiamo anzi una petizione (1) che ci è stata presentata prima che ci pervenisse la vostra lettera : voi potrete farne quell’ uso che crederete opportuno. Per quanto poi spetta all’articolo di Montalfonso, giacché per Se-stola si provvederà, possiamo assicurarvi che trattandosi della Garfagnana è necessario tenervi per ora una forza competente anche secondo le disposizioni del General Rusca , che agiva in conseguenza degli ordini del Generale in capo. D’ altronde non abbiamo maniera di guarnire quel forte, non già coi soldati invalidi dell’ ex Duca, non colla Guardia nazionale del Paese, perchè e gli uni e gli altri sarebbero pericolosi ; non con altra truppa assoldata , la quale non esiste. Potrete far presenti queste considerazioni al Generale Berruyer , per nostro ulteriore contegno. Salute e fratellanza. A Modena Labindo contava amici numerosi e fidatissimi ed il partito era con lui e per lui. Quando una gaz (1) Questa « petizione » che sarebbe stata feconda di luce, è andata dispersa. — 336 — zetta milanese lo coprì di fango , così pigliarono a difenderlo : I Patriotti modenesi ai compilatori del Giornale dei Patriotti di Italia. Cittadini : che contradizione è mai questa? In un giornale che porta in fronte un sì bel nome si oltraggiano in tal guisa i patriotti ? Se voi non sarete più cauti nell’ esaminare gli articoli che vi vengono som-ministrati da certe Bavute, permettetemi che io ve lo dica, disonorerete ben presto un giornale che forma la delizia di tutti gli amici della libertà. Quanto vien detto nel n.° 46 del vostro giornale (1) nella lettera di Modena sul Congresso e sulle manovre dei buoni sudditi del Re Pio è vero per la maggior parte ; ma chi ha sorpresa la vostra buona fede, o non era informato delle cose avvenute, o ha inteso di maliziosamente calunniare i patriotti modenesi. Sappiate che questi non la cedono in virtù, in coraggio, in fermezza a quanti sanno amare la libertà in Italia , che hanno già fatto il sagrifizio delle loro vite alla sacra causa che impresero a difendere , e che sono pur anche pronti a spargere il loro sangue quando questo possa costare qualche cosa per istabilire la libertà del loro Paese : ma sappiate ancora che giammai si adattarono alle circostanze, nè furono amici del buon ordine se non perchè la prudenza è una virtù più che mai necessaria in rivoluzione. Fantoni ha inspirato questi sentimenti nell’animo dei patriotti. Fantoni perseguitato da tutti gli aristocratici che non ha mai curato, odiato dai realisti che egli ha disprezzato , ha predicata la moderazione ai patriotti, nel tempo che veniva accusato di anarchista, di sanguinario : noi gliene sappiamo ora buon grado , e per rispondere a tutti i suoi calunniatori conveniamo tutti nel dire che a lui siamo debitori in gran parte del patriottismo che regna in Modena , che egli ha saputo sostenere in tempi calamitosi lo spirito pubblico, minacciato dovunque dalla più terribile reazione dei duchisti , degli aristocratici e dei papisti. Crederemmo di far torto a quest’*uomo col volerlo difendere dalle imputazioni e calunnie che si leggono nel vostro Giornale. Siamo persuasi che egli possa appellarsi alle stesse sue opere, a tutto ciò che egli ha fatto per la causa della libertà anche in Milano e a tutti i veri patriotti d’Italia (2). (1) Cfr. il cap. V, dove fu riportata per intiero la lettera di Demetrio Giusti (nome forse fittizio) denigrante il Fantoni, inserita appunto nel n.° 46 del Giornale dei Pat7'ioli d’Italia. (2) Il Giornale Repubblicano di pubblica istruzione, di Modena, n.° LXI, 16 maggio 1797> P* 493· — 337 — Al Giornale repubblicano di Modena (i), che divulgò questa dichiarazione, Labindo indirizzava la lettera seguente : Da molto tempo l’invidia e la calunnia mi onorano colle loro persecuzioni ; ma nè l’una nè l’altra hanno mai avuta ancora la consolazione di vedermi disonorato, come tanti altri in letterari e politici pettegolezzi. Avvezzo a disprezzarle, ho sempre lasciato alle persone dabbene ed al pubblico la cura di giudicare delle loro menzogne. Acciò possano farlo ora con cognizione di causa, inserite, vi prego, nel vostro Giornale quanto dice il cittadino Galdi nel Giornale dei Patrioti, e questa lettera col nome di chi la scrive. Ciò basterà per scoprire la lega di certi uomini, che denigrano gli amici della libertà, perchè ne temono l’energia e la schiettezza. Potrei appellarmi, per mia giustificazione, a quanto ho fatto a Reggio, a Milano ed a Modena ; ma essendo questo un nulla a confronto di quanto ho la speranza di fare, vi assicuro soltanto che saprò vivere per la libertà e per la felicità dell’Italia e morire per lei. Salute e fratellanza. Gio. Fantoni. Ecco la « Risposta ai Giornalisti di Modena » che era unita alla lettera di Labindo : Cittadini. Noi vi sappiamo grado delle giustificazioni addotte in favore di Fantoni. Il vostro desiderio è che si accresca il numero de’ gran patriotti, non già che si diminuisca. Fantoni in una sua lettera privata ci chiede de’ schiarimenti di quanto abbiamo asserito: se noi avremo il piacere, come desideriamo , di rivederlo , non mancheremo di aggiustar tutto amichevolmente : del resto checchesiasi detto di lui, le sue. sollecitudini e la maniera piena di moderazione colla quale si (i) Il Giornale Repubblicano dì pubblica istruzione ebbe per compilatori, prima Valentino Contri, poi l’avv. Luigi Tirelli e Gregorio Agnini. Il suo primo numero vide la luce il 17 vendemmiatore dell’anno V della Repubblica Francese [18 ottobre 1796] ; cessò il 1.° complementario dell’anno VI [17 settembre 1798], Si stampava co’ torchi di Giuseppe Vincenzi e costava ogni semestre L. 18 di Modena. La prima annata si compone di CV numeri, con alcuni supplementi e termina il 26 vendemmiatore dell’anno VI [17 ottobre 1797]. La seconda annata è formata di LXXXXVI numeri e ha principio il 29 vendemmiatore dell’anno VI [20 ottobre 1797]. Cfr. Ferrari Moreni conte Giorgio, Storia del Giornalismo in Modena, in La Trivella, strenìia modenese per Vanno 1882, Modena, Rossi 1881, pp. 53-55. Il Giornata Repubblicano (fatto sfuggito alle diligenti ricerche dell’amico Ferrari Moreni) venne soppresso per decreto del Direttorio esecutivo del 29 fruttidoro dell’anno VI [15 settembre 1798]. Risorse il 26 brumale dell’anno VII [16 novembre 1798] , pigliando il titolo di Repubblica?io redivivo; ma con corta vita, giacché il 21 frigifero dello stesso anno [11 decembre] smise di pubblicarsi, dopo soli otto numeri. Più che raro è introvabile. Giorn. St. e Lett. della Liguria. 23 — 338 — è condotto in simile circostanza, ci sono un sicuro garante dello spirito parriottico da cui è animato : sicché non più querele, facciam pace fra noi e continuìam a far guerra a morte agli aristocratici ed ai tiranni. Salute e fraternità. Λ Caldi. Il Giornale repubblicano fece questa chiosa alle due lettere : Nè i patrioti di Modena, nè Fantoni, nè noi possiamo essere in guerra coi patrioti di Milano. Quando , anche troppo creduli alle calunnie che ci fanno i nostri comuni nemici, i Giornalisti patriotici ci denigrino a torto presso tutta l’Italia nel loro Giornale, noi li amiamo come fratelli, perchè li crediamo ingannati, ed invece di occuparci dì una piccola guerra fra noi , la facciamo , coll’ istruzione , a tutti i nemici della libertà dell’Italia. Crediamo però dovere del cittadino Galdi, s’è nostro amico, come si protesta, di palesare nel suo Giornale il nome dei calunniatori de’ patrioti (i). VARIETÀ FUOCHI AVVISATORI. Nel marzo del 1449, durante la nota guerra col Finale (2) , desiderando i Genovesi aver notizie di questo luogo, il Doge Ludovico Fregoso e 1 Ufficio della guerra finalina diedero istruzioni a Raffaele Burone, perchè, recatosi nella Riviera Occidentale, quivi ricorresse, all’uopo, a quel mezzo che potrebbe chiamarsi il telegrafo senza fili del medioevo, i falò. Del largo uso che di questi si fece in quell’ epoca, sia per dare e ricevere notizie a distanza , sia per festeggiare solennemente avvenimenti di importanza , è inutile discorrere : io pubblico il documento (3) contenente le istruzioni suaccennate , non solo perchè in esso vedesi descritta nitidamente ed in modo compiuto per un caso determinato la maniera di usare quei fuochi secondo la loro destinazione più importante, quella cioè di trasmettere notizie , — e così 1’ esistenza di (1) N.° LXVIII, 9 giugno 1797, pp $58-559· (2) Giustiniani , Annali della Repubblica di Genova, agli anni 144 , 1448 e 1449. (3) Arch. di Stato in Genova, Diversfil. 17. — 339 — incaricati speciali , e di punti prestabiliti, com’ è del resto naturale , in certi paesi, — ma ancora perchè dal medesimo si vengono a conoscere le stazioni intermedie designate e sufficienti affinchè le notizie stesse potessero essere segnalate dal Finale a Genova, e precisamente alla Torre del Capo di Faro. Tali stazioni erano Noli, Savona ed Arenzano. L’inviato doveva recarsi in quest’ultimo luogo, dove addetto alla cura dei falò era Gabriele Vento, ed a questo e ad Otto-bono Balbo, definito nel documento per uomo prudente e diligente, trasmettere le ricevute istruzioni, che sono in data degli 11 del mese suddetto : scrutassero 1’ orizzonte verso Occidente tutto il giorno e tutta la notte del mercoledì e del giovedì, e se vedessero durante il giorno un fumo, ne facessero essi pure uno, grande e prolungato in modo che si scorgesse dalla Torre del Capo di Faro ; se poi di notte vedessero tre fuochi, essi ne facessero altrettanti, contemporaneamente, ma distanti in guisa che non potessero venire confusi da lungi come un fuoco unico, inducendo conseguentemente in errore i Genovesi, pei quali la cosa era di grande momento ; così si dice nel documento, raccomandandosi quindi molta cura nell’esecuzione. Ciò fatto, Raffaele passasse a Savona e quivi raccomandasse a Tommaso Fregoso (i) di deputare uomini i quali osservassero i fuochi che si facessero , nel tempo indicato , da Noli ed eseguissero , dopo averli visti, nel luogo solito le stesse cose ordinate a Gabriele Vento e ad Ottobono Balbo , cosi che da Arenzano si scorgessero i segnali convenuti da trasmettere quindi a Genova. Per tal modo in brevissimo tempo si potevano comunicare a grande distanza cose importanti con un mezzo semplicissimo ; e invero , anche in epoche anteriori , ed in circostanze ben altrimenti gravi e di supremo momento per intere province — quali le invasioni dei Saraceni — grandi servigi resero questi fuochi, che, ardendo silenziosi, si innalzavano nel buio de la notte, non forieri di irreparabile sventura , ma nunzii agli uomini di imminente pericolo, ond’essi potessero in tempo correre al riparo. Si noti, che il documento porta la data del 1448; ma ciò per mera inavvertenza (non una sola volta riscontrata (1) Zio del Doge. Litta, Le famiglie celebri italiane, fam. Fregoso. — 340 — in carte appartenenti al 1449)» perchè, quando non bastasse il veder indicato quale Doge Ludovico Fregoso , il quale non succedette al defunto fratello Giano se non ai 16 dicembre del 1448 appunto (1), vi sarebbe pur sempre un altro documento comprovante in modo da non lasciar luogo a dubbio, che quello di cui e caso e proprio del 1449. Consiste questo in un incarico (2) dato in quest anno, e precisamente agli 11 di marzo , dallo stesso Doge e dal ricordato Ufficio della guerra finalina, a Bartolomeo D Oria « finarium accessuro », dove per prima cosa si dice : « Ordinem pharodiorum a nobis datum intelligetis ex copia eius quam dedimus vobis. Raphael enim Buronus curabit ut Saone et Arensani ea recte fiant, vobis cura sit ut ex Naulo significentur Saone : sub illo eodem ordine qui constitutus est». Si avverte infatti subito come Γ incarico dato a Raffaele Burone provvedesse veramente solo a ciò che si doveva fare ad Arenzano ed a Savona, ma non a Noli, del quale ultimo luogo doveva invece occuparsi il DOria, colle stesse norme, tuttavia, imposte al Burone. Ma siccome dai falò non si sarebbero potute ricavare notizie sufficienti e certe, dopo altre istruzioni, che vengono date al D’Oria stesso, si ritorna su quelli con queste altre parole, le quali mentre appaiono destinate a procurare novelle più precise, in altro modo ci fanno supporre che la cosa la quale si voleva sapere, e che non è specificata, riguardi la presa stessa di Finale, la quale nondimeno avvenne invece soltanto agli 8 di maggio (3): (1) Giust., op, cit., ad a. Giano mori ai 16 die.: 1’ ultima sua lettera è datata da quel giorno — e del giorno stesso è una lettera del Doge Ludovico (Arch. di Stato, Litt. voi. 14-179°» n* I775> I77^)· (2) Cit. Filza 17 dei Divers. (3) Filelfo, Bellum Finariense Anno Christi MCCCCXLVII coeptum etc., Rer. It. Script., T. XXIV, col. 1187 A. Del resto molti documenti intorno a ciò si trovano anche nella cit. Filza 17, dei quali non faccio alcun cenno, diverso e limitato essendo lo scopo di questo mio scritto. Ma poiché ho citato il Filelfo, devo fare una rettifica ad un lavoro che pubblicai nei Giornale Storico e Letterario della Liguria del 1905 (anno VI , pag. 361 e segg), col titolo: Alcune notizie intorno a Gio. Antonio del Fiesco ed a Nicolò da Campofregoso (1443-1452). Ivi io diceva, come non fosse a mia cognizione che della fine di quei due personaggi si trovasse presso gli storici alcun cenno 5 ma se finora nulla ho da mutare intorno a ciò, per quello che si riferisce al Fieschi, devo invece avvertire che la fine di Nicolò Fregoso è ricordata, incidentalmente, nell’opera cit. (col, 1161, E) del Filelfo — 341 — « Et tamen quia ordo datus pharodiorum non satis tutus ac certus est : necessarium videtur nobis ut quamprimum fmarium perveneritis et ea peregeritis que agenda sunt : sive perficiantur seu infecto remaneant: statim ac velocissime mari ac terra omnia nobis significatis : ne pendeamus ambigui a signis fumi ac ignium ». •φ· MCCCCXXXX viij0 [sic, per vnij] die xia martij. Ludovicus de campofregoso dux et officium belli finariensis : committimus et in mandatis damus hec que dicentur inferius vobis dilectissimo nostro Raphaeli Burono in occidentalem ripariam profecturo. Primum volumus ut accedatis Arensanum, et ad vos vocetis Gabrie-lem ventum et octobonum Balbum. Gabriel enim curam habet pharodiorum. Octobonum cognoscimus prudentem ac diligentem, et utrunque nostro nomine moneatis ut tota die ac nocte diei mercurij et tota die iovis et tota nocte ipsius diei iovis attenti vigilent ac perspiciant pha-rodia et fumos que fient ab occidente, et si viderint fumum unum die fieri : faciant etipsi fumum magnum diu durantem : ita ut turris capitis phari possit eum videre. Et si videbunt tria pharodia noctu fieri: faciant ipsi etiam tria simul et eodem tempore ita divisa ut longe separata videantur, ne ex vicinitate nos forsitan errare faciant. Qua de re onerate quantum poteritis utrunque ipsorum : quum res magni ponderis est. hoc dato ordine transite Saonam. ac nomine nostro rogate. 111. d.m Tomam ut homines constituat: qui similiter dictis diebus ac noctibus intenti maneant, et perspiciant que a naulo signa fient, que erunt fumus die et pharodia tria nocte: que in Saona in loco consueto ea o-stendant nostris in Arensano : ut sic certi simus eorum que cognoscere volumus ex finario. In quibus ea adhibeatur diligentia ut falli nequeamus. Ambrogio Pesce. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. ViNZENZ Samanek. Die Verfassungsrechtliche Stellung Genuas 1311-1313. — (Estr. dalle Mittheilungen des Insiti, f. osterr. Geschicht-forschung. Innsbruck, 1906). Nell’Archivio di Stato di Torino, nei fascicoli che portano il titolo inesatto di Repubblica di Genova, si conservano molte annotazioni ed contemporaneo , e nemico , coni’ è noto , dei Genovesi e dei Fregoso, il quale, anzi, aggiunge che il Doge Pietro prima di far troncare il capo al cugino, lo feri mortalmente: « affecit exitiali vulnere, et cuius deinde fecit caput truncari ». — 342 — abbozzi di documenti del notaio Bernardo di Mercato, addetto alla cancelleria dell’ imperatore Enrico VII di Lussemburgo. Insieme ad altri del notaio Paolo di Poggibonsi, e ad altri di notaio ignoto, questi documenti, assai probabilmente copiati e raccolti per servire alla cancelleria imperiale durante il viaggio dell’imperatore verso l’Italia meridionale, rimasero poi nelle mani del conte di Savoia, ai cui servigi Bernardo di Mercato passò dopo la morte di Enrico VII, e così vennero conservati nell’Archivio di Torino, dove un frettoloso e poco diligente ordinatore, tenendo conto soltanto del titolo di alcune carte, li dispose nel primo mazzo dei documenti riguardanti Genova. Il Samanek, che ve li trovò nel 1904 , dimostra in un capitolo introduttivo l’importanza di quelle carte, e sostiene con larga erudizione diplomatica che la distinzione fatta da altri fra Archivio imperiale e Cancelleria per scemare 1’ autorità di quei documenti, non ha valore e che i documenti, di varia specie del notaio Bernardo possono servire di utile complemento al Liber jurium di Genova, da cui furono a bella posta esclusi quegli atti che in certo modo potevano riuscir dannosi agli interessi della repubblica. Ciò premesso, egli viene a narrare , colla scorta dei documenti nuovi, opportunamente raffrontati con quelli già noti e colle fonti più autorevoli (Nicolò da Butrinto , il Mussato e lo Stella) , le relazioni corse tra Enrico e la città di Genova, dal momento in cui, quando il re dei Romani era ancora a Milano, i Genovesi gl’inviarono un’ambasciata per fargli omaggio, fino al giorno in cui egli morì, dopo aver cinta la corona imperiale. Ricorda come nel novembre del 1311 , su proposta di Guglielmo Fieschi e di Obizo Spinola, dopo che fu prestato il giuramento di fedeltà al re, fu data a lui piena balìa di pacificare la città, e perciò gli fu conferito il potere anche in tutto il distretto e la facoltà di occupare le fortezze (14 novembre I311)· Ma esaminando attentamente il documento, con cui il re prende possesso del potere (21 novembre, Receptio dominii Ianué) quale ci è dato dall’ abbozzo di Bernardo e pesandone le parole, il Samanek dimostra erronee le affermazioni del Canale , che in odio ad Obizo i Doria e gli Spinola di San Luca si dessero in braccio al re Enrico; osserva che, mentre il 14 novembre, su proposta del Fieschi e dello Spinola, il potere conferito al re non aveva limite di tempo , una settimana dopo di sua spontanea volontà Enrico limita il tempo a venti anni e fa altre restrizioni al suo potere. A quella spontanea volontà non crede il nostro autore , e cerca di spiegare e di indovinare ciò che in quella settimana può essere accaduto per indurre il re a modificare sostanzialmente il primo patto. Evidentemente , il re non potè o non volle togliere a Genova la libertà, perchè forse sperava di rendersela più fedele rispettando la sua autonomia, e perchè conciliando le due fazioni che straziavano la città, ripartendo equamente fra loro gli uffici e le magistrature, aveva — 343 — fiducia di ottenere più valido aiuto per le sue imprese navali contro il regno di Napoli. Questo concetto traspare specialmente da un abbozzo di istruzioni per il vicario che egli lasciò poi a Genova , nel quale leggiamo esser stata apparentemente lasciata ai Genovesi larga autonomia coll’istituzione di un consiglio di ventiquattro anziani, Il Samanek esaminando partitamente le istruzioni stesse , afferma che in pratica Γ autonomia veniva ad esser distrutta; ma, a dire il vero, il ragionamento suo intorno alle restrizioni dell’ autorità del Consiglio per mezzo della istituzione di due consiglieri di settimana (septimanarii) non mi persuade troppo , poiché mi sembra che egli attribuisca troppo valore a frasi generiche : nè io trovo che il diritto concesso ai settimanarii di respingere le domande rivolte al consiglio, sia da considerarsi, come vuole il Samanek , quale una evidente prova della poca libertà lasciata al consiglio. « Auf diese Weise , dice 1’egregio autore, konnte jegliche Angelegenheit , welche dem Vikar aus irgend ein Grunde missliebig war, unterdrückt verden ». E perchè? I settimanarii erano sorteggiati, uno fra i dodici consiglieri nobili, uno fra i dodici popolari: se essi erano d’ accordo, la petizione doveva esser presentata al consiglio. Queste ed altre disposizioni, contenute nel documento che riguarda il vicario, sembrano piuttosto dirette ad impedire le proposte di modificazioni e di ritocchi alla costituzione , così frequenti a Genova, e causa sempre di agitazioni e di torbidi. Il confronto coi documenti di Piacenza a me non sembra opportuno ; chè ben più recisa ed esplicita è in questi l’affermazione dell’autorità regia, mentre per Genova si tratta solo del caso di petizioni e di ricorsi. E così pure tutte le altre considerazioni che ΓΑ. fa intorno al numero dei consiglieri, con raffronti agli Statuti di Pera ed a quelli di alcuni luoghi della Liguria, se rivelano nel Samanek una larga conoscenza delle fonti genovesi, non mi sembra possano giustificare l'ipotesi dell’autore. Si trattava di un potere straordinario, di una costituzione temporanea, destinata specialmente al ristabilimento dell’ordine, e perciò ogni confronto cogli statuti passati e coi successivi è inutile; e le molte pagine (50-78) dedicate dall’autore alla discussione di questo argomento ed ai raffronti, ci sembrano, per lo meno, superflue, e non come egli dice, « von ausschlaggender wichtigkeit ». Nella seconda parte del lavoro , dopo aver a lungo discorso dell’amministrazione cittadina, con speciale riguardo alla finanza ed all’esercizio dell’imperium da parte del re e del suo vicario (anche qui, come a me sembra , dando soverchia importanza a frasi staccate di documenti ed a raffronti con altri paesi e con altri tempi), si viene a discutere della dominazione regia anche nelle due Riviere, esaminando il conflitto che doveva naturalmente sorgere fra il vicario e la città a proposito di quei diritti che Genova aveva e pretendeva di conservare nel suo distretto. Complicata e tutt’altro che chiara s’ era fatta la relazione della me- — 344 — tropoli colle città vicine , specialmente dopo che il sorgere delle fazioni aveva diviso i rivieraschi in due campi, gli uni parteggianti per la fazione che a Genova dominava , gli altri recisamente avversi. I privilegi concessi da Enrico VII ad Albenga , a Savona , a Noli non potevano riuscir graditi a Genova, perchè in sostanza essi colpivano i diritti di dominio , sanciti da secoli ; come pure non poteva riuscir gradito il fatto che in alcune città il re aveva mandato vicarii proprii. Di qui trae argomento l’autore per illustrare e mettere in evidenza un conflitto fra la cittadinanza genovese e il re, ormai divenuto imperatore, e del quale si ha notizia in un memorandum dei Genovesi ad Enrico VII, conservatoci fra le carte del solito notaio Bernardo , insieme colle risposte date ad esso in nome di Enrico dagli ambascia-tori imperiali venuti a Genova per conchiudere i patti relativi alla spedizione navale contro il re Roberto. Si tratta più precisamente di due suppliche, una delle quali sembra anteriore alla coronazione di Enrico, perchè vi si parla sempre del rex; l’altra posteriore , perchè egli porta già il titolo di iììiperator. Dopo aver determinato la data approssimativa di quei documenti , riferendosi assai opportunamente ad altri documenti datati del Liber j urium, il nostro autore passa ad esaminare le domande dei Genovesi e le risposte date in nome dell’ imperatore ; ed osserva che alcune di esse, più che reclami contro usurpazioni già avvenute , sembrano domande dirette a premunirsi contro eventuali arbitrii futuri. Non possiamo addentrarci nell’ esame minuto di quel gruppo di documenti. Ci basterà ricordare che l’articolo 4.0 della prima petizione si riferisce evidentemente alla giurisdizione di Genova sulle Riviere, nel senso che i privilegi concessi dal re ai comuni dipendenti da Genova non possano in alcun modo toccare e ledere i diritti della metropoli. Altre domande si riferiscono ai processi fatti nel tribunale imperiale contro Genovesi contumaci ; altre al magistrato delle prede ( che muovono i primi passi nella via dell’arte, si mostra di una paterna indulgenza. L’A. intitola la terza parte Critica e arte. Comincia a parlare del critico che giustamente vuole obbligato all’analisi anzitutto e poi allo studio del principio interiore vitale dell’ opera , cui deve egli avvicinarsi armato di saldissime norme. Però non si capisce perchè, trattando della critica , egli approvi , senza trarne le necessarie conseguenze e far le debite riserve, gli amori e gli odi inevitabili ai giovani nello studio dell’ opera altrui. Che se questi amori e odi sono veri e inevitabili, non meno è vero che i giovani debbano esser messi aH’ostracismo dal campo della critica. In questo senso ha conchiuso il Carducci nel noto scritto e ha fatto benissimo. Ma è facile accorgersi che l’A. prende ben presto le due parole critica e arte in significati molteplici, come a dire, per la prima, oltreché di esame dell’opera altrui, anche di cultura , di erudizione , magari anche di pedanteria; e, per la seconda , di prodotto spontaneo e originale della mente, di creazione intellettuale artistica ; epperò egli raccoglie in questa parte molti, moltissimi scritterelli: vi critica alcuni dannunziani, esalta un canto popolare della sua Val Camonica (davvero tanto bello che non si potrebbe crederlo d’un pastore, se il R. stesso non ga-ra?itisse della sua autenticità e non asserisse che quel pastore ha letto di molto; fra l’altro i Promessi Sposi e le Mie Prigioni) riprova l’ipocrisia in arte e le artificiose freddure del Marchese Braghieri , tocca del labor timae e della sua inopportunità in certi casi, e , riportata infine la recensione a Dopo il nembo del Flamini plaudendo al fatto che un erudito non trascuri la poesia, esalta, in un dialogo , 1’ aurea mediocritas dell’ artista che dovrebbe essere nè un dilettante nè un pedante. Nella quarta parte il R. tratta di cose drammatiche. Egli si professa « un convinto difensore della moralità nell’arte » e non può a meno di inveire specialmente contro i « gaudenti delle poltrone », che « hanno bisogno di emozioni morbose e non mai rinuncieranno agli specifici cantaridati del Donnay ». Costoro sarebbero « cialtroni ». E sarà; e, dopo di ciò , tralascio persino di citare le pagine critiche più importanti sugli Amanti, le quali, uscite dalla penna di altri non meno convinti difensori della moralità artistica, dimostrerebbero che questo lavoro , meglio d’ ogni altro, ci offre modo di conoscere lo sfacelo della psiche parigina, con un fine non meno nobile di quello degli Avariati del De Brieux, compatiti dal R. Piuttosto si sarebbe desiderato qualche notizia più larga sulla rap- — 34§ — presentazione religiosa, cui accenna a p. 282, e che ha un’importanza notevole pur discostandosi dai misteri veri e propri, giacché l’a. non si cura di dirci dove e quando fu prodotta. E se poi ci piace e ci persuade un confronto sul valore di certe esumazioni classiche dei nostri attori, davvero stuona invece anacronisticamente Γintrusione in questo volume di un articolo giornalistico inteso a deplorare P istituzione di un nuovo teatro nazionale vagheggiato dalla Duse e dal D’Annunzio, cioè a deplorare un pericolo che , nel 1906 , anno di stampa del volume, non più esisteva certo. Trascurando alcune quistioncelle di poco momento, vengo alla parte quinta che riprende il concetto già esposto del misoneismo dei bassoromantici contro il classicismo novatore del sec. XIX. Qui coloro che amano la letteratura non men leggiadra che leggera , possono trovare ancora moltissimo . dei graziosi raffronti tra motivi poetici antichi e moderni, una scoi sa attraverso gli scrittori che toccarono in prosa e in poesia del.... gatto, un parallelo tra il Bove del Carducci e quello del Pascoli , il resoconto di una dimora alpestre con Berto Barbarani , il poeta veronese , e di una visita in casa Fogazzaro ove Γ a. riscontra de visu i personaggi e i luoghi dei romanzi suoi, una lettera che pare una vendetta postuma di uno che non s’è divertito troppo a fare il soldato e un piccolo dramma alpino che assolutamente non so che abbia a fare con le teoriche e le polemiche di letteratura contemporanea. Senonchè in piena polemica ci troviamo quando il R., nella parte ultima (Filosofia spicciola]), dopo di aver propugnato ancora una volta la moralità dell’arte e di essersi riprofessato idealista , ritorna sopra una sua teoria che chiama Umanesimo cristiano. Egli vorrebbe in sostanza , il neocristianesimo indirizzato per la via dell’arte: V Umanesimo cristia?io consisterebbe nelle « nozze tra l’Evangelo e la bellezza antica » (p. 102), in un adattamento delle forme più pure dell’arte classica alla filosofia cristiana. E questa idea gli sarà forse balenata innanzi alla mente, come un giorno balenò 1’ idea delle Ascensioni umane a quella del Fogazzaro. Si capisce quindi ch’egli ne abbia difeso il processo aprioristico difendendo l’opinione del Fogazzaro che il poeta possa vedere la verità prima dello scienziato: e si capisce ch’egli ne abbia esaltato la pratica nell’ibridismo del Manni, cui è da concedersi tuttavia una coscienza di vero artista. Io non voglio , in ogni modo , discuterla : sono troppo profano di certi metodi e di certe dottrine ! Riferisco solo che questa è una deviazione della dottrina dei neocristiani, i quali invece vorrebbero una riforma dei riti e del culto esterno , poiché , basati come questi sono nella scolastica antica , mal reggono ai colpi del moderno criticismo. Il neo-cristianesimo dunque, partito e propugnato da validi campioni di Francia , che non trovo nominati nel libro del R., mosse alcuni seguaci italiani — e fra questi non certo i filosofi francesi promotori, ma qualche prete — a qualificare un "utopia quella del R., il quale, secondo essi, verrebbe a sostenere un’idealismo non pratico e non soddisfacente. Onde il dibattersi della pole- — 349 — mica, nella quale li lasceremo. In fine io non dico già che manchino in questo volume idee geniali, assennate e generose anche; manca invece assolutamente (toltane la teoria dell’ Umanesimo cristiano qua e là adombrata e ripresa) 1’ originalità sostanziale degli argomenti , che appaiono ormai triti e ritriti e che rivelano di frequente la loro origine giornalistica. Ê strano poi che non siano mai ricordati coloro che ne trattarono e in modo, per i più, definitivo: il Massarani, il Villari, il Croce e specialmente il Bonghi. Il volume è però scritto con quel garbo che anche altra volta abbiamo riconosciuto all’A.: questa volta poi la leggiadria va congiunta a una vera e propria verve che piace quando non è eccessiva. (Francesco Luigi Mannucci). Monografia storica dei porti dell'antichità 7iella penisola italiana — Id. nell’Italia insulare, Roma , 1905 , 1906 a cura del Ministero della Marina, in-4, voli. 2 illustr. — Il primo di questi volumi fu pubbli cato in occasione del Congresso internazionale di navigazione interna che ebbe luogo in Milano, e venne dal Ministero offerto agli intervenuti. Siccome tutto il materiale che doveva comporre Γ opera non fu allestito per Γ epoca prestabilita , così quella prima pubblicazione fu limitata ai porti dell’Italia continentale; e il secondo volume, che comprende le isole, uscito ad un anno di distanza dal primo, è venuto a completare l’opera. La quale, diciamolo subito, è l’effetto di una ottima idea del Ministro per la Marina, il quale volle affidarne la compilazione alle Deputazioni e Società storiche delle provincie costiere. All’ invito non tutte risposero accettando , di modo che la redazione di certe parti del lavoro venne affidata all’ opera di singoli studiosi. Fino dalla comparsa del primo volume la pubblicazione , sebbene lodata nel concetto e in parecchie sue parti, fu accolta da alcune censure, alle quali, come giuste e fondate , non possiamo che sottoscrivere. Fu notato anzi tutto che non da tutti gli autori si tenne esatto conto delle precise istruzioni date dal Ministero della Marina, che prescriveva non dovere gli scrittori inoltrarsi nel medioevo e tanto meno nell’epoca moderna; talché, mentre alcuni autori si sono arrestati alla caduta dell’ impero d’occidente, altri si son lasciati prendere la mano, e son venuti fino alla proclamazione del regno d’Italia, e più oltre ancora. Fu notato che esiste sproporzione fra le parti, perchè mentre certi tratti del littorale italico sono stati illustrati con minuti particolari storici e topografici, di altri al contrario è detto con troppo larghi tratti e con troppo grandi lacune, tanto che ne è venuto all’ o-pera una deformità, che si avverte subito e stuona. È stato notato il valore diverso dei singoli compilatori; alcuni dei quali hanno rivelata una indiscutibile competenza nella materia, scrupolosità scientifica di metodo, ed estesa coltura generale, mentre altri hanno dato prova di un ingenuo dilettantismo , ben lontano da quella rigorosa disciplina che dev’esser la principale guida in opere di tale natura. E di tutti questi difetti fu data colpa prima di tutto alla ristrettezza del tempo concesso alla compilazione, perchè l’idea sorse quando solo pochi mesi — 350 — mancavano alla apertura del Congresso di Milano. Ma se questa fu una delle ragioni dei difetti del libro, non ne fu l’unica nè la principale, perchè noi troviamo che il secondo volume, uscito a grande distanza dal primo, porge in parte il fianco alle stesse critiche. Non si pensò da principio ad una necessaria intesa ed al conseguente affiatamento tra i vari cooperatori, e ad affidare in ispecie la direzione della compilazione dell’opera ad una sola persona scelta tra le più competenti e versate nella materia, la quale avesse facoltà, con l’autorità del nome e dell’incarico ministeriale, di mantenere uniformità d’indirizzo, di criteri, di metodo, e che senza riguardo o scrupoli tarpasse o sopprimesse le monografie non rispondenti appieno alle norme stabilite. Questo fu notato subito dal prof. Manfroni (cfr. Rivista marittima, nov. 1905 , p. 440) a proposito della prima parte dell’opera ; e questa fu la causa precipua, secondo noi, del non buono che nel libro la censura ha rilevato. Ma la critica è stata pure concorde nell’ applaudire al molto di utile e di ottimo che P intera opera contiene , e questo plauso anche a noi sembra meritato. Tanto che uniamo il nòstro al voto da altri espresso, e, a quanto pare, già raccolto (Cfr. Rivista Geografica Italiana, i9°7> Pa&· 249) 1 c^e presto si faccia una seconda edizione dei due volumi, interamente rifondendo il lavoro, e portando la trattazione dell’argomento fino ai tempi moderni. Se l’idea verrà tradotta in atto, la direzione dell’opera sarà certamente affidata ad un tecnico per la divisione della materia, per la rigorosa uniformiità del metodo, per la proporzione delle parti ; sarà limitato il numero dei collaboratori per maggior omogeneità, e garanzia maggiore di valore dell’opera. Così si eviteranno i lamentati inconvenienti , a cui vanno aggiunte certe stridenti contraddizioni fra le affermazioni d uno scrittore e quelle d’ un altro , dovute al diverso modo di apprezzare un fatto o di interpretare un testo ; così non sarà dato quartiere a certe tirate di bolsa retorica, che possono trovare lor sede nella cronaca d’un giornale, non in un libro scientifico. Siamo ben lieti di constatare che largo contributo all’opera è stato dato dalla Società Ligure di Storia Patria, la quale, ha concorso con sette lavori , dovuti ad altrettanti dei suoi suoi soci, alla compilazione del primo volume, cioè con una prefazione storica di Anton Giulio Barrili, e con sei monografie illustranti il littorale Ligustico dal Varo fino a Viareggio (cfr. questo Giornale, a. VI, 1905, pag. 238); e ha contribuito con una settima monografia sui porti della Corsica , dovuta al socio Arturo Ferretto, inserita nel volume relativo all’Italia insulare. Matteo Pozzo. I funghi secchi di Varese Ligure e Giovacchino Rossini, Genova, tip. d. Gioventù, 1906; in-16 , pp, 12. Il cardinale Giacomo Filippo Frausoni genovese, i775'l856> Ivi> in'8> PP* *9 con rit. — Domenico ed Emanuele Solari, ricordi, Ivi, 1907, in-8, pp. 25 con rit. — Carignano, ricordi, Ivi, 1906, in-8 , pp. 36 con fig. — Porge argomento alla prima pubblicazione un curioso aneddoto che illustra la fama di buongustaio onde il Rossini andava famoso del — 351 — pari che per il genio musicale , e ci fa conoscere le relazioni ch’egli ebbe con uno dei nostri patrizi genovesi , del quale però si tace il nome. La cassetta contenente i desiderati funghi, non arrivata a destino che assai tardi e in seguito a ricerche insistenti , diede luogo a due lettere del maestro che vengono qui prodotte integralmente; esse sono del novembre 1867 11 n anno innanzi la morte del grande pesarese. Ricordi biografici e insieme aneddotici porge 1’ a. così del cardinale Giacomo Filippo Fransoni che fu Nunzio Apostolico in Portogallo e Prefetto di Propaganda, uomo di grande integrità , d’animo mite, e di spirito antico e modesto ; come dei due fratelli Domenico ed Emanuele Solari, nati a Chiavari da una zia di Giuseppe Mazzini; morto il primo in piena virilità nell’invasione colerica del 1835 quando già aveva levato di sè buona fama come avvocato nella pratica e negli scritti; 1 altro mancato nel 1853 al Perù, dove aveva trovato una larga ospitalità, e degno ufficio nell’insegnamento; mentre in patria, dopo aver prestato l’opera sua all’ospedale di Pammatone, ed essersi distinto ne tristi anni del contagio, sul quale con una pregevole pubblicazione aveva fatto studi speciali, non trovò grazia presso il governo, che nel 1840 gli negò la cattedra universitaria per i suoi principi politici professando egli le dottrine dell* esule suo cugino. — Se il P. ha utilmente attinto dalle memorie e dalle carte di famiglia nelle ricordate scritture, ci dà una geniale esumazione tutta di ricordi personali con il Carignano. Leggendo queste pagine piacevoli torniamo addietro parecchi anni e ci ritroviamo ancora su quell’ ameno colle, quando non poteva dirsi come adesso un popoloso quartiere della città, ma il tradizionale luogo eccentrico di villeggiatura, di passatempi, di svago dei genovesi. Tornano innanzi ai nostri occhi , le viuzze, gli orti, le ville, le rare case , le chiese , i conventi, gli istituti, e poi i tipi più notevoli e curiosi, le abitudini, i divertimenti, le conversazioni; tutto quanto in fine dà rilievo e risalto ad un ambiente quasi interamente scomparso , e che pur porge argomento di studio e di osservazione a chi tien dietro con occhio vigile al trasformarsi della società. Feriis saecularibus R. Athenaei. Tavrinensis. A. D. VI. Kal. Nov. An. MDCCCCVI. Litterarum, formis, expressum, in. regia, officina. Libraria, fratrum. Vigliardi-Paravia. Augustae. Tavrinorum. In fol., pp. 35, con tav. — È questo un bel ricordo del quinto centenario dalla fondazione dello Studio torinese. Le feste di circostanza che si dovevano celebrare nel 1904 a cagione del fatale incendio della biblioteca, vennero rimandate al 1906 , riunendo così due date gloriose e memorabili. Il prof. Stampini prelude in nome del rettore Chironi, esponendo in bel latino la ragione della pubblicazione, e vien subito dopo la epigrafe commemorativa, dettata dalla stessa penna elegante , che fu inaugurata nell'Ateneo; di essa oltre la trascrizione, abbiamo anche il facsimile. Del pari si dà il facsimile della bolla di Benedetto XIII che istituisce lo studio nel 1404 > del diploma relativo di Sigismondo — 352 — re dei Romani nel 1412; di alcuni frammenti del ms. di Francesco d’Aguirre sulla fondazione e sul ristabilimento dello studio , ms. che fu assai danneggiato nell’ incendio ; di due pagine della relazione scritta da Scipione Maffei sul migliore ordinamento dell’università torinese ; del nuovo diploma di laurea incominciato ad adoperarsi in questa circostanza. Tutti questi facsimili molto bene riprodotti in fototipia, recano innanzi opportune dichiarazioni e notizie : notevole 1 illustrazione del nuovo diploma dottorale per una sommaria notizia storica sullo svolgersi degli studi in Piemonte. La biblioteca Marciana nella sua nuova sede. XXVII aprile MDCCCCV. Bergamo, Off. Ist. Arti grafiche, 1906; in-4, pp. 117, con fig. e tav. — L’insigne biblioteca di Venezia fondata da Francesco Petrarca, resa illustre e famosa per il dono regale del Bessarione, ha trovato finalmente fermo e proprio assetto in uno speciale edificio, per l’arte e per la storia degno e decoroso. Allorquando venne inaugurato il nuovo istituto, la direzione, con ottimo consiglio, mandò fuori questo bel volume, affinchè del fatto, per più ragioni notevole, rimanesse certa e sicura memoria. Non è una pubblicazione accademica , ma, secondo si conveniva alla circostanza , storica e scientifica ; utile perciò a conoscere le vicende della biblioteca , e a porgere preziosi insegnamenti per chi voglia trasferire , ordinare , collocare una suppellettile ingente di libri, manoscritti, cimelii, senza deplorare dispersioni o disordinamenti, per cui si renda difficile o impossibile il ritrovare quanto dagli studiosi viene richiesto. Dopo le belle parole, onde il Sindaco, e il Sottosegretario di Stato per la Pubblica Istruzione, auspicarono al rinnovato istituto, e che sono come il preambolo della ben intesa raccolta, si legge un discorso del bibliotecario Salomone Morpurgo, che toccando la storia della Marciana, si ferma a ragione sulle vicende ultime che condussero , attraverso a pratiche lunghe e faticose, nella nuova sede tanta ricchezza intellettuale antica e moderna. Qui non rettorica, non sfoggio di facile e minuziosa erudizione, ma semplice, chiara, limpida esposizione di fatti acutamente rilevati, garbatamente esposti. Illustrano i punti salienti di questo discorso, le monografie dalle quali è seguito. Viene prima il racconto documentato in ogni sua parte, che ci dà piena notizia del periodo più fortunoso, non è improprio dir rivoluzionario, il quale muovendo dal 1797 giunge al 1812 quando Γ imperiale volere costrinse la biblioteca a lasciar la sua sede naturale, per essere allogata come meglio si poteva nel palazzo Ducale. Racconto, secondo era dal tema richiesto , assai particolareggiato, e che è insieme un ottimo contributo di storia civile e letteraria, dove campeggia, in mezzo alle insigni personalità di Napoleone e di Canova, la figura modesta e simpatica di Jacopo Morelli , la quale anziché essere oscurata dal fulgore che emana da quei grandi, vien circonfusa di quell’aureola , onde rimarrà perenne ed immortale la sua fama. Questo episodio , che dobbiamo alla penna erudita di Giulio Coggiola, ci mette sotto gli occhi una parte importantissima - — 353 — della storia della Marciana interamente nuova, chè nessuno di proposito se n’era occupato; mentre il diligente a., attingendo alle fonti migliori, ha fatto opera organica e definitiva che rimarrà come capitolo notevolissimo a chi voglia conoscere le vicende di quella biblioteca. Ma perchè fosse noto in quali disagiate condizioni essa si trovò nel palazzo dei Dogi, lo stesso a. ne espone la storia topografica, gli adattamenti, i conceri , le aggiunte , gli espedienti, tutto quanto insomma in quasi un secolo fu necessario di operare, affinchè quel locale, certo splendido per sè ma disadatto al nuovo ufficio onde venne costretto, rispondesse meno male ad accogliere, accomodare, adoperare tanta mole di libri, che andava man mano, com’è naturale, sempre crescendo. E di lì convenne finalmente esulare, rifacendo un cammino ben noto, per tornare presso alla prima e naturai sede sansovi-nesca, nel palazzo allo stesso architetto dovuto ed eretto in servigio dalla Zecca. E qui riprende a dire il Morpurgo del modo onde avvenne il trasferimento, delle opere necessarie all* adattamento dei locali, di tutto quanto concerne 1’ arredamento e la collocazione ; del servizio e del modo con cui è ordinato : chiara e importante esposizione di biblioteconomia, dalla quale si possono trarre ammaestramenti di non piccolo momento da coloro che sono preposti a congeneri istituti. Chiude il volume una diligentissima bibliografia marciana compilata con buon metodo da Giulio Levi , integrando quella già messa in pubblico dal Valentinelli, e seguitandola fino ad oggi. — Ben scelte le numerose figure, piante, ritratti intercalati nel testo, sì come le tavole e i facsimili che adornano questa pubblicazione , alla quale le riputate officine bergamasche hanno saputo dare, com’è loro costume, veste splendida e in un tempo severa al subbietto conveniente. Paolo Barsanti, Il pubblico insegnamento in Lucca dal secolo XIV alla fine del secolo XVIII. Lucca, Marchi, 1905; in-8, pp. 259, con rit. — L’a. ha studiato il soggetto che si era proposto con molta cura, e, seguendo un buon metodo, ha raccolto mercè diligenti e ben condotte ricerche , grande quantità di fatti e di notizie atti a colorire e a lumeggiare il suo disegno. La bibliografia ch’egli ha premesso al lavoro, i documenti da cui 1’ ha fatto seguire , e i molti richiami alle carte d’archivio, a manoscritti di biblioteche, ad opere d’indole generale attestano la buona preparazione da lui acquistata per raggiungere il suo fine. Così lo studio metodico dell’ ampio materiale gli ha suggerito il modo di farlo conoscere, di esporlo , e di disciplinarlo , affinchè riuscisse chiara e convenientemente rilevante questa pagina della cultura in Lucca. Quivi Γ insegnamento per documenti sicuri muove regolato e regolare dalla metà del secolo XIV ; ma non è a credere mancassero le scuole nei secoli anteriori, di che, se le vicende de’ tempi hanno vietato giungessero fino a noi carte certamente esistenti, pur si trovano indizi, sebbene frammentari, e qualche volta in- Giorn. Si. e Lctt. della Liguria. 24 I — 354 — diretti. Codeste notizie più antiche non trascura il B. mentre le mette in relazione opportuna con quelle che in generale riguardano le scuole nelle altre città d’Italia. Ma incominciando dal trecento egli può con fondamento discorrere della istituzione scolastica nella repubblica, ne’ vari suoi rami, onde noi vediamo ricordate le scuole elementari, quelle d’abaco e di geometria, convenienti ad un popolo volto ai traffici ed al commercio; sì come quelle del notariato, della logica , della filosofia, del diritto , e , alcun tratto , anche di teologia. Se quasi mancarono insegnamenti speciali di medicina e di chirurgia, vi furono invece coltivate le arti belle , e cioè la musica , la pittura e il disegno di cui i reggitori della città si occuparono con sollecita cura. Se non che questo fervore nel dar opera alla pubblica istruzione si arrestò alle scuole primarie ed all’insegnamento secondario, ossia umanistico; aveva ottenuto la repubblica privilegi imperiali e pontifici per istituire uno studio , e 1’ avrebbe agevolmente potuto , poiché in essa concorrevano tutte le qualità a ciò opportune ; ma deliberatamente non lo volle. A questo proposito il B. combatte le ragioni messe innanzi da altri per ricercare le cause di codesta mancanza, riuscendo a conchiudere, e ci sembra giustamente, che le condizioni politiche interne consigliarono il governo a non accogliere un istituto, che se poteva recare utile e-conomico alla città, sarebbe riuscito del pari fonte di turbamenti esiziali alla quiete pubblica ed al regolare funzionamento dell’azienda di stato. Provvide bensì ad agevolare a’ suoi cittadini il modo di accedere alle altre università , concedendo sussidi , e istituendo borse di studio; di più furono date sovvenzioni opportune ad un numero determinato di giovani, affinchè potessero in Roma educarsi al tirocinio diplomatico. Esposte dal B. nella prima parte le notizie che riguardano in generale lo sviluppo della istruzione, viene a discorrere particolarmente nella seconda degli ordinamenti scolastici , delle materie d insegnamento, della condotta de’ maestri, delle loro relazioni con 1 autorità e coi discepoli, delle modalità degli studi , di quanto in fine a questi si attiene così nell’ ordine didattico come disciplinare. Qui la narrazione assume un carattere più regolare e si giova , con ottimo accorgimento , di un ricco materiale ben disposto e strettamente legato dall’ordine cronologico e dall’ intendimento scientifico. Cosi assistiamo allo svolgersi in quelle scuole dell insegnamento grammaticale, e di quello umanistico, quando questo in ispecie assume tale e tanta importanza da costituire il maggior titolare della cattedra quasi un direttore degli studi , o , come oggi si direbbe , del ginnasio ne’ due gradi inferiore e superiore. Periodo assai notevole ebbero le scuole lucchesi nei secoli XV e XVI, poiché in esso vediamo figurare nomi di maestri rimasti famosi nella storia letteraria ; basta il rammentare per tutti quello di Aonio Paleario illustre e significativo per doppia ragione , sul quale l’a. si intrattiene , ed era ben naturale , con maggior larghezza e con nuovi tocchi e rilievi. Una certa fiacchezza che prelude allo scadimento, si manifesta nel seicento; periodo in cui po- — 355 — chi sono i maestri chiamati d’altronde, e prevale invece l’elemento locale, dove tuttavia si riscontrano uomini di qualche valore , che valsero a mantenere in certo credito le scuole lucchesi, la cui decadenza si accentuò nel secolo seguente fino alla creazione dell’ Istituto di S. Frediano, limite al quale si arresta nella sua esposizione il B., poiché di esso istituto intende trattare in un lavoro speciale Abbiamo detto da principio che l’a. si è procurato un solido fondamento al lavoro, con la conoscenza di molte scritture al suo soggetto attinenti; ma dobbiamo rilevare che non si è giovato, rispetto al secolo XVII, di un capitolo assai importante dell’opera ben nota di Giovanni Sforza sopra Francesco Maria Fiorentini : è il capitolo terzo della seconda parte , nel quale si discorre appunto con larghezza delle scuole in Lucca, e dei maestri lucchesi. Ciò tuttavia non infirma la lode che merita sotto ogni riguardo questo libro, dove lo studioso trova tanta messe di utili notizie, di importanti documenti, e di assennate osservazioni. La nostra regione ligure e lunigianese trova nelle scuole di Lucca alcuni nomi suoi fra i maestri , de’ quali ci piace tener nota: nel sec. XIV Guglielmo e Bartolino da Verrucola, Paolo da Vezzano, Francesco da Moncigoli, lo stipite probabilmente della famiglia Medici di Lucca; nel quattrocento Agostino da Fivizzano, Bartolomeo da Pontremoli, Angelo da Fivizzano, Francesco da Villafranca, Domenico da Carrara, e quell’Antonio da Vagli in Garfagnana che sul cadere del secolo s’era recato a Genova ; nel cinquecento : Pietro da Noceto e Benedetto Tagliacarne , famoso sotto nome di Teocreno , detto comunemente sarzanese, ma forse meglio di Levanto, che richiamato nel 1517 non potè tornare all’insegnamento essendo stato eletto fino dal 4 ottobre 1514 in notaro e cancelliere della repubblica di Genova. Maria Bricca. Confei'enza detta in Pianezza il j.° ottobre 1Ç05 dal-ΓOn. Paolo Boselli. Torino, Tip. Subalpina, 1906; in-8, pp. 32. — La nota leggenda ha in queste pagine il battesimo della storia, poiché posta in relazione coi fatti, riceve quel lume e quel sapore di verità, che segna 1’ importanza rilevante dell’atto eroico della strenua popolana. Il B. con una* forte e sicura preparazione trasfonde nella sua geniale, rigorosa ed elegante esposizione, il succo di studi meditati, così nel metter dinanzi al lettore la condizione de’ tempi e degli uomini, come le cause e lo svolgersi degli avvenimenti. E se degli uomini, pur locati in altissimo luogo, loda le virtù non tace i vizi e gli errori; del pari misura e giudica con equa lance ed acuto rilievo le azioni, secondochè la critica storica gli suggerisce e gli detta. E a questa stregua riescono sapienti ed utilmente feconde le osservazioni, i riscontri, i richiami, le comparazioni, che tutt’insieme appuntano a quel senso d’italianità, onde il grande fatto del 1706 ha dato le mosse e che doveva nel proceder de’ tempi esser lievito a più larghi gloriosi destini. Dei tìtoli ?iobiliari dei patrizi genovesi e della famiglia de Ferrari della Croce. Genova, Tip. della Gioventù, 1906, in-8 gr., di pp. 152, — 356 — con fìg. — Compilatore di questo volume è Tommaso Giambattista de Ferrari, discendente dalla famiglia di cui quivi si parla. Egli ha fatto certamente opera di non lieve fatica nel raccogliere tante scritture, notizie, alberi, imprese ecc., ritenute da lui attinenti all’ argomento araldico che ha voluto illustrare; e delle notizie che vi si possono attingere anche lo storico regionale gli dovrà esser grato. Spetta poi agli specialisti nella materia nobiliare e genealogica il decidere se tutte le opinioni e le conseguenze dell’ autore abbiano valore. Camillo Manfroni. Lezioni di storia d’Europa e specialmente d'Italia. Livorno, Giusti, 1906-1907, voi. 3. — È un’ opera scolastica, dettata specialmente in servigio dell’ istruzione secondaria, e condotta col metodo e col materiale onde l’a. impartisce le sue lezioni nella scuola di Magistero. Ottima cosa, perchè da questa dovendo uscire i docenti per gli istituti secondari il lavoro ha di per sè un intento didattico ben definito; e se esso riesce buono nella pratica universitaria, dovrà del pari essere proficuo nelle applicazioni della scuola secondaria. Infatti il metodo si è riconosciuto buono e assai accomodato al suo fine, e perciò le lezioni, che erano prima in numero più ristretto, si sono venute di molto aumentando, per desiderio de’ professori stessi, i quali hanno provato la bontà del testo, così rispetto alla economia della .materia come alla forma. In tal modo ne’ presenti tre volumi abbiamo rispettivamente la parte che i programmi assegnano a ciascuna delle classi liceali, di guisa che muovendo dalle invasioni de’ barbari si discende fino ai giorni nostri, e con buon consiglio il racconto rapido e serrato in alcuni punti si allarga in certi speciali periodi di capitale importanza, e diventa più ampio e più nutrito là dove tratta de’ fatti contemporanei, e cioè dal 1748 in P°i- Succosi cenni provvedono a porgere una breve idea sintetica dello svolgimento scientifico, letterario, artistico, quasi a sopperire in piccola parte al difetto d’ un insegnamento sostanziale ed ordinato della storia della civiltà. Sussidio alla memoria, e utile schiarimento sono le genealogie, e, in ispecie, i quadri sincroni, fonti e richiami di osservazioni rilevanti che possono scaturire dai confronti a cui l’accorto insegnante solleciti 1’ attenzione degli allievi. Ma a questi soltanto non si palesa giovevole il presente lavoro, bensì anche a coloro che , non facendo professione di studio, intendono tenersi paghi d’una mezzana cultura; poiché in queste pagine troveranno quanto è necessario a conoscere gli avvenimenti del-1’ Europa, e incitamento e guida a più largamente erudirsi. Henri Hauvette. Littérature italieìine. Paris , A. Colin, 1906 ; in-16, di pp. 518. — Se mal converrebbe all’ indole di questo periodico un’analisi minuta del recente volume , che venne ad arricchire l’utile e riuscita collezione & Histoires des Littératures intrapresa dall’editore Colin di Parigi , gioverà nondimeno accennare a quei meriti d’insieme che lo rendono davvero prezioso per i lettori stranieri , ai quali è destinato, e meritevole di nota anche per gli studiosi italiani. Chi conosce Γ Hauvette nelle sue profonde monografie su svariati — 357 — punti della nostra letteratura, chi sa con quanto profitto da quasi tre lustri egli svolga in Francia corsi di lingua e di lettere italiane, naturalmente s aspetta da lui la piena informazione ch’egli dimostra in questo lavoro d’insieme; ma un altro merito trova certo da segnalare, con tanto maggior compiacenza , in quanto ai letterati nostri non è purtroppo comune. Nelle cinquecento e più pagine del suo libro, mai un istante 1 autore perde di vista il vero scopo al quale esso è rivolto. Parlando ad un pubblico largo, colto sì ma non di eruditi, egli fa in modo che ognuno possa seguirlo, oltre che con vantaggio, con la soddisfazione che suscita nell’ animo una 'guida garbata, ben lon-lontana d istinto e di proposito dal far gravare sull* uditorio il peso delle ricerche onde trasse il sustrato della sua dottrina fresca e profonda. Ecco perchè l'opera, improntata a soda eleganza di dettato, si legge senza fatica , anzi attira piacevolmente di pagina in pagina. Dando il massimo rilievo ai poeti ed ai pensatori più noti , più rappresentativi dei vari periodi , l'Hauvette raccoglie intorno ad essi in differente luce le figure secondarie: per tal guisa rimangono delineate chiaramente le grandi età della nostra letteratura e quelle principali correnti d'inspirazione , che le conferiscono impronta sì caratteristica nel movimento del pensiero mondiale. Lucida insomma e diretta da un criterio assai felice ci sembra la struttura del libro. Rilevante altresì 1' ultima parte , data alla letteratura moderna e contemporanea d'Italia, dov'è larghezza non comune di ragguagli e di apprezzamenti. (F. P.). SPIGOLATURE E NOTIZIE. Giampietro Vieusseux scriveva al Leopardi Γ8 dicembre 1831 : « Anche in Genova e in Torino fu applaudita la mia risposta a quello sciocco del frate Spotorno; il quale però non si tiene per vinto e vuol rispondere » (in Leopardi inedito dalle carte napoletane, Firenze, Le-monnier, 1906, pag. 178). Nella prefazione all’annata 1831 del Nuovo giornale Ligustico si discorre con certa severità dei giornali letterari che si pubblicavano in Italia, per finire con P apologia del Giornale Ligustico pubblicato negli anni antecedenti (1827-29) e col proposito di seguitare con i medesimi intendimenti. Quivi si tocca anche dell'Antologia in modo non solo poco benevolo , ma per alcuni rispetti addirittura sconveniente. Il Vieusseux rispose nel fase, d’agosto 1831 (pag. 172 e seg.) con serena fermezza e con molta dignità, al che lo Spotorno tentò una replica invero assai infelice (ivi, pag. 2Γ4, cfr. anche Prunas, L’ « Antologia », Roma, 1906, pag. 287 e seg.). Non era questo ligure erudito uno « sciocco », tutt’ altro ; ma avversario acerrimo dell’ indirizzo letterario , e diciam pure politico e sociale assunto dalla Antologia, non lasciava passare occasione veruna senza bezzicarla con la sua caustica penna. — 358 — Vittorio Poggi comunica al Cittadino di Savona la notizia seguente: « La civica Pinacoteca si è di questi giorni arricchita d un nuovo cimelio che per quanto di modeste dimensioni (m. 0,85 per 0,70) e, quel che è peggio , non abbastanza risparmiato dall’ azione deleteria del tempo, ha pur tuttavia una peculiare importanza dal punto di vista della storia dell’arte locale. Trattasi, infatti, d un auto-ritratto, dipinco a olio su tela , del pittore savonese Paolo Gerolamo Brusco (1742-1820) , artista che fu ai suoi tempi facile princeps ed e-sercitò una vera dittatura sui professori del disegno in Savona; mentre viva è tuttora nel nostro popolo la tradizione dei suoi motti gioviali e dei molti episodi umoristici di cui fu il protagonista. Di questo geniale pittore, di cui ridono con tanta grazia di linee e tanto splendore di tinte, le tele e gli affreschi pennelleggiati in una quantità di chiese e palazzi di Savona e dei paesi circostanti , non cono-scevasi finora alcuna effigie autentica, essendo egli sempre stato, per indole e per sistema, assai poco curante della reclame. È dunque una vera fortuna per la storia della pittura savonese e una vera festa pei cultori delle patrie memorie, che un ritratto di mano dello stesso Brusco faccia oggi finalmente la sua apparita nella nostra Pinacoteca, dove giunge in buon punto ad accrescere la serie iconografica dei Savonesi illustri iniziata da pochi anni e nondimeno già a buon punto condotta dalia buona volontà della benemerita Commissione direttiva. Il pittore è rappresentato nel periodo più attivo della sua lunga e laboriosa carriera artistica, nell’età fra i 40 e i 45 anni, in costume d artista, la zazzera impolverata di cipria, che incornicia un viso pieno di espressione e a cui dà grazia un capriccioso berretto da studio. La disinvoltura delle linee e la tonalità delle tinte sono quelle, appunto, che caratterizzano il facile e brioso pennello del nostro Brusco nella sua prima maniera, affine a quella di Pompeo Battoni sotto il quale studiò a Roma, e di cui subì per molto tempo 1’ influenza. Il prezioso autoritratto è liberale dono dell’egregio concittadino, capitano marittimo cav. G. B. Minuto ». Una lettera assai interessante di Carlo Rossi di Carrara , fratello al celebre Pellegrino, è pubblicata in Foglie sparse (a. II, n. 4, pag. 62 e segg.). Il Rossi che era andato a trovare il fratello a Parigi, scrive di là alla sorella Marianna il 7 giugno 1841; le dà contezza del suo arrivo il 29 maggio, di molte particolarità riguardanti il fratello, di quanto ha osservato; delle gite da lui fatte; della vita domestica’e via dicendo. Fu presente all’ Istituto quando venne ricevuto Vittore Hugo « celebre compositore della Zingara » com’ egli scrive. Osserva « a qual alto grado è Γ istruzione pubblica in Francia. Fino le rivendugliole ho veduto leggere i giornali e dei libri » , cosa che desta in lui gran meraviglia. — Di Pellegrino è poi una lettera da Ginevra, 11 dicembre 1819, scritta ad un suo cugino, quando ebbe notizia della morte del fratello Vincenzo avvenuta a Cadice dove ei si trovava per ragion di commercio. (Ivi, n. 5, pag. 84 e segg.). E — 359 — assai interessante per conoscere l’indole dell’uomo, e i sentimenti verso la famiglia. -X-** Abbiamo pubblicato due anni or sono alcuni documenti intorno ad un viaggio che Tommaso Moroni da Rieti si proponeva di fare nella Spagna nel 1439 [Giornale , a. V, pag. 22 e segg.) ; ma non ci era noto allora se veramente poi si fosse recato colà. Ora una lettera assai curiosa ed importante di Tommaso stesso scritta da Siviglia al cardinale Prospero Colonna , non solo ci assicura che quel viaggio fu compiuto, ma ci dà contezza particolareggiata della via tenuta, e di quanto avvenne in quel singolare episodio della sua vita. Fra le altre cose notevoli rileviamo che egli aveva lettere del re Renato d'Angiò , le quali a Lerida gli furono sequestrate insieme con quelle dei 'genovesi, e si dovette perciò trovare a Siviglia privo di quella onorevole commendatizia che il doge gli aveva rilasciato, per i consoli e i mercanti genovesi colà dimoranti. Il Beltrami che manda in luce per la prima volta codesta lettera al Colonna (Giornale storico d. lett. ital., vol. XLIX, pag. 349 e segg.) giustamente rileva che, sebbene non rechi l’anno , fu certo scritta il 13 giugno 1439 ’> e che la partenza di Tommaso per la Spagna non può essere avvenuta prima del 26 febbraio , perchè da una lettera del Filelfo di questo giorno, pubblicata di recente dal Sabbadini , si ha la notizia che il Moroni, tornato da poco da una legazione a re Renato, si trovava allora a Firenze. Congettura quindi con buon fondamento il Beltrami che sia andato in Ispagna con qualche incarico diplomatico al quale per fermo non doveva essere estraneo il governo di Genova. *** Il dottor Alfredo Zimmerman ha tenuto una conferenza a Berlino nel « Circolo italiano » intorno al noto Teodoro re di Corsica. Egli si è specialmente giovato dei documenti che si conservano a Londra nel Museo Britannico, e della tradizione attinta nell’isola. Un riassunto di questa conferenza storica è dato da Giannetta Ugatti Roy che era fra gli uditori (cfr. Vita internazionale, a. X, n. 9, p. 210). *** In una busta delle carte che formano 1’ appendice alla Collezione Galileiana conservate nella Nazionale di Firenze , esiste (busta n. 9, c. 313-314) una canzone di Gabriele Chiabrera indirizzata a D. Giovanni de’ Medici, a tergo della quale lo stesso Galileo scrisse la indicazione dell’autore. La canzone è a stampa e figura due volte nelle Opere (ediz. Venezia, 1757, vol. I, p. 209 e vol. IV, pag. 1) con qualche diversità di lezione fra l’una e l’altra, e anche nel numero delle strofe. Il testo pervenuto in mano a Galileo a quale delle due forme risponde? ed è autografo? — Con D. Giovanni fu il Chiabrera in ottimi rapporti, e più componimenti egli scrisse per lui; nell’agosto del 1615 gli mandava il suo poemetto Firenze allora stampato (cfr. Giornale Ligustico, a. XVI, pag. 335 e 346; e Rime e lettere inedite, Savona 1888, pag. 30); lo fece ringraziare per mezzo di Cosimo Baron-celli come si rileva da una lettera sua del 5 sett. 1615 , dove si leggono queste parole: « Hebbi il Poema del S. Chiabrera, et con questa — 360 — sarà la risposta: V. S. a mio nome lo ringrazi e me gli offerisca affettuosamente siccome cordialmente io l’amo ». (Cfr. Favaro, Galileo Galilei e Don Giovanili de* Medici in Arch. Stor. Ital., vol, XXXIX, pag. 120 e seg.). *** Alla storia letteraria degli umanisti liguri aggiunge Remigio Sabbadini due lettere ; una del Panormita a Bartolomeo Guasco ed un’altra di questi al Panormita. Tratta la prima dal cod. Ambrosiano 4, 192 inf., l’altra dal Riccardiano 924. Queste lettere non hanno data, ma l’editore con la nota competenza le attribuisce al periodo che corre fra il 1429 e 1434 (cf. Spigolature di letteratura siciliana ?ielsec. XV, in Arch. Stor. per la Sicilia Orientale, a. IV, p. 121 e segg.). Segnaliamo una notevole recensione di Alessandro Lattes intorno alla prima parte dell’opera di Enrico Sieveking sulle finanze genovesi e sulla casa di S. Giorgio, tradotta e pubblicata negli Atti della Società Ligure di Storia Patria. È fatta con lucidità e competenza, e reca alcuni utili rilievi (in Arch. Stor. Ital cit.). Angelo Marchesan pubblica Le Rime di Iacopo Antonio Benaglio poeta trevigiano del primo cinquecento (Treviso , Turazza, 1906) e vi premette le notizie della vita, dove rileva che Iacopo Antonio venne e dimorò a Genova, e vi scrisse delle poesie per una donna della quale si era innamorato. Fu protetto ed accolto da Filippo Sauli vescovo di Brugnato, ed ebbe certo favori da Ottaviano e Federico Fregoso. Parecchie sue rime hanno dirette allusioni a ciò; notevoli in ispecie la canzone in lode di Genova (p. 156 e segg.) e Γ altra indirizzata a Teocreno (Benedetto Tagliacarne), nella quale esalta le virtù di Ottaviano (pag. 245 e segg.) di cui già aveva cantato, esaltandolo, in una antecedente canzone (pag. 150 e segg.). Conferenze. — Arnaldo Zanella, Nerone nella stona , nella leggenda e 11eWarte. — Valentino Coda, La politica di Giosuè Carducci. — Ottone Brentari, Camicia rossa e plotone grigio. — Giovanni Marradi, Giosuè Carducci. — Francesco Cosentini,Za vita sociale al Giappone _ Carlo Donati, Carlo Goldoni. — F. M. Zandrino, Giacosa e il suo teatro. — Silvio Bellotti , Criterio intellettuale nella critica d'arte. — Valentino Coda , Il teatro d*Ibsen. — Giovanni Maria Ravenna, L’opera letteraria di Edmondo De Amicis. — Andrea Novara, Giosuè Carducci e il romanticismo. — Luigi Leynardi, Il culto di Dante. — Bernardino Frescura, Giuseppe Giacosa — Giuseppe Lam pugnani, Sul monte Rosa. — Andrea Moschetti, Giambattista Tiepolo. Emilio Carbonelli, Fantasia e pensiero nel! arte e nella scienza. — Bernardino Frescura, Gl’Italiani alVestero. — Giovanni Semeria, Carlo Goldoni. — Silvio Bellotti, La lampada sotto il moggio. — Innocenzo Cappa, L'anima estetica italiana da Mazzini al Carducci. ------------------------ Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. PUBBLICAZIONI RICEVUTE Feriis saecularibus R. Athenaei Taurinensis A. D. VI Kal.Nov. Anno MDCCCCVI. Litterarum formis expressum in Regia Officina Libraria fratrum Vigliardi-Paravia, Augustae Taurinorum. La biblioteca Marciana nella sua ?iuova sede. XXVII aprile MDCCCCV. Bergamo, Istituto arti grafiche, 1906. Camillo Manfroni. Lezioni di storia d'Europa e specialmente d'Italia. Livorno, Giusti, 1906-1907 ; voi. 3. Silvio Pellico. Le mie prigioni commentate da Domenico Chiattone. Sa-luzzo, Bovo, 1907. Pagine vissute e cose letterarie di Luigi D’ Isengard. Città di Castello , Lapi, 1907. Documenti intorno ai trovatori Percivalle e Simone Doria. (Per cura di Arturo Ferretto). Seconda Serie. Torino, Loescher. Francesco Rollino e Arturo Ferretto. Storia documentata della parrocchia di Sa?ita Margherita Ligure. Genova, tip. della Gioventù, 1907. Carlo Braggio. La scuola della vita. Lettere ad una madre con prefazione di Clarice Tartufari. Firenze, Barbera, 1907. Celeste Paschetto. Felice Romani. Monografia. Torino, Loescher, 1907. Alfredo Segrè. Ebrei, industria e commercio in Pisa nei secoli XVII e XVIII. Pisa, Mariotti, 1907. Giuseppe Giorcelli. Il Pater df Alessandria {Lamento contro gli Spagnuoli). Alessandria, Società Poligrafica, 1907 Bindo Chiurlo. Il Friuli nelle Memorie di Carlo Goldo?ii e la prima pub-blicazione del Cotnmediografo. Udine, Del Bianco, 1907. Bindo Chiurlo. Le poesie friulane di Enrico Fruch. Udine , Del Bianco, 1907. Ai Mani illustri di Nino e Alessandro Bixio. Torino, Pozzo, 1907. Guido Biconi. Per la lega fra Genova e ΓUngheria nel 1332. Pavia, Fusi, 1907. Piero Sturlese. L’ispettorato delle scuole medie e l’università. Recco , Ni-colosio, 1907. Gaetano C a passo. Il governo di Don Ferrante Go?izaga i?i Sicilia dal /533 al 1343. Palermo, Scuola tip. « Boccone del povero », 1906. Giovanni Carbonella II « De sanitatis custodia » di maestro Giacomo Albini di Mo?icalieri con altri documenti sulla storia della medicina nc° Giovanni Fantoni (4). (1) È l’ode III del libro I, Su i primi navigatori aerei. (2) È l’ode XX del libro III, Dialogo di Labindo e Licoride, a imitazione dell’ode IX del libro III d’Orazio, Do?iec gratus eram tibi, etc. (3) Per il cav. Beniamino Sproni, fratello di Francesco, che fu Provveditore dell’Università di Pisa, scrisse infatti l’ode X del libro secondo, prima intitolata: Per la partenza del cav. Beniamino Sproni per Cadice; poi : Per la partenza di un giovane toscano per Cadice. (4) L’autografo di questa e della lettera seguente si conserva nella ricca collezione del cav. Azzolini. — 376 — Allo stesso. Fivizzano, 21 agosto 1784. Amico carissimo , Provedetevi della nuova edizione delle mie Odi (1). Un letterato me le dirige con una lettera, che non può fare a meno d* interessare la vostra amicizia (2). Dite a Beniamino, che Γ Ode da lui richiestami è terminata, ma non è ancora a mio modo; gliela manderò domenica ventura, per il corriere, quando martedì mi scriviate che sono anche in tempo. Questa è sul nuovo metro dell’ode 32 del lib. I, e principia: Nave, che ai Lidi Betici Porti l’amabile Garzon d’Etruria, L’ onde per te non fremano, Nè il Ciel sia torbido, nè i venti in furia (3). Reca alle spose Iberiche Un Ila, un Ercole reca alla Gloria..... Ma un’ode, è un’ode, e per imitare Orazio ci vuole del tempo ; un giorno non basta, specialmente di posta, in cui sono talmente affaccendato, che mi servo d’altra mano per scrivervi. Voi mi chiedete qualche cosa di nuovo : ecco due odi : Dopo il soccorso recato a Gibilterra dall*Ammiraglio Howe a fro?ite dell annata Gallispana. Al Duca di Crillon. Crillon, folle! che speri? Eh non son queste Le Maonesi sponde: Ecco 1’anglo signor delle tempeste, Che l’ardir tuo confonde. Mira di Calpe su l'invitto scoglio Dalle famose prove Scriver la Fama del Brittanno orgoglio Rodney, Elliot ed Howe. Questa seconda mi piace moltissimo, ed è scritta con quella naturalezza, che fa conoscere eh’è nata dalla circostanza: Amor noli ha legge. Ode Saffica Versi non chiedermi, Ligure amica; Le fibre m’agita fuoco lascivo; Grave, insoffribile m’è la fatica, Bacio, e non scrivo. (1) Firenze, appresso Vincenzo Landi, 1784; in-8.° di pp. 52. (2) L’ab. Giulio Perini, fiorentino. (3) Nello stamparla nel 1785 mutò cosi il 3.0 ed il 4.0 verso : L’onda per te sia placida, Taccia del Libico vento la furia. — 377 — Nè vai consiglio; stanca non regge Ragione ai fervidi moti del cuore; Sprezza gli ostacoli, freno di legge Non soffre Amore. Forse il volubile Dio di Citera Sciorrà 1’ amabile laccio, in cui vivo; E allor la cetera. .. ma vien Glicera! Bacio, e non scrivo. Che dite di questo nuovo Saffico, cesurato alla metà del verso da uno sdrucciolo? Parmi fatto a bella posta per cantar degli amori. Tutti di mia casa vi rendono i loro saluti , ed io vi abbraccio teneramente. Vostro aff.m0 Gio: Fantoni. All* ab. Alberto Fortis, a Napoli (i). Roma, 3 novembre 1788. Mio caro amico, Ricevo una carissima vostra, in cui mi scrivete di pagare al signor Donato Luparelli, che ieri è stato da me a recarmela, i ducati 200 di cui mi obbligai a far pagamento a chi gli avesse chiesti con mio biglietto prima dello scadere di settembre. Amico , ho risposto al medesimo che ve ne avrei subito scritto per la posta , e me la sarei intesa con voi , onde vi prego di dargli ordine di rimettervi il mio biglietto , ed ascoltare per un momento le mie ragioni. Amico , prima della vostra partenza io non ricevetti biglietto alcuno vostro concernente questo affare, e non ve ne parlai, perchè non ho per anche potuto terminare un affare di uno scorporo fidecommissario , che mio padre tratta a Firenze; onde, essendo io figlio di famiglia e non avendo altre risorse che quelle che mi può dare un padre, ho dovuto trattenere qualche persona , a cui devo , e vivere in un’ inquietudine continua. L’affare è quasi per terminare, e sarebbe stato finito, come mio padre mi aveva promesso, prima di settembre, se mio fratello primogenito, che per mia disgrazia è stato sempre per me un osso duro, non vi avesse opposti mille ostacoli, che mi hanno cagionato mille disgusti. Amico, conosco troppo il vostro cuore e quello della sig. Marina, per temere che vogliate farmi scorgere in un paese ove godo una buona riputazione , ed ove forse tra giorni sarò situato. Se si spargesse una (1) L’ab. Alberto Fortis di Padova fu conosciuto a Napoli dal Fantoni nel 1787. Ebbe grido come naturalista per le sue Osservazioni sopra Visola di Cherso e di Oserò, stampate a Venezia nel 1771, e per il suo Viaggio in Dalmazia , che vide la luce parimente a Venezia tre anni dopo e venne tradotto in inglese e in tedesco. Fu anche poeta, bibliografo, giornalista ed erudito. Giorn. St. c Lctt. della Liguria. 26 — 378 — voce simile sarei rovinato, ed il colpo mi verrebbe da miei amici , di cui ho riprove indubitabili, che sono capaci di sacrificare qualunque interesse, per salvarmi in un caso simile. Il ritardo di qualche poco di tempo per il pagamento, non può fare sbilancio alla sig. Marina, e voi potete, da mia parte, comunicarle la mia situazione, e pregarla a tollerare qualche tempo, finché, ottenendo il necessario danaro da mio padre , adempia, come devo, al mio impegno. Confesso di aver fatto male a non parlarvene, ma vi confesso che se voi avete avuto ribrezzo a parlarmene, io mi sono vergognato di dirvi che non avevo pronto ancora il denaro per soddisfarvi. Per pietà compatitemi, e pregandovi a baciare la mano alla signora Marina per me, rappresentatele le mie circostanze. Conosco troppo il suo cuore, ed ho troppi motivi di gratitudine verso di lei per essere sicuro che vorrà compatirmi. Come vanno ì vostri affari? L’Ambasciatore di Venezia, che vidi ieri sera, mi diede vostre nuove e dei vostri affari, che disse essere nel medesimo stato. Qui si dice che Targioni faccia al.... (i) meraviglie, e che il Governo ne va contentissimo. Per il secondo caso può essere, per il primo: credat Iudeus...... non ego. Alcuni sedicenti naturalisti di questa Accademia sentenziano contro di voi sul nitro minerale; mi sono trovato ad un discorso, e mi sono battuto meglio che ho potuto. Un certo conte Fantuzzi, che pretendeva di aver ritrovata della terra nitrosa , che ha qui mandata per analizzare, adottando il vostro sistema, ha risvegliata la disputa (2). Che fa il buon Breislac e che nuove di Delfico? Salutatemeli caramente (3), egualmente che tutta la casa Brentano. Amatemi, comandatemi e scrivetemi. Il vostro d.m0 aff.m0 Fantoni. P. S. — La marchesa, che ha fatto un bel maschio, vi riverisce cordialmente, ed il buon Godard con Arteaga (4)· (1) Segue una parola difficilissima a leggersi. (2) Il Fortis aveva scoperta nel 1783 una nitriera nelle Puglie. Si vegga la memoria Sopra lo stato attuale della valle e lago di Molfetta d’Ansanlo, che pubblicò nel 1789· (3) II geologo Scipione Breislak e Melchiorre Delfico di Teramo, storico ed economista. (4) Ignoro chi sia la marchesa. Labindo ebbe per maestro nel Collegio Nazzareno di Roma il P. Luigi Godard , che gli fece gustare il bello de’ classici e lo innamorò d’ Orazio. L’ ex gesuita spagnolo Stefano Arteaga, morto a Parigi il 50 ottobre 1799, è noto per le Rivoluzioni del Teatro musicale italiano dalla sua origine fino al presente, Bologna, 17&3 ; due voi. in 8°. — 379 — Allo stesso. (Scrivendomi dirigete Sarzana). 14 settembre 1791. Amico carissimo , Avete ragione non solo di dimenticarvi di Napoli, ma di volere che colà si dimentichino di voi. Se siete uscito illeso da quella fossa, come voi dite, di leoni , potete ringraziare la provvidenza, che ve ne ha somministrato i mezzi coll'accordarvi un’eredità equivalente a quella pensione, che avete rinunziato con quell’energica nobiltà d’animo, di cui le segreterie napoletane non hanno mai capito il linguaggio. Avete fatto più che bene a parlare col medesimo alla Regina nel suo passaggio costà ; e benché creda io, che nulla debba giovarvi la vostra franchezza , pure, per le anime come le vostre , non è piccola soddisfazione il potere rimproverare rispettosamente i sovrani, ed il vedersi per giustizia al di sopra di loro. Io ho dimenticato i torti a me fatti, e se avessi da vendicarmene , vorrei poter formare la felicità di uno dei più bei paesi del mondo ; ma voi sapete quanto poco sia questo possibile, e quanto poco il galantuomo possa sperare di comandarvi, o anche di avervi influenza politica. Faceste però ottimamente di ritornare, come me, a godere la vostra quiete, ed a ricercare gli amici, che vi stimano e che vi vedevano con pena nuotare nel burrascoso pelago della corte, obbligato, per non naufragare, di raccomandarvi ad ogni bastimento, che incontravi, male affidato ad una fragil barchetta. Avete presa alfin terra; salvo dal peggiore dei naufragi, appendete il voto di salvamento, e, rimirando con occhio filosofico lo stato passato, vivete felice, dicendo come me nel mio poema Georgico : Me Labindo pasceva allor di speme L’insidioso Partenopeo, me il primo, etc. e vuotando qualche bottiglia di Piccolito in compagnia della vostra bella e buona amica (1), a cui dedicherete le vostre Poesie, profittate dell’ occasione e degli anni Dum sororum fila trium patiuntur atra. Godo, che le Odi inviatevi abbiano incontrata la vostra approvazione. In quella a Bondi (2) vorrei, che faceste correggere dai correttóri ove dice: « Disparve, e mi svegliai — Nice insensibile», ecc., in tal modo: « disparve, e mi destai. — Nice insensibile », ecc. (1) Elisabetta Caminer Turri, che già aveva toccato il cuore all’Albergati e al Parini. (2) È l’ode XXIV del libro III, Il Sogno, a Clemente Bondi di Mantova. — 38ο — La a voi diretta (i) non dubito che farà egualmente chiasso che Cadde Vergennes; ma io scrivo sempre per le circostanze , e non temendo, o bramando, dico quello che penso. Vi manderò qualche manifesto, che aspetto a giorni da Parma; intanto vi ho segnato fra gli associati per due copie, come mi scrivete. Vi prevengo, che Bodoni non ha ordine di ricevere l’associazioni, ma le ricevo io, facendo l’edizione a tutto mio conto. Procurerò di scrivervi per le dimensioni delle cave dei marmi di Carrara attualmente esplorate , e ne darò commissione ad uno scultore mio amico. Rispondetemi però se avete premura , o posso farlo con comodo. Fino di questo giugno mandai al canonico Silva un'ode, una notte, un’elegia latina ed una lettera con una iscrizione, da inserirsi nella raccolta funebre del nostro buon amico Beiforte; anzi, attese le premure che me ne facevano , e lui, e gli altri amici , credeva già la raccolta data da gran tempo alla luce (2). Da quello che sento da voi, che state attualmente lavorando delle ottave sullo stesso soggetto, è inedita ancora, e la pigrizia napoletana e di Silva aspetta forse per pubblicarla l'anniversario della di lui morte. Mandai sono più mesi un’ ode alla vedova dell ottimo Filangieri, Mad. di F rendei , con una lettera , pregandola di presentarla a mio nome a’ di lei figli; e la buona dama, piangendo su quel tanto eh io gli scriveva, mi rispose con una forza ed un sentimento degno di lei (3). (1) È l’ode XXIV del libro II, la quale incomincia: Colui che facil crede, ecc. (2) Questi componimenti videro soltanto la luce nel 1791 nell Omaggio poetico in morte di D. Antonio di Gennaro, Duca di Bel/orte e Canta-lupo, ecc. (3) È l’ode XXIII del libro II, Ai figli di Gaetano Filangieri di Napoli. La filosofia così parla conducendoli al di lui sepolcro. La lettera che scrisse alla vedova è questa : <* Madama, Permettetemi che prima di pubblicare un volume di Odi, ve ne trasmetta una, che vi appartiene, presentatela, da parte mia, alla vostra famiglia, e fatele conoscere di quanto sia debitrice alla patria, al mondo e a sè stessa. Non bagnate i miei versi di pianto; il tributo più bello che possiate dare alle ceneri illustri del vostro sposo, e la prova migliore della vostra tenerezza, non sono le lacrime, ma l’educazione dei vostri figli. Possano questi essere utili quanto il padre , e carichi di virtù e pieni di gratitudine per le vostre premure chiudervi gli occhi nell’estrema vecchiezza e giustificare le speranze di chi si protesta il loro e vostro, con affettuosa venerazione, dev.™° obb.m<> servo ed amico Giovanni Fantoni >. Ebbe la seguente risposta: « Signore, I vostri versi hanno diffuso nel mio cuore tutto il fuoco di cui sono ripieni. Malgrado la saviezza dei vostri consigli, non ho potuto fare a meno di versare un tor-reute di lacrime colla memoria del perduto mio amico , del virtuoso mio sposo. Sarà da qui innanzi la più importante mia occupazione 1 imprimere — 381 — La filosofia così parla ai figli di Gaetano Filangieri conducendoli alla sua tomba: Ode Saffica. Figli dell’Uomo illustre, ecco l’avello Che un padre a voi, e che a me un amico ha tolto: L’Eroe (i) vi giace; ma il miglior di quello Non v’è sepolto. Vive il suo Genio dalla sorte eletto A illuminare le dubbiose menti, E a mille desta di virtude in petto Scintille ardenti. A voi ricchezze non lasciò, che il Saggio Non può avvilirsi a depredar con l’empio; Sono i tesori che vi diè in retaggio Gloria ed esempio. Vi ringrazio dell’offerta che mi fate della vostra tavola e compagnia; io vi offro egualmente la mia, con tutta la libertà della Lunigiana, e tutta la cordialità dell’amicizia. Salutatemi 1’ ottimo Cesarotti , da cui mi attendo risposta ad una mia lettera, ed il degnissimo ab. Toaldo (2), di cui v’invidio la conversazione; e benché non la conosca di vista, la vostra amabile e dotta Bettina Caminer, ch’io stimo moltissimo. Se mai andate a Venezia, abbracciatemi il mio caro Micheroux (3), uno dei migliori amici ch’io m’abbia. Egli è marito contento ; ed io, amandolo, sento tutta la sua felicità. Ricordatevi di quanto vi devo, quanto vi amo , e per quanti titoli sono il vostro Gio. Fantoni. nel cuore dei miei figli quei sentimenti che possono renderli degni del Padre loro, delia vostra amicizia e della giusta venerazione degli uomini. Gradite la piccola offerta della mia gratitudine e credetemi con sincera stima la vostra dev.ma obblig.ma serva Carolina Frendel Filangieri ». (1) Nella stampa mutò VEroe in L'Uomo. (2) Il celebre astronomo Giuseppe Toaldo. (3) Antonio Micheroux « era tutt’insieme autore di cantate metastasiane per le feste di corte e libero muratore , anzi segretario della loggia scozzese, che aveva per venerabile il brigadiere Naselli e protettrice la regina Carolina; tutte cose che andavano bene d’accordo». Questo ritratto è del Carducci. Nel 1785 fu nominato ministro residente di Napoli in Venezia, dove poi sposò la contessa Maria Teresa Danielluzzi, divorziata dal nobiie Giacomo Foscarini, « compagna, quanto tenera ed affettuosa, altrettanto amabile », che gli partorì due « cari angioletti », di « stupenda bellezza », come lo stesso Micheroux scriveva a Labindo. Il quale compose ed intitolò a Ferdinando III Re delle Due Sicilie, un’ode « per l’approvato matrimonio segreto dell’amico »; ed è piena d’affetto. In casa del Micheroux Labindo mise poi come segretario Pietro Notari; del quale nell’Archivio de’ Fan-toni si conservai! parecchie lettere, che al Poeta scrisse da Venezia. — 332 Ad N. N. [FivizzanoJ, 13 decembre 1792. Caro e rispettabile amico, Sono quest'ordinario senza sue lettere ; voglio però credere che il suo silenzio da nuli’ altro derivi che da qualche gita fatta nelle ferie autunnali, e non da incomodo alcuno. La mia salute pare che voglia ristabilirsi, giacché, venuto il freddo, che anticipa ne’ nostri monti, i miei nervi prendono vigore invece di risentirsene. Per mandarle qualcosa, le trascrivo 1’ ode XV del libro \ I (1). Met[ro] orfaziano] inverso della XVI de\V Epodon. Monarchi e Grandi, se i scrittori tacciono Fango saran, ecc. (2). L’abbraccio e sono con tutta la cordialità il suo aff.mo Gio. Fantoni (3). A Saverio Salvioni, a Λ/assa di Lunigiana (4). Fivizzano, maggio 1794- Amico carissimo, Progetto del sipario di Barga, a tenore di quanto mi avete indicato, etc. Farei nel fondo del telone una tempesta genere in cui voi vi distinguete per eccellenza) e due fiumi, che serpeggiano per la pianura, o piuttosto fralle balze, essendo Barga paese di monte; indi farei comparire il sole, che squarcia le nubi ed adduce l’arcobaleno; su del quale (per non fare cose de comuni confessorum) mi risparmierei di mettere a sedere la dea Iride. Quest’ arcobaleno deve tagliare diagonalmente il telone, perdendosi dietro un anfiteatro a sinistra in avanti, sotto di cui si riuniranno i due fiumi , divenuti più placidi. In questo punto dev’essere Mercurio, dio delle arti, col cadùcèo e la lira , appoggiato ad un cippo, o termine, su cui sarà scolpito : AD UNUM 16SS. (1) Nell’edizione del nepote è invece la XVII del libro IV. (2) Non sto a trascriverla, non oflrendo varianti. Porta la data del 1791. (3) Raccolta Campori nella Biblioteca Estense. Ignoro a chi sia indirizzata. 4) Saverio Salvioni di Massa, visse dal 28 luglio 1755 al 6 maggio 1S33. Studiò pittura a Pisa sotto la direzione del Tempesti, a Roma sotto quella del Maron e del Corvi. Dipinse anche il sipario del Teatro di Fivizzano. — 383 — e sotto sgorgherà come da un’urna l’onda de’ due fiumi riuniti, che lambirà un colle, su di cui, alla dritta , in avanti sarà il tempio della Pace, ed a piè del colle, Melpomene e Talia ; la prima in aria severa, la seconda ridente. E perchè possiate dipingere queste due muse in un contegno un poco fuori del solito , eccovene una descrizione, che farà al vostro proposito, in alcuni miei versi. Melpomene. Allor colei, che la cecropia Atene Nel tragico invocò primo cimento, Fra le vendicatrici ombre di morte, Le colme di velen tazze nefande, D’Argo obbliò le infami orride cene, L’ultrici furie ed i puniti incesti, E fra l’orror dell’accigliata fronte D’ignota gioja balenolle un raggio. Talia. A Talia, tua mercè, pria dolente Che rapito le avesse il prisco onore La lusinghiera Euterpe, in man riprende La maschera, e in ridente atto soave Le ancor umide luci al ciel rivolge. Così, cred’ io, che sollevasse il capo La piangente d'amor bruna Nigella Quando dall’Arno mio Licido il biondo Al Sebèto natio fece ritorno, etc. Oggi è il primo giorno che sono senza febbre , non però senza flussione di gola. Qui tutto è in uno stato di sospensione; io però sono sempre lo stesso, come potete immaginarvi. Il carattere dell’ o-nest’uomo dev’essere immobile. Sentirete mille calunnie stravagantissime; credetele al solito. Salutate gli amici, la famiglia e la Barbera. D. Lorenzo mi stomaca. Addio di nuovo. Amate il vostro aff.m0 amico Gio. Fantoni. D. Lorenzo poteva risparmiarsi, mentre sa che si cerca di dare inquietudini alle persone oneste , di dire che le notizie che io gli do mi vengono da parte sospetta. Questa proposizione non indica nè amicizia , nè prudenza. Le lettere possono aprirsi e compromettere chi non lo merita, etc. (1). (1) Raccolta Campori nella Biblioteca Estense. s — 384 — Al cav. Tommaso Gargallo (1), a Montalto (Napoli). Fivizzano, 28 giugno 1795. Amico carissimo, Sento quanto farete per il noto soldato, quanto abbiate fatto, e ve ne ringrazio; attendendo ulteriori riscontri. Si vuole che la Spagna sia per concludere con la Francia la pace, e se ne allegano riscontri molto sicuri , e che la rottura fra il Re di Prussia e la Casa d’Austria sia inevitabile. Luxemburgo è caduto in potere dei Francesi. La Vandée è risuscitata, essendo stata finita la riconciliazione di Chouans. Seguita a Parigi la carestia e la proscrizione dei Terroristi. La squadra di Tolone era andata incontro alla Divisione dell’Ammiraglio Mann, forte di 23 vascelli di linea e 14 fregate: la squadra inglese del Mediterraneo sta per riunirsi colla divisione sopraccennata. Crescono i dissapori fra l’Inghilterra, e la Danimarca, e la Svezia. Gli Austriaci erano avanzati sopra Dego, per attaccare i Francesi, ch’erano stati rinforzati di 15.111 uomini. Giungono continuamente a Nizza truppe fresche. In Inghilterra vi sono dei torbidi non indifferenti. Fra tante sciagure sono per tutto consolanti le speranze di una vicina raccolta. Sono di cuore Il vostro Labindo (2). A Camillo Businari, a Bologna. Livorno, 19 settembre 1796. Sig. Cam.0 Businari. Il Sig. Conte Fantoni, nostro toscano, mi ha pregato di darle costà un amico buono; lo raccomando dunque a voi e credo di certo di affidarlo in mani‘sicure. Egli ha molte amicizie a Parigi, e con i generali e commissari francesi dell’armata d’ Italia, onde, se amate la felicità del vostro paese, sappiate che egli potrà contribuire moltissimo al comun bene. Amatemi e credetemi al solito vostro Aff.m0 amico I. Massi. Vi prego di parlare con Franco Zauli di Castel Bolognese , fate quanto gli ho detto ; se siete uomo libero, abbracciate i vostri fra- (1) Tommaso Gargallo di Siracusa, morto nel 1842, noto principalmente come traduttore d’ Orazio. (2) Collezione d’autografi del cav. Azzolini. — 385 — fratelli e contribuite al bene d’Italia. Io sono per morire o contribuirci. Salute e fratellanza. Giovanni Fantoni (i). A Francesco Galvani, a Bologna. [Modena, 179 7]. Le tante finezze ricevute da voi e dalla vostra famiglia mi obbligano, appena arrivato a Modena , a protestarvi la mia più sincera ri-conoscenza. Seguitate a dare ai vostri figli la buona educazione che loro avete data finora, adoperatevi in pro’ della nostra Patria, contribuite, come fate, all’istruzione del vostro paese, e profittate di me in qualunque circostanza vi posso esser utile. Dico ai vostri figli lo stesso ; 1’ occasioni mi dimostreranno se mi credete degno della vostra amicizia. Salute e fratellanza. Gio. Fantoni (2). A Matteo Molfino, a Genova (3). Milano, 3 Brumale anno i.° della Libertà Italiana [24 ottobre 1797]· Ho ricevuto la tua lettera, ma non ho tempo a risponderti a lungo. Ho già cambiato 1’ ordine della corrispondenza ovunque ho potuto; farò il resto cammin facendo e ti scriverò con più comodo. La pace è sottoscritta : si crede ceduta Venezia con, etc. Io non posso crederlo e spero anche la guerra, giacché giungono truppe. Tutto è finora in oscurità; pare però che vi debbano essere i Liguri. Amami. Addio. (1) L’autografo è posseduto dal cav. Luigi Bocconi di Pontremoli. (2) Raccolta Campori nella Biblioteca Estense. (3) Nato a Rapallo nel 1778, morto a Genova il 25 novembre 1859. Si laureò in giurisprudenza ed ebbe uffici pubblici, così nella giovinezza, come nella virilità. Dal 1816 appartenne al corpo municipale e ne fu per molti anni decurione - segretario. Eletto per due volte consecutive deputato di Rapallo alla prima Camera del 1848 , venne la [sua nomina annullata per vizio di forma e per incompatibilità. Uomo di varia dottrina e di assai larga coltura, raccolse una ricca biblioteca, nella quale erano edizioni rare e manoscritti di notevole importanza. Cfr. Canale, Necrologia dell' avv. Matteo Molfino, Genova, Ferrando, (1859).— Cuneo, Orazione funebre ed iscrizioni nelle esequie dell' avv. Matteo Molfino, Genova, Ferrando, 1860. _Gli autografi di queste lettere si conservano nella Biblioteca della R. Università di Genova. — 386 — Mille abbracci a tutti i patriotti , in particolare allo zio (i) ed agli amici, non dimenticando Cantone (2). Sono occupatissimo onde finisco per forza. Gio. Fantoni. P. S. La bontà che mostrano per me, ora che sono partito, non confronta con quello che ha scritto qualcuno, che sono stato mandato via di costì. La lettera si è qui veduta. Oh che omiciattoli ! Allo stesso. Milano, i.° novembre 1797 anno I della Libertà Italiana. Ho scritto a molti corrispondenti per il noto indirizzo a Tommaso Repetto (3). Ho saputo che le mutazioni proposte in codesto Governo Provvisorio non hanno potuto aver luogo, atteso che il Generale in capo ha scritto che i membri che lo compongono godono la sua confidenza. Si parla sempre della cessione di Venezia e del restante al di là dall’Adige ; si spera, che non sarà ratificato a Parigi questo trattato. Vedremo. Intanto tutti siamo nell’ incertezza e nell’ agitazione. Si vuole che il Generale in capo sia arrivato a Modena, e che verrà prima a Milano e poi costà. Speriamo sempre bene; la libertà non può perire, se non periamo noi tutti. Addio. Abbraccia il zio e gli amici tutti. Amami e sta sano. Gio. Fantoni. Allo stesso. Ho ricevuto varie lettere dei corrispondenti. Lo stato però attuale d’Italia è tale che merita di aspettare a pubblicare il tuo Giornale (4) (1) È Giuseppe Assereto di Rapallo, zio materno del Molfino. Negli ultimi anni della vecchia Repubblica Genovese era stato console a Parigi; fu poi del Governo Provvisorio nel 1797, e fece parte in questo periodo di parecchie commissioni per opere pie e per istituti di beneficenza; nel 1800 sedè nella Commissione di governo; nominato senatore nel 1802, non accettò; dopo la riunione della Liguria alla Francia, venne eletto Maire di Rapallo, poi membro del Consiglio generale del dipartimento degli Appennini. Era aggregato all’ Istituto Ligure nella classe di scienze politiche. (2) Gaetano, architetto valentissimo, del quale parla più volte 1’ Alizeri, Notizie dei professori del disegno iti Liguria dalla fondazione dell’Accademia, Genova, 1865, specialmente nella vita del Tagliafichi (voi. Il) e in una nota a p. 186 e segg. del vol. I. (0 Medico, ebbe varie cariche pubbliche, e fu de’ primi Commissari mandati nella riviera per la organizzazione della Repubblica democratica. Fondatore e scrittore con Sebastiano Biagini del. giornale II Censore. (4) Il citato Censore, che si cominciò a stampare dall’ ir novembre 1797. — .387 — almeno un mese. Non posso dirti di più, le circostanze ed il mio cuore me lo impediscono. Amami, e riceverai mie notizie fra poco. Incoraggia tutti gli amici, e predica loro moderazione e prudenza, se non vogliono rovinare sè e la causa. Al zio , al Cantone , al piccolo Scolopio (1), a Mazino (2), a tutti gli amici mille abbracci. Lascio nel momento Lupi e Ruggiero (3) con cui pranzai ieri. Invigilate sulle cose e tacete. Amatemi. Addio. Salute, coraggio e amicizia. Gio. Fantoni. Allo stesso. Milano, 7 Iemale an. 6.° Rep.° [24 decembre 1797]. Ti ringrazio delle nuove. Fatti comunicare le nostre da Scribanis, a cui consegnerai subito 1’ acclusa. Convengo teco su i mezzi che mi additi; l’unione è l’unica ancora di salvamento. Ringraziate il Cielo di avere Belleville (4). Perchè non dare una lettera per me a Massuc- (1) Domenico Scribanis, nato a Chiavari il 5 agosto 1761. Fece parte della Missione patì'iottica nella riviera di ponente, mandata per spiegare al popolo la costituzione democratica. Ebbe la cattedra di fisica generale all* Università, e partecipò ai lavori della commissione incaricata di compilare un piano di scuole normali per il centro. (2) Giacomo, medico, padre di Giuseppe Mazzini. Cfr. la sua biografia in Vita internazionale, Milano, i9°5> n* 12 e I3· (3) Luigi Lupi e Giambattista Roggieri erano allora a Milano per conferire con Bonaparte intorno alla costituzione. Il Lupi, avvocato, fece parte del Governo Provvisorio, e poi del Direttorio, fu ambasciatore a Parigi dal 24 marzo 1798 al 10 giugno 1799, e si ha il suo carteggio alle stampe (cfr. Colucci, La Repubblica di Genova e la rivoluzione francese, Roma, 1902, vol. Ili, p. 441 e $egg.; IV, p. 1 e segg.). Dopo il blocco, venne nominato membro della Commissione straordinaria di governo , poi della Consulta legislativa, e quindi senatore nel 1802. Morì a Borzoli il 15 ottobre 1804 in età di 52 anni. — Il Roggiero , nato a Diano il 15 febbraio 1761, ebbe parecchi incarichi dal Governo Provvisorio e dal Direttorio. Deputato presso il generale Bonaparte; ministro presso la Repubblica Cisalpina; rappresentante di Genova alla Consulta di Lione; membro della Consulta legislativa; Provveditore nella giurisdizione del Golfo di Venere; senatore; riunita la Liguria alla Francia, membro del Consiglio generale del dipartimento di Montenotte; prefetto del dipartimento della Mosa inferiore; prefetto a Nimes nei cento giorni. Creato Barone dell’impero nel 1809. Cfr. Biographie des hommes vivants, Paris, Michaud , 1819, vol. V, p. 226. (4) Il barone Redon di Belleville nel 1797 venne nominato Console generale della Repubblica Francese a Genova; carica che nel 1799 cambiò in quella d’incaricato d’affari. — 38S — cone? (i). Questo è stato un errore , rimediaci a posta corrente. Abbracciami il zio e gli amici, ed usa prudenza, giacché queste due decadi sono scabrose. Salute ed amicizia. G. Fantoni. Allo stesso. Milano, 14 Piovoso an. 6 Repub.0 [2 febbraio 1798]. Tu avresti ragione di lamentarti, se io potessi aver tempo, ma caro amico, Biagini (2) e gli altri si lamentano con ragione, da giornalisti; io sono costretto ad operare con ragioni pressanti di bene comune. Dio volesse che potessi dividermi ed essere in tocchi per compiacere gli amici; ma quando majora fremunt praetor non curat de minimis. Ho parlato non ostante a tutti questi giornalisti, e cambieranno, se vuoi, i giornali col tuo , ma prima bisogna sapere se ti aggrava la spesa della posta, giacché non è discretezza ch’io sempre l’appoggi a Faypoult ; e a dirtela con la mia solita sincerità non ho tempo ogni corriere di scrivere a D’Aumont (3). Mentre mi preparo a farlo, eccoti una chiamata ad una Commissione e mi tocca sospendere. Abbi per carità pazienza , la colpa è delle circostanze : in questi momenti bisogna compatirmi. Se si dorme, ci perderemo. Ti ringrazio dei fogli mandatimi, e d’ogni altra cosa; io li do a persone che li leggono e li spargono. Ho parlato ad uno che vorrei che divenisse tuo corrispondente, e venendo da me, supplisse alla mia indispensabile mancanza per un mese almeno: spero che lo farà. Tu intanto compatiscimi , e gli altri teco. Non istate costì con le mani alla cintola, i vostri nemici sono cresciuti a Parigi ed in patria , bisogna scrivere e stare uniti, altrimenti vi perderete. Ribrezzatevi intanto come potete per il Giornale; vi si manderanno in seguito notizie. Cercate il Monitore Cisatpi?io, che può fornirvi quelle (1) Francesco, fu del Direttorio; poi ministro residente a Torino ed a Parigi. (2) Sebastiano Biagini di Lerici, caldo democratico, scrittore e giornalista; ebbe parecchi incarichi politici, amministrativi e giudiziari nel primo periodo della Repubblica Ligure; fondò il Censore e collaborò al Monitore Ligure; venne assassinato da Domenico Queirolo il 26 febbraio 1799· U Fantoni gli dedicò l’ode II Vaticìnio. Cfr. Sulla vita e la morte di Sebastiano Biagini, compendio storico, Genova, stamperia francese e italiana degli Amici della Libertà, 1799; ristampato a Sarzana, tip. Tellarini , 1878. — Sanguineti, Elogio di S. B.t Genova, stamp. francese e italiana degli Amici della Libertà, 1799. (]) Il D’Aumont era segretario del Sotin, ministro residente della Repubblica Francese a Genova. Fu assassinato dai ladri , nel luglio dello stesso anno, alla Bocchetta, mentre si recava a Novi. — 389 — dei Consigli, ed inviateci le vostre, saranno inserite in questi giornali; ma le notizie siano in foglietti staccati, non nelle lettere. Mille abbracci al zio, ricevi in fretta i miei e ripetigli a tutti i buoni. Salute e amicizia. Gio. Fantoni. Allo stesso. Sono occupato, oltre dei nostri, degli affari della rigenerazione di Roma, avendo qui i due deputati venuti da Parigi , ed attendendo oggi Monge e Danou. Perdonami dunque se non ti scrivo a lungo, giacché bisogna occuparsi a preferenza delle cose grandi, e poi delle minori. Avrai ricevuta un’altra mia lettera , che ti avrà fatto credere che non son morto , ma occupatissimo. Tu vorresti eh’ io lasciassi le opere da parte, per occuparmi delle parole ; questo non è possibile; coi fatti soli si va avanti, e vi sono dei momenti che, perduti, farebbero perdere la causa. Consolati, vi sono buone notizie: le cose in Francia van bene per i patriotti , il Governo non può e deve agire senza di essi ; la forza delle cose ne può ormai più delle passioni degli uomini. L’Italia sarà libera in massima parte, e le cose cambieranno da quello che sono, e se non possiamo aver tutto, avremo almeno molto. Saluta ed abbraccia il zio con i pochi buoni , che conosco , ira i quali Scribanis. Amami. Addio. Salute, unione e fermezza. Gio. Fantoni. Allo stesso. Milano, 14 Germinale an. 6 rep.° [5 aprile 1798]. Ti ringrazio delle congratulazioni che mi fai. L’ uomo dabbene è sempre soggetto ad essere perseguitato. La più grande consolazione però, che possa avere è quella di vedere, che l’invidia non sa trovare in lui motivo certo su cui calunniarlo. Sta dunque allegro nè temere mai per me. Ho imparato a vivere fra i cattivi , ed a morire quando occorra per la felicità dei buoni. Godo che siate contenti delle cose di costì, e che la nuova elezione del Ministro di Polizia sia patriottica. Credo che si debba sperar bene di tutto. Facciamoci dunque coraggio, non ci lasciamo disunire, amiamo la virtù e scordiamoci le nostre passioni. Trionferemo. Abbraccia il zio e tutti i buoni , dammi tue nuove e credimi per sempre Il tuo amico Gio. Fantoni. — 390 Allo stesso. [Aprile 1798]. Rispondo brevemente alla tua lettera, perchè occupatissimo. Saprai a quest’ora la caduta dal nostro Direttorio di Moscati e Paradisi , e del Segr.0 Gen.e Sommariva, e la sostituzione di Testi e Lamberti, uno già Ministro degli affari esteri, e Γ altro del Consiglio dei Giovani. Inoltre le mutazioni di molti Ministri, che si crede in meglio, fuori di quello di Polizia cittadino Sopransi, che viene a Genova Inviato Cisalpino, ottimo patriotta e molto mio amico ; è di più uomo di lettere. Non ti sgomentare se le cose non vanno costà con rigore , ande-ranno, e Brune, venuto costà, avrà forse fatta qualche operazione. Giova sperar più nella forza delle cose , che nelle intenzioni degli uomini ; credo che l’Italia si rivoluzionerà, poiché la Francia ha attualmente interesse che si rivoluzioni. In somma facciamoci coraggio , ma sopra tutto non dimentichiamo d’ essere prudenti , se vogliamo esser liberi. Tante volte bisogna aspettare ; il volere affrettare le cose le guasta. Amami e fammi sapere le notizie di Francia, se te ne perviene delle sollecite. Saluta tutti gli amici, in particolare Cantone ed il zio. Conservati e vivi sicuro della mia più sincera amicizia. Salute e fratellanza. Cosa è di Aumont? Gio. Fantoni. Allo stesso. Milano, 30 Fiorile an. 6 rep.° [19 maggio 1798]· Dopo la ricevuta dell’ultima tua, non ti ho potuto scrivere, perchè sono stato fuori ed occupatissimo: bisogna che tu mi compatisca; siamo in tempi che fanno sospirare tutt’ i buoni: ma parliamo d’altro. Voglio anche, per distrarmi, e consolare in qualche modo il mio cuore, annuendo alle replicate domande degl’italiani, fare un’ edizione delle mie Odi. Voglio dividerle in due volumetti di 100 pagine l’uno. Il primo avrà alla testa il mio ritratto. Il valore d’ogni volumetto sarà di due lire 1/2 di Milano. Ne voglio stampate 6500 copie, 400 copie di regalo e due mila lire saranno per lo stampatore in tante copie, mille lire a chi avrà fatto esitare le 6 mila copie di mia spettanza e 100 copie. Se trovi alcuno che voglia costà fare una bella edizione a mio modo a queste condizioni , e che sia tascabile, rispondimi subito , e mandami i saggi di un bel carattere maiuscoletto. Addio ; saluto gli amici, il zio ed in particolare con esso Cantone, di cui mi lagno per non avermi mandato il suo opuscolo sulle contribuzioni per la Liguria. — 391 — Scrivo in fretta ed inquieto per il destino che minaccia gli amici della buona causa. Salute ed amicizia. (rio. Fantoni. Allo stesso. Milano, 15 Pratile an. 6 rep.° [3 giugno 1798]· Ti accludo due spiegazioni di un quadro di una libertà Cisalpina , eseguito dal bravo pittore Francesco Boldrini, che sarà dimani presentato al Gran Consiglio ed esposto nella sua sala. Se costà venisse tentazione di fare una bella Libertà ligure, io ne darò Γ idea, e questo bravo uomo Γ eseguirà. Il quadro terminato è veramente bello ed il colorito specialmente delle carni è Tizianesco. Se fosse possibile che il Corpo legislativo o il vostro Direttorio volesse dare un'ordinazione simile, vi farebbe assai onore. Parlane e dammi risposta. Circa la mia edizione non sono contento , nè dei caratteri di codeste stamperie, nè dell’esibizioni che mi sono fatte. Te ne scriverò più a lungo col corriere di mercoledì. Tu dammi le nuove che hai a posta corrente ; qui se ne vociferano molte, che non sarebbero favorevoli alla libertà d’Italia, ed a Roma particolarmente. Vengo assicurato che il convoglio abbia dovuto rientrare in Tolone, avendo avuto avviso dell’avanzare di una squadra Inglese. In tal caso la spedizione sarebbe arenata. Io non sto troppo bene di salute, nè sono contento delle cose attuali, ma Non est meum, si mugiat Africis malus procellis, ad miseras preces decurrere (1). Addio; ti abbraccio con tutti i buoni; scrivimi, e dammi notizie e di Genova e di altrove. Salute e fratellanza. Gio. Fantoni Allo stesso. Milano, 3 Messifero an. 6 Rep.° [21 giugno 179S]. Ho letta la tua lettera, e ti ringrazio delle notizie che mi dai e che ti prego di continuarmi almeno due volte la settimana. Sta sicuro della mia segretezza ; me ne servirò per il bene comune. Intanto mi adopero , e non sono malcontento delle misure che si prendono qui. (1) Horat. Od. Ili, 29, 57. — 394 — Già si è formato un cordone rispettabile alla linea dei nostri confini ; il resto nuderà avanti presto. Io veggo sovente e parlo con chi può, che mostra di avere delle buone intenzioni , ma anche qui si è paralizzati dal potere superiore. Conviene perciò intendersela , ed agire presto , e con la massima energia. Vi raccomando di non addormentarvi; sarebbe la rovina comune. A qualunque costo bisogna travagliare e metterli in attività combinata. Voi siete già spinti innanzi ; noi senza comprometterci possiamo agire ; devi intendermi. Ti raccomando la pronta risposta del zio , e la risoluzione di quanto ho scritto. Non metto in carta di più, perchè, scrivendo per la posta, non devo farlo. \7egliate; tutti tentano i mezzi in questo momento di fare che la buona causa non vada innanzi, ma con energia e prudenza si possono sventare tutte le macchine. Addio, ti abbraccio e desidero rivederti. Saluta i buoni e mandami la risposta del zio, s’ è di cose d’importanza, per canale sicuro. Salute e fratellanza. Gio. Fantoni. Allo stesso. (Giugno I798)· Ieri ho scritto a 'tuo zio Assereto , ed ho mandato la lettera a te raccomandata, su la sopraccarta, per mezzo di Domenico Spinola, capo della 3.a Legione (i). In essa leggerà tuo zio i miei sentimenti, che sono quelli di tutti i patriotti che desiderano di fare causa comune. Spero, sia detto in somma confidenza fra noi, di potere ottenere qui dei mezzi di rilievo , e di potere operare utilmente. Non leggere questa lettera ad alcuno, che al tuo zio, e poi bruciala, tenendo il segreto; giacché ti credo degno della nostra confidenza. Se tuo zio la volesse per mostrarla ad alcuno, ecc. consegnagliela pure. Oggi sono partite truppe Cisalpine verso i nostri confini col Piemonte ; il nostro Governo però è sempre in oscillazione. Se vi sarà cosa di premura, spedirò al tuo zio. Digli che ne dia avviso ai' nostri comuni amici. Ieri sera è di qui partito Sotin; Ginguenè ed il suo Segretario di Legazione sono ancora qui. Stamani è qui giunto a Brune un corriere del Generale Austriaco, ed il detto Generale in capo è stato chiuso per un lungo tempo. L’energia che i bravi Liguri hanno dimostrata, ha risvegliato quella (i) Intorno allo Spinola cfr. Gio?'nale stor. e lett. della Liguria, a. VI, p. 425 e seg. Si può aggiungere che il 18 novembre 1800, in seguito a lettera del ministro degli esteri della Repubblica Francese, scritta d’incarico del Primo Console, venne nominato generale di Brigata dal Governo Ligure (Archivio di Genova, Rep. Ligure, fil. 265), e che mori il 27 febbraio 1804. Gli furono fatti i funerali a spese dello Stato (Ivi, reg. 402, car. 56 e 58). — 393 — di tutti i patriotti. Vi siete mostrati de^ni del nome Italiano, e vi assicuro che ho versate delle lagrime di gioia sul vostro santo entusiasmo. Il vostro Direttorio, i vostri Consigli, il vostro, che dico vostro, il nostro popolo ha ben meritato nell’opinione delle nazioni. La Francia non può fare a meno d’invidiarlo, e gli altri d’Italia di desiderare di somigliarlo. Desidero che il pericolo non cessi, giacché il pericolo, avendo riuniti tutti gli animi, ha distrutti i partiti e formato di tutti la massa dei difensori della patria. Sì, voi avete una patria, e meritate di averla ; il pericolo vi elettrizza, e correte tutti a sostenerla con le vostre braccia e col vostro sangue. Bravi Genovesi , coraggio ; voi che con sassi scacciaste 40.m Tedeschi, non distruggerete con le bastonate 20.m soldati del re di Sardegna? Se vi mancano fucili, si troveranno; inviatemi mezzi ed a Brescia, o ovunque sono, si troveranno. Non ne date però commissione a degli agioteurs, o gli avreste fuor di tempo, 0 ad un costo spropositato. Io desidero e spero di dividere con voi 1 vostri allori e di contribuire con la mia voce ad incitare lo spirito pubblico , e col mio braccio a sostenere la vostra libertà. Disponete di me, se vi posso esser utile; sono Italiano, vostro fratello, ed ho antichi diritti alla vostra amicizia. Mostriamo all’Europa che ci hanno insultati finora a crederci deboli, incerti e senza energia. I nostri a-nimi si uniscano, s’incrocino le nostre baionette; che importa il resto? spenti i nostri nemici, parleremo del nostro territorio, che Dio voglia che possa chiamarsi Italiano. Addio ; domattina debbo andare al Direttorio ; se vi sarà qualche cosa di vantaggioso spedirò. Ti abbraccio col zio e coi buoni, e ti raccomando di nuovo il segreto. Stamani sono stato a pranzo dal vostro Ministro; perchè il Governo non lo tiene più informato ? Salute, fratellanza ed unione. Gio. Fantoni. Allo stesso. Milano, 11 Messifero an. 6 Rep.° [29 giugno 179S]. Ho ricevuto la tua lettera del 23 giugno, da cui sento con piacere l’energia che mostra il bravo popolo ligure, il vostro Corpo legislativo ed il vostro Governo , che si sono resi degni d’ essere Italiani. Qui si son fatte prendere quelle poche misure che i Francesi hanno volute, e che la timidezza del nostro Direttorio si è permesse. Forse si sarebbe fatto di più, se non si fosse destata un’ inopportuna divisione per l’elezione del nuovo direttore e 1’ esclusione a sorte di uno d’essi, fra il Corpo Legislativo ed il Potere esecutivo. Lo stato attuale nostro si .è che abbiamo da 7.“ uomini ai confini col re di Sardegna, e che si sono messe in requisizione le guardie nazionali di verso il lago di Como; che si cerca ogni mezzo di attaccarla, e che jeri l’altro Giorn. St. e Leti, della Liguria. 27 — 394 — e jeri notte sono partite truppe francesi alla volta del Piemonte. Si assicura che vadano nella cittadella di Torino: anzi si vuole che Brune a tavola jeri mattina lo dicesse. Io penso che i Francesi si servono e di voi e di noi , ma che vogliono far essi , e sopra tutto essere padroni di Torino , e per guardarsi le spalle in caso di ritirata , e per impedire la coalizione del re di Sardegna, e per prendersi l’arsenale, che non vogliono che abbiamo noi Italiani , di cui mostrano apertamente di non fidarsi. Credo da molti dati la guerra vicina e sicura con Napoli. Lo stato di questa Repubblica è tale che deve desiderarla, poiché la sua situazione ed il malcontento generale mi danno molto a pensare; e soprattutto e la qualità in massa delle autorità costituite, e la disunione che regna fra esse. Finché gl’ Italiani non sentiranno la necessità di amarsi e d’unirsi d’animi fra loro, saremo sempre infelici ed avviliti. L’ operazione di Torino credo che sospenderà ogni vostra e nostra ostilità contro il re Sardo, e che saremo costretti a fare quanto ci verrà ordinato. Guai a voi se perdete questo bel momento; facendo rientrare in casa i vostri Liguri, spegnete 1’ entusiasmo , ricadete nel-l’inerzia e nella sopita divisione dei partiti. Sarebbe questo il momento di cercare qualche motivò di disgusto con qualche piccolo Stato vicino. Scrivetemi subito , o mandatemi alcuno per indiziarmi dello stato delle cose. Se abbisogna la mia persona, son qui. Briiciate questa lettera dopo averla fatta leggere al zio ed al P.ro Scribanis, giacché la scrivo per tutti e tre, sicuro della vostra segretezza comune. Consegna le due incluse al zio ed a Scribanis. Amami, e scusami se non ti scrivo di più, giacché sono costretto a scrivere in somma fretta per la partenza dell’Ollandini (i), che torna costà. Salute e fratellanza. G. F. Allo stesso. Tu mi scrivesti oppresso dal dolore dei disastri il dì 28 giugno, io ti scrivo il 4 luglio, oppresso, o per dir meglio, incurvato sotto il peso delle riflessioni. L’intimazione presentata da Belleville nuli’altro dice, a mio credere, se non che vuole che l’Italia serva, o movendosi, o desistendo dal muoversi, di mezzo alla pace del continente , ed a de- (1) Il marchese Giuseppe di Gioacchino Ollandini Cipollini di Lerici stampò alcune poesie in raccolte d’occasione, e un Inno ai Geni di Sergio (Genova, Frugoni, 1797). Ebbe grado di tenente fra i Cisalpini. Nel luglio del 1801 insultò con vie di fatto sulla pubblica via il Commissario del Governo Ligure alla Spezia; venne dichiarato « reo di lesa nazione »; processato dal tribunale del Golfo di Venere in contumacia, e condannato (5 settembre 1801) alla fucilazione e alla confisca dei beni. S’era rifugiato nella Cisalpina, e le pratiche per 1’ estradizione riuscirono infruttuose. — 395 — cidersi a scoprirsi la coalizione, quando realmente esistesse, del che non dubito. Prova di questo si è che si temono e si lusingano i despoti; te ne sia prova l’accaduto col re di Sardegna, e l’occupazione della cittadella. Volgiti quindi alPaccaduto a Malta, guarda gl’inglesi a Napoli, l’incertezza della spedizione progressiva di Bonaparte, le requisizioni ordinate a Roma, qui e da voi, e nega se puoi il si vis pacem para bellum , vedendo di più giungere continuamente truppe in Italia. Dunque, tu mi dirai, avremo presto o la pace continentale, o la guerra di nuovo coll’Austria? Potrebb’essere ; ma più probabilmente ancora potrebbe destarsi un oragano , che rendesse vane le speranze della prima, e rendesse irregolare e civile la seconda. Se do un’ occhiata all’accaduto in Svizzera, in Olanda, in Italia, s’esamino la Francia medesima, se la corruzione universale, ti confesso che non sono contento, e che non so che consigliare i buoni a stringersi ad essere vigilanti, e ad usare quella prudenza, che non si allontana dalla fermezza, ma che non si scompagna mai dalla precauzione. Voi Genovesi, favoriti dalla natura di molti monti, che avete una certa energica fierezza per effetto di passate circostanze politiche, dovete sempre sovvenirvi, che sapendo condurvi, potete molto conferire all’esistenza ed alla imperibilità della libertà Italiana. Se sapremo secondare le circostanze, senza cadere nell’avvilimento e nella prostrazione, la Francia stessa ci saprà ben presto grado della nostra prudente fermezza. Non può tardare molto ella stessa a conoscere che i veri Italiani sono suoi amici, e che l’avvilirli ricadrebbe a suo danno. I pericoli l’istruiranno dei proprj interessi, e faranno che se li procuri col nostro vantaggio. Il presente è gravido dell’avvenire, ed il parto non è lontano. Stà alla nostra vigilanza di salvare almeno, o la madre, o la prole. Le nostre truppe hanno avuto ordine di retrocedere dal cordone tirato ai confini col Piemonte. Non si sa se si saranno mostrati senza qualche vantaggio. Oggi si tira a sorte nella sala del Direttorio quale dei membri debba sortirne. Dopo molti contrasti sul modo di questa estrazione, il Corpo Legislativo 1’ ha ceduta per quest’ anno al Direttorio. Non ti posso parlare della nuova elezione , tutt’ i partiti intrigano ; quelli che generalmente si nominano non godono la pubblica stima. Speriamo ; ma per fare delle buone scelte ci vogliono uomini da scegliersi , ed uomini da sceglierli. Tutti sono occupati in queste operazioni ; io ad osservare ed a versare qualche lagrima su i disastri che si preparano i miei concittadini, prendendo giornalmente cattive lezioni. Amami , ed abbracciami il zio , di cui credo sospesa la partenza. Leggigli questa lettera, egualmente che al P. Scribanis. Salute e fratellanza. Gio. Fantoni. P. S. — Sarebbe bene che ci comunicassimo più [spesso] quanto accade fra noi, almeno due volte la settimana; se pure basta. — 39Ò — Allo stesso. Milano, 23 Messifero an. 6 Rep.° fu luglio 1798]. Sono senza tue lettere con questo corriere ; ne ho ricevuta però una sabato, in cui mi davi avviso della tua gita a Rapallo , di Pietro Cilla, e di quanto accadeva costì. Le notizie che abbiamo relative alla vostra riviera, e l’apparato universale delle cose mi tengono inquieto. Datemi dunque riscontri i più precisi ed i più solleciti. Qui va al solito, cioè non bene. Sento tutta 1’ influenza fatale delle circostanze, e rifletto sull’Italia, e sugl’ Italiani. Mi ha addolorato la disgrazia del povero Aumont: era buono. Abbraccia gli amici, e fa loro considerare le poche parole che ti ho scritte. Salute e fratellanza. Allo stesso. Milano, 30 Fruttifero an. 6.° Rep.° [16 settembre 1798]· La lettera che ti inviai mi fu mandata da Torino e conteneva una raccomandazione per un patriotta. Mi dicono che la persona a cui era diretta sia stata costì arrestata per avere parlato troppo forte alla Municipalità di Novi. Quanto mi scrivi non mi è nuovo , ed è una misura di guerra. Si teme che gPItaliani non siano amici dei Francesi, e perciò si prendono queste precauzioni. È tanto tempo che si grida contro gl Italiani , che il Direttorio crede che sia necessario comprimerci. I pericoli, se capitano, spero che faranno conoscere alla Francia che siamo stati calunniati dai nemici comuni. Intanto bisogna avere pazienza e non avvilirsi; siamo saggi ed uniti, e la buona causa trionferà in grazia dei medesimi pericoli. Credo vicina la guerra, quando non nasca qualche crise improvvisa. Qui da molti si teme , e da molti si spera una riforma; io osservo e non vedo alcuno, giacché il migliore partito che possa prendersi in questo momento è di osservare inattivo. Vi è stato qualche movimento controrivoluzionario in Val di Sobbia, nella Bresciana e nella montagna di Como ; si vuole la Lomellina in insurrezione. I nobili ed i preti si agitano quanto possono. Si dicono molte cose di Parigi, che ogni partito racconta a suo modo; io spero da te qualche ragguaglio su di ciò, giacché dovete costì avere le nuove più precise e più fresche. T’abbraccio col zio, e con 1’ amico comune Scribanis, e con gli altri buoni. Nello scrivere fuggi certe espressioni che possono comprometterti. Salute e fratellanza. Fantoni. p. S. — Porro, ch’io sappia, non ha per anche data fuori la sua decade. — 397 — A Luigi Prassi, a Pisa (T). Massa, 1802. Vi ho scritto varie volte e mandate due lettere per Daniello , ma non v’ ho potuto riscuotere dalla pisaggine (2) , e sono sempre senza tua risposta. Amalia (3) è amabile e la sua compagnia può tener luogo di tutti gli altri amici, ma il dimenticarli è un’ingiustizia che tu fai a loro e a te stesso. Amalia è più buona di te; non ha potuto lasciarci senza vostre nuove, ed il suo buon cuore ha sentito tutta la pena che provava il nostro a non averne , consolandoci col descriverci la vita che fa, che, in sostanza, al dì d’oggi è quella di tutte le persone che conoscono la malignità dei tempi. Sì che, felice in famiglia, questo è il più essenziale , i piaceri che si prendono fuori di casa sono più divagamenti che altro. Ma ora che sei marito , e forse presto padre di famiglia, devi ricordarti che hai da vivere per gli altri, onde devi essere più obbligato a vincere quella pigrizia , che , pur troppo , senza anche cercarla, s’impadronisce di noi. Mi viene da ridere quando penso che tu , leggendo questa lettera , dirai : Labindo mi tiene per un canonico e si figura ch’io vegeti placidamente senza far nulla, passando dal letto alla tavola e dalla tavola ad una poltrona. Non dico questo, mio caro ; ma, come Orazio a Mecenate, tengo leve vitium ridendi a-mico et ludo circum praecordia , e ripeto quei diritti che mi toglie quella certa desidia, quae, come dice Tacito, invisa primum, postrema amatur. Che fai , che fanno quelli di tua famiglia , le Del Gajo , la Sal-vadori e tutta la famiglia Manzi, in particolare mamma......? Tu seguiti a tradurre le Georgiche e ad occuparti in qualche modo utilmente in questi tempi, in cui si vorrebbe che fosse vergogna pensare e delitto ragionare? Vedrai ora che i miei prognostici erano giusti, e che la favola del lupo e della volpe, cioè del pelo e del vizio, è stata sempre una gran favola. Il nostro Casti ha pubblicato i suoi Apologhi ; io darò fuori presto le mie Odi e qualche cosa altro , e te ne manderò quanto prima il manifesto. Vivi con Amalia da marito felice (1) Luigi Frassi , nato nel piano di Pisa, visse dal 1775 al 1838. « Re-pubblicano d’antica stampa » e « uomo di giovani affetti sotto la veneranda canizie », lo dice il Montanelli. Nelle Prose e versi pubblicati a vantaggio di un asilo dfinfanzia da erigersi in Pisa come un monumento alla memoria di Luigi Frassi, Firenze, Marchini , 1838; in 8.°, il Giusti, che gli fu amico, inserì VAmor pacifico e le strofe Contro un letterato pettegolo e copista. (2) Sonnolenza. (3) Moglie del Frassi. — 398 — e diventa buon padre, che hai cuore e talenti e gioventù da esserlo. Ti abbraccio con Agostino, ch’è un poco in collera teco. Gio. Fantoni (i). A Odoardo Fantoni, a Fivizzano. Massa, 27 aprile 1803. Mio caro Odoardo, ........Agostino e Luigi , che tornano in su , ti porteranno questa mia (2).......Nulla di nuovo di preciso: sono cresciuti i generi , specialmente lo zucchero. Le assicurazioni di Francia sono di pace ; le apparenze di guerra. I fogli liguri sono affatto vuoti di cose, ed io non ho lettere....... Tutti gli amici ti salutano, il Vecchi e la Lucrezia. Amami e credimi di cuore il tuo amico e fratello aff.m0 Giovanni. p. s. — Nostro fratello ha concluso assai poco; fa almeno che non lo dica e si tenga in riputazione (3). Allo stesso. Massa, 4 luglio 1803. Ti mando tre resti d’agli o sia 300; agli dei vecchi. Ve ne sarà qualcuno di vuoti, cavali perchè non guastino gli altri: e servitene. Sono dentro un mio sacco, che darai per me al fattore. Le Bri-ghenti saranno costà mercoledì sera assolutamente. Le notizie che posso darti sono che Poldo Vaccà sarà qui dopo domani col primo Battaglione ligure — che il Ministro Russo ha aperto trattative a Parigi di mediazione — che S. Cir avanza verso Napoli che in Francia vi è un entusiasmo terribile, e che tutti si offrono, ed offrono mezzi, contro gli Inglesi, e si parla di sbarco, eh io però non credo. Se vi saranno altre nuove, te le scriverò mercoledì. I\Γi 11 e abbracci a tutti e saluti alli Pellegrini e Grazzini. Sono di cuore Il tuo aff.m0 fratello Gio. Fantoni. (1) Biblioteca nazionale di Firenze, Collezione Gonnelli, cart. 13, n.° 159. (2) Il nepote e il fratello che tornavano a Fivizzano. (3) Raccolta Campori nella Biblioteca Estense. — 399 A Gaetano Celiai, a Firenze. Sono stato sensibilissimo alla disgraziata perdita di Sisto Benghi; egli ha finito di soffrire ; ma la sua famiglia, assai ristretta e che si era forse dissestata per dargli un’educazione, ha avuto un danno incalcolabile, ed il povero suo zio, che aveva fatto di tutto per questo nipote, sarà inconsolabile. Io nulla sapevo della sua perdita. Solo mio nipote, che vi saluta, aveva avuto notizia ch’era malato. L’autunno e la primavera sono le stagioni in cui la morte , dice Orazio , fa raccolta di giovani; e dovrebbero essi guardarsene con una vita sobria ed attiva. Non vi sconcerterete però per questo. L’uomo filosofo non si aggrava sul male, e considerandolo necessario, si occupa a farlo servire a gustare più il bene. — I miei nervi mi hanno ieri tartassato di nuovo; la stagione , improvvisamente resa rigida ed incostante, vi può a-vere influito. Veggo che quelli non vogliono che applichi molto , e mi impediscono di terminare i pensieri sulla lingua , che voglio trasmettervi. — Gradirò il microscopio, tanto più se me lo potrete spedire presto. Sarebbe possibile trovare costà la Centuria d’ uccelli del Cotisby, con i rami coloriti in grande? E il viaggio pittoresco delle due Sicilie dell’Abate Senon? Sono di cuore il vostro amico Gio. Fantoni (i). A Odoardo Micheli-Pellegrini, a Carrara (2). Massa Carrara, 3 agosto del 1804. Ho ricevuto la vostra lettera del 19 dello scaduto luglio , e sono contento del modo col quale avete adempito la vostra promessa. Veggo che non mancate di carattere morale , nè di criterio, che amate il (1) Questa e la precedente lettera fanno parte della ricca collezione d’autografi del cav. Azzolini. (2) Odoardo Micheli-Pellegrini nacque a Carrara il 26 febbraio 1789 , si laureò in legge nel 1808, prima a Bologna, poi a Pisa. Datosi in Genova all’avvocatura, nel 1811 fu nominato auditore della Corte imperiale di quella città; nel ’i3 andò a Lucca auditore della Corte d’appello. Passato al servizio degli Estensi, ricoprì alte cariche a Massa ed a Modena, ultima quella di governatore della Garfagnana , che perdette per la rivoluzione del ’4S. Morì a Carrara il 23 gennaio del '49. Fu giureconsulto valente e parecchie delle sue decisioni si collegano alla memoria di cause rimaste celebri negli annali della giustizia. Ebbe anche una larga cultura letteraria, sia in italiano, sia in latino , avendo appunto incominciato gli studi sotto la guida amorosa di Labindo. — 4°° — Bene, e sentite come può farsi. La maniera di spiegare le vostre idee è semplice, e lo stile sufficientemente facile, per potersi formare buono, esercitandolo su i migliori modelli, e sopra oggetti utili e analoghi alla progressione dei vostri talenti. Sento dalla Marianna Del Medico che possiate venire a passare a Massa qualche tempo: non sarebbe difficile allora, venendo voi da me qualche ora del giorno, prendere un’idea generale delle cose, per cui conoscendo ove siete, chi siete, e a che siete destinato , sappiate poi far uso utilmente delle bellezze della Natura e dell’Arte. Potete comunicare ai vostri genitori , ai quali presenterete i miei più cordiali saluti, questo mio pensiero ; tanto più vantaggioso per voi, in quanto vi è necessario, prima d’intraprendere una carriera ragionata di studi , sapere su quali basi riposa lo scibile umano , fonte della sociale felicità. Non vi sgomentate : lo studio non è penoso , come molti fanno credere con metodi oscuri e laboriosi ; la Verità, quando si cerca bene, è sempre chiara e piacevole, e la fatica, che facciamo per rintracciarla, è gradita, come quel moto , che si fa passeggiando per digerire e star sani. Credetemi l’amico della gioventù che brama istruirsi, e consideratemi, se vi renderete utile, il vostro amico aff.m0 Giovanni Fantoni (i). Al dott. Antonio Lei, a Modena. Massa, 26 marzo 1803. Tu ti lamenti che non ricevi mie lettere ed io ho da lagnarmi che non rispondi alla mie. Ti ho scritto più volte, ti ho dettagliata la vita che faccio ; ti ho richiesto di quella che fai , nè mai ne ho avuto riscontro. Credo che la posta di Modena si diverta ; in tal caso che ci avvisi; ci risparmieremo di scrivere. Poco potrà cavarsi la curiosità, giacché è mio sistema non parlare di affari politici , nè mescolarmici, e solo scrivere di scienze, di arte e di quegli studi che possono formare la felicità. Ma gli uomini sono pur poco fatti per meritarla e trovarla: il minimo impiego li gonfia , il minimo ricamo li fa girare il capo , il più piccolo interesse li blandisce, infine sono sì gracili di spirito, che non hanno forza di soffrire la verità e si gettano in braccio ai loro nemici, che li adulano e li corteggiano. Ah che i nostri vizi mi spaventano più che le nostre miserie e perfino la nostra ignoranza ! Bri-ghenti (2) sta bene, e gli ho detto che ti lagni di non avere sue nuove; (1) Raccolta Campori nella Biblioteca Estense. (2) Pietro Brighenti, nato a Castelvetro nel Modenese il 10 maggio 177$, morto a Fori! il 2 agosto 1848, Pii giugno del 1802 fu nominato Viceprefetto di Massa, « con le facoltà di Commissario straordinario, concessegli — 401 — la Vice-Prefettessa (i) abortì, ma ora sta bene, ed è tornata ch’è poco da fare un giro per gli ex feudi, per istallarvi le Municipalità nuove. Io lavoro, sono un poco incomodato di nervi , e vivo guardando il mare da una mia loggia , il quale mi pare men tempestoso della società. Abbracciami la tua Teresa e la piccola famiglia, e scrivimi lettere lunghe, se vuoi te ne scriva egualmente, additandomi la maniera di averle tu sicuramente. Salute e amicizia. Il tuo Gio. Fantoni (2). Allo stesso. Massa, i.° aprile 1803 v[ecchio] s[tile]. Rispondo alla tua lettera del 16 dello scaduto , da cui rilevo che tu sei ottimo, come ti ho sempre creduto , e senza pretenzioni ; cosa assai rara in un secolo egoista, come quello in cui siamo. La tua fi- in vista della distanza di Massa da Milano e delle difficoltà di comunicazione con Reggio, capoluogo del dipartimento ». Cfr. Ferrari Moreni G. Biografia dell’avv. Pietro Brighenti, negli Opuscoli religiosi, letterari e morali, di Modena, serie IV, tom. XVIII (1885), p. 50; il quale aggiunge: « egli tosto prese conoscenza del distretto affidato alle sue cure e suggerì i modi di farlo rifiorire. Inviò infatti, il 12 ottobre 1802, al Governo centrale alcune sue interessanti osservazioni sul censimento, sulle imposte indirette, sulla convenienza e utilità d’un porto o scalo sul Tirreno, sullo stato e mezzi di perfezionamento dell’Accademia di scultura di Carrara e sul commercio di terra e di mare della viceprefettura. Alle osservazioni fece poi seguire, tre mesi dopo, una nota complessiva sullo stesso argomento, di molta importanza. Maneggiò pure le cose politico ecclesiastiche, con soddisfazione non solo del Governo, ma anche del Vescovo di Modena Tiburzio Cortesi, il quale, con sua lettera del 28 luglio 1803, ringraziava il Brighenti dell’interessamento dimostratogli affinchè mutua e gradita riesca la concordia tra Sace?'do2Ìo e Stato, e della fermezza e nobiltà con la quale si era comportato verso il suo vicario vescovile economo abbaziale, Luciani, in punto di religione e di cose religiose ». Ebbe per successore Giacomo Lamberti di Reggio, che fu nominato Commissario straordinario del circondario della viceprefettura di Massa con decreto del 19 ottobre 1804 e ne prese possesso il 29 di novembre. (1) La moglie del Brighenti, Maria figlia di Francesco Galvani e di Anna Zenzani di Modena. « Donna religiosa, gentile e fornita di lettere italiane e francesi, ebbe a sdegno le femminili ostentazioni, e tutta dedita all’amore e alle cure della famiglia, per quarantacinque anni fu fedele compagna al marito e guida ed esempio alle due figliuole », Marianna, che su’ teatri riuscì cantante di grido, e Anna, che trattò con fianchezza il bulino, come stanno lì a farne fede le sue incisioni in rame. Cfr. Ferrari Moreni, Op. cit., pp. 52-53 e 56. (2) L’autografo è posseduto dal prof. Federico Patetta della R. Università di Modena. — 402 — ducia in me e diffidenza in te stesso merita che ti dica quello che direi a me medesimo. Non è vero che tu non abbia appreso a raflre nare la cupidigia, ma è bensì vero che tu erri in traccia di un onesta felicità, senza esserti fatta una regola di vivere , o per dir meglio un manuale di vita. Pianta i tuoi assiomi, su di essi farai le tue proposizioni di felicità, e, se ti avanza materia, ancora i tuoi teoremi. Ti parlo il linguaggio della matematica , perchè credo , coni’ essa , sicura la scienza della domestica felicità. Tu hai fissato, per verità incontrastabili, che quando la società è corrotta, bisogna riconcentrarsi, quanto è possibile, nella società di famiglia e cercare nell’ agricoltura un utile sollievo e quella salute fisica e morale che mantiene e promuove la fatica. Tutte le tue mire dunque debbono tendere a farsi un piano tale, che renda la fatica proporzionata alle tue forze e a quelle della tua famiglia, e che ne sviluppi gradatamente le facoltà , in modo da divenire utili alla sua onorevole sussistenza ed al bene di una patria, ogni qualvolta se ne presentino le circostanze. Buon marito e buon padre, come sei, fornito di sufficienti beni di fortuna , non ti manca che il metodo per esser felice. Misura i tuoi desiderj, e come poti a un albero i rami, pota dal tuo cuore i superflui. Fa un calcolo giusto delle tue entrate, e toglici sempre quanto perderesti se 1’ annata non fosse ubertosa ; su questo fisso forma i tuoi scandagli, e dividi in tal guisa: tanto per la manutenzione dei terreni; tanto per la sussistenza della famiglia, e comodi necessari della vita; tanto per 1’ educazione della medesima, compresa anche la tua istruzione, giacché l’educazione dell’uomo dura tutta la vita. Segna ogni giorno quello che fai in ciascuna di queste tre classi, e riseca in quella che credi meno necessaria. Quello che le buone annate ti danno di più, mettilo a parte, e formane una cassa di sconto, che ti servirà pei nuovi lavori , o per un fondo per 1 educazione di tuo figlio. Su questo mi spiegherò meglio altra volta , giacche e una idea nuova ed interessante. Gaetano, per ora, non ha bisogno, fino ai sette anni , che di due libri, uno per lui, 1’ altro per suo padre. Per lui : Methode amusante pour enseigner à lire aux enfants, avec 26 gravures colorées, in 12.0 (Paris), franchi 1,10, cioè due paoli e mezzo. A suo padre: Récréations physiques el matématiques par Guyot , in 8.°, due volumi fig. (Paris) fr. 18 , cioè paoli 36. Questo corso di giuochi, o esperienze scherzose di fisica e matematica, dev’essere eseguito da te e divertendo il figlio devi istruirlo senza che se ne accorga. Per avere questi libri al prezzo che ti ho accennato, puoi, anche a mio nome , scriverne al libraio Gamba a Livorno, al fine di Via grande, che ti servirà immantinente. In altra mia t’indicherò i libri che devi provvedere e per la cultura della tua famiglia e per quella dei tuoi campi. Conviene però, prima, che tu mi descriva bene la situazione di essi, la natura del terreno, ed i frutti che vi raccogli, e che la memoria dei coloni t’indica che vi si raccoglievano prima. Salutami ed abbracciami T eresa , ba- — 403 — ciami Gaetano , e conservati a tempi migliori. Il Vice Prefetto e la moglie ti salutano. Tu abbracciami gli amici di Modena, e credimi di vero cuore il tuo amico Gio. Fantoni (i). Allo stesso (2). Massa di Carrara, 20 maggio 1804. Mio caro Lei. Rispondo alla tua lettera del cinque, tardi ricevuta. Il mio mal di denti è cessato , onde cessa di provarne rincrescimento. — Sento quanto mi dici circa l’impiego, sul quale non ti farò riflessioni. Pratico come sono delle pubbliche cose, non lo sono meno dei tempi, che sono più difficili degli impieghi. Conosco la tua probità e capacità in quello che hai assunto, ma 1’ una talvolta nuoce, e Γ altra non è aiutata da chi il dovrebbe. La prudenza bene spesso parte da debolezza, e talvolta è più nociva, nelle circostanze, di certe misure pronte, forti, ma necessarie. Quando non si possono prendere, è meglio lasciar correre l’acqua per i canali ordinari, altrimenti gli straordinari non servono che a moltiplicare gli enti senza profitto. Studia a farti amare, ciò può essere utile in avvenire; e se scuópri cose importanti, non le rimettere per i canali comuni. Più potrei dirti a voce, ma siamo lontani. — Altra volta ti parlerò della tua villeggiatura e del mio progetto: per ora contentati che ti avvisi che troppo presto mi vuoi ridurre Gaetanino dotto, col mandarlo a scuola, e quello ch’è più, in compagnia di molti fanciulli, dei quali come il camaleonte prenderà le maniere e i colori. Compatisco la tua situazione , ma la città non era ancora per lui , cioè a dire la corruzione. Quando Γ uomo è formato, allora si può condurcelo per istruirlo ad evitarla. Volevo progettarti di darlo a me, e forse di convivere insieme : ora non è possibile, anche per altre circostanze, che prevedo e che mi si presentano. Ma di ciò parleremo altra volta. — Salutami costà i buoni dei nostri tempi; non dimenticare Lodi , Conti e Vicini, che credo sempre gli stessi. Mandai i tuoi saluti e di Cesegolli; non li feci perchè non sono contento delle persone. Agli amici di Faenza e Romagna fa tanti saluti; non scordarti Luigi (3), che vorrei sapere s’è sempre a Castel Bolognese. Amami e credimi Il tuo amico Gio. F Antoni. (1) Gli autografi di questa e delle altre lettere al Lei si conservano a Modena nella Biblioteca Estense e fanno parte della Raccolta Campori ; al-1’ infuori però di quella che segue, la quale è posseduta dal cav. Azzolini. (2) Sulla sopraccarta si legge: Al cittadino Antonio Lei Delegato di Polizia nel Dipartimento del Reno, Bologna. (3) Luigi Muzzi, il celebre epigrafista. — 404 — Allo stesso. Massa, 29 luglio 1804. Ritorno di Lunigiana, dove sono stato a trovare la mia famiglia, e dove ho ricevuta la tua del 10 del corrente. Essa mi prova che le tue lettere si sono perdute o a questa posta , o a quella di Modena. Se vuoi ch’io le riceva sicure, fagli una sopraccarta: Al cittadino Stefaiio Ticozzi, Segretario della Vice Prefettura di Massa di Carrara. Sono contento che tu sia contento della tua situazione politica: ricordati di servire alla cosa e non agli uomini ; essi cambiano e quella resta. Godo che Gaetanetto stia bene, e sia stato ritirato dal pericolo di una maestra con molti scolari , e viva in casa sotto i tuoi occhi. Se non ha anche 8 anni, invece di farlo studiare, divertilo ad imparare. Dagli 8 in là, se le circostanze non lo impediscono , potrebbe essere ch’io me ne prendessi cura e pensiero. Ho desiderio di formare qualche uomo: chi può pretenderlo di più da me che un figlio d’ un (1) ......... amico ? Scrivimi che fa in casa, come lo nutrisci fisicamente e moralmente; insomma in che l’occupi, divertendolo. S’ è dimagrato per ragioni fisiche, nutriscilo con fecole di riso , patate e latte ; se pratica ragazzi, allontanalo; se dormisse con la governante, fallo dormire da sè. Da quanto mi scriverai ti risponderò, e t’indicherò cose utili al suo carattere ed alle tue circostanze. Dimmi che fanno e se si conservarono Vicini, Gambari, Lodi, Ginnasi, Corelli, Monti, ec. ec. Abbraccia Gaetanetto ed i veri amici ; amami e credimi di cuore il tuo amico vero Gio. Fantoni. p. s. — Spero che avrai mandata a S. Marino la lettera che t’inviai per l’amico Delfico e me ne manderai la risposta. Passa, da mia parte, dalla nipote del matematico Fantoni , morto ultimamente costà (2), cognominata Giulia Sellio ; salutala a mio nome, e dille se si potesse avere i fogli necessari per far [l’elogio] storico di Pio Fantoni, suo zio e mio amico, perduto da noi ultimamente ; essendo mia intenzione di dare alle ceneri del buon amico, come Tacito ad Agricola, questo attestato di cordiale venerazione. (1) In questo punto la carta è stracciata. (2) Pio Fantoni, nato nel 1721, mori il 26 gennaio del 1804. Labindo gli aveva intitolata l’ode XV del libro II, «in morte del matematico Francesco Maria Jacquier », composta nel 1788. Anche l’ode giovanile « per malattia dell’autore» è indirizzata «al canonico Pio Fantoni ». — 405 — Allo stesso. Massa, 4 agosto 1804. Risposi alla cara tua del 10 dello scaduto, di cui mi richiedi. Ad essa mi riporto circa Gaetanetto; interrogandoti però in questa quale spesa potresti fare per la sua educazione, onde potermi regolare. Intanto sono di parere che tu non lo faccia istruire da alcuno, acciò il terreno non sia male seminato dall’arte, e produca i soli germi della natura, onde chi l’avrà possa innestarne socialmente le piante. Si fa più male ad istruire fuor di tempo e male, che a non istruire gli uomini. Verità poco conosciuta e poco ponderata; dalla trascuraggine della quale derivano la più parte dei mali domestici e sociali. Hai fatto bene a far cambiar aria a Gaetanetto; forse anche l’aria libera della campagna, a cui era assuefatto, può giovare a quel principio di morale che si forma con le prime abitudini. Non vorrei però che stasse a lungo con donne; la loro mal intesa pietà e i pregiudizi della loro educazione gettano dei semi perniciosi e conseguenti per il resto della vita nel cuore e nella mente dei fanciulli. Se le donne fossero quello che devono essere , le crederei le precettrici del genere umano fino agli 8 anni. La loro sensibilità, prodotta dalle gravidanze, dal parto, dall’allattamento, etc., le rende più tenere, carezzanti e manierose di noi. Ma queste stesse loro qualità nocciono maggiormente quando proteggono gli errori ed i pregiudizi. Su questo , sul precettore di Gaetanetto, sul metodo da tenersi, ed altro, parleremo sensatamente quando avrai risposto all’ultima mia. Ho piacere che il Zambeccari (1) ripeta la sua ascensione, e vorrei che gl’ Italiani in ogni scoperta dassero sempre, come Galilei e Machiavelli, le leggi di direzione in qualunque scienza e arte. Salutalo in mio nome ed auguragli un viaggio felice. Digli, da mia parte, che s’ innalzi colla bandiera italiana, e che prenda tutte le precauzioni fisiche possibili per arrestarsi a quella posizione verticale, che gli conviene. Non dubito che possano solcarsi le correnti dell’ aria come quelle dell’acqua, quando l’esperienza ce le farà conoscere egualmente; ma la possibilità di riuscirci sta per ora nell’ innalzarsi a quel grado in cui si possa agire senza perdere le facoltà necessarie per la manovra. Digli che faccia piuttosto meno che più, giacché se il pericolo non spaventa gli osservatori, l’operatore può ritentare facilmente l’impresa , e con vantaggio maggiore. Si ricordi inoltre di fare quanto puole alla vista degli spettatori: chi li sorprende li guadagna ed ha nelle induzioni che fanno un voto quasi sicuro per le sue operazioni non vedute. (1) Il conte Francesco Zambeccari di Bologna, primo degli areonauti italiani. Il Fantoni accenna alla volata del 22 agosto 1804. Ti ringrazio della lettera fatta recapitare al mio buon amico Melchiorre Delfico a S. Marino. Desidero una sua risposta, che farà passare per le tue mani. Saluta gH amici del bene e nostri, e credimi di cuore il tuo amico Gio. Fantoni Labindo. Allo stesso. Massa di Carrara, 3 settembre 1804. Ricevo con la posta di ieri le due tue lettere colla solita sopraccarta Ticozzi, una del 25, l’altra del 29 scaduto agosto. Ti sono grato^della relazione datami del viaggio aereo del nostro Zambeccari , che ho comunicata e comunicherò agli amici, tanto più che i fogli toscani hanno tentato di farlo comparire sfortunato in ogni senso agli occhi del pubblico. Io, che sempre ho dinanzi al cuore ed alla mente l’epigrafe di Virgilio : Salve, magna parens frugum Saturnia tellus, Magna virum; Te salve, terra di Saturno, salve Te di biade e d’eroi madre feconda; e che vorrei scorgere sempre i suoi figli più potenti fisicamente e moralmente della terra, sento con lagrime di gioia che alcuno di noi si è distinto e si è ricordato di far conoscere agli stranieri che fummo, e saremo ogni qual volta vogliamo, i maestri e i padroni del mondo. Tu, che conosci il mio carattere, tu che sai che ogni sacrifizio da me fatto e da farsi non è stato ad altro destinato (dopo il bene della specie) che all’onore avvilito d’Italia, che la natura destinò a rivivere, puoi immaginarti quanto io sia soddisfatto quando ascolto che alcuno la richiama all’antica grandezza e alla gloria passata. Sono da lungo tempo persuaso, per le poche cognizioni che ho dell’astronomia e della fisica, che la navigazione dell’aria dev’essere meno difficile di quella dell’ acqua, quando gli uomini abbiano acquistata la presenza di spirito, come si fece sull’acqua, di misurare indifferentemente 1’ immenso spazio orizzontale, di scorgere senza sorpresa egualmente la linea d’ elevazione verticale, che con maggiore velocità si percorre. Perciò ti scrissi altra volta che vorrei che il nostro Zambeccari imparasse esattamente, colla forza della gravità, la facoltà di più o meno innalzarsi , e potesse in tal guisa esser padrone delle sue operazioni e di dirigersi in quella corrente che più trovasse conveniente alle sue esperienze ed al giudizio del pubblico , che quasi sempre rileva dall’esito l’utilità di una scienza e di un’arte. Rallegrati da parte mia con Francesco Zambeccari , incoraggiscilo a seguitare fino ad una certa dimostrazione della sua teoria, e digli che il suo e 1’ onore d’Italia vogliono a qualunque costo che la sua impresa si — 407 — renda utile. Sono persuaso che i bravi Bolognesi si presteranno con il solito entusiasmo e generosità ad una scoperta, che conferma l’antico proverbio Bono7iia docei; e dirai a tutti gli amici, e in particolare a Gambari, che mi saluterai cordialmente con tutti quelli che amarono, e spero che amino, P onore d’Italia, che desidero che sappiano far combinare P aria rarefatta e 1’ aria infiammabile all’ atmosfera egualmente che altre due cose, che sono in Italia, a ristabilire quegli ordini che altre volte ci resero padroni della terra. Vorrei che quattro Bolognesi, a tenore di quanto propone Zambeccari, tentassero nuove esperienze, giacché Bologna non deve con altri dividere questa gloria; ma nel tempo stesso gradirei che si prendessero tutte le necessarie misure e precauzioni per scorgere gl’inconvenienti di cui il variabile giudizio del pubblico incolpa sempre gli operatori, accusandoli d’imprevidenza. Fammi sapere se Francesco Zambeccari è il professore Zambeccari, o il figlio del già.....(i); come sta della sua mano, minacciata di gangrena; e suggeriscigli di condurre seco nel nuovo viaggio un astronomo, un fisico ed un meccanico, e di farsi direttore con essi in quanto appartiene alla sua teoria dell’operazione generale; che non dimentichi però che l’abilità di questa deve essere unita al coraggio, senza di cui ogni ardito tentativo diviene infruttuoso. Non scordarti di mandarmi la prima copia delle osservazioni importanti dell’accaduto, che pubblicherà Zambeccari; e se puoi averla manoscritta, non uscirà dalle mie mani, quando me la comunicherai anticipatamente. Se si istituisce a Bologna una scuola di aereonautica non dubito che se ne istituiranno altre in Italia , giacché la forza dell’ imitazione è potente, specialmente in una nazione, che rammentandosi che ha fatte cose grandi, sente il bisogno di farle. Chi sa che un giorno, come gli antichi aggiunsero il pugnale alla loro tattica militare , noi non possiamo aggiungere altri istromenti per aria, che ci rendano l’amore e il terrore delle nazioni. Tu vedrai sovente Sommerzeri, di cui conosco 1’ interesse per la gloria d'Italia: abbraccialo e digli che si ricordi del suo amico Fan-toni. Veggo che l’entusiasmo che ha destato in te il tentativo di Zambeccari ti ha fatto dimenticare di parlarmi del nostro Gaetanetto e delle varie lettere che ti ho scritto per questo oggetto. Non posso scriverti cosa alcuna su tal proposito, finché tu non rispondi dettagliatamente alle precedenti mie lettere. Non lasciarti strascinare dalle circostanze , nè sorprendere dalle moltiplicate occupazioni del giorno. Ricordati che sei padre e cittadino, e che il massimo de’ tuoi doveri è di formare tuo figlio e l’uno e l’altro. È vero che il tempo non (i) Parola illeggibile. Francesco, 1’ areonauta, era uno scienziato e nasceva dal conte Giovanni. — 4°δ — sfugge, non avendo Gaetanetto ancora gli ott’ anni, ma mi pare, se non sbaglio, che ne abbia sette: conviene preparare gli stromenti e i materiali. E ben sovente, facendo le cose in fretta, c’ inganniamo sulla scelta de’ primi. Non ti dimenticare che devi scrivermi dettagliata-mente sul conto degli amici, sulla risposta che deve darmi Delfico e di quella che ti deve aver data la nipote del matematico Fantoni. Fammi sapere se è sempre a Castel Bolognese il Muzzi, che fu tuo segretario e che in passato mi scrisse qualche volta; e cosa sia di Co-relli e compagnia della nostra società romagnuola. Credo che nelle tue occupazioni di Polizia farai, come io nelle mie di scienze e di lettere, le osservazioni necessarie sulle azioni degli uomini e delle cose, e che ne formerai i tuoi resultati. Non dimenticar mai fra queste, nè lascialo dimenticare da quelli che ti somigliano, il tuo amico Gio. Fantoni. Allo stesso. Massa di Carrara, 24 ottobre 1804. Ti rimetto una mia risposta alla Società fautrice del sistema di Zambeccari. Leggila e consegnala , e se mi scrive, incaricati di mandarmi le lettere; a scanso di spese di posta servendoti del solito mezzo d’officio a Ticozzi. Glielo dico gentilmente, come vedrai, ma a te bisogna lo confessi: non trovo molta fiducia, nè volontà di associarsi; a tutti rincresce mettere fuori per il meno 36 scudi, senza avere una certezza del modo in cui saranno erogati, ed il nome di alcuni firmati (mi capirai) accresce la diffidenza. Dubito assai che il progetto possa andare innanzi , se i Bolognesi , il cui entusiasmo generoso è capace di tutto, non fa grandi sforzi locali. Lo vorrei e per la gloria di Bologna e per i sacrifizi onorevoli fatti da Zambeccari e per l’onore d'Italia. Dì al suddetto molte cose per me. Ti manderò una lunga lettera per l’educazione del figlio; ben inteso, che ti serva di regola, che alcuno non la veda! e sopra tutto il suo precettore, a cui di mano in mano dirai quello che vuoi che ti faccia. Ti ripeterò però che ho inteso con rincrescimento che prima di otto anni tu abbia dato a Gaetanetto un precettore. L'età dell’ innocenza e degli scherzi non vuole regole e prescrizioni ordinate, basta soltanto che vi sia chi V invigili, o lo diverta utilmente. Desidero che il mio prognostico non si avveri ; Gaetanetto perderà la sua ilarità , la riflessione prematura soffocherà il sentimento, e diverrà adolescente quando non dev’essere che infante. Ogni cosa ha il suo tempo, ogni stagione nell’anno, ogni età nell’uomo. Le sue facoltà ed i suoi mezzi ora deve Bondir comme un chevreuil sur un lit de gazon. Chi lo facesse montare sopra un albero li romperebbe il collo. — 409 — Fammi subito un piacere. Vorrei sapere cosa è un certo Francesco Ghirardini, che dev essere passato ultimamente da Bologna , che dice di abitare a Legnago con sua madre ed essere figlio del Marchese Ghirardini di Verona e nepote di quel Marchese Ghirardini ch’era Ministro imperiale. Mostra d’essere patriotto e d’aver sofferto. Mi premerebbe saper subito s è di detta famiglia, se la madre è erede e sta seco divisa dal padre, ch’è di differente opinione, e sta in Verona di là, e finalmente qual è il carattere di detto Francesco. Ti prevengo che si mostrava molto conoscente di vari a Bologna , fra’ quali di Gallino. Abbracciami Gaetanetto, e credimi di cuore il tuo amico vero G. Fantoni Labindo. P.S. Saliceti è arrivato a Milano ; si vuole con poteri vasti anche sulla Repubblica Italica. In questo momento si ha notizie che le malattie di Livorno aumentano (i), e ancor noi si metterà il cordone dalla parte della Toscana. Allo stesso. Massa, 9 giugno 1S07. Dall’ ultima tua , in cui mi dasti notizia del tuo arrivo e occupazioni a Bologna non ho più avuto tue lettere , nè risposta a quelle che ti ho scritte, nè alcuna tua notizia. Se ti conoscessi meno, direi che le capitali ti fanno scordare gli amici. Abbraccia Gaetanetto, e dammi segno che sei il mio Lei, e che mi credi 11 tuo Fantoni Labindo. Ad N. N. Fivizzano, 4 luglio 1807. Stimatissimo amico, Ho qui ricevuto una carissima vostra del 9 dello scorso giugno, nella quale mi parlate del Rettor Corsi per l’Accademia di Carrara, dicendomi che Desmarais (2) non insiste più per venirci. Io posso sinceramente dirvi che questo non dipende da me , ma totalmente dal Governo di Lucca, che agisce da sè e senza dar parte su di questo. (1) La febbre gialla, che da Filadelfia nell’America era passata a Malaga e di là a Livorno. (2) Giambattista Desmarais, già segretario della Legazione di Francia nella Svezia, per decreto del 15 luglio 1807 fu nominato professore di pittura neH’Accademia Eugeniana di Carrara. Mori il 29 aprile del 1813. Giorn. St. c Lctt. della Liguria. 0c — 410 — Io vorrei esser utile agli altri, ma non essendo consultato in questo, non posso interloquire. Presto vado in Lombardia , ove debbo stabilirmi ; non so dunque per quanto potrò ancora dirigere l’Accademia di Carrara, essendo quasi incompatibile il mio necessario domicilio nel Regno Italico e la detta direzione. Anche a me è stato detto che Cesarotti lavora ad un poema : la sua età pare che lo debba far inclinare ad un’ Odissea. Vedremo gli errori di chi canterà. Se darò qualcosa alla luce , ne sarete avvisato ; ma io , che non scrivo ad opportunitatem, stampo difficilmente. Al Consigliere ed agli amici mille e mille saluti. Abbracciate per me il vostro Lucilio e sviluppate 1’ uomo animale onde farne Γ uomo sociale. . . Ebbi notizia di Pacchiani dal professore di matematica polemico Pieraccioli, che veniva da Prato. Se gli scrivete , ditegli mille cose per me. _ .. ^ Amatemi ed applicatevi per la gloria e per il bene d Italia. Sono d' core 11 vostro amico afìf.mo Gio. Fantoni Labindo. P. s. — Fra sette o otto giorni vado in Lombardia : stanotte partirò per Massa (i). Al dott. Antonio Lei, a Forlì. Corticella, 15 settembre 1807. Oggi ho ricevuto lettere di mio fratello, eh’è andato a prendere la nipote a Fontana dal cognato Grimaldi , onde mi conviene partire dimani per essere al suo passaggio da Modena per andare a Reggio. Ti prevengo dunque che presto sarò a Massa di Carrara. Se vuoi seri vermi, in tutto questo mese dirigi colà le tue lettere. Al mio ritorno ti avviserò, per trovarci ed abboccarci a Bologna. Non approvo che tu abbandoni l'impiego per ora; te ne dirò le giuste ragioni altra volta. Se potessi avere il segretariato generale di Modena sarebbe cosa ottima, tanto più che viene per prefetto l’ottimo Cavriam. Io ti vorrei meco, ma i tuoi interessi vogliono altrimenti, ed io, che li curo come i miei , debbo parlarti chiaro. Ora puoi star tranquillo sui tuoi affari, perchè hai chi li farà, mi lusingo, con più impegno di te. Dovrei scriverti più a lungo, ma sono' stracco morto. Nelle alti e pagine troverai il’già indicato, nell’ altra mia, piano del nuovo tavoliere (1) Questa lettera, della quale si trova l’autografo nella Collezione Gon-nelli, cartella 13, n.° 160, è mancante d’indirizzo. — 411 — di frutta e del giardino (r). Abbracciami Mulazzani, Tonino, Corelli, Manzoni, Foschini , Ginnasi e tutti gli altri amici , e salutami la Guglielmi. Amami e credimi di cuore, non scrivendomi mai più col voi, 1’ a-mico Gio. Fantoni Labindo. Allo stesso. Massa, 3 ottobre 1807. .....Sarà per me la massima delle consolazioni rivederti , ab- bracciarti e trovarsi insieme a Corticella. Subito arrivato ti scriverò il giorno dopo, perchè tu possa partire. Ma non ti voglio per un giorno o due , ma per qualche giorno, altrimenti sarà impossibile combinare bene le cose, specialmente quelle dei tuoi affittuari o mezzadri. .....Nulla tu mi dici del nuovo vivaio di piante, che ti ho prò posto. Volevo rendere fruttifero e simmetrico 1* isolotto, tu preferisci una macchia infruttifera in disordine, a cui se ne può sostituire altra fruttifera della stessa grandezza, giacché è assai fanciulla. Mi acquieto non ostante, aspettando che ci capacitiamo vicendevolmente su questi ed altri capi ; ben inteso però che sia tra noi , e che le genti del luogo non ricevano un ordine che non sia unico, o di ambedue, altrimenti si avvezzerebbero a non ubbidire e a non stimarmi. Circa poi i tuoi interessi a Modena, bisogna che tu mi parli chiaro, e faccia conoscere gl’ impegni che hai. Esamineremo se il luogo li può soddisfare. Io farò per te quello che farei per me medesimo* ed avrai un agente, e un amico, come ti piace : non è cosi facile trovarne al dì d’oggi. Su questo non voglio dir altro. Rimetto tutto al piacere di rivederti , e di esserti utile, e tu non puoi farmi il torto di non esserne degno. Non so se si verificherà , che Bonaparte venga sì presto ; quando ciò sia , dubito che gl’ impieghi diminuiranno piuttosto che crescere. Il tuo impiego attuale non basta per il tuo decoroso mantenimento5 Le tue entrate domestiche non soddisfano gli obblighi che hai? Se no, cerca un impiego migliore, e una vice prefettura, che ti sarebbe più facile 1’ ottenere. Se ti basta un segretariato generale col buon Ca- (i) Ideava di farlo tra due « vigne basse alla fiorentina >, e lo spartiva in dieci appezzamenti, cinque per parte, in mezzo ad un viale fronteggiato da alberi fruttiferi, da tenersi a spalliera. Uno degli appezzamenti era destinato ai prugni, uno alle pesche , uno alle albicocche, uno ai fichi, uno ai peri, uno alle ciliege marasche e uno alle moniaghe. AI di là del tavoliere, in otto quadrati voleva fare la carciofaia, la pisellaia, il sedanaio, il lenticchiaio e ceciaio ; e destinare gli altri, uno ai cavoli fiori, uno alle insalate, uno agli spinaci da ogni mese, e uno alle erbe da cucina. — 412 — vriani prefetto a Modena , perchè non potresti avere il segretariato generale della Prefettura del Panaro ? Che bella cosa sarebbe allora per tutti e due ! . . Abbraccia i nostri buoni amici, che rivedrei tanto volentieri. a un fastello per me colle braccia di Mulazzani , Laderchi , Manzoni, Foschini e Ginnasi, etc. e dì loro che bevano tutti alla salute clcg i Italiani. . Ho avuto piacere della migliore situazione di Guglielmi , e sono contento che ancora costà la Bettina abbia meritata la stima dei bU Arrivato che sarò, farò l’inventario della cantina, scuderia, etc E circa il vivaio, che ti ho proposto nello stradone , non bisognerebbe lasciar passare la metà di novembre. Ti abbraccio come ti avessi presente , il che mi consola che sara presto. Sono di cuore il tuo amico Fantoni Labindo. A Nicolao Giorgiui Prefetto di Massa. Massa, li 15 ottobre 1807. Signore, Con la di lei lettera n." 1S74 ricevo un nuovo attestato della generosa propensione verso di me dell’Altezza Sua Serenissima e di S E il sig Gran Giudice Ministro della Giustizia; e la mia riconoscenza sente tutto il prezzo di una stima e di una considerazione, che bramerei di poter meritare con quei talenti che sono necessari per a direzione di Accademia di Belle Arti, che potrebbe di un paese intiero formare un vivaio di artisti. 111 1 a mia accettazione non può molto influire ad un opera che la sola mente e generosità di un Governo benefico può rendere importante Se le mie poche cognizioni possono da lungi influire, ho già detto al sig Direttóre Sonolet, a cui è stata conferita ogni ingerenza, di chiedermi qualunque istruzione, che mi farò sempre un dovere d, trasmetterla più sollecitamente che sarammi possibile. Lo devo al mio cuore, all'amore che ho sempre avuto alla pubblica istruzione alla riconoscenza che nutro verso i Principi , che si sono degnati distinguermi , e verso S E. il Gran Giudice Ministro della Giustizia, a cui ella si c compiaciuta altra volta inviare mia lettera nella quale esposi le ragioni che mi obbligavano a stare assente dal Principato di Lucca. I 1 prego di nuovo di mettere sotto gli occhi del medes.mo che , tenore di d„e deere.i di S. A. I. e R. il Vice Re d’Ua.ia (,), ,o (,) Il Vice Re Eugenio il io agosto del 1807 aveva stabilito : « Qualunque individuo, suddito del Regno d'Italia, il quale, due mesi dopo la pubblicazione del presente decreto , non fosse rientrato nel Regno , e che non — dl3 — £oho obbligato in questo mese di ottobre a rientrare nel Regno, a cui appartengo, non meno che da poco in qua la mia famiglia (i) ; che non posso accettare impiego alcuno, benché letterario , senza il permesso del Regno Italico; che in quel territorio ho vari possessi , che domandano la mia presenza; e che nulla posseggo nel Principato Lucchese, e nemmeno vi ho più abitazione, onde, quando dovessi venirvi una qualche volta, dovrei pensare a troppe cose, per adempire ad un uffizio, che nell’attuale regolamento (2) può esser compiuto, senza bisogno della mia vigilanza, dal sig. Direttore della Banca Elisiana (3). Non posso in migliori mani, che le sue, consegnare le mie ragioni, e la mia riconoscenza ; tanto più che le ho a voce dettagliatamente esternati i motivi della mia assenza. Partendo, le replico i sentimenti più sinceri di stima e di considerazione, onde mi pregio salutarla con la massima distinzione. Giovanni Fantoni cognominato Labindo (4). (Co?itinua). provasse di avere ottenuto da S. M. una speciale autorizzazione di conservare o di accettare un servizio militare o civile nell’estero, cesserà di esser considerato come italiano. Tali individui perderanno quindi i diritti civili e politici, e verranno dichiarati inabili a possedere e succedere del Regno. I beni che i medesimi individui possedono in questo momento nel Regno... saranno sequestrati ed amministrati, fin che vivono, dal Demanio a profitto del Tesoro pubblico... Una commissione .. stabilirà negli ultimi giorni del mese di ottobre prossimo, dipartimento per dipartimento: i.° la lista degli individui ai quali il presente decreto è applicabile e che vi si saranno conformati; 2.0 la lista degli individui che fossero rimasti al servizio di qualche Potenza estera, e che non avessero provato di una speciale autorizzazione di S. M. » Cfr. Bollettino delle leggi del Regno d'Italia, dal 1 * luglio al 30 settembre 1S07, part. II, pp. 413-415. (1) Allude al nepote, che aveva messo casa a Reggio. Lo stesso Labindo fin dal 2 di settembre dichiarò avanti il Maire di Spilamberto, dal qual Comune dipendeva Corticella, di volervi fissare il proprio domicilio. (2) L’Accademia di Carrara, in forza del nuovo Regolamento del 25 luglio 1807, era composta « di un Presidente perpetuo , di un Direttore del Museo, che presieda ΓAccademia in assenza del Presidente, di un Segretario, di venti Accademici votanti e di un numero indeterminato di Accademici artisti e onorari ». Il Direttore era « specialmente incaricato di tutto ciò che ha rapporto all’ amministrazione ed al contenzioso economico dell’ Accademia »; il Presidente invece « di tutta la corrispondenza interna ed e-sterna relativa alle arti che coltiva ΓAccademia »; doveva poi pronunziare « 1111 discorso relativo alle arti nella distribuzione de’ premi», ed aver « la parola, a nome dell’Accademia. in tutte le occasioni ». Era pure obbligato a recitar « l'elogio degli accademici defonti » e presiedere le adunanze. (3) Ettore Sonolet, oltre la carica di Direttore del Museo, aveva anche quella di Direttore della Banca Elisiana. (4) Luigi Matteucci, Gran Giudice Ministro della Giustizia, inviò al Principe di Lucca la lettera presente, che si conserva nell1 Archivio Lucchese, Segreteria di Stato e di Gabinetto, protQcollo n.° 2011 del 1807. — 4H. RELAZIONE SOPRA I LIBRI IURIUM DI GENOVA (I) Dal tempo delle Crociate Genova provvedeva alla tradizione della sua storia non solamente per mezzo di una cronaca ufficiale, ma anche per mezzo di una collezione ufficiale di documenti. Agli Annali di Caffaro e dei suoi con- (i) Allorquando per il trattato di Vienna vennero restituite Tanno 1816 le carte avulse all’archivio della Repubblica di Genova nel 1808 e 1812, non tornarono con esse cinquantasette manoscritti che erano stati portati , non si sa quando nè come, negli archivi speciali del Ministero degli affari esteri. Si credettero per assai tempo perduti; senonchè consentito agli studiosi nel 1S80 l’accesso a quegli archivi v’entrò primo Henry Harrisse, e, ricercando documenti colombiani, vi trovò una raccolta di codici distinta con la indicazione di Fonds Génois, e ne trasmise immediatamente una sommaria notizia a Cornelio Desimoni in Genova. Fra essi di grande importanza i Libri Iurium, perchè valgono a correggere, insegnare e compiere la serie dei documenti diplomatici già da tempo pubblicati. Il Desimoni desideroso di studiare questa ricca e nuova suppellettile storica, si condusse nel 1883 a Parigi munito di commendatizie del Ministro italiano per gli affari esteri, e là sorretto dai buoni uffici dell’ ambasciatore nostro , che era il dotto e compianto conte Nigra, vincendo alcune difficoltà, in ispecie mercè gli uffici di Ernesto Rénan, dell’acccglienza e della cortesia del quale non rifiniva, ben lo ricordiamo, di lodarsi altamente , ebbe in comunicazione una parte di quei manoscritti, e potè identificarne trentadue come già appartenenti all’archivio genovese; gli altri, qualunque ne fosse la cagione, non gli vennero comunicati. Tornato in patria partecipò agli amici studiosi il risultato delle sue indagini, e una speciale relazione ne trasmise al Ministro dell’interno. Furono allora iniziate delle pratiche per veder modo di riavere quei codici, ma a nulla approdarono. Aveva anche in animo di prepararne un’ampia notizia particolareggiata per gli Atti della nostra Società di Storia Patria, ma al proposito non tenne dietro l’effetto , e il materiale preparato rimase fra il suo prezioso e singolare schedario neirArcliivio di Stato. Il desiderio di dare alla nostra storia un fondamento sicuro con la pubblicazione del codice diplomatico genovese secondo le norme della critica moderna, si venne in questi ultimi tempi acuendo , di guisa che il marchese Cesare Imperiale e il prof. Camillo Manfroni fecero nella seduta di maggio del 1906 la formale proposta alla R. Deputazione di storia patria in Torino, perchè ne curasse la stampa ne’ suoi volumi La proposta fu accettata e la presidenza ebbe il mandato di avvisare ai modi e al tempo dì metterla in atto. Ora la relazione del dott. Sieveking giunge in buon punto , così per tener vive e deste le pratiche iniziate, come per avviarle ad una pratica soluzione scientifica. (A7, d. Dir.). — 415 — tinuatori aggiungevasi il « Liber Iurium ». I due primi volumi di questo « Liber Iurium » sono stampati nei Monumenta Historiae Patriae, vol. VII e Vili, Torino, 1854 e 1857. Ma gli editori non conoscevano la collezione dei « Libri Iurium » conservata a Parigi nell’Archivio del Ministero degli Affari Esteri e scopertavi dal Sig. Harrisse nel 1880. Vediamo come quei codici ed i manoscritti, i quali furono usati dagli editori, si completano. Quattro copie del Liber Iurium I. Nel 1229 il Podestà Giacomo di Balduino di Bologna ordinava una raccolta degli atti pubblici della Repubblica in un volume, ma non prima del 1253 il Consiglio di Genova ne confidava la redazione al notaro Nicolao di San Lorenzo. I\el 1267 H Podestà nominava i notari Guglielmo di San Giorgio e Guiberto da Nervi per fare un’altra copia dei documenti, il numero dei quali si era nel frattempo aumentato. Nel 1296, avendo il fuoco distrutto l’esemplare destinato all’ uso continuo (credo quello di Guiberto da Nervi), Porchetta-Sai vaigo domandava al notaro Rollan-dino di Riccardo di trascrivere due libri di privilegi, dei quali 1’ uno doveva contenere la copia dei documenti in serie cronologica, 1’ altro gli stessi documenti divisi in sei libri per ordine geografico. Queste due copie finite nel 1301 erano presenti agli editori; la prima ornata di una bella miniatura, dalla bottega di un libraio fu posta in salvo nella Biblioteca del-l’Università di Genova, l’altra nel 1S16 da Parigi fu resa a Torino. Gli editori hanno creduto di dover seguire l’ordine cronologico , ma siccome nelle registrature gli atti sono disposti secondo categ-orie e siccome anche il privato ordina le sue lettere secondo i corrispondenti, così sarebbe forse meglio seguire in una nuova edizione 1’ ordine geografico del Codice di Torino. A Parigi nel Fonds Génois sono restate le copie del 1254 e del 1267. La prima, « Liber Iurium I » ff. 1-236, contiene le copie autentiche di « Nicolaus de Sancto Lan- — /\ιύ — fentio, sacri palatii notarius ». Seguono fino al f. 338 copie autentiche di altri notari come di Giacomo I3uonaccorso, f. 239-287, anno 1261 ; l’ultimo atto e del 1295. I primi dodici fogli di questo codice sono lacerati e g*uasti dall a-cqua. Nel 1748 non trovandosi altra pergamena, i primi fogli vuoti furono usati per scrivervi la ratificazione dei preliminari della pace. Possiamo consolarci dello stato deplorevole dei primi fogli del « Liber Iurium I », essendoci conservata nel « Liber Iurium VII » la copia di « Gùgliel-mus de Sancto Georgio, sacri palatii notarius » del 1267. Nel 1253 il Podestà aveva dato alla copia autentica la stessa fede dell’originale (1), così Guglielmo di S. Giorgio non aveva bisogno di consultare l’originale, ma poteva u-sare la copia di Nicolò di S. Lorenzo e dei suoi successori (2). I documenti del primo codice aggiuntivi dopo il 1254 non sono tutti traslati nelle altre copie e così non si trovano stampati nell’edizione dei Monumenta. Ne ha pubblicati alcuni il Belgrano secondo le notizie del Desimoni, il quale nel 1883 ha studiato questi Codici a Parigi. Sono i primi quattro dei Cinque documenti genovesi orientali, in Atti Soc. Lig. di St. Patria., vol. XVII, p. 223 segg. Altri, come la pace coi Templari del 1267 , sono conosciuti altrove. È interessante (f. 314) la lettera di « Alfonsus Dei gratia Romanorum rex semper augustus, Castelle, Toleti , Legionis, Galicie, Sybillie, Cordube, Murcie, Algarbie rex » dei 27 febbraio 1281 ai capitani Oberto Spinola ed Oberto Doria « dilectis fidelibus suis » nella quale raccomanda il Marchese di Monferrato, che voleva sbarcare a Genova con milizia. II volume del 1267 non contiene tutte queste addizioni, ma è importante perchè Jacopo Doria, il continuatore degli (1) I, f. 236: « Statuit et laudavit quod hec eandem vim et fortiani habeant cum originali ». (2) VII: «Transcripsi et exemplavi de registro et autentico communis Janue scripto manu Petracii de Musso translato et exemplificato manu magistri Nicolai de Sancto Laurentio notarii »; Γ. 289: « transcripsi de registro au* tentico scripto manu Guillelmi Paiarini ». — 4*7 — Annali « custos pro Communi tam privilegiorum quam etiam registrorum et aliarum scripturarum Communis » vi ha premesso un indice. Alle rubriche del « registrimi comunis Ianue » seguono note « quod in privilegiis imperatorum continetur » e « quod in privilegiis pontificum ro-manorum continetur ». Nel margine dei documenti si trovano degli alberi genealogici , pubblicati per cura di Cesare Imperiale , a corredo degli scritti sulle Marche del Desimoni, (Atti Soc. Big. di St. Patria, vol. XXVIII, p. 299 sgg.). Due copie del Liber Iurium II. Il secondo « Liber Iurium » è del quattrocento. Contiene documenti dell’epoca dei Dogi popolari dal 1339 1424. Segue la divisione geografica del codice di Torino, ma invece di sei libri ne ha sette. Mentre nel codice di Torino, dopo il primo libro dei privilegi riguardanti la sola città, vengono prima i libri dei privilegi che si riferiscono al distretto o ai paesi orientali e le cose del nord sono riunite in un solo libro « tam in districtu quam extra », qui sono innanzi collocati gli affari del nord, divisi, come quelli dell’est e dell’ovest, in due libri. L’originale è quello di Parigi. Gli editori avevano sott’ occhio una copia conservata nella Biblioteca dell’ Università di Genova. Però questa copia e dello stesso tempo deH’originale, anzi scritta dalla stessa mano ; mancano soltanto dopo i documenti le autenticazioni del notaro Antonio di Credenza, che si trovano nei primi 390 fogli dell’originale, fatte dopo il 1422. Il codice di Parigi aveva 425 fogli, dei quali mancano i ff. 15-24, 203-12, 280-83. Nella copia di Genova mancano (e quindi non sono stampati i documenti relativi) i ff. 21-30 che, secondo l’indice , trattano « de translatione dominii Ianue translati in Ill.mum dominum Ducem Mediolani ». Sono questi i documenti più interessanti del primo libro che va dal f. 1 al f. 34 e che contiene « Privilegia imperialia et alia jura intra civitatem acquisita ». Il 4 marzo 1422 Genova si dà al Duca di Milano. Il 14 marzo il Duca promette di proteggere le compere di S. — 4iS —* Giorgio e le altre compere della città. Il 16 marzo seguono altre « concessiones de domini ducis liberalitate Communiae Janue et Januensibus concesse » (i). I Genovesi esprimono i loro desiderii in 18 capitoli, ai quali il Duca risponde. La città soffriva, perchè le guerre impedivano 1 importazione di vettovaglie. Il Duca le permette di approvvigionarsi dalla Lombardia (c: 12). Milano vuole prendere il suo sale da Genova ed il Duca promette di favorire il commercio , non solamente dei Lombardi ma anche dei Tedeschi con Genova. « Dignetur Ducalis bonitas in generali favere communitati Janue » in negotiatione mercatorum suorum inducendo suos subditos Lom-» bardos ad conversationem et commercium Ianue. Et similiter digne-» tur aliquas largitiones et immunitates facere et concedere theoto-» nicis, ut facilius possint prosequi opus inceptum et contextum Ianue, » videlicet de faciendo schallam et trafficum per Mediolanum Ianuam. » Et etiam dignetur eligere unum syndicum vel commissarium suum, » qui vadat cum syndico iam Ianue electo super huiusmodi negocio » ad serenissimum imperatorem et communitates Alamannie (2). » Responsio domini ducis ad predictum capitulum : » Pro favore negociacionis et mercium civitatis Ianue contenti su-» mus hortari facere subditos nostros ad conversationem et commer-» cium in dicta civitate Ianue. Ad secundam partem eiusdem octavi » capituli quo petitur concedi per nos immunitates et largiciones theo-» tonicis mercatoribus, ut per transitum Mediolani possint trafugare in » Ianua, videbuntur capitula theotonicorum et postea favorabiliter » quantum pluris poterimus, providemus (3). Seguono nel secondo libro , ff. 43*5^ del codice di Parigi, « lura in terris de ultra jugum intra districtum » (Novi etc.), nel terzo, ff. 63-76, « Scripturae terrarum ultra jugum extra districtum » , convenzioni coi paesi del settentrione, specialmente con Milano nel 1363, nel 1367, nel 1388, nel 1418. Il quarto libro che (fif. 79-208) comprende « lura terrarum riparie occidentis » è il più voluminoso. Il quinto (1) Cf. Genova, Archivio di Stato, Materie politiche, mazzo 12. 24 febbraio 1422. Capitali convenuti tra Filippo Maria Duca di Milano e Genova. (2) Schulte, Geschichle des viittelalterlichen Handels nnd l erkehrs zwischen IV'estdeutscìiland nnd Italien, I, S. 518, II, S. 252, N. 35>: Thomas Sopii ya. (3) Fu fatto 2S agosto 1422, Schulte, II, S. 99, fi'., N. 182. — 419 — libro (ff. 213-298) ha le convenzioni coi paesi dell’ovest « extra districtum », specialmente cogli Aragonesi nel 1359, nel 1386 e nel 1400. Il libro sesto contiene (ff. 299-317) i diritti della Riviera orientale, il settimo le convenzioni coi paesi dell’est « extra districtum ». Qui trovasi anche la « pax cum rege Anglie » del 1421, non stampata nel «Liber Iurium », ma pubblicata già da Rymer, Foedera, IV, 4, p. 28 SSS· (*)· Stanno nel codice di Parigi infine (ff. 393*450) « Sen-tentie late per officium constitutum super cognoscendis iu-ribus francorum seu pretendentium se immunes » del 1354-5. Godevano dell’ immunità i comuni di Calvi, Diano, Ripalta, Cornice, la famiglia dei Fieschi, la progenie di Lamba Doria per la sua vittoria sopra i Veneziani e 14 Genovesi per avere 12 figli « propter numerum liberorum ». Dal 1282 un fornaio godeva per ogni forno del privilegio di poter stare a casa in tempo di guerra senza pagare tasse « propter faticas et labores, quas ipsi fornarii portant in servitiis dicti communis ». I mugnai avevano lo stesso privilegio , il quale nel 1385 fu rinnovatQ « volentes hominibus popularibus annuere ». Il Liber Iurium III. Anche il terzo volume del « Liber Iurium » è dell’ e-poca dei dogi popolari. Il primo documento reca la data del 1447, l’ultimo del 1514. Ma sebbene sembri che prima vi sia stato un ordine analogo a quello del secondo « Liber Iurium », quest’ordine non è stato conservato, e venne turbato dalle aggiunte di documenti e di lettere fatte qua e là, cosi che gli atti degli stessi affari e dello stesso tempo si trovano dispersi in diversi luoghi del codice. Se si volesse fare una edizione del terzo volume dei « Libri Iurium », il codice di Parigi non potrebbe servire come modello, benché sia anch’esso una collezione ufficiale. Leggesi sotto i primi atti l’autenticazione di « Thomas de Credentia quondam Anthonii, publicus imperiali aucto- (1) Cf. Malerie politiche, Mazzo 12. — 4-° ritate notarius, custos privilegiorum communis Janue » poi nel 1488 (f. 219) 1’autenticazione di « Gotardus Stella notarius et cancellarius ». Per la pubblicazione non bisognerebbe soltanto ordinare i documenti, ma anche completarli. Così, prendendo nell’Archivio di Stato in Genova il mazzo 12 delle Materie politiche, vi ho trovato molti documenti del « Liber Iurium », come i trattati con Milano del 1436, 1441, 1445 , la pace con Aragona del 1444 ; alt™ invece non vi sono trascritti, come i trattati coi Marchesi del Carretto del 1438 e 1439. il trattato coi Cavalieri di Rodi del 1439, le convenzioni colla Savoia del 1439 e del 1444. Vediamo quali sono i documenti più importanti della rac- colta ufficiale. Privilegi dei papi. Il « Liber Iurium III » comincia coi privilegi dei papi. Il 10 maggio 1447 Nicolò V permette ai Genovesi il passaggio dei pellegrini alle coste degli infedeli. Devono soltanto astenersi dal portar armi, agl’inimici. Rinnovando una concessione fatta da Martino V , il papa lo stesso giorno concede ai Genovesi anche il commercio cogli infedeli « exceptis ferro, armis, lignaminibus ». I principali padroni delle navi, « qui naves, galeas et navigia principaliter conducent et mercimoniis onerabunt », devono giurare all arcivescovo di Genova, gli abitatori delle colonie ai loro diocesani, di non fare commercio proibito. Si trovano spesso conferme di privilegi di altri pontefici. Così Nicolò V conferma il 6 maggio 1447 i privilegi di Innocenzo IV, Alessandro IV e Nicolo IV. Lo stesso fa Callisto III nel i455 . Sist0 1V U 29 membre 1471 - Innocenzo Vili nel 1485 (f· 25ò) e nel !489 (f· 219^) , Alessandro VI nel 1493 (f- 223), Giulio II nel 1504 e Leone X nel 1514 (f. 246). Callisto III il 29 febbraio 1456 dà alla cattedrale di Genova, dove si conservano delle reliquie di S. Giovanni Battista, un’ indulgenza. « Omnibus vere penitentibus et confessis qui singulis diebus lune eandem ecclesiam devote visitaverint annuatim et ad eiusdem reparationem, conser- — 4 21-- vationem, augmentum et ordì n am e n tum manus porrexerint adiutrices, unum annum pro quolibet vice de iniunctis eis penitentiis misericorditer in Domino relaxamus ». Pio II il 19 dicembre 1463 esorta i Genovesi a venire il 5 giugno ad Ancona con 8 o 10 navi. Spera nell’aiuto del Duca di Borgogna, dei Veneziani e del re d’Ungheria. Le cattive notizie del Peloponneso non devono scoraggiare , perchè finora tutto al papa è riuscito. « Una calamitas dejicere mentes nostras non debet, non ita sancta hec ecclesia, non ita nomen italicum poscit. Malis credendum non est, sed duce signo vivifice crucis audentius contraeundum. Misericors Deus victorie viam aperiet ». Erano strette le relazioni di Sisto IV colla repubblica. Nato presso Albissola il frate Francesco, Generale dell’ordine dei Minoriti, il 27 settembre 1467 annuncia alla patria la sua nomina a cardinale. Come papa tiene conto della situazione difficile di Genova. Annulla il 29 novembre 1471 le pene, nelle quali i Genovesi sarebbero incorsi a causa del loro commercio coi Turchi, specialmente a Scio ed a Caffa « etiam si ad illos ferrum, victualia, arma, ligna et alia prohibita quecumque detulerint », perchè « magis necessitate ducti » dovevano fare questo commercio. Nel 1472 il papa « propter necessitatem negotiationis, qua sola hec civitas vivit », dava ai Genovesi una licenza pel commercio coi Turchi. Ma non voleva emanare una bolla, per riguardo agli altri Cristiani ed Italiani : « dixit sufficere ad conscientiam, si oretenus licentia ipsa nobis esset concessa ». Però il cancelliere e custode dei privilegi di Genova (f. 80) lo descriveva: « propter rei magnitudinem, que ex Deo est et ad animam pertinet ». Sisto IV rinnovava il privilegio per l’edificazione dello spedale grande nel 1472 e dava il 29 novembre 1471 la facoltà alla città di nominare dottori (f. Sb). Conferma nel 1479, contro un giudizio dell'Autorità Spirituale, in una questione sopra luoghi di S. Giorgio, il privilegio « quod laici ad forum ecclesiasticum nisi in certis casibus trahi nequeant » ed annulla questo giudizio e la scomunica. Da questo papa Genova fu trascinata nelle lotte territoriali cieli’Italia. Nel 1478 essendosi la città - 2 2 -— liberata dai Milanesi, il doge Battista di Campofregoso si univa alla lega del papa con Ferdinando di Sicilia contro Firenze (f. 144, f. 12); dell’armata di 12 navi e 12 triremi Genova doveva dare la terza parte. Motrone e Livorno , Sarzana e Sarzanello dovevano essere il prezzo della vittoria. Il 14 giugno 1479 il papa esorta i Genovesi di restare fedeli alla libertà ricuperata e di fare una convenzione con Savona (f. Si). Nel i4S2'egli si univa di nuovo contro Ferrara con Genova come con Venezia (f. 186, f. 65). Lettere di lui del 1482 e 83 (ff. 187 e 188) parlano dei sussidi dati a Genova (4500 e 2600 ducati). Anche il papa Innocenzo VIII nella guerra contro Napoli nel 1485 si confederava coi Genovesi promettendo loro Pietrasanta (f. 63Æ) tenuta dai Fiorentini. Nel 1497 Alessandro VI dava ai Genovesi una concessione speciale per 1’ importazione di metalli in Siria ed in Egitto per venti anni (f. 241) : « si ad Sirie et Egypti partes quascumque species stagni , eris seu rami in pane et foliis ac plumbi et foliarum stagnatarum necnon elutri seu ottonis bandas raspatas grossas et subtiles deferre facere possent ». Imperatori. Meno numerosi dei privilegi dei pontefici sono in quest’epoca i privilegi degli imperatori. Il 12 maggio 1451 Γ imperatore Federico III a Vienna nomina il doge Pietro di Campofregoso, per la sua fedeltà dai tempi di Sigismondo, cavaliere dell’ Impero, scrive come re dei Romani « militi nostro et imperii sacri fideli dilecto » (f. 2). Diventarono più strette le relazioni cogli imperatori dal tempo di Massimiliano. Nel 1496 rinnova i privilegi di Federigo I, Enrico VI, Federigo II, Enrico VII, Carlo IV e Sigismondo. Nello stesso anno dà ai Genovesi il monopolio del sale nel Mare Ligure dal Monte Argentario fino a Marsiglia (ff. 244 e 245). — 423 — Milano. Più importanti erano allora per la città le relazioni coi signori vicini. Milano ebbe per molti anni la signoria della città disputata dalle fazioni popolari e dalla Francia. Nel 1421 il doge Lommaso di Campofregoso aveva rinunziato alla Signoria ed aveva ricevuto Sarzana in compenso della sua rinunzia (1). Il dominio del duca Filippo Maria Visconti di Milano durò dal 1421 al 1435. H 5 giugno I43° fu conchiusa la « conventio Lombardorum prima » (f. 21). I documenti di questa convenzione si conservano anche a Genova e ne ha parlato il Desimoni {Atti Soc. Lig. di Stona Patria, vol. III. p. LXXXVIII). I commercianti milanesi avevano il diritto di eleggersi a Genova un console e viceversa i genovesi a Milano. La convenzione fissava le gabelle che dovevano pagare i Lombardi specialmente per l'esportazione di fustagni e di guado passanti per Genova. Pagavasi per la dogana per esportazione il 2 */2 per cento ed il 4 % per merci che dall’ Inghilterra e dalle Fiandre si importavano per Genova. La balla di 25 pezzi di frusta-gno pagava inoltre 10 soldi per l’importazione, poi i pe-dâggî» soma di guado 8 soldi per gabella e pedaggio. Alla vendita delle merci pagavasi il 2 °/0 e « la censaria antiqua ». I Milanesi, Comaschi e Novaresi pel diritto di permutazione e per 1 esportazione dei frustagni pagavano lm V2 % meno. La convenzione fu conchiusa da Bartolomeo Bosco ed Andrea Bartolomeo Imperiale come sin-daci del governatore, degli anziani , dell’ ufficio di provvisione e dei protettori delle Compere di S. Giorgio e di capitolo « representantium totam communitatem Ianue ». Sotto il dominio di Milano, Genova estende la sua influenza. Lucca, oppressa dai Fiorentini, nel 1430 si dà a Genova. I « sindici communitatis et hominum civitatis Lucane, egregius Bonfilius de Bonfiliis de Firmo legum do-ctor et nobilis vir Laurentius q. Nerii Bomusii mercator et (1) Materie politiche, Mazzo 12, 24 novembre 1421. — 424 — Lucani civis » promettono che Lucca avrebbe come podestà un Genovese, che non manderebbe ambasciate senza questo podestà e non farebbe pace senza la volontà dei Genovesi. I Lucchesi dovevano essere trattati come Genovesi. Genova avrebbe prestato a Lucca per tre anni i 5.000 fiorini in oro contro pignoramento di Pietrasanta, Motrone, l'Avenza e Carrara (f. 31, f. 40); e per la difesa di Lucca si unì con Siena contro Firenze promettendo di mandare 500 cavalieri e 500 fanti a Siena (f. 33Æ). Nel 1431 il Duca deir Arcipelago di Nasso promette di « far omaggio al ducha de Milan e lo magnifico cumun de Zenova » e di pagare al signore di Mitilene ed ai Maonesi di Scio fino a 20.000 ducati (f. 20). Nel 143- il signore di Piombino promette di essere fedele figlio del comune di Genova e di prestargli porto e vettovaglie. Voleva fare la guerra a volontà del duca di Milano (f. 36)· In questo tempo nel 1432 nella città di Genova molte case furono comprate per ampliare la piazza del palazzo del comune « pro dilatione et reformatione dicte platee ». 1 possessori ricevono in ricompensa diversi ufficii, degl introiti di scrivanie ; per esempio i Claudii per una casa di 600 lire di valore ricevono le due scrivanie della curia del Bisagno per 4 anni, il « magister acie Laurentius de 1 rie-rio » riceve per una casa di 100 lire di valore una scrivania della curia di Caffa per un anno. I prezzi delle 19 case variano fra le 600 e le 50 lire ed erano in media di 200 lire (f. 99). Quando il duca di Milano liberò il re Alfonso fatto prigioniero dai Genovesi nella battaglia di Ponza nel i435< Genova si ribellò a Milano e nel 143b il doge Tomaso di Campofregoso si univa con Venezia e l-irenze contro il Visconti (f. 95); si obbligava ad armare 2000 « pedites forenses » contro il duca. Speravasi specialmente di combatterlo con una proibizione del commercio del sale e delle altre merci dai tre stati. Venezia si conservava il commercio con Mantova e Ferrara ed i luoghi del suo territorio. Nel 1441 Francesco Sforza faceva da intermediario della pace (f. 106). Fra Milano e Venezia dovevan rimaner fermi — 425 — i confini stabiliti nel 1433; il duca non doveva andare nella I oscana se non per un attacco contro la sua alleata Siena. Novi restava al duca , Gavi a Battista di Campofregoso. Doveva rifarsi il danno fatto dalle parti. Confermavasi al milite e dottore Battista Cigala di Genova un debito del Milanese di 500 ducati. Dovevansi restituire a Vitaliano Borromeo di Milano i beni rubatigli nella sua nave. Il trattato per la vendita del sale del 1430 doveva restare in vigore. Poi dovevano essere restituite ai Lombardi le loro parti del debito pubblico di Venezia e di Genova, le quali erano state sequestrate durante la guerra. Ma qui si faceva una differenza notevole fra i due stati. Venezia doveva restituire alle Chiese di S. Chiara di Pavia e della Misericordia e di S. Maria (Duomo) di Milano il capitale e pagare gl’ interessi per l’avvenire, ma era rimesso alla discrezione del doge il rimborso degli interessi pel passato. Genova invece doveva restituire il capitale e gli interessi anche pel tempo della guerra ai suoi creditori : « Capellanis Ducis Mediolani Oldrado de Lampugnano , \^italiano de Borromeis, Cristoforo de Velate, Iohanni Luchino, Domenico Ferufino, Convirardo Gigliano et fratribus loca Ianue restituantur nec non satisfiat de fructibus et proventibus pro tempore preterito locorum ipsorum, et hoc multis respectibus et rationibus et maxime pro conventionibus et consuetudinibus dictorum locorum , quia non debent illa loca maculari, in quibus debet summa fides observari ». Quando nel 1443 Raffaele Adorno assunse il dogato, fece una lega col Marchese del Finale come procuratore del Duca di Milano, ratificata l’S agosto (ff. 110*112). Il doge mantenendo la lega con Venezia e Firenze prometteva di aiutare Milano durante la guerra con 500 fanti ovvero 300 balestrieri per tre mesi ogni anno. Doveva restituire i partigiani di Milano eccettuati i Fregoso. Pietrino di Campofregoso doveva rendere Gavi a Genova e restituire i beni tolti ai Genovesi. Gian Antonio del Fiesco doveva restituire Portofino al Comune. Il Duca prometteva di trattare come nemici i Fregoso avendo essi più di 100 stipendarì o più di una galea a Portovenere. G ioni. St. e Leti, della Liguria, 29 — 4-2Ó — Il comune voleva pagare ai Lombardi gl’ interessi del debito pubblico fra quattro anni e voleva dare il sale al duca pel prezzo di 32 soldi la mina. Per la fissazione delle gabelle dovevasi nominare una commissione : un rappre-sentante dal Duca, e l’altro dai protettori di S. Giorgio e delle altre compere. Il i.° febbraio 1444 face vasi la dichiarazione di questa commissione. Erano aumentate le gabelle per 1 esportazione di fustagni e mercerie al 4 %, per guado e altre cose portate nella Provenza, in Sicilia, a Napoli il 5 °/0, per cose portate nella Spagna, nell’Inghilterra, nelle Fiandre il 6 %. La tassa della vendita era aumentata fino al 2 A/8 %· Oltre la censaria vecchia pagavasi la censaria nuova di 1 denaro per lira. Le due parti rinunziano al diritto delle rappresaglie. Ingiuntesi il diritto di scalo di Genova, ma non de-vesi far conto delle molte contravvenzioni passate. Nel credito della dogana, nelle colonie ed in ogni altra cosa i Lombardi sarebbero trattati come Genovesi, salvo che per alcuni privilegi sarebbero trattati anche meglio. Rinnovandosi le dissensioni, il 12 maggio 1445 Raffaele Adorno di nuovo doveva fare un armistizio per due anni che garantiva la libertà del commercio (f. 113^)· Nel 1448 Giano Fregoso diventato doge riceve da Francesco Sforza la conferma di due prestiti. Il 3 novembre lo Sforza confessa di avere ricevuto 6000 fiorini « auri et in auro » per « uno cambio » di Christoforo Panigarolla, che promette di pagare fra sei mesi; e 4000 fiorini per Gabriele Giustiniani (f. 115^)· Vedesi come in quel tempo gli Astigiani, come sudditi di Milano, facevano il commercio a Genova. Nel 1449 Giacomo Isnardo d A.sti avendo venduto la sua nave, la repubblica e le compere di S. Giorgio la fanno ritenere, temendo che questa nave non si usasse per cor· seggio (f. 117). Nel 1451 Piero di Campofregoso conchiuse un’alleanza con Francesco Sforza e Firenze contro Venezia ed Aragona per cinque anni (f. 117»)· Le due potenze volevano dare a Genova 500 fanti. Doveva armarsi una flotta sino a 10 navi e 25 triremi, della quale Genova avrebbe pagato la meta, — 427 — Dovevansi mandare due navi con 300 uomini nell’ oriente per custodire le possessioni dei Genovesi, due altre dovevano fare la guardia alla Liguria dal Monte Argentario fino a Nizza o Marsiglia. Di queste Milano e Firenze pagherebbero la metà. Concedevano inoltre a Genova l’esportazione del grano. Nel 1454, dopo la caduta di Costantinopoli, Milano fece pace con Venezia. Francesco Sforza (f. 127) annunzia a Genova questa confederazione , alla quale dovevano aggiungersi il papa ed Aragona. A Genova era anche riservato far parte della lega « quia inter Italie potentias magnum et notabile membrum ». L’armata di Venezia e di Milano fu fissata in pace a 6000 cavalieri e 2000 fanti, quella di Firenze a 2000 cavalieri e 1000 fanti, in tempo di guerra aumentavasi la forza di Milano e di Venezia a 8000 cavalieri e 4000 fanti per ogni stato, quella di Firenze a 5000 cavalieri e 2000 fanti. Essendovi bisogno di una flotta di Venezia di 20 galere contro una potenza italiana, le due altre potenze avrebbero pagato 5000 ducati ogni mese. Il 25 giugno 1458 Piero di Campofregoso dava la città al re di Francia. Paolo restava arcivescovo, i fratelli del doge erano stipendiati dal re. Il doge stesso doveva ricevere dal Comune di Genova 30.000 ducati. Genova doveva inoltre pagare il debito di Piero a Milano di 9600 lire genovesi compensandolo nel debito di 50.000 ducati, i quali il duca di Milano doveva alle compere di S. Giorgio. Il duca di Calabria prometteva a Bornello de’ Grimaldi, procuratore di Piero di Campofregoso, di dargli delle lettere di cambio fatte per banchieri d’Avignone per 25000 ducati (f. 50). Però non durò molto tempo il dominio di Carlo VII. Il 20 luglio 1461 i Francesi se ne andarono. Il doge Spinetta di Campofregoso, doveva perciò rinunciare alle sue esigenze riguardo ai mercanti Avignonesi, che non avevano ancora pagato (f. 52). Nel 1464 Francesco Sforza si era fatto dare dal re di Francia Genova e Savona. Invano Paolo di Campofregoso , doge ed arcivescovo, vi si era opposto. Perchè il comune era « pene ad internitionem proventum » gli — 428 — anziani e 24 cittadini specialmente deputati rendevano la città, eccettuate le terre traslate alle compere di S. Giorgio, sotto certe condizioni. I cittadini dovevano giurare fedeltà al duca, il quale prometteva di governare secondo i capitoli, di non preferire Savona, di conservare i privilegi di S. Giorgio. Alla domanda di non imporre un’ imposta diretta: « avariam, mutuum vel collectam realem, personalem vel mixtam », il duca rispose: « nisi veniret necessitas a-liter provideri» (f. 129). Giurano i Genovesi al Duca (f. 172). Xel 1465 fu concesso ad essi, che la spesa ordinaria si limitasse a 50000 lire genovesi (f. 132Ò). L’anno successivo Bianca Maria e suo figlio Galeazzo Maria approvano la convenzione con Genova (f. 133). Galeazzo Maria nel 1470 nomina il governatore (f. 136$) ed il podestà (f. 137). Permette una spesa ordinaria di 27000 lire, le spese straordinarie devono dividersi sul focatico. Ma il duca disapprova la ritenuta del fiorino di S. Giorgio (1’ imposta sulla rendita), perchè così « ecclesia, extranei, pupilli, vidue, exempti cogantur contribuere ordinario », e dichiara le compere di S. Giorgio essere « precipua columna et lumen istius urbis » (f. 1365). Nel 1471 Galeazzo Maria Sforza rinnova i privilegi del 1464 e del 1466 (f. 137), e nel 1472 si fa prestare omaggio dai Genovesi (f. 58); ingiunge due anni dopo agli impiegati delle riviere Γ obbedienza al governatore ed agli anziani (f, 140), e scrive poi (1475) non aver intenzione di far cambiamenti (f. 139^). Annuncia nello stesso anno che il re Renato ha revocato le rappresaglie ed i nuovi dazi della Provenza e prega i Genovesi di restare anch essi tranquilli (f. 139). Nel 1476 Lorenzo De Medici deve sentire che le lettere dategli dal Duca non gli procurano immunità contro gli ordini di S. Giorgio (f. 141). Dopo la morte di Galeazzo Maria nel 1477 Bona e suo figlio Giovanni Galeazzo Maria rinnovano i privilegi di Genova ed i Genovesi prestano loro il giuramento di fedeltà (f. 142, f. 63). La duchessa Bona Γ8 maggio dava un’amnistia, dalla quale erano esenti i Campofregoso ed alcuni altri (f. 58). I capitanati‘di Spezia, Chiavari e Ventimiglia dovevano essere dati ai Genovesi (f. 62). — 429 — Abbiamo visto come Genova nel 1477 si ribellasse a Milano. Ma nel 1487 Paolo di Campofregoso di nuovo diede la città a Gian Galeazzo Maria Sforza (f. 198^). Speravasi con ciò di levare l’onere delle cose pubbliche. Doveva conservarsi la pace fatta a Roma con Firenze e rinnovarsi la benevolenza del re Ferdinando così importante pel commercio della città. Genova voleva mandare al Duca per tre mesi 500 balestrieri, 4 navi e 12 galere. Il duca pagava lo stipendio dei marinai e prometteva di rendere Noli al Comune. Nel 1488 Agostino A-dorno fu eletto governatore. Il duca approvava i privilegi di Genova ed i Genovesi gli giuravano fedeltà. Gottardo Stella nei fogli 206-219 conservato i nomi dei giu- ranti « cives civitatis Ianue ex omni colore ac ordine civitatis représentantes commune ac populum et universitatem dicte civitatis Ianue ». Sono più di tremila nomi « licet plures alii juraverint, quorum nomina in tanto tumultu colligi non potuerunt ». La gente degli Spinola, che aveva 78 rappresentanti, figurava in prima fila, i Grimaldi con 26 in seconda. Nel 1488 la spesa del comune era fissata fin a 50000 lire. Nel 1490 il duca acconsentiva che fosse abolita l’imposta diretta (f. 220έ). Nel 1492 il papa ed il duca dichiaravano che i privilegi non valevano contro i collettori (f. 2 2 2). Nel 1495 Ludovico Maria Sforza si faceva rendere o-maggio. Seguono nei fogli 227 e seguenti i nomi dei giuranti come nel 1488. Prima dei cittadini vengono il consiglio degli Anziani e gli uffici della balia, della moneta e di S. Giorgio. Dopo gli Spinola con 65 rappresentanti ; i Doria ne contano 35. Anche dei popolani si presentano organizzati in alberghi come i De Franchi con 12 membri, i De Fornari con 18, i Giustiniani con 31, i Maruffi con 12 rappresentanti. Il 17 giugno 1495 il duca annunzia che i Francesi hanno preso Novara, ma Venezia vuole mandare 700 cavalieri , l’imperatore 4000 fanti e 2000 cavalieri, coi quali spera di portar la guerra in Francia. Stanno 3000 cavalieri e 8000 ■*- 43° “ fanti veneziani e milanesi contro i Francesi « sed nulla rés hanc spem nostram magis fovet quam singularis vestra erga nos fides » (f. 23Sb). II 23 luglio 1495 il doge di Venezia si congratula con Genova della ripresa di Ventimi-glia e le augura che riprenda anche Sarzana. Il 14 settembre 1495 Venezia e Milano promettono a Genova di non fare pace senza che Genova riabbia Sarzana (f. 239Æ e 240). I Genovesi affermano « communitatem Janue multa fecisse ad conservandam Italie dignitatem , multa damna tolerasse in negotiatione qua Genuenses vivunt ». Delle lotte colla Francia il « Liber Iurium III » più non parla. Solamente nell’ ultima pagina (f. 246) il doge Ottaviano Fregoso (1514) si vanta di avere cacciato i Francesi dal Castello del Capo di Faro eretto da loro sette anni prima ed ordina di distruggerlo. La Liguria. Per la posizione mercantile di Genova il diritto di scalo era della più grande importanza. Abbiamo accennato alle pretensioni di Genova nei trattati con Milano , come per esempio nel 1444. Erano riconosciute anche da altri stati. Nel 1457 e nel 1473 Venezia riconosce il monopolio del porto di Genova contro padroni veneziani che avevano scaricate merci a Finale (f. 87b) e sale a Varazze (f. 179Æ). Nel 1479 il Re Ferrante di Napoli ordina, per riguardo alle leggi e agli ordini della dogana di Genova, che le sue navi non facciano porto se non a Genova (f. 56)· Nel 144° due navi cariche di merci di Fiorentini, specialmente di sale, erano state arrestate « vigore privilegiorum Ianue » , ma per l’alleanza con Firenze furono rilasciate (f. 100). Questo diritto del porto di Genova era stato ed era tuttora combattuto ostinatamente da Savona. Nel 143° un processo di questa rivale fu deciso in favore di Genova. I Savonesi dovevano sottomettersi alla domanda dei Genovesi di non fare commercio nemmeno nel distretto se non passando per Genova e pagandovi le stesse gabelle dei Genovesi (f. 27Ì). Nel 1440 Savona ribellatasi, era caduta nelle mani dei — 431 — Genovesi. In un grande Consiglio del doge Tommaso di Campofregoso, dei quattro provvisori di Savona, degli « officia monete, provisionis, Romanie, S. Georgii » e di 340 cittadini tenevasi conto degli « excessi e desordini de li Saonesi ».....« A lor non bastava navegar e non voler pagar li dricti debiti , anti sofferivam e incitavam le na-cioini forestere a far lo simile, siche a Saona concorreivan Lombardi, Monferrini, Venetiaini, Firentini, Catalaini a far che quella terra fosse refugio de cascuni a la destrucium nostra ». Delle sentenze proposte quella di Piero Bonde-nario otteneva 215 voci « nec minoris eam rem facere quam expugnationem regis Aragonensis ». Fu deciso di domandare 150 ostaggi, la deposizione di tutte le armi, la distruzione delle mura del porto, la cassazione dei privilegi dei Savonesi (f. 152). Però nel 1453 la situazione era cambiata. Gli ambasciatori di Genova il 18 febbraio non sono introdotti nella città se non dopo di avere promesso di osservare le convenzioni di Savona « prout erant tempore mortis Thome de Campofregoso » e gli Anziani ed i magistrati di Savona promettono di seguire le bandiere di Genova , ma soltanto a condizione che le convenzioni siano osservate (f. 8 e 9). Nel 1471 una sentenza riconosceva di nuovo « commune Ianue habeat superioritatem et iurisdictionem in commune Saone » (f. 189). Nel 1473 i Savonesi invano tentavano di sottrarsi al loro contributo per le spese della Repubblica (f. 140). Oltre Savona, i Marchesi del Carretto turbano la quiete di Genova. Il 20 maggio 1429 il marchese Galeotto del Carretto q. Lazzarini ricevette come feudo Castel Gavone e due terzi della metà di Finale (f. 6). Nel 1439 Giorgio e Carlo del Carretto rinnovano la convenzione col doge Tomaso di Campofregoso e sono investiti del loro feudo (f. 150 e 151). Ma nel 1447 si decide l’esecuzione contro Galeotto del Carretto (f. 152). Nel 1449 essendosi riportata la vittoria in una guerra molto costosa, Ludovico di Campofregoso investe di nuovo Giorgio e Carlo del Carretto (f. 155). Avendo Giovanni del Carretto, fratello di Galeotto, ripresa — 43- — la guerra, nel 1451 il Marchese di Monferrato interviene per la pace, e Giovanni per un terzo delle possessioni giura fedeltà a Genova (f. 163). Nel 1459 Giovanni del Carretto si sottomette al luogotenente francese (f. 170). Degli altri feudatari di Genova, Pietro della Lengueglia il 12 maggio 1429 fu investito erede di un quarto della eredità del padre Paolo della Valle d’Arroscia (f. 5) ; nel 1430 fu confermata la donazione di Corrado della Lengue-glia q. Goffredi a Segurano ed i suoi fratelli, Luca e Francesco q. Odoardi « ex condominis Linguilie » (f. 7). Nel 1475 Giovanni di Garnesio « ex condominis loci Pornasii » è investito del suo quarto (f. 104). Nel 1480 il conte di Ventimiglia giura fedeltà al Comune (f. 187). Nel 1433 il comune compra da Nicolò Fieschi il castello di Roccatagliata. Nel 1460 Ibleto del Fiesco giura fedeltà al luogo-tenente francese (f. 178b). Nel 1450 il doge conchiude una confederazione con Jacopo Spinola, signore di « Rocha vallis Berberie » (f. 84Æ). Nel 1438 gli uomini di Casanova giurano fedeltà (f. 150), così nel 1447 quelli di Voltaggio (f. 17àb). Nello stesso anno una convenzione regola i diritti di Novi (f. 174). Nel 1436 e nel 1476 rinnovansi le convenzioni coi Maonesi di Scio (f. 180 e 183). Bologna, Savoia, Provenza. Abbiamo già accennato alle relazioni con Venezia e Firenze. Nel 1464 le rappresaglie tra Genova e Bologna furono sospese (f. 33). Nel 1450 il doge Piero di Campofregoso fece pace col duca di Savoia, il quale aveva aiutato gli Spinola e gli Adorno. Genova prometteva di aiutare il duca nel-Γ espugnazione di Cipro con navi e 3-5000 fiorini in oro (f. 82). Nel 1496 il duca di Savoia dava un salvacondotto « mercatoribus genuensibus cum servitoribus, mulionibus, mulis, bestiis, bugiis , valixiis, iocalibus, auro, argento , mercanciis ; marchis , reprensaliis , literis , cambiis , contracambiis non obstantibus ». Nel 1498 il duca Filippo — 433 — rinnova il privilegio all’oratore genovese, Jacopo Senarega (f. 242-3). Nel 1449 *1 re Renato a Tarascona promette al doge Lodovico di Campofregoso di levare una imposta di un grosso e mezzo per sestaio di frumento e di lasciare libera ai Genovesi Y esportazione. Genova invece promette di dare al re 4750 lire senza sconto, « sine aliquo tempore», dei proventi di 11.000 luoghi di S. Giorgio, ai quali era assegnato un introito di 1 soldo per mina (f. 81). Nel 1455 il contratto del 1262 colla Provenza fu rinnovato e nel 1456 i privilegi confermati (f. 85^). Aragona. Per Genova nel quattrocento le relazioni col regno d’Aragona diventano della più grande importanza. Barcellona doveva essere temuta come rivale , più di Venezia. I re d’Aragona non dominavano soltanto Barcellona, Valenza e Maiorca , ma anche la Sicilia, la Sardegna ed in parte la Corsica, ed il re Alfonso estese il suo regno fino a Napoli. Pretendeva così ad una predominanza marittima in questa parte del Mediterraneo. Il 5 maggio 1428 fu conchiusa una pace tra Genova ed Aragona. E regolata la forma delle marche e rappresaglie, contro l’abuso delle quali due protettori della pace sono nominati a Barcellona e due a Genova. Questi devono anche proteggere i mercanti contro un eccesso di gabelle. Pare che per Genova il diritto di esportare vettovaglie dalla Sicilia, la Sardegna e la Corsica sia stato più importante che i suoi diritti territoriali nella Corsica, a Portovenere ed a Lerici, i quali restano sospesi (f. 13 seg.). Avendo Alfonso nel 1442 espugnato Napoli, segue nel 1444 « alia pax cum serenissimo domino rege Aragonum » (f. 41 seg.). Nel 1448 la pace deve essere di nuovo conchiusa (f. 164). Nel 1451 il re ordinava che i suoi navigatori dovessero dare sicurtà « de non offendendo Januen-ses » (f. 49), voleva fare un’ inchiesta per vedere se i Genovesi avessero pagato ingiustamente il " jus lezdae » (leciti) di Valenza (f. 71). Dopo una guerra, che minacciava — 434 “ la rovina di Genova, nel 1455 il re Alfonso si dichiarò pronto ad accettare come intermediario il papa Callisto III, se i Genovesi avessero voluto pag'are le patere d’ oro dovutegli come signore di Corsica. Assentendovi il doge Piero di Campofregoso, la pace fu conchiusa (f. 71 seg.). Dopo la morte d’Alfonso nel 1458 il fratello Giovanni ricevette Aragona e Sicilia, il figlio naturale Ferrante Napoli. Barcellona ribellasi contro il suo signore e nel 1467 fa un’alleanza con Genova (f. 88). Nel 1468 il re Giovanni scrive ai Genovesi da Napoli (f. 76b) e nel 1469 Galeazzo Maria Sforza interviene per la pace con Aragona (f. 77 e IÓ7)· 11 re Ferrante già nel 1464 in una lettera agli Anziani ed ai governatori di S. Giorgio aveva concesso dei privilegi ai Genovesi nel suo regno (f. 75). Marinai lombardi e genovesi avevano aiutato il re contro i Turchi. Il 13 marzo 1473 promette ai sudditi del duca Galeazzo Maria e di Genova il ritorno in patria , quando alla fine dell’estate la flotta sia ritornata. Conferma i privilegi del re Alfonso. Il 14 marzo il re concede ai Genovesi il diritto di commerciare nel regno e di esportarne merci « salvis juribus fundicorum et dohanarum ». Rinunzia al diritto delle rappresaglie. Il 23 marzo riconosce la giurisdizione dei consoli Genove del regno pei loro concittadini (f. 9-11). Il i.° maggio 1478 Ferrando della Cava è raccomandato al comune come ambasciatore (f. 11), il 19 dicembre il re ratifica la federazione tra lui, il papa e Battista di Campofregoso (f. 64). Il 4 giugno 1479 il re ordina che i suoi capitani e le navi « regis Castelle et Aragonum fratris nostri » debbano trattare i Genovesi come amici (f. 55^) ; il 29 marzo 1480 il re annunzia che ha conchiuso la pace coi Fiorentini (f. 11): « satius existimavimus temporibus servire quam ipsius pacis ac federis conciliationem excludere, cum ea et universe Italie et vestrarum rerum salutem et quietem contineri videremus ». I Genovesi confermano la lega colla Sicilia (f. 147) : » sl non ipsa pax que communi commercium redditae, excubaret, facile mondus corrueret ». — 435 — Nel 1493 Ferdinando ed Isabella re e regina di Ca-stiglia, Aragona e Sicilia, conchiudono una pace con Agostino Adorno, luogotenente di Genova , e cogli Anziani (f. 2 2 3Ì). La pace non può essere revocata per 25 anni. Le parti rinunziano alle rappresaglie, « pro alienis culpis molestari non possunt ». Saranno eletti « conservatores pacis ». Le gabelle ingiustamente pagate dai Genovesi e dai Siciliani negli ultimi dieci anni devono essere restituite. Il danno di una nave genovese deve essere stimato dal console genovese di Palermo e dal procuratore generale del tesoriere reale. Le tasse differenziali devono cessare tra le parti: « jura augeri non possint nisi generaliter omnibus externeis ». Specialmente sarà levata una tassa del 6 °/0 imposta ai Genovesi. Saranno fissate per essi le gabelle di Barcellona, della Catalogna, di Maiorca e della Sardegna come quelle di Valenza. I signori del Finale e di Monaco saranno costretti da Genova ad unirsi alla pace (art. 20). Il Liber Iurium iv-vi. Il « Liber Iurium IV » ci conduce ai tempi dello stato riformato per opera di Andrea Doria. È dorato sul taglio e contiene dal foglio 150 fino al f. 176 i nomi dei nobili aggregati nei 28 alberghi. La biblioteca deU’Università di Genova conserva un altro Liber aureus nobilitatis Genuae (B. vi, 6). Mentre, però , nel codice di Parigi le famiglie sono ordinate secondo gli alberghi ai quali sono ascritte, nel codice di Genova le 629 famiglie stanno in ordine alfabetico e l’albergo di ciascuna è annotato. Tiene conto così della riforma del 1576 per la quale i nomi e gli stemmi delle singole famiglie furono restituiti. Vedesi come membri della stessa famiglia potevano essere ascritti a diversi alberghi. Così per la famiglia Costa è annotato: in Spinola, in Gentili, in Cibo, in Flisco et in Vivalda; per la famiglia de Ferraris vel Ferrariis : in Promontoria, in Interiana, in Pinella. Il « Liber Iurium IV » dal f. 6 al f. 22 contiene la « nova reformatio » del 1528. La prima parte di essa (f. 6-16) si trova anche in un altro codice di Parigi (Fonds — 43^ — divers — Gênes — N. 19 — Politicum Ianue ff. 129-147), nel quale stanno prima le regole del 1413 ornate di belle miniature. Fra i documenti del « Liber Turium IV » è importante la conferma dei privilegi imperiali di Carlo V nel 1523 e nel 1529 (f. 33). Il 27 febbraio 1524 un dazio di tre denari per lira per Γ importazione ed esportazione a \^alenza e rimesso ai Genovesi. Il 21 maggio 1524 il re di Spagna nonostante la prammatica proibizione del 3 settembre 1500 « sopra il carricar de le navi » permette ai Genovesi di poter caricare le loro navi nei porti della Spa-gna (f. 36 seg.). Nel 1537 i privilegi dei Genovesi nella Sicilia sono confermati (f. 61). Nel primo foglio è trascritto il contratto della compera di Gavi da Antonio Guasco per 1000 luoghi di S. Giorgio nel 1528; nel f. 25 segue il giuramento di fedeltà degli uomini di Gavi; nei fogli 27 e 28 il giuramento degli uomini di Ovada e Rossiglione. Nel foglio 30 si parla dei diritti su Novi del 1395. Il Savonesi nei fogli 23 , 24 e 41 sono dichiarati sudditi. Il « Liber Iurium V » contiene documenti dal 1560 fin al 1633, il « Liber Iurium VI» dal 1561 fino al 1568. Nel primo si trova (f. 1) una legge del 23 dicembre 1539 sopra un dazio di 5 denari e mezzo per lira del prezzo dell’oro ed argento filato, nel secondo la conferma dei privilegi imperiali da parte di Ferdinando I nel 1559 (f. 77) e da parte di Massimiliano II nel 1565 (f. 81). Un codice della Biblioteca dell’Università di Genova vi, 22), Indice del « Liber luriuvi » , contiene degli estratti di tutti questi VI « Libri Iurium ». Altri volumi del Ltber Iurium. Ci sono dunque sei « Libri Iurium ». Ma come va che il de Sacy parla nel suo rapporto del 1805 (0 di dieci volumi grossi in foglio ? Ricordiamoci del « Liber Iurium » (1) Mémoires de VInstitut Royal de France, Classe d'Histoire et de Litte) ature ancienne, III, 1818, p. 85 seg. Rapport sur les recherches faites dans les archives du gouvernement et autres dépôts publics à Gênes, p. 103. — 437 — VII di Parigi, che non è altro che una copia del « Liber Iurium I », delle due altre copie del « Liber Iurium I », a Genova ed a Torino , e della copia del « Liber Iurium II » a Genova, ed abbiamo insieme i dieci volumi, i quali nel 1805 erano ancora riuniti nell’archivio genovese. Però il de Sacy parla una volta di 11 volumi del « Liber Iurium » e l’Archivio del Ministero degli Affari Esteri di Parigi oltre ai volumi menzionati conserva nel Fonds Génois 35/33 e 3β/34 i così detti « Liber Iurium » Vili e IX. Ma il «Liber Iurium et Vili et acquisitionum», non è altro che una copia del cinquecento su fogli di carta piccoli, nella quale copia sono trascritti dal « libro grosso privilegiorum excelsi communis Ianue » e da altri libri documenti riguardanti i diversi luoghi del distretto e il loro acquisto. Il « Liber Iurium » IX si presenta come una parte della codificazione delle leggi così dette di Bucicaldo. Comincia colla « Conventio super translatione dominii Ianue in regem Francie » e contiene specialmente le possessioni ed i feudi di Genova nel tempo della dominazione francese dal 1396 al 1409. Nel f. 138 si legge la convenzione fatta col papa Benedetto XIII il 10 marzo 1406. Il papa può battere la sua moneta a Genova ed avere nella città i suoi banchieri « dumtamen statini solvant ». Per avere copia di vettovaglie i « panefici seu fornerii, tabernarii, macellarii , polac-cerii, et alii mercatores extranei Romanam curiam sequentes » hanno il diritto d’importare vettovaglie. Il papa, i cardinali ed i camerieri non hanno bisogno di pagare le gabelle per le cose di loro uso ; tre o quattro panifici faranno il pane ai privilegiati senza dazio. Il prezzo comune delle vettovaglie sarà pubblicato e le gabelle non saranno aumentate. La R. Deputazione di Storia Patria di Torino oltre i due volumi del « Liber Iurium » ha pubblicato nel tomo XVIII degli Historiae Patriae Monumenta le Leges Ge-nucnses, cioè documenti dell’amministrazione interna, conservati nei cosi detti libri piccoli « regularum » come le « Regule comperarum capituli », le leggi di Bucicaldo, le regole del 1413 ed altre, — 438 — Già nel 1836 e 1853 nei Tomi I e VI, [Chartae I e II), ci aveva dato fra altro il famoso notulario del notaio Giovanni Scriba. Il mondo scientifico attende che si continui la pubblicazione dei preziosi documenti genovesi, e credo che i desideri degli studiosi siano principalmente i seguenti : 1. Comporre un codice diplomatico delle relazioni di Genova coll’estero, giovandosi dei documenti dell’ archivio confrontati e integrati con quelli esistenti a Parigi. 2. Proseguire la pubblicazione delle regole riguardanti specialmente il debito pubblico e le gabelle assegnatevi, usufruendo la parte più importante dell’archivio delle compere di S. Giorgio. 3. Compilare almeno un indice degli atti notarili del duecento, epoca cioè dello splendore forse più grande del commercio genovese. Heinrich Sieveking. VARIETÀ ISABELLA D’ ESTE A GENOVA. Il 26 agosto 1514 la fortezza della Lanterna, secondo i patti stabiliti, si arrese, e la capitolazione ebbe il suo pieno effetto di guisa che Ottaviano Fregoso , ormai ben fermo nel proposito, più volte espresso per l’innanzi nelle pubbliche consulte, provvide immediatamente alla sua distruzione. Stipulò il 28 un contratto con i maestri Donato « de Gallo de sancto fideli », Pietro de Gandria, Giovanni Piuma, Michele de Pessolo, e Pietro Carlone per 1’ abbattimento delle mura fra le torri (1), le quali poi dovevano essere a lor volta minate per mezzo di mine quando fossero in tutto isolate. Questo primo lavoro fu compiuto sulla metà di settembre, ed è a credere fosse corsa anche fuori di Genova la fama delle mine che si preparavano , se la marchesana di Mantova volle recarsi a Genova per vedere (1) Arch. di Stato in Genova, Divers. Covinnis, fil. η. 79. — 439 — un esempio del nuovo modo onde l’arte militare era venuta applicando la forza della polvere ad offesa delle fortezze assediate. Mandò innanzi un suo familiare, Paolo So-menza, coll’incarico di avvertire il governo genovese della sua venuta, e di apprestare gli alloggi. Eseguì egli il mandato, e il doge fece prendere la seguente deliberazione (i): MdxiIIJ DIE LUNE XXIJJa SEPTEMBR. Cum venisset in senatum U.is Dominus Dux et exposuisset Il.ara Dominam March ionissam Mantu e venire animi gratia ad visendam urbem et ad spectandam ruinam arcis per vim pulveris incendende et mixturarum dirruende equumque videri ut honorifice excipiatur et consuetis honoribus ac muneribus decoretur in suo in urbem ingressu : ideo ipse II.is D. Dux et Magnificum Consilium in legitimo numero congregatum , sequentes memorationem ex.tie sue , delegerunt viros M.cum et prestantes D. Iohannem de Auria, Io. Ambrosium de Flisco, Vincentium Sauli et Augustinum de' Ferrarijs , ad illam excipiendam et continuis officiis prosequendam , et ad dandam operam ut femine ornate ad illam excollendam frequentent. Et denique ad mittendum ei munus rerum que ad alimenta pertineant valoris librarum usque in centum quinquaginta mutuo nunc accipiendarum a M.co Officio Balie postquam archa spectati offici monete hoc tempore penitus exhausta est nec aliunde hec pecunia nunc elici potest. Il giorno successivo il Somenza scriveva (2): « Ho parlato al S. Duce secondo la commissione de V. Ex. El tutto se exeguirà secondo il volere de quella, non obstante che fussero state ordinate molte cerimonie. Et aciò che la Ex. V. possi vedere la forteza avanti la sia ruinata, il p.° S. Duce farà ordinare el desinare a S. Pietro d’Arena, loco fora della citade et a presso a la lanterna, et V. S. troverà una stantia dove la poterà vedere senza periculo ». E dell’accoglienza ricevuta, sebbene le carte non ce ne dicano le particolarità, rimase assai soddisfatta, poiché Fede-rico Fregoso recatosi a Roma sul cadere dell’anno riferiva il 2 gennaio seguente d’ essersi recato a visitare Isabella « la quale molto si ricorda et lauda, delle carezze et honori ricevuti in testa Cità » (3). La distruzione delle torri per mezzo delle mine incominciò adunque in quei giorni e la prima precisamente che (1) Ivi, Divers. Reg. n. 188. (2) Luzio, Isabella d’Este e il suo viaggio a Roma in Arch. slor. lomb.> ser. IV, a. XXXIII, vol. VI, pag. 141. (î) Arch. cit., Divers. Covi., fil. So. — 440 — si fece saltare fu quella verso San Pier d*Arena; in fatti in data del 22 settembre sono pagate L. 172.12.6 a maestro Nicolò da Brugnato « ingeniero » per spese « in la lanterna a far quatro mine in lo torrone de sancto petro de arena ». Più tardi si dovette seguitare ad abbattere le altre, come ne fa fede un pagamento di lire 347 , prezzo « mixturarum in usum mine Lanterne » , rimborsate allo stesso maestro Nicolò, e ristrumento del 23 ottobre fra il Doge e i maestri « anthelami » Donato de Gallo , Pietro de Gandira e Michele Possolo, anche a nome dei compagni assenti, per la distruzione completa delle due torri già in parte minate che si trovavano ai lati della fronte « Arcis Lanterne », e così la fronte stessa o antiporto, « usque ad radices et usque ad imum »; contratto nel quale Ottaviano Fregoso è detto « dux et populi defensor et in hac parte etiam dominus Arcis Lanterne » (1). A. N. GIOVANNI BOTERO A SAVONA. Alla vigile oculatezza del governatore e del commissario di Savona non poteva sfuggire l’arrivo in quella città d’un uomo già ben conosciuto per i suoi scritti, e specialmente per Γ ufficio suo di precettore e consigliere , siccome per l’autorità presso Carlo Emanuele, il quale gli aveva conceduta tutta la sua fiducia e la sua benevolenza. Anzi questa sua condizione presso la corte di Savoia doveva naturalmente richiamare in ispecial modo sopra di lui l’attenzione d’un rappresentante della repubblica, a cagione di quelle ben note gelosie che pur sempre erano vive, sebben latenti, fra i due stati vicini. E perciò appena il Botero giunse a Savona, il commissario Giorgio Spinola scriveva in data del i.° settembre 1614 (2): « Con questa occasione non tacerò dirle che due giorni sono venne qui il R.do Gio. Bottero huomo già di età, che ha servito nella corte di Savoia, et è l’istesso che ha dato opere alla stampa il quale procura casa nelli borghi fuori di questa città per habitarvi: ho procurato la caosa di questa sua venuta, mi (1) Ivi, Divers. Com.y fil. 79. (2) Ardi, di Stato in Genova, Secretorum, fil. 8, — 441 — e stato rifferto eh’è per curarsi d'una infirmità essendoli stato consigliato da Medici che ritirandosi ad habitare in luoghi vicini al mare vi risanerà con più facilità, et ancorché io creda che questa sia la caosa della sua venuta qui, per essere detto Bottero tanto dipendente dalla Corte di Savoia non mancherò di fare osservare le pratiche et andamenti suoi ». E il giorno dopo anche il governatore Leonardo Della Torre riferiva (i) : « Di novo poi non ho salvo che tre giorni sono è venuto qua Mons.0r Gio. Bottero, huomo assai celebre per molti scritti, in materie di Stato, ed altro, di che egli ha arricchito le stampe , come dev’essere a notitia di VV. SS. Ser.me; viene da Turino, dove era stipendiato, et ha servito quel Duca per molti anni; ho fatto diligenze per intendere la causa di sua venuta, e per quello ne raccolgo , pare eh’ egli vengha per mutar aria, e per curarsi di certa sciatica, e dice che poi vuol fermarsi per aspettare il Principe Filiberto di rittorno, e passarsene seco in Ispagna. Dice anche che da Turino hieri furono otto giorni partì il Duca alla volta di Vercelli con 2700 cavalli dieci pezzi d’artelarie grossa e diciotto altri cannoni più piccoli, et egli professa d’haver biasimato al Duca di romperla con Spagna; non mancarò di star su l’avviso per intender de’ suoi andamenti , e di tutto darò parte ..... Dopo di scritta m’è stato detto ch’el Bottero è partito da Turino per ha ver passato disgusto col Duca, quale anche le ha levato una Abbatia, e ciò per aver inteso c’habbia parlato male di lui ». La verità è che il vecchio statista, consigliato dai medici, aveva dovuto cercar refrigerio a’ suoi mali in una città marittima, ed eletta all’uopo Savona. Così i biografi; i quali non accennano punto a dissapori sorti fra lui e il duca per il suo fermo e virile contegno contro le spavalderie della Spagna; anzi tutto induce a credere lo approvasse e fosse una conseguenza delle dottrine politiche da lui propugnate (2). E vero, il duca era partito otto giorni prima per quella diversione armata sopra Novara, che doveva obbligare gli spagnuoli ad abbandonare Vercelli, occupato per intimorire il piccolo sovrano ; ora mentre egli (1) Ivi. (2) Gioda, La vita e le opere di G. fi. Milano, 1S95, vol. I, pag. 210 e seg. G ioni. St. c Leti, nella Liguria. 30 — 442 — andava a sua impresa da una parte il fido consigliere lasciava Torino dall’altra, si diceva, per ragioni di salute. Malattia diplomatica, avran detto i maliziosi ammiccando , e di qui la storiella dell’ « haver passato disgusto col duca » d’averi o « biasimato di romperla con la Spagna », d’aver « parlato male di lui »; grave indizio Tessergli stata « levata una Abbatia » , mentre ei stesso tre anni prima se n’era spogliato. Ma, si sa, in casi simili sorgono voci e si attribuiscono intendimenti lontani dal fatto reale, pretendendo spiegare cose semplici ed ovvie con dei moventi misteriosi e reconditi , i quali per lo più rispecchiano desideri e sentimenti della parte politica di chi li pone in giro. Ai genovesi, certo non amici del duca e deditissimi a Spagna, l’attitudine di Carlo Emanuele non poteva piacere, da ciò le supposizioni anzidette accolte con evidente soddisfazione, ma che dovevano ben presto chiarirsi prive di fondamento. A. N. LA GRAZIA A OBERTO FOGLIETTA. Perchè lo storico genovese, dopo la condanna di esilio, lanciata contro di lui nel 1559, potesse ritornare in patria era necessario che un decreto revocasse la severa sentenza. Or come avvenne ciò ? Fu atto spontaneo del governo genovese, o il Foglietta stesso chiese la grazia? Questo non hanno detto i suoi biografi, l’ultimo in ispecie , il più ampio e il più diligente di tutti (1); a chiarire sì fatto particolare mancava la prova dei documenti. Dopo quindici anni della sentenza gli animi dei governanti genovesi s’ erano volti a sensi di maggior benignità verso l’esule scrittore, al che avevano conferito certamente le mutate condizioni politiche interne , e forse le pratiche d’autorevoli personaggi. Il terreno era dunque preparato e ben disposto onde parve al Foglietta tempo opportuno per chiedere la remissione del suo bando perpetuo , e ne fece la istanza. Non mi è riuscito di trovare questo documento , ma nei manuali dove i cancellieri annotavano le (1) COTIGNOLI. Uberto Foglietta , notizie biogr. c bibliog. in Giornale stor. e lett. d. Liguria, a. VI, pag. 156 e segg. — 443 — imbreviature dei decreti (i), mi è occorso di leggere sotto la data 13 luglio 1575 · « Obertus Foglieta bannitus prò crimine perduelionis seditionis etc. ut in eius processu transmissus uit per IH.»™ D.me ad cal. ad Ambo 111.'™ Collegia pro gratia requirenda et hoc lecta prius supplicationes eius nomine porrecta, inquisitione, sententia et condemnatione contra eum prolata ac toto processu ». E il 29 dicembre successivo: « Ubertus Cataneus Foglieta damnatus pro crimine perduelionis et lese maiestatis lecto processu liberatus a pena et exilio quibus damnatus fuit ita quod tute et libere in patriam reddiri possit et ad patrios remeari lares sententia et banno eidem decreto in aliquo non obstantibus. Et sic per ambo Ill.ma Collegia decretum ad calc. visa etiam transmissione ad prefata collegia sub die 14 Iulij concurrentibus in predicta liberatione quattuor quintis partibus calculorum actorum et ultra ad formam statuti ut latius in decreto sub supplicatione extenso ». Or si notino le date. La supplica è presentata nel luglio e corrono quasi sei mesi prima che il senato prenda una decisione; si vollero con tutto agio esaminare le carte processuali, attingere informazioni, ponderare bene l’opportunità del concedere la grazia. Ala alla fine, probabilmente dopo altre votazioni riuscite negative, si raggiunge il numero dei voti voluti dallo statuto e il bando è revocato. Non basta, il 2 gennaio, e cioè dopo tre giorni, con un nuovo decreto viene nominato storiografo. La riabilitazione era dunque completa e altamente onorevole. Peccato che la mala sorte ci invidii la lettura della supplica, e più ci contenda di conoscere il processo, fatto, come si sa, con sollecitudine e con segretezza ; a questo forse venne essa supplica riunita, e poi riposte tutte le carte in quella fatai cassa di ferro dove si tenevano chiusi gelosamente i processi di lesa maestà, e dove, sembra, si dovesse trovare anche quello dell’ infelice Bonfadio (2). L’uno e l’altro, e chi sa quanti, ormai introvabili. A. N. (1) Ardi, di Stato in Genova, Manuali, n. S7-S20. (2) Cfr. Giornale Ligustico, a. XI, pag. 277. — 444 — BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Italo Mario Angeloni, Dino Frescobaldi e le sue rime. 1 olino, Ermanno Loescher, 1907. Questo lavoro, già presentato nel i9°5 come tesi di laurea nell Lini versi tà di Genova, e ora, dopo nuove cure, licenziato al giudizio degli studiosi, desta sommo interesse per Γ argomento , dacché ΓΑ. v’indaghi la famiglia, la vita, l’arte del Frescobaldi e chiuda con l’edizione critica delle rime, la quale s’avvantaggia di una canzone su quella quasi contemporanea del Rivalta. Che l’A. sia ottimamente riuscito « in questo primo affannoso esperimento » non potremmo tuttavia affermare. Anzitutto , posto che il libro vuol essere una monografìa di carattere letterario, nuoce alla sua economia l’abbondanza delle notizie raccolte intorno alla famiglia in paragone della scarsezza di quelle intorno alla vita e all’opera del poeta. Basti dire che il capitolo intitolato appunto La famiglia Frescobaldi in Firenze, ha presso a poco lo stesso numero di pagine alle quali ammontano insieme gli altri due. E quest’abbondanza, che pur sarebbe stata eccessiva se 1 A. non avesse potuto diffondersi a lungo sull'opera del Frescobaldi, come effettivamente non ha potuto farlo sulla sua vita, per la quale non s’ hanno purtroppo numerose memorie negli storici antichi ne particolari accenni nel canzoniere del poeta, riesce ben più riprensibile quando poi, procedendo nell’esame del volume, constatiamo che 1 A. non ha trattato della poesia frescobaldiana con sufficiente larghezza e con la dovuta preparazione. Dopo aver dunque discorso dell’origine, dell’ importanza e dell’ irrequietezza politica della famiglia, i’A. s’addentra in un intricato lavorio cronologico per fissare i termini a quo e ad quem della vita e della fioritura poetica di Dino; ma, con tutta la buona volontà e non ostanti speciali ricerche, può soltanto riconfermare quelli già divulgati anche in libri scolastici , ad es. nell’ottimo marnale d'Ancona-Bacci. Di suo avverte — e ciò torna davvero nuovo e interessante che il periodo d’attività del poeta va spostato verso epoca più tarda di quella assegnatagli da critici precedenti. L’ argomento più forte a sostegno di questa asserzione è per lui offerto da una canzone , ove si troverebbe quasi la stessa figurazione allegorica che Dante ha introdotto nel prologo della Commedia, e cioè l’errare del poeta in un luogo deserto, la sua fuga innanzi a leoni selvaggi e 1 apparizione della donna amata. Queste somiglianze, nonché la nota tradizione baccaccesca, che proprio Dino abbia avuto in mano i primi sette canti dell'Inferiio e li abbia inviati a Moroello Malaspina perchè invogliasse l’esule a continuarli, lo inducono senz'altro a concludere che Dino, nella sua poesia, abbia dovuto subire Γ « influenza » del grande suo vicino. Il fondamento non sembrerebbe del tutto sicuro; come non è sicuro che, per aver Dino — 445 — composto quella canzone, acquisti maggiore autorità la narrazione del Boccaccio, potendo benissimo la visione comune essere ormai dominio della nuova scuola anche per quel che riguarda i particolari; tuttavia io credo che la conclusione dell’A. sia vera e solo deploro che in parecchi anni di pazienti e amorose ricerche egli non abbia trovato altri modelli del suo Dino che il Cavalcanti e l’Alighieri ; i quali modelli, messi opportunamente in luce , avrebbero davvero suffragato la sua tesi, invogliandolo, in omaggio alla verità, a riconoscere nel suo Frescobaldi un epigono del dolce stil nuovo , anche a costo di doverlo presentare come un vero decadente, un esageratore delle idee invalse. I er mio conto addito subito il più notevole di questi poeti in Cino da Pistoia , che , come ognun sa , è uno dei più tardi rappresentanti del dolce stil nuovo; e, non volendo affermare gratuitamente, avvertirò che le due seguenti quartine del Frescobaldi: Tanta è l’angoscia cli*i* nel co?' vii t?~ovo Donde la mente tremando sospira, Che spesse volle in sul pensìer mi tira Nel qual pensando assai lagrime piovo. Che quel l’avversità ch’ i’ allor movo Mi mostra il tempo ove morte mi gira, E la virtù che la vita desira Veggio distrugger co’ martir eh’ i’ provo; le quali parvero tanto « vigorose » al Bartoli, sono ricalcate su questo sonetto di Cino : Tanta è Γangoscia ch’aggio deyitro al core Che spesse volte l’alma ne sospira; E, se pensier non fusse che il dolore Allevia quando Amor gli occhi suoi gira, Io sarei già di questa vita fore; Ora Madonna che ’l mio mal desira, Veggendovi languire a tutte l’ore, Lieta è del male e del mio ben s’ adira. Onde mi spiace quel ch’Amore aggrada Et è sì tale il duol ch’ogn’or tìwjiovo Che nelle vene il sangue mi s’agghiada. Amor, s’altro sollazzo ’n te non trovo, Seguir non vo’ quel eh’a me tanto sgrada; Che troppo affanno è quel che per lei provo. Nè dovrò faticar molto per dimostrarlo. I primi due versi parzialmente combinano. Nel terzo del Frescobaldi troviamo una deviazione del concetto in qualche particolare, ma, riportata, la parola dominante pensier. Inoltre con la rima in ira sono tolti a prestito anche i vocaboli ch’essa comprende, meno uno: sospira, gira, desira; e la rima in ovoy nella seconda sede delle quartine , la si scopre nelle due terzine del modello. Come si vede , nessun dubbio potrebbe sussistere, in questo caso , sulla dipendenza di Dino , massime chi ancora consideri la scioltezza e la chiarezza del sonetto di Cino , ove il pensiero ^ 446 — della morte collega liberamente le due quartine , e 1' artificiosa veste di ricercate circonlocuzioni che nel sonetto imitato 1’ adombra. E non è questo il solo caso in cui l’originalità del Frescobaldi appaia gravemente compromessa. Egli è pur debitore di parecchio nei seguenti versi già citati dal Bartoli fra i più espressivi : Per tanto pianger quanto gli occhi fanno, Lasso/ faranno l’altra gente accorta DelVaspi a pena che lo mio cor porta Delli rei colpi che ferito 1’ hanno. a Cino che cantò Ahi ! lasso ch’io credea trovar pietate Quando si fosse la mia donna accorta Della gra?i pena che lo mio cor porta Et io trovo disdegno e crudeltate. e più ancora nel sonetto: Donna dagli occhi tuoi par che si muova, che ricorda assai quello di Cino: Una donna mi passa per la mente. E potrei fermarmi su altre citazioni, e non solo da Cino ; certo più spicciole , ma in ogni modo più importanti che non siano quelle no-terelle comparative poste in fondo al volume, le quali sono poca cosa davvero, perchè spessissimo presentano somiglianze facilmente spiegabili con la comunanza degli argomenti o non calzano affatto. Preferisco, per non varcare i limiti concessi ad un resoconto analitico, venire al capitolo seguente, che ΓΑ. intitola L'arte. Davvero non saprei che intenda l’A. con tale vocabolo : forse il contenuto filosofico della lirica studiata , chè di questo quasi esclusivamente egli s’occupa. In Dino si combatte dunque un’ aspra guerra psichica: egli sfugge i desideri umani suscitati dalla giovenile bellezza della donna , ma non mai appagati per la sua continua ritrosia , e a-spira a una vita virtuosa e spirituale ; invoca quindi la morte , non quella naturale, ossia la separazione dell’anima dal corpo, bensì quella che gli procura il regno dello spirito , ove è possibile la contemplazione dell’ amata senza martìrio. Così resta contento il desiderio del-1’ intelletto e il poeta vince rinunziando agli spiriti animali. Siffatta teoria concorda in generale con quella del Cavalcanti e degli altri poeti della nuova scuola ; e solo in questo diverge, che Guido riesce a slanciarsi nel regno sovrasensibile con lo sforzo intuitivo dell’ idea, Dino invece non può che desiderare lo stato negativo dell’ amore limano : per F uno Amore stesso è Morte, per 1’ altro Morte è la liberazione dai sensi. Ciò esposto, FA. prende ad esaminare complessivamente come si svolga il concetto fondamentale nei vari componimenti del Frescobaldi, e a questo proposito scrive due o tre pagine che ci sembrano le migliori del suo lavoro. Sennonché egli troppo s’ ostina a muovere il suo poeta in quel mondo tutto spirituale. Spesso , se non erriamo , Dino ha delle contraddizioni , presenta dei deviamenti della teoria filosofico-erotica del tempo. Noi passiamo spesso, leggen- dolo, dal campo della vita psichica e intellettuale a quello della vita reale , e troviamo mescolata la fisiologia alla psicologia , Γ umano al sovrasensibile, la titubanza e il desiderio della morte che prova l’innamorato, al togato raziocinare amoroso del filosofante. L’A. stesso ha dovuto convenire di trovare un elemento di realtà, un proposito di vero e proprio suicidio , in una delle più belle canzoni di Dino ; ma anche altrove spesso si parla di morte reale, causata dai martirj invincibili , morte che è temuta ad ogni momento dal poeta che spasima. 1 rendiamo , ad esempio , questi versi della famosa canzone che ΓΑ. vuole imitata dal principio della Coìnmedia e che ognuno deve ritenere la più allegorica del canzoniere: Nel cor li mise allor si gran tempesta Quella spietata e paurosa fiera, Che di colà dov’era Partir lo fè con doloroso pianto, E così il cacciò tanto Ch’a una torre bella e alta e forte Il mise per paura della morte. Quale altro significato possono avere se non questo: il desiderio animale gli diè tanta pena ch’egli, temendo di morirne realmente, riparò nella pace serena delPintelletto ? E perchè allora non mettere in rilievo questo elemento reale che più volte si manifesta nel canzoniere, perchè non distinguerlo da quello puramente filosofico, astratto, cui pare si voglia qui subordinare tutta l’opera del poeta? L’appunto ch’io faccio alTA. è del resto di poca entità e m’ affretto a ripetere che questa parte del lavoro., pur con qualche deficienza , mi sembra ben meditata e bene esposta. Altrettanto non potrei dire rispetto all’indagine della iorma, che è del tutto trascurata, ove se ne tolgano gli accenni frettolosi agli schemi metrici e alcune osservazioncelle di poco conto. Manca qui un capitolo sull’arte estrinseca del poeta, che metta in rilievo la perfezione del verso e del periodo, i rapporti fra il metro e il pensiero costrettovi, tra la forma elocutoria e lo stato interno del poeta; un capitolo che tratti dello stile frescobaldiano molto più vivace e leggiadro e vigoroso che in altri cantori del tempo, e spieghi nei particolari il sapiente contemperamento della tendenza allo stile popolareggiante con quella procedente dalle tradizionali ricercatezze occitaniche e riaffermata già, su materia più grave e profonda, per opera dei nuovi cantori bolognesi e fiorentini. Esso non sarebbe riuscito vano , e ΓΑ., che si compiace di grande eleganza di stile nel suo libro , avrebbe dovuto e potuto regalarcelo. La via gli sarebbe stata assai facilitata da un volume recentemente composto dal Lisio e inteso a indagare appunto l’arte del periodo nelle opere volgari del sec. XIII. Non basta che ΓΑ. dica soltanto: quest'arie à materiata inoltre di tecnica sapiente; bisognava dimostrarlo. Ma egli non ha voluto farlo e ha senz’ altro invitato il lettore a compiere da sè la ricerca estetico-formale della poesia di - 448 - Dino, a perdersi senz’altro « dietro all’eco dei suoi canti , in un sogno estetico, in una contemplazione di pure forme d’arte italiana »! Il capitolo seguente, che tratta dell’ apparato critico per 1 edizione delle rime , è intitolato Tra codici e stampe ; ma bisogna rassegnarci a non trovar notizie ragguagliate sulle stampe, perchè l’A. non vuole un « motivo di inutile disputa ». Lo studio dei codici lo porta a stabilire che D è il più antico e tuttavia copia di un ignorato x. Da D deriverebbe E , per opera di un « dotto quattrocentista », che deve aver tenuto sotto gli occhi anche x. Riguardo a Γ, non si può pensare ad intromissione di sorta ; esso deriva da D e non ha che varianti interpretative: F, che ci dà, unico, i due sonetti doppi e le varianti della canzone II , si è giovato di D e certo anche di qualche altro codice, forse x. Gli altri codici inferiori non hanno valore se non in quanto consentono con gli antichi. Ora io oserei levare dubbi soltanto sulla derivazione di E da x, giacché il ragionamento dell’A. non mi persuade. Egli anzitutto afferma che il maggior numero delle varianti di E sta a provarla : ma le prove serie e plausibili, ossia le varianti e le immissioni catalogate e opportunamente discusse , mancano in questo capitolo : nè mi risulta tale asserzione irrefragabile dal-1’ esame al quale ho sottoposto le varianti di E trovate a piè delle rime. Gli espunti di E, che costituirebbero un altro appoggio per ΓΑ., potrebbero, a parer di chiunque, significare non « la indecisione di E nel scegliere pronomi, congiunzioni, nata da un confronto di D con l’ignoto λγ », ma la smania del dotto quattrocentista di rabberciare D per conto suo e la sua facilità a riaccogliere per qualche pentimento, la lezione D. Infine il terzo fatto prodotto ad avvalorare questa credenza, che cioè « E , trascrivendo , segue la elencazione di D sino al sonetto XIV incluso; qui giunto si stacca da D, salta il VII, copia Vili, IX, X, poi scrive il VII e segue con XI, XII, XIII », non avvalora nulla e porta invece a credere molto semplicemente che il copista, dimenticatosi, al momento opportuno, di trascrivere il VII, lo abbia poi scritto dopo il X , appena s’ è accorto dell’ omissione, tanto più che anche qualche codice della famiglia E ha trasposizioni di componimenti , nè per questo ΓΑ. nega la sua discendenza da E. Comunque ciò sia, rei tà indubitato che il codice di base debba essere D e ΓΑ. lo segue infatti prudentemente, sebbene con qualche incoerenza ortografica (scempia, ad es., chevnni, canz. I, i, i, e non chejfaiy canz. II , 3 , io) e valendosii per la seconda canzone di qualche variante F; e lascia persino le lacune di D, per maggior rigore. Sicché, dato che VA. si propone di non accettare che la lezione consentita da D T E F o quella in ogni modo di D confermata da T (ved. a pag. 7S), e dato ancora che solo si scosta da D per togliere qualche vocale finale alio scopo di ristabilire il verso , o per rimodernare in generale la grafia, vien fatto di domandarci se valeva la pena di trascrivere poi tutte le varianti in calce alle rime o non fosse stato meglio toglier di mezzo qualche codice inutile. — 449 — Ciò che poi manca a queste rime, è un commento, che spieghi nei particolari le teorie del poeta, che renda ragione di certi leciti arbitrj dell editore e che infine chiarisca P elocuzione, non sempre facile, delle canzoni. Confesso che parecchi passi mi riescono assai o-scuri e temo che non tutti se la caverebbero tentando d’ interpretare ad es., questi versi: Dunque se l’aspro spirito che guida Questa spietata guerra e faticosa Vi vede disdegnosa Di quanto cheggio per aver diletto, Come così nella morte si fida, La quale esser non può tanto gravosa, Se la vita è noiosa, Che non sia pace, ed io così l’aspetto? E ancher avrebbe dovuto l’A. , per dimostrare l’importanza della lirica del suo poeta, ricercare quale influsso abbia esercitato su altri, giacché egli verrebbe a trovarsi in un periodo di transizione, tra Γ a-gonizzare della maniera filosofica e il sorgere di altra più sciolta e quasi popolareggiante. Se apro il canzoniere del figliuolo, Matteo Frescobaldi, scopro che questi, per il sonetto: Coin' più riguardo l'onesta bellezza (ed. Carducci, Pistoia, 1866, p. 41), ha preso assai dai due del Padre che incominciano: Una stella di [sì] nova bellezza; Poscia ch'ï veggio l'anima partita; e che nel sonetto : La bella stella che mi regge e guida, ha ricalcato il notissimo : Quest'è la giovinetta eh 'amor guida. Conchiudendo, questo lavoro rivela certo ingegno e buona volontà, ma non può dirsi definitivo. L’A. lo ha condotto con più arte che dottrina : ha trascurato infatti parecchi elementi e ricerche necessari per arrivare alla piena intelligenza della lirica frescobaldiana, per fissarne il posto e il valore nello svolgimento della poesia del suo tempo, per chiarire infine i singoli componimenti, che restano sempre coperti di un velo denso ed oscuro. In compenso, ha fatto stampare delle pagine inutilissime, ad es. quelle dell’indice bibliografico ove ha elencato tutti i libri già citati nel corso del lavoro con le stesse indicazioni. Anzi , riescono inutili anche le citazioni interne , perchè ΓΑ. vi ha solamente indicato l’edizione e non mai la pagina. Francesco Luigi Mannucci. Ai mani illustri di Nino ed Alessandro Bivio. Torino, dai Frat. Pozzo, (1907); in-S.° di pp. 55. % Al veterano del Volturno, all’ aiutante di Nino Bixio, al vigile custode dei ricordi dell* Avezzana (1) e d' altri prodi, che furono onore (1) Fr. Sclavo. Giuseppe Aveszcfia. Coin numerazione. Roma, Slab.° tip.® della Tribuna, 1905. ^ 45o delle liguri terre e delle subalpine, al Colonnello Francesco Sciavo son dovute queste pagine, dove i cenni sulla vita di Alessandro , nobilissima e in Italia poco nota fanno seguito alla commemorazione di Nino, tenuta dallo Sciavo nell’ aula magna dell’ Università di Genova il 5 Maggio di quest’ anno 1907, anniversario della partenza dei Mille da Quarto. Quando Niccolò Ugo Foscolo uom d’ armi e di lettere , dall’ aula dell’ Ateneo Ticinese, esortava gl’ Italiani a studiare la storia della patria loro, non poteva, per la sua redenzione, augurarle cittadini di più grande coraggio e costanza in pace e in guerra di cotesto Nino — Gerolamo al fonte battesimale del Carmine in Genova le gesta del quale narrarono il Busetto e il Guerzoni, mio compianto maestro, e 1’ Abba, e ora tratteggiò rapidamente lo S. Fin dallo scorso anno mentre teneasi a Milano il Primo Congresso Storico del Risorgimento Italiano, fu annunciato che il manipolo d’ autografi importanti in varia misura per quella storia e depositati presso la Biblioteca della Unver-sità eh’ ebbe scolari il Mazzini, i Ruffini, il Mameli (1) veniva ad accrescersi di prezioso dono fatto dal Cav. Camillo Bixio figlio di Nino per mezzo dello Sciavo stesso. « Erano — lo diremo colle parole dello S. — lettere storico-politiche interessanti in sommo grado la storia del Risorgimento, nonché studi militari, progetti di difesa e terrestri e marittimi, resoconti di svariatissime missioni ed incarichi avuti.... », erano in somma i documenti integrali che aveano servito ai citati biografi per tessere la vita di Nino Bixio, ma dei quali essi non aveano adoperato che una parte soltanto, alterando poi talora in maniera che oserei chiamare scandalosa, la prosa del generale. Alcune volte non erano che puntini opportunamente posti in luogo di giudizii non pubblicabili per riguardi politici o personali, ma altre volte racconciamenti o rabberciamenti dell’ italiano scorretto dello scrittore, che ne alterano il carattere e spesso ne mutano il senso , sia pure in modo non sostanziale. Cromwell voleva essere ritratto dal pittore colle sue cicatrici e le sue rughe, e noi vogliamo anche lo stile di Bixio colle sue sgrammaticature e le sue improprietà caratteristiche. Lo S. 1 ha detto nella nota apposta alle Lettere che corredano la Commemorazione (2) e che, con tanto profitto, si leggono anche da chi ne abbia avuta conoscenza dai precedenti biografi. Non riesce perfettamente chiaro, in verità, con cjual criterio lo S. abbia prescelto queste, a confronto di altre lettere, e vi abbia aggiunto frammenti e ordini che si riferiscono al triste episodio di Bronte (3), e due biglietti di Garibaldi, se non fosse pei ri- ti) Vedi Saggio di un catalogo di autografi del risorgimento· italiano., Omaggio della R.a Bibl.a Univ.a di Genova a detto Congresso (Genova. Cartoleria Commerciale, 1906). Il prof. Pagliaini bibliotecario e la Dottoressa M. Ortiz vice bibliotecaria attesero con particolar cura e diligenza all’utile lavoro. (2) Pag. 17. (3) « Il posto del triste dovere » come lo chiamò lo stesso Bixio. — 45* — schiarare quei momenti della vita del generale, che parvero allo S. più caratteristici, e ravvicinare 1’una all’altra la figura del Duce e del Secondo dei Mille. Certo da ogni pagina, vergata dal generale, apparisce un’intuizione netta c elle situazioni sia militari, sia politiche, una ammirazione scon-inata per Garibaldi, uno sconfinato bisogno di operare e di operare per 1’ Italia. Commovente poi la tenerezza per la moglie, per i figli che pervade tutte le numerosissime lettere dirette alla cara sua Ade-aide e interessante quel raccostamento eh’ egli faceva, quando visitava i paesi del Nord: 1’Olanda, l’Inghilterra, fra l’intensità di lavoro di cui son capaci quegli uomini e la saldezza de’ vincoli famigliari , la poesia di cui, grigi o canuti lavoratori, continuano a rivestire il focolare domestico. Questo — soggiungeva Bixio — c’è anche a Genova, e riconosceva in ciò quel buon metallo della stirpe, alla quale era orgoglioso di appartenere (i). Interessanti anche le lettere dirette al fratello della moglie: Adolfo I arodi agente di borsa in Genova. Ma con lui e , con ragione , non poteva, su molti punti essere Nino così esplicito come con Adelaide sua. « Mi dispiace assaissimo — scrive ad Adelaide il 7 Luglio 1S66 dal Quartiere Generale di Calvatone (2) — che tu comunichi le mie lettere ad Adolfo Parodi e segnatamente che tu gliele mandi alla Borsa, dove egli leggiera quello che io dico, al suo pubblico del 50% Dico a te cose che non voglio dire ad altri, e sopra tutto che non voglio dire al pubblico ». E legga il cittadino italiano, che vuol conoscere per davvero i giudizii, i sentimenti, le passioni dell’ anno infausto 1866, legga tutta quella e le altre acute, profetiche lettere del generale scritte in quell’ anno. Ben a ragione, nel suo discorso , non potè lo S. trattener la rampogna per i governanti d’ Italia che non hanno saputo evitare (non diremo che le abbiano preparate) nè Custoza, nè Lissa. Quando Nino Bixio scrive al Busetto nel 1S70: « Disprezzare i nemici vediamo che cosa significhi per la Francia », noi ripensiamo alle militari nostre sciagure africane e concludiamo che se Bixio fosse stato vivo « (e ferreo coni’ era poteva ben durar quanto il secolo), non tutti gli avvenimenti che ci afflissero di poi sarebbero stati possibili ; e quando non ci fu più Garibaldi, sarebbe bastata la sua presenza a temperare in molte occasioni, cèrti uomini e certe cose , (1) Questa parte è largamente svolta nel volume del Busetto che fu genero di Nino Bixio. Ecco perche il suo volume , che sarebbe più noto se l'avessero stampato Barbèra o Roux e Viarengo , s’intitola Patria e fatui g lia. Notizie del Generale Nino Bivio per Girolamo Busetto Maggiore nell’esercito italiano (Fano, Tipografia Lana, 1876, S.° gr ) pp. 430. — Vedi pure Da soldato a generale, Note su N. /?. di PAOLO Fambri nella Nuova A filologi a. — Aprile 1S75. (2) Questa lettera è nello Solavo, p. 30. — 45- — a impedire che seguissero certe altre che, per nostrrt Sventura , sono seguite » (i). Cosa buona ha fatto lo S. aggiungendo alla Commemorazione succosi cenni biografici di Alessandro Bixio (1808-1865) fratei maggiore di Nino, naturalizzato francese, ma serbatosi amantissimo dell’Italia per la quale mandò i suoi figli a combattere e grandemente cooperò, stretto com' era sia a Cavour sia a Gerolamo Napoleone , alla preparazione dell’ alleanza indimenticabile del 1859. Il carteggio fra Alessandro Bixio e Cavour fu deposto dagli eredi del Conte insieme alle lettere di tutti gli altri corrispondenti presso il R.° Archivio di Stato in Torino e non potrà essere letto che mezzo secolo dopo la morte di Cavour stesso, cioè nel 1911. Un busto di lui fu colloiato nel 1SS4, per cura di Costantino Nigra, nella torre eretta al re Vittorio Emanuele in San Martino (2) perchè non mancasse la sua effigie fra quelle dei cooperatori principali della nostra rigenerazione. Nessuno, meglio del Nigra, avendo avuta precisa cognizione di quel carteggio, poteva argomentarne quanto la ricoooscenza degl’ Italiani fosse un debito verso il nome di Alessandro Bixio. Combattente nelle ^ giornate di Luglio del 1S30, Alessandro Bixio era stato incaricato d’affari a Torino nel 184S, poi, per breve tempo, ministro di agricoltura nel primo Ministero costituito dal Presidente Luigi Napoleone Bonaparte nel Dicembre di quell’ anno. Deputato della Franca Contea e ripetutamente eletto, Vicepresidente per ben cinque volte della Assemblea Nazionale, abbandonò la vita pubblica dopo il colpo di stato del 2 Dicembre. Potè allora dedicarsi tutto alle predilette sue pubblicazioni di agrico -tura, avendo completamente lasciata la medicina, della quale avea pur fatti gli studii e conseguita la laurea. La Società di Agricoltura di Besançon ebbe da lui in dono tutta una biblioteca di opere sia di storia naturale sia d’agricoltura. Osservatore acuto fin dal tempo degli studi suoi giovanili, avea compreso qual vantaggio economie? sarebbe derivato al paese, sottraendo all’ empirismo il lavoro de’ campi e illuminandolo al lume della scienza. Questo serve a spiegarci il prmc.p.o delle accennate sue relazioni col Conte di Cavour. Cumulato con lavoro indefesso e ligure sagacia il primo capitale, divenne successivamente il Bixio amministratore di Società ferroviarie , di Banche , di intraprese molteplici e al fratei minore Nino venne più volte in aiuto a guisa di padre (3);'a lui, come ai figli, porse costante 1’esempio d’ un’ instancabile attività , per trarre il maggior frutto possibile da tante belle e varie attitudini che avea natura a questi Bixio largite. (1) Questa è la conclusione del libro di G. C Abba al quale allude lo Sciavo a p. 14. (2) Non in Solferino. (3) V. in Busetto (op. cit. p. 91) la lettera di Nino ad Elia da Firenze 15 Dicembre 1865. Essa comincia appunto colle parole! « Un mio fratello, che mi fu padre, è morente a Parigi 1>. — 453 — Di questa varietà di attitudini, per quel che riguarda Nino, restano testimonianza oltre agli Atti parlamentari ed alle lettere del 1862 mandate dall Inghilterra al Corriere Mercantile di Genova, tutte le sue carte testò deposte alla R. Università, e da tutte apparisce come l'autodidatta dai libri, e più ancora dall7 osservazione fina e continua della configurazione geografica per un verso, e per l’altro delle forze economiche sia dell Italia sia dei paesi stranieri, traesse chiaramente , e-nergicamente le logiche deduzioni su quel che occorreva perchè crescesse un Italia degna del grande suo nome. « Noi siamo poveri diceva Bixio alla Camera — o almeno si dice che lo siamo, e credo aneli io che lo siamo di lavoro, di studio, di attività, di virtù ». E ancora . « Oggi è la Nazione intera che deve affermarsi una e potente sul mare dando vita agli elementi marittimi e industriali che possediamo ; ricordiamo la massima prodotta dagli Stati Uniti d’ America, che una Nazione che vuole avere una marina militare, dev'essere in grado di produrla da sè nei proprii cantieri » e « io, come antico uomo di mare, getto la mia ancora e sto ; e se perdo , come ho perduto il mio Collegio di Genova, e gli altri tre Collegi che mi hanno eletto, non perderò nè la testa nè il cuore. Quando sono andato ad Ancona per la prima volta , ho detto ai miei elettori : il mio programma è , prima di tutto, questo .... pagare, lavorare, e pagare ancora; se mi volete, sono qui, se non mi volete sceglietevene un altro. Ecco il linguaggio mio, perchè sopra la popolarità dev’esservi la veridicità, e il dominio della legge, quando la legge è la espressione della volontà del paese legalmente rappresentato ». E finisco colle citazioni. Ho accennato a questi lati della ricca multiforme natura italica del Bixio, perchè questo è per così dire, il Bixio men conosciuto e degnissimo di essere e studiato e imitato dai nostri parlamentari (1). 11 difensore di Roma, il combattente di Maddaloni e di Custoza, il patriottico pacificatore di Garibaldi e di Cavour sono più noti e più popolari. Pure, rivedere anche questi è un conforto dell’ animo e dobbiamo esser grati allo S. che ci ha chiamati a provar ancora questo sentimento. Quando uno dei miei bravi scolari mi chiede — e non è raro — se può leggere Vigore di vita del Presidente Roosevelt, io gli metto fra mano La Vita di Nino Bixio e gli dico: leggi prima questa che è roba nostrana e vedrai se qui scarseggiasse il vigore ! Guido Bigoni. (1) Egli sentiva profondamente il culto di Dante, e sul gonfalone coll’effigie del poeta — ricordo delle feste fiorentine e italiane del 1865 — che il Bixio innalzò sul suo quartier generale nel 1S66 e nella breve campagna del 1870 cfr. Busetto (op. cit. pp. 88 -89). Esso pure fu donato dal Cav. Camillo Bixio alla R. Università di Genova, e se ne adornava Γ Aula Magna il giorno in cui lo Sciavo tenne la sua commemorazione. — 454 — ANNUNZI ANALITICI. Francesco Novati. Attraverso il medio evo. Studi e ricerche. Bari, Laterza, 1905; in 1S0, pp. 414. — La storia e la stampa della produzione popolare ilaliona con un elenco topografico di tipografi e calcografi italiani che dal sec. XV al XVIII impressero storie e stampe popolari. Bergamo, arti grafiche 1S07 ; in S° gr., pp. 40 con figg. — Gli scritti che riguardano il medio evo non erano sconosciuti agli studiosi, perchè già avevano veduto la luce in periodici ; qui tornano fuori opportunamente raccolti in volume e resi così più agevoli , accessibili e familiari. Ma si vantaggiano ancora , rispetto alla prima stampa, di alcune giunte nel testo, e singolarmente nelle annotazioni, dove si vede con quale e quanta studiosa diligenza Γ a. tenga conto di tutto quello che esce fuori man mano, ed ha una qualche relazione diretta o laterale cogli argomenti da lui trattati. Nel loro complesso però tutti questi studi serbano la fisonomia e le conclusioni primitive; il che vuol dire come siano frutto di una mente ordinata ed equilibrata, di solida preparazione e di sicura dottrina accompagnata da severità di metodo logico, e da prudente ed oculato riserbo nel campo congetturale. E ci piace notare altresì che di questa guisa problemi ed argomenti, i quali potrebbero parere a prima fronte di piccolo momento o di scarsa importanza, ricevono tal rilievo e tal lume da assorgere a notevole contributo alla storia letteraria o del costume ed allo&svolgimento della cultura attraverso ai secoli. In mezzo all’ascetismo medioevale ci conduce l’esame del poema latino di fra Bongio-vanni da Cavriana, il quale tuttavia non può sottrarsi alla influenza pagana di Vergilio, donde egli trae quelle « pagliuzze d’oro >> che luccicano » fra « le scorie di poemi medioevali » da lui « studiosamente tesoreggiati »; mentre al leggendario spirito ribelle, alle forme, agli atteggiamenti diversi assunti nell’antichità, richiama la nostra attenzione il passato di Mefistofele, la cui personalità ed il cui nome sono passati attraverso tante e sì curiose vicende , prima di giungere alla immortale e filosofica concezione goetiana. Il satirico senso recondito che si volle attribuire alla bizzarra rappresentazione del duello fra il lombardo e la lumaca muove l’a. a ricercare Γ origine e lo sviluppo di questa allegoria, la quale, secondo le sue plausibili congetture, da un motivo artistico meramente esornativo passò a determinare un sentimento di spregio contro i lombardi ossia contro gli italiani, tenuti in conto di deboli ed imbelli. Brano interessantissimo di bibliografia storica è quello onde il N. discorre dei codici francesi appartenenti in Gonzaga, perchè oltre a recarci piena informazione intorno a quella celebrata raccolta e al tempo in cui venne messa assieme, sufìiaga di nuovi e incontrastabili argomenti 1 opinione che « la cultura letteraria dell’alta società italiana fosse ancora e dapertutto quasi completamente francese ». In tema di letteratura popolare o popolareggiante siamo 455 — i ichiamati dalle acute osservazioni sul frammento Papafava, o per dir meg io su quel lacerto di componimento che va sotto il nome di Lamento detta sposa padovana, dove paiono all’a. ben determinate le influenze d’oltralpi, specie del noto Roman de la Rose: alla quale influenza ctteraria sono, secondo ei pensa, da ascriversi quei Detti d'Amore di una « domina Bambacaria de Pisis » ricordata dal da Barberino, e e a qua e è menzione nelle novelle del Sercembi e nelle facezie del oggio . onna della quale non si può ragionevolmente negare l'esistenza, si come non si può negar valore alla ricordata raccolta o dare a assa una interpretazione aliena dalla sua propria natura e dalla conc izione de’ tempi e de’ costumi. Ma nel campo vero del folklore con mano maestra ci introduce il N. mercè i due ultimi studi 1’ uno intorno alle poesie sulla natura delle frutta e sui canterini del comune fiorentino; l’altro intorno a quella curiosa canzone a ballo, che vien conosciuta sotto titolo di Madonna Pollaiola. Se in tutte queste scritture e rilevante 1 acutezza e la competenza, notevolissima apparisce la dottrina nell’apparato critico, nella larghezza de’ riscontri e delle informazioni onde ciascuna si vede accompagnata ; parte importantissima per indagine accurata e originale, e di indiscutibile utilità per gli studiosi, i quali quivi trovano assai più di quanto potrebbe desiderarsi in cos, fatti lavori. Ci consenta l’a. un rilievo che chiameremo regionale. Là dove .1 canterino Piero da Siena ha ricordato i « cedri ma- tun..... del S'ardin di san RonboI in Riviera », e al N. riesce oscura questa indicazione, ci sembra doversi intendere del nostro San Remo (San Romolo) in riviera di ponente, che ben può considerarsi « un bardino » per la soavità e la bontà de’ suoi agrumi. Abbiamo detto poc’anzi come 1’a. tratti con mano maestra della letteratura popolare ed una testimonianza più diretta e più recente ei ce 1’ ha data con la geniale monografia, dove , come dice, intende « abbozzare a grandi linee una sintetica esposizione delle vicende che, attraverso i socoli, hanno sortite » le « due forme, intimamente tra loro congiunte, dell'attività intellettuale del popolo: la storia e la stampa ». Sintetica si, ma in tutto rispondente al fine- propostosi di preludere alla compilazione d’ima bibliografia non solo di quei libercoli o fogli volanti che costituiscono la letteratura che altri chiamò a un soldo°od anche muricciolaia ; ma eziandio delle stampe, le quali rappresentano con scene, figure , ritratti , simboli, satire , caricature i molteplici aspetti, gli atteggiamenti multiformi della vita, delle cose e degli uomini. Produzione l’una e l’altra assai antica, e ben degna per più rispetti d’essere considerata dallo studioso e dal pensatore come quella che deriva da una medesima fonte ed ha uno stesso fine , mentre tutte e due a vicenda s’illustrano e s’integrano. Prose di Giuseppe Baretti scelte ed annotate da Luigi Piccioni. Torino, 1907» in-16, pp. x\ 1-464, con rit. — È questa la scelta più copiosa delle prose barettiane ordinata per le scuole. Delle lettere, più volte ristampate, già si avevano parecchie edizioni scolastiche, che e — 45^ — per la forma e per la sostanza parvero esse meglio adatte a fruttuosa lettura per i giovanetti , ed anco di recente ne abbiamo veduta una nuova edizione o scelta di venti lettere sobriamente commentate per cura del Brognoligo (Roma, Allighi, Segati ec. 1906) quanto era necessario all’uso cui venivano destinate. Con più largo commento letterario e storico ne aveva date trentuna il Menghini, in quegli Senili del Baretti che vennero fuori nel 1S97 nella biblioteca scolastica diretta dal Carducci ed edita dal Sansoni. Ma il Menghini non si fermò alle lettere; le fece seguire da sette numeri trascelti fi a quelli che compongono la Frusta, e da otto lettere tolte dai due volumi della Scela di lettere familiari. L’anno stesso comparve la Frusta pubblicata con note da Augusto Serena con intento scolastico, e pei ciò « sfrondata d’inopportuno frascame , e prima cautamente recisa che degeneri 111 libello »; la quale edizione sarebbe riuscita più ricca se considerazioni librarie non avessero obbligato il Serena ad omettere alcuni scrìtti che ben vi potevano trovar luogo. Frattanto Luigi Piccioni s’era proposto di studiare a fondo la vita e le opere del critico piemontese, e aveva cominciato a dar fuori alcune scritture intorno al risultato delle sue ricerche, raccogliendo poi in un pregevole volume edito dal Giusti nel 1899 con le cose già pubblicate tutto quanto il materiale atto a colorire uno studio ordinato e completo che ci auguriamo di veder presto condotto a termine. Sulla convenienza di ammettere nelle scuole e di presentare all’attenzione de’ giovani le prose tutte del Baretti, e non le sole lettere, appunto nel volume citato ha discorso il P. esaminando le scelte del Menghini e del Serena, ed ha quivi esposto con quali criteri estetici, ed intendimenti storie, egli riteneva necessario fossero codeste prose illustrate. Nel volume che abbiamo dinanzi troviamo precisamente l’applicazione di quelle dottrine, che vengono di nuovo affermate nella prefazione , dove si leggono le ragioni onde fu mosso a pubblicare questa sceltale il metodo in essa tenuto così rispetto al testo come alle annotazioni. Si apre il volume, dopo una breve introduzione che reca le sommarie notizie biografiche, con la seconda delle tre lettere contro lo Schiavo, alla quale tien dietro la prefazione critica al tomo secondo della non felice traduzione baret-tiana delle tra-edie di Pietro Corneille; seguono la parte più importante dell’unico cicalamelo (gli altri il Baretti per rigoroso divieto non potè pubblicare) sulle note lettere del Bartoli, e poi tredici delle lettere a’ fratelli- quindi abbiamo una ricca .scelta dalla Frusta che comprende ben metà del volume, e in ultimo nove delle lettere familiari per uso degli studiosi pubblicate in nome d’altri. Ciascuna di queste parti e preceduta da una succosa nota storico-bibliografica con le notizie intorno alla ragione e alle vicende dell’ opera stessa. Larghissimo è il commento, nel quale oltre a rilievi e spiegazioni meramente filologiche, sono notevoli i riferimenti di storia letteraria e di bibliografia, ordinati a quel fine che il P. chiarisce nella premessa, difendendone anche l'abbondanza. Un indice utilissimo è posto a corredo di questo — 457 — buon volume, nel quale, a nostro giudizio, resecando qualche cosa, specie degli articoli della Frusta, potevano forse trovar luogo anche alcune lettere opportunamente trascelte dalle famigliari a varie persone di cui è ricco l’epistolario barettiano. È inutile aggiungere che 1 opera del P. nel mentre, secondo abbiam detto, è la più copiosa e la più varia di quante l’hanno preceduta, così è quella che tutta le supera per la pienezza delle informazioni, la sicura dottrina, e la bontà del metodo. Silvio Pellico. Le mie prigio?ii commentate da Domenico Chiat-tone. Saluzzo , Ditta edit. Giulio Bovo, 1907; in-8, pp4 xv-519 con fìgg. e rit. Mentre si stampava questo libro avvenne improvvisa la morte del giovane saluzzese che ne curava la pubblicazione con dottrina pari all’entusiamo. E perciò 1’ opera è preceduta da un cenno intorno al Chiattone, dovuto alla penna di Costanzo Rinaudo , e da una bibliografia degli scritti di lui. Il C. ricercatore operoso e intelligente di tutto quanto si riferiva al risorgimento politico, e al Pellico in ispecial modo, dopo aver dato al pubblico in parziali scritture, alcun frutto delle sue ben riuscite indagini, stava preparando un libro intorno al celebrato suo concittadino, nel quale si proponeva di metterne in piena luce l’opera e la figura secondo risulta dai documenti con severità di storico e imparzialità di critico. Di quest'opera egli ci ha lasciato nn notevole saggio nella monografia premessa alla narrazione del Pellico , nella quale discorre in dieci paragrafi dell’ azione patriottica di lui e del suo martirio. Di qui ben si vede con quanta ricchezza e solidità di preparazione ei s’accingeva al lavoro, che sarebbe stato certo definitivo singolarmente sul tanto discusso periodo della sua vita politica. Intanto mentre da queste pagine apprendiamo notizie interessanti sulle cause che mossero la vigile polizia austriaca ad arrestarlo, ben vediamo come debba scagionarsi di accuse antiche e recenti sopra il suo contegno dinanzi ai giudici inquirenti, rispetto ai compagni che vennero coinvolti in quei processi, specie al Porro, del quale ei fece il nome costretto dalla evidenza de’ fatti solamente quando ebbe sicurezza ch’egli era già in salvo. Del pari s’apprende con quanto entusiasmo baldanzoso ed audace si fosse dato, dopo il suo ingresso nella Carboneria, alla propaganda politica con i viaggi e con gli scritti. Ma quante notizie e di quale importanza ci porgono le annotazioni al testo ! Commento continuo, talora polemico, sempre documentario chiariscono cenni, tocchi , riferimenti, aneddoti dell’autore, il quale alcuna volta ha meglio lasciato intendere di quel che non abbia detto palesemente. Donde una luce nuova si spande sopra uomini e avvenimenti , dando luogo a giudizi più ragionati e più equi, desunti, non già da ciò che poteva parere, o da congetture ben spesso passionate e fallaci, ma da quanto è veramente, e le carte studiate con discernimento provano in modo luminoso. Libro utile dunque e che già di per se nel nudo testo suggestivo, or lo diviene Giorn. St. £ Leti, della Liguria. 3! — 458 — assai più, mercè l’opera assidua del compianto studioso, il quale volle accrescere ad esso sì fatta qualità con la riproduzione di ritratti, di luoghi, di scritture autografe, di documenti che per gli occhi meglio parlano alla mente ed al cuore. Atto Vannucci. I martiri della libertà italiana dal 1799 al 1848 vite scelte e a?inotate per cura di Rosolino Guastalla. Firenze, Barbera, 1906; in-16 , pp. 44. — Nella raccolta di opere educative del Barbera, entra ora, con ottimo consiglio, questa scelta dall’opera maggiore di Atto Vannucci , e viene opportunamente a mettersi accanto al bel libretto del Martini sui martiri di Belfiore, col quale si è introdotto nella collezione 1’ elemento più strettamente storico-patriottico. Il G. ha avuto mano felice nel trascegliere quelle biografie che meglio rispondono a ricordare lo svolgersi del concetto liberale italiano desideroso di affrancarsi da straniere servitù, da domestici tiranni, per raggiungere il fine supremo della unità , onde il lettore , muovendo dal 1799 è condotto attraverso alle varie regioni d’Italia, dove si scalda e si sviluppa il fuoco sacro, reso ognor più forte e vivace dai supplizi, dalle carceri, dagli esili, dalle torture d’ogni maniera che se spensero uomini, non valsero a spegnere il grande ideale proseguito da tanti illustri con maschia tenacia , e vittorioso finalmente in mezzo agli o-stacoli d’ogni maniera. In una succosa prefazione sono date le notizie dell’autore, che riescono più che sufficienti all’intendimento del libro. Le note al testo procedono ordinate a dare qualche utile schiarimento, e più specialmente a porgere brevi notizie biografiche di parecchi de personaggi nominati nel testo. Volumetto di utile lettura, nelle famiglie e nelle scuole, dove può anche servire di premio per i giovanetti studiosi. Francesco Apostoli. Le lettere sirmiensi riprodotte e illustrate da Alessandro D’Ancona colla vita delVautore scritta dal prof. G. Biconi. Roma-Milano, Albrighi, Segati e C., 1906; in-16; di pp. 428. _ Le lettere che rivedono la luce dopo un buon secolo dalla loro prima comparsa, appartengono a quel gruppo di scritture che costituiscono la letteratura del nostro risorgimento, e possono così per questo rispetto come dal lato storico e per il fine a cui intendono, tenersi in conto di memorie personali volte a far abborrire la tirannide e la dominazione straniera: sono perciò da mettersi in novero con quelle diverse che ad esse vennero dopo ed ebbero la più significativa e celebre espressione nelle Mie prigiojii del Pellico. Codesti documenti ci richiamano alla considerazione di tempi e di uomini, ai quali, checché si dica, noi dobbiamo il nostro assetto politico, e giovano a muovere e a rinfrescare quel sano sentimento patriottico che, all’infuori di esagerazioni o di fuochi fatui, porge all’animo ed all'intelletto vital nutrimento , poiché da esso derivano le convinzioni profonde e l’affermazione del carattere atte a formare il non inutile cittadino. Ma se il noto libro del Pellico si è chiarito a’ nostri dì bisognoso dal lato storico e biografico di un commento, per essere meglio inteso e gustato; — 459 — a maggior ragione era necessario illustrare le poco conosciute lettere presenti tanto più lontane, e riferentisi a fatti ed avvenimenti più complessi, e per la stessa loro natura, meno accessibili ne’ particolari alla comune dei lettori. A questa illustrazione ha provveduto con quella larghezza e competenza di cui è maestro, il D’Ancona , per mezzo delle molte e rilevanti annotazioni che accompagnano il testo, suffragate da un ben inteso dizionarietto di notizie biografiche, intorno a tutti i deportati italiani di quel triste periodo. Senonchè il nome di Francesco Apostoli , autore delle lettere , non è così universalmente noto da dispensare la ricerca delle sue notizie nelle compilazioni di comune informazione, e quivi ci è presentato con tratti così sbiaditi ed incompleti, da giustificare la doverosa necessità di esporre, proprio qui, in capo al più curioso e notevole de’ suoi scritti, le vicende della sua vita avventurosa. Al quale ufficio si è accinto con ottima preparazione il Bigoni, che già aveva dato prima d’ora un saggio importante de’ suoi studi intorno a lui. Di questa guisa noi possiamo seguire passo passo la personalità dell’Apostoli lungo le varie e critiche circostanze della sua esistenza, rilevarne lo spirito, vagliarne il carattere e giudicare della sua figura morale. Che se dovremmo notare in lui degli errori, ben ci sembra che le sofferenze della cattività valgano a redimerlo, ponendolo nel martirologio italiano che deve esser sempre ora e per il futuro « di ammaestramento ai giovani », poiché mostra loro « da quanto tempo fu ad essi preparato l’acquisto prezioso di una libera patria , nè sanno quanto sangue e quanti dolori è costato ». Utili giunte ha recato testé a questo libro Attilio Butti nell 'Archivio storico Lombardo. Antonio Pilot. L9elezione del Doge Nicolò Tron, Prato , Vestri, 1906; in-8, pp. 17. — Un peccatacelo di Domenico Venier. Roma, Centenari, 1906; in-8, pp. 12. — Due sirventesi che si riferiscono alla nomina a doge di Venezia del Tron , dopo la caduta di Negroponte dove un figlio di lui, Giovanni, perdette miseramente la vita, sono qui messi in luce dal P. con abbondanti illustrazioni, che e l’uomo e il tempo storico chiariscono. Il primo era già conosciuto perchè e-dito dal Lazari nel 1S62 in occasione di nozze, a pochi esemplari; ma qui ricomparisce con varianti di qualche importanza. Gli altri due componimenti sono pubblicati per la prima volta. In essi si fanno gran lodi al Tron ripromettendosi da lui la invocata vendetta contro il nemico del nome cristiano , e delle sorti politiche di Venezia. — Dal secolo XV scendiamo in pieno cinquecento con le poesie che il P. attribuisce, non senza qualche dubbio, a Domenico Venier, senatore assai conosciuto e in certa fama a’ suoi dì, ora poco men che dimenticato. I versi narrano un de’ tanti episodi di piacevole adulterio, consenziente il marito, a cui bastavano i buoni bocconi apprestatigli accortamente dall’amico: curioso e significativo il capitolo, umoristico nel suo rimpianto e non privo di vis comica. Poesie satiriche per la guerra di Castro [a cura di] Ludovico — 4-6° — Frati. Firenze, Galileiana, 1906; in-8, pp. 16. — Da un volume manoscritto miscellaneo della Biblioteca Universitaria di Bologna, che fece parte di più ampia raccolta recando Γ indicazione di tomo settimo, trae il F. alcuni componimenti poetici, per lo più sonetti con e senza coda, indirizzati a canzonare il Farnese per la guerra col papa a proposito dei diritti su Castro. Egli ha saputo opportunamente metterli in relazione con i fatti storici, perchè s’ intendessero le allusioni. Ma poiché nel cod. v’hanno altresì poesie che si riferiscono all’assedio di Casale del 1640, anche di esse porge una breve notizia, rilevando che da certi indizi e raccostamenti, si potrebbe ritenere autore d’ alcuna di esse il ben noto Vittorio Siri. Produzione poetica curiosa la quale in complesso non ha che un valore storico, ma non manca di buone trovate spiritose, e qua e colà di qualche non disprezzabile atteggiamento artistico. Documenti inediti o poco noti della cittadella di Casale con la pianta della medesima pubblicati ed illustrati dal dott. Giuseppe Giorcelli. Alessandria, Piccone, 1907, in 8°, pp. 74» con 2 tav· I documenti sono in tutto undici, e opportunamente collegati e chiariti con la ben nota erudizione dal G. ci danno la storia compiuta della fortezza durata in piedi poco più d’un secolo. Il duca \ incenzo I Gonzaga chiamò a consulto i suoi consiglieri e fece la proposta di e-rigere la cittadella; ma come al suo divisamento aveva trovato tenace opposizione in sua moglie Eleonora de Medici, così nel consiglio sorse a combattere il progetto il vecchio e sperimentato ministro Tullio Petrozani, mentre lo difendeva vivamente il friulano Germanico Savorgnan, ingegnere reputato che aveva scaldato 1’ animo del duca a compiere l’impresa. Le ragioni messe innanzi dal Petrozani erano di indole specialmente economica; ma non valsero a rimuovere il duca, e la fortificazione venne innalzata. Per il servizio religioso della nuova cittadella fu giocoforza fabbricare nel suo ambito una chiesa, che \ enne dedicata a S. Giorgio, ed erigerla in parrocchia, dotandola secondo le prescrizioni del Concilio di Trento. Ma l’ingente spesa incontrata gravò, come era naturale, sul bilancio dello Stato, e restate vuote le casse si dovette ricorrere agli imprestiti « ad interesse oneroso presso parecchi banchieri, specialmente genovesi », i quali allargarono la borsa mediante la corresponsione delPinteresse oscillante fra il sette e mezzo ed il quattordici per cento. Tutto questo condusse alla imposizione d’una tassa che fu chiamata Tasso della Cittadella, la quale doveva gettare 30000 scudi d’oro; una parte doveva esser pagata dai proprietari, un’altra dai commercianti; tassa dunque di ricchezza mobile per la quale si compilarono i ruoli per categorie: qui abbiamo riprodotta quella dei mercanti ed artieri, dove si vede che risultarono possessori d’ un maggior reddito imponibile. prima i mercanti di seta o panno, poi i fondachieri e droghieri , quindi i formaggiari e retagliatori, mentre sono gli ultimi i « zavattini > e i tessitori. Fatti i debiti bisognava pagare, ed erano pur troppo sempre accesi nel 1626 quando — 461 — Vincenzo II cercò qualche modo di alleggerirli, a carico dei creditori, ma costoro che erano genovesi risposero con energia che il duca era « tenuto a soddisfare i suoi obblighi e a pagare ». Sembra però che nel decennio 1627-37 fosse ogni cosa liquidata. De’ governatori che furono posti al comando della cittadella vien ricordato nel 1622 il marchese Giulio Cesare Malaspina, discendente dal ramo di Mulazzo , e che nella divisione di questo appartenne ai feudatari di Madrignano : personaggio del quale tien lungo discorso il Branchi, ma pur notando altri uffici commessigli dal duca di Mantova, questo di Casale non ricorda. Dai documenti che a lui si riferiscono si rileva in qual guisa que’ governatori prendevano possesso; sì come da altro documento più tardo, di qual tenore fosse il giuramento eh’ essi prestavano. Nel 1681 la cittadella venne affidata a’ francesi, e primo la governò il ben noto Catinat; sei anni più tardi a lui fu sostituito il marchese di Cre-nan , il quale per odio contro il marchese Carlo Fassati, capitano di buona fama , che era allora governatore generale del Monferrato , inventò una congiura , un complotto formatosi a fine di cacciare i francesi , e sotto questa imputazione mise in prigione il Fassati e il suo segretario. Ma il vero movente di tutta la macchina fu una donna , e cioè la moglie stessa del Fassati, con la quale amoreggiava il Crenan; si capisce agevolmente che il marito gli era d’incomodo. Il processo mise in chiaro l’innocenza dei perseguitati. Si scoprì alla fine che la malafede di quel comandante della cittadella aveva architettato la brutta commedia; la storiella della congiura rimase però viva nelle istorie anche recenti di fonte francese , ed è un errore che dovrebbe scomparire. Ma i prigionieri non furono liberati che quattro anni più tardi, quando Γ 11 luglio 1695 Casale capitolò passando in potere di Vittorio Amedeo II generale degli alleati contro i francesi. Capitolazione che col suo primo articolo segnò la distruzione della cittadella, cosa desiderata dal duca, ma oppugnata dal principe Eugenio. Con la serie dei governatori e dei parrochi, e colle vicende dell’ ultimo di essi sorvissuto alla demolizione si chiude questa interessante pubblicazione illustrata da diie tavole, l’una che rappresenta la cittadella, l’altra che riproduce le medaglie commemorative della sua edificazione. Storia dell*Arte di G. Natali ed E. Vitelli , sec. ediz. interamente rifatta. Torino-Roma, Società tip.-edit. Nazionale, 1907, vol. 2.0 — Ë ormai ben noto di quanto si vantaggi quest’ opera a petto della prima edizione, che pur ottenne il favore degli studiosi e delle persone colte ; si tratta a dir più giusto non tanto di nuove cure, quanto più propriamente d’ un rifacimento degno di rilievo e di nota. In questo volume abbiamo la storia dell’ arte nel quattrocento e nel cinquecento, vogliamo dire del periodo più glorioso dell’arte italiana; e mentre la chiara, lucida e forbita esposizione pone bellamente dinanzi a’ nostri occhi le notizie degli artisti e delle loro opere meglio atte a farne conoscere il valore, le numerose figure, riproducono con acuto accorgimento i capolavori di Michelangelo, di Raffaello, di Leonardo, — 4Ô2 — del Tiziano e del Correggio. Opera infine che per ogni rispetto si raccomanda, e della quale aspettiamo con vivo desiderio il terzo volume. Memorie di Carlo Goldoni riprodotte integralmente dalla edizione originale francese con prefazione e note di Guido Mazzoni. Due volumi. Firenze, G. Barbera, editore, 1907; in 16, pp. xxn, 468, 501; con rit. — Corrono appunto cento e venti anni, da che u-scirono a Parigi i Memoires del Goldoni , ed ora, mentre si celebra nel corrente 1907 il centenario dalla nascita del poeta, escono nuovamente in luce per la prima volta , nella forma genuina in cui li scrisse e volle fossero sottoposti al giudizio del pubblico. Il che si può affermare senza tema d’errore, quando si pensi all’ informe riduzione stampata in Francia in una raccolta di memorie, e al testo arbitrariamente corretto dell’unico primo volume dato fuori nel 1883 a Venezia con le annotazioni di Ermanno von Loehner. Ci sono è vero le traduzioni italiane, ma anch’esse sono inquinate per difetto di fedeltà e non sopperiscono in tutto al bisogno e al desiderio degli studiosi, i quali sovente, per la rarità della edizione originale , si sono dovuti contentare di quelle versioni. Onde fu ottimo pensiero quello che indusse Guido Mazzoni e Piero Barbera , l’intelligente editore e il dotto ed accurato illustratore, a riprodurre P autobiografia Goldoniana, corredata d'un commento continuo che è sussidio e chiarimento diretto e laterale di tutto quanto in essa si legge. Il M. nella geniale prefazione determina il tempo in che il vecchio commediografo scrisse questo libro, e giustamente richiama a più anni innanzi l’intendimento primo di dettare le vicende della sua vita, in relazione con lo svolgimento della sua opera teatrale ; stannp là a provarlo le premesse autobiografiche eh’ egli andava man mano pubblicando ne volumi di quella edizione Pasquali, rimasta per mala sorte interrotta, e dove le notizie si arrestano sulla metà del 3743. Ma il concetto intenzionale di parlare di sè, ci sembra di vederlo anche nelle dediche e nelle avvertenze preposte alle commedie, dove spesso si riscontrano accenni ed aneddoti, i quali , come ben rileva il Μ. , dovettero poi servire a lui stesso per la narrazione dei Memoires. Certo non tutti quivi si ritrovano, o, se vi sono, non rispondono per esatta freschezza a quel primo dettatole perciò avvedutamente l’annotatore li ha richiamati dandone, ove occorre, anche il testo preciso. Delle cause di siffatte differenze e della turbata cronologia tocca appunto nella ricordata prefazione, e a noi sembra sia nel vero, sì come nell’indicare il procedimento da lui tenuto nella composizione generale dell’ opera. Deplora che non abbia mai avuto l’effetto la promessa delPUrbani di pubblicare quella giunta alle memorie eh’ei riteneva autografa ; ma non crede alla sua autenticità, e gli pare inverosimile che la mano di Nicoletta, secondo la congettura delTUrbani, scrivesse il giorno stesso la notizia della morte di suo marito; più inverosimile aggiungiamo che sbagliasse il mese. D’altra parte senza negare che possa esistere uno — 463 — scartafaccio dove si trovino registrate, chi sa mai in quale costrutto e con quale disposizione, notizie riguardanti gli ultimi anni del Goldoni a Parigi, ci sembra non sia propriamente da parlare d’un seguito alle memorie per deliberato proposito dell’autore, il quale ben palesa d’aver data con l’autobiografia un’ opera di cui aveva chiaramente determinati i confini, e l’intento supremo, quello di far conoscere ai contemporanei e ai posteri lo svolgimento e il frutto dell’ arte sua , affinchè si giudicasse con rettitudine del beneficio da lui arrecato con la meditata riforma al teatro. Or quando si propose di scrivere i Mémoires, aveva chiuso felicemente con il Bourru Bienfaisant la sua vita artistica. Il commento largo e nel medesimo tempo limitato a quanto era desiderabile ed opportuno, testimonia la cura amorosa e sollecita posta dal M. nello studio preparatorio della letteratura goldoniana diretta e indiretta, onde uomini, cose, avvenimenti, rilievi, giudizi , allusioni trovano luce e schiarimento nelle note , dove i richiami e le citazioni bibliografiche porgono agli studiosi un materiale ricchissimo atto ad appagare in ogni parte la loro curiosità. Non c’ è bisogno di aggiungere che questa note così piene e sicure, vincono d’assai quelle apposte ad una parte del testo dal Loehner, di sopra ricordato, sebbene non si debbano nè si possano disconoscere le benemerenze di lui, sì come rileva con equo giudizio il M. Il quale si ripromette di vedere nuovamente comparire i Mémoires nella edizione delle opere del Goldoni deliberata dal Municipio di Venezia , con « una illustrazione compiuta », della quale pur riconosce il « bisogno », per opera di Giuseppe Ortolani, a cui questa sua ottima fatica servirà di guida e di ainto validissimo; mentre noi punge il desiderio di vedere intanto il necessario compimento della presente pubblicazione, e cioè la Bibliografia goldoniana di Arnaldo della Torre. In fine, per quel tanto che ha tratto alle relazioni genovesi del poeta veneziano crediamo non inutile notare alcune inesattezze, le quali non sono davvero da ascriversi al M. A pag. 427 in nota accoglie 1’ ipotesi del Belgrano che il Goldoni, dopo il suo matrimonio, tornasse una prima volta a Genova « forse nel 1743 quando andò » colà da Pisa « per ripigliare la moglie e soddisfare all’ impegno preso coi parenti di lei di andare a vederli »; ma il testo a pag. 290 ci sembra escludeie questo viaggio : crediamo invece vi andasse nel 1739 quando, secondo afferma nella dedica della Gastalda, si trovò presente al battesimo di un Durazzo. Sospettò il Loehner che Domenico Bologna fosse « un agente segreto », e il M. (pag. 435) non lo ritiene come « un impiegato di Genova »; era invece segretario d’ambasciata a Vienna dove sostenne alcun tempo l’ufficio di ministro residente in mancanza del titolare; allorquando il Goldoni, che è assai esatto, ebbe ad occuparsi di lui, era veramente « spogliato d’ogni sorta di carattere » perchè richiamato, o meglio destituito. Il Bardi (pag. 436) non era un cancelliere, ma un canonico. Perchè il Goldoni abbia dato titolo di conte al Tuvo suo predecessore non sappiamo; certo a costui, che era di Levanto , — 464 — non lo concedono i documenti. Giustamente il M. rigetta l’ipotesi del Loehner (pag. 438) che la partenza del Goldoni da Venezia nel 1743 potesse essere determinata da un’ordine degli Inquisitori di Stato, in seguito agli arrolamenti del Raguseo ; basta riflettere che questa disgraziata faccenda in cui egli si trovò implicato in grazia del fratello, deve ascriversi all’anno innanzi e precisamente dal marzo al settembre, mentre rimase poi indisturbato in patria per ben nove mesi. SPIGOLATURE E NOTIZIE. *** In una pubblicazione nuziale a poco numero d’ esemplari troviamo il ragguaglio della dimora in Genova di Carlotta Aglae di Borbone, figlia di Filippo duca d’ Orleans , divenuta sposa a Francesco III d’ Este duca di Modena il 12 febbraio 1720. Passava da Genova per recarsi presso il marito. Il maestro di Cerimonie della Repubblica tenne nota distesamente di tutto quanto venne deliberato ed eseguito in questa circostanza, e non mancò di notare certi contrasti per ragioni di cerimoniale (Arch. di Stato in Genova, Cerimoniali, Reg. 6, c. 60 e segg.), ma nella presente relazione si notano parecchi curiosi particolari, che, per la loro natura, là non hanno luogo. È di testimonio oculare e quindi al tutto attendibile. L’informatore nota che fu in duomo « a vedere il prezioso catino » , ma « non cercò di venerare le ceneri sacre di S. Giambattista, anzi non genuflesse tampoco al Sacramento.... e pascendo solo le sue curiosità assai presto si partì ». Le si era apprestato il divertimento d’ un ballo in San Pier d’Arena nel palazzo di Giulio Imperiale dove all’uopo si ammirava « un giardino nuovamente composto, con maestria che figurava la luna nascente che in lontananza di detto palagio illuminava un prospetto di un bosco opposto alla casa : qnesto bosco era e doveva essere illuminato da trentamila lampade innestate negli alberi , nella sommità del quale da una gran fonte d’acque doveva nascere Γ accennata luna, con infinità di torcie e d’ altri fuochi per dilettare la vista di chi ballava o doveva ballare nella sala del palagio ». Ma tutto andò a monte per quistioni di cerimoniale, e quando pareva combinato che la principessa sarebbe andata in incognito , mise fuori la pretesa che dovevano ballare « anco i suoi paggi di livrea, allegandosi esser tutti cavalieri » cosa a cui non fu consentito. Ebbe, secondo era stile, regali di dolci, cere, cibarie ecc. dal governo genovese, e così il fratei suo che con lei viaggiava; essa pure donò: a Giacomo Filippo Du-razzo e ad Agostino Grimaldi un anello di diamanti, del valore, ciascuno, di quattrocento scudi romani ; « questi signori » , annota il relatore , 15 » 100 successive » 6 » 100 successive In questi prezzi si comprendono le spese della copertina colorata e della legatura, nonché di porto a domicilio degli Autori. Prezzo del presente fascicolo L. j