DELLA DI STORIA PATRIA G E N 0 V A TIP. PEL R. I. DE’ SORDO-MUTI MDCCCLX1V. ELENCO DEGLI UFFICIALI CHE RESSERO LA SOCIETÀ E LE SEZIONI DI ESSA NEGLI ANNI MDCCCLXll - MDCCCLXIV. ANNO MDCCCLXll UFFICIO DI PRESIDENZA PRESIDENTE Ricci Marchese Vincenzo, Ex-Ministro Segretario di Stato, Deputato al Parlamento Italiano, Membro della Giunta di Statistica, della Deputazione Provinciale e del Consiglio Municipale di Genova, Vice Presidente della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino. VICE PRESIDENTE Tola Nobile D. Pasquale, Consigliere dell’Eccellentissima Corte d’Appello di Genova, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria, Corrispondente della R. Accademia delle Scienze e della R. Società Agraria » ( V. ) di Torino, Socio onorario dell’Istituto Storico di Francia, della II. Società Agraria ed Economica di Cagliari, o dell’Assemblea di Storia Patria di Palermo, liliciale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. SEGRETARIO GENERALE Olivieri Agostino, Bibliotecario della li. Università di Genova, Dottore Collegiato per la Facoltà di Filosofia e Hello Lettere, Libero Insegnante di Paleografia e Diplomatica, Professore di Storia nella H. Scuola di Marina di Genova, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Sturia Patria di Tornio e della Società Numismatica di Bruxelles, Corrispondente delle 11. Deputazioni di Storia Patria per le Provincie Parmensi e delle llomagne, dell’Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Istituto Romano di Corrispondenza Archeologica, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. VICE SEGRETARIO GENERALE Bllgrano Luigi Tommaso, Applicato agli Archivi Governativi di Genova, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, Socio onorario dell’ Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Fano, e della Società Italiana d’Archeologia e Relie Arti di Milano, Corrispondente del-l’Accademia degli Euteleti di S. Miniato, e della Società di Storia e Antichità di Odessa, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e lazzaro. TESORIERE Allegretti Nicolò, Console Generale della Sublimo Porta, Commendatore dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, ecc. ecc. CONSIGLIERI Crocco Avvocato Antonio, Consigliere deir Eccellentissima Corto d’Appello di Genova, Ulliciale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Desimo.m Avvocato Cornelio, Segretario degli Archivi Governativi di Genova, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, ( VII ) Socio onorario della Società italiana d’Archeologia e Pelle Arti di Milano, Corrispondente dell’Accademia Romana dei Quiriti, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Staglieno Marchese Avvocato Marcello, Accademico Promotore e A ice Presidente dell’Accademia Ligustica, Membro della Società Promotrice di Relie Arti. Rebuffo Sacerdote Paolo, Professore emerito di Eloquenza Italiana nella Regia Università di Genova, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Merli Antonio, Accademico Promotore e Segretario dell’Accademia Ligustica di Relie Arti, Assessore Municipale all’Ullìcio dei Lavori Pubblici, Ufficiale dell’Ordine del Sole e del Leene di Persia, Cavaliere di quello dei SS. Maurizio e Lazzaro. Ansaldo Avvocato Francesco, Sotto-Prefetto di Lagonegro. UFFICIALI DELLE SEZIONI SEZIONE DI STORIA PRESIDE Desimoni Cavaliere Cornelio, predetto. VICE PRESIDE Olivieri Cavaliere Agostino, predetto. SEGRETARIO Isola Avvocalo Ippolito Gaetano, Dottore Collegiato per la Facoltà di Filosofia c Belle Lettere nella R. Università di Genova. VICE SEGRETARIO Gì arco Domenico Maria, Segretario dell’Amministrazione della Cassa di risparmio e beneficenza per la Marina Mercantile in Genova. SEZIONE D’ARCHEOLOGIA PRESIDE Sanguineti Angelo, Canonico della Basilica dei SS. Fabiano c Sebastiano c S. Maria Assunta in Carignano, Dottore Collegiato in Filosofia e Hello Lettere e Professore di Letteratura greca c latina nella R. Università di Genova, Socio corrispondente della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria e della R. Accademia delle Scienze di Torino. vice preside D Oria Marchese Jacopo, Vice Bibliotecario della Civico-Beriaua di Genova, Socio onorario dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, della Società Italiana d Archeologia e Belle Arti di Milano, e dell’Assemblea di Storia Patria di Palermo, Corrispondente della Società Letteraria di Lione, e del-1’ Accademia Dafnica d’Aci Reale. SEGRETARIO Belgrano Cavaliere Luigi Tommaso, predetto. vice segretario G am 13 aro Giuseppe, Archivista del Municipio di Genova, Segretario della Commissione Municipale per la conservazione dei monumenti patrii. ( 'X ) SEZIONE DI BELLE Alt ri PRESIDE Isola Giuseppe, Pittore onorario di S. M. il Re d’Italia, Professore Direttore della Scuola di Pittura, ed Accademico di Merito della Glasse di Pittura nell’Accademia Ligustica di Belle Arti, ed in quella di Perugia, Professore con voto in quella di Bologna, Socio onorario dell’Associazione Nazionale Italiana degli Scienziati Letterati ed Artisti di Napoli, Membro della Società Promotrice di Belle Arti di Genova , Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. vice preside Varni Santo, Scultore onorario di S. M. il Re d’Italia, Professore Direttore della Scuola di Scultura ed Accademico di Merito della Classe di Scultura nell’ Accademia Ligustica di Belle Arti, ed in quella di Perugia, Professore di prima classo nella R. Accademia di Belle .Arti di Firenze, Professore con voto in quella di Bologna, Professore onorario nel R. Istituto di Belle Arti di Napoli, Membro onorario dell’Associazione Nazionale Italiana degli Scienziati, Letterati ed Artisti nella Città medesima, della R. Accademia di Belle Arti di Modena, delle Società Economiche di Chiavari e di Savona, e della Società Olimpica di Scienze, Lettere ed Arti di Vicenza, Corrispondente della Pontificia Accademia Tiberina, e di quella dei Quiriti di Roma, Commendatore dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. SEGRETARIO Staglieno Marchese Marcello, predetto. VICE SEGRETARIO Dufour Avvocato Maurizio, Pittore Dilettante, Accademico Promotore dell'Accademia Ligustica, Membro della Società Promotrice di Belle Arti di Genova. 0> «■■Il ' * % w . . • UFFICIO DI PRESIDENZA PRESIDENTE Tola Nobile D. Pasquale, predetto. VICE presidente Desimoni Cavaliere Cornelio, predetto. SEGRETARIO GENERALE Olivieri Cavaliere Agostino, predetto. VICE SEGRETARIO GENERALE Delgrano Cavaliere Luigi Tommaso, predetto. TESORIERE Allegretti Commendatore Nicolò, predetto. CONSIGLIERI Stagliene Marchese Marcello, predetto. Rebuffo Sacerdote Paolo, predetto. ( XI ) Merli Cavaliere Antonio, predetto. D’Uria Marchese Jacopo, predetto. Spinola Marchese Massimiliano q. Massimiliano. Luxoro Professore Tamar, Pittore Paesista, Accademico di Merito della Classe di Pittura nell’ Accademia Ligustica, Membro della Società 1 romo-trice di Belle Arti. UFFICIALI DELLE.SE7.1ONI SEZIONE DI STORIA PRESIDE Nota Barone Carlo, Consigliere dell’Eccellentissima Corte d Appello di Genova, Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. VICE PRESIDE Vigna Padre Amedeo Raimondo dell’Ordine dei Predicatori, Socio corrispondente dell’ Ateneo di Milano. * > ' • SEGRETARIO Da Fieno Sacerdote Giacomo, Socio corrispondente della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino. vice segretario Guarco Domenico Maria, predetto. ( X» ) SEZIONE D’ARCHEOLOGIA PRESIDE Grassi Jacopo Luigi, Canonico della Collegiata di Nostra Signora del Ili-medio, Bibliotecario emerito della R. Università di Genova, Dottoro Collegiato per la Facoltà di Filosofìa e Belle Lettere nella medesima. VICE PRESIDE Negrotto-Cambi aso Marchese Avvocato Lazzaro, Membro della Società Economica di Chiavari, e della Società Promotrice di Belle Arti di Genova. segretario Belgrado Cavaliere Luigi Tommaso, predetto. VICE SEGRETARIO Gambaro Giuseppe, predetto. SEZIONE DI BELLE ARTI PRESIDE Alizeri Avvocato Federigo, Professore di Lettere italiane nel Begio Liceo, Dottore Collegiato per la Facoltà di Filosofia e Helle Lettere nella R. Università di Genova, Accademico di merito nell’Accademia Ligustica di Delle Arti, Socio corrispondente dell’Accademia Romana dei Quiriti, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. « ( XIII ) VICE PRESIDE liiALE Carlo, Architetto Ingegnere. SEGRETARIO Stagliano Marchese Marcello, predetto. VIGE SEGRETARIO Dufour Avvocato Maurizio, predetto. ANNO MDCCCLXIV UFFICIO DI PRESIDENZA PRESIDENTE Tola Nobile I). Pasquale, predetto. VICE PRESIDENTE Desi.mom Cavaliere Cornelio, predetto. SEGRETARIO GENERALE Belgrano Cavaliere Luigi Tommaso, predetto. A VICE SEGRETARIO GENERALE Li'xoro Professore Tamar , predetto. TESORIERE Staglieno Marchese Marcello, predetto. CONSIGLIERI Merli Cavaliere Antonio, predetto. D’Oria Marchese Jacopo, predetto. Spinola Marchese Massimiliano, predetto. Carrega Marchese Antonio Benedetto. Sanguineti Canonico Angiolo , predetto. Gilardini Avvocato Francesco, Consigliere presso la Prefettura di (icnova Corrispondente della Società Economica di Chiavari. UFFICIALI DELLE SEZIONI SEZIONE DI STORIA presidi-: Nota Barone Carlo, predetto. VICE PRESIDE Vigna Padre Raimondo Amedeo, predetto. 1 111 ....... ( XV ) *• SEGRETARIO Da Fieno Sacerdote Giacomo, predetto. VICE SEGRETARIO Cosso Notaro Francesco. SEZIONE D' ARCHEOLOGIA • . PRESIDI-: Grassi Canonico Luigi Jacopo, predetto. VICE PRESIDE Negrotto -Cambiaso Marchese Lazzaro } predetto. segretario IJelgrano Cavaliere Luigi Tommaso, predetto. vice segretario Gambaro Giuseppe , predetto. SEZIONE DI BELLE ARTI PRESIDE Alizeri Cavaliere Federigo, predetto. ta ( XVI ) VICE PRESIDE üiale Ingegnere Carlo, predetto. SEGRETARIO Staglieno Marchose Marcello, predetto. VICE SEGRETARIO J* Du four Avvocato Maurizio predetto. -* SOCII EFFETTIVI Adorno Marchese Agostino, Consigliere Municipale di Genova. Adriani Padre D. Gio. Batta , dei Chierici Regolari Somaschi, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, della R. Accademia di Filosofia e Belle Lettere di Fossano, della Società Accademica del Ducalo d’Aosta, deH’Accademia Imperiale di Dijon, Socio d’ onore dell’lsti-tulo Nazionale di Ginevra, della Società Istorica della Moravia e della Silesia, delle Economiche di Chiavari e di Savona, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Torino e della Imperiale di Savoia, della R. Accademia Lucchese, delle Imperiali Accademie di Scienze, Lettere ed Arti di Marsiglia, e di Aix in Provenza , della Società Archeologica di Montpellier , e di quella di Storia e Archeologia di Savoia, della R. Accademia di Storia di Madrid, dell’Istituto Storico di Francia, Cavaliere dell’Ordine di Leopoldo del Belgio, Uftiziale di quello dei SS. Maurizio e Lazzaro, Commendatore dell’Ordine di S. Giacomo della Spada di Portogallo, fregiato della Grande Medaglia d’ Oro di Sardegna, e di quella di Sassonia pel merito storico-diplomatico, e dell’ Imperiale di Russia pel merito scientifico-letterario (Torino). Ala-Ponzoni Marchese Filippo, Accademico Promotore dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, Membro della Società Economica di Chiavari, e della Società Promotrice di Belle Arti di Genova, Commendatore dell’ Ordine dei SS. Maurizio c Lazzaro. Alberti Sacerdote Francesco, Professore di Grammatica noi Ginnasio Civico * di Genova. Alizeri Cavaliere Federigo, predetto. Ardoino Casi miro , Capo Sezione nell’ l’ilicio di Ragioneria del Municipio di Genova. Avignone Avvocato Gaetano. Rancherò Gio. Batta, Pittore. Barrili Avvocato Antonio Giulio > Direttore del Giornale 11 Movimento, Membro della Società Promotrice di Belle Arti di Genova. Belgrano Cavaliere Luigi Tommaso , predetto. Bellazzi Avvocato Federigo, Deputato al Parlamento Nazionale, Membro della Società Promotrice di Belle Arti di Genova. Biale Ingegnere Carlo , predetto. Bigliati Avvocato Paolo. Bixio Avvocato Enrico, Accademico Promotore e Vice Segretario dell’ Accademia Ligustica di Belle Arti. Bo Dottore Angelo, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia, Professore di Patologia generale ed Igiene nella R. Università di Genova, Direttore Generale delPAmministrazione di Sanità Marittima del Regno d’Italia, Membro della Giunta Provinciale di Statistica, ecc. ecc., Commendatore degli Ordini dei SS. Maurizio e Lazzaro, della Légion d’Onore di Francia, e di S. Anna di Russia di prima Classe. Borromeo Conte Giberto , Accademico di merito della Classe di Pittura nel-1 Accademia Ligustica di Belle Arti, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Bottaro Sacerdote Luigi, Dottore Collegiato in Filosofia, e Professore di # D / Logica ed Antropologia nella R. Università di Genova. Bruzzo Avvocato Giuseppe, Referendario presso il Consiglio di Stato, Commendatore dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Buzzi Teologo Avvocato Girolamo. Cabella Avvocato Cesare , Dottore Collegiato per la Falcoltà di Giurisprudenza e Professore di Diritto Civile nella R. Università di Genova, Membro della Società Economica di Chiavari, e della Società Promotrice di Belle Arti , Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Cambiaso Marchese Avvocato Michelangelo. Canale Gio. Batta, Canonico della Metropolitana di Genova. Carrega Marchese Antonio Benedetto, predetto. Cataldi Avvocato Giuseppe, Senatore del Regno, Consigliere Municipale di ( XIX ) Genova, Accademico Promotore dell’ Accademia Ligustica di Belle Arti, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Cattaneo Sacerdote Filippo, Bibliotecario della Congregazione dei Missio-narii Urbani, Cerimoniere di S. E. R. Mons. Arcivescovo di Genova. Caveri Avvocato Antonio , Senatore del Regno, Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Professore di Introduzione generale alle scienze giuridiche politico-amministrative, e Storia del Diritto nella R. Università di Genova , Membro della Società Economica di Chiavari, della Società Promotrice di Belle Arti e della Giunta di Statistica, Consigliere Provinciale e Municipale, Commendatore dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Cepollina Avvocato Marcello, Intendente, Direttore degli Archivi Governativi di Genova, Cons. Prov., Cav. delPOrdine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Cevasco Gio. Batta , Statuario, Accademico di merito della Classe di Scultura nell’ Accademia Ligustica ed in quella di Perugia , Membro della Società Promotrice di Belle Arti di Genova, Professore corrispondente della R. Accademia Fiorentina di Belle Arti, Socio d’onore della R.- Accademia Centrale dell’ Emilia in Bologna, Accademico di quella Toscana d’ arti e manifatture (Classe degli Scienziati) in Firenze, Socio d’onore dell’Accademia degli Intrepidi di Cori, Socio corrispondente della Romana Accademia dei Quiriti (Sezione di Belle Arti), Ufliziale dell' Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. CniossoNE Edoardo , Incisore , Socio della R. Accademia di Belle Arti di Milano, Accademico di merito della Classe di Pittura nella Ligustica, Membro della Società Promotrice di Belle Arti in Genova. Costa Marchese Avvocalo Giovanni. Crocco Avvocato Antonio , predetto. D’Aste Professore Ippolito, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Da Fieno Sacerdote Giacomo, predetto. Da-Passano Gerolamo , Ispettore delle Scuole Civiche Elementari Maschili di Genova , Direttore della Scuola Magistrale Maschile e Professore di Pedagogia e Geografia nella stessa, Socio onorario della Società Pedaçosica Italiana in Milano, Socio corrisponderne della R. Accademia delle Scienze e Lettere di Palermo, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio Lazzaro. Da-Passano Marchese Manfredo. Debarrieri Antonio, Statuario. De Negri Paolo Girolamo, Arciprete di Gavi e Vicario Foraneo , Cappel-pellano segreto d’onore pontificio nominato da Papa Gregorio XVI, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. ( XX ) Desimoni Cavaliere Cornelio , predetto. Desimoni Giovanni , Capo deli’lllicio dei Lavori Pubblici (Sezione Amministrativa) presso il Municipio di Genova. Diaz Angelo, Architetto Ingegnere. Pondero Avvocalo Giuseppe Antonio. D’Oria Marchese Jacopo, predetto. Di foir Avvocato Maurizio, predetto. Dirazzo Marchese Marcello q.m Gian Luca. Durazzo-Grimaldi Marchese Luigi , Membro della Società Promotrice di Belle Arti di Genova. Elena Domenico, Senatore del Regno, Prefetto di Cagliari, Accademico Promotore dell’ Accademia Ligustica di Belle Arti, Grande Ufficiale del- 1 Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. l’Azio Avvocalo Giovanni Bartolomeo. Ferrari Avvocalo Carlo, Consigliere onorario di Prefettura. Terrari Giuseppe, Pittore, Maestro di disegno nel R. Isiiiuio dei Sordo-Muii in Genova, Accademico di Merito della Classe di Pittura nell’Accademia Ligustica, Membro della Società Promotrice di Belle Arti. Franchini Luigi, Membro della Società Promotrice predetta. Gallino Domenico, Slamano. Gambaro Giuseppe, predetto. Gando Sacerdote Giuseppe, Membro del Consiglio Provinciale sopra le Scuole, A ice Direttore del R. Ginnasio di Genova, Cav. dei SS. Maurizio e Lazzaro. Garas>ini Edoardo, Architetto Ingegnere, Professore di Disegno Industriale nelle Scuole Tecniche e Nautiche di Genova. Gardella Ignazio , Architetto Ingegnere, Accademico di Merito della Classe di Architettura ed Ornato nell’Accademia Ligustica di Belle Arti, Professore onorario in quella di Firenze, Corrispondente dell’ Istituto Beale Britannico, Presidente della Società degli Architetti in Genova, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Garelli Professore \incenzo, Regio Provveditore agli Studi per la Provincia di Genova, Dottore aggregato alla Facoltà di Filosofia e Belle Lettere nella R. I mversilà di Torino, Ufliziale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Garibaldi Nobile Giuseppe. Garibaldi Nobile Girolamo Gavotti Marchese Girolamo, Consigliere Municipale, Membro della Società I romotrice di Belle Arti, Commendatore degli Ordini dei SS. Maurizio e Lazzaro, e della Concezione di Portogallo. ( XXI ) Cazzino Giuseppe, Segretario del R. Ispettore per gli stadi primarii, Professore di Storia Nazionale nella Scuola Magistrale Maschile in Genova , Socio della Pontificia Accademia Tiberina, di quella dei Quiriti e dell’Arcadia di Roma, dell’ Accademia dei Risorgenti di Osimo, della Società Economica di Cliiavari, e dell’ Assemblea di Storia Patria di Palermo. Gilahdini Avvocato Francesco , predetto. Giriodi Padre Paolo Ferdinando , Professore di Rettorica nel Ginnasio di Chiavari. Giuliani Sacerdote Nicolò, Assistente alla Biblioteca della R. Università di Genova. Grassi Canonico Jacopo Luigi , predetto. Gropallo Marchese Marcello. Guarco Domenico Maria , predetto. Guerrazzi Dottore Francesco Domenico, Deputato al Parlamento Italiano, Socio onorario dell’Assemblea di Storia Patria di Palermo, e di varie Accademie. Invrea Marchese Avvocato David. Isola Cavaliere Giuseppe, predetto. Isola Avvocato Gaetano Ippolito , predetto. Lessona Dottore Michele, Professore di Zoologia, Anatomia comparata, Mineralogia e Geologia nella R. Università di Genova, Direttore del Gabinetto di Storia Naturale nella medesima, ecc., Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Liìxoro Professore Tamar, predetto. Marcenaro Sacerdote Nicolò, Bibliotecario della Franzoniana in Genova. Marchese Padre Lettore Vincenzo Fortunato, Domenicano, Professóre onorario della R. Università di Siena, Dottore Collegiato per la Facoltà di Filosofia e Belle Lettere in quella di Genova, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, della Romana Accademia dei Quiriti, della Fiorentina Colombaria e di*quella di Belle Arti, della Valdarnese del Poggio in Montevarchi , della Valle Tiberina in Borgo San Sepolcro, dei Filomati di Lucca, deli’Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti •di Bassano e dell’ Accademia Ligustica di Belle Arti in Genova, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Mari Marchese Marcello. Melzi Duca Lodovico. Merello Giuseppe, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Merli Cavaliere Antonio, predetto. ( XXII ) Molinari Sacerdote Domenico , Membro della Società Economica di Chiavari, e della Promotrice delle Belle Arti di Geuova, Cav. Mauriziano. Molinari Giuseppe, Statuario. Montecucco Francesco, Pittore. Nebbia Piofessore Giuseppe, Dottore Collegiato per la Facoltà di Filosofia e Belle Lettere nella R. Università di Genova, Preside del R. Liceo, Membro del Consiglio Provinciale sopra le Scuole. Negrotto-Cambiaso Marchese Gio. Batta, Membro della Società Economica di Chiavari, Accademico Promotore dell’Accademia Ligustica e Yice-Segretario della Società Promotrice di Belle Arti. Xegrotto-Lambiaso Marchese Avvocato Lazzaro , predetto. Negrotto-Cambiaso Marchese Giuseppe , Membro della Società Promotrice di Belle Arti. Nota Barone Carlo, predetto. Olivieri Cavaliere Agostino, predeUo. Olivieri Canonico Professore Giuseppe, Bibliotecario Capo della Civico-Be-riana di Genova. Palla\icino-Grimaldi Marchese Avvocato Camillo, Membro della Società Economica di Chiavari. Pallavicino Marchese Stefano Ludovico, Consigliere Municipale di Ge-no'sa, Accademico Promotore dell’Accademia Ligustica, Membro della Società Promotrice di Belle Arti. Pareto Marchese Lorenzo , Ex-Ministro Segretario di Stato, Senatore del Regno, Membro della Deputazione Provinciale e del Consiglio Municipale di Genova, del Consiglio Provinciale sopra le Scuole, Dottore Collegiato per la Cla^st di Scienze fisiche nella R. Università di Genova , Accademico Promotore dell’ Accademia Ligustica di Belle Arti, Uno dei Qua- * ranta della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della Società Economica di Chiavari, ecc. arodi Adolfo, Ispettore del Genio Civile pei lavori marittimi, Dottore Collegiato per la Classe di Scienze Fisiche nella R. Università di Genova , Commendatore dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Passano Giovanni Battista. Peirano Avvocato Enrico Lorenzo. Pescio Sacerdote Benedetto. Pescetto Gio. Batta , Medico principale nello Spedale di Pantalone, Socio r'Zr ,Membro dcl,a Società Promotrice di «elle Arti, llliciale dell Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. ( XXIII ) Pinelli Giovanni Linci, Applicalo agli Archivi Governativi di Genova. Pitto Antonio. Podestà’ Francesco, Pittore Dilettante, Membro della Società Promotrice delle Delle Arti di Genova. Pozzoni Avvocato Cesare, Pratolongo Raffaele , Tesoriere della Società Promotrice delle Belle Arti in Genova. Prefumo Giovanni Battista, Regio Controllore. Rebuffo Sacerdote Paolo predetto. Resasco Gio. Batta , Architetto Ingegnere, Accademico di Merito della Classe di Architettura ed Ornato, e Professore di Architettura nell’ Accademia Ligustica di Belle Arti, Cupo dell’Ufficio di Edilità e Lavori pubblici (Sezione Tecnica) presso il Municipio di Genova, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Ricci Marchese Vincenzo, predetto. Rosso Dottore Giuseppe, Professore e Dottore Emerito della R. Università di Sassari, Dottore aggregato alla Facoltà di Medicina e Chirurgia in quella di Torino, Professore di Medicina Operatoria in quella di Genova, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Ribatto Carlo, Statuario, Accademico di Merito della Classe di Scultura nell’ Accademia Ligustica di Belle Arti. Salvago Marchese Avvocato Paris Maria, Accademico Promotore dell’Accademia suddetta, Membro della Società Promotrice delle Belle Arti. Sanguinati Canonico Angiolo, predetto. Sanguinati Professore Sacerdote Tommaso. Scaniglia Abate Giuseppe , Vice Bibliotecario della Civico-Berianà, Professore di Storia e Geografia nella Scuola Normale Femminile di Genova. Serra Marchese Giovanni , Accademico Promotore dell’ Accademia Ligustica di Belle Arti. Spinola Marchese Gio. Batta, Pittore Dilettante, Accademico Promotore come sopra. Spinola Marchese Massimiliano , predetto. Staglieno Marchese Marcello, predetto. Tola Nobile D. Pasquale, predetto. Tortello Agostino, Capitano Marittimo, Cavaliere dell’Ordine de’SS. Maurizio e Lazzaro. Trompeo Dottore Benedetto, Membro della R. Accademia di Medicina di Torino, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della ( XXiV ) Società Economica di Chiavari, ecc. ecc., l’Qìciale di più Ordini, e Coni* meudatore di quello dei SS. Maurilio e Lazzaro. Tubino Sacerdote Emanuele, Dottore Collegiato in Teologia nella R. Università di Genova. Yarm Commendatole Santo, predetto. Vigna Padre Raimondo Amedeo, predetto. Villa Giovanni Battista , Pittore. Wolf Alessandro. SOCII ONORAMI S. A. R. il Principe ODONE EUGENIO MARIA di Savoia, Duca di Monferrato, Presidente Onorario della Società Promotrice di Belle Arti di Napoli, Socio Onorario dell’ Accademia Ligustica (Genova). Amari Professore Michele, Ex-Ministro Segretario di Stato, Senatore del Regno, Consigliere straordinario del Consiglio superiore di Pubblica Istruzione, Professore emerito della R. Università di Palermo, Professore di Lingua e Letteratura araba nel R. Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio non residente della R. Accademia delle Scienze di Torino, Socio corrispondente dell’Istituto Storico di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), ecc. ecc., Cavaliere deli’Ordine del Merito Civile di Savoia, Grande Ufficiale di quello dei SS. Maurizio e Lazzaro (Firenze). Bonaini Francesco, Sovrintendente Generale dei Regii Archivi nelle Provincie Toscane, Professore emerito delle Regie Università di Pisa e di Siena, Accademico residente della Crusca, Conservatore della R. Accademia dei Gcorgofili, Vice-Presidente perpetuo dell’Ateneo Italiano di Firenze, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Torino, dell’Accademia Romana d’ Archeologia e dell’ Istituto Archeologico, Vice Presidente della Regia Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per la Toscana, Socio di quella di Torino, Deputato Onorario della R. Accademia di Bello Arti di Pisa, Commendatore dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, Ufficialo della Légion d’onore di Francia, e Cavaliere di quelli del Me- ( XXVI ) rito sotto il titolo di S. Giuseppe, dell* Aquila Rossa di Prussia, e del-1’ Ordine Sassone di Alberto l’Animoso (Firenze). Cantu’ Cesare, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Pallia di Torino, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, ecc., Cavaliere degli Ordini del Merito Civile di Savoia e della Légion d'0-nore di Francia, ecc., Commendatore del R. Ordine del Cristo di Portogallo (Milano). Capponi Marchese Cavaliere Gino, Senatore del Regno, Presidente della U. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria por la Toscana e della Società Colombaria di Firenze, Arciconsolo dell’Accademia della Crusca, ecc. ecc. (Firenze). Castelli Avvocalo Michelangelo, Senatore del Regno, Direttore Generale ’ degli Archivi , Membro della Regia Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino , Corrispondente della Società Lombarda di Economia Politica, ecc., Commendatore deirOrdine di Leopoldo del Belgio, Grande UUìziale di quello dei SS. Maurizio e Lazzaro (Torino). Charvaz Monsignore D. Andrea , Arcivescovo di Genova, Membro della Regia Accademia delle Scienze e della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, dell’Accademia Imperiale di Savoia, dell’Accademia Romana dei Quiriti e della Società Economica di Chiavari, Cavaliere dell’ Ordine Supremo della SS. Annunziata , Cavaliere di Gran Croco, decorato del Gran Cordone dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Genova). Cibrario Ecc. Conte D. Luigi, Ministro di Stato, Senatoro del Regno, Primo Presidente, Primo Segretario di S. M. pel Gran Magistero dell’ Ordine Mauriziano, Vice-Presidente della Regia Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria e della Regia Accademia delle Scienze di Torino, Socio corrispondente dell'istituto di Francia, dell’Accademia Imperiale di Savoia, delle Società d’Economia Politica di Milano, di Parigi e di Madrid, dell’Accademia Imperiale degli Antiquarii di Francia, dell’Accademia Archeologica Spagnuola, dell’Accademia dei GeorgoGli di Firenze , dell* Istituto Nazionalo, della Società Archeologica di Ginevra, delle Società di Storia della Svizzera Romanda e di Rema, degli A-tenei di Brescia e di Venezia, Presidente Onorario della Società dei Sauveteurs di Francia, ecc., Cavaliere di Gran Croce, decorato del Gran Cordone dei SS. Maurizio e Lazzaro, Cavaliere e Consigliere dell* Ordine del Merito Civile di Savoia , Cavaliere di Gran Cordone degli Ordini di Carlo III di Spagna, della Concezione di Portogallo, di Leopoldo del Belgio, ( XXVII ) del Mediidié Ottomano e del Leone Neerlundese, Grand’ Ufliciale dell’Or-dine Imperiale della Légion d’ Onore di Francia , Commendatore dell Ordine di Wasa e dell*Ordine di Cristo del Portogallo, Cavaliere di croce in oro del Salvatore di Grecia, Cavaliere dell’ Ordine Piano, dell’Aquila Rossa di Prussia di terza classe, di S. Stanislao di Russia di seconda classe, del Merito sotto il titolo di S. Giuseppe, ecc. (Torino). De Visiani Roberto, Membro elìettivo dell’ I. R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Presidente dell’ I. R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Professore insegnante di Botanica e Direttore dell’Orto dei Semplici nella stessa Città, Socio di varie Accademie italiane e straniere. Lambruscuini Abate Raffaello , Senatore, del Regno, Ispettore Generale degli Studi tecnici e primarii e delle Scuole Normali, Commendatore del-l’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Firenze). JLong-Perier (de) Adriano , Membro dell’ Istituto Storico di Francia e di parecchie Accademie, Conservatore del Museo del Louvre, Cavaliere di più Ordini, ecc. (Parigi). Manzoni Nobile Alessandro, Senatore del Regno, Professore onorario della R. Università di Napoli, Presidente onorario del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio onorario della R. Accademia di Belle Arti di Milano, Membro della R. Accademia delle Scienze di Torino, di quella della Crusca, ecc. (Milano). Morro Avvocato Giuseppe , Professore di Procedura Civile e Penale, e Dottore Collegiato in Belle Lettere nella R. Università di Genova, Assessore Municipale per l’istruzione Pubblica, ecc., Ufliciale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, e Cavaliere di quelli di S. Anna di Russia e della Légion d’ Onore di Francia (Genova). Pertz Enrico , Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino, ecc. (Berlino). Peyron Teologo Amedeo , Professore emerito di Lingue Orientali, Membro e Tesoriere della R. Accademia delle Scienze, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, Socio straniero dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Accademico corrispondente della Crusca, Qavaliere di Gran Croce decorato del Gran Cordone dei SS. Maurizio e Lazzaro, Cavaliere e Consigliere dell’Ordine del Meritu Civile di Savoia, Cavaliere della Légion d'Onore di Francia (Torino). Pinelli Ecc. Conte Alessandro, Senatore del Regno, Primo Presidente deir Eccellentissima Corte d’Appello di Genova, Grande Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Genova). ( XXVIII ) D d’Applicazione fiegl° 1A,;,,e0,0g0 ’ i>rofessore d’Architettipa nella Scuola Membro Ml h n°°”nen; ispettore dei monumenti d’antichità, gli Stadi di 9/ • CDCademÌa del,e Scienze e della R. Deputazione sovra Ai ti di Tori» . a ' Accademico d’onore della R. Accademia di Belle e Lettere rir °C'Ü ,COrnsPondeme M B- Istituto Lombardo di Scienze PnoMis Domenico CTs ^ * ®rdm® del SS. Maurizio e Lazzaro (Torino). MedaoHe ,i; o », I*0’ ®*Motecario e Conservatore del Gabinetto delle S UI O. ili. il Pa J> r. j* , Scienze e dell» R a > Membro della R. Accademia delle Commendatore dell* S°m gH Studi di Storia Patria di Torino' Sauli D-r™ ° dme dei SS: Maurizio e Lazzaro (Torino). Consiglio del Co UD0VIC0;’ Senatore del Regno, Vice Presidente del Direttore della ^ eDZI0^° ^'P^matico, Consigliere di Legazione, Membro e Accademia delle Srii ' St°r‘Che 6 Filolo®iche de,,a R' di Storia Patria d' T ^ & li)r° de,,a deputazione sovra gli Stadi felle Arti Gr^l lT°: AeCademico d’onore della R. Accademia di valiere e Conci p6 ^Clc^e ^,ne dei SS. Maurizio e Lazzaro, Ca- Sclopis di Su*nglereJl qUe,1° del Merit0 Civi,e di Savoia tQre del Rerrn0 p • °Cp ^°me ^ ^ED£R,G0> Ministro di Stato, Sena- Diplomatico S dp II r^0 .r6S,(jeDte’ Presidente del Consiglio del Contenzioso tazione sovra o-jj cf °^ln^SSJOne di Statistica Giudiziaria e della R. Depura delle Scienze (ï T •* ^t0r,*a ^alria; Vice-Presidente della R: Accadendoli (Act odemi V 0rm°' ^°C*° nOÙ residente de,,a Società Reale di erpo,itic!m)'Socio corris7deute ed Arti, e della S ’ ' Istituto Veneto di Scienze, Lettere dell’ Accademia I L°ml)arda Economia Politica, Membro aggregato corato del Gran e dl Savoia, ecc., Cavaliere di Gran Croce, decere e Consipie r^°n6 ^ ^rdine ^ SS. Maurizio e Lazzaro, Cava- Gran Croce decorato ^ Ment° CÌVÌ,e di Savoia ' Gavaliere d| Portogallo Cavar ^ ^ordone deI1’ àrdine della Concezione di quello del Merito16^ °i ^rdme de,,a LeSion d’Onore di Francia, e di gli Archivi Serali a . • legazione defl’Oratorio, Prefetto de-Toiiell, Luigi se aD°’ ecc- (**0- *£■ï Archeologia, Letteraturre^ellT ArtifiV® Ï ^ ^ * SCieD“' Napoli > ecc. (Montecassino). ( XXIX ) SOCII CORRISPONDENTI Angelini Annidale, Pittore Storico, Professore nell’ Accademia Romana di S. Luca, Socio di quella dei Quiriti, Accademico di merito della Classe di Pittura nella Ligustica, Pittore onorario di S. M. il Re d’Italia, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Roma). Aquarone Bartolomeo, Professore di Diritto Costituzionale e Filosofìa della Storia nella R. Università diSiena, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Siena). Arrivabene Conte Giovanni, Senatore del Regno, Presidente della Società Italiana di Economia Politica, ecc., Grande Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Torino). Barberis Giovanni Domenico, Canonico Prefetto dell’Archivio Capitolare del Duomo di Vercelli, Socio corrispondente della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, Cavaliere dell’-Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Vercelli). Barbieri Luigi, Vice Segretario della R. Biblioteca di Parma, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Provincie Parmensi (Parma). Baldi di Vesme Cavaliere Carlo , Senatore del Regno, Segretario della R. Deputazione sovra gli Sfidi di Storia Patria di Torino, Membro della R. Accademia delle Scienze e della Commissione Provinciale di Statistica, Cavaliere degli Ordini dei SS. Maurizio e Lazzaro e del Merito Civile di Savoia (Torino). ( XXX ) Bernardi Monsignor Jacopo, Vicario Generale della Diocesi di Pmerolo, Professore di Filosofia noi Liceo e Vice-Preside nel Convitto della Città medesima, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, Uffiziale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Pinerolo). Berti Professore Domenico, Deputato al Parlamento Italiano, Commendatore dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Torino). Bollati Emanuele, Dottore d’ambe leggi, Capo d’ ufficio nel Ministero dell’interno, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, Corrispondente della Società Lombarda di Economia Politica, Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Torino). Bonora Antonio , Archivista del Municipio di Piacenza (Piacenza). Calvi Nobile Girolamo Luigi, Direttore della Società Italiana di Archeologia e Belle Arti di Milano, ecc. (Milano). Capurro Sacerdote Giovanni Francesco , Direttore Spirituale della Scuola .Tecnica di Novi (Novi Ligure). Carbone Giunio, Assistente pei Manoscritti alla Biblioteca Nazionale di Firenze (Firenze). Cicogna Emanuele Antonio, Consigliere straordinario Accademico, Membro effettivo dell’ I. R. Accademia delle Sciènze di Vienna e dell’ I. R. Istituto A eneto di Scienze, Lettere ed Arti, ecc., Cavaliere delI’Ordine della Légion d’ Onore di Francia (Venezia). Claretta Barone Gaudenzio, Dottore di Legge, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, Corrispondente della Società Economica di Chiavari (Torino). Combetti Avvocato Celestino, Direttore dei Regii Archivi di Torino, Primo Paleografo della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Torino). Corsetto Padre Tommaso, dell’Ordine dei Predicatori, Professore emerito della R. Università di Siena (Firenze). Cu SA Salvatore, Deputato al Parlamento Italiano, Professore di Paleografia nella R. Università di Palermo, ecc. (Palermo). Dandolo Conte Tullio, Socio di varie Accademie (Milano). Da-Silva Tullio Antonio, Conservatore dei Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Lisbona (Lisbona). De-Angeli Felice, Dottore in ambe le Leggi, Professore di Storia nel Liceo del R. Collegio Longone, Membro effettivo dell’Ateneo di Milano (Milano). F abretti Ariodante , Professore di Archeologia Greco-Latina nella Regia Lniversità, e Primo Assistente al R. Museo di Antichità ed Egizio di To- ( XXXI ) rino, Membro della R. Accademia delle Scienze ivi residente, e della Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Provincie delle Romagne, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Torino). Ferrari Canonico Costantino (Serravalle-Scrivia). Foucard Cesare , Libero Insegnante di Paleografia e Diplomatica nella R. Università e Segretario presso gli Archivi Regii di Torino, Socio di varie Accademie italiane e straniere (Torino). Frati Luigi, Bibliotecario (Jella Commutativa di Bologna, Dottore della Facoltà Filosofìco-Filologica e Adiutore del Museo di Archeologia nella R. Università Bolognese , Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Provincie delle Romagne , Corrispondente della Società Lombarda di Economia Politica, Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro (Bologna). Gozzadini Conte Giovanni, Senatore del Regno, Dottore Collegiato emerito della Facoltà di Lettere e Filosofia nella R. Università di Bologna, Presidente della R. Deputazione .sovra gli Studi di Storia Patria per le Provincie delle Romagne, ecc., Commendatore dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Bologna). Gualterio Marchese Filippo, Senatore del Regno, Prefetto di Genova, Membro della Società Promotrice di Belle Arti ecc., Commendatore del-1*Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Genova). Guasti Cesare, Capo di Sezione presso del R. Archivio di Firenze, Accademico residente della Crusca , Segretario della Società Colombaria, ecc., Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Firenze). Guglielmotti Padre Alberto, Teologo Casanatense, Socio Ordinario del-l’Accademia Romana d’Archeologia, ecc. (Roma). Hubé (de) Barone Romualdo , Presidente della Commissione di Legislazione deirimpero di Russia (San Pietroburgo). Lancia Cavaliere Federigo dei Duchi di Brolo , Vice Presidente dell’Assemblea di Storia Patria, e Segretario della R. Accademia di Scienze e Lettere di Palermo, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo, ecc. (Palermo). Malatesta Adeodato, Pittore storico, Membro della Consulta di Belle Arti residente in Torino, Presidente Generale delle Accademie di Belle Arti e della Commissione pei lavori artistici nelle Provincie dell’Emilia, Direttore di quella di Modena, Accademico di merito della Classe di Pittura nella Ligustica, Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro (Modena). Manfredi Canonico Giuseppe , Dottore in Teologia, Socio corrispondente ( XXXII ) dolia R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino flo-ghera). Martin-Lopez Commendatore Michele , Direttore del R. Museo di antichità di Parma, Vice Presidente della Società d’incoraggiamento agli artisti, Membro della Commissione Artistica pei lavori di Belle Arti nelle Provincie dell’Emilia , Membro o Tesoriere della R. Deputazione sopra gli Studi di Storia Patria per le Provincie Parmensi , occ. (Panna). Martini Pietro , Dottore d’ ambe le Leggi, Presidente della Biblioteca della R. Università di Cagliari, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria e della R. Accademia delle Scienze di Forino, della R. Società Agraria ed Economica di Cagliari, Socio corrispondente del-l’Istituto Archeologico di Roma e della Società Economica di Chiavari, Cavaliere degli Ordini dei SS. Maurizio o Lazzaro, e del Merito Ci\ile di Savoia {Cagliari). Masini Cesare, Pittore storico, Professore e Segretario della R. Accademia di Belle Arti in Bologna, Membro della Commissione Artistica pei ln\ 01 i u * di Belle Arti nelle Provincie dell’Emilia, (Bologna). Milanesi Carlo, Professore di Paleografia c Diplomatica nel R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze, Segretario di Sezione della R. Accademia della Crusca, Anziano della Società Colombaria, ecc. (Firenze). Milanesi Gaetano, Segretario del R Archivio di Firenze, e della (/immissione per la conservazione degli oggetti d* Arte in Toscana, Accademico residente della Crusca, ecc., Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio c Lazzaro (Firenze). Odorici Federigo, Bibliotecario della R. Biblioteca di Parma, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria e Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Torino, Membro degli Atenei di Firenze e di Brescia, Corrispondente della R. Accademia Ercolanense e della Ponumiana di Napoli, Cavaliere deir Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Parma). Pallastrelli Conte Bernardo, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Provincie Parmensi (Piacenza). Passerini Luigi, Segretario di Sezione della R. Accademia della Crusca, Perito e Consultore pei monumenti storici nella Commissione per la conservazione degli oggetti d’ arte in Toscana, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Firenze). Pillito Notaro Ignazio, Applicato agli Archivi Governativi di Cagliari, ( XXXIII ) Paleografo della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria di loi ino. (Cagliari). Podestà’ Bartolomeo, Consigliere della Prefettura di Bologna, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Provincie delle Romagne (Bologna). Remeoi Marchese Angelo, Sindaco di Sarzana, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Sarzana). Rezasco Giulio, Ex-Segretario Generale del Ministero di Pubblica Istruzione, Ufficialo dell*Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Torino). Ricotti Ercole, Maggiore nelle R. Armate, Senatore del Regno, Rettore della R. Università di Torino e Professore di Storia moderna e d arte critica nella medesima, Membro del Consiglio Superiore di Pubblica istruzione, della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria e della li. Accademia delle Scienze di Torino, Commendatore dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, e Cavaliere di quelli del Merito Civile e Militare di Savoia (Torino). Rosa Gabriele. Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, Socio effettivo degli Atenei di Bergamo e di Brescia, Corrispondente di quelli di Bassano, Treviso e Venezia, e della Società di antichità patrie di Zurigo, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Bergamo). Rossi Girolamo, Vice Bibliotecario dell’Aprosiana e Professore di Rettorica nel R. Ginnasio di Ventimiglia, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, Socio corrispondente dell’Ateneo di Milano e del-l’Archivio Storico Italiano di Firenze, Socio d’onore dell’Accademia degli Incolti di Cingoli, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, (Ventimiglia). Sagrldo Conte Agostino, Socio di varie Accademie, ecc. (Padova). Sala Aristide, Licenziato in ambe le Leggi, Professore di Lettere Italiane nella R. Scuola Militare, e Cappellano nella R. Scuola Normale di Cavalleria in Pinerolo, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria di Torino, Socio fondatore dell’Associazione Pedagogica di Milano, Socio dell’Accademia Cingolana degl’incolti, Corrispondente dell'istituto Storico di Francia (classe terza), dell’Ateneo e dell’Accademia Fisico-Me-dico-Statistica di Milano, della Pontifìcia Accademia Tiberina, e di quella dei Quiriti, Cavaliere dell’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (Pinerolo). Santini Vincenzo, Maestro di Scultura nella Scuola di Pietrasanta (Pietra-salita). 3 ——— ■.....» - ( XXXIV ) Spano-Figoni D. Giovanni, Dottore in Teologia, Canonico Protendano A,,o-p. r ^.tsa Metropolitana di Cagliari Prebendario di Villasp poiosa, R ewerit0 dl ^ncra Scrittura e Lingue Orientali, Rettore della j I, ç .r,la 1 Cagliari, Membro non residente della R. Accademia Cavlinn 'T" ' V™0’ S0CÌ° della R- Società ASraria ed Economica di ügdllenaMonsi^or T ° d011' °rdÌDe d°‘ SS'Maurizio e Lazzar0W®*)-di Diriitì r * • R£G0R,0> Deputato al Parlamento Italiano, Professore ordinario , °S^1UZ!°"aic nel,a R- Università di Palermo, Consigliere Stradine doi se ]\.UnS'°10 ^uPe™re Pubblica Istruzione, Ufficiale doli’Ordine du SS. Maurizio e Lazzaro {Palermo). Genova, 15 Novembre ISGI. . . ' Il Segretario Generale L. T. BELGRANO. NECROLOGIA Dopo avere compiuta la pubblicazione del primo volume dei suoi Atti, questo patrio Instituto ha perduti parecchi socii dei quali è giusto e doveroso che sia fatta commemorazione. SOCII EFFETTIVI I. Il Marchese Carlo Tommaso Piuma. Raccolse parecchi codici di storia ligustica, ed allri ne trascrisse; ordinò e fece disegnare, gli stemmi di tutte le famiglie nobili genovesi; e nel 1833 stampò coi tipi del Delle-Piane un Elogio Storico di Nostra Signora Incoronata, del quale si fecero poscia diverse edizioni. Mori il 20 marzo '1862. II. Il Signor Francesco Forte, Applicato alla Segreteria della II. Universilà di Genova. M. 7 settembre 18G2. ( XXWI ) III. Il Commendatore Nicolò Allegretti. Per lo zelo e le cure con che attese agli interessi della Società , venne dalla medesima dichiarato benemerito (I). Fu Console Generale della Sublime Porta; e la rappresentò a Firenze, nella circostanza della prima Esposizione Italiana. Calilo amatore della pati ia fe delle sue memorie, legò alla Libreria del Comune una piccola Biblioteca che egli si era venuto formando, e che era specialmente pregevole per varii manoscritti di cose ligustiche, e pei recenti lavori intorno alla storia ed alle condizioni dell Oriente. M. 13 luglio 1863. IV. 11 Marchese Antonio Brignole-Sale. Abbracciò giovanissimo la carriera diplomatica, e la percorse lasciandovi splendide ricordanze. Dopo di avere, durante l’impero Francese, coperti gli ufficii di Uditore e di Referendario al Consiglio di Stalo in Parigi, e di Prefetto del Dipartimento di Montenotte, andò nel 1814 ambasciatore della restaurata Repubblica Ligure al Congresso di Vienna ; fu poscia ministro plenipotenziario del Re di Sardegna in Toscana, suo rappresentante alle Corti di Russia e d’Inghilterra, nelle solennità che accompagnarono Tincoronamento dello Czar Nicolò e della Regina Vittoria, ambasciatore a quelle di Spagna, di Francia e di Vienna. Ebbe tra' primi la dignità di Senatore del Regno , che tenne lino al 1860, e quella di Ministro di Stato; fu Cavaliere dell Ordine Supremo della SS. Annunziata. in patria sedette replicale volte fra gli amministratori del Comune, e vi fu Sindaco; ebbe la presidenza della Giunta degli Ospedali, e inaugurò nel 1846 l'ottavo Congresso degli Scienziati. Amatore e protettore delle scienze, ampliò ed arricchì l’insigne sua Biblioteca di quanto seppero meglio produrre, in rpiesti ultimi tempi, le discipline storiche, archeologiche, filologiche; (I) Processo verbale dell' adunanza generale tenutasi il IO agosto 1862. ( XXXVII ) e di buon grado ammise gli studiosi a trarre profitto di cotanta dovizia. Fondò un Collegio per le missioni estere, nella località di l'assolo, e gli fu largo di generosa dotazione. M. 14 ottobre 1863. V. Il Commendatore P. Lorenzo Isnardi , delle Scuole Pie. Professore di Filosofia e Matematiche nel Collegio di Chiavari, c poscia nella Militare Accademia di Torino, fu nominato nel 1830 Vice-Precettore dei Principi Reali, e dopo quattro anni surrogò nel grado di Precettore monsignore Andrea Charvaz. Più tardi attese all'ordinamento del Collegio di Carcare ; indi tu Preside del Collegio Nazionale di Genova, e finalmente Rettore della R. Univérsità. Assiduo cultore degli studii, scrisse alcune monografie per le Effemeridi astronomiche dì Milano, e pubblicò varie lettere sulla forinola di Gauss, nella Corrispondenza Astronomica del Barone di Zach. Stampò inoltre diverse Memorie intorno a* valdesi negli Annali di Religione (Roma, 1845), la Storia del Catlolicismo in Inghilterra, la Vita di Ferdinando di Savoia Duca di Genova, e la Storia di questa Università fino al 1773, contenuta in un bel volume corredato d’assai importanti documenti. A questo poi dovçane tener dietro un secondo, mercè cui le memorie di tale Stabilimento sareb-bonsi condotte al presente; volume che l’Isnardi lasciò compiuto, e che verrà stampato a spese del Municipio. Il quale inoltre deliberava testé di incaricare una Commissione, che raccogliendo le memorie opportune a comporre il terzo ed ultimo tomo dell’ opera, già destinato nel concetto deir autore a contenere la descrizione dello attuale stato della Università medesima , le rendesse eziandio di pubblica ragione. M. 18 dicembre 1863. , VI. Il Signor Giacomo Navone. Stampò col titolo di Passeggiata per la Liguria Occidentale, un pregevole opuscolo, ( XXXVIII ) di cui si fece nel 1832 una seconda edizione; od ivi descrisse le anticliiià, i monumenti e Io stato delle città e de'paesi elio s incontrano lungo ia Riviera da Genova a Ventimiglia. Preparò più tardi, e lasciò inedite, le Memorie per servire alla Stona dogli antichi popoli inganni. M. 15 gennaio 1864; VII. Il Marchese C»ian Carlo Serra. Accademico promotore t già Precidente della Ligustica, fu Deputato al Parlamento Nazionale, e concorsa tra* primi alla formazione di questa Società. M. 8 marzo 1864. Vili. L avvocato Francesco Ansaldo. Fu il primo a far conoscere tia noi la Cronaca di Caffaro intorno alla prima Crociata, e quella dei Re di Gerusalemme, pubblicandole entrambe ton illustrazioni nel primo volume di questi Atti. Unitamente al socio avv. Desimoni, diligentemente raccolse e trascrisse in un volume ben 264 carte genovesi dal 9-16 al 1100, e fra queste, buona parte dei documenti onde è composto il Registro (Itila Curia Arcivescovile, di cui propose poscia la stampa. Adunò nella propria casauna biblioteca fornita di codici assai preziosi, e ne fu sempre largo agli amici. Preparava un lavoro sui più antichi statuti genovesi , quando nel 1862 fu ostinato a reggere la Sotto-Prefettura di Lagonegro. Ma i labori impostigli 2. Un volumetto. Leibnitz e Muratori. Discorso recitato il giorno della solenne inaugurazione della statua di Lodovico Antonio Muratori, da Giuseppe Campori. Modena, \incenzi, 1833. Un fascicolo. Informazione della R. Università di Modena, per G. Campori. Modena, Tip. Governativa, 1861. Un volumetto. Notizie inedite delle relazioni tra il Cardinale Ippolito D’ Este e Benvenuto Colini, raccolte dal Bossi Bartòlommeo. Drizza Antonio Luigi, Buzzi Girolamo. Camera di Commercio ed Arti di Genova. Calvi Girolamo Luigi. Campori Giuseppe ( XLVII ) march. Giuseppe Campori. Modena, Eredi So* liani, 18G2. Un fascicolo. Della vita e delle avventure del marchese Alessandro Maia spina, per G. Campori. Modena, Eredi Soliani, 18G2. Un fascicolo. delazione degli studi fatti nell’ Archivio Palatino di Modena da G. Campori. Modena, 1802. Un fascicolo. Notizie della manifattura estense della maiolica e della porcellana, nel secolo XVI, del marchese Giuseppe Campori. Modena, Eredi Soliaui, 18G5. Un fascicolo. Notizie inedite di RalTaello da Urbino, tratte da documenti dell’Archivio Palatino di Modena, per cura di Giuseppe Campori. Modena, Vincenzi, 18G5. Un fascicolo. Intimazioni legali del vescovo Ardizzone De’ Conti al Comune di Modena, ecc. Modena, Vincenzi, 1863. Un fascicolo. Lucrezia Beniamini, Racconto storico di Giuseppe Campori. Modena, Vincenzi, 1863. Un fascicolo. Sebastiano del Piombo e Ferrante Gonzaga, pel march. Giuseppe Campori. Modena, Vincenzi, 186 i. Un fascicolo. Sei lettere inedite di Fra Leandro Alberti, pubblicale dal march. Giuseppe Campori. Modena, Yiucenzi, 1864. Un fascicolo. Notizie di Jacopo Seghizzi, ecc., raccolte da Giuseppe Campori. Modena, Vincenzi , 1864. Un fascicolo. Del concetto politico di Alessandro Tassoni, per Giuseppe Campori. Un fascicolo. Due lettere inedite di Giovanni Giorgio Trissino, e altri documenti relativi, per Giuseppe Campori. Modena, Vincenzi, 1861. Un fascicolo. Memoria sui ruderi di Libarna, a S. E. il Signor Capi uro Gio. Francesco. Ministro della Pubblica Istruzione, pel sacer- ( XL Vili ) dote Gio. Francesco Caparro. Un fascicolo ms., con tavole. Sul verme dello olive , Memoria di Giuseppe Carreca Ant. Benedetto Musso. Albenga, Faziola-Craviotto, I8-Ì8. Un volumo. Andrea Malteo III Acquaviva, e la sua cappella Cherubini Gabriello. nella chiesa cattedrale di Airi, Memorie storico-artisticho compilate da Gabriello Cherubini. Pisa, Citi, 1859. Un fascicolo. Machiavelli : Saggio storico di Tommaso Babing-ton Maculay, tradotto ed annotalo dal prof. Gabriello Cherubini. Napoli, Stamp. del Vaglio, 1862. Un fascicolo. Memorie storiche intorno alla vita ed agli studi Claretta Gaudenzio. di Gian Tommaso Terraneo, di Angelo Paolo Carena e di Giuseppe Yemazza, con docu-menii, per Gaudenzio Claretta. Torino, Eredi Botta, 1862. In volume. Della Legazione a Roma di Lazzaro D’Oria nel Da Fieno Giacomo. 1483, Saggio di studi sulla Diplomazia Genovese, pel Sac. Giacomo Da Fieno. San Pier di Arena, Vernengo, 1863. Un fascicolo. Corse estive nel Golfo della Spezia, del C. Tullio Dandolo Tullio. Dandolo. Milano, Lombardi, 1862. Un fascicolo. Parecchi frammenti di vasi fìttili litterati. Delpiano Aw. Uonumenta Historiae Patriae edita iussu Regis Regia Deputazione di Caroli Alberti. Tauriui, ex R. Ti mera plico, Stoma Patria, per le 1840-1864. Sive: provincie antiche. ocnptorum Tom. I et IV. Chartarum Tomus li. Liber Jurium Reipublicae Genuensis, Tom I et 11. Edicta Regum Langobardorum. Codex Diplomatica Sardiniae, Tomus 1 R“C ad" tenute dalla R. Deputa- R. Deputaz. d. Storia m 1 n™, PCr 'C Pr0vi"cic di Ro- Patria d. Romagna. iseT’ mi,ggi° 18(52 al 20 Kiug°o ( XLIX ) Atti o Memorie della H. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna, Anno Primo. Bologna, Monti, 1802. Un volume. Dei monumenti istorici pertinenti alle Provincie della Romagna. Serie Prima. Tomo I, Fase. I. Bologna, Tip. Regia, 1805. Bullcttini delle adunanze della R. Deputazione di R. Deputaz. di Storia Storia Patria in Modena. N.° 14 a 40. Patria i>i Modena. Cronaca Modenese di Tomasino de’Bianchi, detto de’ Lancellotti. Parma, Fiaccadori, 1802. Vol. I. Atti e Memorie delle Regie Deputazioni di Storia Patria , per le Provincie Modenesi e Parmensi. Modena, Vincenzi. Voi. I, e fascicoli 1-3 del vol. II. Bullcttini delle adunanze tenute dalla R. Depu- R. Deputaz. di Storia tazionc di Storia Patria di Parma, dal 25 gen- Patria di Parma. naio 18G3 al 14 luglio 1804. Alto di fondazione, nota delle rendite, ed elenco Desimoni Cornelio. dei disciplinanti dell’ antico oratorio di S. Ambrogio, negli Orli di S. Andrea in Genova. Co-dicetto ms. dei secoli XVI e XVII. N.° cinque pergamene o bolle pontificie dei secoli XVII e XVIII. Relazione intorno i documenti contenuti in uir Codice del sec. XV, comunicato alla Società Ligure di Storia Patria dal canonico Giuseppe Manfredi, pel socio avv. Cornelio Desimoni. Un fascicolo ms. Brano di Storia Italiana, tratto da un Codice De Yisiani Roberto stritto nel buon secolo della lingua italiana, del prof. Roberto De Yisiani. Padova, Tip. del Seminario, 1850. Un fascicolo. Di un nuovo Codice del Tesoro di Brunetto Latini, volgarizzato da Paolo Giamboni. Lezione accademica del prof. Roberto De Yisiani. Venezia, Antonclli, 18G0. Un fascicolo. Vita e Martirio del Santo Pietro Martire dell’ Ordine de’ Predicatori. Leggenda scritta nell’ aureo % •V . . . . . • ( t ) secolo della lingua, e pubblicata dal prof Ito-lx>ru> Do Yisiani. Verona. Vicentini o Fran- * chini, IM2. Un fascicolo. Vita di Demostone o Cicerone, ira tic dal volgarizzamento amico di Plutarco. Testo di lingua • ìuihììIo, pel prof. Roberto De Yisiani. Padova, Tip. del Seminario, 1805. Uu fascicolo. Mnemosine Sarda, ossia Ricordi c Memorie di Elena Uuiifiicu. vani monumenti antichi, con altre rarità dell' I-sola di Sardegna, del comm. Giovanni Spano. Cagliari, Timon, ISt» 1. Un volarne, con tavole. Pergameno, codici e fogli cartacei di Arboròa, raccolti ed illustrati da Pietro Martini. Cagliari, Timon, 1804. Dispensa I a III. * Su di una epixozkr del pollame d'Iudia, del dot* Fauuum I.OREXZO tore Lorenzo Fabroni. Firenze, Cerchi, I8.M Un fascicolo. Sulla struttura geologica dlla Romagna Toscana, e sullo stato suo industrialo nei tempi antichi c moderni, Memoria del dott. I/>rènzo Fabroni Firenze, Benelli, Un volumetto. Osservazioni intorno il Colèra di Modigliana, nel-l’estate dell’anno 1855, del dott. Lorenzo Fabroni. Firenze, Bene ini, 1855 Un fascicolo' Dei precetti che per l’educazione civile derivano dallo studio dell’epidemie, Discorso del doti Lorenz»» Fabroni. Firenze, .Mariani, IN.Mi jJn fascicolo. ' _ 1 • Atto verbale dell’adunanza della li. Accademia degli Incamminati di Modigliana, per la distribuzione delle medaglie, che gli espositori ed operai deH’Alta Emilia conseguirono all’Esjwsi-zione Italiana del 1802. Rocca S. Casciapo, Cappelli, i«%2. Un fascicolo Sull’iscrizione * della Tavola di Porcevera, Stuiü Grassi Jacopo Lv d»*l canonico Luigi Grassi. Genova, Caorsi, 1805. Un fascicolo, con tavola. Della Filologia. Ragiona mento d*l cauonico Luigi- ( LI ) Crassi, poi* la sua aggregazione a Dottor Collegiato nel Genovese Ateneo. Genova, Caorsi, 180 4. DdJa Bocca d’Ostia, e delle condizioni dell’ arr Guglielmotti Alberto. chitettura militare in Italia, prima della calala di Carlo Vili, Dissertazione del P. Alberto Guglielmotti. Roma, 18G2. Un fascicolo, con tavolo. . Memorie dell’I. R. Istituto Veneto di Scienze, I. R. Istituto Veneto. Lettere ed Arti. Venezia, Antonelli, 48G2-18G3. Vol. X e vol. XI, parte J, con tavole. Memorie del Beale Istituto Lombardo di Sciente, R. Istituto Lombardo. e Lettere. Milano, Bernardoni, 1865. Vol. IX, con tavole. * ' Annuario del B. Istituto Lombardo di Scienze c . Lettere. Milano, Bernardoni, 18G4. Un volu- • metto. Bendiconti della Classe di scienze matematiche e naturali del B. Istituto Lombardo. Milano, Bernardoni, 18G-i. Fascicoli 1 a G del volume I. Bendiconti della Classs di Lettere, e Scienze morali e politiche del B. Istituto Lombardo. Milano, Bernardoni, 18G4. Fascicoli 4aG del volume I. É • Discorsi Ietti dal cav. Antonio Merli, in occa- Merli Antonio. sione della distribuzione dei premi alla Acca- • demia Ligustica di Belle Arti in Genova, negli anni 1860 e 18G1. Genova, Tip. della Gazzetta dei Tribunali. Un fascicolo. Atti della Accademia Ligustica di Belle Arti. Genova. Tip. della Gazz. dei Tribunali, 1865. Un fase. Origine ed uso delle trine a filo di refe, pel cav. Antouio Merli. Genova, Sordo-Muli 4864. Un fascicolo, con tavole. . * • I diplomi arabi del R. Archivio Fiorentino. Teslo Ministero della Pi' originale, con la traduzione letterale e illustra- blica Istruzione. zioni di Michele Amari. Firenze, Le Monnier, 1803. Un volume. ( ui ) Annuario della Istruzione Pubblica ilei Rogno d’ l~ Calia, pel 1803-180i. Broscia, Tip. della Sentinella Bresciana, 180i. Un volume. Esposizione degli studi fatti dai fratelli Montecucco sopra un quadro ad olio di BalTaello Sanzio da Urbino. San Pier d’Arena, Yernengo, 1803. Un fascicolo. Memorie tratto dal R. Archivio di Cagliari, ris-guardanti i Governatori o Luogotenenti Generali dell’ Isola di Sardegna, dal tempo della dominazione aragonese lino al IG !0, per Ignazio Pillilo. Cagliari, Tip. Nazionale, 1802. Un volume. Storia del Santuario di Nostra Signora del Garbo, per Antonio Pillo. Genova, Tip. della Gioventù, 1803. Un volume. Epigrafi Ialine o volgari del prof. Paolo Be-buflb, colla traduzione delle Ialine falla dal prof. Antonio Drago. Genova, Schenono, 1802. Un volume. Notizie intorno alla vita del marchese Marcello Durazzo, del prof. P. Paolo RebulTo. Genova, Schenone, 1803. Un volume, con ritratto. Scavo fallo in Luni, nell’ autunno del 1857. Sarzana, Ponthenier, 1S58. Un fascicolo. Scavi fatti in Luni nel' 1858 e 59, e Bipostino di Carrara, 1800. Sarzana, Ponthenier, 1800. Un fascicolo. Catalogue des manuscrits de la Bibliothèque Royal des Ducs de Bourgogne, publié par ordre du Ministre de l’Intérieur. Bruxelles et Leipzig, Muquardt, 18i2. Tre volumi, con tavole. In morte del comm. Angelo Pezzana} Discorso letto dal cav. Amadio Ronchini alla B. Deputazione Parmense di Storia Patria, nella tomaia de’1 giugno 1802. Parma, Carmignani, 1802. Un fascicolo, con ritratto. MoNTEf.ucco Francesco. Pi luto Ignazio. Pitto Antonio. Bebiffo Paolo. Benedi Angelo. Bicci Vincenzo. Bonciiim Armadio. ( up ) Cento lettere del capitano Francesco Marchi bolognese, conservate nell’ Archivio Governativo di l’arnia, ed ora per la prima volta recate in luce dal cav. Amadio Rondimi. Parma, Car-mignani, 1864. Un volume. Illustrazione di un antico Martirologio Ventimigliese, Rossi Gjrolamo. del P. Giambattista Spotorno, coll’aggiunta di un Necrologio e di note storiche, del prof. cav. Girolamo Rossi. Torino, Tip. Reale, 1864. Un fascicolo. Sull’argomento delle così dette Case Operaie, Rossi Guglielmo. Studi del Comitato Politecnico Milanese ecc., Commento di Guglielmo Rossi. Torino, Negro, 4863. Un fascicolo. Documenti circa la vita c le gesta di San Carlo Sala Aristide. Itorronieo, pubblicali per cura del canonico Aristide Sala. Milano, Resozzi, 1861 ; Piuorolo, Chiantore, 1863. Vol. III e IV, con tavole. A Maria Vergine il Genio Italiano. Poesie d’ ogni secolo della letteratura italiana, raccolte e coordinate dal can. Aristide Sala. Pinerolo, Loretii-Bodoni, 1862. Un volumetto. Transunto delle istruzioni impartite nella R. Scuola Militare di Cavalleria in Pinerolo dal canonico Aristide Sala. Pinerolo, Chiantore, 1862. Un fascicolo. Commentarii Storici sulla Versilia Centrale , di Santini Vincenzo. Vincenzo Santini. Pisa, Pieraccini, 1863. Voi. VI ed ultimo. Delle primo chiese cristiane, Esercitazione archeologica di Vincenzo Santini. Un fascicolo manoscritto. .Mémoires et Documents publiés par la Société Società’ di Storia ed Savoisienuc d’Histoire et d Archéologie. Chain- Archeologìa di Savoia. bcry, Imprim. du Gouvernement, 1861-1865. Vol. V-VII, con tavole. Atti della Società Lombarda d’ Economia Politica Società’ Lombarda di iu Milano. Milano, Bozza, 1861. Fascicoli I c II. Economia Politica. ( LIV ) Si} i lavori o le pubblicazioni dogli Archivi Toscani. Firenze, Collini, 1862. Duo fascicoli. Notizia intorno l’Opera Pia doli’ Ospedale ili Arquata-Scrivia, dol parroco P. Spadini. Casal-Monferrato, Corrado, 18(13. Uu fascicolo. La Restaurazione della Bepubblica Ligure noi 1811, Saggio Storico scritto da Massimiliano Spinola fu Massimiliano. Genova , Sordo-Muli, 1863. Un volume. Memorie e Documenti sulla Accademia Ligustica di Belle Arti, raccolti da Marcello Stagliono. l'arte seconda , 1797-1803. Genova, Sordo-Muti, 186-i. Un fascicolo. N.° dieciotto pergamene, riguardanti per la maggior parte l’antico monastero di Baimo, noi confini tra Acqui e Novi-Ligure, dei secoli XII1 e XIV. Brevi Considerazioni sul Progetto di legge (Pepli), sulla Risicoltura, del coni. C. B. Trompeo. Torino, 1862. Un fascicolo. Sul trentesimo Congresso Scientifico di Francia tenutosi in Ciamberi, Relazione del dott. coni. Benedetto Trompeo. Torino, Favaie e C., 1863. Un fascicolo. Le Trentième Congrès Scientifique de France, etc., Rapport etc., par le Docteur Benoît Trompeo. Turin, Favale et Comp., 1863. Un fascicolo. Illustrazione storica, artistica ed epigrafica del-l’antichissima chiesa di S. Maria di Castello in Genova, del P. Raimondo Amedeo Vigna. San Pier d* Arena, Vernengo , 180V. Un volume. Moneta genovese di biglione, di Gian Galeazzo Maria Sforza. Diversi frammenti d’ iscrizioni, latcrcoli c vasi gitili litterati. SoV RIN TKN DENZ A DEGLI Archivi Tuscam. Spadini Parroco. S PI NOLA M ASSI M ILI ANO. Staglieno Marcello. Tonso - Ferrari - Perni gotti Camillu. Trompeo Benedetto. Vigna Raimondo. Woli Alessandro. RENDICONTO DEI LAVORI FATTI é » • DALLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA NEGLI ANNI ACCADEMICI MDCCCLXll - MDCCCLXIV, L onorevole ufficio a cui mi ha assunto la benevolenza degli amici e de’ colleglli, mi chiama allo adempimento di un dovere , al quale io mi accingo tanto più di buon animo, in quanto che più agevole me lo rende l'esempio lasciatomi dallo egregio mio predecessore. Volendo pertanto ricorrere le sue traccie, mi è d'uopo dichiarare che nello estendere la presente Relazione, io mi propongo di accennare appena di volo a quelle scritture delle quali, per la seguitane pubblicazione , può facilmente ognuno procurarsi ampia contezza ; e che, per lo contrario, mi fermerò alquanto a dire di quelle finora inedite; acciò si abbia a rilevare almeno il concetto onde s’informano, e possano conoscersi le questioni che vi trovano svolgimento. Infine dichiaro, che per le materie trattale lungo l'anno 18G2, io non potrò in qualche parte che ( LVIII ) riferirmi a quanto già venne da me stampato in uno ili quei rapporti sovra codesto Instituto, ch’io soleva fornire in passato allo Archivio Storico Italiano, per soddisfare ai desiderii dell* ora compianto suo fondatore e mio venerando amico, Giovan Pietro Vieusseux. Se non che, i molteplici lavori che formarono l’oggetto dei nostri studi lungo il triennio decorso, appartenendo a varie e tra loro disparate materie; a me parve, che per iscansare quella specie di confusione, che dal presentarli insieme uniti giusta 1' ordine cronologico sarebbesi per avventura ingenerata, fosse opportuno consiglio quello di ripartirli in diverse classi, secondo spettano appunto alla Archeologia ovvero alla Storia, Economia Politica e Letteratura, alla Idrografia, ovveramente alle arti belle. Parvemi oltre ciò che questa partizione offerisse ancora qualche vantaggio non ispregevole, come sarebbe quello di ovviare al fastidio che suole originarsi per l'ordinario dalla lettura di una lunga rassegna, la quale passi da uno ad altro argomento senza far luogo mai ad intervalli, od accennare a que riposi che sono pur tanto necessarii alla mente ; e 'alesse in ultimo a rendere più facile e spedila la ricerca delle notizie di quegli scritti, dei quali si volessero, quando che sia, trovare di preferenza i ragguagli. Dei lavori poi, che si direbbono di circostanza, io mi passo dallo instituire particolare disamina. Basterà l'accennare, che, giusta la consuetudine introdotta, il Presidente generale ed i presidi delle Sezioni vengono, con opportuni discorsi, tracciando in mi! principio d' ogni anno accademico lo indirizzo dei nostri studi; che infine i presidi stessi e il Segretario ne riassumono, al suo termine, i risultati. Ciò premesso, e ricordato come il di 17 novembre 1801 la Società inaugurasse il suo quinto anno accademico, mi affretto a dar compimento all’affidatomi incarico. i ( v* ). PARTE i. § I. Dovendosi col successivo fascicolo di questi Atti, die df presente ò già in corso di stampa, fare di pubblica ragione il Corpo delle epigrafi romano-liguri, basterà il ricordare, che nelle adunanze del 10 gennaio, 1 e 28 luglio, ed 8 agosto 1863, il socio canonko Angiolo Sanguineti leggeva alla Sezione d’Archeologìa la Prefazione che verrà da lui mandata innanzi a questi monumenti (*), ed una Illustrazione de cippi miliari cite si conservano in Liguria; donde tolse opportunità per discorrerò delle vie, che a’ tempi romani solcavano il nostro paese. In altre quattro tornate di tale Sezione (7 e 21 marzo, 25 aprile e 16 maggio 1863), il socio cav. Desimoni leggeva la sua terza ed ultima Lettera al Sanguineti medesimo, sulla Tavola di Polcevera; e considerava questo celebre monumento sotto l'aspetto della Filologìa. Il preside canonico Luigi Grassi (tornata dell’8 agosto 1863) metteaci poscia a parte di alcuni suoi studi sulla iscrizione che in essa Tavola si contiene, licenziandoli poco dopo alle stampe, corredali di una esalta lezione della medesima ; e come a seguito e complemento di essi, ventaci il 12 agosto 1864 esponendo parecchi nuovi divisamenti e ricerche, sovra di alcuni antichi nomi ligustici. Trattava pertanto di quell’ Auno, che nella Eneide di Virgilio Irovasi mentovato fra’ condottieri prò e conira Turno confederati, della Cisauna onde è memoria nell’iscrizione di Cornelio Barbalo, (*) Già fu dello a pag. 63i del primo volume di quesle Memorie com'egli a\essc l’incarico d’illustrarli. ( LX ) dilla Macola, o Mugola, di Polibio, e doi Mugolìi notati da I linio circa o sopra i nostri dintorni C). Ai Lnori ^notati, dee far.seguito Ja notizia di quei numi nti mi itti, a noi della età romana o delle successive, i mono da ali uni soci comunicati. Quelli appartenenti alla i ma enti ano a parte della Raccolta epigrafica, che si va ora PI unto imprimendo; cioè nel testo della medesima se ligustici esistenti in Liguria, neU’Appendice se estranei al distretto ouJ( prtso nell ampio suo significato, che ò quanto dire a nnx Varo, e al di là dell’Appennino fino a Libarna. uelli poi spettanti a secoli cristiani, verranno invece a pi-fi lar posto nella Collezione , che Ja Società ha sibililo di mandar dietro alle iscrizioni del Gentilesimo. P<-| compiere al nostro debito, ricorderemo intanto, che il ^ocio corrispondente marchese Angelo Remedi spediva da Sarzana i ac simile della più antica fra tutte le epigrafi della Liguria, ui scoperta nel territorio di Luni correndo il 1857, avente i mi de consoli AI. Claudio e M. F. Marcello, e cosi appartenente anno 155 a\anti Cristo (**); e il socio Alessandro Wolf ne comunicaci la còpia di altre parecchie, esistenti ne* dintorni di lacenza e di Tortona, e fra esse di nove estratte da un mano-tto del conte Carnevale, intitolato: Illustrazione (lolla Dio-°ep. 0,(onese- Di queste il precitato socio canonico Sanguineti, eri\a poi con due distinte Memorie alla Sezione d*Archeologia, 1 b)inate del 21 marzo 1863 e 7 maggio 1864; e mentre Per una parte confermava i dubbii già emessi dal Wolf intorno au*e^c*tè di qualcuno fra tali monumenti, mostrava per l impoitanza dell iscrizione trovata nel bosco di Segaiiale, ilei Rnirif, s‘dcrazi ni filologiche del canonico Grassi, formano r nllima parie Università afnen ^ ^ ^ *** h SUQ ,,gsrc*azionc a collegiato nella nostra I* ’ C SUUD^ co’ ljP> del Caorsi. /jj stam|)ala dallo stesso march. Remedi nel suo opuscolo: Scavo fallo ( «'XI ) clic porta il nome di Lucio Munazio, identico verisimilmente col Console degli anni 712 e 742 di Roma, non che deir altra che fa menzione di Antonino Pio, e dovea leggersi per avventura a’ pie' di una qualche statua innalzata alla memoria di tale Imperatore. Così pure il medesimo Wolf, e insieme con esso f avvocato Cesare De Negri, trasmettevano alla Società alcuni importanti frammenti di latercoli e vasi fittili con iscrizioni, le quali tra' ricordi di cose .figuline, avranno luogo eziandio nella spesso mentovata Raccolta. Ci occorre infine di notare, come nell’ occasione in cui venne aperta al pubblico una parte della Villetta Di-Negro sovrastante alla Passeggiata dell Acquasola, i soci professore Sanguineti e canonico Grassi ebbero ad avvertire in quello ameno e già tanto ospitale soggiorno, la esistenza di due iscrizioni, l'una delle quali si riconobbe per un frammento di maggior lapide, e l’altra leggesi incìsa sovra di un cippo mortuario abbastanza ben conservato. Se non che tali monumenli avrebbero potuto, per la nuova destinazione del luogo, correre pericolo di guasti o deperimento; e però il R.-Delegato Straordinario per r Amministrazione Municipale, cav. Francesco De Magny, dietro relazione ed istanza di questa Società, faceva traslocare sollecitamente quei preziosi avanzi nell’ atrio del Civico Palazzo, dove ora si veggono murati con parecchie altre iscrizioni, ad augumento e decoro delle patrie memorie. Facendo ora passaggio dalle romane iscrizioni alle cristiane, è nostro officio ricordare, che il socio marchese Marcello Du-razzo comunicava il fac-simile e la copia d’ una epigrafe del 1198, che si legge scolpita sovra la porta della chiesa di san Michele di Pagana, e contiene un atto di donazione fatta a favore della chiesa medesima da un Ansaldo Di-Negro; che il socio Belgrano presentava trascritta una lapide commemorativa della erezione della chiesa di san Francesco in Sestri-Ponente, ( LXII ) folla nell anno 1529 dalla famiglia Panzano, e l’accompagnava conni (,eg|' individui in essa lapide nominali; che il socio marchese Massimiliano Spinola ne comunicava allre due, che eggonsi nel Duomo di Praga sulle tombe di Gian Alfonso Spinola inno capitano della seconda metà del secolo xvi, e di Ottavio ‘-j a cavalier e dell Ordine Gerosolimitano; che altra pure comunicavano d socio cav. Desimoni, la (piale porta la data del 1557, e eggcM nel Palazzo di Giustizia in Firenze, ad onoro di un t.niano Di-Negro, genovese, che per tredici anni esercitò GNo mente in quella eitià l'uffizio di Pretore; mentre i soci marciose Marcello Slaglieno, avv. Gaetano Ippolito Isola, e u. eppt Gamhaio ne presentavano parecchie altre o dai marmi igmali esemplate, ovvero da vecchi codici e da libri a stampa •desunte. j ' § II. Da poi clic I erudita opera del Bottazzi sui nidori di >arna, ebbe posta in rilievo la singolare importanza ili I a città ligustica-romana, non mancarono cultori della ntà .si del paese e si stranieri, i quali ne venissero aria* n0*,Z'C’ avanzi, e mirassero col sussidio .di nove e scoperte a sempre meglio illustrarla. Fra la bella schiera o_i ora collocare il sacerdote Giovanni Francesco Capurro, ispondente della nostra Società; il quale avendo, per inca-,r 6 . nistoro della Pubblica Istruzione, compilala una ewfontt sugli scavi che in più tempi si andarono praticando , °n> '^arnese, mandò copia-del suo lavoro alla Società j ssa, ce ne udì lettura nella tornata della Sezione Archeo-Slca del 2 febbraio 18G4. mito "aCer^°le ^aPurr° dopo di avere accennato ad alcune in nnpiT 0rmates' tl;i diversi amatori cogli oggetti dissepolti che eoi- err' no’ s ln(c,|liene specialmente a ragionare di quella notizie ' (oT eSimo adunavasi In Novi-Ligure; fornisce parecchie iscrizl r,Dt0rn0 3 Libarna Si clcsum°no da non poche ; d'SCOrre Teatro, del quale verionsi (ut- ( LXilf ) tora gli avanzi; e finalmente descrive uti’ ampia strada conso lare, di cui nello scorso 18G3 si scopersero le vestigia tia Serravalle ed Arquata (*). Corredano la sua Relazione tic ta vole, contenenti la pianta e l'icnografia dei ruderi del Teatro stesso, non che il piano generale della località ove trovansi rovine di Libarna. L’esempio del sacerdote Capurro è slato a breve interva o seguito da un altro socio corrispondente, il prof. Vincenzo Santini da Pielrasanta ; il quale inviava una sua Esci citaci ont Archeologica sulle primitive chiese cristiane, di cui si diè pure lettura in più sedute della Sezione predetta (5 maizo, 9 aprile, 7 maggio e 10 giugno ultimi scorsi). L’ autore mette in dubbio la esistenza di chiese, propria mente chiamate, innanzi l’epoca di Costantino Magno, e corroborando le proprie argomentazioni colla testimonianza di parecchi scrittori sincroni, dimostra che questo Imperatore non fu si favorevole alla novella Religione, come vorrebbesi da taluni far credere; mentre che Roma continuò a mostrarlesi accanitamente ostile nei secoli v e vi. Viene quindi a trat-tare delle svariate denominazioni imposte, alle chiese stesse , domus Dei, domus orationis, domus Columbae, basilica, ecclesia, dominicum, apostolium, martyrium , tropheum , delubrum, fanum, templum, ecc. (i quali ultimi tre nomi, comecché tratti dal Paganesimo , trovansi tuttavia usitati da severi autori cristiani); e accenna ai titoli, alle diaconie, agli oratorii, agli oracoli, con che si distinsero le chiese di Roma. Tocca poscia della forma di questi edificii, secondo die richie-devasi dalle costituzioni apostoliche; e specialmente ne illustra il vestibolo, 1’ atrio od impluvio, 1’ aula, gli amboni, il coro, )\ santuario o confessione, Y essedra od abside. (*) Questa strada, la cui lunghezza, mediante appositi saixgi si eonslalò di olire 200 metri 5 è larga poco meno di m. l i. ( LXIV ) li professore Santini consacra poi r ultima parte del suo lavoro allo esame artistico di questi monumenti; ed osserva, che se in essi aveavi copia di musaici, d'arredi e d'ogni preziosità, il tutto risenti vasi però dei difetti delle arti morenti. L* architettura soltanto seppe modellarsi sugli esempi delle insigni fabbriche del Gentilesimo; e quindi assumere quella grandezza ed imponenza di proporzioni, che rendono oggi ancora tanto ammirabili le vetuste basiliche. Nella precitata seduta del 2 febbraio, il socio Luigi Tommaso Belgrano, col soccorso di alcune notizie ricevuto dal eh. prof. cav. Teodoro Wustenfeld, leggeva una breve Memoria circa al Piede Liprando, ed alla misura che di esso vorrebbe riscontrarsi delineata sul verso di una pergamena del 4 giugno 1094 custodita nei Regi Archivi di Stato in Firenze. In questa pergamena trattasi di una permuta di varie pertiche di terreno; e tali pertiche diconsi di 12 piedi ciascuna, ad pedem qui in hoc membrano designatur. La misura dunque ò tracciata; ma quel che manca e si desidera, egli è il suo nome, dato senza più come piede liprando nel Giornale di quegli Archivi ( ); la sua lunghezza consta di 52 centimetri, e sorvanzerebbe cosi di oltre un centimetro i varii piedi di questo genere mentovati dal eh. Rocca (“). Finalmente nell'adunanza deir assemblea generale, dei 14 scorso agosto, il socio Domenico Guarco sottoponeva all'esame della Società un istrumento in forma d'ascia dei tempi romani, di rame o bronzo che sia, conservatissimo, e scoperto nel gennaio dell anno cadente in un declivio prossimo al villaggio di Parodi, insieme ad un ammasso di pietre formanti una base quadrangolare ed una specie di fusto di colonna, che potrebbero verisimilmente ritenersi quali avanzi di un ara pei ( ) Giornale storico degli Archivi Toscani, voi. vi, |>ag. 320. ( ) Rocca, Investigazioni sulla origine del Piede Liprando, ccc. Genova, Casamara, <842. ( ) sagrifizi delle vittime comandati dal Gentilesimo. « Che le » vittimo si colpissero d’ascia (scrive il socio Guarco nella » Relazione con cui accompagnava il detto instrumento), si » trova presso gli autori. Virgilio paragona il grido di Laocoonte » a quello di un toro, che condotto al sacrifizio sia stato col- » pito d’ ascia.....Ciò posto , egli è a ritenersi che l’instrumento » di cui si tratta, non sia che un’ascia per colpire le vittime ’» da immolarsi. Egli è vero che non è della forma di quelle » che riferisce il Montfaucon...; ma vuoisi notare che ascie di » parecchie forme si riscontrano, come può vedersi nel Viaggio » di M. Misson, ove si fa cenno degli instrumenti adoperati » nel fare i sacrifizi, che esistevano nel Gabinetto del. conte » Mascardi. Tra siffatte ascie alcune hanno il manico infisso in » un foro praticato nel loro capo ; ed alcune al contrario sono » infisse in un manico. Pare che di quest'ultima specie sia » quella ritrovata in Parodi < /% III. il ricco medagliere della Università, ed i preziosi cimelii de’ socii Franchini ed Avignone, offrono materiali in gran copia per la illustrazione delle monete e delle medaglie genovesi; gli Archivi ne presentano i documenti, ed aprono insieme, coi loro diplomi originali, un largo campo ai cultori della Sfragistica. La Rivista della Numismatica fondata e diretta dal' socio cav. Olivieri, accoglie e diffonde le scritture sovra tali argomenti dettale; e così tutto per questa parte si completa, e, quasi dissi, è perfetto. Oggi dunque, assai più che per 1* addietro, soccorrono agli studiosi i mezzi per operare; nè da siffatti aiuti è a porsi in dubbio non siano per derivare grandi vantaggi alla storia della Numismatica patria. Fra Ciò che per questo lato si venne facendo dalla Società , dee ricordarsi in primo luogo la lettera, con che il mede-, simo socio. Olivieri illustrava, nella tornata della Sezione d’ Archeologia del 27 giugno 18G2, un bel medaglione d’argento • m ( LXVI ) posseduto dal socio Franchini, e commemorativo del fallo e della solenne coremonia de’ 7 dicembre 1626, circa l’apposizione della prima pietra dell’ ultima cerchia delle mura di Genova O. Nella adunanza del 5 marzo 1864 il socio Alessandro Wolf facea presentare una moneta la cui leggenda (per essere quel nummo di assai cattiva conservazione), fu decifrata dal mentovato socio Franchini. Rappresenta nel diritto il castello genovese, ed ha intorno la scritta: jo. gz. m. sf. dux. mli. ac. j. d. (Johannes G alea z Maria Sfortia Dux Mediolani uc Januae DonunusJ; dall’altra la croce consueta de* nostri denari, e le parole: conrad. r. romanor. (Conradus Rex Romanorum). Codesta moneta è di biglione; e poiché non si avrebbe finora notizia alcuna, che sotto il dominio del nominato Duca (all’anno 1476 al 1478 (**) e dal 1488 al 1404) siasi dalla nostra Zecca battuto in siffatta lega, diventerebbe sommamente preziosa ed importante. Se non che, come osservava il cav. Desimoni, la sua piccolezza, ed il suo peso in grammi 2. .550, paiono indurre il sos|>ettn della sua falsità; fanno cioè dubitare che tale moneta sia per avventura stata coniata e messa in circolazione per uno di que grosso d argento, che furono battuti sotto Gian Galeazzo, benché non sieno molto comuni, ed il cui peso è invece di grammi 3. 200. ( ) Il lasoro del cav. Olivieri fu pubblicato nello stesso anno I8f»2, co* lipi de’ Sordo-Muti. ( ) Addi 9 agosto del 1Ì78 i genovesi ottennero contro I’ esercito sforzesco una segnalata vittoria, la quale viene descritta dallo storico Antonio Gallo. I maestrali \imitarono poscia la chiesa metropolitana di san Lorenzo, recandovi solenni offerte in rendimento di grazie; ed emanarono un decreto, che fu registrato dal cancelliere Nicolò di Credenza, e trovasi accennato in una vecchia Pandet ta del-I Archivio Governativo con queste parole : An. 1*78, 9 augusti. Decretum quod vigilia santi laurentii celebretur pro festo so/nmiissimo pro ut dies dominice, et quod ipsa die catur a palatio ad ipsum ecclesiam sancti laurentii pei' omnes cives populares tam vurcatores quam artifices. et hoc propter victoriam obt> ntavi contra lombardos (Pander ta mit Quorum foliatiorum etc.J. ( LXVII ) N^lla seduta del 9 successivo aprile il socio Belgrano presentava un grosso di buon argento, battuto dalla Zecca di Siena durante 1’ epoca nella quale Gian Galeazzo Maria Visconti ebbe influenza e dominio in quella città, cioè fra il 1389 e il 1402 ed una medaglia coniata in memoria dell’ erezione du’ portici vaticani, coiranno 16G1 ed il ritratto di papa Alessandro vìi, sotto alla cui Vita se ne riporta dal Ciacconio inciso il rovescio (**). Di un altra del santo pontefice Pio v, presentata dal socio medesimo, occorrerà di toccare altrove ("*>. Con una Memoria poi, letta il 10 giugno decorso, lo stesso Belgrano forniva alcune notizie circa varii sigilli genovesi; quali sono quello de’ Consoli della Ragione, eseguito circa l’anno 13G1 dall’argentiere Giorgio di Viacava, quello dell'Ufficio di Misericordia ricordato in un documento del 1449, quello delle Compere di san Giorgio, T altro dell’ Ufficio di Balia, inciso nel 1464 <«) e finalmente quello de’ Padri del Comune, lavorato nel 1554 dall' orafo Peliegro da Zoagli. Codesta scrittura vedesi di presente stampata nel fascicolo ii-iu dell'accennata Rivista <&); ed ivi pure (c‘) ha luogo il lavoro, col quale nella tornata del 1.° luglio il cav. Olivieri prendeva ad illustrare le monete e la Zecca di Genova prima del Dogato , cioè innanzi l’anno 1339. Notiamo ora due incidenti, ai quali la lettura dell’ Olivieri (*) È uguale al tipo che ne riportano il Lilla (Famìglie ecc., Moneta N.o 65) ed il Porri (Cenni sulla Zecca Sanese, N.o vm). Pesa grammi 2 1/2. (**) Vedasi a pag. lxxi del presente volume. (***) Vitae Pontificum} vol. iv, col. 7.49, N.o 6. (a) Tale sigillo veniva attribuito, in questa Memoria puUbicata sulla Rivista, a Nicolò dell’Amandola; ma qui è d’uopo emendare lo sbaglio. Nicolò non fu giù l’artista che lavorò il sigillo, come mi indussero a crederlo le parole del documento ove se ne fa menzione; sibbene quegli che lo provvide. Egli era invece un nobile cittadino, e partecipe delle Compere di san Giorgio; e i Protettori delle medesime, tra i quali pure sedette, più volte se ne giovarono, affidandogli importanti e delicati ufficii. (b) Vol. i, pag. 107, 209. (c) Pag. 483, 189. i ( LXVUI ) ha fatto luogo. 11 primo si è originato da ciò, che lamentando egli la povertà di notizie, in cui, per quello clic ha tratto-alla patria Numismatica, ci lasciarono gli scrittori precedenti al Gandollì, compreso 1’ abate Oderico, tra’ cui manoscritti serbati alla Universitaria è una dissertazione contenente inesatti e scarsi dati,, e-poco retti giudizi sulla moneta genovese; il preside canonica Grassi, che altra volta ebbe in parte ad ordinare e studiare quelle scritture, rispose opinando che la dissertazione in discorso non debba dirsi fattura di quel valente archeologo, ma sia piuttosto a credersi una raccolta di memorie da lui ad altri commessa, nello intendimento di. esaminarle, e. di giovarsene solo dopo averle diligentemente ponderate e vagliate con quel fine criterio, onde l’illustre abate va tanto e sì meritamente lodato. Motivo dell’altro incidente poi si fu I asserto dal cav. Olivieri, , . • che niun documento si conosce anteriore al 1139, e cosi innanzi al noto privilegio di Corrado 11, nel quale si faccia memoria di moneta genovese; imperocché il cav. Desimoni, colla autorità delle Carte Genovesi da lui e dal compianto socio Ansaldo radunate , confermava la sentenza dell'Olivieri, ed osservala che. mentre tosto dopo il 1140, in cui ne fu appaltata la battitura, frequentissimo apparisce negli instrumenti il cenno di essa moneta, in quelli di tempo precedente solo trovansi ricordate la pavese e la brunita. Per la qual cosa credeva egli do\ersi ormai senza contrasto ammettere, che Genova non coniò moneta fin dopo la concessione corradina; che i bruniti accennati da Caffaro agli anni 1102 e 1114 furono aneli’essi battuti in Pa\ia, e differenti dagli antichi pavesi in ciò solo, eh'erano di assai più bassa lega, e di bruno colore. Notava infine, che due documenti del 1130 e 1140 O, riguardanti una lega tra (*) Monum. Historiae Patriae -. Chartarum vol il. col 213; Liber Jurium ììeipub> Geimensis, I. 69. ( LXlX ) Genova c Pavia, parlano di lire, dei suddetti bruniti coinè di moneta ad entrambe le città famigliare, e perciò anche probabilmente identica. Infine Io stesso cav. Olivieri leggeva nell’anzidetta seduta un suo cenno, pubblicalo eziandio nella citata Rivista (*), intorno alla moneta d’Albenga. Di questa fa memoria un testamento dell'11 maggio 1538, il quale ricorda i grossi monetae olim Albinganae ; e inoltre è noto , che le gabelle d’Albenga venivano .affittate annualmente e costantemente ih lire di moneta albenganese, calcolate soldi 10 di Genova per ciascuna. Il socio Olivieri ne inferiva pertanto, che quella antica città dovette bene aver 1’ onore della Zecca, malgrado che in oggi non si conosca alcun pezzo che possa alla medesima riferirsi; precisamente come avviene di quella di Luni, della cui esistenza niuno è che muova dubbio, benché nessuna moneta sia venuta ad aggiungere agli argomenti molteplici -la prova diretta del fatto. Ciò nondimeno il preside canonico Grassi opinava il contrario, e credeva che V indicazione, di una tale moneta, non debba già indurre la presunzione di denari propriamente usciti da una Zecca albenganese; ma voglia invece e puramente accennare al valore ed al corso , che la moneta dì altre contrade otteneva in Albenga. L’opinione del canonico Grassi veniva pure appoggiata., per quello che ne riguardava la massima-, dal cav, Desimoni. Tuttavia, per ciò che spetta a questo caso particolare, egli avrebbe creduto potersene discostare, in quanto che la specificazione di grosso, parrebbe veramente precisare una data qualità di moneta battuta in Albenga, anziché importatavi dal di fuori. (*) Vol. cit., pag. 197, 98. f * c ( txx ) PARTE 11. Raccolgo in questa seconda parle del mio Rapporto quanto ha tratto alla Storia, alla Economia Politica ed alla Letteratura;*— tanto più che i lavori i quali appartengono alle prime fra queste classi, non si potrebbono disgiungere, senza nuocere per avventura, al loro insieme, ovveramente senza cadere nel difetto di qualche ripetizione. § L Nell’adunanza del 2 dicembre 1861 (Sezione di Storia), il socio cav. Agostino Olivieri leggeva una sua Relazione intorno alcuni lavori storici di fresco venuti in luce. Tenea ^agguagliati i colleghi dei Monumenti di Storia Patria, che vanno pubblicando le Regie Deputazioni di Modena e di Parma, e di ima Memoria circa le relazioni del Comune di Genova coi Re di Armenia nel medio evo, del cav. Vittorio Langlois (*). Osservava che non ostanti gli studi, le dotte ricerche e le fatiche, delle quali, speeialmente in questi ultimi tempi, non mancarono di far prova gli italiani; pur nullameno resta loro ancora qualche cosa da apprendere dagli eruditi stranieri, segnatamente in fatto di solerzia e diligenza. Taluni fra costoro si occupano anzi con amore grandissimo delle cose nostre; ed egli, per questo lato dava lode particolare alle Memorie dei Duchi d’ Urbino dal 1440 al 1630, del Denniston, ed alla Storia Diplomatica di Federigo n Imperatore, pubblicata in Parigi dal dottissimo Huillard-Brèholles, pigliandone occasione per dar contezza dei molti documenti di cose genovesi che vi s’incontrano. ( ) È inserita nel tomo xix delle Memorie della lì. Accademia delle scienze di Torino. ( LXXl ) Ad un.a consimile recensione attendeva eziandio il socio Bei-grano. Il quale nella tornata del 20 stesso dicembre riferiva alla Sezione Archeologica Sovra un opera a stampa del Buchon, e sovra due manoscritti di Marino Sanuto e Leonardo da Scio, avuti in comunicazione dal eh. professore Carlo Ilopf. Bibliotecario della Regia Università di Conisberga. L’ opera del Buchon ha per titolo: Ricerche e materiali per servire alla storia della dominazione francese nei secoli xin, xiv e xv nelle provincie dell1 Impero Greco dopo la quarta Crociata ; e il Belgrano, dopo avere enumerati in genere i pregi di questo libro, ragionava di quanto in esso può riguardare specialmente la storia genovese; infine, a proposito delle varie medaglie commemorative della battaglia di Lepanto, dal medesimo Buchon pubblicate in quest’opera, una, probabilmente inedita, ne presentava egli stesso, avente nel diritto la mezza figura di san Pio v vestito delle insegne pontificali, la destra alzata in atto di benedire, e intorno la leggenda: b. pius. v. ghislerivs. boschen. pont. m. ; e nel rovescio, tredici galere naviganti di conserva, il motto: hoc. vovi. deo., e quindi: vt. fidei, IIOSTES. PERDEREM. ELEXIT. ME. II manoscritto del Sa nudo contiene Y Historia del Regno di Romania, sive Regno di Morèa;z si conserva nella Biblioteca Marciana di Venezia, donde il precitato professore Hopf ne trasse copia nel 1853. In tale storia viene accertala Y epoca, nella quale i principi d’Acaia della famiglia de’ Villardoini incominciarono a battere moncla, e si hanno molti preziosi ragguagli circa la famiglia dei Zaccaria e la potenza dei genovesi in Levante. Finalmente Y opera di Leonardo da Scio è una Relazione od Epistola al papa Pio n sull' assedio e presa di ' Metellino per parte dei turchi nel 1462; e il professore Hopf ne cavò copia dall1 esemplare, che ne ha la Biblioteca dell’ Università di Pavia. Essa fu sconosciuta ai Padri Quieti!’ ed Echard , bibliografi dell’Ordine Domenicano, a cui Leonardo appartenne, ( LXMI ) acchiude molit particolarità storielle di granitissimo rilievo ( ). ° . Nelle sedute del 20 gennaio e 20 marzo 1862 f il preside • rnelie Desimoni leggeva alla predetta Sezione Storica rammento del lavoro a cui attende da più anni, e che s'incoia òlona e Genealogie dei Marchesi deir alta Italia; in relazione all' origine dei Comuni. * £?oh I**7*» ^ ^0nle P°*“ Marchese Oberto, di stirpe lon-i| 1 'u°kJ considerare come il fondatore della da a#» >crso ^ 951, e venne dieci anni dopo elevato in haï0**6ì *ni^era*ore a^a dignità di Conte del Sacro Palazzo te h m 1 SOmma scarsezza di documenti per tutta questa np •r0Sa e*)oca’ non consente a riguardo di Oberto troppo r/>n n no^z,e> tuttavia dal loro complesso, e dal raffronto bile hn n0tl r,su*ta ,n primo luogo assai probati 6 6g (,,scemlesse dagi* antichi Marchesi di Toscana tori) ° Cl° non s,a ,n Quel modo che sospettò il Mura- hw eonipc a>aiSe >,nC0*° san£ue cogli antenati della eele-3 a^e> ^econdariamente si può considerare come cosa certa chp io u, ad orip a Marca governata da Oberto era posta dìù vac» G> j -ln di quella di Aleramo, ma molto nella e importante di questa, comprendendo", almeno Pavia e Mano.6’ ^ ^ ^ Genova, Tortona, aveva nrii ^ t ' dritti compresi in quesla Marca, Qberlo nel Parmigiani ed m°llÌ C°mi,a,i’ e 8Pecia,men,e vasto territorio detto Ten^Oh Z ^ Ò ^ “ e lunffo’ìp pk* Obertenga sui confini di Arezzo , menle un tm 6 ‘ ““ * ««. «te sono evùlcnte- "" * W». » agro pubblico. >ln«i küBi, W'"*vl »1 Hi/tnh ( DoU.c, I86Ï) " c K" del Vespro Siciliano. ( LXXIII ) Toccava in appresso il cav. Desimoni dei diritti più o meno ampii esercitati dagli Obertenghi sui territorii di Massa, di Lunigiana e di Corsica ; e ne deduceva una legge storica di continuila e d’irraggiamento tanto nello spazio come nel tempo, mercè cui riesci alla famiglia Obertenga di elevarsi da non grandi principii ad importanza grandissima. Distingueva poscia l’autore i principali gradi ed elementi di tale irraggiamento, e notava come questi consistano : 1.°- Nell’appropriazione di beni monastici o vescovili, sotto colore di commenda, protezione, conduzione, ecc. ; 2.° Nelle proprietà acquistate per doti, compre, caducità d’onori, eredità giacenti e confische giudiziarie, che in quelle infelici epoche potevano rapidamente arricchire il rappresentante imperiale ; 3.° Nell’ultimo e più importante passo, che fu la fusione della Marca nella proprietà del Marchese, dell’officio governativo nel feudo divenuto ereditario, e nella graduale indipendenza dall’ Impero favorita da cause speciali. Egli è per tal modo che le famiglie marchionali toccarono il sommo dell’ arco ; ma per ciò appunto vennero presto ancora a decadere. E qui il cav. Desimoni, anticipando un cenno su quel, periodo del suo lavoro, nel quale tratterà dei discendenti d’Oberto, notava il vantaggio che offrono per la Storia le tavole genealogiche illustrate, tanto. di questa quanto delle altre famiglie marchionali. « Codeste genealogìe, cosi diceva egli., » riassumendo nella seduta dell’ 8 agosto 1862 il proprio » lavoro O, sembrerebbero per se stesse oziosa cosa, e di » poco o niun giovamento alla Storia ; tuttavia trattandosi » d’epoche digiune di documenti, e di personaggi che vi » presero grandissima parte, le genealogìe possono gettare (*) Parole dell'avvocato Cornelio Desimoni, nella chiusura delle adunanze della Sezione di Sloria per Panno accademico 1861-186?. Ms. ( LXXIV ) gran luce per riconoscere le ragioni ilei possessi e delle alleanze, e indagare la chiave segreta che apra la Storia di quei tempi. E debbo appunto a tale paziente studio da da me continuato sulle orme del sommo Muratori, se, come mi paio, riuscii a raccogliere una somma di fatti e di conseguenze che somministrino un concetto alquanto più precido di quello che non sogliasi avere dalle storie finora pubblicate : concetto che consiste nel formar bene gli anelli successivi e continui, per cui si tramutò la parte sostanziale del potere politico dairImperatore ai marchesi, e dai marchesi ai Sconti, ai vescovi, ai comuni. Trovai nelle due marche Aleramica ed Obertenga fatti più o meno chiari, più o meno pro\ati, ma che hanno evidente somiglianza d' origine e di sviluppo; perciò s appoggiano gli uni cogli altri, si rischiarano, ••si compiono, e fanno con ragione argomentare dalla identità degli elTetti alla identità delle cause, e al loro influsso essenziale sulle faM della società politica contemporanea. Cosi entrambi i mare hesi Aleramo ed Oberto, investiti dapprima di sola autorità a \ita, si valgono della loro potenza per acquistare sempre maggiore ricchezza, accrescendola colle spoglie ilei mona^steri, vassalli, beni vacanti; e colla ognor crescente ricchezza rafforzano sempre più la loro potenza. I Cigli di entrambi sottentrano all'uffizio marchionale, dapprima tollerati o non potuti impedire; ma presto affettano il diritto ereditario, ed una quasi assoluta indipendenza dall’ Impero. Da ciò le ire e lt gelosie imperiali, che, non potendo più direttamente sfogarsi per debolezza, favoriscono i minori vassalli, ecci- • tandoli alla sommossa contro i marchesi. Frattanto questi, moltiplicando oltie modo, e dividendo e suddividendo allo infinito non tanto i possessi quanto le giurisdizioni , si preparano una sorgente continua di liti fra loro, di povertà » e debolezza rimpetto agli estranei. E come dalla prima causa • « elle eredità veniva loro la grandezza, cosi da questa seconda ( LXXV ) » causa delle divisioni venne il tramutarsi della potenza nei » visconti c nei minori vassalli; i quali, sull’esempio de mar->' elicsi, del benefizio a vita fecero un feudo perpetuo. Nelle cam-» pagne procrearono quindi que’ lirannelli infiniti, che d ogni » bicocca fecero un castello e un pedaggio; nelle città, al con-» trario ingentiliti dal costume e dai commerci, se meno forti, « si posero sotto le ali del Vescovo, dando origine alla giurisdi-« zione lemporalo della Chiesa, e se bastarono a se stessi, » associandosi, obbligarono i marchesi a giurare le franchigie , e » gli imperatori a rispettarle ; onde sorse il Comune Italiano ». Nelle tornate del 10 aprile, 8 e 23 maggio, 13 giugno e 22 luglio stesso anno 18G2 (Sezione di Storia), il socio marchese Massimiliano Spinola leggeva un suo lavoro intitolato: La Restaurazione della Repubblica Ligure nel 1814; facendolo poco dopo di pubblica ragione. « E sebbene, come avvertiva » il cav. Desimoni (*), si tratti di avvenimenti i cui autori o » partecipi vivono tuttavia, o da non molto scesero nella tomba, » di sentimenti trasmessi ancora caldi da questi medesimi autori « o partecipi, e radicati da secolari tradizioni, e sia perciò » anzi impossibile che difficile vestire la toga del giudice in-» vece di quella dell’ avvocato ; pure il racconto della storia » recente o contemporanea ha un vantaggio grandissimo, quello » cioè di conservarci documenti scritti e notizie orali di fatti, » che in epoche più lontane andrebbero senza dubbio disperse , » e di preparare così ai posteri un buon fondamento alla pro-» nunzia del giudizio storico fedele ed imparziale ». Il socio Belgrano leggeva a sua volta nelle adunanze del 13 febbraio, ed 8 agosto 1862 alla ridetta Sezione, e in quella del 16 aprile e 1G maggio smesso anno alla Classe d’Archeologia due Memorie sulla terza e la sesta Crociata. In tali lavori I’ autore tenne sempre lo sguardo intento a due punti principalissimi : I’ uno (*) ParoV per la chiusura delle adunanze ccc. . ( IAXVI ) generale, considerando lo stato d'Europa e le relazioni politiche éej tempi di cui si tratta, affinchè in certo modo si prepari e si ordini la scena a bene intendere il dramma che si va •svolgendo, I altro speciale alla Storia di Genova, acciò i fatti che più da \icino e più particolarmente la riguardano, sieno posti in miglior luce. Così dopo aver descritto, per ciò che spetta alla terza di quelle imprese , io stato materiale e morale del Regno e dei vari principati latini di Terra Santa ureo il cadere del secolo xu, narrava dei molti potentati di cc ente, i quali commossi all’annuncio dei rapidi progressi on era secondata la fortuna di Saladino-, e seguendo gli pulsi dtl più grande entusiasmo destatosi in tutta Europa, si crociarono, enumerava il concorso che vi prestarono i nostri, a co o ^pedini a proprie spese una flotta, e sia noleggiando i' \ ^ranc,a e ad altri principi le loro navi; e toccava arghi lucri e degli onori singolarissimi, che ne ritrassero, mente, quanto alla sesta, dopo avere tenuta parola dei ? i preparativi che a II uopo si fecero in Francia ed in Italia , ra>a che i genovesi ebbero qui principalissima parte; e su a scorta de’ molteplici documenti da lui scoperti nell Ar-i r ,° otar^e Genova (•),• e dei cronisti contemporanei •* i' ^ ’ lesseva la storia dei varii eventi della Cronon e*S*\ ^ua*e’ Per mo,ti disastri e molte contrarietà t ree a tri fruiti che la povertà del Reame di Francia, e d peggioramento deUa condizione dei cristiani in Levante. luoffo va ’ COmC (lue^a non meno infelice che ebbe mutuato (\ aDni s* e^etl«ò specialmente col denaro grano.loffi/11- gen°*eSI al re ,x di Francia; e il socio Bel- sedutadelll ^ ^a *1° ^ circoslanzn> Per leggere in altra seduta della Sez. Archeologica (25 luglio 18G2), parecchie Notizie Francia, onU ^ Cr0ciate (li s('n Ludovico ix rr di 1859-1864. Miei astrati da Luigi Tommaso Belgrano. Genova, * ( LXXVII ) sovra talo argomento donde risultava eziandio, che questo popolo fu tra’ primi che impresero il traffico del denaro, e in vastissima scala con indicibile vantaggio 1' esercitarono ; che i documenti più antichi ove si faccia memoria delle lettere di cambio, e le più vetuste fra esse finora conosciute , sono genovesi. 11 vanto della priorità che in fatto , di cambiali si vuol concedere ai nostri, veniva più tardi ancora (27 febbraio 1864, seduta della Sezione di Storia), e con maggiore ampiezza di documenti e copia di osservazioni, confermato dal socio medesimo nella Memoria : L interesse del denaro e le cambiali presso de' genovesi, dal secolo xii di xv. Ivi ragiona egli partitamele della accomenda, di cui si ha per la prima volta esplicita menzione in un contratto dei 18 agosto 1157 (#), e di cui s’incontrano eziandio parecchi esempi in quegli atti di privilegio, con cui venivasi dal Comune di Genova consentendo a’ feudatarii o stranieri la facoltà di poter mittere laboratum in mare. Parla della vendila a respiro; e da una lettera di papa Alessandro m-nel 1180, posta a riscontro collo Statuto inedito del secolo xm, desume la estensione e la importanza di tale commercio fra noi. Discorre dei varii banchieri (campsores) e delle società bancarie, che genovesi, oppure aventi sede in Genova, salirono in maggior fama sì all’interno, sì all’estero. Tocca degli usurai, cui i teologi sentenziarono abominevoli, cui i papi fulminarono d’anatemi, cui i principi bandirono dai proprii Stati. « Male necessità delle arti, » della agricoltura e del commercio, seguitarono da vicino le » sentenze, le scomuniche, i bandi ; e gli usurai non tardarono ».a sentirsi richiamati là, donde eransi poco innanzi veduti » costretli a partire ». Dice dei prestatori su pegno, o casa-nerii, così appellati dai loro banchi.detti Casane (il cui nome vive tuttavia nel Vicolo della CasanaJ, e come questi con- (*) V. Chartarum, vol. II, col. ( LXXVlll ) cedessero denaro a mutuo alla ragione del 20 per cento, il quale interesse per vero, abbenchè grave, non avrebbe, s( si guai di a que tempi, potuto tacciarsi di enorme; seppure 3 la ptcunia mutuata non si fosse, come ben di frequente accadevi, attribuito un valore che di molto avanzava la somma eae. Tratta finalmente della cambiale; prova che questa era ©ià in uso nella piazza di Genova in sui principii del co o xi» almeno; che entrò largamente nelle combinazioni nanziarit del successivo, e che fu qui nel xiv generalmente ottata, di guisa che il Comune fattala soggetto di una imposta ulto fisso del mezzo per cento, venne pel corso del detto oo a rica\arne in media l'annuo provento di lire 2500 d allora. n sul finn e del proprio scritto, il socio Belgrano enumerava . principali imprestiti, mercè cui i genovesi soccorsero tempi a più cospicui signori e monarchi; toccava di ° consent,to sul trono di Federigo n imperatore rinarrava per ultimo il fatto seguente: Federigo n Jacopo ^^arretto, marchese di Savona e genero di a prestanza da GaMo^Sni 42i7..dala 111 mog,ie una dcl,c s,,c bastarde, riceve. di pagarne in cambio * 600 * ° ^ *' Un 2'°°0 01 Gcnova; Pron,el,e costruito in oro e te * - Provv'sine; c dà loro in pegno il trono dell’Imperatore, mento mancato II 9«/° ,al° ^ £emme> con facoltà di venderlo nel raso di paga-mani dei suddetti h "°'Cml>rc *253 ,a Società Mangiavaeca rii ira il Irono dalle Guidetto Spinola ^ ^ ,0 Sb"rso di 2,823. 13 di Provins; 1,1 lire 1,507 astcsi a ^ marc,,ese Jacopo, fa quiianza alla Società stessa Per un prestito di denaro Y jVCC0,ll° sopra ,,re *'8*8 ad esso marchese dovute, iU Brindisi, inviato del re Corr d' !r c me(,csimo^ e finalmente Giuseppe Mangiavaeca; la quale 0 * *VCV,a, comPra il trono in discorso dalla Socielà dello nunzio ricevuto Piniü ’^!° ^ 2 success,vo dicembre, dichiara avere dairora Per cambio di lire geooves7seimilT ^ ^ t^0n0, °ncie d oro 2,208 c iarcni E mio debito l'ayvertire rhn 1 nella Bibliolheime dp VFmi 1 1 s,~nor (av* koigi De Maslatrie, ha pubblicati •r * df* t‘ : (mk -• »■- «• «.), 1 *- c°pia, com’egli ha la ppmi sovra esposto, avendogliene io stesso fornila - la * ricordare, ad eccezione però dell' atto *2 ( LXXIX ) « Verso il cadere del secolo xiv, 1’esercito francese, era » rimasto disfatto e prigioniero alla battaglia di Nicopoli (28 » settembre 1396 ), insieme ai capi che il conducevano. giugno '1251, venuto soltanto da poco tempo a mia cognizione. Ora*egli, ignorando la esistenza di questo instrumento, va supponendo che il trono di Federigo non sia giunto altrimenti in potere dei genovesi, che come parte del ricco bottino da essi fatto, correndo il 12-48, nella espugnazione della città di Vittoria; mentre è invece chiarissimo che pervenne a loro mani unicamente quale guarentigia di prestito. Riuscendo quindi importante lo stabilire il fatto nella sua esattezza, credo opportuno di qui riferire per esteso un tale documento, che leggesi a carte 175 recto del Notuiorio di Bartolomeo Pomari, pel biennio 1250-51. Nos dominus iacobus marchio de carrelo confitemur habuisse el recepisse a uobis guidone iohannis spinulle pastoni de nigro el semidei (?) quondam iacubi spinulle libras duomilia ianue. renuntiantes ex isla scriptura exceptioni non numerale pecunie, doli in facium, conditioni sine causa competentibus et compeliluris. pro quibus el prò cambio quarum promillimus et conuenimus uobis dare libras mille sexcentas peruenienses in proximis nundinis barii uenluris ad rectam solutionem, uel eo tempore quo diete numline esse debent si deficient. si uero dictas libras mille sexcentas peruenienses in predictis nundinis barii uobis non soluerimus. promillimus vobis dare nomine cambii de quibuslibet denariis duodecim perueniensibus denarios uiginli ianuensis monete a feslo pasce resurrectionis domini proxime usque ad menses 1res lune proximos in solucionem dictarum librarum mille sexcentarum perueniensium. alioquin penavi dupli uobis stipulantibus promillimus. et prò predictis obseruandis omnia bona nostra habita et habenda uobis pignori obligamus, et specialiler faldaslorium auro margarilis lapidibus preciosis ornatum, quod pro pignore si solucio non fuerit facta ad lertninum supradiclum auctoritate nostra nulla facta requisicione nec denunciacione el sententia magistratus de dicto possitis uendere. et de precio habito vel habendo promittimus credere simplici uerbo ueslro. et nullam questionem opponere maius fore precium quod nudo uerbo uestro f dicere uoluerilis. et de precio redigendo ex prediclo pignore integram solucionem in uobis rclineatis de loto debito nostro : et si opponeremus uobis dicentes quod maiori precio esset uendiium promittimus uobis dare nomine pene duplum dicli debiti, sub pena dupli el sub obligacione bonorum nostrorum. el quod nos et nostra possitis undique conuenire. renuncianles fori privilegio. aclum ianue in curia spinultorun mccli . indicione yiii . die xii iunii. post uesperas. testes, nicolinus spi nul la el bertholotus iudex et lanfrancus dugus spimilla el wilielmus spiJiulla. ( LXXX ) » Trovavansi Ira questi Giovanni di Borgogna conte ili Névcrs, *> che fa poi detto Y impavido, Filippo d'Artois conte d'Eu » e conostabile di Francia, il signore di Coucy, Enrico di Bar, Suppone eziandio il cav. De Maslatrie, fondandosi sovra gh' erronei calcoli del Serra, che valuta la lira antica genovese a franchi 40, che la somma delle lire seimila dichiarata dalla Società Mangiavacca equivalga a lire attuali 60,000 di intrinseco, e che queste poi corrispondano ad un valore relativo di circa lire 360,000, • ni in 0££i pertanto ascenderebbe il trono del quale fanno parola i documenti. Ora questa supposizione merita pure di essere a sua volta rettificata; cd io mi accingo f«irlo tanto più di buon animo, in quanto ne debbo le ragioni che esporrò al socio • esimoni; il quale, preparando un lavoro sintetico sul valore intrinseco delle monete italiane dai secolo xii al xiv, ha voluto essere gentile di fornirmele. sa che un oncia di tareni dei tempi di cui discorriamo (4251-1253), si iompone\a di trenta tareni di giusto peso, e della solita lega di carati -16 a 16 */3; pur nolo che un oncia di tali tareni eguagliava in valore tant'oro fino, quanto e a\rebbero contenuto cinque fiorini, i quali erano stali per la prima volta battuti appunto in quel torno. Dunque oncie 2,208 e tari 18, sono uguali a fiorini d’oro irenze 11,01.3. E siccome ogni fiorino d’oro era allora di tulio fino, di 24 3 44* G *)eS3'a ^ramini 536, ed attualmente un grammo d’oro fino vale lire y ne risalta che ogni fiorino varrebbe in giornale lire 12. 16, c che perciò °nm 1,0-43 formerebbero oggi la somma di lire 134,288. 88. di oUUaV,a, Se *nvecc di calcolare ad oro si calcolasse ad argenlo, la slessa somma derivai ° ^ Un r,sullat0 quasi minore della metà; la quale diversità di fi 3 ^ C,e °ra ^ pa^are un Gemino d'oro fino, se ne vogliono 15 */2 ione di soldi 11 c denari 1 a 2 le lire di Ora il 'D1; COmC °6nuno sa> equivalevano ad un fiorino d’oro ciascuna. aru'enin r ^eno\a, jn qUe| lemp^ conleneva lutto al più crammi 2. 84 di “«t,enio uno: e rncì cnu: n , r o d’ orni , e denan 2> ossiano soldi 11 Vie (pari ad un fiorino «Zì i 2" * • - "<»»> > * p».<» •"“* * Cade i ferini ,, °Tm di ,ire *■ 97 ’ ° ml°n*,,> di ,ire 7' dalla Socìpi* m ’• ’ 0VVcramente le oncie 2,208 ed i lareni 48, quando fossero alati Comunaue sii g,aVaCCa r,mul1 ,n egento, altro non produrrebbero che lire il. 77,301. apprezzinone f ' ^1 ' SICC°me non è ,a q,,anl,Ü dei metalli quella che dà una giusta da una niPr dj U ° * dl5farc! e fl'iesla quantità di bisogni si suole misurare <1' Pnma necessità, come sarebbe il grano; „,si, applicando tale ( bxxxr ) « » Guido della Trimoglia, e il maresciallo Giovanni Lerneingre, » più conosciuto sotto l’appellativo di Bucicaldo, e che fu » poscia in nome di Carlo vi governatore di Genova. II sultano » Baiazette volendo trarre dalla loro cattività il maggiore partilo, » erasi convenuto coi prigionieri, che avrebbero in prezzo *» del loro riscatto pagata la somma di centomila ducati. » Dovendo poi ricevere questo valsente, volle servirsi di alcuni » mercatanti veneziani e genovesi; e preferì in guarentigia » la parola di un banchiere parigino corrispondente di un » negoziante di Scio, a quella dei principali sovrani di - Europa O ». Poiché colla esposizione del lavoro del socio Belgrano, siamo entrati in materia d’ Economia Politica; crediamo opportuno di qui soggiungere .quanto venne trattato ancora nei nostri conve--gni di ciò che alla scienza medesima si ragguarda, e che si riassume in due xMemorie del cav. Desimoni. Colla prima che venne letta alla Sezione .Storica il 3 e 17 dicembre 18G2, e 7 gennaio successivo, tracciava egli a brevi tocchi la storia dello antico Banco di San Giorgio, desumendola dai documenti originali, che nello Arhivio di esso Banco tuttodì si conservano. . Cominciava da quelle società finanziarie anteriori a tale Istitu- stregua, osserviamo clic una mina genovese di grano (la quale equivale ora a litri 416, ma equivaleva allora mollo probabilmente a litri 142) valeva per l’ordinario soldi 40 di Genova; che per ciò con un fiorino, sia d’oro o sia d’argento, si comprava ugualmente una. mina e .un decimo di'frumento, ossiano litri 123. 20; e che per conseguenza con la somma di fiorini 11,043 si sarebbero a que’ giorni acquistate mine 12,147, pari a litri 135,829. Ter la qual cosa, il prezzo medio di cento litri di grano essendo attualmente di lire 20, ne viene clic, sia in oro o sia in argento, la Società Mangiavacca ricevette il 2 dicembre 1253 una somma, la quale in oggi troverebbe il suo equivalente in quella di lire it. 271,658. Lo che prova quanto seno male fondati i calcoli del signore di Maslatrie. (*) Sàlàbery, Storia dell’impero Ottomano, ecc., libro HI. 6 ( LXXXII ) * zione, le quali trassero origine da prestili fatti a! Comune, ricevendone in compenso il provento e I’ amministrazione a tempo di vai io gabello; spiegava il nome di compire dato ad esse socitlà, di iompt'nsti dato ai socii, e di Capitolo dato al Go\uno della Repubblica, corno pure i varii nomi speciali attiibuiti ad esse compere per distinguerle. Osservava che la moltiplicazione di tali società rese necessaria di tratto in tratto loio liunione in una sola; il che avvenne per la prima volta anterioimente al secolo xiv. Ma la più ampia e famosa unificazione lu quella del 1408, quando sorse la società che nominoci (hih Lompere e dei Banchi di san Giorgio. L’autore diceva che questa operazione meriterebbe d’essere a lungo esaminata, per la Uenuta con\ei sione delle varie rendite ( alcune fino al 10 e più Pei cento ) all unica e fissa del 7r che più tardi si cangiò in un dit uh/.ilo annuo in ragione del prodotto netto; lodava sì la mezza con cui tale conversione venne condotta, poiché s’ invitarono gli azionisti che non se ne fossero contentati a ritirare il denaro, si la felice riuscita del credito pubblico e delle -ocielà anteiiori, rialzate da una condizione quasi disperata ad uno stato assai florido e pieno di avvenire. Tuttavia errano gli scrittori dicendo, che in quest’ epoca 1’ intero debito pubblico si uni casse nel Banco di san Giorgio; poiché non meno della metà esso debito tardò ancora un mezzo secolo a riversarvisi, per ragioni che il Disserente sospettava. Inoltre il Governo, o la mera> contrassero ulteriormente nuovi prestiti, ora con altre società o pri\ati, ora colla Società stessa di san Giorgio. Il più 1 orlante atto avvenuto poi fra questa Società e la Repubblica, q e lo del 1539, appellato contractus magnns solidationis ; cc é in forza di questo, il debito pubblico diventasse con- o ed irrevocabile, mediante 1’ alienazione perpetua delle gabelle a favore di san Giorgio. sIpc-a anC° ^Gr ta* ^U.' a cosl,lu*lo> non solo potò bastare a sé continuare rilevantissimi prestili alla Repubblica, ma ( LXXXIII ) concorse con infiniti donativi ad opere pubbliche, e di beneficenza e d’armamenti; imprese da per se grandi lavori, come il Portofranco, 1’ampliamento della Darsena, la Raiba, la Via dei Banchi, ecc. Tuttavia il più grande suo sforzo fu quello d assumere e ritenere per quasi un secolo la signoria della Corsica, delle colonie orientali e di alcune città e distretti delle due Riviere, cedutegli dalla Repubblica; col che, imitando in maggiore scala le sue più antiche sorelle, le Maone di Scio e di Cipro, divenne a sua volta, e per questa parte, modello alle moderne Compagnie delle Indie, come sotto il rispetto bancario divenne esempio ai più recenti stabilimenti e banchi d’ Amsterdam, di Londra, e simili. Premesso questo cenno, il Disserente passava ad esaminare più particolarmente i mezzi con cui il Banco di san Giorgio si sostenne; enumerava le varie gabelle da esso amministrate, e che comprendono tulle le maniere di tasse, che oggi si dividono in dirette e in indirette, non che in dazii di consumo, avvertendo come in ciò la scienza finanziera del medio evo nulla abbia ad invidiare alla moderna: diretti sulla ricchezza immobile e mobile e sulla loro trasmissione (toccando incidentemente dell’ antichissima esistenza del catasto, e della gabella degli schiavi miseramente compresa nella ricchezza mobile); ritenute sugli stipendi, e tasse sul testatico, sulle professioni, sugli atti giudiziarii e sulle assicurazioni marittime, le quali ultime sono al certo contemporanee, se non anche anteriori, ai principii del secolo xv; diritti doganali sulla niva o scalo, sulla porta, sui pedaggi, e sui generi d’ uso più comune; diritti di rivendita, piazza, misura, ecc.; e finalmente un più antico modo d’imporre una sola colletta sul mobile e sull’ immobile, simile al moderno progetto della imposta unica sulla rendita; la quale però fin d’allora, allo esperimento, si dimostrò d’impossibile riuscita, e raccolse un odio immenso nel popolo, che si sfogò poi nell’incendio dei registri di finanza sulla pubblica piazza. ( I.XXXIV ) Ma altro ilei mezzi ile Ila Società ili san Giorgio, furono pure lo opei azioni bancarie; non essendo esatto ciò che si è scritto finora, che essa Società non abbia mai fatto sconti, e non abbia tenuto Banco lino al secolo xvi. E qui il cav. Desimoni, toccato dei banchieri privati, di cui alcuni registri anteriori al 1408 silrovano tuttora nell’Archivio r dimostrava come in quest'anno, contempoianeamente alle Compere di san Giorgio, siasi anche instituito un Banco per conto sociale, coll’espresso disegno di far concorrenza ai banchieri privali, ed ovviare per tal guisa a certi inconvenienti Un allora lamentali. Il quale Banco però videsi cin-quanl anni dopo costretto a cessare e liquidare, per causa (come paie almeno in parte) di operazioni tendenti a superare una ©rave ciìm monetaria, e a mantenere i valori al livello legale, pie se fu quindi ridotto per allora al solo ufficio di cassa della ■ Società, la fiducia non tardò guari a rinascere, e con essa non laidarono ad affluire i depositi, i quali dapprima si ricevettero e refluirono nella stessa qualità e quantità di pezzi d’ oro o 1 argento, e poscia si cambiarono in qualunque altra moneta al valoie di grida o di tariffa; infine con ricognizione AétY aggio, o talare di piazza. Dal che derivarono appunto i molti nomi di monda di numerato, di banco, di permesso, di fuori banco, ecc.; i quali non significano in sostanza se non die la moneta legale della Repubblica, calcolata o secondo il valore primitivo, o secondo le diverse fasi avvenute nel commercio metallico. Il Disserente accennava seguito ad una speciale operazione di sconto, solito a farsi dalla • ocielà sulle anticipazioni dell’ annuo dividendo, ed a molti altri nPieg i.finanziani più 0 meno felicemente imaginati, od alcuni imitati, per tenere fiorenle il credito pubblico e vivo giro delle azioni, agevolandone 1’ acquisto anche alle più pic-<-0e orbe, rendendolo obbligatorio agli impiegati del Governo in. ,a anca ’ appaltatori e fideiussori. Le due più ri-1affli’ r ®nanz.ière della Società stessa, furono però il pteo e esdebitazionc (ammortizzazione): trovati entrambi ( LXXXV ) riconosciuti senza contrasto come genovesi, e già fino dal 1371 adoperati dal benemerito cittadino Francesco Vivaldi, in-un lascito destinato ad estinguere entro non lungo termine d’ anni tatto il debito pubblico. La qual cosa, se per le sopravvenute vicende non potò sortire per intero il suo effetto, non lasciò tuttavia di estinguere molta parte, e forse la metà d’esso debito. '.Altri mezzi per la buona amministrazione delle Compere erano: 1.° La rapidità e semplicità nei giri e nelle altre operazioni , bastando a ciò la sola, parola dell’interessato, ed-essendone titolo sufficiente la scritta falla nel libro, a cui si aggiunse poi P estratto o bigHelto-di cartulario , germe del biglietto di Banco. 2.° La vigilanza, o controllò personale, che si sviluppò e molli-plico a seconda della cresciuta importanza dell’istituto, sostituendo nelle elezioni degli officiali, almeno in parte, il principio rappresentativo al governativo. 3.° La vigilanza ed il controllo nei registri, i quali fino dai più antichi- tempi si mostrano informali alle più severe regole di scrittura doppia, e di guarentigia nella tenuta del Giornale senza cancellazioni o intervalli. E della portata e delle cause di tali formalità entrava 1’ autore a parlare alquanto diffusamente; dimostrando come le stesse, credute.dai più un trovato moderno, sieno invece antichissime, e usute in Genova non solo negli ufficii di san Giorgio e della Repubblica, ma ben anco nelle scritture delle case patrizie. • 4.° La moralità e buona fede che formò una delle più incontestabili- glorie del Banco. Onde il popolo si avvezzò a venerarlo come cosa sacra, e sacristie chiamò i suoi depositi di denaro; mentre l'onda delle frequenti rivoluzioni si ammansò sempre, come per incanto, innanzi al suo palazzo. Questo credito però che non si era potuto scalzare dal .più terribile colpo recalo al Banco dalla invasione austriaca del 1746,. bastò poco appresso a disperderlo un soffio della rivoluzione democratica, per avere essa appunto emanate disposizioni, le quali intaccavano la buona ( LXXXVl ) fede, che no era l’anima ed il palladio; simile in ciò la Società di san Giorgio a quei castelli favoleggiati, che non potuti da alcuna forza umana distruggere, si dileguano tosto da per so, conosciuta la magica cifra che ne racchiude il destino. Il Disserente concludeva poi con un cenno Sull’Archivio ilei Barn o, sulle sue vicende e stato attuale, e sul suo ordinamento decretato dalla saggezza del Governo; notava che varii codici c registri in esso esistenti non appartengono propriamente al Banco, sibbene all’antico Archivio finanziario della Repubblica; e viceversa che nell’ Archivio de’ notai si trovano moltissimi documenti (forse un 600 pel solo secolo xm), che varrebbero a completare la storia delle società delle* compere e delle gabelle. La qual cosa basta di perse sola a far capire la preziosità dei due Archivi per la storia delle finanze, del commercio e della sta tistica nel medio evo, non solamente di Genova, ma d Italia e del mondo. Gli esempi degli illustri Boeck, Mommsen e Dureau do la Malie per la storia antica, e conte Cibrario per la media eva, ci mostrano poi quale partito si possa trarre da simili dati, e per lo scopo suddetto e per la cognizione dei costumi , delle invenzioni, degli strumenti guerreschi e marittimi, dell organamento amministrativo, ecc., senza contare i minori, e quasi finora solo adoperati, sussidii per le genealogie e gli interessi privati. Le notizie sulla Zecca e sul valore delle monete, che ivi si rinvengono, aiutano a ben comprendere il vero importo della ricchezza materiale di que’ tempi; la gabella annua sugli schiavi e sulle loro affrancazioni, suggerisce importanti considerazioni morali; e quella sul pane può fornire la statistica della popolazione. « Finalmente (diceva il cav. Desimoni), una grande c pratica » lezione possiamo noi cavare dallo studio di questi documenti. » Noi versiamo in condizioni gravissime, e tali da far sostare » anche i più audaci; pensando quando sarà possibile vincere » non tanto i nemici quanto il Bilancio. Ebbene, se ci era noto ( Lxxwn ) S> ' . .- » di già che Genova nella sua giovinezza non contava gli av- » versarii; tiriamo ora sui conti officiali la somma dell’enorme » suo debito pubblico, ragguagliata all’ odierno valore commer- » ciale, e si parrà con altrettanta evidenza, che la Repubblica » non contava nemmeno il denaro, quando si trattava di que- » stione di vita e di morte, qual era la prevalenza sul Medi- » terraneo. Ma mentre sottostava ad interessi esorbitanti, ed a » pesi sproporzionati all’ angusto suo territorio, si mostrò sem- » pre piena di riguardi verso le proprie risorse, come un indi- » viduo verso del proprio braccio. E qui sono da studiare gli " avvedimenti, con cui i privali si lasciavano partecipare ai » profitti sorti dal pubblico bisogno ; come le deficienze si co- » prissero coll’ estensione dei traffici e colle operazioni, invece » di lasciar ritorcere la fame sul proprio corpo; come le scosse » degli interessi, che sono inevitabili nelle transazioni, si cer- » casse raddolcire con cura quasi paterna, ristabilendo al più » presto possibile 1’ equilibrio finanziario , ed usando perfino ri- » pieghi, che paiono e sono in se stessi effimeri, ma che pel » concorso dell’ opinione pubblica riescono efficaci ; come infine » si mantenesse il più ampio rispetto ai diritti altrui, e si » curasse I’ integrità dei costumi, prima base di ogni saldezza. » Finché le cose procedettero in questo modo, gli sforzi pro- » digiosi , non che infiacchire la Repubblica, la rinvigorirono; » perchè in un corpo sano e ben costrutto, sia individuo, sia » morale o politico, i forti esercizi raffermano la fibra ; il biso- » gno mette in atto sempre nuove potenze, di cui l’anima » stessa era ignara; e non di rado nella sua crisi suprema erompe » una forza arcana, immensa, che investe tutto il corpo, e non » solo lo medica, ma lo ridona a giovinezza non più sperata. » Quale fu adunque la prima causa della decadenza di Genova? » Non l’infiacchimento degli spiriti per sacrifizi abusali, ma la » sovrabbondanza non saputa bastevolmente ordinare sotto una » ferma unità di Governo; donde si rivolsero a lacerarsi a vi- ( Lxxwin ) » cenda, ed intenti al lavoro fratricida, abbandonarono alle più » giovani nazioni le vie del commercio e del progresso, fonti » della loro antica civiltà ». Nella seduta del , febbraio 1863, il socio corrispondente ca- o . Giuseppe A! a n/redi, avea fatto presentare alla Sezione eolocia un codice membranaceo attinente alla storia ge-ese, t il socio cav. Desimoni, giusta I’ incarico avutone, ri-ema intorno al medesimo in quella del 9 gennaio 1864. • uesto.codice è di una conservazione quasi perfetta; si com-P i 18 fogli,, tra i quali 16 sono scritti, e contiene sette muiti, che hanno tutti relazione fra loro. Il primo è una convenzione stipulata in Milano il 5 giugno del 1430 fra il Co-e^ i Genova e 1 Iniversilà dei mercanti milanesi, allo scopo ] li s°are ' ^V/ì '^a Pagarsi per l’entrata in Genova o sortita ffitrei lombarde; il secondo è la ratifica della convenzione esima fattane dal Governatore e dagli Anziani il 14 giugno " anno, il ttIZÙ è la ratifica che a certe condizioni vi ap-ngono i Protettori delle Compere di san Giorgio il 31 succès- * icembrt, il quarto è Ja piena adesione che vi danno i jeessor, degli anzidetti Protettori, addi 1° marzo U3I ; il dpi r 6 ?Ue^° °nt^e *° D)un,scôno i Protettori, delle Compero ^°° ^ aPr*te seguente; il sesto è un arbitraggio r nunziato dal Governatore Ducale di Genova e da Luciano Spi-eri e^,n‘re a^cun* Punti di contesa per dazi lasciati inde- settimi a C°nVenZ,0ne preaccennala> »! 2! febbraio 1431; il in fon 6 QD? S6Dlenza ^>ac>l0 Imperiale, console dei lombardi auesthn •' 1 (,Ua,e *n ^ata ^ C febbraio 1432 decide una relativam ,°S°rt* J Sabellieri ed alcuni mercanti milanesi, v mente alla interpretazione di un articolo della convenzione stessa. a creiVi ^ ^ ?^,Ce ^ ^ SD° conlenul° inducono il Riferente Consolaidi * ‘,c< cola, o più probabilmente ancora del- ( LXXXIX ) 1 Archivio del Consolo milanese in Genova, il quale, come appunto si vede da questi documenti, aveva qui il suo scrivano, la sua Curia, ed i suoi atti e registri. Passa quindi a mostrare come siffatta convenzione dovesse risultare gravosa pei genovesi, i quali trovavansi allora signoreggiati dal Duca Filippo Maria Visconti ; dice * delle difficoltà che ne incontrò perciò appo noi la ratifica, e di un curioso spediente posto in opera dai Protettori del Banco di san Giorgio a tale scopo ; come infine il trattato venisse sospeso od annullato nel 1436. Nola che le relazioni commerciali di Genova colla Lombardia erano allora molto importanti, specialmente per la spedizione dei fustagni e panni lombardi nelle parli marittime; e discorre di alcuni usi che dalla lettura della convenzione in discorso si rilevano. Tra i quali usi sono specialmente a notarsene due: ' ‘ • 1.° Quello del Console dei lombardi in Genova, e del Console dei génovesi in Milano, con piena ed esclusiva giurisdizione sulla colonia affidata alla loro tutela in fatto- di cause civili, e rispettivamente eletti dalla colonia medesima. Ma il Console lombardo deve essere un genovese, e quello di Genova deve essere un milanese; acciò chi esercita -una parte importante di giurisdizione all’estero , sia legato dall’amor patrio, e-non abusi del proprio ufficio contro del suo Governo. 2.° Quello di una specie di tribunale arbitrale, o meglio di giurati, per cause civili e commerciali, appellali boni viri de tabula; dei quali però già si trova menzione nelle Memorie mss. del Cicala, sotto l’anno 1380. Il cav. Desimoni si fa poscia a notare ed illustrare le frasi ed i vocaboli tecnici, che nella detta convenzione si leggono; e toccato con brevità dello scopo generale dei trattati finanziarii di Genova con altri paesi, e delle massime fondamentali a cui s’ informavano per que’ tempi,' ragiona di quelle che nel presente trattalo si manifestano ,• dei diritti e dazi che vi sono con* ( *c ) tempiali. Quindi accenna alla zona inlerna, o distretto della Repubblica, ricordala in essa convenzione, da Monaco a Capo Coivo, e prendendone occasione per ispiegare una particolarità che risulta da altri trattati daziarii, chiarisce la finora non bene intera denominazione del Pelago, mercè cui soltanto si possono convenientemente capire i molti convegni di navigazione consertati nei nostri Lòri de Giuri; dimostrando che i genovesi intendevano di significare con tale parola l’alto mare, od altura, come oi a si dice con vocabolo tecnico, la quale pei genovesi cominciava al di là dei seguenii tre punti: Roma ad oriente, Salò ad occidente , e Capo Corso a mezzogiorno. Di guisa che 1 altura al di là di Roma e di Salò abbracciava ogni parte marittima, anche vicina a terra; ma si scostava di tre miglia dal lido tutto giù quanto è lunga la riviera di Toscana, Gonova, movenza e Catalogna. Donde apparisce chiara e distinta, fino al 1400 almeno, la nozione commerciale del cabotaggio, e la nozione politica del mare territoriale. i tale analisi si giova poi il Riferente, per gettare una rapida occhiata sul grado di sviluppo a cui erano giunti fra noi a quei tempi il diritto internazionale e I’ economia politica. La storia di simili trattati è la storia della lotta tra il diritto crudo o | ì g • goismo, e I equità o la giustizia sociale, colla vittoria graduale della seconda sul primo. Genova, e in generale le città marittimo del medio evo, precorsero in ciò di molto i contemporanei Governi feudali ; e non è quindi a meravigliare, se nel presente trattato si trova già ristretto a certi casi l’arresto personale, vietato il sequestro delle merci altrui, e cosi riconosciuto il valore fiorale dell individuo, sciolto dalla antica solidarietà della tribù; ammessi ancora tribunali particolari, con più spiccie forme, e mezzi prova e prescrizioni, che erano per que’ tempi un notevole Uioramento ; nel mentre stesso però, in cui si vede conserta ancora la crudezza del medio evo, nella moltiplicità dei mi differenziali da merci a merci, da paese a paese, da ( XCI ) terra a mare, col solito corredo di molestie doganali, sebbene anche qui cominci a trasparire qualche senso di delicatezza. L’ avv. Desimoni chiude la sua Relazione mostrando la utilità che deriverebbe alla nostra Storia dello studio complessivo di tutti i trattati sotto questo punto di vista ; e per aiutare altrui ad imprendere sì bel lavoro, egli tenta già da più anni di ricomporre le sparse membra degli antichi nostri Archivi ; promette infine di comunicare alla Sezione un elenco di tutti i documenti venuti a notizia di lui o del socio Belgrano, riguardanti i trattati della Repubblica o delle Compere di san Giorgio, i nomi degli ambasciatori, consoli e visconti che vi figurino, i codici manoscritti o stampati dove essi distesamente o per sunto si trovino. Oltre alle Memorie precitate del cav. Desimoni, intorno alle Compere di san Giorgio, altre dobbiamo ancora notarne che alla Instituzione medesima si riferiscono ; e sono due lavori del socio Belgrano, i quali considerano la politica sovranità di quel Banco, e furono letti nelle sedute del 13 dicembre 18G2 e 12 stesso mese dell’ anno successivo, alla Sezione d’ Archeologia. m E noto come nel 1453 la Repubblica di Genova, impaurita delle vittorie di Maometto n, cedesse le colonie oltramarine, che, dopo la caduta di Costantinopoli, rimanevano in suo potere, ai Protettori di tali Compere; e come eziandio nell’anno medesimo, non potendo, per 1’ esausto tesoro, far fronte da sola alla guerra che le aveano suscitata nella Corsica i catalani, abbandonasse pure a san Giorgio il pieno possedimento di quell’ Isola. Il socio Belgrano, per ciò che. ha tratto alle colonie^ s’inter-teneva di preferenza a ragionare di Caffa, capo e centro delle medesime; ne descrivea l’amministrazione sì per ciò che riguardava il temporale, e sì per quello che rifletteva lo spirito; dicea de’ consoli che successivamente la ressero, e de’ quali alcuni rimasero sconosciuti al chiaro storico della Crimea, cav. avvocato Canale. Ragionava del governo di ciascuno fra questi, nel pe- ( XCII ) riodo che corre dal 1454 al 1475; notava come siffatta importantissima terra venisse grandemente fortificata da un Giovanni Piccinino (forse quel desso che mori alla battaglia del laio nel 1495); il quale ragguagliando i Protettori intorno alle opeie mio (8 giugno e 6 settembre 1455), scriveva che le medesime erano siate accette noti solo a* genovesi, ma agli armeni ed a greci, mentre i fossi de’ borghi riuscivano si forti e belli, che tn Italia sarcòrno bastati a ogni oste. Dimostrava infine il socio Belgrano come fosse veramente nell’animo de’ Protettori, il pensiero di risollevare le sorli delle loro colonie; mentre gli uomini spedili a comandarle, più teneri del proprio lucro che del pati io onore , fecero ogni mala opera per ridurla in breve allo stremo di ogni miseria. Di guisa che I’annalista Giustiniani, toccando della loro perdita, bene a ragione conclude di non poterla riferire « senza » gran cordoglio, considerando che tanto danno e tanta giat » tura è stala causata alla città per malizia e per difetto dei » propri cittadini, i quali, accecati dall’avarizia e dal bene par » ticolare, non si hanno fatto conto del bene pubblico • ( )• Di un fatto ancora, che ò risultato dalla Memoria dtl socio Belgrano, sarà pure opportuno ohe venga fatto ricordo. « In una delle sue lettere (dice egli), il console Tommaso di o » mocolla rende informalo l’Ufficio di san Giorgio della perdila i » un castello denominato di Lerici, sito nella giurisdizione di 1 » castro,, ed appartenente ai fratelli Senarega di Genova. ^ » notizia della esistenza di questo luogo forte nel Mare ft ag » giore, non è già affatto nuova, poiché se ne trova ricor » nello Spotorno, il quale per altro erroneamente 1 appc » Castrice (**). Ma V Archivio di san Giorgio ci offre una » particolareggiata relazione del come i legittimi signori ne » rimanessero spogliati; relazione dettata dal cancelliere Am (*) Giustiniani Annali, ecc., voi. li, pag. 475. (.**) Si’otoiim), Storia letteraria della Ligiiriii-, voi. m», P'1"- 68. ( CXIII ) » brogio Scnarega, e da lui stesso presentata a’ Protei-» tori, correndo il 1455. Ivi egli narra come i suoi fratelli » Tommaso, Gerolamo, Gregorio e Giovanni, avessero compe-» rato quel castello a caro prezzo dai tartari, per costituirne » segnatamente un rifugio a pro’ dei cristiani perseguitati; come » parecchi valaccbi dai tartari stessi fatti schiavi, e dai Sena-» rega riscattati per la cospicua somma di 3400 ducati, mettes-» sero a profitto dell’ inimico la generosa ospitalità conceduta loro » nel castello medesimo; sì che, indettatisi con alcuni manda-» tarii del Signore di Moncastro (i quali per essere vestiti da .» pescatori si appressarono al luogo senza destar sospetti), » dopo avere trucidato il custode della torre , ne aprirono » agli avversari! l’ingresso, conducendone seco prigionieri i «padroni ». Le ragioni di cattiva amministrazione, che in molta parte concorsero ad affrettare la caduta delle colonie orientali, furono pure- a loro volta quelle, che ridussero a mal partito la signoria di san Giorgio nella Corsica; e determinarono i Protettori delle compere a farne retrocessione alla Repubblica, col trattato del 1562. Il socio Belgrano però si restringe soltanto ad esaminare e discutere i mezzi, pei quali i Protettori stessi fecero prova in sul principio di rassodare nell’ Isola quell’ imperio, che avevano ricevuto. Per lo che, fornita una idea della partizione amministrativa della medesima, viene tosto a discorrere degli agguerriti eserciti e degli espertissimi capitani inviati a soggiogarvi i ribelli ; esponendo il piano delle operazioni che allora vi si compierono. Accenna poscia ai magistrati spedili a governarla, ed osserva che negli stessi, era sì generale, sconfinata ed aperta la corruzione, che i Protettori, nel 1458, consegnando le loro istruzioni al Vicario Cosma Pallavicino, vedevansi astretti a confessare come il suo predecessore, Luchino Di-Negro, fosse stalo un singolare esempio d'uomo, per essere uscito d’ ufficio colle mani ( XCIY ) mite (‘. Diceva in ultimo quali nuovi forti o castella vi si facessero allora innalzare; e quali arli di scaltra politica adoperassero i Proiettori medesimi, per cattivarsi 1’ animo di una parte almeno dei caporali. Notava in pari tempo a quali vantaggiosi ordinamenti l’Ufficio delle Compere desse mano, o riformando i pesi e le misure dell’ Isola, o migliorandone il sistema stradale ; al quale proposito toccava del progetto di un ingegnere per nome Nicolò Tedesco, il quale, descrivendo il sito della città di Aleria, proponeva il diboscamento delle valli che la circondano, allo scopo di ridonarle a coltivazione; di rendere navigabili le fiumane che la solcavano, immettendovi gli stagni di Diana e d’ Orbino; di utilizzare le saline che si trovano di là discoste un miglio e mezzo all’ incirca. Se non che, quanto i Protettori di san Giorgio mostraronsi avveduti per isminuire od allontanare i nemici ed i pericoli interni; altrettanto chiarironsi incapaci a schermirsi dagli agguati, che loro si tendevano al di fuori. E già nel 1460 l'arcivescovo di Sassari, Antonio Cano, scriveva ad un Catacciolo, per persuadergli la soggezione della terra di Bonifazio a Giovanni 11 d Aragona ; il quale prometteva che avrebbe con una provvigione di cento annui ducati ricompensate del tradimento lo famiglie più benemerite, e distribuite a' bonifacini le foreste di Logudoro e Longonsardo. Toccava pure della Corsica per I’ epoca da noi ora accennata il presidente cav. Tola. Il quale nella sua Dissertazione sui monumenti storici e diplomatici della Sardegna nel secolo xv ( )> di cui diede lettura alla Sezione di Storia il 26 febbraio 1863 e 23 marzo 1864, con molta copia di documenti metteva a nudo le arli insidiose e perverse, merce cui gli aragonesi, allora (*) Parole delle Istruzioni stesse, nell’Archivio di san Giorgio. ( *) t cdrà in breve la luce nel voi. u del Codex Diplomai icus Sardiniae, fra i Monumenta ì liston'ia e Patriae. ( xcv ) appunto signori della Sardegna, mirarono in tutto quel secolo ad estendere alla vicina Isola la propria dominazione; mentre che i genovesi, fieri della loro sovranità, attendevano a pigliare esemplarissima vendetta dei traditori, appartenessero questi alle,famiglie primarie del paese, ovvero fossero costituiti in ecclesiastiche dignità. Del che è prova bastante il lungo processo contro Giacomo di Mancoso vescovo d’Aiaccio, che compro dal Viceré di Sardegna colla promessa della porpora, pagò nel 1480 il fio della sua mal riposta ambizione col carcere, colle torture e colla vita, che terminò (non è ben chiaro il come) nel castello di Lerici in Liguria. Ed alla storia della Corsica, benché a tempi d' assai più vicini, appartiene eziandio la Biografia di Pasquale De' Paoli, cui lesse il socio march. Jacopo D’ Oria, nelle adunanze tenutesi dalla Sezione Storica il 30 marzo, 21 aprile, 11 e 29 maggio, 19 giugno, e 10 luglio 18G3. Giova d’ introduzione al lavoro un rapido sguardo alle più segnalate vicende, per mezzo a cui trascorse quell’isola ne’ secoli, che precedettero il xvni; e dopo ciò, fautore viene a ragguagliarci distesamente intorno la vita e le azioni del suo protagonista. Il quale invero, assuntasi una missione irta, quant’altra mai, di difficoltà e di perigli, non potè vederla approdare a buon fine, se non per quella parte, che riguardava la cessazione della signoria genovese: conciossiachè il noto trattato del 17G8 ne facesse passare da Genova alla Francia i tanto contesi diritti di sovranità. Laonde il Paoli, dopo la. rotta di Pontenovo, accaduta nel maggio 1769, si trovò astretto a rifugiarsi in Inghilterra, ed ivi stette fino all’epoca memorabile del 1789; nel qual anno, richiamato dal lungo esilio, venne eletto in Corsica Presidente dell’ Assemblea primaria e dell’ Amministrazione dipartimentale. Non andò guari però che gli orrori dei francesi rivolgimenti, inspirarono al Paoli i più gravi timori per la prosperità e la quiete della diletta sua Isola; ed egli la pose *( XCVI ) allora sotto la protezione della Gran Bretagna, la quale, temendo a breve andare 1‘ingerimento ed il prestigio di lui, chiamavaio a Londra. Poco stante le armi viltoi iose dei repubblicani, riconducevano nel 1$ soggezione francese la Corsica, eh’ci non doveva più rivedere. Nella seduta della medesima Sezione di Storia, del 31 luglio 1803, il segretario Giacomo Da Fieno leggeva una sua scultura, poco di poi pubblicala, intorno la legazione di Lazzaro D’Oria a Roma nel 1485; la quale specialmente si riferisce alla guerra combattuta tra’ fiorentini e genovesi pel dominio di Sai -zana, ed alla breve pace che segnarono allora le due Repubbliche, per la mediazione di papa Innocenzo vm. Leggeva pure lo stesso socio (Sezione predetta, 22 maggio 1864) il principio di una sua Illustrazione del monasteio di san Nicolò del Boschetto, presso Rivarolo in Polcevera; e ricordato coniQ se ne debba la fondazione ai Grimaldi, in sugli esordi del secolo xiv, narrava come vi fossero poco dopo introdotti i benedettini della Congregazione di santa Giustina di Padova, i quali se ne mantennero al possesso infino all’ epoca troppo memo randa del 1707. Nella tornata del 27 gennaio di quest'anno (Sezione summen tovata), il preside barone Carlo Nola discorreva brevemente la vita del march. Antonio Brignole-Sale, e dei commendatori Isnardi e Vieusseox; ma di essi non diremo qui di vantaggio, avendo già compiuto al doloroso ufficio di ricordarli nella A corologia. Faremo invece menzione dello applaudito Elogio dell avv. Loitn~o Costa, che pronunziava il socio cav. Antonio Crocco nelle tornate dell’assemblea generale dei 31 maggio 1863 e 24 gennaio dell’anno seguente. L autore toccato degli studi giovanili, e dei primi saggi di scritture in lingua latina, con che Lorenzo Costa incominciò a manifestare il suo vivido ingegno, ragionava del carme Theatrum Gemerne, che vide la luce per 1’ apertura del nostro Carlo Felice, dei.due libri eh’erano destinati a far parte del poema Andrea / ( XCVII ) D Oria, lasciato inedito ed incompiuto, e ne traeva uno splendido episodio ricco di eletta poesia virgiliana. Diceva del vero intendimento che mosse il Costa a dettare il Colombo, ne accennava le mende, rilevavano i pregi ; discorreva de' trentadue canti del Cosmos, e del disegno altamente cristiano propostosi dal Poeta in dettarlo; benché poscia si arrestasse accorato dal compierlo, per avere gittati inavvedutamente ben diecidi que’canti alle fiamme. Che s’egli avesse potuto ridurlo al suo termine, questo poema dell* Universo sarebbe tale riuscito, da procurare sovra d’ogni altro lode e fama al Cantore. 11 quale frattanto, contemperando i lunghi studi con altri minori, dettava non poche magistrali canzoni, meritevoli di essere collocate fra’ più inspirati componimenti della moderna letteratura, alcune prose italiane, diverse epistole latine specialmente foggiate sullo stile di Persio, parecchie iscrizioni così nell’ una come nell’ altra lingua d’Italia, belle d’antica eleganza e di romana breviloquenza. Il socio cav. Crocco accennava per ultimo alle ben composte fattezze del Costa, e suggellava il suo dire coll’aurea sentenza di Tacito : Come gli umani volti, cosi i loro ritratti si corrompono colV età ; V effigie della mente è eterna. § II. Dopo la enumerazione dei lavori storici a’ quali si attese dai socii, riesce utile, e per me doveroso, il tenere parola dei jlo-cumenti e delle notizie che essi vennero eziandio di tratto in tratto comunicando; imperocché molto lume può derivare dalle medesime, sia al processo de’ fatti, sia alla vita degli uomini cui riflettono, e sia pur anco alla patria bibliografìa e letteratura. Gioveranno in pari tempo i documenti a formare come il principio di un Archivio particolare dell’Instituto, ad imitazione di quelli cui danno opera le dotte Accademie delia Germania; e a preparare cosi la via alla compilazione di quel Regesto, il quale di già proposto fra noi O, confidiamo possa un giorno, (*) Vedasi il volume ì di qucsli Alti a pog. 040. ( XCVIII ) mercè appunto gli accumulati elementi, venire tradotto in effetto, con indicibile benefizio e vantaggio della nostra Storia. Ricordiamo pertanto, che il socio cav. Desimoni presentava un lettera scritta da’ genovesi al papa Urbano ni nel 1187, dopo la rotta di Tiberiade (*) ; e forniva contezza di un pre- (*) Questa Intera è stampata a pag. i72 del vol. II. deir opera di Benedetto aliate Pielroburgense, De vita el gestis ìlenrici II et Hichardi /. (Oxonii, 1735J. Però non essendo conosciuta fra noi, credo utile riferirla. Epistola Jamexsii.ii ad Urbani m Papam Piissimo Patri et Domino Urbano Dei gratta sanctae et universalis Ecclesiae Pastori dignissimo, Januenses de communi debitam in omnibus cum subieclione reverentiam. Ex celebris famae relatu, Sanctissime Pater, et lugubri civis nostri de ultramarinis partibus redeunti narratione didicimus judicia quae operatus est Deus in partibus illis his diebus, et quomodo provocatus peccatis nostris ante tempus quodammodo visus est judicare orbem terrae in aequitate, sed misericordiae suae oblitus. Dum enim rex Saladinus cum octoginta milibus militum, et eo amplius in sequenti die veneris post festum apostolorum Petri et Pauli teiram Jei%usalem inlrassel, et Tabariam vi coepisset, excepta castri munitione qua se Domina loci cum paucis militibus receperat, nuntiata sunt Regi quae acciderant. Et cum ipsi Regi potius assideret de muniendis civitatibus et loci, quam adeo subito se discrimini pugnae objicere, tandem de consilio Comitis de Tripes (sic), qui cum eo nuper foedera pacis in/erat, ad instantiam Milioni (cum lacrymis Dominorum de Tabernia, qui ad succursum matris anclabant) Rex processit ad Taberniam. Deinceps Comes et Dux et prerius itineris lotvm exercitum in eminentem el saxosum locum constituit. Ibi vero, imminentibus hostibus undique, necessitate compulsus, Rfx de baronum consilio bellum committere dignum duxit; et ad eorum instantiam Magistro et militibus Templi primos ictus concessit: disposil/s per acies certis militibus ordine suo ad pugnandum el Comiti Tripolitano cete-risque capitibus bellatorum vexillis traditis. Itaque mi li lia Templi sicut hec foriis in hoste concurrens, partem stravit, pariem fugavit. Certi vero , regio spreto mandato, nec processerunt ad pugnam, nec u’ium eis praeslavcre succursum; unde milites Templi relenli et trucidati sunt. Postmodum Christianorum exercitum laborioso ilinere confectum, et nimio calore pregra-vaium, aqua omnino dtficienle pati (patenti?), igne circumdederunt. Tunc sex ex militibus Regis, scilicet Ratdcwinus de Forluna et Ranulfus Buceus et Laodictus de Tabaria, cum aliis iribus sociis diabolico spiritu arrepti ad Satadinum confugerunt ; et sponte saraceni facti, de omni esse et pro- ( XCIX ) zioso frammento di statuto genovese del secolo xm, da lui scoperto nell’Archivio di San Giorgio; nel quale specialmente si fa memoria dei doveri del Castellano di Gavi O. Comunicava un cenno di quattro atti riguardanti quel Buscarello di Ghizolfo che due volte, nel 1289 e 1302, venne dal Mongollo re di posito alque conlinenliis Christianorum cum instruxerunt. Saladinus vero , quia de discrimine premii anxius dubitabat, resumpsit vires, el cum tubis el multitudine bellatorum infinita in chrislianos, qui propter loca el saxosa et invia pugnare non poterant, assalium fecerunt, el eos omni genere pugnandi Saladinus pugnavit et expugnavit. Tandem Tekedinus Saladini nepos Guidonem Regem Hierusalem fugam accipientem el Crucem ligni Dominici coepit. Caeler i omnes fere confracti, capii, trucidali el vinculis mancipati sunt ab ipsis Parlhis, proh dolor! in campo omnino superati. Slatini vero Saladinus militiam Templi et hospitales milites segregari fecit ab aliis, et coram se decapi lari ; el ipse Principem Rainaldum propria manu interfecit. Dein civitatem Accon coepit, el adiacentia loca et munitiones fere omnes de partibus illis. Syri qui in partibus illis remanserant (sicut ferebatur), nuntios de reddenda civitate Saladino mittebant. In Tyro omnes qui de Accon confugerant, et multitudo profugorum Christianorum se recepit. Ascatona bene victualibus el bellatoribus inclitis et (est?) bene munita; el Antiochia et Margal cum tota fere lerra sunt b ne munitae. Terra Tripolitani Principis adhuc salva erat. Super his itaque tam gravissimis et inopinatis malis quae peccatis emerserunt, Clementissime Pater, tanquam Summus Pontifex Christi Vicarius, pius Papa et Dominus....... gregem Dominicum vobis commissum sancta cogitatione intendile, deliberatione prudentissima providete, et operis efficacia magnanimiter procedile. Convenite gentes et adunale populos, et ad recuperanda Sancta sanctorum, et ad recuperanlam terram illam bealissimain ubi sieterunt pedes Domini, ubi radiant officinae redemptionis nostrae el Christianae fidei sacramenta, cor in humerum date No?i enim obbliviscelur misereri Deus, qui in ira continet misericordias suas, quia prope est Dominus invocantibus eum in veritate. Nos sane, licei de possessionibus cuJii mulla sanguinis paclis nostrorum maiorum effusione, per novos dominos, qui nec Deum timere videbant nec homines vereri, in partibus illis iniuriam patimur, nec ullam adhuc inde potuerimus conscqui rationem, si, ut ad Sanctitatis Vestrae notitiam pervenisse non dubitamus; mandatis, vestris, tanquam Palris el Domini, nulla ratione deerimus. Valeat in Domino Sanclilas Vestra, pie Paler. (*) Sarà pubi licalo in un secondo volume di l*cgcs Municipales, fra i Monumenta flisloriae Patriae. ( c ) Porsia Argon inviato ambasciatore al Pontefice, e ai re
  • 26 et 27 apri lis. Galea Buscatili de Guisulfis et sociorum olidhum dotaliorum, Ms. della Civico-Beriana, vol. Il, parle I, car. *29 verso). 1 *2*0, 2/ augusti. Buscarellus, Guitielmus, Guisulphinus, Alanuci, Pe-ntìus et Per aval de Guisutpho fruires (ì d. vol, \\\, parle f, car. 49 verso), -SI, li martii. Alda uxor qm. Joannis de Guisutpho, nomine Guitietmi, u scare III, Guisulphini, Manuelis, Petrini et Percivatis filiorum suorum , <■ fi'orum dieu qm. Joannis eius riri (Id. iliiil. car. SO verso). -I madii. Argonus de Guisuiphis qm. Domini lìiisrarelll falciar eonardo de Guisuiphis, etc. (Id. ibid. par. Il, car. (2 recto). ( CI ) non che una noia di dottori, professori e studenti liguri della antica Università di Pavia (*). Il socio P. Vigna presentava un elenco dei documenti onde componesi un volume di convenzioni avvenute fra il Comune di Varazze ed i paesi limitrofi, a cominciare dal 125G, tuttodì conservato nell’Archivio municipale di quel luogo; e il socio corrispóndente signor Antonio Bonora descriveva un codice membranaceo dell’Archivio della Collegiata di Firenzuola, di cui fa (*) Codesta nota è redatta sovra i dati che si contengono nelle Memorie storiche di Pavia del Robolini; ed accenna i seguenti: A. 1371. Bartolomeo Ferrari, da Genova, subì nella Università di Pavia V esame • di Logica e Metafisica; nel 1374 era ivi stesso magister artium, e tuttavia v’ insegnava nel 1386. 1374. Lorenzo Beccaria da Genova, medico e doctor artium, era promotore alla laurea di un maestro Beltramino da Savona. 1375-79. Giovanni da Genova professore di Logica. 1386-87, e 1390. Pietro da Sarzana professore di Filosofia naturale e d‘Astrologia. 1387. Giovaimi da Bobbio professore ne’ Volumi. 1390-91. Battista d’ Jacopo da Genova rellore dei giuristi. Nel 1399 leggeva Codice a Piacenza. 1395. Bartolomeo Bosco (il fondatore dello Spedale di Parnmulone) rellore in leggi. 1396. Giacomo Saivago, carmelitano, è fallo dottore. 1396. 1400, 1404. Raffaele da Savona, rettore in leggi. 1397. Giacomo da Savona, rettore come sopra. 1398. Gabriele da Savona, rellore come sopra. 1401-4. Bonifazio Guasco da Genova, vice rettore de'medici. 1421-22. Giacomo da Novi, professore di Lettere e Metafisica. 1425. Giovanni Spinola, prof, ne’ Volumi. 1425-26. Marco praepositus ianuensis , prof, nelle Decretali. 1425-29. Giorgio Spinola, lettore di gius civile extra ordinem. 1433.-36. Antonio Marengo da Novi, lettore in medicina. 1435. Francesco Della Rovere, savonese, poi papa Sisto IV, annoveralo fra i dottori; c quindi prof, di Filosofia moraje e Teologia nel 1444-45. 1440. Raffaele Adorno, poi Doge di Genova, professore di gius civile in tale anno, e di bel nuovo dopo il 1446. 1446-47. Frate Agostino da Genova, prof, di diritto canonico. ( ™ ) parte una leggenda o vita di san Fiorenzo, dettata dal cronista ed arcivescovo genovese, il beato Jacopo da Varagine. 11 socio Domenico Guarco presentava otto pergamene degli ultimi anni del secolo xm, attinenti all’antico ed ora deserto monastero di santa Maria di Latronorio od Areneto , nella Riviera Ligustica occidentale, fra Cogoleto e Varazze; e il socio avv. Ippolito Isola comunicava la copia di una lettera in materia di obbedienza alla Sede Apostolica, indirizzata il 28 di luglio del 1606 dal Doge di Genova a quello di Venezia, e desunta dal codice c. xxm della Maracelliana di Firenze. Per ultimo il socio Wolf dava notizia della esistenza nella pubblica Biblioteca Piacentina di un esemplare delle leggi genovesi del 1528, scritto di mano di un Baldassarre Adorno; e comunicava il sunto di parecchi alti dei secoli xu, xm e xiv, riguardanti la Storia ligure, custoditi nell’ Archivio Capitolare di Tortona, non che la copia di un documento, abbastanza curioso per ciò che si pretende profetizzarvi relativamente alla distruzione di Genova (*). (*) Fu ricavato da uno zibaldone di atti notarili trascritti nel eccolo x\ , cd esisleute nell* Archivio della mensa vescovile di Piacenza. PROFETIA GENUENSIUM fnter caput Farii et Albarii aedificatur civitas opulent issimi et mediani e dracone psa civitas destruetur el in angulis civium ( sic ) destruetur et transeuntibus dicetur : « Hic fuil Janua suptrba ». Janua mesta libi Sibila sa’utal. Ntm nerificande temale audiendo Bene tibi acciderit quod aquila superabo Sol nascetur iusti el major pars irascolur Sol morietur et Janua morta eris Sicut ignis palearum libi accidtril Et bina flagrila.flagellabunt ubique El spoliaberis de foris et perjecta eris per totum Docebis in tc diu el posita eris ad ima Colorum duorum arma tc subjugabunt, ( CUI ) Prima di chiudere questa parte del mio Rapporto, io debbo ancora accennare come, per soddisfare alla domanda che il Regio Comitato del Museo industriale di Torino aveva diretta alla Deputazione Provinciale di Genova, una Commissione creata i*ell’adunanza generale del 22 novembre 1863, e composa de sodi Alizeri, Cepollina, Desimoni e Belgrano, ha compilato un ^elenco bibliografico di tutte le opere, dalle quali potrebbono aversi notizie riguardanti 1 agricoltura, 1 industria ed il commercio aclla Liguria; e che la R. Deputazione di Storia Patria per le provincie delle Romagne ha voluto chiamare questa Società a prendere parte alla compilazione dì una Grammatica comparata dei dialetti d'Italia, secondo il disegno svolto dal eh. prof, cav. Emilio Teza, nella tornata del 24 aprile 1864 alla Deputazione medesima. Finalmente ricorderò che nell’anno 1862, il cav. Desimoni, chiudendo le tornate della Sezione di Storia, aveva espresso il desiderio di vedere introdotta nella nostra città la lodevole usanza di inscrivere su lapidi marmoree, da apporsi nei ! luoghi ove accaddero fatti memorabili, o dove nacquero od ospitarono uomini egregi, o dove già sorsero cospicui monumenti , la ricordanza di que' fatti, di quegli uomini , di quei monumenti. Il cav. Alizeri, nella Sezione di Belle Arti , rinnovava un anno più tardi quel voto; e nominavasi allora nella persona dell’Alizeri medesimo, e* de’ socii Carlo Biale e Marcello Slaglieno, una Commissione coll’incarico di redigere sulla opportunità della cosa una memoria. Questa veniva di-falli estesa dal prefato ingegnere Biale, e trasmessa quindi al- Diccndo ita quod pars dicci parti lolac dotcbil Justitiam faciet de non credendo favilla Posi hacc mors stimma mors mortis cima llcdi es in statum major cm supra minorem Sanguis decurrens in angulis pia Icarum Videns hacc Dominus gemitum audiet viduarum. ( ctv ) l’assemblea, die volendo speditamente concretare la proposta, nella seduta del 14 agosto 1864 aggiungeva a’ predetti commissionati i socii Vincenzo Ricci, Massimiliano Spinola, Jacopo D’Oria e Giuseppe Scaniglia, conferendo loro il mandato di specificare i fatti, gli uomini e i monumenti del divisato onora segnatamente meritevoli; acciò trasmessane nota al Municipi, con la preghiera della iniziativa e della cura dell’opera, papesse dal medesimo sollecitamente mandarsi ad elTetto un disegeo, il quale sarebbe e un giusto tributo di riconoscenza ai passati, ed un continuo ed efficace ammaestramento ai presenti. PARTE IH. 1 Nella seduta del 26 maggio 1861 il socio prof. Tamar Luxoro, sottoponeva all' esame de' colleglli un Portolano o ^-Atlante idrografico che egli possiede; e il cavaliere Cornelio Desimoni illustravalo poi con due Memorie, lette alla Sezione Archeologica il 6 giugno e 5 agosto dell’ anno seguente. Siffatto Portolano è attualmente composto di otto pergamene ripiegate a libro, 1' ultima delle quali vedesi incollata alla coperta in pelle, graziosamente lavorata e tuttavia esistente, e la prima porta ancora sul suo rovescio delle traccie di colla o paMa » per cui dovea essere attaccata pure alla coperta, o fon>e ad altre carte. Vi si trovano delineati il Mare Mediterraneo ed il Mar Nero, le Isole Britanniche e la costa atlantica fino a Salle, cioè poco olire lo stretto di Gibilterra soltanto; ina non vi s| rinvengono nò le Azzurre, nè le Canarie, nò alcuna isola del ( cv ) Maro Atlantico; c questa mancanza, unitamente all’altra dei Capi di Gozola o Bojador, che già si vedono, più o meno chiaramente, indicati nelle carte dei Pizigani, Catalana, e Laurenziana del 1351, non si può spiegare se non supponendo che tali luoghi o non erano conosciuti ancora al tempo della costruzione deir Atlante in discorso, o pure doveano essere raffigurati in altre carte dello stesso, ora smarrite. Ma questa seconda supposizione è poco probabile ; perchè il maggiore spazio che richiedeva la loro rappresentazione, non è tale certamente da esigere una pergamena di più, anzi nemmeno una parte notevole di essa ; e quindi sarebbe tornato facile all'autore il regolare le proporzioni del suo Portolano, in modo da contenerla. Oltre ciò sembra ancora, che una parte almeno delle isole atlantiche avrebbe dovuto essere rappresentata entro i limiti delle carte tuttavia esistenti. È adunque verosimile che la sua costruzione sia anteriore alla scoperta dei luoghi non indicati, cioè sia fatta avanti il secolo xiv ; e per vero anche il carattere, di un bel rotondo, accenna al secolo precedente. Ciò posto, Y Atlante del prof. Luxoro sarebbe il più antico conosciuto fra le carte simili del medio evo, e, come tale, meriterebbe di venir pubblicato ; tanto più che la sua nomenclatura de' luoghi offrirebbe modo da dilucidare e correggere quella degli altri Portolani, non ancora bene stabilita per gli errori di cui sono intinte le copie, e non raro ancora gli originali. Da alcune osservazioni su questa nomenclatura e sulle posizioni dei luoghi, il Riferente era tratto a credere che Y autore dell’ Atlante fosse veneziano piuttosto che genovese ; ad ogni modo l’uno o l’altro, piuttosto che pisano o non italiano. Faceva tuttavia rilevare la difficoltà di stabilire esatti criterii a tale riguardo; giacché gli autori di qualunque nazione solevano l’un l’altro copiarsi, e ritenevano insieme dei resti di nomen- . ( evi ) soggiungeva che il miglior criterio per conoscere la patria di tali idrografi, non ista già nella denominazione dei capi e delle terre nuovamente scoperte, la quale piuttosto indica la patria delio scopritore, ma bensì nella nomenclatura e nella delineazione del paese nativo deir idrografo stesso, le quali, oltre all essere più esatte e minute, offrono certi idiotismi, che risultano molto giovevoli a scoprire essa patria ; come sarebbe per esempio, nei veneziani l'uso dell'jetacismo Veniezia e b(in Ziorzo. L avvocato Desimoni passava inoltre ad esaminare più minutamente questo Atlante, e ne notava la mancanza di proiezione e dei gradi di latitudine e longitudine (mancanza comune a tutte le carte del medio evo), e con tutto ciò una perfezione, per quei tempi, mirabile nella configurazione delle coste e dei mari: perfezione dovuta ad una lunga pratica marittima, stata stranamente poi deturpata dai commentatori di Tolomeo, e non senza gravi fatiche ristabilita dai dotti del secolo scorso. Esaminando il sistema delle rose dei venti, che in questa ed in tutte le altre carte che le somigliano dirigono il marinaio per gli ampi spazii, osservava l'autore, che l’Atlante Luxoro le presenta diverse da tutte le altre da lui conosciute, giacché mentre in quest’ultime le rose sono in gran numero e in pieno mare, incrociando i loro venti o raggi, ed insegnando con < iò la direzione che deve prendere il marinaio, il Qua^e s| trovi sul centro della rosa stessa o dell' incrociamento ; nel nostro Portolano invece ogni carta ha due mezze rose soltanto, j una al di sopra e Y altra al di sotto d’essa carta, delineate non sul mare ma sulla terra, e i cui raggi s*incontrano cosi fra loro, come con una linea intermedia ed orizzontale che divide la caria in due parti uguali. Donde potrebbe credersi che nel sistema marittimo del* nostro Atlante, il marinaio tenesse per base o centro di direzione, non già le rose, ma ld liri(ja or^ontale da cui doveva poi introdursi lungo i raggi 0 ( CVII ) delle rose medesime, quando fosse al luogo designato, come la via più breve per giungere alla meta propostasi. E questa particolarità non sarebbe aneli' essa, per avventura, un argomento di maggiore antichità nell’ Atlante del prof. Luxoro rimpetto a tutti gli altri già noti? L’autore esprimeva quindi il desiderio che la nostra Società si occupasse di raccogliere ed illustrare le carte marittime dei genovesi, o fatte in Genova, o che trattano di qualche pai te ov’ essi ebbero dominio. Per questa via soltanto (diceva egli), imitata anche dagli altri popoli, si potrà avere una esatta lezione dei nomi, delle loro etimologie ed analogie, e dedurne conseguenze non solo per la storia del progresso della geografia e della navigazione, ma anche per le storie municipali. Co^i della carta del genovese Visconti del 1318 si giovò molto Potoki pel suo Periplo del Mar Nero; dalla carta del Sanuto vengono schiarimenti sulle stazioni genovesi, anconitane ed amalfitane nella costa meridionale del mare medesimo ; e da tutte le carte riunite vediamo la geografìa (per esempio) delle coste ligustiche cambiare nel corso dei secoli per guba, clic alcuni nomi nuovi sorgono quando altri scompaiono, e che diversi già scritti con tinta rossa (la quale indica la maggiore importanza del luogo) vengono poi scritti in nero. Così fino alla metà del secolo xv continua 1’ antico nome di Olivola dato al porto presso cui sorse Villafranca, continua 1 ora ignoto di Sebe o Seve tra Ventimiglia e Portomaurizio, e nella Riviera Orientale Sestri è scritto in rosso ; ma dopo questa epoca* lo è invece Chiavari che 1’ ha scavalcato ; dov’ era Sebe si pongono San-Remo e Taggia; Olivola è taciuta, e s introduce d’ ora in poi Villafranca. Il che non vuol già dire che la nuova apposizione dt questi nomi indichi l’epoca della loro fondazione, ma un progresso nelle cognizioni geografiche, e la non dubbia importanza d’ allora in avanti acquistala da certi paes>i a danno dei loro vicini. ( CVIII ) Il Riferente coglieva poi questa occasiono per enumerare lo carte marittime genovesi finora conosciute, indicando dove si trow'no, e iallegrandosi che per numero ed importanza stieno a pari, e for.s anche superino, quelle di qualunque altro popolo marittimo; toccava della conferma che le nuove indagini recano alle opinioni del eh. avv. Canale, relativamente alle scoperte e colonizzazioni latte da’ genovesi nel Alare Atlantico; e diceva della carta genovese del 1447 esistente nel»a Biblioteca Puntimi di Firenze: lavoro importante, come quello che si proponeva di riconciliare la buona pratica antica coi nuovi studi minac-cianti una grave scissura, secondo che bene rilevò V acuto Lelewel. Spiega\a in ultimo un altro prezioso documento genovese, cioè il così detto Itinerario di Antoniot/o Usodimare, sul quale discordano le opinioni degli scrittori; ma che pure, confrontato (per esempio) colla Carla Catalana del 1375 o con quella di Andrea Benincasa del 1476 (*), si vede chiaro non essere altro che una copia delle dichiarazioni o leggende, che nelle carie suddette sono qua e là disseminate presso le figurine 0 1 nomi dei luoghi, per ispiegarne il senso o darne maggiore notizia. Non ammetteva che siffatte leggende, sebbene intinte di molte favole, si abbiano a sprezzare, perchè misti alle favole tro\ansi da li preziosi per la storia della navigazione, e pei nomi dei re tartari che dominarono nell* età di mezzo ; perchè anco le fa\ole, credute a quei tempi, giovano a darci una idea del modo di pensare dei nostri maggiori, e perché inline sono talota miti, o scorza che racchiude profonde tradizioni. Di che reca\a egli ad esempio la leggenda de1 cananei accennante allt razze cananite o camitiche, le quali formano tutlora lo strato inferiore delle popolazioni più meridionali, e l'altra sul (*) Recentemenla si venne a conoscere, per gentilezza del signor Hoselli ar-n ista d Ancona, l esistenza in queir Archivio Comunale di una carta idrografica dl Awlrea Benincasa c di un Codice mss., ossia Portolano di Grazioso paure udì Amlrea. ( a* ) centro dèli’ abitabile, clic gli arabi ponevano nel mitico Arin, i greci antichi in Rodi, i cristiani del medio evo in Gerus lemme, e clic forse nell'avvenire è destinato a ristabilire 1 uni^a geografica, contrassegnando il principio universalmente am™e\ delle longitudini, allo stesso modo come 1 unità fu sta i nella Storia, assumendo a principio generale cronologico 1 cristiana. La Memoria dell’ avv. Desimoni veniva accolta con plauso, e rinviata all’ assemblea generale per la sua pubblicazione neg i Atti, insieme ad un elenco della nomenclatura del Porto a che i socii Belgrano e Luxoro s’incaricavano di prepar' sulle orme di quello che fecero i dotti illustratori della mentovata Carta Catalana. Frattanto lo stesso cav. Desimoni, di ritorno d’ Avezac, Note sur un At'as Hydrographique ms. etc., pag. 30. (*#) Koehl, Le due più, antiche carte d*America eseguite negli anni /• ~ to29. ecc. (in lei al Portolano generale. Nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, e in quella parte di essa che col nome di Museo Settala si distingue, vi hanno eziandio due portolani, i cui autori spettano ugualmente alla famiglia genovese de’ Maggiolo sovra ricordata. Di questi da\.i contezza in una sua Relazione, diretta in forma di lettera al cav. Desimoni, il socio marchese Marcello Staglieno, nella tornata della Sezione d’ Archeologia, eh’ ebbe luogo il 10 del prossimo passato giugno. Nell’uno dei ridetti portolani si legge: Vesconte de Majollo composai Itane cartam in Janua de anno Domini 1522 die x augusti ; nell’ altro è scritto : Vesconte de Majollo composui hanc cartam in Janua de anno Domini 1587 , die xx decembris. Il più antico fra questi due lavori, è molto bene conservato, e disegnato in un foglio di pergamena di circa 50 centimetri ( CXII ) sopra 75; vi si veggono tutte le coste bagnate dal mare interno e dall'Oceano fin presso al Capo (li Bojador, risola d'Islanda uiM> tramontana, e così tutta quasi l'Europa, e parte del- I Asia e dell Alrica; i nomi dei luoghi vi si leggono chiaramente; 0 parecchie città, fra lo quali Genova, sonvi delineate in picciolo prospettive. Il più recente invece è partito in due fogli, ciascuno dei . quali misura di per sé quanto il predetto; abbonda più che 1 altro di vedute prospettiche, e contiene tutto il mondo noto a quell’ epoca. Ivi, nelle parti deir Asia e dell’ Africa sono miniature raffiguranti animali, costiuni e principi ; al Perù si dà ancor nome di Terre incognite, e sotto l’America Meridionale si legge : Terra nova descoberta per Christo foro Colombo Januensem, testimonianza novella di autore conterraneo e contemporaneo, da aggiungersi alle tante che ornai provarono indubbiamente la patria del Sommo Navigatore. Dal raffronto dei millesimi di questi portolani, emerge che fra il primo ed il secondo corre un intervallo di ben sessantacinquc anni; e questo spazio aumentasi ancora di altri dieci, se si pon mente che la carta di Visconte Maggiolo nella Biblioteca Parmense, rammentata dal cav. Desimoni, porta la data del IO dicembre 1512. Perciò il socio Staglieno, fatta a se medesimo I obiezione, se tutti e tre i precitati lavori idrografici possano appartenere ad un solo cartografo ; risponde in modo affermativo pei due del 1512 e 1522, ma sospetta che, malgrado la identità del nome, il costruttore di quello del 1587 altro non sia che un nipote dell’ autore dei precedenti. Finalmente nella seduta del 12 agosto successivo, il precitato socio cav. Desimoni riferiva su due nuovi atlanti idrografici e due carte nautiche in pergamena, del secolo xv, da lui pure veduti nell’ Ambrosiana. Lno dei detti atlanti proviene dal monislero di san Faustino di Brescia, e vi si legge: Jacobtis de Zireldis me fecil iti ( exili ) anno Domini mccccxliii ; il quale Jacopo de Zireìdis credo il Riferente debba essere identico con quell Jacobus de Ziroldis , che sappiamo avere pur esso composto, nel 1420, un aliante, veduto ancora dal chiarissimo Carli presso l’abate Morelli in Ve nezia. Il secondo proviene dalla Biblioteca di un Vincenzo Pine.li, la quale non può essere quella famosa di Venezia , giacche al tro nome di battesimo aveva il suo possessore, sibbene quella contemporanca , e non meno celebre, di Padova, messa insieme da Gian Vincenzo Pinelli patrizio genovese, poscia dispersa, e trasportata in parte appunto all’Ambrosiana, per compra fattane dal fondatore della medesima, il card. Federigo Borromeo. Questo aliante manca del nome dell’autore e della data , e meno belle di quello che nel precedente ne sono la pergamena e la scrittura. Ma la sua forma, le dimensioni, la nomenclatura, la distribuzione geografica, e il numero di sei membrane in cui è diviso al pari di quello del de Zireìdis, inducono ad ascili entrambi per opere, se non di una stessa mano, cerio di una medesima scuola. Vuoisi infatti osservare che l uno e l altio giungono sino al Capo di Bojador nella costa occidentale dell Africa , hanno raffigurata nell'Atlantico, sul fare usato da Andrea Bianco dagli altri contemporanei, quella grande e favolosa isola Antilla, che scomparendo dai navigatori a guisa del miraggio, fu da Colombo rincorsa, raggiunta, e stabilita presso il continente americano; procedono conformi nelle denominazioni e sèlla orto grafìa, le quali, anco senz’ altri indizi, basteiebbono achiariie i due lavori di origine veneziana. Quanto poi alle altre due carte rinvenute dal Riferente nella Biblioteca medesima, notava egli che entrambe si trovano racchiuse in un solo astuccio foggiato a libro; ma sono di mano, e forse d’autore, diverse. La prima non ha nome,.ed è un in tei o Por tolano ; su Genova e sulle altre capitali sventolano le rispettive insegne; sull’ isola di Rodi è quella dei cavalieii. La secon contiene soltanto il profilo occidentale, ossiano le coste non in + ( CMV ) torrone del mondo antico, dall Irlanda, Olanda ed Inghilterra fino a quelle dell Africa ed alle terre in questuitela scoperte sino all’epoca della composizione di essa carta. Sovra questa è scritto: Andrea Bianco venician, cornilo de gaUa, mi fexe a Londra mlccccxxxxvui; e nel margine si legge: A x olà otiti tic fu. Xe lonrja a ponente 1500 mia. « II nome del cartografo Bianco veneziano, dice il cav. De-simoni, era già noto pel suo Planisfero del 1436, e per » avere egli cooperato nel 1459 ay altro anche più celebre Planisfero di fra’ Mauro camaldolese; ma questo profilo credo sia da tutti ignorato. Eppure mi pare abbastanza importante.... Qui l Andrea Bianco manifesta la non finora nota sua qualità o professione di comito di galea.... ; e le parole da lui poste » nell’epigrafe io le intendo cosi: Questa carta è la sola aur n (‘‘Mica, cioè la più recente, la sola veramente utile per la ” navigazione in que’ paraggi, perchè abbraccia le più recenti scoperte, e perchè non è composta su imitazioni d’altre auliche carte, o su vaghe dicerie, ma per ufficiali informazioni e propria esperienza.... Se questa interpretazione fosse vera, M come a me pare, ognuno vede di qual giovamento sia tale carta, per comprendere a quale stadio nel 1448 fosse giunta la navigazione sulla costa d’Africa, e quale ne fosse allora la nomenclatura. Difaiti io trovo c^ià descritto in essa carta non solo il Capo Verde, ma anche il Bosso, mentre questi due capi si vogliono scoperti soltanto nel 1454 e 1456, secondo gli spositori del viaggio di Cadamosto; e ciò posto » avrebbe ragione il genovese Benedetto ScottoO, il quale pone ( ) fil iazione che Benedetto Scotio gentiluomo genovese di passare diverso i' Ho artico», e di andare al Cattai e China, con superare quelle difficoltà clic olandési et zelandesi l'anno Vi, 9S, 96, farcndo il detto viaggio per costa di tei reno rincontromo. Alira Relazione dello stesso autore, sul medesimo argomento, in francese, e più diffusa della precitata. Entrambe furono stampate in Anversa I css Enrico Aertessio, nel 1618; c citansi come rarissime nell* opera dello Zurla, in Miho Poto e degli altri viaggiatori veneziani più illustri (Venezia, ISIS), a P*1?. 156-57 del volume II. ( cxv ) al li/,.;; |a scoperta (]cj Capo Ver(]e> se(j|jene j| Zur|a pre. » tenda appuntarlo d'errore ». occava inoltre pur esso il Riferente nel corso della sua Esposizione delle prenominate carte del Maggiolo; ma solo quanto bastava per accennare ad un fatto, che merita di essere ricordato. « In quella di esse carte ( prosegue il Relatore ), che ha la data del 4 522, trovai indicato col nome di Monte Jenoe.se un punto sulla rosta occidentale dell’ Africa, presso il Rivo dell’ oro. Qui (io disse fra me) vi è qualche cosa di genovese.... Consultai il Portolano descrittivo del Lelewel, e rinvenni lo stesso n punto nella carta dello spagnuolo Diego Ribero del 1529, indicato col nome di montas del ginones. Qui (ripetei) dev’essere un errore di trascrizione; il solito scambio della u nella * n ha fatto leggere ginones dove esser doveva scritto ginoues. E siccome per fortuna, lo stesso Lelewel ha recato in altre ” pagine un fac-simile della carta del Ribero, vi corsi avida-» mente, e vi lessi con piacere confermate le mie previsioni, » con una chiarezza di cui non si potrebbe desiderare la mag-» giore. Inoltre le due carte d’America pubblicate dal Koehl, » hanno 1’ una motas del ginoues e 1’ altra motas del genoues. ” Dunque là presso il leggendario e tanto decantato Rivo del-}) l’oro fu appiccata la memoria di un nome genovese, fatto o » scoperta, o tentativo di colonia; allo stesso modo come simili » indizii trovansi ripetuti lungo tutta la costa del Mar Nero, » tanto frequentata da’ genovesi. Io lascio ad altri svolgere que-» sto capo di matassa; ma non posso omettere una parola di » rammarico verso il per altro benemerito ed illustre Santarem....; » il quale, caldo di amore per la gloria marittima della sua * Nazione, non si avvide di essere ingiusto, tentando di oscu-» rare quella degli altri popoli che precedettero di gran lunga » il Portogallo in siffatte imprese. Lasciamo passare che abbia » taciuto delle anteriori scoperte genovesi alle Canarie, ricor-» date dal Petrarca, da Pietro d’Abano e da moli’ altri; e dis- ( ex vi ) » simulalo corno l’isola di Madera porlasse anteriormente I in-» dicazione omonima italiana, anzi genovese, di Isola de lo » legname. Perdoniamogli ancora che negasse il noto passo del-» 1 annalista Jacopo D Oria sulla spedizione di Tedisio D’Oria » e di Ugolino Vivaldi (’); perchè questo passo non esisteva » nei codici a lui noti di CafTaro, sebbene ripetuto a coro dagli » storici genovesi, e specialmenete dall’ inappuntabile Giustiniani. » Ma non gli si può menar buono, che dissimulasse cose, le » quali erano perfettamente intrecciate alla Storia della sua na-» zione, a quelle medesime scoperte che egli avidamente rac-» coglie, e che sono narrate da quegli stessi fonti, di cui sa » cosi bene valersi quando gli giovano. Or forse m n è genovese » quell’Emanuele Pessagno, che per atto del 1317 si pose al » servigio del Portogallo, esso ed i suoi discendenti, in qualità * di ammiragli ereditarii , e con venti uffiziali, od aiutanti, » tutti genovesi, al suo seguito? D Come non vede che quegli » stessi, che più direttamente facevano le scoperte da lui tanto » vantate, erano il Cadamosto veneziano, l’Usodimare, il Ni-» coloso da Recco, 1’Antonio da Noli, tutti tre genovesi, ed » altri fiorentini; e che insomma di queste tre elette parli » d’Italia, e dei Colombi o dei Vespucci formicolavano in tutto (*) Caffari Annales GtTiu'nses (Pertz, Monumenta Germaniae Historica), ad an. 1291. (**) Ad illustrazione dello esposto dal cav. Desimoni, trascrivo qui due brani «lei contralto da lui citalo: Eu sobredilo miçer M muri por esta merçee e por esle feu que mi vos sobredilo senor Rey (Dionigi il Liberale) dides p ra mini e pera os meus successores, fico, logo por tosso vassallo e faço vos menagem e jura...- que vos sere ha beni e lealment nas vossas galees per mar cada que vos comprir o meu serviço e cada que tos quiserdes.... Outros'ij eu miser Manuel e os meus successores que esle feu herdaj’em, devemos sempre teer vijnte hom-rnens de Genua sabtdores de mar, laaes que sefam convenharejs pera al-caydes e pera arrayzes, e que vos sabham bem servir per mar nas vossas oalees cada que vos quicerdcs e vos comprir se a serviço. » . ( CXVII ) » quel secolo le coste del Portogallo e della Spagna, dove la » loro Dea, la stella del mare, aveva recato il suo apogeo, » mandando alla povera Italia il pallido e malinconico addio » del crepuscolo? » Il cav. Desimoni dava in ultimo contezza di un Planisfero de 1448, custodito nel Civico Museo di Vicenza, ma del quale pò* sede copia autentica e bellissima in Genova il chiarissimo com mendatore Girolamo Boccardo. « Questo Planisfero... è fatto ». secondo le mistiche idee de’ cosmografi di quel tempo. Sei » circoli concentrici indicanti la Pasqua, la luna, i mesi, » giorni, le ore, ed i punti colle loro periodiche rivoluzion o tengono rinchiuso nel loro centro comune il globo terracqueo » Questo globo poi è disegnato a guisa di Planisfero per ett » niente circolare: ha per suo proprio centro Gerusalem , » ossia un punto molto vicino a questa città, anche in ciò im » l’autore di esso gli altri cosmografi del medio e\o, che pon » l'ombilico del mondo in Terra Santa, cosi interpretando il verso » del Salmista: Salutem operatus est ui medio Lnae.^ » è rOriente col Paradiso Terrestre, e i quattro fiumi i ici » che ne derivano, e che si legano all India, al Golfo e » hi Caspio; di sotto è l’Occidente, collo stretto di Gi ite » a destra il meriggio ignoto d’Africa, a sinistra il settentr » ignoto, colle due leggende: dexerto imbiuto per caldo, de- Eu dom Dinis.... enlendendo por serviço de Deos e meu e ^ mka terra, Découvertes faites au moyen-âge dans f Océan Mtantwc W- M, # ( ex Vili ) futa inabitato per freddo. La divisione dell’ora in I0S0 punti proMene da tradizioni dell' hhelaqym de’ computisti raici, t qui perciò si avvera co! fatto quanto sovr’allro - Pia— nisftio deduceva con sottili ragionamenti il eh. D’Avezac V). » L autoie di questa carta si palesa nella seguente epigrafe: o annes Zeaidus de \ enettìis me fecit anno Domini 1448. ove a me paro doversi rilevare una analogia tra questo cognome Z.eurdu'i, e il cognome Zìreldo, o Ziroldo, del veneziano autore degli atlanti del 1426 e 1443. Chi sia per poco pratico delle deviazioni dei dialetti dalla lingua madre, non avrà pena a identificare gli apparenti diversi cognomi Zireldo e ulì Lj°..... Da ciò non si deduce che sieno uno stesso personaggio I autore di questo Planisfero, e quello degli atlanti sovra indicati. No, perchè quegli ha nome Johannes, e questi è un J ac obus ; ma soltanto si può asserire con grande probabilità, che appartengano alla slessa famiglia, e forse con grado di figliazione o di fratellanza ». Nel chiudere il suo scritto, il cav. Desimoni accennava ad un in\onlaro del 1390, nel quale si indicano, fra le altre se, una catta da navigare ed un mar telo gio (*#). « Della sciìta di zingare (diceva egli) non è meraviglia .... ; ma quanto al maridogxo, giova avvertire essere questo forse l’atto più antico nel quale se ne faccia parola. Il martclogio o maìtelojo, toletta o tavoletta del mare, era uno strumento di a SerV.*'aib* * navigatori, per calcolare a mente il numero • eie miglia fatte o da fare, simile all* ora cosi detto quartier de tedaction. Di esso ragiona dottamente il Formaleoni, • a proposito del martelojo di Andrea Bianco del 1436 , e di tri veneziani, non però anteriori al 1400; e dimostra come l hènne \Vnt * (l unK not,te sur un A lias manuscrit vénitien de la Bibtio-» alckenaer, ecc. Paris, 1857 ; pag. 15. v ) rohulmm notariorum v.w ii ^ ir in mio inter afa, ,, ’ Cdr 1,8 verso- inventarium ■ alta... marlilojium... caria una prò navigando. ( CXIX ) I uso eli tale strumento presupponeva negli italiani di quel tempo la cognizione della trigonometiia, e I’ applicazione di Questa alla navigazione ». Mostrava infine il cav. Desimoni quale immenso vantaggio eii\eiebbe ai nostri studii, dal raccogliere diligentemente, secondo lordine cronologico, in un Regesto tutti i documenti, non c i passi originali d’autori contemporanei, relativi alle scolpite ed ai fasti marittimi dei genovesi. A questo scopo anzi, s'à \enne spigolata negli Archivi una qualche notizia; la quale lifeiisee o alle persone direttamente, ovvero alle famiglie dei cartografi precitati, Pietro Visconte, Bartolomeo Pareto e Visconte di Maggiolo. PARTE IV. Nel Resoconto pubblicato dal mio egrègio predecessore, già venne accennato alle Memorie deh Accademia Ligustica» del socio marchese Staglieno ; avendone questi, nella sedut della Sezione Artistica del 14 giugno 1861 , letta la prima parte. Resta quindi a soggiungere che lo stesso ha data poscia lettura della seconda (Sezione predetta, 13 marzo 1863), ove le notizie deir Instituto si conducono dal 1797 a no:>tri giorni, e della terza (Sezione d’Archeologia, 16 maggio 1862), nella quale si contengono i cataloghi e le notizie biografiche deDlt accademici e dei professori, e si illustrano le meda0lie che l’Accademia fece in diversi tempi coniare, vuoi pei la pre miazione de’ suoi alunni, e vuoi per conservale memoria onorevoli avvenimenti. Le due prime parti di cosiffatto lavoro furono già stampate, con corredo di documenti; e lo sarà puro fi a bie\e a arricchita di alcune tavole co’ tipi delle anzidetto ine às .Anche il socio cav. Alizeri si ò occupato della stona d. tale ( cxx ) Instituto; ma come parlo ili maggioro lavoro, e introduzione alle Notizie dei professori del disegno in Liguria, che dalla fondazione della Ligustica tolgono appunto le mosse (*). Il Discorso eh’ egli ha dettato intorno alle origini e alle vicende dell’Accademia, e le biografie degli scultori Nicolò Traverso e Francesco Ravaschio, che fanno parte pur esse dell’opera preaccennata, formarono il soggetto di parecchie adunanze della Sezione Artistica (5 e 12 dicembre 18GI , 17 gennaio e 5 febbraio 1862, 15 gennaio, 29 aprile, 4 e 23 maggio, 23 giugno, 17 luglio e 4 agosto 18G3). In altre due sedute (24 gennaio e 13 febbraio 18G3) il socio commendatore Santo Vanii leggeva alcuni Appunti storico-artistici sui fonditori in bronzo ed i coniatori di medaglie e monete genovesi, o che operarono in Genova, dal secolo xm al xvi. Fra gli artisti da lui citati, è utile segnatamente il rammentare un maestro Oberto, che per atto del 31 ottobre 1222 prometteva di eseguire un grillo di bronzo per la chiesa di san Lorenzo; Corrado Carbone da Sturbi e Benedetto Mantica da Teglia, intagliatori di stozzi per monete, il primo in Genova ed il secondo a Siena (anni 1441-1442); Giacomo Tagliacarne genovese, lodatissimo intagliatore di medaglie e di cammei, fiorito in sul cadere del secolo xv, non che Miche-lozzo Michelozzi, del quale si ha dal Vasari che erano in Genova a suoi tempi alcune opere di marmo e di bronzo C#); Francesco Bianco, genovese pur esso, ingegnere e maestro di bombarde, che come rilevasi da una lettera del 2 febbraio 1465, fu al servizio del Duca di Milano, e giltò parecchie artigliorie riputatissime, del cui novero erano la Corona, la Lcona e la Bisciona, conservate nel Castelletto di Genova, quantunque corresse fama che fossero state eseguile da un maestro Ferlino; (*) Tale opera del cav. Alizeri si pubblica ora dalla Tipografia Sambolino. La prima dispensa è uscila in luce nel marzo del 186S. •'**) Vasari, Vite ecc., voi. Ili, pag. 28i>. ( cxxl ) il quale invece, non altrimenti che pei consigli , e che 1 artisain_ » bito cinquecento ; che infine Baccio, partilo?! Pretonate* » Genova, andò a Carrara per farvi abbozzate » cave del Polvaccio. (*) D’Oria, La chiesa di san Matteo illustrala, ecc., pa0. (**) Vite ecc., vol. X, pag. 310. (***) A pag. 315 dello stesso volume l’autore pari;» invece i . ( CXXIl ) ». Ora tutti questi ragguagli (giova il ripeterlo) sono 'assai » stranamente confusi; e nondimeno varrà il tenerne conto, per-« che ci condurranno a chiarire un punto della vita dell’arti-» sta, non che i fatti dei quali siamo entrati a ragionare. » Diciamo pertanto, e' innanzi tutto, che I’ errore più grave » del Vasari sta nell’avere egli confuse in una duo ben di-» stinte commissioni; giacché e la Repubblica e i D’Oria si ri-» volsero nell’accennata bisogna al Bandinelli; ma che non ri-» guarda punto la statua ordinata dalla Repubblica, sibbene » quella commessa dai D’Oria, ciò che racconta lo stesso Va-» sari a proposito del cardinale Girolamo D’Oria, il quale è » però verissimo che irritato del ritardo frapposto da Baccio a » compiere il lavoro comandatogli dalla famiglia del Principe, » trovatolo in Bologna, con molte grida, e con parole ingiù-» riose lo minacciò, perciocché aveva mancato alla fede sua » ed al debito, non dando fine alla statua del principe » Doria, ma lasciandola a Carrara abbozzata, avendone • presi cinquecento scudi. Per la qual cosa disse, che se • Andrea lo potesse avere in mano, gliene farebbe scontare » alla galea. Baccio umilmente e con buone parole si difese, • dicendo che aveva avuto giusto impedimento ; ma c/tc in • Firenze aveva un marmo della medesima altezza, della » quale aveva disegnato quella figura, e che tosto cavata e » fatta la manderebbe a Genova; e seppe sì ben dire e » raccomandarsi, che ebbe tempo a levarsi dinanzi al Car-» dinaie (#). » Lo stesso autore scrive poi nella Vita di frale Giovannan-» giolo da Montorsoli, che mentre'costui se ne stava a Car-» rara, per farvi incetta di marmi, il cardinale Doria scrisse » al cardinale Cibo, che si trovava a Carrara, che non • avendo mai finita il Bandinello la statua del principe *) Vasari, Vile ere., X. 315. ( CXXIll ) » Doria , e non avendola a /inire altrimenti, che p> oc •' » classe di fargli avere qualché valent’ uomo scullot e c » la facesse; 'perciocché avea cura di sollecita')e / » pera: la quale lettera avendo ricevuta Cibo, che molto » nunzi avea cognizione del frate, fece ogni opetadi » darlo a Genova (*). Dove, con somma a lucrila operare o, ». recava Vordinata statua, quantunque di fonie coloss > » breve tempo a compimento, con tanta maestria e tan ^ » nelle ritratte sembianze d!Andrea, che i Dodici % » della Repubblica, dubbiosi di trovare chi sapesse fai ’ » s adoperavano presso i D’Oria, affinché lot fosse c » Avutala poi da essi liberalmente, la collocalo in _ *> dell’anno 1529 sulla Piazza della Signoria, nono » legasse il Montorsoli che avendola lavotata pete ic ^ » lata sopra un basamento, ella non poteva^ » avere la sua veduta accanto a un muto ( • » Tornando ora al Bandinelli, circa al quale io so • serito che la Repubblica e i D’Oria, a lui si erano ^ » le due statue d’Andrea, debbo qui soggiungere ^ ^ » vagli del tutto i documenti nel Cartolano tc e s_ ^ ^ » Repubblica stessa per l’anno 1854. Ivi, sotto a ^ ^ » e 20 luglio, leggo un’aggiustamento di conti, in » cui la Repubblica assuntosi il credito che compe ^ » dinaie D’Oria verso del Bandinelli, per pennati dal » 400 e lire 155 e soldi 5 (cioè gli scu i ye_ » Vasari), che egli per incarico sommini- » nuto pagando all’artista sino al 1^2 , ctonia co- - stranza per l’acquisto del marmo occorrente a » mandatagli dai D’Oria; addebitò le stesse part’ » in soluciorie stdlude aeneae fabricandae in aw (*) 1(1. XII. ‘29. • . . (**) D’Onu, Op.. cit., pag. 70. .. (*•*) Vasari. XII. IO. ( C\XIV ) » simi Principis. Tale credito vedesi poi successivamente ti-» rato nei Cartolarti dal 1535 al 1538; e dopo non se ne » trova più falla parola. Certo egli è però che Baccio non fece » la statua, e che la Repubblica perdette il proprio denaro. » Abbiamo veduto come il Vasari parlando della statua di » marmo ordinata al Bandinelli, scriva che questi subito andò » Carrara, per abbozzarla alla cava del Polvaccio. Ora io sarei » per conghietturare che tale statua abbandonata poi d&ll’ar-» lista, possa essere quella del Nettuno (sotto le cui forme di-» cemmo appunto che si doveva ritrarre il D Oria), che i » carraresi nell’anno 1563 erigevano sulla piazza di sant’An-» drea, dove tuttora si ammira. Essa viene sorretta da due del-» fini , dalla cui bocca scaturiscono getti d’ acqua ad alimento » della vasca posta sul davanti del piedistallo. Vero è che una - vaga tradizione vorrebbe attribuire quest’opera, detta anche » il Gigante, a Michelangelo Buonarroti (*); ma questa tra-» dizione non ha per se alcun appoggio, ed anzi più consi-» derazioni le stanno contro. » 1.° La figura è della grandezza dal Vasari assegnata a » quella del Bandinelli, della qualità del marmo dal medesimo * ricordata, ed esprime un Nettuno. » 2.° Tale statua, benché non più che abbozzata, offre nella » testa il ben conosciuto ritratto del D’Oria, il quale è qui » identico con quello del san Giovanni (**), scolpito dal Mon- * torsoli per la cattedrale di Genova, e cogli altri onde sono » improntate più medaglie coniate in onore di Andrea. * 3.° Le opere dal Buonarroti lasciate imperfette (***) pre-» sentano una maniera di lavorazione assai diversa da quella • (*) Fredum, Higiommnto Storico ecc., pa?. ;>3. (**) Si sa che questo san Giovanni altro non rappresenta clic Andrea D'Oria. [***) Ouelle, per esempio, clic vedonsi in Firenze nella Sala del Palazzo Vecchio, nell atrio dell’Accademia di Belle Arli, nel Gabinetto della Scuola Toscana alla Galleria degli Uffizi, e nella casa abitata dal medesimo Michelangelo. CXXV ) » che trovasi adoperata nella statua in questione, » mentre nelle prime vedonsi usati la gradina, il fu10 » e il cosi detto dente da cane, nella figura del Net » scorgono impiegati la subbia e Yugnelto, condotti in q ^ » stessa guisa o direzione, con che Baccio tratteggiava » disegni a penna. _7 a *> Potrebbe opporsi da taluno, che la figura e e » forse di uno stile più semplice «li quello del an ine ’’ » oltre che l’osservazione calzerebbe anche pel nonaro , » che Baccio abbandonò talvolta il fare esa^° » P yeAoùSÌ » dietro alla semplicità. Infatti l Adamo e < «n’ineresso » nel Palazzo Vecchio, e i dne termini che stann0* 8 . de, medesimo, m. trattai in un modo «««* « p ' . quasi non si eroderebbero opero dell’aurora del srupp » Ercole e Caco ». or.p:n varni Venendo poi a trattare di Gian Bologna, i nova ricordava come questi fosse stato chiamato da -ire dal patrizio Luca Grimaldi, voglioso di decorare deUe^pere di si eccellente scultore una cappella intitolata a a ^ che aveva fatta innalzare nell’ora distrutta chiesa i ■ di Castelletto. L’autore, seguendo il Soprani e , Badmuc, poneva la venuta di C,e artica opinava che , tosto concluso col G ^ ^ dante il getto de' bronzi nchiest.g , ^ documenti nd a Firenze (dove infatti ce lo most P . ta commis- 1581), ivi attendendo allo eseguimento del e li i 1 Rnlo^na fece per 1’ anzidetta cappella, e che 1 lavori che il Bologna lite pu ITnivprsjtà, sono un ora si ammirano nel Palazzo della nos ^presentanti la Crocifisso, sei statue di grandezza natura , I ,a Fede, la Speranza, la Carità, ;atti della Passione Temperanza; sette bassi rilievi con 1 , nregevole del Salvatore , sci elegantissimi P«Ui. ■« a"»'1 « p,e'"° ( CXXVI ) la verità della movenza, e si intravede il fare maschio di un esperio imitatore del Buonarroti, ed alcuni ornamenti od act ossorii. Le quali cose vengono tutte dal prof. Varni minutamente descritte ed illustrate. Non deve tacersi però che il. cav. Alizeri, entrando nella Mia Guida Artistica di Genova a parlare de' succennati bassi-rilievi, non ne concederebbe a Gian Bologna che sei; e più >olontieri ascriverebbe il settimo, cioè quello che già servi di paliotto all aliare e rappresenta la sepoltura di Cristo , a Pie-tro Francavilla, discepolo ed aiuto dello scultore fiammingo, il quale più che al maestro aderì agli esempi di Michelangelo 1 ». Questo bassorilievo accusa infatti una notevole dispaila, essendo trattato in uno stile che si avvicina allo stiacciato ; nè al cav. Alizeri sarebbe paruta abbastanza concludente la ragione addotta dal preopinante, il quale avrebbe spiegata questa diversità con argomenti dedotti dalla minore distanza <>d altezza a cui il paliotto doveva essere collocato, e dalla vaghezza di mutazione dalla quale potrebbe essersi lasciato cogliere 1 artista ; ciò che, a detta dell'Alizeri medesimo, non sembrerebbe doversi dire nè probabile nè lodevole in un solo complessa di lavori. Replicava per altro il prof. Varni, tuttavia sostenendo la propria opinione; e notando fra le altre cose come il Bologna improntasse nelle teste dei giovani un carattere tutto suo particolare, osservava che nel paliotto summenzionato si trovano ripetuti alcuni di que’ tipi, onde si distinguono parecchie delle fiDure che vedonsi introdotte nei bassirilievi del Ratto delle Sabine sotto la Loggia dei Lanzi in Firenze ; che scorgesi in entrambe le opere una medesima morbidezza , ed un eguale tonneggiare di parti; e lodava infine il nostro bassorilievo por una intelligenza, la quale non ha riscontro se non in quelli (*) Alizeri, Guida p con quel che da 4855: « Vedo parecchi miei servitori c scolari c c ricchisslmi et honorati » nie Inumo appreso, ci con li mici modelli, si so ^ (GAYFa, Cartegijio inedito d' artisti, voi .III, ^ (♦*) Ora Brignolc-Silc. È dello volparmeli» il ( CXXVIII ) a santo Spirilo in Firenze, Irallò i suoi bassiriliavi, perchè veduti a breve distanza, in istile stiacciato; o cosi operarono il Settignano nella cappella dei Sassetti a santa Trinità, e il Civitali in quella di san Regolo a Lucca. Nell’adunanza poi del 23maggio 18G3 (Sezione di Belle Arti), il cavaliere Alizeri, annunciava come la Liguria avesse di recente perduto un monumento prezioso per la storia artistica ; il quale, caduto in mano di privati speculatori, era passato di que’ giorni in Inghilterra. È questo un bel trittico, già conservato nell’oratorio di san Bernardo in Savona, conosciuto sotto il titolo di Nostra Donna de' Misteri, ed attribuito ad un Angelo Piccone, savonese, di cui leggevansi nel quadro* le iniziali unitamente all’anno 1345. Il cav. Alizeri mostrava che la Liguria possedeva in quella tavola l’esempio, unico per avventura fra noi, della nostra scuola ne’ tempi giotteschi, e molto accosto alle massime del Caddi e del Memmi, che seguitarono cosi da vicino il sommo rinnovatore dell’ italiana pittura ; e proponeva che negli Atti di questa Società ne venisse conservata memoria, acciò i posteri, mentre condanneranno il barbaro gitto che tuttodì si va facendo delle nostre preziosità, non abbiano almeno ad infliggere a noi pure il biasimo della indifferenza. Nella tornata dei 18 marzo 18G4, il socio Belgrano presentava il fac-simile di due iscrizioni esistenti negli archi dell'Acquedotto Civico a Sant’ Antoninó di Casamavari, od Orpalazzo, sul torrentello Briscà, copiate e disegnate dal sacerdote Marcello Remondini (*). Tali epigrafi non erano già sconosciute, clic (*) M * • HOC • OPVS • COMFLETV • FVIT * M • c£c • • V • DE • PECVNIA • COÎS • IAN * ESfSTENTIBVS * MASSAMfS • DNTS * ODDOARDO • DE • MA RCHIOXIB • DE • GÀVIO • ET * GVLLO • DENTVTO * EJ * SCRIBA ’CVM • ÎPIS • LEONARDO . DE BEREGERIO • NOT * 2 a * . m • CCC • LV • MAGISTER • IO IINES • BEGN • ET • MAGISTER • GVLO DE • LEGIMA • HOC • OPVS • FECIT • ( CWIX ) anzi le riportano il Giustiniani ed il Banchero; ma questo lac-simile vale a purgarle d’alcune scorrezioni, di che peccavano nelle opere dei suddetti scrittori. Accennano esse come una parte di quel condotto fosse recata a compimento nel 1355, essendo stati massari dell'opera Odoardo marchese di Gavi ed Antonio Dentuto, ed architetti i maestri Giovanni Begna c Guglielmo di Legima; e il socio Belgrano, colla scoria di uri atto dei 24 marzo 4302, soggiungeva che già di tal epoca slavasi lavorando intorno all’Acquedotto nel luogo citalo, essendone allora operaio un monaco per nome Guglielmo da San Tommaso ( ). Il cav. Banchero (**) fa memoria eziandio della copia di un antichissimo quadro, serbato nel Civico Palazzo, nella quale sareb-bono appunto ritratti i quattro personaggi sovra nominati. L originale era stato, per quello che ne suona la fama, eseguito da un Giovanni da Rapallo, nome che il precitato autore qualifica bene a ragione ignoto agli scrittori della nostra storia pitto) ica. Di questi pertanto stimava opportuno il Belgrano suggerire alcune notizie da lui rinvenute nell’Archivio di san Gioì gio, donde apparisce che Giovanni era cognominato Re; che. la\orò di pittura nel Palazzo Dogale, e colorì un pallio inviato dai genovesi a Milano (***). O 1302, V* mxriii. Nos iacobus de staiano et obertiis de marassio promittimus tibi fratri enrico de sanc.to thoma constituto pro comuni ianue super conductum comunis ianue portare totam arenam calcinavi et madones et clapas cum bestiis nostris ad locum conductus in costa sancii automi de paìacio ubi fit dictus conductus (Foliat. Notariorum Ms., vol. h, par. i, car. 150 verso). (**) Genova e le due Riviere, pag. 555. (***) Cartolario della Masseria pel 4354, fol. 10 verso: 1554, 6 scplembris. Pro quodam palio misso Mediolani. Lib. 37. IO. Pro Johanne pinctore pro pingendo dictum palium . . » 30. — Cartolario del 1357, fol. 37 recto: /.>£7, 15 februarii. Pro Johanne de Rappalo pinctore et sunt pio picturis factis per cum in palacio ducali..... Cartolario del 1366, fol. 414 verso: 1366, I decembris. Johannes Rex de Rapallo pictor débet etc. ^ ( cxxx ) 11 socio medesimo leggeva quindi una Memoria sul molo cocchio del nostro Porto; e coll'appoggio dei documenti, stabiliva che a quest’opera si dovette por mano lino dagli esordi del secolo xii almeno; ciò che sta contro alla volgare tradizione, la quale ne farebbe autore Marino Boccanegra verso la fine del seguente. Riferiva e commentava due epigrafi del 1295 e 1299, che a questa impresa si riferiscono; e toccava di due operai che prima del Boccanegra suddetto vi lavorarono; i quali sono Oliverio e Filippo, monaci entrambi dell'Abbazia cisterciense di sant’ Andrea presso Sestri-Ponente. Comunicava pure un paragrafo d’inventario degli oggetti serbati nella chiesa di san Giambattista di Montalto (Mandamento di Triora, nella Riviera Ligure Occidentale), dell’anno 1619, essendo ivi notate: iconam unam ligneam cum effìgie et titulo sancti Gecrgii, ab anno 1519 manu quondam Ludovici lìreac factam; item iconam ligneam ab anno 1485 die 17 iulii antiquam, decenter depictam et deauratam manu dicti quondam Liulovici Erede, ut ex aclis domini Berthoni Boddi notarii, modo defictam muro et in capite dictae ecclesiae (*); ed una lettera del sacerdote Andrea Fossati, parroco attuale di Camporosso, ove descrivonsi tre ancone esistenti nella chiesa di qnel laogo, dipinte da Corrado d'Alemagna e dai Brea (”>. Al quale proposito il cav. Alizeri osservava, che tre artisti vi (*) Debbo questa notizia al socio corrisponde/)le cav. G.rolamo Rossi. (**) La importanza di questa lettera, che è diretta al prefato rav. Hossi, mi induce a pubblicarla qui per esteso. « Camporosso, li 25 agosto 1862 ». • Stimatissimo Signore, « Eccole finalmente la relazione delle tre antiche ancone, clic si trovano in quesla » mia chiesa parrocchiale. Mi scuserà volentieri se ho troppo tardato ; così spero » dalla sua bontà........». « Relazione dell’ancona che si trova collocuta in chiesa, nella cappella intitolata * a,'a Natività di Al. V., in mezzo .alti navata che restri da1 la parte dell'Evangelio ». « I/ancona dell’altare della Natività di M. V., di giuspalronato della famiglia » Gibelli, delta Ciarrin, è dipinta sovra una tavola divisa a scompartimenti. Ha U^~\ ( CXXXl ) ebbero di quest' ultimo cognome, e non, come vuoisi credere in generale, il solo Lodovico; mostrandocelo assai chiaro una certa disformità di stile che corre fra parecchie tavole, volgar- » metri 2 di altezza, e m. 1. 75 di larghezza. Gli scomparii sono sei, tre più » grandi e Ire più piccoli. I tre primi sono aJ fondo, c i due laterali sono alti » m. 1. 25, e larghi cent. 50. In quello a sinistra è dipinto sari Bernardo abate, » che tiene legato il demonio; e nell’ altro a destra un santo militare o cavaliere » (San Giorgio?), che non potei conoscere. Lo scompartimento di mezzo, allo • m. 4. 65 e largo c. 70, rappresenta la Madonna seduta sopra una sedia gotica » a bracciuoli; clic tiene colla destra il Bambino, che le sta ritto sulle ginocchia, » e fra le dila della mano sinistra, alquanto sollevala e ripiegala sul davanti, un » fiore. Il Bambino è vestilo di una semplice camicia bianca, orlata in nero; e gli » pende dal collo un pezzo di corallo rosso. Colla sinistra distesa quasi orizzonlal- • mente, tiene per un ala un cardellino, che rivoltosi gli morde un dito, e colla » destra, quasi penzolone, stringe un filo rosso il quale è attaccato ad una zampa • del dello uccellino. » La Madonna ha i capelli biondi scendenti sulle spalle alquanto inannellati ; è » vestita di gonna rossa col manto nero; e sul ginocchio sinistro le sta aperto un • libro, dove si legge per intiero il salmo Eructavit cor meum verbum bonum, ? tc. > Questo scomparto, a differenza di tulti gli altri, ha il fondo in oro. » Gli altri tre scompartimenti più piccoli, sili in allo, rappresentano: quel di • mezzo V Ecce Homo, cogli strumenti della Passione; quello a destra l’arcangelo » Gabriele, con un giglio in mano; e quello a sinistra la SS. Vergine genuflessa, » colle mani giunte. Sul genuflessorio vi ò pure un libro aperto, dove altresì per • intiero si legge il salmo Dirupisti Domine vincula mea, etc. » In lutte le figure di questa tavola domina il biondo nelle capigliature, e il rosso » e nero nelle vestimenta. Il colore delle carnagioni è bianco pallido. » La tavola porla la data del 1436, c dicesi sia opera di Corrado d’Alemagna; fu in » alcuni luoghi ritoccala, ma non pare nello scompartimento principale della Madonna ». « Relazione di una seconda ancona grande, che ora si trova collocata nella » Sacristia ». « Questa grande ancona formava una volta il prospello del fondo del Coro della » Chiesa. Ila nel mezzo un vano, che serviva di cornice ad una nicchia incavata » nel muro di detto Coro, dov’era, ed ò tuttora, una grande statua di legno » rappresentante P evangelista san Marco, titolare della Parrocchia. » Questa tavola ò nel suo insieme alla m. 5. 50, e larga ni. 3. 25. Nella base » contiene-cinque scomparlimcnli, due dei quali sono di c. 65 in lunghezza e c. 50 » in larghezza. Quel di mezzo che ora più non si trova al suo posto, ma in alto » sopra un piccolo armadio che ne occupa il vero luogo, ò lungo c. SO ed alto » c. 50; i due posti alle estremità sono di 50 cent, in altezza c di 20 in larghezza. ( CXXXII ) mente ascritte ad esso Lodovico; e più ancora le soscrizioni che Ieggonsi apposte a varii tra siffatti dipinti. Coglieva inoltre occasione da ciò, per esprimere una opinione anche altra volta » Nel primo sono dipinti Nostro Signore morto, e sostenuto diritto per le braccia, > la Vergine addolorata, san Giovanni e i santi Pietro ed Andrea; e negli altri > il rimanente degli apostoli, oltre de* santi Giovanni Battista e Giorgio, che sono » uno per parte. »Nel corpo, la tavola ha quattro scompartimenti: due sono alti m. 1.70, » larghi e. 70; e rappresentano l’uno san Pietro e l’altro san Paolo in grandi » figure; due poi sono alti solamente cent. 80 e larghi e. 70; e rappresentano » rispettivamente i due santi diaconi e martiri Stefano e Lorenzo. • Nel guscio della cornice, che gira circa 60 cent., stanno dipinti il Salvatore, > nel mezzo, e gli emblemi de’ quattro Evangelisti. > Tale dipintura però sembra di pennello diverso ed inferiore a quello della già » descritta, tanto pei colori, qiunlo per P espressione piuttosto goffa. »La cimasa (così chiamo un’altra tavola che è collocala sopra la cornice, e che » serve come di corona) consta di tre scomparii. Nel mezzano, alto m. 4. 55 e » largo e. 80, viene rappresentata la Madonna seduta col Bambino in braccio, c • il piccolo Ballista colle mani giunte, inginocchiato a’ suoi piedi; in quello a destra • è qui pure l’Arcangelo Gabriele, e in quello a sinistra la B. Vergine genuflessa. » Se si dovesse giudicarne dai volti, queste due ultime figure sembrerebbero di » diverso pennello. • Gli scomparti menti di questa grande ancona sono tutti in oro; e la medesima, > per quanto si può argomentare, sembra opera di uno dei Brea. » Relazione di una terza ancona, che si trova pure in Sacristia ». > Questa terza tavola è alta m. 2 e larga m. I. 20. Ha sei scompartimenti in i oro, di cui tre sono più grandi, e tre più piccoli. Quello di mezzo al dissotto, » cioè il più grande di tutti, ha m. I. 25 d’altezza, e c. 65 di larghezza; e > rappresenta san Sebastiano legalo ad un albero e frecciato, con ai lati due mauritani » armali d’arco e di turcasso. Fra i due scompartimenti laterali, quello a deslra ha • san Giovanni Ballista nella sua foggia eremitica, e quello a sinistra sant'Anlonio » abaie. Lo scomparlo mezzano fra i superiori, rappresenta il Crocifisso, con ai » piedi Maria SS. e san Giovanni; quello a destra un santo, clic parrebbe Papo-» stolo Simone; e quello a sinistra un santo abate, del quale non saprei dire il • nome (San Benedetto?). • Anche questa pittura, assai bene conservala, e mollo lodata pel san Sebastiano, • pare opera di uno dei Brea. » Mi creda con tutta slima » Della S. V. > Dev.mo Servitore » P. Fossati Andrea, parroco». ( CXXXIIl ) emessa, clic cioè Lodovico Brea sia stato educato nell arte da taluno di que’ fiamminghi, che molto operarono a suoi giorni in «Genova e nella Liguria; facea rilevare quanto sia infondata quella sentenza, propagata dal Lanzi e da più altri accolta, che vorrebbe fare del pittore nizzardo il padre della scuoia genovese, e constatava come lo Spotorno sia pur esso caduto in errore, quando, per sostenere la contraria opinione, si spinse fino a negare al Brea ed a qualsiasi altro straniero il diritto dello esercizio di una scuola fra noi. Tali sbagli però sono vittoriosamente confutati dalla nostra Matricola de pittori ; la quale pone il Brea (Lodisius de JSicia) appena il vigesimo-sesto fra que’ maestri (*) ; e insieme ai capitoli dell arte dimostra come i forastieri, medianti speciali sottomissioni e prescrizioni, ben potessero, anche come capi-scuola, fra le nostre mura esercitarla. Il cav. Cornelio Desimoni comunicava poi, da parte del socio Wolf, quattro lucidi rappresentanti alcuni dei principali affreschi esistenti nella chiesa pievana di Volpedo in quel di Tortona; ed osservava, a nome del socio stesso, come questi dipinti appartengano all’epoca medesima nella quale viveva quel Manfredino da Castelnuovo, che nel 1478, essendo in Tortona, dipinse per la Parrocchiale di Gavi un’ ancona a più scomparti , che ora si custodisce neirAccademia Ligustica, e di cui tratta un articolo pubblicato dal comm. Santo Varni nel N.° 12 del Giornale II Michelangelo. Soggiungeva, che nella Cronaca manoscritta di un Lorenzo degli Opizzoni si accenna essere avvenuta nel 1496, e nella stessa città di Tortona, la morte di un Manfredino De Ubasilio pittore (**); e dalla uguaglianza C) V. Giorna'e Ligustico, au. 1827, pag. 309. (**) 1496, junii 24. In festo sancti Johannis.... mortuus est Manfrediwus de Ubasilio pinctor (Registrimi litterarum etc.,per me Laurentium de Opizonibus eie., quod inccpi feliciter anno current e 1492. Ms. nell'Archivio della Mensa ^ esco vile di Tortona). ( CXXXIV ) del nomo e della abitazione di esso pittore, non che dal raffronto delle epoche, conghietturava probabile la identità di • costui col Manfredino da Castelnuovo, potendosi ritenere il De Ubasilio quale cognome. È vero che Ubasilio, Ubasuglio e Basidio son nomi variamente scritti nelle carte del medio evo, per indicare un villaggio del Tortonese, ora distrutto, ed esistito in una località che tuttavia si appella Boseig ; e che perciò potrebbe piuttosto credersi il Manfredino nativo di esso villaggio. Ma oltre che 1 epoca della distruzione di questo s'ignora, egli ò da avvertire che tra le antiche famiglie di Castelnuovo-Scrivia esisteva appunto il cognome De Basidio ; e che per conseguenza parrebbe doversi a tale casato ascrivere il nostro Manfredino, quantunque nulla osti che i suoi antenati originassero dal luogo col nome stesso di Basulio appellato. * * Clie se i lucidi presentati rivelano uno stile, il quale sembrerebbe di tempi anteriori a quello cui è certo che spettino per un frammento di data che tuttavia lasciano leggere (mcccc.....), ed anzi vicino al giottesco ; il cav. Giuseppe Isola osservava , • he questa apparenza di maggiore antichità potrebbe attribuirsi od alla poca perizia del pittore, ovvero al lento progresso artistico verificatosi nel paese in cui lo stesso pittore abitava. Del resto, notava il prof. Alizeri, gli esempi di Giotto penetrati una volta in que' luoghi, che aveano relazioni molteplici ' ulla Liguria, duraronvi ben lungamente; cioè sino al tempo nel quale fra noi si diffuse la scuola del Mantegna. Nell assumere la presidenza della Sezione Artistica, il prò-femore Alizeri avvertiva come sia debito particolare della medesima il vegliare alla conservazione dei pairii monumenti, e lo studiarsi di purgare la storia delle arti nostre dai molti errori onde è viziata e corrotta; ed a quest’ultimo proposito accennava egli a quella tradizione , rhe poscia accolse ne' suoi scritti il Bertolotti, secondo cui vorrebbesi riconoscere ( cxxxv ) nel pittore Giovambattista Caiionc l’assassino di Pellegio Piola (*). Di ciò per altro non è verbo in Raffaele Soprani, scrittoio contemporaneo ; imperocché egli si limita a ricordare che lo infelice Peliegro, imbattutosi il 25 novembre 164G in alcuni giovani, gli bisognò con questi azzuffarsi per certe paiole dette piuttosto per ischerzo che per ingiuria, e che dagli avversarii postasi mano alle coltella, il Piola rimase si gra\e mente ferito, che il giorno dopo ebbe a morirne. Veio è che il Ratti annotatore e continuatore del Soprani, presenta il fatto sotto un aspetto assai diverso, e ce ne dà per ragione che così com’ egli il racconta 1' ascoltò da persona che centinaia di volte udillo dalla bocca d'Angiola Piola, sorella di Pellegro, morta appena in sui principii del secolo xvm. Nana egli adunque come lo sventurato pittore venisse una sera, ad ora tarda, invitato da alcuni conoscenti a volere con esbi uscire di casa a sollazzo, e come aderito avendo alle loro istanze, e percorso non più che un breve tratto, i compagni a bello studio incominciassero ad altercare fra loro ; sicché venuti alle armi, e tentando Peliegro di cercare uno scampo nella fuga, rimase ferito di stocco da tale, che ebbe poi a lasciai lo dicendogli : Pellegro mio, perdonami, eli io non t avea conosciuto. Soggiunge quindi il Ratti: « Niuno vi fu, che non » tenesse per fermo esser venuto quel colpo da uomini invidiosi » della virtù, e degli avanzamenti di così esperto pittore : e, » come in simili casi avvenir suole, v’era chi per mezzo di » forti congetture nominatamente attribuiva a certuni il delitto. » Io non ardisco a tacciare alcuno. Facil cosa è 1 ingannarsi. « Si sa però, che l’infame sicario giunse a notizia de’ parenti » dell’ ucciso ; ma..... mai dalla lor bocca se ne udì lamento, » nò accusa. Soltanto, dopo qualche tempo, ebbcio a diu , (*) Berto lotti. Viaggio nella Liguria marittima, vol. II/pag. 321. ( CXX.WI ) . che l’esecutore ili quella scelleragginc già n’ avea pagalo » il fio (*) ». Ora, proseguiva il cav. Alizeri, come mai voler dedurre dalla versione sì dell’uno che dell’altro fra gli storici precitati, una accusa tanto grave a carico del Carlone? Che se Pellegro venne ucciso da uomini invidiosi della sua virtù e del suo progresso, come incolpare del misfatto un artista, che già varcato il cinquantesimo anno di età, se ne vivea pieno di meriti e di fama in Genova e fuori per le innumerevoli opere di cui erasi fatto autore, mentre il Piola, giovanetto appena, moveva i primi passi nell’arte, incerto ancora di st stesso, •uè molto favorito di commissioni? E se l’uccisore (ciò i ie inducono a credere le parole del Ratti medesimo) indi a poco morì, ovveramente l’incolse una qualche sciagura, come mai riconoscere in questo il Carlone, che lungamente sopravvisse a Pellegro, cioè fino al 1680, sempre prospero pei fortune e per domestiche felicità? Come inai il Ratti, pur non \olenio tacciare nominatamente alcuno del miserando fine del Pio a » scritto avrebbe di Giambattista parole tanto benevoli si n- Vita di lui, si in fine a quella di Giovanni suo frate o, ove sostituendosi al Soprani, esce a dire: « Vive Gio. Battista » Carlone........ onde io non entro a dir le sue lodi. Il dir e » sarà cura de’ posteri, a’ quali ne somministreA un copioso » argomento nelle egregie pitture che va facendo. A me basta » al presente augurargli lunghissima vita; affinchè, aven o » più campo d’operare, possa sempre più mettere in esercizio » la sua virtù, e con ciò, sempre più rendersi benemerito » della Patria? (**) ». La difesa di uno tra’ migliori che vanti la scuola pittorica genovese, parve di singolare interesse alla Sezione; e pero l’argomento, già dibattuto alquanto nella seduta del 13 scorso (*) Ratti, Vite ecc., /ol. Ï, pag. 323. (**) Id. ibid., 263. ( CXXXVII ) giugno dai socii cav. Isola e prof. Luxoro, verrà in ogni sua parte sviluppalo nelle adunanze del nuovo anno accademico. Per ciò poi che si ragguarda alla tutela dei patrii monumenti , la Sezione aveva tosto opportunità di mettere in pratica gli eccitamenti del suo Preside, col discutere degli svantaggi e danni, che sarebbero derivati dalla effettuazione di un progetto di strada rettilinea dalla Piazza del Teatro Carlo Felice agli Archi dell' Acquasola, intorno a cui la Civica Amministrazione stava allora deliberando. Siffatto progetto avrebbe seco involta la rovina della chiesa di san Sebastiano,. ricca di eccellenti affreschi della nostra scuola, e quella del palazzo Da-Passano ; recata inoltre offesa gravissima all* altro dei marchesi Spinola, che soige di fi onte alla Via san Giuseppe. Per lo che la Sezione (22 febbraio 18Gi) approvava unanime un ordine del giorno, nel quale, espressa la importanza dei succitati monumenti e il desiderio giustissimo della loro conservazione, incaricavasi l’Ufficio di Presidenza di volerlo rendere noto al Municipio. Ma un danno bene a gran pezza maggiore minacciavasi a Genova da un altro progetto; secondo il quale sarebbesi \oluta innalzare una Stazione Ferroviaria, nel luogo dove ora soige il Palazzo che fu già di Andrea D’ Oria. L’ annunzio di tale disegno perveniva alla Società col mezzo di una lettera, che il signor cav. Giuseppe Banchero dirigo a al Presidente in data del 20 luglio decorso, invitando 1 istituto a dar vita con qualche pubblico atto alla pubblica opinione, c a far cessare un così grave pericolo (*). E la Società, nell adunanza generale del 14- agosto successivo, deliberava tosto di ricorrere a S. E. il Signor Ministro dei lavori pubblici, con una Memoria, che veniva dettata all’uopo dal socio cav. Alizeii; do\e, C) La lcllcra del cav. Banchero fu pubblicata dal Corriere Mercantile c da altri gior.iali. ( cwxvm ) esposti i pregi singularissimi ili quello edificio, si concludeva che lo stendere la mano sul Palazzo dei D' Oria tanto varrebbe come ad ispegnere i unico lume alla Scuola Romana in Genova, il massimo tra i monumenti della privata magni licenza, ed uno dei più splendidi saggi deir arte italiana (*). A meglio poi raggiungere Io scopo, la Società stessa interponeva presso il Dicastero dei lavori pubblici i buoni uffici del Signor Ministro della Pubblica Istruzione, mandava comunicarsi il ricorso al Prefetto della Provincia, al Sindaco della Città; e stabiliva che una Commissione eletta in parte da questo Instituto ed in parte dall’Accademia Ligustica, e composta dei signori cav. Alizeri, cav. Giuseppe Isola, comm. Santo Varni ed ingegnere Pietro Resasco, dovesse attendere a compilare una Illustrazione storico-artistica dello insigne monumento, da licenziarsi poi alle stampe con quel corredo d’incisioni, che meglio torneranno opportune a farne rilevare la bellezza o 1' importanza (**). Frattanto le pratiche interposte hanno approdato a quel line che era nei desiderii di ciascheduno; imperocché il R. Governo dava affidamento, che la sedo d'Andrea D’Oria non patirebbe {*) La Memoria dirella al Signor Ministro vedesi stampata nella Gazzetta di Genova del 7 settembre 186 i. (**) Questo lavoro sarà pubblicato entro l'anno 1865. II cav, Alizeri narrerà la storia di sì cospicuo monumento; I1 ingegnere Resaseo ne dirà i pregi architettonici; il cav. Isola ne illustrerà le insigni pitture, ed il comm. Varili parlerà delle cccel-Icnii sculture. Le tavole in rame saranno stampate in foglio di centimetri 40 di altezza per cent. 55 di lunghezza ; c vi collaboreranno così per la parte del disegno come per quella dell’ incisione, parecchi distinti artisti e professori dell’ Accademia Ligustica. Rappresenteranno poi esse tavole: 1.° la pianta generale dell’ edifìcio, giardino ed annessi; 2.® una veduta panoramica di tutto il monumento, presa dal prospetto a mare; 3.° veduta prospettica del porticalo a pianterreno; 4.® alzalo arcliileltoiiico della porla maggiore d'ingresso; 5.0 le tre grandi fontane, pianta ed alzato; 6.° il soffino dell atrio d’ingresso; 7.° veduta prospettica della Galleria al piano supcriore; K " il sodino del salone; 9.° il frontone del focolare nella gran sala, c ipialchc allra scultura. t , ( CXXXIX ) oltraggio ("*>. E d’ altra parte S. E. il Principe Andrea D’Oria-Pamphyli, nel generoso iatendimento di concorrere alla spesa, che per la stampa della Illustrazione summentovata si renderà necessaria, faceva annunziare alla Società, che à\rebbe messa a disposizione della medesima, la somma di lire 1,500. 11 compito adunque impostoci per l’amore di una gloria che non è tanto genovese quanto italiana, viene ad essere, merce sì liberale tratto, agevolato a gran pezza. E però 1 Instituto, (***) A meglio dimostrare 1’ interesse e lo zelo posto dal Ministero di Pubblica Istruzione in questa pratica, ò opportuno il riferire la seguente corrispondenza. Torino, addì lo settembre 1864. « Appena mi giunse la sua lettera, nella quale mi da\a notizia del progetto di » Stazione ferroviaria clic avrebbe in tutto o in parte distrutto il Palazzo Doria » Fassolo, non mancai di indirizzare al mio Onorevole Collega Ministro dei Laseri » Pubblici i più vivi uffici, affinchè impedisse clic fosse anche in parte guastato quel » prezioso monumento. Il detto signor Ministro mi rispose colla ivo.a che in copia Le » rimetto, ed io replicai coll’ allra Nota che Le mando pure in copia. » Vedrà cosi la S. V. a qual punto siano le cose, e insieme ai suoi egregi Colle-hi » avviserà a quel che sia da farsi. inutile che io soggiunga, che sono sempre disposto ad appoggiare con ogni mezzo > che sia in mio potere gli uffici e le pratiche di cotesta Società a tale proposito ». Per il Ministro Rezasco Al Presidente della Società Ligure di Storia Patria GENOVA Torino, 10 settembre 1864. t Come vien supposto da codesto Ministero in sua nota 4 corrente N.° 2lo2, » 1455, la Società Ligure di Storia Patria ha veramente indirizzala al sottoscritto una ► * memoria, in cui si chiede che, coll’attuazione del nuovo progetto di Stazione ferro- » viaria in Genova, non sia o in tutto od in parie occupato il PaJazzo del Principe » Doria. a Fassolo. i> A questo riguardo il sottoscritto nutre fiducia che si possa trovar modo di aprire i un passo alla ferrovia, pur conservando intatto un monumento storico, cui a giusto » titolo si attribuisce tanta importanza. p Quando però una imperiosa necessità richiedesse 1’ occupazione non del palazzo, » ma del solo giardino che vi è unito, aìlofra si affaccerebbe una questione di diffi » diissimo risolvimento, quella cioè, di supere se col sacrificare alla conscnazione di ► > ( CXL ) sommamente apprezzandolo, testimonia al munifico siDnoit i sentimenti di una profonda, incancellabile gratitudine. Di una Memoria intorno all’origine ed uso delle lune a /ilo di refe, che lesse il socio cav. Merli addi 23 giugno 1864 (Sezione Archeologica), e pubblicò poco di poi, arricchita 1 opportune incisioni, deve pure in questo luogo ts^eie atta menzione. Imperciocché, secondo ne scrive 1 autore stesso, il lavoro della trina e del merletto può ben dir^i Derman della pittura; richiedendo mente poetica inventi tee, delicato sentire per la convenevole scelta degli argomenti, e cogmzio • un monumento storico i rilevantissimi interessi commerciali cui si n ... h i, r avvenire industriine » disfare col progetto in discorso, interessi coi quali e collegat ii> |»ikp [ivvcniuTu y ‘t » marittimo del porto e della città di Genova, non si verrei) e, rjnVenire nella » commettere una enormità non meno grave di que'la che altri po3sa n > parziale distruzione del monumento stesso. t ^ corrente, * Ad ogni modo però il sottoscritto, a riscontro della precitata Nota, ' yjno> * dichiara che non sarà tralascialo mezzo alcuno perché all atto pratico ^ cnzc » nei limili del possibile, conciliate e rispettate entrambe le son ra < ^lM 1 c Pel Ministro Bella Al Ministero delta Pubblica Istruzione TORINO Tarino, aM il srtU-mhre 's5t* « Il soltoscritto ringrazia la S. V. del conforto che gli procur i, colla . . ii ir-iri'i ferrata. » il Pjlazzo del Principe Doria a Fassolo sarà rispettato dalla ì» * avvertire • poiché la stessa Gducia non si estende al giardino, vuole il sottoscritto V|,rJ_ * come 1’ un) e 1’ altro sicuo un tutto insieme d’ importanza inseparabile. i* .nostri almeno » monte a desiderare che la nuova età, non potendo rinnovar.!, » ossequiosa ai monumenti dell1 antica grandezza. E questo, come oru » civil à superiore a qualsivoglia utilità materiale, io raccomando quanto so e | » a cotesto Ministero, nel quale mi affido ». Pel Ministro Rezasco Al Ministro dei L lori Pubblici TORINO ( CXLI ) di cU'eiti di, luce. La Memoria del socio Merli stabilisce, che 1 uso di questi adornamenti d’oro e di seta è antichissimo ; e che per quelli di refe, l’Italia precede di circa un secolo le altre nazioni. Poche parole si rendono ancora necessarie al complemento della mia Relazione ; la quale è in obbligo di accennare a varii provvedimenti amministrativi, e di rammentare diversi onorevoli fatti. Nel primo volume di queste Memorie si leggono alcune Norme, colle quali si intese dall’Instituto a regolare la nomina di coloro, clic venissero proposti a socii onorarii, ovvero a corrispondenti ; e si deferisce ad una Commissione Y incarico di esaminare 1<" proposte, clic fossero fatte a questo riguardo, coll’ obbligo di tenerne poscia ragguagliata 1’ Assemblea generale. Nell’anno 1862, in cui siffatte regole andarono per la prima volta in vigore, la Commissione venne composta de’socii Nola, Desimoni, Ansaldo, Olivieri Agostino ed Isola Giuseppe; nel 1863 fecero parte della stessa gli anzidetti cav. Nota ed Isola, non che i soci Cepollina, Gilardini e Isnardi; nel 1864 rimasero in carica i medesimi commissionati dell’ anno antecedente, coll’unica differenza che il socio cav. Crocco ebbe a surrogare il P. Isnardi, allora di fresco mancato ai vivi. Presiedette lungo l’intero triennio a questa Commissione il socio barone Nota ; e 1’ Assemblea, accogliendo sempre le conclusioni del Rapporto da lui in siffatte occorrenze dettato, nominò a socio onorario il professore Roberto De Visiani (13 marzo 1864), ed a socii corrispondenti il canonico Giuseppe Manfredi e il professore Francesco Longhena (13 luglio 1862); il canonico Costantino Ferrari, il conte Tullio Dandolo, -ed i signori Antonio Bonora e Antonio Da-Silva Tullio (15 marzo ( CXLII ) 1863); il nobile Girolamo Luigi Calvi, il cav. Emanuele Bollali e il cav. Federico Lancia (13 marzo 1864). Ma una elezione, della quale I’ Instituto va a buon diritto superbo, si è quella di S. A. R. il Principe Odone Duca di Monferrato; il quale, addì 13 marzo 1864, acclamato Socio Onorario dall* Assemblea generale, degnavasi di accettare questo titolo, e di esternarne l’alto suo gradimento alla Commissione, che avea l’onore di rimettere nelle auguste mani di Lui il di ploma, e i volumi delle nostre pubblicazioni (*). • Infine il sentimento della gratitudine che anima questa Società verso il chiarissimo senatore Michele Amari, vuole sia qui fatta pubblica ricordanza com'egli, nel periodo di tempo in cui resse il Ministero della Pubblica Istruzione, destinasse a fa vore dello Instituto la somma di lire seicento , allo scopo d’incoraggiare le nostre pubblicazioni; e come, di concerto col Ministero di Grazia e Giustizia, assentisse ancora, a che una Commissione, delegata particolarmente dalla Società, po tesse visitare i conventi e i monasteri di già soppressi, o clic (*) La Commissione, composta del Presidente c del Segretario, fu riccv S. A. R. il giorno 5 maggio alle ore 12 meridiane. . cstre- II diploma stampato appositamente sovra un foglio memi ranaceo, dalla cui miti pendeva, entro scatola d’argento, il sigillo dell’Instituto, diceva. Società’ Ligure di Storia Patria La Società, conscia dell’ amore intelligente e della cura assidua c generosa, cui S. A. R. il Principe Odone Duca di Monferrato salva dall 10 ® raduna molti e preziosi monumenti d'Arte e d'Archeologìa, a illustrazione incremento della Storia d’Italia, nella sua adunanza generale del 13 marzo Lo acclamava unanimemente Socio Onorario. // Presidente P. Tola. Il Segretario L. T. BklgrANO, ( CXLIII ) si andassero sopprimendo nella Liguria, all’oggetto di cercarvi iscrizioni, codici e documenti importanti alla storia patria, e per ciò meritevoli di essere custoditi nelle pubbliche biblioteche o ne' musei. La mia Relazione mette qui fine. Ma se le diligenze usate in dettarla mi affidano, eh'essa potrà ritrarre, a cosi esprimermi , la sincera fisionomia dell’ Instituto, e nulla vi abbia . d’ intralasciato di quanto si riferisce alla storia del triennio testé compiuto; ben comprendo però, che il lavoro non andrà, sotl’ altri riguardi, scevro di mende e di difetti. Io faccio quindi appello all’ indulgenza dei colleghi e degli amici ; e mi auguro vogliano essi avere questo Rapporto non altrimenti, che come pegno dello amore che mi lega ad una Società, la quale accoltomi in sui primi anni della mia giovinezza, mi volle circondato delle sue cure, mi si fece maestra, e mi guidò nel difficile cammino degli studi. Genova, 1 dicembre 1864. Il Segretario Generale L. T. Belgrano. ' AI Catalogo doi socii effettivi vanno aggiunti i seguenti, i cui nomi furono omessi per mera inavvertenza. Falconi Agostino, socio di varie Accademie. Sauli Marchese Nicolò, Consigliere Municipale di Genova. II 27 novembre 1864 fu pure nominalo socio effettivo il cav. avv. Enrico Falconcini, già Deputato al Parlamento Nazionale. A pag. Lxxxin. lin. 19: diretti, leggasi diritli. » OXL, » 24: 1854, » I8G4. ■vws m : '-?K ’:i * INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO Elenco degli ufficiali, che ressero la Socielà c le Sezioni di essa negli anni 18C2-18G1 . .....P^g. v Socii Efleuivi.........* Socii Onorarli ... *......• Socii Corrispondenli.........• Necrologia..........» Doni falli alla Socielà dal 1 giugno 18G-2 al 15 novembre 1861...........» Rendiconto dei lavori falli dalla Socielà negli anni accademici 1862-186Ì , del Segretario Generale cav. L. T. Delgrano. * XVII xxv XXIX xxxv XLIII LV SOTTO I TORCHI Voi. in., fascicolo il (Irgli Alti, contenente la Collezione delle epigrafi romano-liguri, illustrate dal socio canonico prof. Angiolo Sanguineti ; e tre lettere del socio cav. avv. Cornelio Desimoni sulla Tavola di Polccvera. 1)1 PROSSIMA PUBBLICAZIONE Voi. il, parie i, contenente 1 Illustrazione del Registro della Curia Arcivescovile di Genova, del socio cav. L. T. Belgrano. Volume iv, fascicolo i, contenente l'Illustrazione Storico-Artistica del Palazzo ili Andrea d’Oria a Passalo in Genova, compilata da una Commissione eletta dalla Socielà e dall’Accademia Ligustica; con incisioni in rame in foglio grande. ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE » DI STORIA PATRIA TIPOGRAFIA DLL R. 1. DE* S0RP0-MUT1 — MDCCCLXV ISCRIZIONI ROMANE DELLA LIGURIA BACCOLT E E ILLUSTRAT E DAL CAN. PROF. ANGELO SANGUINETI AI CORTESI LETTORI Mentre ferve nel mondo erudito un mirabile ardore di ricercare e mettere in luce tutto che tende ad illustrare 1' antichità così delle nazioni in generale come dei singoli luoghi in particolare, oggetto di quella nobilissima scienza che è 1’ Archeologia ; la nostra Società colle memorie e monumenti già dati alle slampe ha mostrato di non voler essere 1’ ultima a prendere parte a questo lodevole movimento e prosegue animosa il corso delle sue pubblicazioni. Ora pertanto ciò che per molte città e regioni fu già compiuto, e che si dovrebbe per tutte, ci accingiamo di eseguir noi per la Liguria : raccogliere cioè in un sol corpo e ( CXLYIII ) - J pubblicare tulle lo Iscrizioni dei (empi Romani che si iiomìiìo in questo paese e che ad esso, come clic sia, m i Unisco no. o sussistano tu ((ora ne marmi e bronzi oiiginali, o sopravvivano soltanto in al(re collezioni. Mudo potrebbe negare i vantaggi che sempre oflrono queste raccolte. Primieramente presentano adunati in-sieme tanti monumenti che esistono disparati e dispersi, sPe^o ancora ignorati, e danno così allo studioso occasione e comodila di esaminarli, di raffrontarli, di interrogarli a cavarne qualche notizia di storia antica, che per avventura chiudono in seno: quindi assicurano per sempre I esistenza di quelle epigrafi che fossero rimaste inedite o affidate soltanto a codici scritti a mano. Il tempo c l'ignoranza, due terribili nemici dei marmi letterati, ne hanno es(ermina(o un erran numero consumandoli o impiegandoli in costruzioni come le pietre più vili: le iscrizioni incise sui metalli avea no nella stessa loro materia la colpa che lo condannava al fuòco: un manuscrilto per fo più giace ignoto ed è soggetto ad andare disperso e non lasciar traccia di A questo fine rivolsero le loro ricerche e fatiche molli uomini dottissimi, che ottimamente meritarono delle ri-ispettive loro patrie e della scienza archeologica in generale, raccogliendo le Iscrizioni Romane delle loro terre, come ci proponiamo noi di far della nostra, imitando di que? valentuomini non il valore ma certamente il buon volere. La Liguria ebbe qualche parziaf ( CXLIX ) raccoglitore di epigrafi di luoghi particolari. Le Lunensi ebbero la buona sorte di essere con somma diligenza ricercate e pubblicale dal sig. Carlo Promis: le Venti-migliesi dal signor Girolamo Rossi. Meno fortunate furono le Albinganesi abborracciale dal Coitalasso e maltrattate dal Canojiico Navone. Su parecchie di quest' ultime e sopra alcune altre di varii luoghi fece giudiziose osservazioni l1 insigne nostro Spotorno, ma non imprese mai (eppur sarebbe stato uomo da ciò) una generale collezione. Rimane dunque a noi 1’ uffìzio di riempir questo vuoto e pareggiar la Liguria a tante altre Italiche regioni, che già possedono il loro Epigrafico Museo, mercè le cure di uomini che sono riusciti più o meno felicemente nella loro impresa. Così V Orsato raccolse le Patavine, il Malvasia i Marmi Felsinei, il Torre le iscrizioni dell'antica Anzio, il Gori le Etru-sche, T Oliveri degli Abati le Pesaresi, il Bartoli quelle d’Aquilea, i due compagni Rivautella e Ricol vi le Torinesi, il Maffei le Veronesi, il Noris le Pisane, il Zaccaria le Salonitane, il De Vita le Beneventane, il Morisano le Reggiane di Calabria, il Torremuzza le Siciliane, il Vernazza le Albesi, il Bianchi le Cremonesi, il Vermiglioli le Perugine, il Romanelli le Pompeiane, il Cardinali le Veliterne, il Cavcdoni le Modenesi, il Tola le Sarde, 1’Aldini le Come»si, il Viola le. Tiburtine. L’ illustre Labus oltre i suoi moltissimi lavori d’illustrazione epigrafica, aveva impreso la raccolta ( CL ) delle iscrizioni Bresciane, quando fu sventuratamente interrotto dalla morte. Ma se questi ed altri, che possono essere sfuìariti alla mia memoria, furono per lo più C u nativi dei luoghi che illustrarono e certamente Italiani tutti; venne in questi ultimi anni a raccogliere le noshe ricchezze uno straniero, I insigne Tedesco leodoio Mommsen, il quale nel 1864 pubblicò in Lipsia tutt< le Iscrizioni del regnò di Napoli, sostituendo se stesso a tutti i raccoglitori parziali e non lasciando agli eluditi del paese presenti e futuri altro incarico clic di a0 giungere qualche appendice alla sua opera mano mano che si andranno facendo nuove scoperte. Non parleremo dei moltissimi che illustrarono qualche * In parte dell immenso tesoro che racchiude 1 eterna i Fulvio Orsino, a modo d esempio, pubblicò Iï])iam mala antiqua irbis sotto il nome del Mazzocchi clic ne fu lo stampatore nel 1524, il Vignoli una scelta <1 crizioni, il Relando e Y Almeloveen i Fasti Consolari y il Cori la descrizione di un Colombario di liheiti servi di Livia Augusta, il Bianchini una camera < ,scrl O 7 il zioni sepolcrali dei liberti della casa di Augusto, i Cuasco le iscrizioni antiche del {Museo Capitolino, * Marini gli atti e Monumenti dei Fratelli Arvali, il sconti il Monumento degli Scipioni, Carlo Fea i Fnvn menti di Fasti Convolavi e Capitolini e il Borghesi i nuovi Frammenti dei Fusti Consolari c Capitolina oli® un immensità di lavori archeologici d un pregio NCia ( CLI ) mente insigne, che Io fecero senza contrasto principe dell’ Archeologia Italiana. Ninno ignora che l’Imperatore Napoleone ha ordinala una raccolta generale di tulle le opere del famoso Archeologo per farne una completa pubblicazione. Si dice esser già uscito alla luce qualche • volume, ma non pare che sia stalo ancora messo m circolazione. Chi è poi che non conosca gl’ ingenti lavori compilati con più o meno crilica, con diségno non ristretto a luoghi particolari, ma esteso alP universalità del regno epigrafico, dagli Apiani, dagli Smezii, dai Ciriaci, dai Reinesii, dagli Spon, dai Fabretli, dai Gudii, dai Gruleri, dai Muratori, dai Donali? Ma Topera più gigantesca nel fatto deir Epigrafia è quella, credo io, assunta dalla R. Accademia delle Scienze di IJerlino, la quale, prima che fosse condotta a termine la gran raccolta delle Iscrizioni Greche istituita dal Boeckh, si accinse alla collezione di tutte le Epigrafi Latine. Primo inspiratore di questa idea par che fosse T Archeologo Alemanno-danese Kellerman, a cui non bastò la vita e morì fra il lavoro in Roma 1’ anno 1857. Augusto Guglielmo Zumpl berlinese, già conosciuto per altri lavori d’erudizione, gli sottentrò per ispingere innanzi 1’ opera, la quale con saggio consiglio fu ripartita in parecchi collaboratori. Intanto Federico Ritschl professore a Bonn e Teodoro Mommsen s1 incaricarono di raccogliere le epigrafi anteriori ad Augusto, prezio- ( au ) sissiino prodromo al rimanente edilìzio, da essere singolarmente accollo con amore dagli .studiosi della Latina Filologia. La direzione poi del Corpus Inscriptionum Latinarim fu allidata al detto Mommsen, a Guglielmo Iienzeo segretario dell’Istituto Archeologico di Roma, e a Gio. Ratta Rossi Romano, celebre per la sua profondità nella scienza dell Epigrafìa cosi classica come cristiana : e da tali nomi apparisce che siffatta direzione non poteva esser meglio aflidata. L' accennata ripartizione del lavoro fu fatta nel 1854 e I’Henzen nel 56, pubblicando i suoi supplementi e correzioni alla collezione dell Orelli, andava incontro all obbiezione, che gli si potea muovere, d aver prevenuto con quel suo lavoro la pubblicazione del Corpo universale delle iscrizioni Latine. E rispondeva che quando aveva assunto il suo lavoro era a (emersi che il detto corpo (quando pure fosse venuto in alcun tempo alla luce) poggiasse principalmente sull incerta e debole autorità dei libri c che provando egli con molti esempi agli uomini della scienza la mala condizione delle iscrizioni sui libri, avrebbe recato alla compilazione del corpo stesso non piccola utilità. E questa verità si ebbe un rincalzo luminoso nella pubblicazione delle Epigrafi Napolitano del Mommsen: onde la dottrina di questi due uomini ebbe tanto potere sull Accademia di Berlino, che questa riconobbe la necessità di seguirne i consigli e il disegno col ricorrere all esame per quanto fosse ( Cilli ) possibile, dei marmi originali. Ed egli, 1’ Henzen , già trovandosi compiuto fra le mani il lavoro, e dovendosi aspellare quello dell’ Accademia di Prussia chi sa per quanto lempo ancora (di cui nell’ Archivio Storico di Firenze del 1858 trovavo menzione come di lavoro vivente) stimò, e con ragione, che non tornerebbe inutile pubblicarlo sì in riguardo del Corpo universale, sì a comodo , degli studiosi delle Romane antichità. In questo modò io tenera dielro all’ andamento dei lavori per la compilazione del corpo universale delle Iscrizioni Latine, affrettandola col più vivo desiderio, ma non colla speranza di vederla- preslo eseguita, quando ecco giungere l’avviso che già è pubblicalo il primo volume e che sono prossimi alla pubblicazione il secondo ed il terzo e quindi sopraggiungere il primo, che contiene le iscrizioni anteriori ad Augusto illustrale dal Mommsen e accompagnale da un Aliante in cui per cura del Rilschl furono litograficamente rappresentati con quella massima esattezza, che in lai opera si possa raggiungere, i monumenti medesimi. Questa parte di lavoro comparve in modo non solo degno dell’ illustre Accademia, alla cui ombra si è andata svolgendo, e degli uomini profondissimi che vi posero mano ; ma da avanzare anche 1’ aspettazione, che pur era grandissima nella repubblica degli eruditi. Il titolo generale dell1 opera ò così concepito: Corpus Inscriptionum Latinarum consilio et auctoritate ( cuv ) Academiae litterarum Regiae lior ussi eue editum. Ad tectae sunt tubulae hthographae. Beroltm apud (m corytum Rei-merum 1862. L’intitolazione poi speciale del primo volume, da cui ne risulta la grande importanza e preziosità, è questa: Inscriptiones Luti tute antiquissimae ad Cui Caesaris mortem. Edidit Theodorus Mommsen, Accedunt elogia clarorum virorum. Fasti anni /uliani editi ab eodem. Fasti consulares ad un. \. C. OCCLXVl editi a Guilelmo Henzeno. E a questo si aggiunge per compagno : Yolumen tabularum. Priscae Latinitatis monumenta epigraphica ad Archetyporum fidem exemptis lithographis repraesentata edidit h ridemus Rit- scfielius. Voi dunque trovate in questo volume raccolti i monumenti epigrafici della lingua latina dai tempi più remoti alla morte di Giulio Cesare, che ù il periodo più importante di questo ramo della Romana Archeo logia. E dove nelle altre collezioni si trovano sparsi qua e là, confusi cogli altri d’ ogni tempo e d ogni maniera per forma che appena F occhio più spciimen lato li discerne senza esser sicuro della loro autenticità ed esattezza; qui si vedono tulli riuniti insieme c schierati, quanto fu possibile, in ordine cronologico, e passati alla trafila di quella inesorabile critica tedesca, che non la perdona alle più vecchie e stabilite riputazioni, ma rifacendo il cammino, che pareva già pei precedenti lavori assicurato, ne rivede nuovamente le ragioni c ( CL\ ) ci porge la verità con quella certezza maggiore, che in cosiflatte materie possa desiderarsi. Io non ho motivo di rilevare 1’ importanza dei monumenti di questo periodo e dei facsimile che li rappresentano al vero : io me ne appello a coloro che amano alcun poco gli studi della Filologia arcaica Latina. E per questo non posso tenermi dall’ applaudire ai Moderatori della nostra Civica Biblioteca che subito ne ordinarono Y acquisto a comodo e soddisfazione dei cultori dell’ Epigrafia, come già l1 avevano dotata della collezione Napoletana del Mommsen, mal reggendo a cotali dispendii la comune degli studiosi. A queste opere entrate nella detta Biblioteca vuoisi aggiungere il primo volume venuto in luce di quel-1’ insigne lavoro del cav. Gio. Batta De Rossi, che è intitolalo; Inscriptiones Christianae Urbis Romae saeculo septimo antiquiores. Io non ho bisogno di spendervi intorno molte parole, perchè se grandissima ne era 1’ aspettazione, 1’ effetto in questo primo saggio la vinse. Cinque anni vi vollero alla stampa di questo volume, che consta presso a poco di 800 pagine e contiene 1574 Iscrizioni. Questo tempo non dee parer soverchio a chi considera che i caratteri della più parie vi sono rappresentali nelle forme precise di quelli de’marmi originali o de’codici, che F instancabile Raccoglitore ritrasse di veduta con immensa fatica, tempo e dispendio dalle Calacombe di Roma e dalle biblioteche d'Italia, Svizzera, Francia e ( CLVI ) Germania. Tulta la Collezione consterà ili undici mila Epigrafi. Nel primo volume il De llossi accolse tulio quelle clic hanno certa data. La prefazione, i prolegomeni, lo illustrazioni sono degne del valentuomo che ù cosi profondamente versato nella materia e che I’ ha meditala veni’ anni. Che se essa materia paresse ad alcuno non conforme a questa noslra, perchè Y una infima? mente legala cogli studi sacri, non l’altra; risponderei primieramente non vantaggiarsene questi soltanto, ma gli archeologici ancora in generale per la storia, |a cronologia, i fasti consolari, la paleografia ecc. Ma poi messo questo da parte, si dee far ragione che la noslra Uaccolta non finisce colle Epigrafi Romane. Onesto sarà come il prodromo di lulla la collezione, poiclrò seguiranno alle Romane le.Cristiane più antiche, c poi le altre di secolo in secolo fino. a queir epoca in cui la Socielà giudicherà opportuno arrestarsi. Disgraziatamente nel passalo Novembre abbiamo perduto il Socio Prof. Don Marco Oliva, che aveva accettalo I incarico di raccogliere ed illustrare le Epigrafi che devono far seguito immediatamente alle Romane. Il suo fine di* scernimento, la sua pazienza, la scrupolosa esattezza che era uso di mettere nelle cose sue, ci davano diritto di aspettarne un buon lavoro. Siccome sappiamo che ci avea posto mano, perciò ci riesce strano che non se ne sia finora trovato ne'suoi scritti vestigio. Ma per tornare alle grandi collezioni di cui par- ( CI>VII ) Invaino, si desidera ancora die in alcuna delle nostre pubbliche biblioteche entri l’insigne lavoro del Boeckh, cioè il Corpus Inscriptionum Graecarum Ç). Anche in questo,*per non parlare delle sapienti illustrazioni del raccoglitore, sono stali riprodotti per litografia i mo-numenli originali più insigni con quell1 utile che gli amanti di questi sludi possono apprezzare. Se la lingua di esse epigrafi allontana dal nostro soggetto quell1 opera; il genere della composizione ve la richiama. Ma se questa finora non si trova in alcune delle pubbliche biblioteche di Genova, ci venne dato di vederla insieme a tutti gli altri recenti lavori epigrafici, di cui abbiamo finora parlato, nella privata libreria del nostro (Compianto Socio il marchese Antonio Brignole Sale, alla cui memoria la Società ha reso quell1 onore che per lei si poteva e che io mi pregio di rinnovare profittando-di questa occasione per rendere a quel vero tipo di Gentiluomo probo, dotto, cortese e generoso l’esiguo ma sincero tributo dei miei particolari sentimenti. Trovo che 1’ Henzen nei suoi prolegomeni ai supplementi Orel-liani si lasciò andare a risentile lagnanze perchè in (*) Sono quattro volumi. 11 primo veline in lucè nel 1828, il secondo nel 1833 per cura di Augusto Bocckh. Dopo di che, avvenuta la morte di lui, fu data la cura di continuar Topera a Giovanni Franz, il quale nel 1853, diede il terzo volume tutto compilato sui materiali lasciati dal Boeckh. Ma questi alla sua volta andato ad una cattedra fuori di Berlino ccdò le parti ad- A. Kirchhoflf, il quale diede il quarto volume (senza data).che contiene le iscrizioni cristiane. Mancano ancora a tutta l’opera gl’indici, che gl’intelligenti sanno quanto sono necessarii in tali lavori. Son persuaso clic ci lavorano intorno. ( CL Vili ) Noma (ove pur confessa non polcrsi desiderare maggior ricchezza di libri amichi) non si (rovino (ulte le moderne pubblicazioni in francese, in tedesco, In ispa-gnuolo, elio farebbero per lui. Il rimprovero ? diredo ai librai, si (ralla di lavori d un genere a cui pochi possono dedicarsi, e d opere in lingue esotiche: tutte ragioni che poleano per avventura disarmare il suo mal umore. Che maraviglia dunque se io esalto un nobile Signore per la sua sollecitudine in procacciarsi opere di tania’ importanza, le quali, benché di uso privalo, pur arricchiscono la cilli*, potendosi ricorrere in un bisogno alla gentilezza de’ suoi eredi, come vivendo egli ce ne avea fallo cortese facoltà. li queslo vanto di fare accolla di opere moderne non mirando al dispendio, vuoisi attribuire ad un altro insigne noslro Socio, l avv. Caveri, il quale come colla sua dottrina ed eloquenza illustra il foro e la cattedra, così col suo nome onora la nostra Socielà ed è largo delle sue ricchezze librarie a chi a lui si rivolge. # Il riunire materialmente ludo quanto si trova m marmi originali, in libri slampali, in codici nianu-scriiii, in ischede private è cosa di cui nulla poirehb’ essere, dalla fatica materiale infuori, di più facile esecuzione, ma insieme di maggiore inutilità, anzi di pregiudizio e danno gravissimo alla scienza, offrendosi in lai modo all incauto studioso per una gran parte il falso per vero, e ammannendoglisi un’ imbandigione ( eux ) di menzognera e fallace dottrina. 11 vero metodo si è di ricorrere, quando si può, ai monumenti originali o di farli passare alla trafila della critica più severa , quando non si possono più rinvenire in altro modo che trascritti in tempi anteriori. La detestabile impo* stura di parecchi, la credula dabbenaggine di molti altri, la negligenza di taluno anche dotto e profondo, le deviazioni e le vicende a cui vanno soggette le parole quando passano d‘una in altra scrittura; tutto questo ha fatto che una colluvie di false iscrizioni o, se non altro, guaste c alterate, inondasse il campo delle legittime e sincere e le une alle altre si frammischiassero e apprestassero gravissimo travaglio a chi si proponga di sceverare dalle male erbacce il buono e schietto frumento: lavoro arduo, se fu mai altro, e in cui i più esperti non si possono ripromettere se non un certo grado di esattezza, la perfezione non mai. Chi crederebbe che 1’ Orelli così profondo e sagace e cotanto della critica epigrafica benemerito, potesse aneli’ egli essere stalo indotto ad accettare il falso per a vero e rigettare il vero come falso? E appunto moltissimi sono i luoghi che 1’ Henzen ne’ suoi supplementi alla collezione Oreiliana ebbe ad emendare, e avverte i lettori che mollo ancora troveranno a correggere nel suo lavoro. Tutti sanno quanti monumenti apocrifi si traforarono nelle grandi collezioni del Grillerò, del Muratori ecc. mentre Scipione Malici dall1 altra ( CI.X ) parli* per soverchio limoro ili prendere per genuino lo spurio, eccedeva in severità,. c si lasciò ire più-volle •i rigettar come spurio ciò die èra genuino. Si può vedere come non di rado r Orelli e I’ Henzen lo ri-chiamino a più benigno giudizio. In faccia a (ali diflieollà chi non si periterebbe di nieller mano ad un’ opera che fa tremare i più saldi polsi? Ala è pur vero doversi riconoscere una grande differenza ira I immensa estensione dello collezioni uni-tersali e I augusto cerchio d’ una raccolta particolare, <*ome è questa, per cui la stessa nostra povertà ci è di conforto. Abbiamo bensì un monumento, che è dei più rari e preziosi di hilta I Epigrafia Latina (la Tavola di Polcevcra) ma I' abbiamo solfo gli occhi in originale c non temiamo di essere indolii in errore do chi la copiò- dal bronzo o la trascrisse dai copiatori. Quanto alle altre non le prenderemo certamente da Pirro Li-gorio o da chi si è lasciato abbindolare da cotal ciurmatore; ma accennando i -fonti che a noi saranno sembrati più o meno credibili, porgeremo occasione ai doui di esercitare la loro critica sopra una collezione che ullrira cerlamente materia a ciò, siccome quella che per la prima volta viene alla luce. Oltre alle ino satfezze, che sono inevitabili in un lavoro di primo ^elto, si potrà per avventura trovare incompleta la ^accolla o perchè sia sfuggila alcuna epigrafe alle mie ricerche e de miei Colleglli, ossia perchè se ne possa • • ( CLXI ) * • * scoprire alcuna di nuovo. Ed io qui dichiaro a quanti capiterà fra Io mani questo scritto, che così le rettificazioni come le aggiunte che o a me o alla Società si faranno pervenire, saranno accolte con riconoscenza c stampate negli Atti come supplemento alla Collezione: In cosifratte pubblicazioni si può tenere il metodo di offrire i soli e nudi monumenti, e quello di corredarli di più o meno larghe osservazioni. La Sezione Archeologica nell1 affidare a me 1’ incarico di illustrarli, escludeva naturalmente il primo metodo e rimetteva al mio giudizio il modo di praticare il secondo. E brevemente espongo come mi son regolato. Nelle collezioni universali e in molte particolari si vedono distribuite le epigrafi secondo la loro natura, come a dire le Sacre, le Pubbliche, le Storiche, le Onorarie, le Mortuarie ecc. Ma per noi che abbiamo nella nostra Liguria parecchie regioni o centri geografici che contribuiscono un contingente, a così esprimermi, di Epigrafi loro proprie e particolari, si prestava come cosa ovvia e naturale il seguir,, piuttosto che un altro, il metodo geografico, avuto nello stesso. tempo riguardo, per quanto si può, all1 intrinseca qualità di ciascuna iscrizione. Per attenermi a questo aveva dinanzi agli occhi gli esempii del Boeckh per le iscrizioni Greche e del Mommsen per le Napolitano, a non parlar della natura stessa della cosa, che altamente lo riclamava. ( CLXll ) Ho comincialo pertanto da Genova come centro e capo della Liguria, poi ho percorso la Riviera Orientale mettendo capo a Limi che ne fornisce un bel numero già bello e riunito dal valente Archeologo sig. Carlo Promis. Mi son poi disteso per la Riviera Occidentale spingendomi sino a Cernendo e Nizza per quelle ragioni che accenno a suo luogo, quantunque quest’ultimi a rigore non appartenga alla noslra Liguria. In ultimo dovevo rivolgermi a Settentrione. Per non parlare di qualche piccola memoria appartenente al lerrilorio Bobbiese, la via Postumia mi faceva invilo a prendere la direzione di Libarna, ove alcune Epigrafi scamparono alla distruzione del tempo c degli uomini con lui congiurali. E quinci per quei molivi die accennerò, ho dato luogo ad alcune iscrizioni della vicina Tortona fatte pervenire alla Sezione dal noslro socio il Signor Alessandro Wolf. E cominciando da quelle di Genova si dovrebbe naturalmente prender le mosse da quel prezioso monumento a cui ho di sopra accennalo, come il più importante c il più antico che a Genova noslra appartenga, che è la Tavola di Polccvera. Ma siccome la sua illustrazione, a cui hanno concorso due nostri / eruditissimi Socii, forma uri corpo per sè abbastanza ampio ; si è stimalo di riserbarla quasi appendice alla (ine, per non metterla come antemurale innanzi al corpo ddle Iscrizioni e potere una vòlta licenziar ( (XXIII ) queste alla stampa. Il concorso di questi miei gentili e dotti Colleglli , il pensiero di riprodurre il monumento in facsimile; (ulto ci consigliava a ritardare anziché ad affrettare questa pubblicazione, che ora godo di offrire unita, come riclamava la ragione della materia, in un solo volume colla raccolta delle Iscrizioni. Anche rispetto al. modo dell1 illustrare le lapidi si possono tenere vie diverse secondo la varietà delle persone, a cui s’ indirizzano le osservazioni. Sappiam bene che parlando ai dotti si passano sollo silenzio moltissime cose: di altre basta un semplice cenno. Quelli che hanno una certa dimestichezza coll Ordii , coll’Ilenzen, col Mommsen, col Cavedoni ecc. sanno che questi profondi critici, a risparmio di tempo e di spazio, hanno adottato un linguaggio quasi di convenzione, estremamente laconico, che contiene quanto basta e niente più, per farsi intendere dai soli intelligenti. Ma io indirizzandomi piuttosto ai giovani e a quelli che sono delle patrie cose amatori in generale , ho pensalo di fare in modo che costoro senza essere dedicali ad uno studio profondo su questo ramo di Archeologia, possano imprender la lettura delle Lapidi e non essere scorali dalle difficoltà clic presenta di primo trailo Y Epigrafia ; ma vi trovino invece quelle rudimentali cognizioni, su cui poggia la scienza, e se ne imbevano senza avvedersene e ci prendano amore. ( CLXIV ) Per quesh) ho pensalo die nuocerebbe per una parie la soverchia aridila, che pur sorriderebbe ai dodi di kil disciplina : per altra una troppo larga trattazione, che ini darebbe I aria di volerla far da pedagogo, spaventerebbe per un indigesta mole d erudizione il semplice dilettante. Questo disegno ebbe 1’ approvazione dei miei Colleghi in quei saggi di lettura che diedi in parecchie tornale nella sezione Archeologica e in adunanza generale. Io non so se avrò conseguilo I intento a cui lio rivolto le mire: certo Ja buona volontà-non • * •in e mancala, e per qucslo spero clic non mi verrà meno 1\ indulgenza de’ Cortesi Lettori. L Epigrafìa Latina vuoisi considerare sotto due aspetti a^»ai distinti Ira loro e 1 un non meno dell altro im-portanti. In mano dell Ordii e dell' Henzen, per parlar dei più recenti, pel melodo a cui è ridotta, essa ci svela la vita pubblica e-privata dei Romani* Non v’è sacerdozio, non rito, non magistratura, non uffizio, non gr ado , non arte, non corporazione che non sia illustrata da relativi monumenti epigrafici. Questo si 'noi domandare all Epigrafia, non già I apprezzamento delle .persone, intorno a cui è sovente menzognera esaltando, c molle volte con’ pompose espressioni, gli inetti.e i malvagi, e lasciando nell’ obblio i virinosi c‘d 1 grandi. Così se talora fornisce preziosi dati sforici à mettere il critico sulla via di ricercare un fililo isrno- - 1 aio o accennato oscuramente da qualche antico scrit- ( CLXV ) lore, non si creda che possa mai più prendere il poslo della storia; ma ci somministra quelle cognizioni o cui la storia non discende. E ciò che è di grande importanza agli occhi dell’ erudito, essa ci presenta il prospello delle antiche forme e desinenze e ortografìa secondo il loro svolgersi nella successione dei tempi : il che sarebbe vano chiedere ai codici, i quali subirono le vicende dell’ ignoranza o della pretensione degli amanuensi, che andarono ammodernando le scrillure che passavano sotto la loro penna. Per l’altra parte 1’ Epigrafia in mano del Morcclli innalzata alla dignità di scienza stabilisce principii e propone norme a comporre epigrafi coll’ eleganza dell’ età di Augusto e siile conveniente ad ogni soggetto: non v’è cosa moderna ch’egli e coi precelli e coll’ autorità e col proprio esempio non insegni ad esprimere in parole antiche. Dalla sua scuola uscì un Lanzi, uno Schiassi, un Gagliuffi, un Boucheron, un Cavedoni, un Silvestri, un Ciceri, un Borda, un Vannelti, un Labus, un Michele Ferrucci, un Vai-lauri, un Ronchini, un Angelini. La sola noslra città può vantare parecchi elegantissimi scrittori di Epigrafi Latine, come Monsignor Ab. Francesco Poggi, il Canonico Prof. Filippo Poggi, il Canonico Luigi Grassi, il Prof. Don Giuseppe Grondona : lutti personaggi benemeriti delle buone Lettere per opere date alla luce o per pubblico insegnamento. E per tacere di tanti altri felicissimi cultori di questo gentilissimo ramo di ir ( CLXYI ) letteratura, noi abbiamo, or fa due anni, gustato un volume di (‘legantissime Epigrafi dettate da un nostro Collega, che ne fece anche omaggio alla Socielà, che è il Prof. Cav. Don Paolo Rebuffo mio dilettissimo maestro, a cui godo di rendere questa pubblica testimonianza della mia stima e riconoscenza. A me par sempre una fortuna quando avviene clic coloro, i quali hanno squisitezza di gusto educato al bello , possano soddisfarlo in qualche eccellente lavoro che compensi le moleste sensazioni, che pur troppo sono inevitabili nel soverchiale mal vezzo di scrivere , come oggidì si fa, barbaramente. Onde ehi ci riconduce o all aurea semplicità dei nostri Trecentisti o alla schietta c maestosa eleganza delle antiche letterature, ben merita, a parer mio, presso chiunque ha in pregio la coltura c la gentilezza. E questo non dubito di affermare del mio maestro, dal quale, quando apro il suo volume, ritraggo sempre un piacere ed un conforto. Non vi sia con questo chi si dia a credere che il nostro corpo d Iscrizioni possa soddisfare alle due accennate parti dell Epigrafia. È un tesoro troppo ristretto c che, da poche eccezioni infuori, non altro presenta che Epigrafi del tempo dell Impero già avanzato : il clic significa non essere del periodo migliore. Così io non enlrerò a discutere se in materia di Epigrafia abbiasi a mantenere esclusivamente 1 uso della lingua Latina, o se questa abbia ad eliminarsi al tutto ( CLXVIf ) per sostituirle 1‘ Italiana; ma il cerio si è che a quella nessuno può negare la qualità eli maestra, la dignità di regina e la facoltà di parlare a tutti i secoli e alle persone colle di tutte le nazioni, senza pretendere che 10 straniero, da qualunque parte venga, debba intendere 11 nostro vivo linguaggio. Io non vorrei certamente negare ad un marito il diritto di dettare in quella lingua, che gli è più famigliare, il ricordo da incidersi sulla tomba della perduta compagna; o ad un figlio di rendere questo pietoso ufficio al compianto genitore; o ad una madre il conforto di rileggere sul sasso, che copre la spoglia del suo caro pegno, 1’ espressione di quell’ affollo, che un abile epigrafista seppe interpretare per lei. Questo io concederò, se si voglia, alla volgare favella ; ma che nei grandi e pubblici monumenti e nei templi della Chiesa Lalina non abbia a parlar quella lingua, che può chiamarsi a buon dritto monumentale e sacra; questo, con buona venia di chi dissente per avventura da me, io non Y ammetto. Ma senza pretendere che altri rinunci alla sua opinione, io chieggo soltanto che mi sia lecito rimaner nella mia. A buon conto la collezione del prof. RebulTo può soddisfare a tutti i gusti. Ve n’ ha delle scritte originariamente in italiano, e le latine hanno il riscontro di un’ elegante traduzione fatta dal Ch.ni° Ab. Antonio Drago Dottor Collegiato di Belle Lettere. Che se altri dicesse non essere cosiffatte pubblicazioni confacenti al gusto dominante, ( CLXVIII ) risponderei non cercarsi per esse l’approvazione delle gemili divoratrici di romanzi francesi, ne degli sfaccendati signorini cotanto seriamente occupati dell’ azziniarsi : sì Lene ambirsi il favorevole giudizio dei saggi. E deb b' essere per I autore una bella soddisfazione il veder coincidere hi sua con una simile pubblicazione ordinata dal senno di una Società che alacremente promuove ciò che può giovare a Storia c ad Archeologia e che di tanti e sì preclari ingegni si onora. 3Ia per tornare alla nostra Collezione, dicevamo essere piuttosto povera se si confronti con quelle di molti altri paesi; ma pur* sarebbe abbastanza ricca d’ effetto, se risvegliasse I idea e porgesse 1 occasione alla nostra gioventù di coltivare questo nobilissimo ramo di letteratura. Veramente 1 avviamento da essa preso non fa presagire gran favore e fortuna per le classiche discipline; ma questo non dovea trattenere la Società dal raccogliere il corpo delle Iscrizioni Liguri per tutte quelle ragioni che abbiam di sopra toccate, e per cui dopo le Romane proseguirà a far tesoro delle posteriori per poter offrire anche queste riunite insieme a comodo degli studiosi c a perenne conservazione delle stesse. La nostra Società non contava ancora un anno di vita, quando nella Sezione Archeologica presieduta allora doli illustre Consigliere Cav. Pasquale Tola ( in cui le -■ ( CLXIX ) doli di mente e di cuore sono somme e rare, e la probità .veramente antica) sulla proposta dello stesso Preside si deliberò di fare la collezione di tutte le Epigrafi della Liguria a cominciare dalle Romane,: e fu nominata una commissione presieduta dal chiarissimo Consigliere Cav. Antonio Crocco, di ogni ramo di letteratura cultore felicissimo e tenero singolarmente del-1’ Epigrafia. Essa commissione non lardò per uno dei suoi membri (il socio Jacopo Doria) a presentare alla Sezione un disegno che servisse di fondamento al lavoro e come punto di partenza, siccome quello che accennava i fonti principali , a cui si dovea ricorrere* per cominciare a comporre un nucleo *d’ Epigrafia Ligure Romana. Ilo già accennalo come si volle affidare a me T incarico di riunirle col corredo di qualche osservazione; ma frattanto i Membri della detta commissione lavoravano alacremente a procurarmi materia da ciò. Infatti non andò molto che ricevei un quaderno d’ I-scrizioni in numerò di 150, tratte dalle raccolte stampate e manuscritte, compilato per opera dei chiarissimi Socii Jacopo Doria, Cav. Tommaso Belgrano, Gio. Balla Passano, esteso tulio per mano di quésl’ ullimo c corredalo di varianti. Ebbi anche dal siir. avv. Isola Doilor collegiato di Filosofia e dal Commendatore Varni qualche altro rinforzo. Il cav. Olivieri mi comunicò una lettera a lui direna dal giovinetto sig. Enrico Longpérier, in cui erano descritte alcune lapidi di Monaco e Mentono, ( CLXX ) una (lolle quali, come si vedrà a suo luogo, mi tornò gradilissima. Già dissi come il sig. Alessandro Wolf, nostro Socio, parecchie me ne trasmise dal Tortoncse da lui vedute in originale o trovate in raccolte scritte a mano. A tulli questi godo di rendere la tenue ma sincera testimonianza della mia riconoscenza. Nè debbo tacere d’aver più volte consultato, e sempre con soddisfazione, il mio amico e consocio il Can. Grassi Bibliotecario emerito della Regia nostra Università e dottor di Belle Lettere ad essa aggregato, come pure d essermi valso dei consigli del nostro Socio I’ Avv. Cav. Cornelio Desimoni così* riguardo alla distribuzione generale della materia, come su molli punti particolari. La sua profonda scienza in ogni diramazione archeologica, la sua singolare perspicacia, la sua gentilezza e cortesia , che io ebbi più volte a sperimentare, mi impongono il dovere di rendergli questa pubblica dimostrazione di onore e di alleilo. Ad uno di questi due sarebbe stalo meglio affidalo questo compito, che si volle assegnare a me. Ad onla del mio buon volere io mi sento inferiore all1 impresa e temo che nell incredibile movimento che si è destato verso questi studi in Europa, e nella luce epigrafica che splende in ogni parte, non sia lecito ai medioeri farsi innanzi ove campeggiano i grandi. Io potrò, se non altro, esser pago d aver, come clic sia, secondale le mire della nostra Società, porgendo ad . ( CLXXI ) nitri materia ed occasione di emendare ciò che vi sarà di meno esalto, di supplire a ciò clic vi manca, di spingere il lavoro a quella perfezione di cui può essere suscettivo e che raggiungere di primo (ratio è piuttosto impossibile che malagevole. GENOVA Il vero nome antico di questa nobilissima città dei Liguri negli Scrittori e nei monumenti del buon tempo della Lingua Latina è GENVA, presso i Greci TENTA: i suoi abitatori son denominati nella famosa Tavola di Polcevera Gcnuenses e Genuates. A’ tempi de’Carolingi (come apparisce da qualche documento) Y iniziale g fu cambiata in j , forse per piegarla meglio alla pronunzia francese : quindi all’ e fu sostituita 1' a, o per accomodarla all’ etimologia di janua o per alludere al ’ suo favoleggiato fondatore. Rinati i buoni studi , Genova in tutte le eleganti scritture latine ripigliò 1’ antica sua forma di Genua. Le origini di questa terra sono avvolte in una completa GENOVA ____v - / oscurità. Per le lacune che sono negli antichi storici, singolarmente in Polibio e T. Livio, noi ignoriamo per quali vicende Genova venisse in amicizia o in potere de' Romani. Chi fosse vago di più sottili ricerche su questo argomento può vedere nò che ne dice il C.co Grassi nell’ illustrazione delia Tavola di Polcevera, che viene in seguito al corpo delle Iscrizioni. Iroviamo nella seconda guerra punica che P. Scipione entrò come amico nel porto di Genova con sessanta navi da guerra: il che servi di appiglio a Magone per poi assalirla e saccheggiarla, portandone seco ricca preda, che andò a depositare nel castello alpino di Savone. Quando poi i Romani ebbero ridotto Magone nella necessità di tornare in Affrica, mandarono il Pretore Sp. Lucrezio con due legioni a Genova a ricostrurne le mura e rialzarne gli abbattuti edilìzi. Ebbero quindi i Romani a lottare con altri popoli riottosi della Liguria , non mai con Genova, che ebbe quindi il titolo di Municipio, come apparisce dai monumenti, e fu ascritta alla tribù Galena. La sua Epigrafia non è nè cosi ricca né cosi importante come I antico suo splendore e ricchezze darebbero ragione di credere. II tempo co’ suoi rivolgimenti abbattendo e ristorando ha fatto singolarmente guerra presso di noi a questo genere di antichi monumenti. GENOVA INTRA • CONSAEPTVM MACERIA • LOCVS DEIS . MANIRUS CONSACRATVS - t DEIECTAiM • EX • AEDE • S • NAZARII V • TORRIELLIVS • EQ • DON. Questa lapide stava anticamente murata nella torre di S. Nazaro alla marina d’Albaro; ma essendo caduta a terra, il cav. Vincenzo Tornelli la raccolse e per preghiera del P. Spotorno la donò alla R. Università di Genova. Lo stesso prof. Spotorno vi appose in un cartello di marmo le parole che vi-si leggono sotto. È da notarsi la formola di consacraius in luogo di consecratus, di cui si aveva un esempio in con-sacravit dal Grutero. Un consacrare nello stesso Grutero non era ammesso come indubitato. Questa lapide toglie ogni dubbio. gknova , , x --- ( 4 ) Secondo lo sfosso P Snnfnrnn U t ' 4 . ^ppiorno Ja frase intra consaeptum luoeo 5" ^ a clue '"'^Prelazioni. 0 indica che il ('mimi .ll" MM0,1,10 *a n,ac*a avca servito ad uso di sepolcro •i firn.' non * avevano proprio: o aveva servito ustri, ' c‘“*aun: ** ‘Jual luogo si chiamava dai Romani j II , Ue>l° ,Km P0,ea tarsi entro il cerchio delle mura vili ii> r t^Viet0 ^elle XII Tavole. In un’iscrizione tro-fra le li ^U,"ano a Torre di S. Giovanni si leggono, lapide- « e' ^ 'le Paro*e» c*ie possono illustrare la presente . 0Cum I)0sl niaceriam ulteriorem emendum, ustrinas- • ad COnsaef)l0 ultimo in eum locum trajiciendas, et iter m lot uni j.muamqne faciendam curaverunt ». (Visconti Museo P. Cloni ï c; H '' 01 no‘i il consaepto con dittongo come j. * .n°Slra kP'^e. Non si potrà precisamente determinare che cj . ^ 1 ustrinà fu) fosse a S. Nazaro, ma è probabile Maceri COntorn* fosse. La coincidenza delle due parole condii pCe 0J Saept0’ C°me pure >’ortografìa, conferma, se-un» ° [ ' P°‘orn°, la supposizione che quella fosse veramente ed - CaS° lapide avrebbe pregio storico « c ie raro, rari essendo i monumenti di ustrine. Nulla di non"0 0!,^rViam° c,ie se (Iuel luogo dovea servire di ustrina, porta Jrt ' 6 manCa,a al1’epigrafe un’indicazione di tanta im- fi.ii c’ COmC vediamo essersi praticato in quella allegata > essere stato libero il farlo coir uno o coll'altro dei due co-» muni ». Arreca poi una serie di nomi d' Imperatori Romani , di cui esaminando la provenienza, mostra in alcuni trovarsi il diacritico per 1' ultimo , non cosi in altri. Anzi consultando le loro medaglie si vedono messi i nomi dello stesso personaggio ora in un ordine ora in un altro. Uno poi dei modi più comunemente praticati al tempo dell’ impero fu di prendere il nome o il cognome della madre e di allungarlo in una terminazione derivativa , come al tempo della Repubblica si praticava per le adozioni, e di metterlo per l’ultimo. Questo ha dato luogo a proporre la citata regola generale, la quale però non é cosi invariabile che non abbia le sue eccezioni , e 1' assoluto sem-per del Sirmondo non si debba riguardar come fallace. Il nome di Adeptus, aggettivo,'probabilmente nota l'origine servile di questi uomini. ÌVISIAE • PLA TONI DI • VXORI RARISSIMAE FL • IVSTVS MARITYS Questa e le due seguenti epigrafi si trovano incrostate nelle pareti esterne della Chiesa di S. Lorenzo. L'esser collocate GENOVA troppo più alte che non comporterebbe la grandezza delle lettere, ne rende impossibile la lettura ad occhio nudo: tanto più che due di esse son capovolte. Questa probabilmente é la cagione delle varianti con cui furono da parecchi raccoglitori prodotte. La lezione che offro io, é frutto di un diligentissimo esame praticato dai miei coltissimi colleghi ed amici il Cav. Av. Desimoni e il Cav. Belgrano, coll'aiuto di lenti e dalle circostanti abitazioni. Questa è dalla parte del campanile ed è capovolta. Il Gan-ducio e il Bancheri in luogo di FL che é l'abbrevazione di Flavius hanno F • 0, sigle inesplicabili: il P. Spotorno le omette al tutto. 5. D • M AYR • HILARO • AVG • LIB PRAEP • P • PEDISIC FORTVNIVS • ET . ; ALEXANDER • ET HERMES • LIBERTI COMPARA VERVNT SARCOFAGVM • PA TRONO • DIGNISSIMO Anche questa e dalla parte del campanile più alta della precedente e diritta. Se alcuna ragione avesse presieduto al rovesciamento delle altre due, la stessa ragione avrebbe fatto porre capovolta anche questa. Perciò ini pare che un tale invertimento non si debba ad altro attribuire che all'ignoranza ed al caso. In PEDISIC il Ganducio mette un punto tra PEDI e SIC, il Bancheri scrive sic in carattere piccolo: il che ognuno sa i GENOVA che significhi. Ma il fatto è che PEDISIC nella lapide é tutta una parola e che da essa fa d’uopo cavarne quel miglior costrutto che si possa. Io pertanto leggerei PRAEP(mfo Puerorum PEDISIConm. Della sigla P usata per puerorum non mancano esempi. Eccone uno preso dal Maffei. M. V. 134. 5. d • M HFILENO • AVG • VERNAE EX PEDAGOGIO • P • V • A • XVI • Pedisicorum poi starebbe in luogo di pedisequorum, che si scrive più esattamente con una sola s che con due, ma presenterebbe ancora due difficoltà, cioè I invece di E e C in luogo di Q. Quanto alla prima non dirò che nelle scritture antiche questo scambio non è raro come sicare per secare, nive per neve, ecc., ma piuttosto che si trova praticato per errore dello scalpellino, di che abbiamo un esempio nella seguente epigrafe, ove invece di TROCINAE si legge TROCINAI. Talora poi anche avviene che le linee traversali sieno appena così accennate che sfuggano ad una certa distanza, anche all’occhio più sperimentato. L’altra difficoltà poi del C per Q svanisce prontamente se si osservi essere stalo cosi usato in altre lapidi. Eccone una riferita dal Marini Atti p. 92. GENIO • IMP • CAESARIS NERVAE TRAIANI OPTIMI AVG • GERMANICI DACIC1 CORINTHVS CAESARIS N • METTIANVS pEDISECVS RATIONIS UoiVPTVARIAE COLLEGIO D • D • «ENOVA ( io ) (). D • M TBOCINAI HONESIMI 1 ■ PEDANIVS • VRSVS AMICO • IN COMPARABILI L M F di S r°'a a^>Sa a^a Iìare*e esterna ili S. Lorenzo dalla parte il \ecchio, ed è capovolta. Vi si legge veramente T/iOCI.N'AJ in luogo di TROCINAE. Si vegga ciò che ne diciamo nel precedente numero. •'! F. Libens mento fecit. Più comunemente questa forinola termina in P, che vuol dir 7. 1) • M DIONYSII • AVG • C I.IB • Q • V • ANN • XXIV M • VI • NEBRIDIVS Stava nella Chiesa di S. Domenico. Altri nella seconda linea leggono AVGG cioè Augustorum in luogo di AUG • C, cioè Augusti Caesaris, il che, cioè AVGG, piace più al Muratori, che la riporta nel suo Tesoro a pag. 1000. Anche l'ultima parola si legge diversamente, cioè Nefridius. Nel codice Marcanova ( M ) GENOVA (p. 150) che presenta alcune varianti, cosi è notata la provenienza di questo epitafìo : « Genuae in marmore Constantino-» poli Genuam translato in aedem Divi Dominici ». Su questo esemplare, che manca delle sigle D • M, il P. Spotorno giudicò essere piuttosto un frammento di lapide che una lapide intiera. LIB • Q . V . ANN • XXIV • M • VI. Liberti qui vixit annos 24 menses sex. 8. D • M C • COM NIVS • VALERIANVS C • COM NÏO • THALLO • FILIO PIENTI SIMO • B • M • FECIT Era nelle carceri di S. Andrea incrostata in un muricciuolo e divisa in due pezzi: donde quella mancanza di tre lettere. Ora è affissa nell’atrio del palazzo municipale. Un’altra epigrafe di Cominii parla di soggetti d’origine servile. Si potrebbe per avventura supporre che nella presente si trattasse della casa dei patroni, a cui quei liberti doveano il loro affrancamento. Ma dell’origine anche di questi rimane qualche dubbio pel terzo nome del figlio, che è greco. I nomi del padre sono tutti latini ; ma quel Valeriano che in altra circostanza non direbbe nulla, in compagnia di Thallo vuole che osserviamo come in molte lapidi di liberti si trovino i cognomi dei patroni allungati; per es. Germaniciano, Drusil-iiano, Ciaudiniano ecc. Ma é anche vero che se Valeriano vuoisi riguardare come nome allungato, verrebbe da Valerio che è nome di gente, e che perciò non ha luogo nel caso nostro, in cui si tratta della gente Cominia. In somma la cosa rimane dubbiosa. Del resto questa gente in Roma era GKNOVA (12 ) nobile, ma ili second’ordine ed era divisa in due rami, ma de’ Cominii se ne trovano da ogni parte. Oltre queste epigrafi di Genova, se ne trovano in quel di Napoli, a Vienna, a Magonza e lin presso a Hermanstad nella Transilvania. 9. DIS MANII! DIS MAN1B L • COMINIO COMINIAE L • L • HERMAE L • L • OBAIDI COMINIA • ZELE FIL • BENE MERENTIBVS • FECIT JJ Marcanova (p. 151) registra questa lapide come esistente enuae in aetle S. Siri posta da Cominia Zele ai suoi due figliuoli Erma e Cominia Oraide liberti di L. Cominio. La riferisce pure il Ganducio, ma con evidente errore legge Corintie do; è Cominiae, e forse con più ragione Horaidi dove il Marcanova ha Oraidi. Questo avanzo di antichità con altri, chi sa quanti e di quanto pregio, si smarri o sarà rimasto ^pollo quando I antichissima chiesa di S. Siro venne pei PP. eatini ridotta a quella splendidissima forma che ammiriamo Mtualmente e che è uno dei più belli ornamenti della nostra città. Questi tre soggetti hanno preso, secondo l'uso notissimo, nome della gente Cominia, a cui appartenevano e da cui aveano ricevuto la libertà. Le sigle L . L la prima volta si- o cano Lutu liberto, la seconda Lucii libertae. ( 13 ) GENOVA IO. • SERGIAE • TROPHIME A • SERGIVS • EPAPHRODITVS CONIYGI A • SERGIVS • SERGIANVS FILIVS • FECER Quest'epigrafe sta sotto un busto di donna, che dalla foggia del vestire si conosce appartenere ai tempi di Costantino. Il monumento appartiene ai Sig.ri M.si Serra, i quali da un palazzo di loro proprietà in Canneto lo trasferirono in quello di loro abitazione presso S.ta Sabina e ultimamente nella loro villa di Cornegliano ove l'epigrafe (che è pur registrata nel Marcanova) fu dal Cav. Desimoni diligentemente esaminata. A significa Aulus prenome. E qui notiamo che se per avventura cì sfuggisse alcuna sigla senza interpretazione, queste si troveranno tutte riunite in un indice apposito. I nomi de’ coniugi ci fanno conoscere essere stati liberti d'origine greca e manomessi dalla famiglia Sergia. Il figlio assume per terzo nome quello della gente, allungandolo aggettivamente : cosa usitatissima, come da Licinio Liciniano, da Aurelio Aureliano, da Plauzio Plauziano e via discorrendo. Questo terzo nome, a que' . tempi,' come abbiamo altre volte osservato, era il personale, dopo che si era introdotto l'uso di assumere il prenome del padre. Da che questa epigrafe ci fa conoscere che in Genova doveva essere la famiglia Sergia, noi possiàmo con probabilità supporre che vi possedesse qualche fondo, il quale naturalmente si chiamava Fundus Scrgianus. Ora per quelli che non si lasciano troppo sedurre alle etimologie celtiche, potrebbe questa denominazione offrire una soddisfacente soluzione GKNOA A ( n ) intorno alla parola Sarzano, con cui si chiama una antichissima parte della nostra città. M • ANTONIO BALBI • F * HILARO CORNELIAE • C • N SECVNDA • VXOR • FEC ET • FILIO • SYO • I • HEREN NIO • L • F • NIGELLIONI ET • P • CANINCIO • FELICI Questa ci viene dal Gandiicio, e cosi malmenata, secondo il solito, che é un gran fatto se ne caviamo i piedi ala meglio. E primieramente é al tutto errato quel BALBI. Per indicare il nome del padre si adopera sempre il prenome e qui andava M cioè Marci. Tutto al più si può dire che ft are sia stato scritto tutto disteso (benché maniera insolita). D°vc é Corneliae va assolutamente Cornelia nominalo di fccit-Delle due sigle CN la seconda é evidentemente errata e non può essere altro che F non saputo o non potuto leggere per * la scheggiatura del marmo. Il Muratori ha CN • > c*ie 'or rebbe dire Cnei filia. Ma questa dev’essere una sua accomodatura, come corresse Corneliae in Cornelia. Secunda sareb un secondo nome di questa donna molto usato ad esprimere nelle femmine l’ordine di generazione. Ora pare che costei fosse passata a seconde nozze ed avesse dalle prime un fi0ho. ■Quell’ I è evidentemente errato invece di L. La sigla I in ta posizione non significa nulla, mentre L è la sigla del pienome Lucius: e siccome al tempo dell’impero era invalso 1 uso di ( 15 ) GENOVA chiamare i figli col prenome del padre, se ne ha la conferma nelle sigle che seguono L • F Lucii filio. Finalmente esce fuori un altro personaggio , che non ha relazione alcuna coi precedenti, e che non si sa proprio che cosa ci abbia a fare. L’epigrafe noi dice, nè io pretendo indovinarlo. Per raddrizzar qualche cosa anche a questo, proporrei di cambiar Canincio in Caninio, che almeno è nome conosciuto. Questa pietra, a quanto dice il Ganducio, stava nella chiesa di S.t0 Stefano dietro 1' Aitar Maggiore. Ora non v' è più né si sa che cosa ne sia avvenuto. \% C • IVLIVS MVCRO ET G • IVLIVS ONESIMVS ET G • IVLIVS PRIMIO FECERVNT SIBI ET SVIS POSTE RISQ VE EORVM ET CORNELIAE ATTICILLAE IVLII PRIMIONIS F • ET PLAVTIAE CHELIDONI IVLI ONESIMI CONIVGI POSTERISQVE EORVM Il Muratori la trasse dal Malvasia come esistente in Genova presso la famiglia Ferri. Son persone di una famiglia Giulia che si fanno il sepolcro per sé e pei loro posteri. L’.epigrafe non presenta nulla né di arduo, nò di bello, nè d'importante. Dall’uniformità del prenome e dalla diversità del terzo nome si rileva appartenere ai tempi dell’impero già inoltrato. GENOVA (16) ------ • I 3. D • M N E G E LIA E • T • F • NO N1ANAE • FEMINAE RARISSIMAE . y NI VIRIAE • VIX • ANN XXXXII • M • VI . PIVS THEOPHILVS • CONI CARISSIMAE • ET CASTISSIMAE • CUM QVA • VIXIT • ANN • XXV SINE * VLLA • QVA ER E una rarità di marito che, piangendo la moglie può attestare di esser vissuto con essa ben 25 anni senz' alcuna querela. Cosi essendo Ja cosa, avea ben ragione di chiamarla femmina rarissima. Una circostanza che risultava mollo ovvia per sé, e perciò potea risparmiarsi dall' autore deli' epigrafe, è che fosse univiria. Morta a quarantadue anni dopo d' essere stata venticinque con Pio Teofilo, vuol dire che si era maritata a 17 alla quale età sarebbe strano che quelle non fossero state le prime nozze. T • F. Ti ti filiae. In cjuaerela al marmorajo sfuggi un dittongo clic non va. ( 17 ) 14. GENOVA D • M C • VRBINIO VICTORI Quest’epigrafe, che si legge pure nello Schiaffino (An. Ec.ci ) é scolpita in un’urna cineraria, che attualmente serve di peschiera in una villa al Zerbino, casa Arnaldi, via Crocetta n. 3. Il Ganducio erroneamente legge D • VIBINIVS • VICTOR. Nel 1613 quando egli scriveva, quest’arca si stava: « nell’ Abbazia di S.u Maria appresso alla Chiesa di S. Barlo-» lomeo degli Erminii (leggi Armeni) nel luogo denominato » Gerbino (Zerbino) ». Questa chiesa conceduta ai Crociferi e chiamata volgarmente Crocetta, fu distrutta dopo il 1798 e ridotta ad abitazioni di cittadini. Secondo lo Schiaffino 1’ urna da quella chiesa era già passata alla villeggiatura Negrone; ma pure ora sta in quel suolo ove sorgeva quell’antico convento. I 5. Raiv attici liberti Si trovava nella Villetta Di Negro , nè s’incontra registrata in alcuna raccolta. È chiaro che quel VIA è l’ultima parte del nome di una donna, come Flavia, Elvia, Livia, Mevia, Octavia e se ve n’ha altri di tal desinenza . L- L- Lucri li- 2 GENOVA ( 18 ) berta. L'altro nome poi, che ë il secondo di questa slessa donna, potrebbe essere intero perché anche Ammia si trova, ina siccome segue immediatamente la frattura della pietra, per cui I A è intaccata, si può supporre che il nome intero fosse Animiana. Anche la seconda riga comincia per 1’ ultima parte d’ un nome maschile, che può essere Aratus, Moderatus, Reparatus e simili che si trovano usati nei liberti, come era questo. L’S finale di questo nome è quasi al tutto obliterala. Ma questo non é altro che un frammento di pietra e noi non possiam dire quanti altri nomi di liberti vi fossero sopra, e che cosa seguisse dissotto a queste due righe. Per es. poteva dire che i detti liberti di Attico posero questo titolo al loro amato Patrono, come molte se ne trovarlo di tal tenore. 16. Q . VALERIO iVCVNDO LIBERT AGNIS * ET PIETAS ET NO........ IA VE LI...... nplla villetta Questa pure, come la precedente si trovava irlitori Di Negro, e ignorata, per quanto sappiamo, dai raCC|>® ^ di simili antichità. Ciò che dee far maraviglia è che, o ^ Tessere esposta alle intemperie dell'aria, era p?r interrala e lasciata in abbandono, come se il pregio dell a . chità non valesse nulla. Per questa ragione la seconda Pa ebbe a soffrir talmente che dalle parole et pietas in fuori, ( I» ) GENOVA rimanente ricalcitra ad ogni tentativo di lettura. Si osservi che questa seconda parte è scritta in caratteri più piccoli delle prime tre righe, e siccome questi secondi saranno stati proporzionatamente meno profondi, può essere che anche questo abbia influito a obliterarli sulla pietra a preferenza dei primi. Del resto unirono ai miei anche i loro sforzi i miei coltissimi colleghi C.co Grassi e Cavalieri Desimoni e Belgrano, se ne cavò il calco, si ritornò alla prova ; ma lutto fu inutile : più di quello che offriamo non ne volle uscire. Ma la diversità evidente del carattere e il genere delle parole o intere o dimezzate , farebbe credere essere questa un' aggiunta fatta posteriormente ed esser piuttosto una sentenza che nomi proprii o frase sepolcrale. Questa epigrafe è scolpila sopra un cippo e questo cippo, come pure il precedente frammento (n. 15), ora si trovano collocati nell'atrio del palazzo municipale. ! 7. C • CVRT1VS • 0 • L VALENS MATERIARIVS Di questa epigrafe ci procurò non la copia, ma il marmo originale il nostro valoroso socio Sig. Wolf, il quale Y ottenne dal Sig. Cav. Tonso di Tortona e lo donò a questa Università. Essa pertanto non apparteneva originariamente a Genova; ma siccome ora è nostra, perciò entra di pieno diritto fra le iscrizioni Genovesi. È incisa in bei caratteri, per cui non dubiterei di farla risalire al miglior tempo o poco meno. 3 • L. Caiae libertus . materiarius falegname. IY LIA E V R BIC A E D 0 MI ' N A S arnius Presso la Chiesa di S. Teodoro dinanzi alla locanda^ detta del Papa serviva già di abbeverato^ un arc*Ja n0 sia av. marmo bianco, che scomparve, né si sa c 1 mezzo venuto. La parte anteriore di quest arca Pr(js^"^ jn un far. un busto femminile a basso rilievo, sotto a q ^ angustie, telJo assai ristretto si leggeva questa iscrizione. ^ ^ in cui si incise il primo verso, non lasciarono punteggiatura né all’ intero sviluppo dell ultime ^ ^ ^ l’S sfugge quasi fuor del cartello. Il P. Sp',‘<^"ssere stato Iuliae Urbicae clompnae suae Arnius. Armo signora. 0 liberto 0 fattore di Giulia Urbica chiamando a Goffamente poi o l’autor dell’epigrafe o i agiato e in sento il nome del soggetto inferiore in luogo P11 ‘ sj caratteri più grandi di quelli della padrona. Il n°™^(a partire, trova neirimperatrice moglie di Carino e in una usita- Dompnus e Dompna per Domnus e Domna, < °r* 8 ^.verjjrc tissima nei tempi dell’impero cadente, \uolsi ano ^ <.chiatta che i mariti di bassa condizione davano alla moD ,e più elevata il titolo di Signora. - — ( 21 ) GENOVA 19. P • AELIVS AVG • LIB • PYLADES PANTOMIMVS 1UEEOMCA INSTITVIT T • AVRELIVS AVG • LIB • PYLADES HIERONICA DISCIPVLVS CONSUMMAVIT Queste due iscrizioni o parti d’ un’ iscrizione sola ci dà il Grutero come esistenti in Genova nel palazzo di Antonio Doria (ora Spinola in faccia alla via di S. Giuseppe): lo stesso ripete il Ganducio guastando il pantomimus in pantomimes. L’ etimologia tanto nota di questo nome non vuole che vi si spendano parole a provare Y errore ganduciano. E fosse il solo o il più grave! Del resto cosi nel primo come nel secondo verso il verbo non ha oggetto o voglia dirsi (come si direbbe all' antica) accusativo paziente. Che cosa institui T uno e che cosa consumò Y altro ? Bisogna dire che , se queste epigrafi sono giuste , le circostanze , fra le quali vennero dettate , parlavano abbastanza chiaro a togliere ogni dubbiezza. Noi possiamo supporre che P. Elio Pilade intavolasse spettacoli teatrali e specialmente di mimica, come ci persuade il titolo che gli è attribuito , e che 1' allro Pilade, nominato discepolo , coadiuvasse il maestro , oppure che Y uno fosse il tenitore (come poi si disse de' tornei ) Y altro 1’ esecutore dello spettacolo. Ma questa non sarebbe più che una semplice congettura. A ragionare alquanto più sul sodo convien dire che, se questa iscrizione si trovò veramente in Genova, vi fosse trasportata da Roma, in cui rinvengo la memoria di un Pilade che ha titolo di Pantomimo , e a cui si vedrà che compete il verbo instituit. Zosimo enumerando le cause della decadenza deir impero dice che « Octaviani temporibus Pantomimorum » saltatio prius incognita in usu esse coeperit, Pylade ac » Bathyllo primis ejus auctoribus ». (i. 6.) La qual cosa stessa é affermata da Suida. Svetonio poi narra che Pilade fu per Augusto stesso sbandito dalla città « quod spectatorem, a quo » exsibilabatur, demonstrasset digito, conspicuumque fecisset ». • (Oct. xiv) E ai tempi di Seneca era ancora viva e celebrata la memoria dei due Pantomimi : « At quanta cura laboratur » ne cujus pantomimi nomen intercidat ì Stat per successores. » Pyladis et Bathylli domus : harum artium multi discipuli » sunt, multique doctores ». (Nat. quaest. 1. vii, 32) Ed ecco spiegato anche il titolo di discipulus dato all' altro Pilade. Il titolo di Hieronica, che é dato tanto al maestro quanto al discepolo, significa propriamente vincitore nei giuochi sacri. I giuochi sacri erano quei quattro resi tanto famosi dai canti di Pindaro, cioè i Nemei, i Pitici, gl’ Istmici, e. gli Olimpici; ma poi- il nome di sacro si estese anche ad altri simili spettacoli ed esercizii. « Sacram enim rem veteribus fuisse Agones » Gymnicos notum est, Ilinc àyaveç, iepà yvpyàoicc, lepo/txcc, » et alia hujusmodi apud scriptores, ubi de ludis Graecorum » sermo etc. ». Così Ottavio Falconerio nelle note all opera di Fulvio Orsino sulle iscrizioni atletiche (Gronov. vili, Pa9« 2302) E sacra Sinodo è nominato il collegio degli Atleti IEPA ^TSTIKH STN0A02. Xystus significa atrio, e cosi si chiamava una tet-toja ove si radunavano a fare i loro esercizii. Ciò che presso i Latini si diceva Collegio o Corporazione, presso i Greci eia nominato Sinodo. Eccone un esempio. T • ICLIO T • F • VOL • DOLABELLAE 1ÏTI VIR AB AEBAB • PONTIF PRAEF • VIGIL • ET AB MOB SACBA SYNHODOS NEAPOLI CEBTA.MINE QYTNQVENNALI DEC (Orci. 25'#2). APPENDICE A GENOVA K in qui abbiamo dato luogo a quelle iscrizioni, i cui marmi originali esistono in Genova o, per memorie lasciale dagli scrittori, si sa essere qui esistite un tempo, quantunque per cause che noi non conosciamo ora sia. vana fatica il ricercarle. Ma ve n'ha alcuna che non è e non fu mai in Genova, eppur vi si trova fatta menzione di questa terra. Per una parte le cosiffatte non dovrebbero entrare nella Raccolta Ligure; ma per V altra siccome possono concorrere ad illustrare la nostra Storia, però sarebbe fuor di ragione rescinderle al tutto. A salvar dunque tutte le convenienze abbiamo pensato di richiamare in appendice quelle poche epigrafi forestiere per lo quali milita l’accennata circostanza, e alcun’allra simile ragione, che ci prenderem cura di notare. appendici; a clnoya ( M ) 20. D ■ M M • CATTIO . M . F SECVNDO • GALER . GENVA • MIL • CHOU X VRB . > IVIGM Questa iscrizione fu scoperta sul finire del 1796 in Roma e i ^ ocfafane copia dall Ab. Gaetano Marini al nostro Ab. G. Otitiico, il quale la ricevè con quel trasporto di letizia ver ^rman° amafori della scienza alla scoperta di un ignoto 1 ' / ^dorico rimandò al Marini illustrata per lettera in ^ ^ Scnr>aiu 1798, la quale fu per la prima volta ^ ampata nel Giornale Ligustico l’anno 1828 pag. 239. j J)re°^° S]n£0^arjssinio di questa lapide è di farci conoscere tribù f6n°'a ascr*^a ^ una tribù Romana e che questa n ^a ^a^na* ^on ci poteva esser dubbio che Genova avesse questa onore]ole ascrizione, da che V aveano avuta altre terre I imi ri rii Il assai mjn°re importanza y come gl’ Ingaum i Lu ° ^CUU fìa ^eSl° gl’ Intemelii alla Falerina, ne enS1 a^a ^ena ’ ma SJ desiderava im monumento che i* "Se e irjdicasse a quale delle xxxv tribù Genova dalla St^a aSCn^a* ^ questo è appunto ciò che fu compiuto 0fjerj. C0^Crla ^ questa sepolcrale iscrizione. Lo stesso Ab. W as^.-a aSSai Rierie d determinare il quando di allora * * ° ^ C0n^Izl0rìC in cui Genova si trovava città sur'- ° SC ^USSe ^°*0/Jja 0 Municipio o Prefettura, oppure infederata. Essendosi perduta la seconda Deca ( 25 ) APPENDICE A GENOVA di T. Livio , ove si parlava delle prime guerre dei Romani contro dei Liguri, noi ignoriamo come e quando Genova venisse in loro potere. Tra la prima e la seconda guerra Punica le armi Romane mossero ben cinque volte contro de’ Liguri. In una di queste spedizioni dovettero impadronirsi di Genova. Infatti al principio della seconda guerra Punica noi vediamo i Consoli Romani andare e venire cosi liberamente in Genova, che bisogna assolutamente riconoscere che fosse in loro potere. Nè è a credere che con tanta premura si fossero dati a riedificarla, distrutta da Magone, se fosse stata città alleata non propria , o che T. Livio non avesse accennato ad una circostanza che onorava tanto la romana generosità. Neppure lo storico accenna che in queir occasione fosse fatta Colonia o altra forma d’ interno reggimento le fosse assegnata. Il Gan-ducio dalla Tavola di Polcevera crede potersi dedurre che fin dal tempo di quella lite, cioè il 7 anni av. 1’Era V, Genova fosse Municipio ; ma Y Oderico non ve ne trova indizio alcuno, Sto quantunque confessi non esservi cosa, da cui possa dedursi il contrario. Riguardo all’ autorità di cui si è creduto trovar vestigio nello stesso monumento , come di città che punisce popoli vicini e a lei soggetti, si parlerà nella relativa illustrazione. Due secoli dopo la troviamo indubitatamente intitolata Municipio. Vedi n. 22. Abbiamo in questa lapida il vero nome latino di Genova Genua e questo è uno dei tre monumenti epigrafici in cui si legge disteso : gli altri due sono la sopradetta Tavola, e la Lapida Tortonese illustrata dal Ganducio, per non parlare degli Storici del buon tempo e degli altri monumenti che portano Y aggettivo Genuensis. Chors e Cors sono sincopi di Coliors, decima parie della Legione Romana, la qual coorte si divideva in tre manipoli, e questi in due centurie ciascuno. Ma il nostro Cattio era di una coorte urbana. Le coorti urbane, siccome le pretorie, furono ordinate da Augusto , le une per la custodia della citta, le altre della sua persona.. Tre furono le coorti urbane da lui istituite e cominciano a numerarsi-dalla decima, perché seguitavano nella numerazione alle nove pretorie. Queste furono in seguito portate a dieci ; ma la prima urbana continuò a chiamarsi decima per non isconvolgere 1’ ordine già stabilito nella enumerazione di esse coorti. Durante il tumultuoso e bieve governo di Vitellio le coorti pretorie furono portate a sedici e le urbane a quattro, e probabilmente sotto Antonino giunsero a cinque , vedendosi nominata in un’ iscrizione di M. Aurelio la coorte urbana xim. > È questo il segno della Centuria. Vuol dire che il nostro soldato era della Centuria comandata da un certo Negro. L’ iscrizione è mutilata in fine ; ma se manca qualche al tra notizia, come sarebbe il tempo che militò il nostro guer riero, il nome di chi gli eresse il monumento ecc. « possiamo, » dice r Oderico, di buon grado soffrire V ignoranza di tutte « queste cose: con la sola parola Galena essa ci ha detto » tanto, che con ampia usura ci compensa quanto ci tacea, » o il tempo ci ha tolto ». ( 27 ) APPENDICE A GENOVA 21. C • MARIO • IVLIANO" EQ FLAM • DERT • QVI . VIX • A • XXIII • M • VII C • MARIVS • AELIANVS • IVDEX • INTER SELEG • EX V • DEC • PRAEF • FAB IIII • VIR I • D • VERCEL • ET • FLAM II • VÏR • DERT • FLAM • ET • PONT - DECUR • GENVAE • ET •FLAM PATER • FILIO • ET •' IVLIAE • THETIDI VXORI • ET • SIBI • VIV • PO Questa iscrizione fu trovata in Tortona scavandosi i fondamenti d’ una Chiesa , e si vedeva nelle case dei nobili Cavalchini. Per questo non appartiene alle lapidi Romane della Liguria ; ma vi si richiama perchè presenta bello e tondo il nome di Genova. L’ illustrò Odoardo [Ganducio con un lungo discorso (Genova Pavone 1614).. Il Grutero 1’avea registrata prima molto esattamente nel suo Tesoro (1096, 10). Il C.c0 Bottazzi nelle Antichità di Tortona la ripubblicò poco accuratamente sulla fede di un Damilano , scrittore ignoto anche al P. Spo-lorno. La lezione del Ganducio concorda con quella del Grutero, tranne 1’ et deir ultimo verso , che ci sta assai bene e che manca- nell’ edizione genovese. Le persone in quest’ epigrafe nominate sono tre :* C. Mano Eliano Decurione di. Genova, Giulia Tetide sua moglie e C. Mario Giuliano cavaliere loro figliuolo. Il padre e il figlio si distinguono fra loro pel terzo nome, e si vede che quello del figlio è preso da quello della madre allungato. 11 secondo nome di questa, essendo greco , accenna ad origine servile : APPENDICE A GENOVA ( 28 ) quello di Giulia fa plausibilmente supporre che nella casa dei Giulii avesse ottenuta la libertà. I molti uffìzii del padre non sono argomento di nascita cospicua. I Giudici erano a migliaja e sotto gl' Imperatori erano divisi in cinque decurie, e all'occorrenza se ne eleggevano alcuni che andavano al Pretorio a dar sentenza, come oggi fanno i cosi delti Giurati o Giudici del fatto. La prefettura delle arti fabbrili (di cui parliamo in altro luogo) fu uffizio rilevante, ma proprio di uomini plebei. II sacro ministero di Flamine, di cui pure in altro luogo discorriamo exprofesso, era una specie di sacerdozio minore e riserbato ad uomini plebei ed anche liberti. Lo stesso dicasi de’ Pontefici nelle città deir impero. L’ uffizio dei Duumviri era più riguardato e corrispondeva a ciò che erano dianzi i due Sindaci nelle nostre città. Erano come l’immagine dei due Consoli di Roma, siccome 1 ordine dei Decurioni ne adombrava il Senato. Il Magistrato dei Quattro , Quatuorviri fori Dicwulo, era pure dei più onorevoli; ma la mancanza di antichi e agiati cittadini obbligava le scadute città italiane a conferir tal grado ad uomini di piccola gente. Era loro incarico di render ragione nelle colonie e nei municipii. Onorevole era la dignità di Decurione; ma dopo clic era divenuta gravosa, s'imponeva anche per forza a chiunque avesse sostanze convenevoli, senza badare alla nascita. Per aver lastricato una via, riattato un tempio o per qualunque altro dono pubblico si concedeva anche ai liberti, se ne aveano 1 ambizione. Incaricati di riscuotere le imposte , che coll a-vanzar deir impero diveniano sempre più esorbitanti, essi le doveano garantire coi beni e colla persona propria. Se alcuno degl infelici proprietarii ridotti alla disperazione abbandonava i ^uoi campi, la Curia trovasse o non trovasse a cui venderli, dovea sopportarne i carichi. Erano nella necessità di opprimere 1 loro concittadini ; eppure non riuscivano a saziare la sempre ( 29 ) APPENDICE A GENOVA crescente avidità cicli’ erario. Si studiarono tutte le astuzie per fuggir quell’ onore ; ma la legge inesorabile vegliava ad incatenaceli. Trajano proibì di spender danaro per esimersene. II terreno che dava diritto al Decurionato non poteva vendersi. Se alcuno si arrolava soldato , veniva immediatamente richia- i nnato dalla milizia alla Curia : neppur valeva vendersi schiavo; che la legge il tornava libero e decurione. Il P. Spotorno opina che C. Mario Eliano curasse gli affari dei Marii e dei Giulii, patroni suoi e della moglie , nei territorii delle tre città nominate nell’ iscrizione , cioè Tortona , Vercelli e Genova, e che col loro favore vi ottenesse uffizii e dignità municipali. Il figlio era Flamine e Cavaliere. Ma si sa che gli Equiti non erano persone rilevanti. Anche nei tempi della Repubblica si dedicavano agli appalti delle gabelle. In questa iscrizione è confermato il vero nome latino di Genova Genua. 22. ......CAM • CELSO AED • PLEB • CERIAL • Q • ADLECT....... .....VM • SENATVS • ORDINEM AB---- ----VA • TRAIANO • AVG • GERM • DAC PRAEF • COH • PRAET • COS MVNICIP1 • SVO • ALBA • POMPEIA PATRONO • COLONIARUM MVNICIPIORUM ALBAE • POMPEIAE • AVG BAGGIENORUM .....ENS • GENVENS • AQVENS • STATIEL Dalla Tavola di Polcevera non si deduce , come parve al Ganducio , che Genova fosse municipio , si ricava bensì da APPENDICE a GENOVA ( 30 ) questa iscrizione, che però è posteriore di due secoli a quella. Si trova essa registrata nella raccolta delle Iscrizioni Romane di Alba pubblicate dal Baron Vernazza. Del soggetto, di questa lapide non abbiamo altro che il cognome preceduto dal nome della tribù, che é la Camilia. E siccome Alba- Pompeja chiama suo municipe questo personaggio, quindi apparisce che a tal tribù era ascritta. Se Celso è quel L. Publilio Console suffetto 1 anno 862 ed ordinario l’anno 866, siccome crede il Terraneo , la lapida è almeno posteriore all' anno 862 e anteriore al 68, in cui Trajano prese il titolo di Partico, che qui non gli vien dato. Fu questo Celso protettore non solo coloniarum, quali furono sicuramente Alba e Bagienna, ma ben anche municipiorum : e questi sono gli ultimi tre luoghi nominali, dei quali, qualunque siasi il primo, Genova é il secondo. Ora essendo stata Genova municipio e ascritta a tribù , fu a cosi dire, trasfusa nella Repubblica Romana per la piena e perfetta cittadinanza : fu di quella sorte di municipii che Festo cosi definì : « Alio modo Municipium dicitur cum id genus homi-» num definitur, quorum civitas universa in civitatem roma-w nam venit ». I cosiffatti municipii si spogliavano delle proprie leggi, secondo che insegna il Sigonio (cap. 7). * Qui sufTra-» gio ornabantur, legibus suis spoliabantur, romanis vero » obstringebantur ». Cosa che non piacque sempre a tutti i popoli , e per cui alcuni riluttavano. ( 31 ) APPENDICE A GENOVA 23. - AYRELIAE LAVDICE CONIVGI • OPTIMAE BENE • MERENTI LVPERCVS • DISP RATIONIS • PRIVATAE È delle poche , che passate per le mani del Ganducio corre sui suoi piedi. È un Luperco dispensator rationis privatae, che appresta il monumento all’ ottima e benemerita sua consorte Aurelia Laudice. Il nome sì del marito e sì della moglie accusa la loro bassa origine. Luperco ciò non ostante godeva d’ un passabile impiego , siccome amministratore di qualche agenzia de’ beni privati dell' Imperatore, chè tanto vale il titolo di dispensator rationis privatae. Il Ganducio ce la dà come esistente nel monastero di S. Benigno ( ora distrutto ) appresso il refettorio. La riporta pure il Grutero (97, 5 ) colla variante di LAVDICIAE in luogo di LAVDICE e dice trovarsi Mediolani apud Galeacium Vicecomitem. Ora a qual dei due si crederà? E dopo una tale affermazione del Grutero, come potrebbe questa lapide figurare tra le Romane Liguri? APPENDICE A GENOVA ( 32 ) N • > M S . A • C A • FAssi DIVS EX VOTO Nel supplemento del Donati p. 55 si legge la presente iscrizione , a cui è apposta questa nota : Saonae in Liguria. Misit D. Eques Philippus Adamius V. Cl. ac poeta insignis. Nella prima riga il segno di mezzo sarebbe quello che indica Centurione ; ma io sfido chicchessia a cavar costrutto da questo centurione in mezzo a due sigle. Fortunatamente non é cosi, è al dottissimo Donati, che razzolò le epigrafi sfuggile ai precedenti collettori, sfuggi che questa era già stata accolta nel suo Tesoro dal Grutero (112, 1 1) e data in modo che si legge comodamente, come segue: NT* M SAC A '• PASSI DIVS EX VOTO Le prime due righe dicono Numini tutelali municipii sa-crum. Qui é Passidius in luogo di Fassidius: il Reinesio poi inclinerebbe a leggere Vassidius; ma questo poco importa. L importante è questo che il chiarissimo Sig. Cavaliere poeta Adami ha preso un equivoco e tratto in errore il Donati. L’ epigrafe non appartiene a Savona in Liguria ma a Sovana fSuana ( 33 ) APPENDICE A GENOVA dei Latini) in Toscana.- Di essa pertanto noi abbiamo fatto menzione unicamente per eliminarla dal novero delle Liguri e correggere il Donati. 25. CN • A'RRIO • CN • F • PVÌ> AXIMIO ili VIR • NAVAL - PROC AVGG • NN • IN • BAETIC . ET • IN • ILLVRICO • ET HISPAN - CIT • ET • VLTE HE REDIT • CADUC • PATRONO • ORDO • ET • COLON PLEBS • HON • VSI • D • D Riportiamo qui questa lapide per dar peso ad un’ opinione del chiarissimo Orelli. Siccome egli osserva con tutta ragione % che il Triumvirato Navale sarebbe uffizio al tutto inaudito nelle memorie deir antichità ; s’induce a credere che quel III VIR NAVAL debba prendersi per qualche Triumviro municipale nel borgo di Liguria detto Ad Navedia (t. 2, p. 138). Riconoscendo ingegnoso il partito trovato da questo insigne Archeologo , osserviamo soltanto che siccome innumerevoli sono gli errori che si riscontrano commessi dagli scarpellini sulle lapidi, -può rimanere il dubbio che sia sfuggito al lavoratore di qitesto marmo un I di più, incidendo 111 - VIR • NAVAL, dove andava lì * VIR • NAVAL. Può averci rimediato riempiendo l’incavo di quella lettera con qualche pasta ad hoc, onde non apparisse lo sconcio , la quale poi scomparendo coll’ andar dei secoli, avrebbe lasciato a nudo 1’ errore. Questo riflesso non ci lascia abbracciar con tutta sicurezza l’opinione dell’Orelli, e se qui registriamo 1’ iscrizione, lo facciamo condizionatamente e premesse queste avvertenze. 3 RIVIERA ORIENTALE S. CROCE DI TERI.1SCA I Nella Pieve di Sori e precisamente in un luogo dotto Teriasca sorge Ja Chiesuola di S. Croce, di cui facciamo menzione per la seguente lapide, che vi si conserva. D • M SERVILIAE • RESTITVTAE A • SERVILIVS • PIllLODOXVS • CON NIVGI • SVAE • KARISSIMAE • SIBJ FECIT • ET * SIRI Questa epigrafe fu pubblicata nel Giornale Ligustico l'anno 1827 pag. 83 trasmessagli dal sig. Enrico Carrega, che l'avea copiata dal marmo. Nella lettera A 1' asta a man dritta di chi legge sormonta l'apice della lettera stessa come nel lambda minuscolo dei Greci. Anche l'Ab. Zolesi nel 1733 la trasmise a* direttore del nuovo Giornale Ligustico che la pubblicò nuovamente. Il detto Abate afferma potersi riconoscere sotto i ca- RIVIERA ORIENTALE ( 35 ) S. CROCE DI TERIASCA ratteri di questa epigrafe altra scrittura di più piccola dimensione non al tutto scancellata, per cui egli crede che il marmo, di cui si servì lo scarpellino per incidervi questa, avesse già servito ad altro monumento. Questa è scolpita in un’urna sepolcrale o veramente cineraria, com’egli argomenta dalla sua piccolezza e compartita in due nicchie. Il contorno dell’urna ha un basso rilievo rappresentante due pellicani che nutriscono i loro pulcini. La lezione del sig. Garrega non ha quell’ N che ridonda a capo della quarta riga; ma .0 gli sfuggì 0 intese corregger Terrore; conciossiachè per diligente esame praticato testé dal Parroco del luogo, si è confermata la realtà di quell’er-roneo raddoppiamento. I due sibi non debbono far meraviglia: il primo vale quanto ei che si riferisce a Servilia, 1’ altro al marito, e questo è regolare. Si potrebbe anche dire che il primo è chiamato da KARISSIMAE, cioè consorte a se carissima; 1’ altro dal FECIT. RIVIERA ORIENTALE ( ) S. BART. DI ROZZONENGO Sr BARTOLOMMEO di BOZZOiVEKGO ■ I I aqi!eSt<\ mrà PICC0^a Chiesa d'antico aspetto assisa non o1 ( a S. Apollinare sui monti che sovrastano a Sori, terra niar.e tra Noni e Recco. Che cosa mi porga occasione di minar quota chiesuola, si vedrà da ciò che seçue. o 27 I) • M HATERIA EQ • R PARATAE Mi fu comunicata dal chiar. Prof. Cav. Alizeri con siu g ^ tilissima lettera, la quale valendo ogni altra ^UStraZ1°nr^ene ferisco testualmente, lasciando soltanto ciò che non appa ^ strettamente al nostro soggetto «... Vi mando notizia ^ 1’ Urna cineraria colla carticella medesima oyù accen^^ ^ luogo e stans pede in uno, il piccolo monumentino. ^ s’io v’ho detto eh’esso può essere poco più d un pa^ ^ mezzo sia per lo lungo che per lo largo e che serve a ^ di bacinetto per le lavande dei Preti nella sagristia i ^ nengo. S. Bartolommeo di Bozzonengo è piccola Chies ^ monti che sovrastano a Sori e non lungi da S. Ap°nmare vince ogni sua vicina d’antichità, come appare da consi eT ^ avanzi della primitiva costruzione. Potete vedere a tcr^o mia cartolina alcunché della parte posteriore o del coro ^ dura intiero: sono linee che io ho tirate alla scioperata, HI VIER A ORIENTALE (37 ) S. BABT. DI BOZZONENGO' vi diranno per altro eh’ ella è architettura forse d’innanzi al mille, perchè ha gli archetti tondi ed altri particolari che paiono dirlo. « Venendo all’urna, affinché possiate raccaj)pezzarne alcun costrutto., vi dirò che i due segni sui fianchi dello spazio che serve di lapide, .son calvarie di montoni çolle corna attorcigliate, simbolo (come sapete) di sacrifizio: dalle corna pende una ghirlanda di frutta e fiori, e sui lati di questa, proprio negli angoli inferiori, si vedono due cigni che si volgono col becco a piluccare la ghirlanda medesima: ornamenti o significazioni comunissime nelle urne di questa età, che per lo più si facevano a dozzina e da servire per le ceneri di chicchessia. « L'iscrizione è malamente scolpita: dico quanto al nesso delle singole parole. Ma.questo, per ignoranza degli scalpellini, dovette accadere assai spesso, mentre vediamo scomposizioni anche in sarcofaghi di miglior tempo. Vedrete nella mia carta di che forma sien collocate le lettere. Parmi però eh’ ella non si abbia a leggere altrimenti che così: Diis Manibus Hateriae q. Reparatae. Rimarrebbe a sapere che cosa importi quel q che si legge fra il nome e il cognome; se già non vai quondam, formula, s’io non erro, usitata nelle lapidi dei bassi tempi.... Certo che quella lettera vi si legge chiaro e ch’ella non può legarsi nè alla parola che va innanzi nè a quella che viene di seguito ecc. ». Ho mantenuto l’unione di E con Q come nel disegno tratto pel prof. Alizeri dall’ originale ; ma ognuno a prima vista intende che quelle due lettere dovrebbero essere separate per un punto e che 1’ E compie il nome precedente in terzo caso , Ilateriae. L’unica cosa in cui mi permetto di dissentire dal mio amico, è appunto su questa lettera Q, di cui non si sa che uso si abbia a fare. Prènderlo per quondam non è permesso RIVIERA ORIENTALE ( 38 ) S. MARGHERITA nelle iscrizioni dei gentili, non trovandosene, a mia cognizione, esempio nell'epigrafia anche de* tempi bassi. Siccome quello è il posto ove andrebbe la qualità di figlia o di libertà, perciò è lecito credere che allo scalpellino, della cui poca diligenza abbiamo altre prove in questa epigrafe, sfuggisse un’F da leggersi Quinti filici, o un L cioè Quinti liberta. Anzi quel nome di lìepanitu mi farebbe più inclinare a questa seconda interpretazione clic alla prima. S. MARGHERITA S. Margherita è grossa terra assisa in riva ul mare ^ ^ seno amenissimo tre chilometri a Ostro da Rapallo e Chiavari. Dalla seguente iscrizione che vi si consona e dicesi rinvenuta nel secolo XVI nel demolire un antico pio, si deduce la probabile antichità di essa terra, ma SG ^ ignora il nome primitivo; quando non si abbia a neon in Pescino, come si chiamava nel medio evo. 28. DIS MANlBVS • SACRVM L • TAIETI PEPSI • FECERVN'f TAIETIA • EVTERPE CONTVBERNAL ET • L • TAIETIVS APOLLINARIS • FILIVS BENEMERENTI • ET SIBI POSTERISQVE EORVM Di questa epigrafe, che esiste in S. Margherita, nei di ^ autori che la riportano, abbiamo diverse lezioni. La pc^S1 I\I VIER A ORIENTALE ( 39 ) S. MARGHERITA non se ne dubita, è quella del Ganducio. Oltre di essere accorciata, olire uterque in luogo di Euterpe: di modo che riesce ad un imbratto da non cavarne costrutto. Lo Schiaffino, il Piaggio, il Muratori la danno con lezione uniforme tra loro, salvo la parola di mezzo del secondo verso, nella quale si direbbe essere avvenuto alcun guasto nella pietra, per cui non potendosi legger bene, ciascheduno abbia messo ciò che ha creduto potervi rilevare. Lo Schiaffino ha PEP • S • L, il Piaggio in un luogo (voi. 7 p. 93) ha POP • S • L e in un altro (p. 343) PEP * SI. Il Muratori finalmente lia PERS • L. Noi sulla fede del Sac. Fedele Lux^rdo, erudito e diligente investigatore delle memorie Sanmargaritesi, che attesta aver esaminato il marmo, abbiamo accettato Pepsi terzo nome di Taiezio, il quale per quanto possa parere strano (e ve n’ha di più strani e di stranissimi) se ci è, bisogna pure accettarlo. L’Arciprete di S. Margherita, nella cui Chiesa si conserva questo monumento , ci somministra la conferma della lezione che offriamo , avvertendoci che nel marmo il nome gentile e il cognome sono così vicini che sembrano formare una sola parola, come pure Euterpe e contubernal. Ma questo non vuoisi attribuire ad altro che al poco garbo dell’incisore, non potendosi neppur per sogno confondere il nome di Taiezio, clic è riprodotto nella sua compagna e nel figlio, col terzo nome di questo soggetto. Lo stesso dicasi di Euterpe colla sua qualità di contubernalis. Il marmo è un’urna cineraria. Oltre all’epigrafe presenta anche delle figure in basso rilievo, che il Luxardo si occupa a descrivere ed illustrare largamente. Di che questa è la somma. Nei due lati dell’urna è scolpita una pianta di alloro con le bacche sui rami. Appiè dell’ albero stanno due cigni. Sotto all’ iscrizione si vede una figura alata che svena un giovenco. Al di sopra dell’ epigrafe sono rappresentati due uccelli che bevono ad una tazza, e quinci e quindi due teste di _J”«pA OMENTAU- / /fl. v ai~~ --------____ ' S. MARGHEU1TA parlare di auesL ,n ebbe occasione di cu,'o di Apollo ossia mlTr 7" ^ di riconoscervi “ simboleggiano il primo , J ' 0 ed * cigni ognun sa clic giovenco in atto di so- ^ ^&ura alata* che inforca il presso gii amichi oripnlT^0’ ^"ì16 31 misteri mi,riaci- Mitra 1 Greci ed i Romani Feb ° ^ ^‘° ^ ^e’ com era Presso simbolica non accenna 6 ° ^ra (luesta rappresentazione citato dalla famiglia T a^CU,i £rado di .sacerdozio eser- ma ê Piuttosto un àtto'Tl’ Cl>e Sarebbe esl>rcsso nell’epigrafe; anche un’allusione al ' J'°Z10ne verso (ah divinità e meglio insieme ad Euternp3 ,n°me (,‘ ^PoJb'nare figlio di Pepso, che di contubernalis chi &! C0DSacra 11 m°numento. Il titolo poi 1n luogo di uxor ° & U^ima' era quello che si usava tale era la nrimir ^ ^ Persone servili. Onde si vede che . « ™7:z*zdi:rdi ,nes,i «»-“• Adepto, di cu' * * UniC ^UrG ^ clue^° dedicato a Giu-paò vedere V acculi T™ reglStrata ^ epigrafe. àJ n.° 3, si Monumenti 9*» / ,° lse£no e ^ relativa illustrazione nei *«• « te ji 7f- f »■ Dell* epigrafe editamente del culto di Mitra, ginale, p0ne . ’ C G ^Ur ^iCC ^ aver copiata dalla pietra ori stiamo alla lezione ^ ° ^ onta c^ cluest0 noì Ubiamo fatto nir 6 a^iamo bottata sulle indagini che vi mt0 Emente praticare. ■ ’ RIVIERA ORIENTALE ( 41 ) ROVERETO ROVERETO Rovereto è nome comune a molli luoghi, come prova la sua facile etimologia. Il luogo di- cui parliamo è una campagna nel territorio di Chiavari e ha due Parrocchie, di S. Pietro e di S. Andrea. In una di queste si conserva la seguente lapide. 29. Ç • SEXTIO SPEC TATO TESSERARIO COH I PR VR • C • TITIVS MARCELLVS BE TRIB COH • EIVSDEM B M Tale è la lezione di quest’epigrafe che troviamo nel Giornale Ligustico (1827 p. 83). Nei manoscritti dell’ Oderico si legge pure, ma con qualche variante. Spectato è tutto intiero nella prima linea, tesserario è al principio della linea che termina con Titius: in luogo di Marcellus è Marcellinus che continua la linea sino a ejusdem. Finalmente invece di B M bene merenti si trova DM coll’osservazione sic. Ad indicare la località ove si trova, vi è apposta questa nota: Urnula in Ecclesia S. Andreae Roboreti inter Zoagli et Chiavari , aquae lustrali destinata. Ma noi stiamo per la lezione che abbiamo offerta perchè l’Oderico non dice d’averla veduta co’ suoi occhi e non sappiamo da chi l’ebbe; ma si vede che fu RIVIERA ORIENTALE ^ /f v j ROVERETO mal servito; quella invece che pubblicò il 1*. Spotorno nel Giornale Ligustico l’ebbe dal coltissimo Av. Cristoforo Gan- dolli di Ghiavari che l’eslrasse di sua mano dal marmo che sla nella Clyesa non di S. Andrea, come fu detto dall’Oderico, ma di S. Pietro, che è l’altra Parrocchia di Rovereto. La forma delle lettere, secondo ch’egli le descrive, mollo irregolare, la punteggiattura negletta, la disposizione confusa delle linee ci lanno conoscere che l’umetta cineraria è lavoro del secolo III e forse del IV. Quanto al litoio di Tesserario, essendo cosa nota, accenneremo brevemente che oltre varii altri significati, che ha questa voce, qui vuoisi specialmente intendere di quei soldati scelti da ciascuna legione, che sul far della sera portavano al Centurione una parola (che nella moderna milizia si chiama il Santo) comunicata dal Duce supremo, acciocché nell’oscurità della notte valesse a Air discernere gli amici dai nemici. Il comandante si valeva pure degli stessi uomini a comunicare con celerilà e sicurezza qualunque altro ordine che gli f°sse occorro di trasmettere ai comandanti inferiori. Tacito (hist. I 25) nomina il tesserarium speculatorum, e ognun vede di quanto servizio doveva essere nel suo genere. Delle coorti pretorie parliamo altrove. Osserviamo che trattandosi qui di coorti al servizio del Pretorio Urbano, si può credere che 1 epigrafe sia posteriore alle riforme delle milizie pretoriane. Quel C. Tizio Marcello che levò il monumento all’amico, porta dopo i suoi nomi un titolo indicato per la sola prima sillaba BE. Questo non può altro essere che Beneficiarius. Si chiamavano benefizii i gradi della milizia a cui i soldati venivano promossi per favore dei Superiori. Questo si rileva da Aegezio (1. II 7) Beneficiarii ab eo appellati quod promoventur beneficio tribunorùm ecc. e poco dopo IU sunt mi-principales qui privilegiis muniuntur. Festo li definisce HI VIER A 0 HIENT ALE ( « ) ROVERETO alquanto diversamente: Beneficiarii dicebantur qui vacabant muneris beneficio; e contrario munifices vocabantur qui non vacabant j sed munus reipub. faciebant. Ma insomma, cilecche si fosse, i beneficiarii se ne tenevano contenti e onorati, e se ne notava il titolo nelle iscrizioni. Valga di esempio, fra le altre molte, questa del Gori (vol. II p. 358 1). d • M Q • VOLCACIO • Q • F CELERI • MILITI COI! • VIIII • PR BENEFICIARIO TRIBVNI • ATTICI MILITAVIT • ANNIS • VII VIXIT • ANNIS • XXV Dopo che avevo compilate queste poche righe sulla lezione offerta dal cav. Gandolfi, feci interpellare il Rev. Arciprete di S. Pietro per meglio assicurarmi dell’ esattezza del testo e e deir esistenza del monumento in essa Chiesa , anziché in quella di S. Andrea. Ed egli non solo si prestò cortesemente a derivar con tutta diligenza dal marmo ciò che vi si legge, ma mi somministrò ancora tutte quelle piccole notizie particolari che lo riguardano. Esiste veramente in S. Pietro ; ma differisce per due varianti dalla lezione del Gandolfi. In luogo di vr , cioè urbanae , ha pv, cioè piae victricis, titolo dato in altre lapidi alla prima coorte pretoria: invece di Marcellus ha Marcellinus, e in questo dà ragione all’ Ab. Oderico. L'iscrizione è scolpita in un’ urna cineraria di marmo, della grandezza di un palmo e un terzo all’incirca in quadrato, ed è incastrata per due terzi nel muro all’ interno della facciata della Chiesa a sinistra di chi entra e serve di acquasanlino. L’iscrizione poi è contornata di bassi rilievi non al tutto spregevoli. riviera ORIENTALE ( 44 ) GOLFO DELLA SPEZIA GOLFO DELLA SPEZIA L’ epigrafe seguente mi porge occasione di nominare quest'amenissima baja, la cui bellezza ed importanza fu conosciuta ed apprezzata dagli antichi. I moderni V hanno scelta a stazione primaria delle flotte italiane. Ennio invitava i cittadini Romani a visitare il porto di Luni, che tal vista avrebbe compensato quel disagio: Est operae pretium, o cives, cognoscere portum Lunae. E Persio nella Satira VI ne fa con vivaci tratti la pittura .... Mihi nunc ligus ora intepet, hibernatque meum mare ; qua latus ingens Dant scopuli et mulla littus se valle receptat. E assumendo con poca variazione il suddetto verso di Ennio, conchiude : Lunai portum est operae cognoscere cives. Si potrebbe anche credere che Virgilio nel descrivere quella stazione sulla Libica spiaggia, ove vanno a ristorarsi le affrante navi di Enea, attingesse i colori al golfo di Luni, ove 1 onda com egli dice, s;interna in riposti seni, e un isola che sta all’imboccatura, ne rompe T impeto e Tira, come appunto fa in quel della Spezia V isola Palmaria. Est in secessu longo locus , insula porlum Efficit objectu laterum quibus omnis ab alto Frangitur, inque sinus scindit'se se unda reductos. Aen. f. Le poche caratteristiche parole con cui il Poeta satirico pcn' nelleggia questo golfo, mi conducono naturalmente a far mcn- RIVIERA ORIENTALE ( 45 ) GOLFO DELLA SPEZIA zione della controversia che si agitò fra gli eruditi intorno alla sua patria. Eusebio nella sua cronaca asseri esser nato questo Poeta in Volterra, e dopo di lui non solo tutti ad una voce ripeterono la medesima cosa; ma non si volle mai porgere ascolto alle ragioni che fan dubitare della verità di tale asserzione. Il Poeta chiama suo mare quello che lambisce la ligure spiaggia. Se non ci fosse Y idea preconcetta per Volterra, io sfido che potesse venire in mente ad alcuno eh' egli non fosse uscito da qualche terra di quel golfo. Eusebio ha detto che era di Volterra ; ma egli era Greco, egli scriveva tre secoli dopo di Persio , in molte altre cose prese abbagli, che si sono chiariti : dunque non si dovrebbe così ciecamente accettare come un oracolo la sua sentenza. Non dissimulo che tra i moderni sta per Volterra anche il Sig. Carlo Promis, di cui tanto apprezzo la perspicacia e. Y erudizione ; ma mi perdonerà se io in compagnia del P. Spotorno non mi acquieto all’ autorità del greco Cronista. 30. TELLIVS • CENSORINVS VILICVS • COMPITO! * ET ARAM • MVNVS • LÀRIBVS I) • SVO . L • M Questa iscrizione ci è comunicata dal nostro Socio sig. Agostino Falconi , ardito indagatore di antichità, specialmente etimologiche , il quale ci fornisce intorno ad essa i seguenti particolari. È incisa presso la sommità di un’ ara .di marmo bianco, di forma cilindrica del diametro di m. 0,48 che s’innalza dal suolo per 0,84 e per 0,30 si sprofonda nel terreno. RIVIERA orientale r ili \ --------- W ) GOLFO DELLA SPEZIA l"mite fra ^or SC°lp,te a hasso nliev0 tro teste di loro collina detta J ™n, gllirh,u,c cìi e»ri. L'ara è piantata sulla Piccola Chiesa di SU"!Ì '),azze»a> che quivi é innanzi alla il Sjt0 jn mw• 11 detto sig. Falconi è di parere che (ssn 81 110)11nesto m;irmo tuttora, sia il medesimo che Punto oJ3U in an(lC0, Perc,<« quello è presso a poco il (ìu-)l r' confo,re'ano le antiche strade intorno al golfo: la X, r SmiSa " *• ***. ouest n ^011 100 C^C * JSCrizJ0De 6 poco intelligibile: e nome del SU^0rre c^ie Possa essere obliterato il pre-Nniïa ]•6 S0^ett0 e forse qualche cosa del nome gentile. -“I TELI li " EP'eriUìa Si 'r0ra TELL,lS « 8 inr; „m • ’ COme vi sono Pure gli ATELLII. Nel Mura-wri abbiamo un n r n- a , cpn > j ^ IeUio Asclepiade e un Tcllio Saturnino ve£r ,i0 Prenome (1219. 6). Chi volesse un Sesto Atellio XcVr0 ,'"ra,ori a 78s- *• una sol, I Sl ,r°1a ord,narjaraente scritto nelle lapidi cosi con gniBca a ’ tal°ra COn (,UeSte abbrerâzi°ni VIL, VIUC, e si- Prociu-atore in°ll gaStald° ° ^ d‘ eamPa£na’ ma anche herp/iìim• 1 n ramj ^ Amministrazione, come vilicus xx grafia. COWim?' C(l aItri che troviamo in epi- ove fanno ' ■■ SU° senso ProPri° significa crocicchio cialmente crpl Strat,e’ ,a ^,Ial voce in questo senso, spe- tosto in ’nlur 1° W\iP01 Cm0C,° (,e‘ P°eti’ si (r0Va usató pÌUt' presso i r -y' a Siccome flej detti crocicchi si solevano Pellette ^ * Cn^ere (^ei PJCC0^ santuarii, o diremmo Cap-e si rlicQn ° °encre di costruzione prese il nome dal luogo c°me in ^ CIuesto second° senso è usato qui, lunga, estraglo^l^TT0’ ^ />Crdlé tr°PP° P * PAL • SAWNVS 10 ^C1 1101 AI NASELLIVS * M ’ AP,vAIUTOIUo . r LT NASLLLlVS * PATEfl... POJ1TICVM • CViV * °31PII \ M • a . SOLO • PECVNIA • S VA • FECERVNT &. RIVIERA ORIENTALE ( 47 ) fiOLFO DELLA SPEZIA (De Vita 167) Ai crocicchi presiedevano i Lari (oltre Giano) e ad essi erano dedicati questi tabernacoletti : quindi Compi-talia le feste in loro onore, e par che vi fosse una specie di sacerdozio che le regolasse. Quindi si trova nominato il Collegio Compitalicio, e nel Muratori (918. 8) si legge d • m • l • vibvsio • secvndo • coMPiTAL • lar • AVG &., cioè Compiiate dei Lari di Augusto. La qual voce Compitalis non trovo nei lessici sotto questo significato. E non senza ragione qui è usato il termine Aram, come risulta dalla seguente distinzione del Morcelli : « Aram ab Altari diversam esse censent Grammatici, » et in aris, quae humiliores sunt, supplicari tantum aut li-» bari; in altaribus victimas quoque adoleri dicunt ». Quindi a norma di chi avesse a far uso di questi termini nei nostri religiosi costumi, soggiunge: » Quare hoc jam discriminis me-» rito statues inter aram et altare, ut altare nunc appelles, » in quo sacrum fìat, aram vero, quae sacri honore careat, » cujusmodi quaedam in aediculis propter vias rure visuntur ». (De St. Inscr. T. I. p. 17). Nelle ultime sigle v’ è qualche cosa d’ insolito non nella forinola ma nella scrittura, perchè è abbreviata la preposizione DK, non SVO, mentre F uso comune è che queste parole si scrivano o tutte e due abbreviate o tutte e due distese, l • m è il solito libens merito. lUVIERA ORIENTALE ( iS ) LUNI. Luni antichissima citta tra i Liguri e gli Etruschi fu ora tsJi uni, 01 a degli altri. Più d}una volta abbattuta e risto-^(a, giacque in fuie per non più rialzarsi e fu quasi* obliterata alla faccia della terra. Se ne sono ritratti monumenti d’ ogni maniera e .se vi si praticassero scavi per pubblica autorità (come qualche privato ha fatto a sue spese) avremmo anche noi la nostra Pompei. La sua Epigrafìa è la più ricca di tutte e a^re Partj della Liguria• ed ebbe la sorte di avere ad Uhi-stratore l’insigne Sig. Carlo Proniis. 31. . ■ ST ■ METTIVS ■ ZETHVS IOVJ ' SABAZIO • D • L ■ D • - • . L-.D D-D della n a|a 'n ^uni ne^ sec°l° XV ed è la vigesima terza disse erri00 ^ ^ ® Gruferò seguendo i' Apiano, la Sf erronearnente trovata in Lucca. l’Ivanr)01, ^a.nn0 1(1(0 ,e slSte del prenome SP Spurius ma con talp n eltera ^ ^ Cl0è Statius, prenome U Ilo °De- L' °re,,i ,e^e SP- che ^a^azw ^at0 a Giove viene dal verbo greco significa Br/r ^ire ^aec^an: onde Sabazio propriamente anche bacchico preso aggettivamente. Or fa RIVIERA ORIENTALE ( 49 ) LUNI (T uopo sapere che i Cretesi celebravano le feste di Giove con orgie , come pure quelle di Febo, delle Muse, di Cerere, della Madre degli Dei, per non dire di Bacco. Ce lo attesta Strabone al 1. XV. E’v TY\ YipriTYI xcù TO.VTO, XCCt TCC TOV A10$ IspÒ, Ì7tETÙ£lTO het* ópyacfj.ov cioè : In Creta vero et haec et Iovis sacra perficiebantur cum orgiis. Giove pertanto fu chiamato Sabazio in ragione delle orgie che in Creta accompagnavano la celebrazione delle sue feste. Né il solo nostro Stazio Mezio avea divozione a un tal Giove, da che altri pure gli rendeano omaggio, come si può vedere nel Grutero pag. 22. Valerio Massimo (lib. 1, c. 4) racconta che il Pretore C. Cornelio Ispallo sotto il consolato di M. Popilio Lena e Gn. Calpurnio (An. di Roma 615 = i39) sfrattò da Roma i Caldei , che con fallaci interpretazioni delle stelle traevano profitto dalla credulità del popolo, come anche mandò a casa loro certuni che Sabazii Iovis cultu simulato mores romanos inficere conati sunt. Si vede che i disordini scoperti e puniti un mezzo secolo innanzi, a cui la Curia avea provveduto col famoso Senatusconsulto , che è uno dei più preziosi monumenti del-1’ antichità romana, cercavano di traforarsi nel popolo sotto il velo e il manto di Giove Sabazio. d • l • d • Donum libens dedit L • d • d • d Locus datus decreto decurionum. In queste sigle occorrono presso i diversi autori parecchie varianti : noi adottiamo quelle preferite dal Promis, le quali hanno anche il vantaggio di essere ovvie e comuni. La menzione poi dei Decurioni di Luni (giacché crediamo che la lapida appartenga al luogo ove fa rinvenuta) rinforza 1’ opinione che queir antica città fosse colonia Romana. 4 RIVIERA ORIENTALE ( 50 ) LUNI 32. IVNONI 1VSTAE • N VOTO *• SVSCEPTO PRO • SALVTE • EIVS CLEANTHVS • L PRIXVS•HELLE LAR • D•D Altri leggono IVSTA • N, che il Cori spiega Justa Napus, e il Muratori juxta nemus (cultac). Il Promis preferisce la lezione del Rossi, vale a dire che il Liberto CJeanlo dona un Larario al Genio (Junoni) della comune antica padrona Giusta. Curiosissima é pure, aggiunge egli, la penultima linea, che si deve francamente correggere PIIRIXVS HELLE, per cui si allude alla nota storia di Frisso ed Elle sua sorella figliuola di Atamante re di Tebe. Egli crede che queste parole del marmo vogliano significare che al Liberio Cleanlo fosse succeduta qualche simile avventura. Il sig. Promis non ispiega la sigla N, perchè crediamo che la prenda nel senso più ovvio di nostrae. 33, BELLONAE STEPHANVS . IMP • VESPASIANI CAESARIS • AVG • V • S • L • M Questo doveva essere un liberto di Vespasiano ; ma non si vede espressa nell’ epigrafe tale sua qualità. Può essere che sia RIVIERA ORIENTALE ( 51 ) LUNI sfuggita al Bossi, clic ci ha conservalo l'iscrizione. È cerio che manca una cosa che regga quel genitivo, e un l, cioè Libertus, sarebbe la più probabile, trattandosi di un uomo che porta un nome greco. 34. T•AEBVTIYS FORTVNAE V - S • L • S Scoperta nel 1765, il Lami fu il primo a pubblicarla, ma confondendo la sigla del prenome col nome, lesse Taebutius. Così diede 1’ ultima sigla per m , come veramente richiede la nota formola ; ma il Promis la richiama ad s, perchè cosi dice esservi realmente, e noi a lui ce ne stiamo, quando pure rimanga inesplicabile o di dubbiosa e gratuita interpretazione. 35. L • SVETIVS L • L • AMPH • F V • S • L • M Siccome esìstono in Luni gli avanzi d’ un Anfiteatro , sì è creduto di trovare in questa lapide il nome del benemerito autore di quel pubblico monumento. Con più ragione il Sig. Promis, invece di leggere Amphitheatrum in quell’ abbreviazione , trova un terzo nome di questo liberto a quel posto appunto ove si soleva mettere il nome forestiero dei cosiffatti. RIVIERA ORIENTALE LUNI E propone Amphius, Amphiolus, Amphibianus o Ampheristus, tutti nomi clic si trovano nei marmi. E poteva anche dire Amphion, che è anche più semplice , di cui abbiamo un esempio nelle Albinganesi, quantunque sia scritto meno esattamente Amphio. Per conseguenza quell’ f in luogo di fecit converrà interpretarlo per Fortunae o Felicitati, siccome quella Dea, a cui questo liberto Votimi Solvit Libens Merito. 36.. M • HONORIVS ML . PH1LODA L • V • S • L . M Scoperta dal M.se Remedi posteriormente alle precedenti. Si legge intorno ad un cippo alto 30 centimetri a forma di cle-psidra. Il nome primitivo di questo liberto è greco , ma nella lapide é troncato da Philodamus. Nelle sigle, che ordinariamente sono quattro a significare Votum solvit libens merito, dev’ essere sfuggito allo scarpellino un l di più. Nella pubblicazione del sig. Remedi quelle due lettere ML stanno così unite. Se in tal modo sono veramente sul marmo, ciò non può essere altro che un errore dello scarpellino , che dovea scrivere M • L • cioè Marci libertus. Infatti il prenome di questo Onorio è Marco, ed è noto che generalmente i servi manomessi prendevano il prenome del loro benefico patrono. RIVIERA ORIENTALE ( 53 ) LUNI 37. TITINIVS . L • F • Q • L MEMNO H • V • S • L • M Regolarmente non Memno ma Memnon dovrebb’ essere. La prima sigla dell’ ultimo verso riesce d’ interpretazione alquanto ardua. Il Sig. Promis inclina a leggere Herculi o Hygiae o llygeaé, che si voglia dire. Quest* abbreviazione d' Ercole è meno insolita. E perché non potrebb' essere hoc votum solvit libens merito? Il Promis produsse la prima volta quest’ epigrafe che era inedita in casa Picedi. Da lapidi posteriormente scoperte pel Marchese Angelo Remedi siam venuti in cognizione dell’ esistenza di una cospicua famiglia Titinia, di cui questo Titinio fu probabilmente liberto. Vi si desidera la sigla di un . prenome. Le sigle L • F • Q • L vogliono dire Lucii filius Quinti libertus. 38. 1MP • CAESARI • D • F IMP - V • COS • VI III • VIR • R • P • C PATRONO Esiste in casa Picedi di Sarzana, ove leggesi scolpita, secondo che la descrive il Promis,' nell’estremità o faccia minore d' un gran masso parallelepipedo di marmo bianco. Ma HI VI EH A ORIENTALE ( 54 ) LUNI il Sig. Promis vi trova cose, di cui difficilmente si può render ragione. Il sesto Consolato d’ Augusto cade all’ anno 28 av. G. C. Lepido olio anni innanzi avea rinunziato al Triumvirato , e Antonio due anni prima si era ucciso e perciò il Triumvirato si era sciolto. Or dunque come si spiega quel III viro Reipublicae constituendae ? A me pare che si potrebbe forse dire che, rimasta in principio la rimembranza di quel titolo , il quale probabilmente si vedea scolpito in altri monumenti , non si badasse cosi per sottile a sopprimerlo allorquando era realmente passata 1’ occasione di adoperarlo. Per simil guisa si trovano imperatori che continuano a decorarsi del titolo di consoli desunto dall* ultimo consolato, benché di più anni ante riore. Si potrebbe aggiungere che V autore deir iscrizione avrà creduto di far onore ad Augusto rammentando il cospicuo in carico da lui per lo innanzi sostenuto. Il Promis poi mette in campo un altro dubbio che non é da prendersi tanto leggermente. Si dice questa iscrizione essere stala trovata dai Sigg. Renet tini con altre nel 1706. Il Muratori che le raccolse tutte, non. vi comprese questa. Dubitò forse della sua autenticità? Non direi, al vedere eh’ egli ne accolse d’ ogni maniera. Infine i vederla scolpita sopra un tal masso non lascia capire come po tesse essere collocata. ■ ---------- -------rv...... 39. DIVAE IMP • NERONIS L • TITINIVS • L POPPEAE CAESARIS GAL • GLAVCVS • LVCRETIANVS AVGVSTAE AVGVSTI FLAM • ROMAE ET • AVG LEG LEG • VI II • VIR • IV • P • C • SEVIR • EQ • R • CVRIO • PRAEF • FABR • COS • TR • MILIT XXII • PRIMIG • PRAEF.....ATO • INSVLARVM • BALIARVM • TR • MIL l VOTO • SVSCEPTO • PRO • SALVTE * IMP • NERONIS EX VICTRICIS QVOD • BALI ARI BVS • VOVERAT • ANNO • A • LICINIO • COS • II • VIR ........ET • Q • A . . . VRIO • NEPOTE • VBE • VELLET • FONEREI VOTO • COMPOS .....................MINERVAE • FELICITATI • ROMAE • DIVO • AVG 1MP • NERONI • CLAVDIO DIVI CLAVDI • F • GERM CAESARIS • N • Tl • CAESARIS • AVG • PRO • N • DIVI • AVG • AB • N CAESARI • AVG • GERM • P • M • TR • POT • XIII • IMP • XI COS • IÏÏÎ L • TITIN1VS • L • F • G AL • GLAVCVS « LVCRETIANVS • FLAM • ROMAE • ET • AVG • II • VIR 1III • P • C • SEVIR • EQ • R • CVRIO • PREF • F ADR • COS • TR • MIL. • LEG • XXII • PRIMIG • PREF • PROLEGATO 1NSVLAR • BALIARVM • TR • MIL • LEG • VI • VICTRICIS • EX • VOTO • SVSCEPTO • PRO • SALVTE IMP * NERONIS • QVOD.- BALIAR1BVS • VOVERAT • ANNO • A . LICINIO • NERVA • COS • 7l • VIRIS • SAVFETO VEGETO • ET • Q • ABVRIO • NEPOTE • VBE • VELLET • PONERET • VOTO • COMPOS • P0S1T • 10VI 1VNO---- MINERVAE • FELICITATI • ROSIAE • DIVO • AVGVSTO RIVIERA ORIENTALE (5 7 ) LUNI Queste due magnifiche iscrizioni votive scolpite in marmo, furono trovate sul principio del secolo scorso a Cecina villaggio della Lunigiana e poi trasportate a Firenze. Primo a stamparle fu il Cori, e il Promis le registrò nel corpo delle Iscrizioni Lunensi. È un L. Titinio della tribù Galeria, che preso da non so quale amore per quella cara gioja di Nerone, fa voti a parecchie Divinità per la preziosa salute di esso imperatore : quando non voglia dirsi che lo prendesse a pretesto per aver occasione di sciorinare per vanità Una filatessa di titoli da affogarvi il lettore. Le iscrizioni a Nerone, sono piuttosto rare, perché i Romani che non aveano per lui tanta tenerezza quanto questo Titinio, ne distrussero alla sua morte i monumenti e rasero i marmi che ne portavano il nome. Il titolo di. Diva dato a Poppea mostra che il calcio del marito Y avea già mandata in cielo a farsi scrivere nel novero degii Dei : il che, se non altro, avrebbe dovuto illuminare la devozione di Titinio. Questo avveniva 1' anno 65 deir E. V. e al 66 appartiene il voto di Titinio, come apparisce dalle parole anno • a • licinio nerva • cos. Titinio era Flamine di Roma e di Augusto. Cosi traduco FLAM • romae • et • Ave. mentre si potrebbe anche dire Flamen Romae et Augustalis ; ma vo’ dietro all' Orelli ché all’ iscrizione 2188 che è nel Grutero 479 • 6 • dedicata ad un Valerio da Trento, flamini • rom • et • avg. legge Flamini Romae et Augusti. E giacché per la prima volta ci occorre parlar.dei Flamini, osserveremo brevemente che era questo un ordine sacerdotale istituito, come si crede, da Numa Pompilio .pel servizio di tre principali Divinità, cioè, Giove, Marte e Quirino , e v’ era perciò il Flamen Dialis, il FI. Martialis e il Fi. Quirinalis. Ne fu poi accresciuto il numero per 1’ importazione di nuove Deità. La moglie del Flamine si chiamava . Flaminica, ed era tenuta in grande onore ed assisteva ai sa- RIVIERA ORIENTALE ( \ —_______l 00 )___LUNI gV imneratlw $a°re Cenmonje- Quando cominciarono a deificarsi Darimfini • ’ ^ Crearono flamini anche pel loro culto, e proclama! S1 near0n° Flaminiche Pel culto delle Augusto che si deriva lV/7 ^ ^Uam° aI]’ etiw°logia della parola, chi la fà . WU ^uasj fifamen, il qual nome alla sua volta si cinerari ì !, * Perc^ 1 Flamini fermavano la lor chioma in un f0 a 1 Un ’ ° ^erc^ ^ ^oro Pileo conico terminava rosso ] i>CC0 jnvece ^a *rae da flammeus pel color portati 6 PÌ,e°- mC(^0Slni°- Qnando i Flamini da tre furono minores ^UJD(*JC1 ’ 1 Pnn]i tre furono detti majores gli altri che n*° eri ^Ullmviro Per ^a quarta volta (11 • vir • ivj: dignità, mu,r C0S* asso^u^amen^e > indica il supremo magistrato dei Roma ,^U C C°^0nie ’ c^ie equi*valeya a quello di consoli in 1’ ordine001^'6 ^ ^GDât° ^omano V] aveva il suo riscontro nel- della ^ 61 ^ecuri0ni# Qui non apparisce se fosse Duumviro iscrizion'0n*a ^UnCnSe ’ ne^ CU1 territorio furono trovale queste (co T* ’ (^a ^Ua^6 , C0me ora diremo, era forse patrono app 6 COnCOr^à ^a *rjkù Galeria a cui Titinio professa di Balear^^ °^Ure se Jn qualche municipio 0 colonia delle ari, da cui emetteva il voto per la salute di Nerone. diffi" ?f^CCpC* âPPunt0 a^e SJ^e p • c • che il Promis non ha aminet ** ™^erPr etere Patrono Coloniae. Il Muratori che non leve n tr°}aPò* '«Wo nell' antichità che Luni fosse colonia, rezione ^U0?mr P°tes^e censoria, oppure propone una cor-l > q 1 P c ' ln DIC * per leggervi Duumvir juri dicundo. team J 1 ^ SU° V0t0 a^ interpretazione muratoriana di po-nrohahiCenS07la' Scolta principale del Muratori (ed è fosse c l6 anC^ie ^ 0reIIi) nasce dal non ammettere clic Luni iscrizio 0DIa* SiCCOme ’ a che diremo parlando d* altra non sia ? vuo^s^ dubitare che si sieno apposti al vero, cosi nio obbligati a rispingere il Patronus Coloniae. È vero RIVIERA ORIENTALE ( 50 ) LUNI che vorrebbesi vedere indicato il nome della colonia ; ma è pur vero che quando il monumento è eretto nel luogo stesso , a cui si allude, si suole anche tacere. Titinio quindi si chiamava sevir • eq • r. Seviri erano tutti quelli che appartenevano ad alcun magistrato composto di sei personaggi. Seviri assolutamente erano i primi sei in dignità fra gli Augustali, e seviri erano ancora quelli che comandavano ad altrettante turme di cavalieri. Abbiamo in un’ iscrizione (Don. 2, p. 248, 7, Orel. \ 33) vi vir tvrmae eqvitvm romanor etc. e in altra (Gud. cxii, 2) t • aelio • t • f • pal • naevio • antonio etc. SEVIRO • EQVITVM • ROMANORVM * TVRMAE • SECVNDAE etC. Queste turme di cavalieri erano in Roma formate di giovani che si esercitavano in giuochi cavallereschi e davano spettacolo come di giostre e tornei. Tre turme erano di giovani fatti che perciò si dicevano seniorum, e le altre tre juniorum , cioè di più teneri. I capi, detti Seviri (e si scriveva anche vi • viri o lìmi viri) più anticamente si chiamavano Principes juventutis, il qual nome un tempo si diede anche a tutta la gioventù armata a cavallo, siccome fiore e nerbo deir esercito ; ma quando i figliuoli degli Augusti presero con questo titolo il comando di cosiffatte turme, allora.esso cessò di essere adoperato da’ Seviri, che non erano in tal condizione. Capitolino nella vita di Marco Aurelio Antonino il filosofo, genero e figlio adottivo di Antonino il Pio , dice : « His ita gestis adhuc quaestorem et » consulem secum Pias Marcum designavit et Caesaris appel-» latione donavit : et sevirum turmis equitum Romanorum » jam consulem designatum creavit. Et edenti cum collegio » ludos sevirales adsedit ». cvRio • È nozione elementare di storia Romana che Romolo divise Roma in tre tribù e ciascuna tribù in dieci Curie e che a ciascuna curia prepose un sacerdote col titolo di Curione : immagine in qualche modo dei nostri Parroci. A tutti i curioni RIVIERA ORIENTALE ( 00 ) LUNI presiedeva il Curio maximus. Quanto al nome di Cui ia, secondo Varrone (iv , l . l . 76.) sarebbe stato dato cosi al recinto ove si teneva il Senato, come al luogo sacro, perchè in quello si curavano le cose umane, in questo le divine. Il Grevio però (Ant. R. t. I. praef.) ne deriva il nome da Kvp* sxxXma, e semplicemente KvpU, ossia adunanza del popolo. colla differenza che, ove presso i Greci con tal nome si chia mava tutta la popolazione convenuta a deliberare di alcuna cosa, Romolo 1' applicò a ciascuna delle trenia parti di essa. Il nostro Titinio era dunque anche curione. E si vede che allora la stessa persona poteva riassumere in sé molte e diverse funzioni sacre e profane senza essere astretto alla resi enz , o finito il periodo deir esercizio, ritenere il titolo ad onore praef • fabr. Praefectus fabrum. Costituivano . porazioni specialmente i fabbricatori delle macchine mi i ^ ma anche quelli che professavano le arti cittadinesche o vano collegi o sodalizii, che nel loro ordinamento imitava municipii, ed aveano Prefetti, Patroni, Decurioni ecc. cos. Questa è la nota abbreviazione di Consul, ma i cile è vedere come cada in questo luogo. Nei fasti on L. Titinio Glauco Lucreziano non figura punto. Di P ^ si occupò il Muratori, come avea dato il suo avviso su ^ di sopra, e non va più oltre nell* illustrazione di queste ^ tavole. Dice dunque che se Titinio fu veramente Conso e, potè essere altro che suffetto. Lo stesso disse il G ori. ratori poi trova all' anno 52 ( in tavole però non tropp ^ cure) un nome che somiglia a quello del nostro soggetto, potérsi supporre esser lo stesso. Io però non vedo a ^ miglianza tra L. Titinio Glauco Lucreziano e M. Licinio rass^ Muciano. È vero eh' egli lesse Licinio dove noi leggiamo correttamente Titinio ; ma vi rimangono ancora troppo nota i differenze a poterli scambiare tra loro. L Orelli lipicnde RIVIERA ORIENTALE ( Gl ) LUNI Gori e il Muratori di averlo fatto console, perchè questo titolo non sarebbe al suo posto tra praef • fabr. e trib • milit. e dice che come si ha in un’iscrizione presso il Fabretti (p. 459) praef • fabr • avg. qui si deve unire praef • fabr • cos. cioè consulis alicujus. E perché non leggere piuttosto consulum che consulis? L’ abbreviazione cos si trova adoperata anche al plurale, ed è naturale che se vi era un collegio di fabbri a servizio dei Consoli in particolare, avrebbe dovuto notarsene il nome proprio. 0 si avrebbe per avventura a dire che fosse console di qualche colonia o municipio? Qui si presenta la quistione se cosiffatti Consoli sieno esistiti mai, ossia se in alcun luogo i Duumviri si sieno mai intitolati Consoli. L/Orelli non ne vuol sentir parlare (t. 2, pag. 4 72) e dice che i monumenti su cui si appoggia T opinione favorevole ai Consoli municipali, sono d' incerta autorità o di dubbia lezione, dovendosi leggere ces censor non cos consul, o furono falsificati in tempi moderni per una meschina vanità municipale, o vi si parla di consoli suffetti. Il Zaccaria invece avea opinato diversamente. Riferita questa iscrizione : SEX • PAPINIO Q • F TI • CAESARIS AVG PRO • PR • COS • XV • VIR ALLENIO TR • PL • PR • LEG SACR • FAC TR • MIL • Q • LEG TI • CAESARIS • AVG D • D soggiunge : « Consulem autem dum Allenium fuisse audis, » cave credas Romanorum illum consulem fuisse (neque enim » ulla ejus mentio in Romanorum fastis, aliisque sive insculptis » marmoribus sive manuscriptis libris reperitur) sed coloniae » cujuspiam consulem habeto ». (.Laud. Ep. series c. ii). Ausonio chiude 1’ elogio di Burdigala e delle illustri città con questi due versi, che, se la lezione non fosse controversa,.tor-rebbero ogni dubbio : « Diligo Burdigalam : Romam colo. Civis in hac sum, Consul in ambabus. Cunae hic, ibi sella curulis ». E fu realmente console in Roma Tanno 379 delTE. V. im- RIVIERA ORIENTALE ( 02 ) LUNI perando in Occidente Graziano. Così presso il Grutero si trova nominato in un’ iscrizione (429, 9) Consul Barcinonensis e in un’altra (351, 3) Consul Coloniae Astigitanae, che ora è Ecija in Andalusia. Finalmente in Plinio si legge (p. 43) Fulvius consul Tusculanorum. Se questi sieno i monumenti che r Orelli rigetta come spurii o di dubbia lezione, io non so perchè egli noi dica; ma io gli ho arrecati non per sostenere la tesi contraria, ma perchè si era offerta V occasione di accennare un punto controverso di Archeologia. Del ìesto nel caso nostro si può con certezza affermare che Titinio non in tese di chiamarsi console municipale, da che aveva detto di sopra che era stato quattro volte Duumviro. TRiB • mil • LEG • xxii • PRiMiG. I Tribuni militari comandavano la fanteria delle legioni, le quali, oltre il numero d ordine, portavano anche un altro nome tratto o dai comandanti come Claudiana, Galbiana ecc. o da qualche luogo, corne nensis, Actiaca o da qualche divinità, come Maitia, via etc. o dagli augurii come Alauda o da qualche sing lare evento, come Victrix, Fulminatrix, Rapax etc. La era detta primigenia forse da Primigenia Fortuna , che la Dea che credeasi presiedere alle cose che devono nascere, 0 farsene al loro nascere compagna. praef.....ato Facilmente vi si sostituisce piolega giacché l’iscrizione seguente, che è quasi identica a quest , porta per intero ed unito prolegato , cioè Praefectus lega munere fungens. ii • vir .. . . et • q • a . . vRio etc. Ciò che qui manca si sost tuisce dair iscrizione seguente, cioè ii viris L. Saufeto Vcget et Q. Aburio Nepote. vbe , come ubei sono arcaismi di ubi. In ponerei 1 ultimo 1 o è stato letto male invece di t, o era stato sbagliato a T incisore. 11 senso richiede poneret, e cosi sta nell iscrizione RIVIERA ORIENTALE ( C3 ) LUNI campagna. Qui vuoisi pur notare compos voto in luogo di voti. La prima parte dell’ ultima riga vien parimente supplita dal-l'altra iscrizione, la quale dopo voto compos ha posit • ivNOni etc. Quel posit quando non si voglia credere un errore dello scarpellino che abbia dimenticato Y v, bisognerà supporlo sincopalo dall’ arcaico posivit. La seconda di queste iscrizioni ha le prime tre righe diverse dalla precedente : dopo di che procedono entrambe perfettamente eguali. La prima è intestata alla Diva Poppea Augusta, la seconda allo stesso imperator Nerone, e contiene il medesimo voto per la sua cara salute. Ciò che è notevole in questa è la serie delle attinenze di parentela che dall’ adulatore si mettono in campo per incensare il suo idolo. Si nomina figlio (f •) del Divo Claudio, ed era per adozione. Fin qui passa. Poi viene nipote (n •) di Germanico Cesare. Questi era fratello di Claudio e perciò zio di Nerone per la detta adozione. Ma chi trasse mai, chiede 1’Eckel (voi. vm, p. 267) le stirpi per gli zii ? Anche questo, dic’ egli fu un bel trovato degli adulatori i quali giocarono suir ambiguità del vocabolo nepos. Ma forse qui Y Eckel non avvertì che Nerone era veramente nipote in linea retta di Germanico, come figlio di Agrippina minore figlia di Germanico stesso. Si poteva dunque chiamar nipote di Germanico zio per adozione, e nipote, per sangue , di Germanico suo avo materno. La linea trasversale comincia veramente a Tiberio, il quale era fratello di Druso padre di Germanico. Di Tiberio si chiama pronipote (pro n •) e qui si giuoca veramente suH’ambiguità del vocabolo. Di Augusto poi si chiama abnepos (ab • n •) ossia terzo nipote, perchè Tiberio era figlio di lui per adozione. Se una tale menzogna è vile in un privalo adulatore, è impudente, come nota 1’ Eckel, nei marmi posti per pubblica autorità. E più impu- RIVIERA ORIENTALE LUNI dente ancora é in quel marmo gruteriano ( 237, I ) in cuj non facendosi caso del padre di adozione si salta a Germanico : Germanici F. Ti. Augusti N. Divi Aug. Pron. p • m • Pontifìci Maximo. Ottaviano Augusto , che ridusse alle sue mani ogni polere, assunse pure il titolo di Pontefice Massimo, perché a tale dignità erano annessi grandi poteri ed onorificenze. Tutti gl' Imperatori seguirono il medesimo esempio sino a Graziano, benché da Costantino in poi la cosa non potesse più avere significato religioso. Probabilmente aveano ritenuto quel titolo per esercitare un' autorità non religiosa ma politica sul sacerdozio pagano; autorità che non aveano creduto prudente di lasciare in mano altrui. Quando si spogliarono di quella dignità, la conferirono ad alcuno dei più eminenti personaggi Romani che ancora professavano il gentilesimo, come Q. Aurelio Simmaco che fu probabilmente l’ultimo dei Pontefici Massimi (Orel. 2147). Si disputò già tra gli eruditi se gl’ Imperatori pagani si contentassero del solo titolo o se esercitassero veramente le funzioni del Pontificato. Il Bimard negli atti dell’ accademia delle iscriz. (t. xv, p. 38 e seg.) trattò in grande la quistione e con moltissimi passi degli scrittori della Storia Augusta provò che gl' Imperatori compievano quegli uffizii stessi che già aveano esercitato i Pontefici Massimi a' tempi della repubblica. Mostrò aver essi ristabilito cerimonie neglette, averne istituito delle nuove, aver curato sacri spettacoli, aver riformato il calendario, aver fissato i tempi delle ferie, aver chiamato ad esame la fede dei libri sibillini, aver giudicato le cause dei sacerdoti e delle sacerdotesse e cose simili. E non solo gli scrittori, ma infinite medaglie attestano aver essi nelle cause deir Impero pubblicamente sacrificato (Eck. doct. n, t. vm). trib• pot• Tribunicia potestate. I/anno 23 av. l'Era Ottaviano Augusto assunse questo titolo , come rileviamo da Tacito. riviera orientale luni « Id summi fastigii vocabulum Augustus reperii ne regis aut » dictatoris nomen adsumeret, ac tamen appellatione aliqua » caetera imperia praemineret » (An. lib. iit, c. 56). Seguitarono T esempio i successori, e di questo titolo si fa quasi sempre menzione nei marmi e nelle monete. Siccome 1’ assumevano il primo giorno che prendeano possesso del trono ed ogni anno lo rinnovavano (il che par che si facesse ai 40 di dicembre) ; perciò il numero che segna gli anni della tribunicia podestà, segna ancora quelli deli'impero. Adunque oltre al potere divino pel Pontificato Massimo, i Principi si munirono anche dell’ autorità della plebe per questo titolo. Non furono però Tribuni ; cl>è il Tribuno voleva esser plebeo, l’Imperatore si riguardava dell' ordine patrizio. Siccome trovasi quest’ abbreviazione anche in questo modo tr • p -v' ebbe chi credè doversi leggere Tribunus plebis : erronea interpretazione per quello che abbiamo detto. iMP • xi • Il titolo d' Imperatore si dava a' tempi della Repubblica a chi aveva comando militare, o a cagion d’onore dopo una vittoria veniva con questo titolo salutato il condottiero dai soldati sul campo. Infine, caduta la Repubblica, fu adoperato a significare la suprema giurisdizione del Principe sulle pro-vincie dell’ impero Romano, senza però cessare di essere usurpato come acclamazione d’onore. Ma , come finamente osserva 1’ Eckel (Doct. N. t. vm, p. 346) dalla sua varia collocazione si conosce il senso in cui è adoperato. Messo come prenome significa l’imperatoria dignità e assoluta giurisdizione del Principe : messo dopo si riguarda come acclamazione per vittoriosa impresa. In quest’ ultimo modo è qui adoperato. Intorno a che ci piace riferire ciò che ne dice il Marini. « Convien confes-» sare che intorno a queste acclamazioni Neroniane o non ci » è gran fatto permesso di veder chiaro, siccome in molte di » Claudio e di altri, o sono assai volte ne’ monumenti mala- HI VIF'R A ORIENTALE LUNI » mente indicate.......e per verità in un marmo che » contiene de'voti sciolti per la salate di Nerone nel G6 e » forse nel 67 trovasi egli imp • xi • quando in un altro dello » stesso anno 66 è imp • iv • (At. Arv. p. 402). cos • mi. Ciò non vuol dire che fosse console per la quarta volta in quell’ anno in cui Titinio esalava la sua devozione, ma era stato negli anni deir E. V. 55, 57, 58 e 60. Da questo punto in poi la seconda iscrizione è identica alla prima ed è meglio conservata, così che la supplisce in alcuna parte mancante. •41. • ■ • :. '• NERONI • CLAVDIO • DIVI • CLAVD CAlRIS • N • CAESARIS • AVG • PRON • DIVI CAESARI-AVG - • ......IVS • LEG • AC ■ C........M \ QVINQVE..... Lascio parlare il sig. Promis: « La lapide che spelta a » Nerone, la ricavai dal Landinelli; ma è corrotta e mancante a per modo che non si può tentare alcuna restituzione ». Io aggiungerò che quell’abbreviazione CAIRIS per Caesaris non mi par del tempo di Nerone. RI Vip A ORIENLALE ( 07 ) LUNI 42. PLOTINAE AYGVST IMP * GAES * NERVAE TRAIANO • AVG • GERM DACICO • PONT MAX • TR POT ÏX • COS • V • D • D MARTIA NAE AVG È tratta dal Muratori (230. 7) od assegnata all’anno del-l’E. V. 105: al che è necessario prender le mosse dalla Podestà Tribunizia dell’anno 97 in cui Trajano fu adottato da •Nerva e dichiarato Cesare Imperatore, ma non Augusto, il qual titolo ebbe Tanno seguente. Nel detto anno 405 egli non era console: era stato due anni innanzi per la quinta volta. Qui dunque si è voluto indicare non che fosse console in queir anno, ma che già cinque volte avea sostenuto quella carica. A dritta e a sinistra si vedono, senza che entrino nel contesto delT iscrizione* i nomi di Plotina Augusta moglie di Trajano, e di Marziana Augusta sorella dello stesso. Questi due nomi si leggono alla stessa guisa nell’iscrizione dell’Arco ‘Onorario sul molo d’Ancona. Questa Marziana o Marciana, come si legge nelle monete, fu madre di Matidia suocera del-TImperatore Adriano, il quale ne sposò la figlia Giulia Sabina. D • D. Decreto Decurìomim. RIVIERA ORIENTALE ( 08 ) tUNI \ _ 43. IMP • CAES • DIVI TRAIANI • PARTHICI F • DIVI • NERVAE • NEP TRAIANO HADRIANO AVG • PONTIF • MAX TR • POT • XVÏÏ • COS • ii i In molli autori, fra i quali il Grutero (210), si trova questa epigrafe onoraria ali’Imperatore Adriano. Vi è notato, come si vede, Fanno XVII della Tribunizia Podestà. Era indicato anche il Consolato; ma il tempo portò via la numerazione di questo con l'ultima riga, in cui probabilmente era espresso il nome di chi dedicava il monumento. Nessun Consolato di Adriano combina, a dir vero, col diciasettesimo anno della sua Tribunizia Podestà; ma si vede che per onorarlo si noverarono le tornate di tal dignità da lui esercitate per lo innanzi, quantunque non la sostenesse in quell'anno. Fu console tre volte. Della prima non si trova memoria nei fasti : bisogna supporre che fosse suffelto. La seconda cade al secon-d'anno del suo Impero, o perché fosse già stato designato da Trajano, o piuttosto perché era invalso Fuso che i novelli Augusti prendessero il Consolato ordinario alla prima vacanza. La cifra adunque che vuol essere posta dopo COS é III, perché Fanno terzo del suo Impero fu per la terza ed ultima v°Ita console. Non saprei poi convenire col sig. Promis nel- 1 assegnare quest’epigrafe all'anno 131 dell’E. V. Adriano fu adottato da Trajano nei giorni delF ultima sua malattia, se pur tale adozione non fu un ritrovato di Plotina, che ne curava HI vii: MA OHI UNTALE LUNI con ardore la promozione. Traiano apprezzava molte be > qualità in Adriano, ma vi scopriva dei grandi diletti, on non si era mai lasciato andare ad un passo di tanta impor tanza. Da ciò ne segue che gli anni della Tribunizia Podestà di Adriano convengono con quelli del suo Impero. Or ques avendo incominciato Tanno 4 17, il XVII della Tribunizia desta ci porta al 433. È anche vero che qui il Promis ha fatto altro che porre la data in fronte senza iasione sopra, e cosi vi è luogo a supporre che una tal di\er0 derivi da error tipografico. 44. .....E • IMP • CAES • M • AVREL1 ......I • PII • FELICIS • AVGVST .....AVGVSTAE • MATRIS • AV .....STRORVM • TOTIVS • QVE ----NAE • ET • PRO • STATV • CI • • ......CVRIAE • LVNAE • SACRAR ..................RI • PATRIAE Marco Aurelio figlio adottivo, genero e successore di Antonino Pio, di cui assunse pure il nome, nel 17! imprese spedizioni contra varii popoli della Germania. Siccome T Augusta Faustina lo accompagnava, così per lei cominciò quel titolo di Mater castrorum, di cui parliamo al n.° 45. Questo marmo è mancante di notabile parte a cominciare dalla prima riga; ma secondo Tosservazione del Promis, che mi par giustissima, si può supporre che questa come quella, del n.° suddetto sia una tavola votiva dedicata a Giove. Tranne T ultima riga che lascio indovinare a chi è più esperto di ine, il resto si può supplire per la storia e pel ragguaglio di altre iscrizioni. Io dunque leggerei: MYIEflA ORIENTALE ( /0 ) LUNI i • o • m prò • salvtE • IMI3 • CAES • M AVRELI antoninl • PII • FELICIS • AVGVST et • favstinae • AVGVSTAE • MATRIS • AV gvstae • caSTRORVM • TOTIVS • QVE domvs • diviNAE • ET • PRO • STATV • CI vitatis • et • CVRIAE • LYNAE • SACRAR vraque • asdiura........RI • PATRIAE Quell’E finale della prima riga par che chiami naturalmente pio salute, il che alla sua volta ci fa rivolgere il pendici o a Giou‘, il quale perciò ci somministra l'intestazione. Cosi mi par clic non si possa dubitare del servizio di queir I isolato che licn dietio a M. Aureli e precede Pii Felicis. Anche Faustina è cosi al suo posto che non lascia dubbio. Quella ripetizione di Augusta al titolo di madre degli accampamenti ci riesce nuova, ma d’altra parie non si può negare che ci sia o clic non ab a leggersi castrorum. Dopo totiusque per legare colla fina NAE occorrerebbe alla mente l’idea di gentis o plebis romana , trovandosi applicate a cosiffatte donne anche il titolo di mac « del popolo Romano; ma preferiamo 1 altra lezione, PCIC troviamo ad esse un riscontro nelle lapidi seguenti. I • 0 • M PUÒ • SALVTE • IMPERATORIS M • ANTONII • GORDIANI • P • F INVICTI • AVG • ET • SABINAE • FVR IE • TRANQVILE • CONIVGI * EIVS TO TAQVE DOMV DIVIN • EORVM &. Orci. 972. PRO • SALVTE • IMP • ANTONINI * GORDIANI PII * FEL * AVG • TOTIVSQVE • DOMVS • DIVINAE PRQQVE • STATV ■ CI VÎT &. Gmt. XXIX li. riviera orientale ( 71 ) LUNI E in questa seconda si lia anche 1 esempio per legDerc Cl della nostra lapide piuttosto civitatis che civium. al sacrarum aedium 1’ avventuriamo come una semplice gettura senza pretendere di andare più oltic. Piobabilmen marmo è mancante anche della conclusione, ove si eg0e forse il nome del dedicatore e forse anche dei Conso i. 1 . 0 • M PRO • SALVTE ■ IMPP L • SEPTIMI • SEVERI ET M • AVR • ANTONINI AVG • FR • • • CLARISS ET * IVL • AVG • MATR SVB • CVRA • FL • MVCIANI > FR M • FIRM1DIVS • SPECIA TVS ' FR • LEG • II • ITAL • P F OPTIO • CONSECRAVIT 111 • IDVS • APR • SEVERO • ET • VICTO Di questa iscrizione si conosce esattamente il tempo, da che ci son notati i Consoli deiranno, cioè T. Claudio Severo c C. Aufidio Vittorino II, anno dell’E. V. 200. Il Grutero osserva alla seconda riga sovrabbondare quelle parole FR CLARISS; ma TOliveri rileva non sovrabbondare altrimenti, ma esservi state sostituite in luogo d’altre cancellate, ove do-. veva essere il nome di G età. Tutti sanno per la storia clic Caracalla, dopo morto il padre Settimio Severo, nuli*altro ebbe più a cuore clic tor di mezzo il fratello Gela, per non RIVIERA ORIENTALE ( n ) LUNI divider con Jai l’imperiale autorità, e che, consumato I orribile fratricidio, infierì contra tutti quelli che aveano amato o servito, come che siasi, il fratello : i quali si fanno ascendere a 20 mila. E non contento di questo se la prese coi marmi e coi bronzi, facendone distruggere le statue e fondere le monete e ritoccar, se non altro, le iscrizioni che volea conservate, facendovi cancellare l’abborrito nome. Una cosiffatta riforma ebbe a subire aneli’essa la presente iscrizione votiva, che era stata dedicata dodici anni innanzi. Giova dunque cie-dere che in quella riga si leggesse r • getae • caes e che in luogo di queste parole venissero sostituite quelle alti e PR CLARISS, ove per distrazione l’Oliveri dice doversi leggere principibus clarissimis, mentre la sintassi porta principum clarissimorum. Da ciò che dice il Promis sembrerebbe essei sua opinione che fosse stato soltanto cancellato il nome i Geta, dovendovisi già leggere quel PR • CLARISS. A noi per sembra che queste parole abbiano una cert aria di super e ^ zione, per cui sia verosimile essere state poste a coprir nome della vittima e l’immagine deir assassinio. per dare un giudizio più sicuro, gioverebbe 1 ispezione Cnrrnm OVG fu COpialO marmo, se questo esistesse ancora a carraia, dal Ciriaco, o dove che fosse. Erronea é certamente la ez FR, che pur é comune nelle edizioni di questa lapido, cordando tutti gli eruditi doversi leggere PR cioè pnncip In questa lezione manca un G ad A\G che pur si tro\a quella del Donati. Cosi questi legge MATR • CAS cioè casti rum. Qui il CAS manca, ma ragion vuole che vi fosse pei non lasciar sospeso quel titolo di madre; ma non ci andre CAES, come ha il Grutero, essendo che il figlio ora già gusto. D’altra parte si sa essere stato quel titolo adopciatp da Giulia Augusta moglie di Settimio Severo, titolo che fu la prima volta adoperato per Faustina giuniore figlia di Antonino riviera orientali*: ( 73 ) LUNI Pio e moglie di Marco Aurelio: titolo di cui lurono poi onorate altre Auguste, le quali o spronavano i mariti a forti imprese o li seguivano nelle spedizioni od osavano alcuna cosa al disopra del sesso, o almeno si supponeva che cosi facessero , da che l’adulazione non vuol essere tanto esigente. E non solo mater castrorum si trova comunemente nei marmi e nelle medaglie, ma anche mater senatus et patriae, mate/ senatus et populi romani. > È il noto segno che vuol dire centurione. FR abbreviazione di frumentariorum, di quelli cioè destinati a provvedere le legioni, i quali formavano ordine o corpo (numerus) che avea centurioni, decurioni ecc. di che si hanno in epigrafia sufficienti memorie. Il cognome di M. Firmidio è diversamente letto Spectatus, Iustus ecc. ma questo poco e nulla rileva. Nulladimeno osservo che Spectatus è comune, laddove Speciatus non si trova in epigrafia. Egli si appalesa qui frumentario OPTIO, cioè aiutante, luogotenente (come è probabile) del nominato centurione. Un tal titolo s’incontra più volte nelle lapidi, o assoluto come qui, perché facilmente se ne rivela la natura, o accompagnato dall’uffizio, quando non si potrebbe sapere altrimenti. E non solo si usava pei gradi militali, ma anche per gl'impieghi civili. La seconda legione italica avea il titolo di pia fedele, il che è indicato dalle sigle P • F. Dei Consoli che sono in ultimo abbiamo detto sul principio. IIIYltBA ORIENTALE ( 74 ) 'I NI 46. fulviAE • PLAVtil LAE • AVG • SPoa SAE ■ IMP : CAEs m • AVRELI • ANT pii • avg i. Fulvia Plautilla figlia di Plauziano Prefetto al Pretorio fu sposata a Caracalla fanno 202. Questo Principe 1 avea piesa per volontà di suo padre Settimio Severo, il quale viveva sotto il fascino di Plauziano divenuto arbitro dell Imperato e dell'impero. Quest’uomo a forza di estorsioni aveva mulate tante ricchezze, che la dote che diede a questa figliuola sarebbe stata sufficiente, per attestato di Dione, maritar cinquanta regine. Ma caduto di grazia e ucciso maneggi di Caracalla due anni dopo, questi si liberò an ‘ della moglie che avea sposata per forza, mandandola in ^ ^ a Lipari, e quando mori Settimio Severo, la fece toglie vita. Marco Aurelio Antonino Pio sono nomi che si spesso assunti da Caracalla nei bronzi e nei marmi, di sponsa dato a Plautilla mostra che questo marmo u ^ cato quando era soltanto promessa a Caracalla e perciò n ^ può andar più oltre del 202, non già portai lo al 2 ^ trovo nel Promis. E questa è cosa che ognuno può veri car,, cogli annali alla mano. IU VI Eli A ORIENTALE ( 75 ) LUNI 47. NOMINA • COLLEGI • FABRVM • TIG PATRONI DECVRIONES NVN1V s MONTANV S A • OCTAVIV S FAVSTV s ti... VALERIV S PROCVLV S LE • ANINIV S FAVSTV s..... VALERIV S PROCVLV FIL M • VIPSANIV s POLYBIV ST. i... FABR1CIV S FESTV S M • LlVIV s APTV s M TERENTIV S GENIALI S P • AQUILLIV s SOTERICIIV S SP POMPEIV S FESTV s F1S1DIV S PROCVLV •s . CLAVDIV S FELI X LABElllV S LVPV s CASSIV S FESTV s T- FLAVIV s PROCVLVS VOLVMNIV S TAÇITV s Q- ALBATIV s CORINTHVS IIARYSPEX TC. CLAVDIV S SYMPIIO R Q- ALBAT1V s VERNA SCRIB AM... AQVlLLlV S EGIECTV s I • TITTIV s CLYCON MEDICVS PV... NVMIS1V S ; CORNELIANV s I • TITTIV s APOLLONIVSMEDICVS C. 0. NVMISI S • TACITVS • PATER • COLLEGI c • IVLIV s ITALICVS P. . DISELLIAR1VS c • IVLIV s MATII 0 0... OCTAVIA s EPTIV S DONATV S FALTUNIV s AFRICAN....... TETTIVS S LVCINV S MARCIV s FORTVNATV S AVG AQVILIV s IANVAR I POMPEIV S AFRICANV S IVLIV s SALVJLLV S AQVILIV S IANVARIV S VALERIV s VELOX S FVLVIV S HERMERO S LEPID1V s FORTI S AQVILIV S EVCHARISTV S PATIDIV s THRIPIV S LI VI V S IIELIODORVS IMMVN FLAV1V S APRILIS I1ERENN DEMETRIVS 1VN AQVILIV S PATROCLVS FLAVIV IVSTV S VETTIV S PROFVTVRVS MAT OCTAV1V S MNESTAEVS LEPIDIA • IVLIA • TITINIA • CRISPIN. OCTAV1V S SVCCESSVS NVMITORIA • FELICITAS RUTILIV S PROCVLVS FILIAE • IVLIA • PROBIT • FL • ATHENAIS LICINIV S TACITVS TETTIVS • GAEMINVS TETTIV S GEMELLVS BUIAELLIVS • TIODOTVS PEDANIV S LIBERALIS L • POPILLIVS • GANDIDVS IVLIV S MAXIMVS ANN1V S SVCCESSVS TETTIV S TETTIANVS TERENTIVS PROCVLVS VALERIV S PRODVS AVREL1V S GLŸCERVS HERENN1V S DEMETRIVS DISELL • DENDROPHOR • D riviera orientale ( 7(j ) LUNI E questo uno ili quei registri, a cui i Latini in ragione della forma davano il nome di laterculum da laterculus mat-loncello, diminutivo di later. Vi si notavano i nomi de' soldati, dei componenti i corpi d’arte, dei liberti e perfino dei servi. Si vede in cosiffatti monumenti che per mantenere una certa simmetria nelle righe, solevano gli antichi staccar dal nome l’s finale, e disporle tutte in colonna presso al cognome. Dice il Morcelli che da principio quando non si conosceva ancora la ragione di questi monumenti, un certo tale, avuto un frammento di latercolo, da cui era rotta la parte che conteneva i nomi, rimastavi solamente la colonna dell’s e dei cognomi, tutto lieto proclamò d’avere scoperto un catologo di Santi Martiri, le cui reliquie fossero riposte nel tempio del Vaticano ('). Questo latercolo, che appartiene alle Iscrizioni Lunensi rac colte dal ch.mo Carlo Promis, era già stato edito dal Muratori (DXXII) il quale lo esaminò coi proprii occhi e ne fece soggetto di apposite illustrazioni. E cominciando dal titolo della Tavola trovò subito una grande difficoltà nell’ abbreviazione eh egli (*) A questo proposito osserva lo stesso Morcclli che ciò che noi chiamiamo colonna, era dai Latini chiamato cera: « Ceras appello quas quidam mendose » columnas dicunt. Ceras codicum memorat Quintilianus et ceram primam et secun-» dam testamentorum Svetonius, quae utique in chartis membranis ve scribebantur. * itaque non ante pars illa altera legenda erat quam quis primam oculo percurrisset »• (De st. laser, lib. 2). Il nome di cera applicato allo scritto viene, come ognun sa, dall’aulico uso di segnare i caratteri con una punta sopra tavolette intonacate di ccrj, onde poi cera si disse anche Io scritto sopra altra materia;, come la punta di ferro pre sto il nome di stile alla penna che fu poi adoperata in luogo di quello, come anche al modo di colorire il concetto. Ma Quintiliano ne! luogo citato dal Morcelli parla di scrittura eseguita in senso proprio sulla cera, come risulta dalle parole dell Aulore stesso: « Quid alioqui fiet, quum in medio foro, tot circumstantibus judiciis, jurgiis* » forluilis etiam clamoribus erit subito continua oratione dicendum, si particulas, * quas ceris mandamus, nisi in solitudine reperire non possumus?...» E più esplicitamente alquanto dopo « Illa quoque minora (sed nihil in studiis parvum est) non » sunt transeunda, scribi optime ceris in quibus facillima est ralio delendi: nisi riviera orientale ( 77 ) - luni lesse iLic e che il Promis trovò doversi leggere lig o tic. Partendo da un punto male accertato il Muratori si stillò il cervello per cavarne costrutto: immaginò che quella sigla nolasse il paese del collegio; ma 1’Illice di Plinio e di Mela era un paese della Spagna, detto ora Elche e non ha però che fare col territorio di Luni. Allora si appigliò al castello di Lerici detto in un documento del 4 461 llex, il qual nome suppone egli che potesse avere anche nei tempi antichi. Ma il Promis mostra che a questo nome si può assegnare una data molto più antica di quella citata dal Muratori, trovandosi mentovato presso l’UghelH nei Vescovi Lunensi fin dall’anno 4 185, ma senza che si possa provare che quel luogo portasse un tal nome fin dal tempo dei Romani. Ora riducendo egli la sigla a più probabile lezione, fa svanire ogni difficoltà. Questa lapide, egli osserva, spetta al principio del IV secolo, quando era invalso l’uso, specialmente nei caratteri di piccola dimensione, di segnar le lettere l e t col pedale e la traversa talmente impercettibili, che quasi sempre confondonsi colla lettera » forte visus infirmior membranarum potius usum exiget (Insl. X 3) ». Se dunque Quintiliano parla della cera in senso proprio, non e opportunamente citato a provare che cera si trasporli a significare colonna di scrittura. Così dall'altro passo tratto da Svctonio, benché il termine di cera sia adoperato in senso traslato, non si può argomentare che vi si parli piuttosto di colonne che di pagine oppure di paragrafi ma da essa non risulta quale arte rion^T^6 ^neSta socie^* ^all’ esiguo numero de’ suoi Decu-J *-ig- Promis argomenta che non appartenesse alla vicina j,1ni, ma fosse un piccolo corpo di Lapicidi. -ssa epigrafe fu posta Tanno 22 doli’E. V. sotto il con- • solato cioè di Decimo Alerio Agrippa e Cajo Salpizio Galba, a fistiale i Decurioni deir Arte, qual ch’ella si fosse, dall’anno 6 al detto 22; ma essendo rotta e mancante in parte notale, non giunge oltre ai consoli e ai decurioni dell’anno 19. Il Sig. Repetti, che la fece incidere in rame , opina che quell abbre\ iazione di VIL del secondo verso sia errata in luogo di MC, ma il Promis trova naturale che sia il nome di famiglia di llarione abbreviato da Villius o Vilonius. Il titolo di May iste? si riferisce alla carica, che esercitava nella Società, di soprastante o curatore di qualche cava di marmi, come piesso il Grutero (xxv, 12) si ha menzione di un magister a nia? mo? ibus. Leggerei Hilario nominativo della terza , anziché ^cMo caso della seconda, per attribuirgli il posuit consules et nomina decurionum, che segue. L’anno quarto cioè 19 dell’Era V. conteneva Ire nomi di decurioni in luogo di due, come negli anni precedenti, del terzo dei quali si vede solamente il principio TEI forse 7fcntf. T‘l^r0miS °^ina C^ie (Jues*° terzo sia stato sostituito a quel i Jurtino Filone che, corno apparisce dal © (dav&v), mori in ca- ^ ca. Ma questo terzo avrebbe dovuto sostituirsi in luogo del r * F • S E MIR0NE 'ET FL ’ ™ COOPT. IIO.N — N‘ PEIiPEr‘ COLL. N SIEOS PAT PLENOS. ERGO. CV 'Tt ',PRAED,T B°N ' WT' MA RATI. c. SPL . Cl VITA r, ' T ‘ PR0CVLVS • V,R • SP,ÆS VI Dl.MS . GHA.NDI CV ' NENS HOiMO ’ SIMPL * V,TAE ■ VNDE ■ CIiE COOPTEMS Q f L° nEPLERI ' NVM *N ' SJEVM - NODIS • PATRQN SALVBRi • IìEL\Tin\i L’ ° '’ PLAGERE * ANCTIS • VNIVERSISQ - TAM Cv-M*SIT- ET - Dir y G1STJ*0R • WOSTR • CONSENTIRI • PRAESERTIM X^E-S\Tl]>. APvvr fAPE ACCVMVLat- ET-HONORE ■ FASCIYM REPLETVS MAMS • PFTFXin J* EQ*GJUTVLARI'pOSSIT.N -N-SJEVM • Ts'OB-PATR ■ADSV SVSCIPE. dicxft DECE‘>IG-MTES * ET ‘ SBENIYOLENTIA ■ VT - EO* ANIM NOS . GLOlïinçi ',*W.C 'DECRETVM * VOTJVM. CONSENS • IN - QVAM • ET HV1VS . DECIÏFTi '^DEXTESQ OFFERIM -S-TABVLAMQ • AENEAM SERIT. TESTEM r * SC/UPTV1U *AD™J • PRAECIPIAT • VBJNAM • IVS KELATlONE,/'TNnVM IN * AEV° ’ JIV,VS ‘ C0IVSENSVS * N0S CENSVERVNT FELICITER. È d’ arte d* ° ^ ^eCrC*° eniesso da una società o corporazione virtù fC,tl° °n0rare lIn Per^onaggio cbiai'O per dignità e ^zic^cercarnfi1^061^6 Cei10 ]USlr° SuI ColleZio stesso[ Djja -i a cun vantaggio di protezione , per quanto si broJ daI COn(eSt0- 11 Decref0 fa inciso in tavola di ’scav-in i e q"°S,a tav0,a fu ,rovaia nel 1824, o in quel torno, pezzi • m' J,rcsso ,e rov,ne deli' antica Luni, rotta in nove Francesco°o'° ^ S°n° al°Une ,acune ’ ,e qua,i iJ r’rof' nel vol | ì™]-* SU^‘ co^a sua «sala abilità, come si legge La forma ' plenos . ergo . cum . sit . Lucius 5 . Cot. Proculus . vir . splencta/us . cujus . avi rati . cwn . splendore . civitatis . Zunensis homo . simphm . vitae . unde . ere dimus . grandi . cumulo . repleri. munerum . no sirum . si . eum . nobis , patronum cooptemus . quid . f ieri. placeret. de . ea . re . i ta . censuerunt. placere . cunctis . universisqùe . tam salubri. relationi. magistrorum . nostro rum . consentiri. praesertim cum . sit. et. dignitate . accumulatus . et6 . honore . fascium . repletus unde . satis . abundeque . gratulari . possit . numerus . noster . si . eum . nobis . patronum . adsu mamus . petendumque . de . benigniate . sita . et. sua . benivolentia . ut. eo . animo suscipere . dignetur . hoc . decretum . votivum . in quamfwm . et nos . gloriosi. gaudentesque . offerimus . tabulamque . aeneam hujus . decreti. nostra scriptura , adfigi. praecipiat. ubinam . jus sevit. testem . futuvum . in . aevo . hujus . consensus . nos tri . velationem censuerunt S feliciter T, ___.. i.....................--............. .... * "" ' '»■» ne può vedere un campione nella biblioteca e università. Il nome che vi si legge ripetutamente è in ie\o e dice tiialamvs • feci. 1 oi la stessa ragione della precedente registriamo anche questa che riguarda un altro ragioniere dei marmi lunensi : d • M c • ARTIO • C • L • ZETllO TABVLAUIO A • RAT • MAR • LYNENS VIX • AN • LXVll M * Vili - D • Vili HOR • IX ARTI A ■ CAPILLATA FIL • Plis • POS Questa si legge nel Grutero (593, 4) e nella collezione Lu-nse del Sig. Promis. Il marmo fu trovato a otto miglia della Vla Prenestina. ni ^ r<3S^°, ^uar^unfluc non abbiamo monumenti che accen-^plicitamente il collegio dei marmorai Lunensi, non man- riviera orientale ( 89 ) LUNI cario epigrafi, che facciano fede come questi artefici in altri luoghi formavano corporazioni. Si vegga f Orelli al n. 4106. Quanto dunque é probabile che in Luni i lavoratori del marmo, che vi avea tanta importanza, formassero corpo (oltre alle altre professioni) con tanto meno di sicurezza si può avventurare il tignariorum con cui il Prof. Orioli si argomenta di riempir la lacuna della terza riga. Questo C. Arzio era tabularius ossia computista a rationibus cioè dai conti marmorariorum Lunensium dei marmorai di Luni. 2 II Prof. Orioli, che ha lavorato sulla tavola originale, attcsta che al principio della quarta riga si vede il vestigio di id , il che fa credere che non vi si legga ben chiaro. In fatti il Gazzera e il Promis non ammettono che un i. Pertanto V id o idib. col nome del mese riempie benissimo lo spazio della lacuna che ivi si trova. Cosi pure afferma che dinanzi a Mirone par che dovesse preceder un Quinto. 3 q • v • f • s • e. L’ Orioli legge quod verba facta sunt esse e aggiunge decorum in etc. a compiere il senso e riempir la lacuna. La formola più usitata in simili circostanze era quod de ea re fieri placuit, de ea re ita censuerunt, e si rappresentava per le sigle iniziali q-d*e-r*f*P’D*e-r*i-c- ma 1’ interpretazione dell’ Orioli è plausibile , trovandosi esempii „ se non identici, approssimativi. 4 Queste abbreviazioni il Prof. Orioli non distinse , credo io , perchè si possono compiere in due modi diversi. Infatti si può leggere honoribus illustribus praeditos , bona vita manifestos, laudibus plenos, oppure honoribus illustres, praeditos bona vita , manifesta laude o manifestis laudibus plenos. Ma queste differenze a nulla rilevano : soltanto le indichiamo per ispianar la via a chi amasse legger correntemente la tavola. 5 II nome del Patrono è espresso in questo modo l • cot RIVIERA orientale ( 90 ) LUNI cms. Lucius è il praenomen ed è in tutta regola ; ma il m oss*a nonie di famiglia, che segue, si allontana dalla une e usitata maniera di scriversi, essendo abbrevialo m-'eCe 1 esser Esteso, come dovrebbe. Del resto l’abbreviatura vi può leggere ugualmente Cotius o Cottius perché si U,^C Jnciì>0 un modo e all’altro. Proculus poi, °/ Ub0 ^ *emP° > c^evc prendersi pel nome perna e el soggetto, avendo già da moJto tempo cessato il prenome di servire a tale uffizio. er questa espressione /tonore fasciam repletus non oc-^ rre stillarci a ricercare il nome di questo Procolo sull' /alho ei > e ail elogio che di questo semplice e dabbene provinciale tesse 1' epigrafe, nemmeno è da farsi venire in Cap0 c^e ^0bStì console suiïetto. I fasci erano bensì ornamenti consolali, ma e questi e i decurionali si attribuivano anche a 0 0 onore a chi non era console e decurione, come è certo per antichi monumenti. Si potrebbe anche dire che siccome le dignità municipali corrispondevano con diversi nomi a quello della Repubblica Romana ; cosi i fasci, che in Roma significavano la dignità consolare, poteano indicar nei muni- cipii la duumvirale cioè la suprema. Le altre piccole cose su cui cadrebbe qualche osservazione -ono abbastanza chiarite dalla lezione distesa che abbiani dato dell’ epigrafe stessa. Questo monumento, come ognun vede non ha una grande “«portanza né dal lato dell’ antichità, né della persona, in ore della quale fu inciso, né per notizie storiche che se no possono ricavare, né infine per fioritura di latinità ; ma non j creda per questo che non abbia ad aversi in molto pregio. ^ monumenti epigrafici sul bronzo sono così pochi, se si con-( ^ ^no co^ Ilumero sterminato dell; epigrafi in marmo ; che 1 ndo non fut se altro , solo per questo riguardo si dovrebbero riviera orientali-: LUNI tenere in conto di cose preziose. Il De Lama pubblicò una serie di tavole metalliche : ma il Gazzera osserva clic se ne potrebbero aggiungere molte altre; ma per quante se ne conservino, sono un nulla appetto al numero sterminato di quelle ch’erano disseminate nell* ampiezza dell' impero Romano. Si ponga mente alla lunga serie dei Fasti , dei Plebisciti , dei Senatusconsulti, dei Diplomi, una gran parte dei quali si scriveva sul rame , ai decreti dei Decurioni Municipali e Colonici , ai diplomi di congedo dal servizio militare e della facoltà di connubio ; si rifletta che una gran parte di questi atti si dovevano incidere a due o più esemplari per conservarne uno nel pubblico uffizio e consegnar gli altri a chi vi avea interesse ; e si avrà un’ idea, anzi dovrà riconoscersi che è impossibile formarsene una, anche approssimativa, del numero a cui dovettero ascendere in tutto il mondo Romano i monumenti letterati in metallo. E di sole quelle tavole di Patronato, di cui specialmente parliamo, fa spavento 1’ immaginarsene il numero, da che, come osserva il citato Gazzera , il mondo Romano si poteva comodamente considerar diviso nelle due classi di Clienti e di Patroni, non essendovi Provincia, Prefettura, Colonia, Municipio, non Corporazione , non Collegio ecc. che non contasse una schiera di Patroni. L’ esser unico e solo Patrono di cospicua città o di ricca ed estesa Provincia divenne caso eccezionale e si notò come speciale titolo di lode del personaggio che ne era investito. Da ciò si faccia ragione delle lamine di tale argomento clic dovettero esistere: col qual numero confrontando quelle delle sopravviventi, un trenta circa, apparirà quanto questo sia esiguo e da tenersi perciò queste poche in conto di rare e preziose. La ragione di cotanto stermìnio è evidente doversi ripetere dalla materia stessa di tali monumenti. Cadendo essi naturalmente in mano di contadini e manovali nel dissodar terreni e sgombrar ruderi e rottami, il costoro primo od unico pensiero UIV1£RA ORIENTALE alla |orQ ^l,,Ìt° dal me,a,,°- Le paro.'e sono mule per loro ; tanto più torna «radT* ^ ’ creto m>i ‘ 0 1 0 > e S1 circondano del più prudente se- ' porla’ P-0. i1"1 n0n P°SSa guastare 11 frutto della loro sco- strutti i / i***6 (^Udn,i tesor* di scienza archeologica furono di- delio t f j10C*° ’ C °^e f^ue^ nostro preziosissimo giojello 1 r Î, ‘ P°ICeWra f" 1 P* »“!>' «*» ^6tt0 ^ecreto ; nla quest’ ultime per lo più fanno sl ^ n° (e^ a^scnso prestato dallo stesso : il che prova che zion pUnt° 'eni'a compilato dopo conosciuta la sua accetta- decreto Cmratl° ^0i ^ 0SP,ta^la> ^osse o no espresso nel mera S ,nten^eva sempre compreso, e quando si espri- fecit ’ T USaUn° comunemente queste formole : Ilospitium ospitimi amicitiamque fecerunt, tesseram hospitalem eo feceìunt ecc. Questo privilegio poi dell9 ospitalità si 1^ a anche godere da chi non aveva la qualità di Patrono, forni JUeSl1 decrel* s* vedono costantemente osservate certe sprr °r • Clw pcr yUest0 aPPar*scono di rigore legale. Sono iuo o j jCOnS°k" anno, notato il mese e il giorno e il vir/° 6 ^ COnvocaz*orie » * nomi dei Duumviri o Quatuor-le«i C* ^ ^re^ore d°l luogo, dei maestri o questori di colta " ' eCC’,^ esPonevano i meriti del Patrono proposto , i van-s ooi o 1 onore che ne sarebbe venuto a tutto il corpo, e Jcava 1 es,to dello squittinio con quella forinola espressa J§ G ’ dl cui a^iamo già fatto menzione. RIVIERA ORIENTALE ( »3 ) LUNI 50. C • LEPIDIVS C ■ F • PAL SECVNDVS PRAEF • FARR PR COH TR • MILIT PROMAG • XX H E R E D ï T • A V G LVNAE • D • D Secondo la descrizione che ne fa il ch.mo Prof. Bertoloni (Giorn. Lig. 4 829) questa iscrizione sta in un piedestallo di marmo bianco di Carrara, sul cui piano superiore è scavato un buco piuttosto profondo, destinato probabilmente a ricevere il perno di qualche cosa. Un contorno a foggia di cornice nella faccia anteriore cinge l’inscrizione. C • F • Cai filius. PAL Palatina. La tribù a cui apparteneva questo Lepidio, mostra che egli non era Lunense, giacché Luni era ascritta alla Galeria. PRAEF • FARR • PR • COH Praefectus Fabrum primae cohortis. TR1B • MILIT Tribunus militum. Di questi uffizii basti quello clic ne abbiamo accennato in altri luoghi; fermiamoci alquanto su quel che segue, perchè è la prima volta che ci si presenta, ed è anche F unica, voglio dire PROMAG • XX IIEREDIT. Augusto costituì l’erario militare e gli applicò il prodotto dell’ imposta sulle successioni, che era la vigesima parte del-1’eredità: il che noi chiameremmo 5 %. Da questa gravezza erano eccettuati i più stretti parenti. La fece anche più dolce Ncrva con altre eccezioni e Trajano ebbe ancora agio a to- i % RIVIERA ORIENTALE ( 94 ) LUNI gìierle l’odiosità del fìsco che si frapponeva alle lagrime di un padre che avea perduto il figlio. Così‘ci. fa sapere Plinio nel suo Panegirico: « Egregie, Caesar, esclama egli per epi-foniena, quod lacrimas parentum vectigales esse non pateris ». I moderni nostri legislatori hanno saputo far meglio. Prelevare la vigesima parte su qualche entrata si praticava già da molto tempo in Roma, come si rileva da C. Livio (1. 7 c. 27) e da Cicerone (ad At 1. 2 ep. 16). Ma Augusto fissò questa legge sulle eredità e i legati, destinandone il prodotto airerario militare. Dione (1. 55) c’insegna che Augusto prese questa idea dalle memorie di Giulio Cesare. Ecco le SUC parole: Twv Vzixogt'vv tcòv re xXnpvv xolì tcòv Scopscòv, av oì te- \cVTCÒYTE$ TlGt (7TÀWV TCÒV 7ÏXVV G'jyyEVCÒV, in /COLI 7Tsvnrœv) XCLTOLkELTICüGl, XùLTE_ gttigcltq , œç xcù èv tq'(ç tov Kaicxpoç vmfj.yhij.0LGi rò réXoç tovto yEypcLy.fj.ivov EÙpccv. Convien sapere .che 11 Prof. Bertoloni spedi questa e le altre due iscrizioni ai numeri 52 e 53 al celebre Archeologo Rartolomeo Rorghesi, e questi ne schizzò un’illustrazione in sua lettera del 5 di novembre 1829, che si legge stampata nel Giornale Ligustico di quell’anno. Riguardo a questa epigrafe non si occupa d’altro che del titolo di Promagister, che era la sola cosa che poteva fare qualche difficoltà, ed é anche giusto confessare che non ci mette nulla del suo, giacche il Guthero nel suo libro intitolato Officia Domus Augustae, che é registrato nel volume terzo del Sallengre, avea già illuminato questo punto archeologico. Ed ecco la somma di questa dottrina. Quegli che presiedeva in capo alla riscossione di questo balzello avea titolo di Procurator XX her. In tutti i Maestrati chi faceva le veci del capo ne assumeva il titolo con un prò avanti, come Proconsul, Propraetor, P rôle g alus, ecc. Ora chi avesse voluto esprimere il titolo di Viceprocuratore collo stesso metodo, avrebbe dovuto comporre RIVIERA ORIENTALE ( 95 ) LINI la ridicola parola di Proprocurator. Ad evitare questa mostruosità, si prese una voce che equivalesse a capo e questa è magister, a cui aggiungendosi il prò, si ha Promagister, che risponde perfettamente al bisogno. E a questo proposito noteremo che in detta lettera, come è stampata nel Giornale Ligustico, occorse un errore tipografico da imbrogliare chicchessia, ed è che dove si legge (pag. 556) « il vocabolo Procurator, » non esiste, ch’io sappia, nè in Epigrafia, nè in lingua la-» tina • » bisogna certamente dire che l’Autore abbia voluto scrivere non procurator, ma pr opro curator. Dev’ essere stata una pietosa correzione del proto. Si trova anche in Epigrafia Supprocurator, il qual luogo per la sua rarità merita di esser citato D • M • S AELIAE • AGRIPPINAE • CONIVGI • RARISSIMAE • HYPATICVS • AVGG • LIB SVPPROC • XX L’ Henzen, che riporta quella di Lepidio al n. 5120, osserva che il Gervasio interpretò queir AVG per Augustalis non avendo posto mente alla condizione libertina o certamente di ordine inferiore che erano gli Augustali, ma doversi leggere AYGwr. L'ultima riga LVNAE • D • D vuoisi interpretare non del luogo, ma della Dea del luogo, alla quale il donatore, benché non fosse di Luni, avea pur preso divozione : Lunae donum dedit. RIVIERA ORIENTALE ( 96 ) LUNI 51. M * CLAVDIVS • M • F • MARCELVS CONSOL • ITERVM È questa la lapide più antica della Liguria, essendo anteriore di quasi otto lustri alla Tavola di Polcevera, ed è per questo rispetto una delle più pregevoli della latina epigrafia: oltre che ha porlo occasione all'insigne Borghesi di ritraine un'istorica cognizione. Per la sua preziosità meritava certamente che se ne offrisse il facsimile, e si era stabilito di farlo; ma frattanto essendo venuta in luce la raccolta delle epigrafi antiaugustee del Mommsen illustrate per cura del Ritsclil colla riproduzione dei monumenti ritratti dal vero; cessò pei noi l’importanza di riprodurre l'imitazione di questo, che si può vedere alla Tavola xlviii del Ritschel sopradei lo. Della scoperta e della prima pubblicazione di quest epigrafe siam debitori al sig.r march.* Angelo Remedi, il quale co • *1 /4’ /I n minciò a praticare scavi sulle rovine dell’antica Luni il 1 novembre 1857 e alla profondità di m. 2,75 trovò un enorme capitello di bianco marmo di Carrara, di scoltura piuttosto rozza,, com'egli lo descrive, capovolto e che portava inci>a sulla cornice la detta iscrizione. Vi trovò pure indizii da non dubitare che su di esso doveva essere stata eretta la statua del Console. E siccome dopo un intervallo di due anni questo Marcello fu nuovamente decoralo dei fasci, ne risulla che il monumento gli fu eretto tra il secondo e il terzo consolato, perché più tardi i dedicanti avrebbero notato questa nuova giunta d’onorificenza intitolandolo Console per la terza volta. Osserva il march.* Remedi che l'anno di Roma 599 (loo HI VIEUX ORIENTALE ( 97 ) LUNI av. G. G.) essendo stali eletti consoli P. Cornelio Scipione Nasica e M. Claudio Marcello, entrambi per la seconda volta; il primo fu spedito in Dalmazia, l’altro in Liguria, da che le Tavole Capitoline ci fanno conoscere aver egli trionfato di due diverse nazioni Ligustiche senza indicarne il nome. Or da questo momjjnento eretto in Luni a Marcello, egli opina potersi argomentare - uno di questi popoli Liguri essere stati i Lunensi. ■ Il Borghesi il 40 del successivo febbrajo cosi gli scriveva : « Non senza ragione, avuto riguardo alla sua affti-» chità,. ho chiamato preziosa la lapide lunense di M. Mar-» cello. A riserva delle tre colonne migliari della via Emilia »• provenute dalle vicinanze di Bologna e spettanti al M. Le-'» pido Console nel 567, è questa la più vecchia iscrizione » latina di certa data e contemporanea che io conosca rinve-» nuta in-Italia al di là dei suoi primitivi confini, quando » essi da questo lato non oltrepassavano Pisa. È certa la » pertinenza eh’ Ella Y attribuisce al M. Marcello Consol ilc-» rum nel 599, non potendo pensarsi a suo nonno Console » 5 volte, ma che la .seconda nel 539 lo fu appena di nome, » avendo dovuto abdicare bentosto perchè vitio factus> il » .quale consumò pascià tutto quell'anno. nella Campania, e » nel 'susseguente fu promosso ai terzi fasci. E al tempo da Lei » -assegnatole- corrisponde pure egregiamente la sua ortografia » tanto nel Consol per Consul, quanto alla soppressione nel Mar-» pclus della gemina consonante. Fin qui non era che una pian-» sibile congettura quella del Sigonio, che a questo Marcello » concesse nel 599 ili provincia la1 Liguria, fondandosi spe-» cialmente suirasserzione dell’Epitome Liviana, che il suo » successore Q> Opimio finì di soggiogare nell anno appresso » i Liguri Transalpini, che saccheggiavano le colonie dei fede-» rati Marsigliesi. Niuno peraltro degli antichi scrittori ce ne . » avea tramandata positiva notìzia e' disgraziamente le Tavole RIVIERA ORIENTALE ( 98 ) LUNI Capitoline non avevano salvato che la seguente miserabilissima indicazione dei popoli da lui trionfati, così letta dai * più diligenti editori Tiranesi e Contucci M • N • MARCELLVS * II * COS • II • A • DX . . . . ... VS • ET • A . . . . M Sarà dunque un merito della nuova lapide erettagli da una » città posta entro i limiti della sua provincia di aver confer-« maio questa congettura, e quindi con maggior sicurezza po-» tremo supplire nelle Tavole trionfali de Liguribus Fin qui il Borghesi. Questa lapide porge anche agli eruditi occasione di richiamare ad esame il punto controverso se Luni fosse o no Colonia. I notissimi passi di T. Livio e di Vellejo Patercolo, che ìiportiamo a plé di pagina, lasciavano luogo alla controversia se si dovesse leggere Lucam o Lunam, Lucenses o Lunenses. Il Madvig corresse francamente Lunam e Lunenses, e trovo che il Mommsen e l’Hcnzen aderirono a lui ricisamente. Dopo il giudizio di tali uomini sarebbe temerità restar nell’ antico dubbio sulle due lezioni, che si andarono con varia fortuna alternando. Nella prima edizione dello Storico Romano si ha Lunam e Lunenses. Vincenzo Borghini propose Lucam e Lucenses per parecchie ragioni che adduco e che all’Oderico non parvero spregevoli: e dal 4535 sino al Gronovio si praticò quella correzione. Il Gronovio ristabili Lunam e Lunenses, nel che non tutti il seguirono, e fra gli altri il Dukero scrisse che leggendosi in Vellejo Patercolo essere stata a que' tempi dedotta la colonia in Lucca, appariva manifesto l'equivoco avvenuto nella lezione di Luni. Il Madvig troncò la questione alla radice corre-gendo-, come si vede, Patercolo, e coll appoggio degli altri riviera orientale ( 99 ) LUNI (lue insigni Tedeschi, torna in onore la lezione favorevole a Luni. 11 Mommsen adottò questa dottrina nella sua Storia Romana ( ) e poi ne trattò exprofesso al n. 539 delle lapidi antiaugustee, ove è registrata appunto questa di cui par- (*) Dopo d' aver detto clic gli Apuani, superstiti alle loro sanguinose disfatte , erano stati trasferiti nella re^ioflc Beneventana nel 574=180, soggiunge: « La ° forteresse de Luna (non loin de Spezzia) établie en 577 (477) y sur le territoire » des Apuani, protégeait la frontiere contre les Ligures, comme celle d’Aquileia » contre. les Transalpins, et offrait également aux Romains un port excellent, qui » devint ensuite la station ordinaire pour la traversée de Massalia et d’Espagne » (L 3, c. 7). Cito la traduzione dall’ originale tedesco falla per E. De Guerle. E qui riporterò le testimonianze a cui mi rieliiamo nell’articolo e le riporterò nel modo con cui vengono allegate dallo stesso Mommsen : cosi si vedrà come egli ne raddrizza la lezione. « De Luna colonia commodum erit primum testimonia antiqua » proponere conjuncta, Liv. 40,. 43 ad u. c. 574 : Pisanis agrum pollicentibus, * quo Luna {ita restituo pro tradita lectione latina) colonia deduceretur, gratiae » ab Senatu actae, triumviri creati ad eam rem Q. Fabius Buteo, M. et P. Po-» pdii Laenates. Idem 41, 13 ad u. c. 577: Lunam coloni (cod. et una colo-*> nia) eodem anno duo milia civium Romanorum sunt deducta ; triumviri de-o duxerunt P. Aelius L. Egilius (?) Cn. Sicinius ; quinquagena et singula ju-» gera et semisses agri in singulos dati sunt ; de Ligure captus is ager erat ; » Etruscorum antequam Ligurum fuerat. — Vellejus 1. 15 postquam exposuit de » Aquileia et Graviscis coloniis deductis a, 573 pergit: post quadriennium Luna » ( deducta colonia), sic eiiim recte Madvigius opusc. 1, 287 emendavit pro eo » quod in libro dicitur fu.sse Luca. Denique Livius 45, 13 ad a. u. c. 586. Di-» sceptatum inter Pisanos Lunensesque legatos : Pisanis querentibus agro se a » colonis Romanis pelli, Lunensibus affinnantibus eum de quo agatur a trium-» viris agrum sibi adsignatum esse, senatus qui de finibus cognoscerent statue-» rentque quinqueviros misit Q. Fabium Buteonem, P. Cornelium Blasionem, •» T. Sempronium Muscam, L. Naevium Balbum, C. Appui cium Saturnium ». Tralascio qui gran parte del suo dotto ragionamento, perche ci condurrebbe troppo per le lunghe. Quindi prosegue : t Omnino res patefacta est et in clara luce posila * modo in loco Livii, quem primum posui, pro Latina scribatur Luna, Illud certe » subabsurdum est ; quid enim interfuit Pisanorum utrum colonia deduceretur ci-» vium an Latina ? praeterea quomodo fieri potuit ut rerum scriptor triumvirum » coloniae deducendae nomina poneret, coloniac nomen praeteriret! denique eandem » hanc coloniam esse alque eam, cujus de conlrovcrsiis cum Pisanis post aliquot »> annos ad Senatum relatum est , non obscure arguit Q Fabius Buteo eam ah cau- RIVIERA ORIENTALE ( 100 ) LUN1 Jiamo. L’Henzen illustrò la stessa lapide nel Bullettino di coiv rispondenza archeologica 1858, ove seguitò anche il medesimo Marcello nella sua vita posteriore, ricavando dai citati autori e da Appiano, che- nel .suo terzo consolato combattè nella Spagna con successo non minore delle sue anteriori spedizioni e mori finalmente mandato ambasciatore a Massinissa per un naufragio. Noteremo per amor d’esattezza che in questo articolo del-rHenzen è sfuggilo qualche errore tipografico nelle cifre. All'anno di Roma 588, che è quello del primo consolato del nostro Marcello, si fa corrispondere l’anno 455 av. 1 E. V. che invece è il 166. Il secondo consolato è notato all anno 602 — 452: questo è Tanno del terzo,’ mentre il secondo cade nel 599 = 155. Indichiamo questi errori materiali a modo di Errata corrige per mettere sull’avviso chi volesse leggere quel dotto articolo e risparmiargli il pericolo di confon dersi o d* esser tratto in abbaglio. 52. ..... . ... . APPVLEIO SEX F GAL SEX N SEX PRO N FABIANVMANTINA NATO YLTIMO GENTIS SVAE Benché questa lapide non fosse inedita, trovandosi registi ala nel Tesoro Muratoriano (4 433. 9), pure il Borghesi non vole * sani sine dubio a. 586 quinque virum agri judicandi princeps factus, quod » annos duodecim princeps fuerat Lunae coloniae deduccndac. Anno itaque o » Ionia Luna deducia est ; an. deinde 577 adscripli sunt colonorum novorum * milia eisque de agro a Liguribus capto sortes dalae insolitae magnitudinis *’ Cosi egli nelP illustrazione della presente lapide registrala al citalo minicio de’ suoi monumenti anliaugustei. RIVIERA ORIENTALE ( -foi ) LUNI scompagnarla dalle sue sorelle (v. n. 50 e 53) nè defraudarla di opportuna illustrazione. Questo egli fece con gran dovizia di dottrina e con quel senno di applicazione che é degno di lui. Noi vedremo di compendiare il suo ragionamento, o per meglio dire, offriremo il risultato delle sue ingegnose congetture. Questo. Appuleio, della tribù Galeria, si dice figlio di Sesto e di Fabia Numantina , nipote e pronipote di altri due Sesti. Il poter determinare con qualche probabilità chi fossero storicamente tutti questi personaggi e il loro tempo, sarebbe una bella prova di archeologico valore. Ed è ciò che si è assunto il valentissimo Borghesi. Il notarsi che questo Appuleio e l’ultimo della sua famiglia e il registrarsene la genealogia ascendente sino al proavo, sono, secondo l’uso di quel tempo, due caratteri d’insigne nobiltà. Fioriva ai tempi d’Augusto la casa degìi Appulci: parecchi di questi conseguirono l’onor del consolato, ed uno ebbe in isposa Marcella maggiore figlia di Ottavia, e perciò nipote del-T Imperatore. Il prenome di Sesto era il più usitato in quella prosapia e mentre in generale tutti i Romani adoperavano - il cognome, questa gente ne era priva, come pure quattro o cinque altre .famiglie senatorie di quel tempo. Questa lapide non dovrebbe essere posteriore all’ impero di Nerone. Ciò si con-geltura primieramente da questo che non si vede più fatta menzióne degli Appulei dopo quel tempo : in secondo luogo si può argomentare dal seguente aneddoto che riferisce Sveto-nio. Fu riportato a Vespasiano come si erano spontaneamente aperte le porte del mausoleo di' Augusto, Egli volse in celia ciò che si potea prender per augurio della sua morte e disse che questo annunzio riguardava Giunia Calvina ultima superstite dei discendenti di Ottaviano. Come a quel tempo si erano estinti i Claudii, gli Emilii, i Messala, gli Antonii, i Cassii, i Rubcllii, i Pompei, i Cornelii, e tulli gli altri, da questa RIVIERA ORIENTALE ( 102 ) LUNI Gi uni a. infuori, nelle vene dei quali si era diramato il sangue di Augusto; cosi bisogna dire clic del pari si fosse spenta la razza degli Appulei, eh'erano aneli’essi suoi parenti per parie della sorella, e ai quali competeva ugualmente per questo (itolo T ingresso nel suo sepolcro. Dal matrimonio di Marcella maggiore ed Appuleio nacquero due figli, un maschio ed una femmina. Questa fu Appuleia Yarilia (o Varilla, come coiregge il Borghesi, che deriva il nome da Varo) che da Tacito è detta Sororis Augusti neptis. 11 maschio fu Sesto Appuleio con sole nel 767, che da Dione vien detto parente di Augusto. Dopo il suo consolato non si ha più memoria di lui, onde è lecito conchiudere che non tardasse molto a morire. Questi può ammettersi per padre dell'Appuleio della lapide, che per duto in tenera età il padre, rimase sotto la tutela della ma r* Di una Numantina, che era prima maritata al pretore au^ Silvano, da cui poi si separò, fa menzione Tacito n. 22) e il nostro Archeologo pensa poter essere una cosa ^ colla madre del nostro Appuleio. Numantino fu C0£>n0,nle(j|(0 chiarissima gente. In un catalogo di nobilissimi sacenoti dal Marini (F. A. p. 76) Si trova un FAB1XS • NVM c egli propone di leggere Numantinus. Se il Marini avesse ^ presente questa lapide, non ne avrebbe dubitato. Scipione ^ fricano minore prese questa denominazione dall espuDna di Numanzia, e se ecli non lasciò discendenza, con|,n -4 n Fabio Mas- sussistere la linea del suo fratello primogenito ^ simo Emiliano; la quale fioriva sommamente ai tempi gusto. Si sa anzi che si dilettò di rovistare e mettere i tutte le anticaglie che poteano darle lustro. Q. Fabio C0D nel 743 prese il cognome di Paulo, da cui discender a ire ^ niente, e diede al figlio (che fu console nei 787) quel o Persico da Perseo re di Macedonia vinto e condotto in trion dal detto Paulo. 11 minor fratello di Paulo Fabio si-fece chia- RIVIERA ORIENTALE ( 103 ) LUNI mar Affricano in memoria del distruttore di Cartagine. Ora per egual ragione si può supporre che la prole di Fabio Af-fricano fosse detta Numantina dall’altra insigne conquista del glorioso antenato. I due nomi di questa donna si prestano a tal congetturai onde si può supporre che essa fosse figlia di Q. Fabio Massimo console nel 744. Dal fin qui detto si avrebbe notizia del padre, della madre e dell'avo del nostro Appuleio. Rimarrebbe a trovare chi fosse il bisavo. Qui il Borghesi passa a rassegna parecchi Appulei, i quali non possono servire all’uopo perchè hanno diversi prenomi. E noi ce ne passeremo di leggeri: in compenso troviamo nominato anche il tritavo. Ammesso, come è probabile, che il console del 725 sia l’avo del soggetto della lapide, l’avo di esso console viene ad essere tritavo dell’ altro. Nelle Tavole Trionfali Capitoline è registrato il trionfo che nel 728 condusse dalla Spagna S. Appuleio già console nel 725, ove così è indicata la sua genealogia SEX • APPYLEIVS • SEX • F - SEX - N. Infine è curioso osservare lo scherzo della sorte, la quale ci tramanda la pietra rotta appunto dove era il prenome di questo Appuleio. Non possiamo dunque affermare eh’ egli chiudesse una linea di tanti Sesti collo stesso prenome, ma abbiamo motivo di supporre che suo padre non avrà voluto far torto agli avi. 53. ....... IBONIO * PROCVLO ...........ARYM • ET • OPERYM È questa la seconda iscrizione mandata dal Bertoloni al Borghesi , e da questo illustrata nella lettera citata al n.° 50. Come ci dice il Sig. Promis, uscendo di Sarzana e seguendo RIVIERA ORIENTALE ( 104 ) LUNI l’antica strada, che ora dicesi Romana, nella direzione del-r antica Taberna Frigida, alla distanza di poco più d’ un miglio, in un luogo detto il Portone si trova questo frammento d'iscrizione, che per la bellezza dei caratteri si appalesa dell'ottimo tempo. La loro altezza è di 0,100, A ciò che manca supplì il Borghesi con la sua solita maestria. Ma fa d’ uopo dire che la copia inviatagli leggeva erroneamente IBO-RIO, mentre il Sig. Promis ci attesta per veduta che è 1B0N10. Su questa erronea supposizione il Borghesi si trovò costretto a leggere Liborio, quantunque confessasse di non aver trovato nell’antichità cosiffatto nome. Il Promis con ragione vi sostituisce Scribonio. Salvo adunque questa piccola variante , ecco ciò che propone il Borghesi: scrIBONIO * PROCVLO cvratore . aedivm . sacrARVM * ET • OPERVM pvbticor Per riempiere lo spazio corrispondente nella prima riga, eg^i suppone che quel Proculo abbia avuto due nomi, e che prenome, il primo nome, la nota genealogica e forse la tn fossero scritti nella parte perduta, onde dicesse,, a cagion esempio, L. lidio, L. F. Arn. Liborio, ecc. Nè si dica eie dovendosi leggere Scribonio invece di Liborio, vada in aria r ipotesi del Borghesi. È vero che Scribonio è nome di gente, e che perciò, secondo Y uso del buon tempo, questo si ve premesso alla nota genealogica e alla tribù; ma si sa come c tempi deir impero’ la distribuzione dei nomi avea già sunto eccezioni, fino a mettersi in ultimo il prenome o nome perso naie, che di rigore (come, il vocabolo stesso suona) si prò metteva a tutti gli altri. E che qui non* si abbia a tener conto di quella regola di polionomia, si deduce anche da questo che la gente Scribonia era divisa in-due-famiglie, dei Cu? io ut ^ RIVIERA ORIENTALE ( 105 ) LUNI cioè e dei Liboni,* mentre i Proculi erano famiglie della gente Plautia o Plolla: qui invece si avrebbero i Proculi innestati agli Scribonii. Stando dunque all' ipotesi del Borghesi si avrebbe lo spazio della prima riga bello e riempiuto. Per chi poi non approvasse questo, si potrebbe anche supporre che qui non mancasse altro che un prenome abbreviato secondo il solito. La prima riga rimarrebbe più breve della seconda; ma aggiungendo a questa 'publicorum, invece di farne una terza, come suggerisce il Borghesi, la differenza sarebbe uguale cosi da una parte come dall' altra e si avrebbe perciò la desiderata simmetria : tanto più che le parole curatore aedium si possono abbreviare o distendere a piacimento. . Al ristauro della seconda linea soccorrono moltissime iscrizioni, di cui seppe far suo prò il eh. Borghesi, come la gru-teriana 434.3. cvr • aed • sacr • oper • loc • pvblic, e quest'altra 451.8, di cui soltanto sopravvive questo resto...... sacrarvm • locorvmqve • pvblicor; per tacere delle moltissime, in cui separatamente si legge ora cvr • aed • sacr, ora cvr • OPER • PVBLIC. Quali fossero le attribuzioni di questo magistrato non occorre dichiararlo, apparendo manifestamente dal nome stesso : attribuzioni prima competenti ai Censori e agli Edili, e poscia da Augusto concentrate in un Curatore. V' era il Curatore delle fabbriche di Roma AEDium YRBanarum (Mur. 190.7) e quelli delle altre città, come da molte iscrizioni. Si vede che anche Luni aveva il suo. Il Sig Borghesi qui muove il dubbio se questa iscrizione debba richiamarsi alla classe dei titoli onorarii o a quella delle memorie di opere pubbliche. Considerando egli la forma straordinariamente lunga della tavola e la mancanza del dedicante , inchina a credere (e a noi pare molto ragionevolmente) che fosse stalo anticamente sovrapposto a qualche pubblico IH VI EU A ORIENTALE ( | 0() ) LUNI edilìzio per annunziare eh era stalo costrutto sotto la presidenze di questo Proculo. Per questa ragione egli supplì Curator. anziché Curatori. 54. M • MINATIO • M • F • GAL SABELLO DVOVIR • ITER A qualche distanza dal luogo ove fu trovata 1 isciizionc M. Marcello, il Sig. Remedi ci dice che proseguendo le sic indagini si trovò in una camera tutta lastricata di marmo Carrara. Le lastre mostravano di non essere mai state smo^s e due di queste, a qualche distanza fra loro, portavano u iscrizioni, l'una delle quali é la presente di M. Mmazi r altra é quella che si legge al n.° 55. Ci piace riferire ciò che ne dice T illustre Henzen ( u dell’ Ist. di Cor. Arch. 4858) « L’iscrizione di M. M,naz^ » benché non se ne possa fissare l’epoca precisa, vien,^ » dalla stessa forma de’ caratteri riportata ad un antichità a » bastanza alta, giacché l’O mostrasi perfettamente r0^° » e le altre lettere esibiscono la cosi detta forma qua ra ^ * mentre anche T R presenta la testa figurata a guisa ^ c » forme usate in età alquanto rimota ; e benché sia un » presa assai ardita il voler giudicare dell’ età d una lapi^ » dalla sola forma dei caratteri, parmi però, dopo un » gente confronto di varie lapidi dell’ ultimo secolo della c « pubblica, potersi la nostra iscrizione, con gran probabi » almeno, assegnare agli ultimi tempi di Roma libera, 1 » dove la forma un poco ricercata de’ punti e 1’ eleganza < 1 » stessi caratteri impediscono di riportarla ad epoca molto P111 Ili VIER A ORIENTALE ( 107 ) LUM antica. Noterò poi il gentilizio di Minazio originariamente proprio de’ popoli Osci ossia Sannitici, i quali se ne servivano pur anche a modo di prenome (cf. Mom. ) e siccome Uno in tempi posteriori più esempli se ne trovano nelle regioni testé accennate (si confronti Y indice dei nomi nelle Ï. N. Mommsen) che nelle altre parti d’Italia, cosi non sarà forse congettura troppo ardita se anche ai Minazii di Luna attribuisco un’ origine sannitica, indicata altresi dallo stesso cognome di Sabellus dato forse in memoria della loro provenienza al nostro duumviro, ovvero ai suoi antenati quando vennero a stabilirsi nella colonia Lunense ». Il dottissimo Cavedoni viene in appoggio della congettura deir Henzen sulla provenienza dei Minazii. « V insigne iscri-» scrizione onoraria ( così egli scrive nel citato Bollettino » dell’istituto di Corrispondenza Archeol. 1858) discoperta » nel foro dell’ antica Luna, che dice M • MINATIO ecc. fu » dal eh. Henzen assegnata agli ultimi tempi di Roma libera, » e tanto parmi si confermi pel riscontro delle tre diverse »> monete d’ argento di Gn. Pompeo Magno il giovane fatte » imprimere nel 708 o 9 di Roma da M • MINAT • SABIN • » PR • Q • al quale pare che spetti 1’ epigrafe sepolcrale D • » M • S M • MINATI • SABINI • PR • Q • (v. an. 1850. p. 159). » L’ identità del gentilizio e del prenome parmi ne porga » buono argomento a reputare pertinenti ad una stessa fami-» glia que’ due personaggi : giacché i due cognomi Sabinus e » Sabellus sono 1’ uno diminutivo dell’ altro e forse anche in-» distintamente usati ». i riviera orientale ( nix > ---. 1 / LUNI ^ ET 00, L • TITINIO • L F PETRINIANO • II • VIR • ITER COLONI • ET • INCOLAE Come abbiamo detto al n.° precedente, questa lapide fu tio vata a poca distanza da quella del detto numero. Osserva lo scopritore di queste, il Sig. Marchese Remedi, che questo tinio, come il Minazio della tavola precedente, appartenevano probabilmente alle famiglie Minazia e Titinia di Roma, e sic come nelle colonie stabilite da’ Romani, i capi della spedizion si trovavano naturalmente essere i più ragguardevoli della citta, e ne sostenevano le principali cariche; cosi i soggetti i qu ste due lapidi si possono riguardare come discendenti di que^ famiglie che da Roma si erano trasferite a Luni, dove con nuavano a primeggiare. ; Questa iscrizione mostra, dice nel citato luogo 1 cnz , rO e l’R di forme non meno antiche di quelle usate nella api^ precedente; ma le forme alquanto allungate delle altre letter , che non solo si spiegano dallo spazio ristretto da esse occ pato, la fanno nondimeno scendere ad un' epoca meno r,rn0 E qui a provare che questa famiglia era molto onorata ne colonia si riferisce alle due tavole del tempo di Nerone cate a un Titinio magistrato lunense giunto fino al Srtl(^ Tribuno Legionario e prolegato delle isole Baleari. Si vetan i numeri 39 e 40. RIVIERA ORIENTALE ( 109 ) LUNI . •......TITINÏAÈ I ..... ; L • titilliVS • PETRINIanvs Il predetto Sig. M. Remedi nel praticare gli scavi ciie gli valsero la scoperta delle lapidi precedenti, trovò fra i rottami spezzata in tre parti e confusa con le altre macerie questa iscrizione che, quantunque mancante, prendé dalla precedente abbastanza di lume per riconoscere che L. Titinio Petriniano eresse questa lapida ad una sua parente, della quale non possiamo dir altro. 57. . L • AVFID TRIN YRT NIA TINI Quell’ abbreviazione di L. Aufidius può stare da sé, perchè essendo scolpita, come ci dice il M. Remedi, in una cornice , si può supporre che stesse sotto a qualche statua o busto rappresentante questo Aufidio, senza che dicesse altro. Richiamiamo sotto il medesimo numero due piccoli frammenti ritrovati dal medesimo M. Remedi, il primo dei quali egli c’ informa esser parte di lapide non rotta, ma che si univa ad altra : della quale unione fa testimonianza la traccia RIVIERA ORIENTALE ( I IO ) LUNI del piombo. I caratteri sono belli, come anche quelli del secondo frammento, che sono alti 24 centimetri. Si vede che le persone, di cui parlano queste epigrafi, appartenevano alla casa dei Titinii Petriniani. La seconda riga del primo frammento con quell’ YRT fa credere che qui vi fosse il nome di qualche liberto o liberta di greca provenienza. 58. MEMORIAE • FELICIS . . . SI • QVIS • VOLVERIT...... CORPVS • ALIENVM • PONERE CONFERET • FISCO • SOLIDOS QVINQVAGINTA La prima linea, che manca, non era probabilmente altio che il solito D • M scritto anche distesamente, se si vuole. La seconda manca degli altri nomi di questo Felice, alla cui me moria é dedicata la lapide. Alla terza si potrebbe supplire in hoc MONVMENTO, come si legge al n.° 4423 dell Orelli . HVIC • MONVMENTO • MANVS • QVI • INTVLERIT • DABIT • SESTERTIOS xx • E al. n.° 4427 .... sì • qvis • hoc • sepvlchrvm • vel • MONVMENTVM * CVM • AEDIFICIO * VNIVERSO • POST • OBITVM MEVM VENDERE * VEL • DONARE • VOLVERIT • VEL * CORPVS • ALIENVM * IN VEHERE • VELLIT • SIC DABIT POENAE • NOMINE * ARK • PONTIF * HS C • N • ET EI sic • CVI • DONATVM • VEL • VENDIT VAI • FVERIT * FA dem • poena • TENEBiTVR. E questi luoghi riportiamo non solo per mostrare ciò che vuoisi supplire dopo si • qvis . volverit, il che è ovvio, ma anche per accennare alla giurisprudenza dei sepolcri, con cui se ne tutelava la religione. Oltre al RIVIERA ORIENTALE ( IM ) LUNI diritto di proprietà era anche assicurata 1’ inviolabilità del-r iscrizione, come si può ricavare da questa: si • qvis titvlvm • MEVM • VIOLAVERIT • INFERAT • AERARIO IIS • IX* N. (Grilt. 928. 1). In somma era vietato per legge che i sepolcri fossero volti ad altr' uso che di riporvi i cadaveri, nè si permetteva che si vendessero ad usi profani (L. 42. § 4. ff. de Relig. et Sumt. firn.) Anzi tanto poteva la religione della tomba, che venduto un fondo, ove il proprietario aveva il sepolcro , questi riteneva il diritto di andarvi e di circuirlo. ( L* utimur 5 fï. de sepulchro viol.). Il Gutero poi nella sua dottissima opera De Jure Maniam, ove tratta in grande di tutto ciò che ha relazione ai sepolcri, esce in questa sentenza : « Quod M. Tul-» lius in orat, pro Roscio Amerino querebatur de grandi pa-» trimonio ne iter quidem Roscio ad patrium sepulclirum re-» lictum esse , docet jure veteri invitum neminem cogi potuisse » ut per suum fundum iter ad sepulchrum praestaret. » (Lib. III. c. 42.) Io non saprei che dire sull'antica giurisprudenza Romana riguardo a questo punto ; ma quanto all' autorità del citato passo di Cicerone, direi che non prova 1' assunto del chiarissimo Autore. Bisogna investirsi dello spirito di tutta quella orazione per persuadersi che il sommo oratore è tutto in far vedere come contra 1' infelice suo cliente dalla prepotenza de’ suoi nemici si era violata ogni norma di giustizia. Nam patrimonium, egli dice, domestici praedones vi ereptum possident ecc. — (c. 6). Al più si potrebbe dire che Y antico proprietario perdeva il diritto di accesso se nel contratto di vendita noi riservava espressamente. Il che forse si può dedurre da un altro passo deir orazione medesima, dove Cicerone torna su quel punto e cerca di destare la compassione dei giudici verso T accusato, dicendo per una parte eli egli spogliato d' ogni cosa non tentava altro che di salvare la vita, e mostra dall'altra 1’ efferata barbarie de' suoi accusatori, che non HIMERA ORIENTALI*: (Il ì ) luni paghi ali’ avere spogliato la vittima, volevano ancora immolarla. « Si tibi omnia sua praeter animam tradidit, .née sibi » quidquam paternum, ne monumenti quidem causa, reser-» va vit ; per deos immortales quae ista tanta crudelitas esi, » quae tam fera immanisque natura etc. » (c. 50). Sembrerebbe che quel reservavit accennasse ad un diritto ammesso o per legge o per consuetudine : il che aon . si accorderebbe coll’ asserzione del Gutero. Il genere di moneta che si nomina come penale ai violatori del sepolcro, ci avverte presso a poco dell* età della lapide, ossia mostra non appartenere al buon tempo delle Ietterò la tine. Il solidus, come osserva il Du Gange nella dissertazione De infer, aevi numism. lxxxvi, come anche lo Scaligero (de ie nummaria p. 52). non si trova nominato prima de tempi di Diocleziano. Elio Lampridio adopera bensì questo termine significato di moneta nella Biografìa di Alessandro Severo, ma dee dirsi che Y adopera non già come voce ricevuta in senso al tempo di cui scrive, ma a quello in cui scrive, c era quello di Costantino M. ove solidas é posto in luogo ^ aureus. Che queste due voci si corrispondessero quan o solidus cominciò ad adoperarsi, si ricava da questo che in piano (Dig. 9.-35.) il Pretore colpisce della multa di s01^^ rum decem chi ponesse sotto la grondaia cosa la cui potesse nuocere ad alcuno, e Y Imp. Giustiniano (4. Just. tifc. riferendo la cosa stessa dice essere costituita per tal colpa a poena decem aureorum. Il che prova l'identità dell auì eus c solidus. Gli aurei e i solidi, che a quelli sottentrarono, ciano una parte determinata della libbra d' oro; ma questa nei diversi tempi andò diversamente divisa. Augusto in una libbra ne facea coniare 40. Poi andò aumentandosi successivamente que sto numero, e andò perciò diminuendo il valore delPaureo. riviera orientale ( 'H3 ) LUNI Nerone li portò a 45, Caracalla a 50, Diocleziano a 60, sotto del quale gli aurei cominciano a nominarsi solidi : finalmente Costantino li portò a 72, e d' allora in poi il solidus rimase costantemente V72 della libbra d’ oro. In una legge di Valentiniano I del 357 è ordinato che « in septuaginta duos » solidos libra feratur accepto. » (L. 13. c. Th. de susceptoribus xii. 6) la qual disposizione confermò Onorio nel 395 ordinando che fossero « in una libra auri solidi septuaginta duo obryziaci, » cioè dell* oro più puro. Il Sig. Spirito Fossati in un eruditissimo articolo esteso in lingua latina e registrato nel tomo v. 2.a serie delle Memorie deir Ac. di Torino, indaga esattamente questa materia, prova per altra via che il Ducange, 1’ identità dell’ aureo col solido, mostra con un fatto essere stata moneta effettiva non nominale , aver avuto il peso legale di grani 84, cui ragguaglia a grammi 4,462 ecc. A queir articolo rimandiamo chi fosse vago di entrare in questa maleria più a fondo di quel che consente il nostro presente instituto. 59. .....0 • PVBLI..... .....INQ • FLA..... .....ON • PRAEFE . . . .... XI RAPACIS • I . . .... PASIANI AVG ... . . . . , T • REST....... Di questo frammento lasceremo al valoroso Sig. Promis narrar la storia e proporne il rislauro, che far meglio altri non saprebbe. « Certa è l'epoca del frammento, egli dice, 8 RIVIERA ORIENTEE ( J 14 ) LUNI essendovi, nominato un Vespasiano: non é però che piccolo avanzo di grandissima iscrizione, essendomi stato narrato dai contadini come, molti anni or sono,- scavando in quel luogo aveano ritrovato un masso enorme di marmo statuario, la di cui forma era quella di una piramide posta sopra un cubo, essendone le' quattro faccie rettangolari occupate da quattro iscrizioni:- aggiunsero eli avere spezzato quel marmo a colpi di mazza per farne calce, ma che vi aveano lasciato il nucleo, poiché il marmo estratto per quell uso parve loro sufficiente ; appuntò nel luogo indicato • fu ritrovato il nucleo di quel masso e rimastovi presso M *• frammento presente, ambedue della stessa qualità di marmo statuario: erano poi questi marmi tutti improntati di colpi * di leva e di mazza. Aggiungerò qui per maggiore intelligenza il ristauro delle u parole mutile. Manca il nome del personaggio eqoO • PVBLlco 11 v'r . quINQ • FLAmen (Romae et Aagnsti?) patronos coION • PRAEFEctus fabram tr. mil. Jeg.xXI • RAPACIS • In (Helvetia?) Imp. Caesaris VesPASIAMI - AVG (oro a rii) -eT • RESTitnit 11 cognome Rapace indica con certezza che qui trattasi * della legione xxi, della quale più volte parla Tacito. Ho supplito in Helvetia perché lo stesso autore ce la fa cre-n dere a quartieri d’inverno (hist. 1. iv. c. 70)-a Vindonissa, °ra Windisch,- e lo attestano i marmi e le-figuline trovate nel 1-714 ed.illustrate presso Io Scherlonio ». RIVIERA ORIENTALE ( .145 )• .LUNI .. 60.- G *. CALVIVS • C • II T - LVRIVS . T • F • II VIR . •Anche questa, scoperta dal Marchese Remedi, si legge in un tronco di colonna alto un metro’ e del diametro di 0,50 con un buco sull’orlo. Qui la seconda riga corre in tutta regola; ma quanto alla prima bisogna dire che 1! antichità r abbia in alcun modo pregiudicata, perchè quel C che viene dopo Caius Calvius dovrebb’ essere il prenome del padre, e perciò dopo quella sigla dovrebbe seguire F filius, a meno che l’incisore non r abbia dimenticata per isbadataggine. Lo stesso dicasi del vir che dovrebbe- tener dietro al numero II, come si vede nella- seconda riga. 61. . MANLI VS • M • L MACERIAMQVE EROS REFECIT • MAcrae GRADVM • DEDIT oppositam? Sebbene diviso in due parti è questo un sol titolo, come apparisce chiaramente dal contesto. Furono i due pezzi trovati allo stesso tempo e nello stesso Juogo e furono affissi alla facciata della Chiesa di S. Lazzaro presso Sarzana. Il Promis fu il primo a stampar quest' epigrafe nella Collezione Lunense. L’ultima parola, com’egli dice, è inintelligibile; ma trattandosi d’ un muro rifatto, quel MA potrebbe farci credere che si alludesse a qualche danno prodotto .dalle acque della Magra. Si tratta qui di un’ edicola campestre cinta di* macia o di un riviera orientale ( <16 ) cenotafio o sepolcro da questo Manlio risarcito colla giunta di un grado o scaglione, come si usava in simili monumenti : se pure una tale espressione non é stata usata a significare che questo Manlio, a comodo o del pubblico o di qualche privato, accordò il passaggio attraverso alla sua proprietà. Compio per semplice congettura la seconda parte in questo modo : maee-riamque refecit Macrae oppositam, pel riscontro che questa frase avrebbe con quella di Orazio: Qnae mene oppositis debilitat pumicibus mare (lib. I. od. xi). 62. L • TIT1VS • L . L • PHILARGVRVS BASIM • DAT Si trova al casino Remedi presso Luni ed é stata la prima volta stampata nella sua Raccolta Lunense dal Sig. Promis, un cubo che ha per lato m. 0,55. Si vede che era destinato a reggere una statua, e che questo L. Tizio Filargiro con corse all’ erezione del monumento offrendo per sua quota base. Il Sig. Promis, che in queste materie è buon giudice, argomenta dalla forma dei caratteri che questa epigrafe appai tenga agli anni degli Antonini. Si noli in Pliilargunis I u in luogo del y, trasformazione non rara. 63. L • HELVIVS • L • F • GAL POTINIA L’ultimo nome, a prenderlo come sta, sarebbe inesplica bile : vuoisi perciò riguardare come accorciato da PotimaiWt RIVIERA ORIENTALE ( H7 ) LUNI Infatti questo è il luogo, dopo la tribù , ove dee trovarsi il terzo nome , propriamente cognome, che a’ tempi in cui fu scritta quest’epigrafe, veniva ad essere il diacritico. Si vede infatti che questo Lucio é figlio di un altro Lucio. Elvio è il nome della gente, e si richiede perciò che T ultimo sia personale. La tribù a cui era ascritta Luni apparisce essere stata la Galeria. Dove si trova questa cognizione indubitatamente è un latercolo militare che arrechiamo dal Muratori ( p. 20i0 ) dove son nominati due soldati da lvna coll’ indicazione della tribù galeria. Le due magnifiche tavole di Titinio Liciniano, su cui tanto si fonda il Promis, potrebbero essere d’ un Lunense e non essere : il Latercolo invece combinando il nome della patria con quello della tribù, toglie ogni dubbio. Il marmo, in cui è incisa questa iscrizione, e un dado alto m. 0,862. lungo e largo 0,570. Posava ancora sul suo zoccolo ed avea servito a reggere una statua che a noi non pervenne. Si vede che lo scarpellino avendo dimenticato l’A nel-1’ abbreviazione di Galeria, la sostituì piccola e in alto fra il Gel’L. Si trova al casino Remedi e fu la prima volta pubblicata dal Sig. Promis, il quale dalla forma dei caratteri, crede poterla ascrivere al primo secolo dell' impero. 64. C • IVLIVS HE..... ET • PONTIA........ SOLO..... 11 Sig. Promis, clic diede per la prima volta alla luce questo frammento conservalo in casa Picedi, opina spettare alla RIVIERA ORIENTALE ( 4t8 ) classo delle iscrizioni pubbliche, argomentandolo dall’ultima parola che vi si legge e che può essere accompagnata in questo modo solo svo fecervnt , oppure solo empto et pvblicato , forinole usitate in que' tempi. Noi non abbiamo certamente nulla di meglio da sostituire alla proposta del detto Archeologo. • . 65. . *'■ A • OCTAVIO • ERONI • MAIORI COLONI ET • JNQVILINI Il Sig. Promis dice esser questo un monumento che direttamente prova Luni essere stata colonia Romana , non prefettura nè altro. Ma l’autorità di questo monumento vuol essere adoperata con riserbo. Il Muratori, è vero, alla pagina 1112. 4. la riporta dalle schede del Ciriaco siccome epigrafe Lunense, ma alla pag. IIO4 1- avea già registrata come esistente in Benevento. Rimane dunque per lo meno il dubbio a qual dei due luoghi appartenga veramente questo marmo. II Grutero poi (460. 2.) spiega coloni. e inquilini per municipes e incolae. L'Orelli (1. 2. pag. 4 57) crede che lo stesso Grutero abbia detto meglio quando interpretò che coloni corrisponde alle persone ascritte ai fondi rustici, inquilini a quelle ascritte agli urbani. Da questo si vede doversi almeno dubitare delle conseguenze che il Sig. Promis ne tira come indubitate. La dottrina poi, che riconosce Luni per colonia Romana, non rimane per questo pregiudicata, non .mancando altri indizii che cospirano a confermarla. ' MVIISHA ORIENTALE (119) luni 66. M • TVRTELL10 • C • F RVFO DVO • VIRO • III • TR • MIL • II COLONI • ETN • ICOLAE Anche questa il Sig. Promis trasse, inedita dal casino Remedi , e 1’assegna secondo la forma dei caratteri al primo secolo deir Impero. Non parliamo delle due dignità ( di duumviro tre volte e di tribuno due volte) sostenute dal nostro personaggio, perchè occorrono in altri luoghi. Anche questa è pel Sig. Promis una prova indubitata della deduzione di una colonia. ; . 67. C • AVFIDIVS •L • F • HE . . . D • D Il Sig. Promis opina trattarsi qui di un dono fatto ad Ercole, del qual nome si vedrebbe il cominciamento in queir HE; e in tal caso bisognerebbe interpretare D • D dedicat o dono dat o de dit. Ma potrebbe anch’ essere che queir HE fosse il principio di un terzo nome di questo Aufidio, come a dire Hermes, che notasse secondo l’uso la sua origine straniera e servile, e allora i due D D dovrebbero significare decreto decurionum per r acquisto di un’ arca a fondarvi sepolcro o costrurvi checché altro- RIMERA ORIENTALE ( I 20 ) Ll'NI 68. .....INAE QVAE VIXI ® CONNVBIO • AN NIS ’ XI « DIEBVS XXJIII COIVX PIISSIMVS B • M • MEMORIA - .FECIT donni * ri nenle manca ^ ’ M a reggere il genitivo del nomo della sinen7i ' e$?ere Per es- Sabinae o altro sìmile in denon prœenta^molf0'1 T '°glia SUpporre c!ativo- Del rest0 Poi mcsj yj . a e eSanza- Ci andrebbe vixit non vixi. 1 scarpellino F ^ 'nSenli a ,avoro fatt0 Per dimenticanza dello rorc dello sivJ!!" °°mX mVeCC c,i coniux sarà un altro er-Questa la '1 ° ^ S^lllosa a^reviazione cicli’ autore? zana, m pubblicala01!! S‘ COnServa in casa Grassi presso'Sàr- I 'Elicala la pnma vol(a da, Sig P|,omis 69. EROSCO • SERVAE • SVAE AE ' CVSAE • CARISSIMAE . POS VIT L • M p . M di I"0"1® (1' qUeSta f,onna è guàsto: essendo noto il nome /-t , USa’ (' c^'aro che cosi vuol essere corretto. L • M anui^VTT P'Mha più significati. Quando si tratta di Vosvit IF0 ^VA minws- luni già espresso distesamente, non rimarrebbe clic l'ultima formolo. Quest epigrafe dobbiamo al Targioni ed al Rossi. 70. ......IO • AVG .... ORA MO ... . EVHODIA GUARISSIMO ELNONIA • THYCHE FILIA • PATRI PENTISSIMO Quel primo avanzo di parola si vede essere la desinenza del dativo di un nome in 1YS, che è quello della persona a cui è dedicato il monumento. Leggerei quindi AYGitó Liberto, perche ì nomi che seguono, indicano origine servile di questa famiglia. Quel GRA mi fa fortemente dubitare che la lezione che ci danno il Targioni e il Landinelli, sia esatta. A buon conto clic cosa significhi questa sillaba, lo lascio indovinare a chi vuole. Si possono far congetture e non altro. Chi sa che quello non sia un nome da aggiungersi a quest’ uomo, apparendo forse la divisione e il punto per guasto del marmo? Se poi quel gra fosse veramente diviso, allora si direbbe che quel MO fosse il principio di un primo nome di Evodia, come per esempio Modesta. E così credo pure che a diarissimo manchi marito , per indicare la relazione di parentela, come si vede che fa la figlia. Il secondo nome di questa ha un errore di ortografia. Quella prima H è soverchia, dovendosi assolutamente scrivere TYCHE. Nel marmo sarà quel ‘RIVIERA ORIENTALE ( \n ) LUNI che sarà. Ed ecco a rincalzo della supposta Modesta un altro opitaiìo che molto a questo somiglia D • M CARPOFHORO CONIVGI • RARISSIMO BÈNE • MERENTI • FECIT • MO. . DESTA • CONI VX • CVM • QVO • VI xiT • a • x\x ecc . . Mur .1319-3. 71. D M 1VLIAE TETHIDi VXORI . • C • CVRTIVS PROPII • IOWS In casa Picedi presso Sarzana. Era inedita e fu la prima volta data in luce dal Promis. Egli osserva che in quel IOWS fe d’ uopo leggere lOVIANVS, Anche quel PROPII riclamava un po di schiarimento, ma il dotto illustratore non ne parla. Probabilmente il marmo è pregiudicato dal tempo, c siccome il posto che occupa quella parola sarebbe quello- del nome paterno, si può supporre che I’ ultimo I fosse veramente F filius, e che il nome del padre fosse espresso in quel modo, per qualche strana abbr-eviatura secondo il cattivo gusto di CLli k1 dato prova Y autore nell' ultima parola. D’ altra parte ‘juei genitivo come potrebbe averci luogo? Invece dclY F si potrebbe supporre un L libertus. RIVIERA ORIENTALE ( \ 23 ) LUNI 7% V . F L • TERENTIVS • PE LORVS • SIBÏ . ET TETTIÀE ■ EROTÌDI • MÀTRI ET • TERENTIO ■ NOBI LI • NER ..... Fu pubblicata la prima volta dal Promis, e si trova in casa Picedi. Il V • F si presta a molte interpretazioni ; ma la natura di questa epigrafe richiede che vi si legga vivens fecit. Si vede che questo - Terenzio Peloro prepara vivendo il sepolcro per sé, per sua madre, per un altro Terenzio, che 1' invidia del tempo non ci ha lasciato conoscere se fosse figlio o fratello ; e probabilmente anche pei loro posteri, secondo la forinola usata, la quale possiam supporre che compiesse F ultimo verso.- 73. D • M TETTIAE • GLARAE • VIXIT ANNIS • XXXIIII TETTIVS • SECVNDVS CONIVGI *B • M • F Alla sintassi mancherebbe un quae prima di vixit ; ma è olissi assai comune a cosiffatte iscrizioni. B • M • F • bene merenti, fecit. • • RIVIERA ORIENTALE ( 124 ) LUNI D • M FABIAE • FORTWATAE QVAE • VIXIT • ANN • Vili • D • II M • ANTONIVS • NEANTtìYS GRATIS • FACIT • D • S • P J1 Promis, nella cui Raccolta si legge questa epigrafe, sospetta che sia stata confusa con quest’ altra votiva, tratta aneli essa dai troppo fallaci manuscritti del Landinclli ANTONI VS • NEANTHVS • AYGVS TALIS • DD • GRATIS * FATVS D • S • P • F È probabile che quel gratis fatus, che non si saprebbe come interpretare, debba emendarsi in gratis facit, come è nell altra, dove per conseguenza manca V ni limo F e cosi di votiva che pareva l’epigrafe, diviene mortuaria. D • S • P de isua pecunia. RIVIERA ORIENTALE ( 125 ) I-UNI 75. D • M VLPIAE • FLORENTI NAE ■ CONIVGI • INCONPA BILI • CVM • QVA • VIXI • SINE VLLA • REPRENSIONE • VI TE • ANNIS • XXX • ET MENSIBVS • FORTV NATVS • EX ■ DISPEN SATORIBVS ■ BENE MERENTI • FECIT ' * Fu edita la prima volta dal Promis nell' Epigrafia Lunense. È scorretta in più luoghi per imperizia dello scarpellino, il quale nel passare dal secondo al terzo verso, scordò un intera sillaba. Osserva il Promis che la parola complessiva mensibus senz’ altra enumerazione è frequente, soprattutto nei sepolcri cristiani. I Dispensatori, nel numero dei quali era questo Fortunato, erano Intendenti di Provincia e specialmente economi dei beni imperiali, o come suol dirsi, fattori. RIVIERA ORIENTALE ( .126 ) UNI 76. D • M CLAVDIAE . . . BENEDICTAE ABASCANTVS IMPERATORVM HOREARÏVS CONIVGI . . . SI La parola horrearius manca di un-R per dimenticanza .del-T artefice. Si chiamavano con questo nome i guardiani o custodi de’ granai, detti comunemente magazzinieri. Non si può dedurre da questo monumento che Luni avesse granai impc riali poiché non é detto che quivi Abascanto.esercitasse. 1 uffi zio di custode. 77.. - ' . . . D ■ M .VIBIAE • PRISCILLAE CONIVGI • BENE MERENTI B01ELL1VS FORTIS • FECIT Tratta pél Promis dal manuscrilto ilei Rossi. Nulla offre di notevolé. • - • RIVIERA ORIENTALE ( '127 ) LUNI 78. - •• . DIS • MANIBYS L • CATIO IVNIA PHYLLIS CONIVGI SVO B IVI • FECIT La ricavo dal Muratori (i 321. 3) il quale ne indica la provenienza con queste parole': Lunae in hortis MontéeoMnorum. Misit Pater Pompeius Berti Lucensis, Il Promis non la registra. nella sua Raccolta Lunense : il che io non saprei spiegare se non per uno di questi due modi : o perchè gli è sfuggita, o perchè ha -creduto, che- come è Lucchese quegli che T inviò al Muratori, còsi fosse Lucchese anche V epigrafe, ' e che dove si legge Lunae abbiasi a leggere Lucae. Non sarebbe il primo equivoco avvenuto fra questi due nomi. Noi però, finché altri non provi positivamente il contrario, stiamo al .possesso, di Lunae, e. perciò la registriamo .colle altre .Lunensi.- * . .... ■ . * 79, ... DM- ANNIANVS MA...... FILIVS • FLAVIANVS • EXS . . PALESTINA • ANTONIAE • AG . . . CONIVGI • KARISSIMAE • VI . . . RELIQVIT * FILIOS • ET • NEPO .... * Riporterò le parole che il Sig. Promis*ha dedicato nella sua Raccolta a questa epigrafe. « È in casa Magni situata di HIMERA ORIENTALE ( 12« ) LINI » sopra alle due de’ Fabbri e de’ Dendrofori. Ila nel fregio « scolpita una colomba sostenente un festone: manca il simile « animale eh’ era d'incontro. Crede con molta ragione il Mu-» ratori che la seconda linea vada supplita col nome Sebaste patria di Anniano e città celebre della Palestina. » 80. NVNNIAE • (J • ET OL • MARTHAE Q. NVNNIVS CAMPANVS ET Q NVNNIVS DONATVS COLLIBERT CAIUSSIMAE FECERVIVT Ouesta indarno si cercherebbe nella colìezioue del Sig. Promis. Il Muratori, dal quale io la ritraggo (1591. 8) la ricavò dalle schede del Ciriaco siccome trovata in ruinis lunensi-bus ecc. Nunnio Campano e Q. Nunnio Donato fecero, a quel che pare, un monumento alla loro carissima conliberta Nun-nia Marta. Questi tre soggetti si rileva essere stati servi e poi messi in libertà dal loro padrone Q. Nunnio e da Caja sua moglie indicata, secondo l'uso, da quel segno 0. 81. Raccogliamo sotto un sol numero le epigrafi seguenti, che sono piuttosto rottami ed avanzi, i quali perciò non presentano costruito né importanza. Le prime due si trovano in casa Picedi HIVIERA ORIENTALE ( 129 ) LUNI e furono edite la prima volta dal Sig. Promis: le altre son tratte dal ms. del Rossi e del Landinelli. .....CALLI RII .....CONIVNX B • F • M .....CHILI VS . . . X • TVTEL . . .....RMIONE ATTILIAE . C • F SECVNDAE AVIAE - MATER C • POPPAEI LIGVRIS C • VN • SVPSEL H........ T • VAL • S ,. CVM • FILIS CVS . B • M AETIA . . . P • M SOROR • ATTILIAE C • FVRFICI • Q • F SALVE ..... C • SVLPIT • PISO . . . .... IN1VS • Q • F GAL • OLIMPVS LVNA SAL • BAEBIVS • SAL • F • GAL LVNA Sono i nomi di due soldati Lunensi registrati in un latercolo militare che si legge nel Tesoro del Muratori p. 1040. Questi giovano, se non altro, ad accertare in modo indubitato che la tribù, a cui era stata ascritta Luni, era la Galeria. RIVIERA ORIENTALE ( 130 ) LUNI 83. c • CIVICI .... TERTI • PAP • LVQ • L • RASIMI • PR . . . OL . • • Bolli di Figuline trovati in recenti sca'i. registrati gnor Promis nella sua Raccolta Lunense. 84. PVELLA V • A FELICITAS • NV.MITOK Due anelli registrati nella Collezione Lunent. V A umor. Questo é di bronzo. L’ altro é d’ oro purissimo e ^ curiosa combinazione rammenta il nome d'una matrona trova nel latercolo dei Dendrofori al n.° 47 cioè unnlor Felicitas. 85. P • YICILLII VRBICII Sigillo in bronzo veduto dal Sig. Promis e registralo nell** sua Collezione. RIVIERA OCCIDENTALE CORiMGLIANO Il nome di questa terra, posta in riva al mare sulla dritta delia Polcevera, é evidentemente Romano, proveniente da alcuno della gente Cornelia che può supporsi avervi avuto un podere, che da lui si denominasse Fundas Cornelianas. Che dai nomi gentili si traessero aggettivi, e questi si applicassero specialmente ai fondi, non v' è nulla di più certo né di più comune negli Scrittori ed in Epigrafia. Se ne può vedere una lunga serie nella cosi detta Tavola alimentaria di Trajano a favore di que’ Liguri Apuani che per decreto del Senato erano stati trasportati, 279 anni innanzi, nel Sannio. Anzi questi Liguri presero il nome di Bebiani e Corneliani dai consoli Bebio e Cornelio, autori di quella violenta traslocazione: nel secondo dei quali nomi abbiamo questo stesso aggettivo, di cui parliamo. Monumenti che illustrino questa romana provenienza non ve n’ha, e queir unico, che ci porge occasione di nominar questo paese, si vedrà esservi stato importalo di fuori. RIVIERA OCCIDENTALE ( 132 ) CORNIGLIANO 86. ^ D ^ IU ^ L • IVLI £ CASTRI ^ s CI • EQ • R • TRICIPI (sic) * CIVITATIS * Di questa lapida mi trasmise copia il Commendator Varai, siccome esistente in Cornigliano, ove era stata trasportata dalla Sardegna : onde non avrebbe luogo fra le nostre se non a titolo di ospitalità. La riporta il Muratori nel suo Tesoro (709, 3) e ce la dà come incisa in un’ urna nel Battistero della, Chiesa Parrocchiale di Pirri, diocesi di Cagliari. Dice che Monsignor Falletto Arcivescovo di Cagliari nella visita della Diocesi nel 1736 la fece trascrivere e che Giovanni Dani Giure-consulto Torinese la trasmise a luk Ora io non saprei come coordinare questa storia cosi particolarizzata intorno a questa lapide con ciò che ne dice il Canonico Giovanni Spano nella sua Guida della città e dintorni di Cagliari, il quale la nomina come se prima d’ora fosse stata non in Pirri ma in Cagliari stessa. Egli ci dice che verso la metà della strada detta Argiolos, che conduce a S. Benedetto, noviziato dei Cappuccini, « si trova a destra Torto del Conte Viale dove " erano raccolti molti sarcofagi di marmo, tra i quali era * il più prezioso quello di Caio Giulio Castricio, Cav. Bo-» mano, principe della città, che fu cogli altri trasportato a * Genova per ornarne una sua villa » (pag. 286). La villa fu del Conte Viale é appunto in Cornigliano in faccia alla Chiesa Parrocchiale, ed ora é proprietà del March. Ottaviano Raggi ; ma questi quando la comprò non vi rinvenne più né ‘I detto Sarcofago nè altro vestigio d' antichità. Che Giulio RIVIERA OCCIDENTALI: ( 133 ) SESTRI Castricio abbia nuovamente rivalicato il mare? E sul dubbio di questo viaggio avrebbe egli più diritto alla nostra ospitalità? 11 sic posto pure dal Muratori, non riguarda soltanto quel-T N che manca nell’ interno della parola, ma anche 1' S finale , onde questo titolo non faccia a pugni col nome del soggetto, che è genitivo. Il titolo di Equitis romani essendo abbreviato si presta di miglior voglia alle regole della grammatica. Lo Spano dà a questo personaggio il prenome di Cajo; ma io T ebbi per Lucio, c cosi legge il Muratori. Quei segni poi, che frammezzano qua e là le parole, nell'originale rappresentano la forma di cuori che si adoperano talora a modo di ornamento, ma più sovente per punti. Se qui, essendo in numero di nove, abbiano qualche più arcano significato, non saprei determinarlo. SESTRI 11 Cluverio credè vedere 1- origine di questo nome nell’ IJasta della Tavola Peutingeriana. V Oderico non è lontano dall’ammettere che in quel documento, in cui tanti nomi sono così miseramente storpiati, T antico nome di Sextum, che evidentemente prende la denominazione della sesta pietra migliare, partendo da Genova, abbia potuto subire un tal cambiamento. Questa ora fiorente e popolosa terra ci sommistra la seguente iscrizione. RIVIERA OCCIDENTALE ( 134 ) SAVONA 87. D • M 1 • FAENIVS ZOSIMVS F • SIBI • ET FAENIAE HEVRETEI ET • SVIS * POSTERISQ • EOR È un miracolo se n’ esce una intatta dalle mani del Gandu-cio. Quell’ I della seconda linea é un errore : vuoisi leggere L. Lucius. E l’ììevrelei, secondo nome di donna, non ha sugo. Doveva essere Hevretiae o cosa simile. Del resto 1 epigrafe non presenta difficoltà. Un soggetto d’origine servile, come indica il suo terzo nome, appresta a sé stesso, a sua moglie della stessa condizione, ai suoi e a tutti i loro posteri la tomba. Questa lapida si conservava applicata alla pila dell acqua he nedetta nell’Abbazia di S. Andrea presso Sesiri Ponente. Distrutto quel monastero, chi può dire quale sia stala la sorte di questo marmo ? SAVONA La somiglianza del nome di questa città con quello del Caviglio Alpino ove Magone andò a riporre il bottino fatto in Genova, indusse qualche scrittore a collocar questo castello HIVIEUA OCCIDENTALE ( 135 ) SAVONA dove ora è Savona. Il P. Spotorno crede che il Sauo o Sa-vone, che voglia dirsi, di T. Livio, debba riconoscersi in Sa-bione nelle Alpi Marittime, Contea di Nizza. Là erano veramente gli Alpini e Alpino potea chiamarsi un castello posto in quei luoghi: laddove, se fosse stato dov' é Savona, lo storico con più precisione avrebbe detto in castello Sabatio o Sabatum. Nondimeno vuoisi osservare che la cosa rimane assai dubbiosa e che questo dubbio è subordinato ad un’ altra più grave questione , la quale è ben lungi dall’ esser risolta fra gli eruditi, in qual punto cioè gli antichi intendessero che terminasse la catena delle Alpi e cominciasse quella dell' Appennino. Noi da Savona non abbiamo ricavato altra anticaglia del genere epigrafico che la seguente. ✓ 88. G • GELLIVS • C • FR PONTIFEX • MAX 1111 * ID • DECEMBRIS VA- L I Riportata dal Monti nel suo Compendio di memorie historicité della città di Savona. Di questa tutto al più possiam dire che a prenderla come sta non è possibile credere che ci sia pervenuta in istato di sincerità. E primieramente quel F R non può altro essere che un errore in luogo di F. filius. Ciò posto ci voleva un terzo nome che secondo i tempi già avanzati dell’Impero, venisse ad essere personale, perpoter distinguere il figlio dal padre. Poi viene quel Pontifex Maximus, che è un po’ di bagatella da far trangugiare agli Archeologi. RIVIERA OCCIDENTALE ( |3() ) SAVONA Un Pontefice Massimo fuor di Roma! So che si é disputato su questo punto: esiste una corrispondenza di lettere battagliere tra il Reinesio e il Bosio stampate a Iena nel 1700. Ma ora dai dotti si tiene indubitato che il Pontificato massimo fosse in Roma soltanto. Basti per tutti l’Orelli che così sentenzia. Caeterum Pontifex Maximas extra urbem nullus est agnoscendus. E rigetta come spuria un iscrizione del Grutero (305. 7) che dice p • vergilio • p • filio pont • max • sabin. Anzi il Muratori riportando un’ iscrizione che farebbe contra questo canone, sente la necessità di correggerla: flavivs pontifex maxi ai vs sorori piissi.MAE (151. 3) e nota che Maximus deve essere stato scritto per errore e che nell’ originale vi fosse Maximae nome proprio della sorella. Cicerone , é vero, nomina un sacerdote massimo di Cefaledo in Sicilia. .Cephaledi mensis est certus, quo mense sacerdotem maximum crean oporteat (Ver. a et. 2. 1. 2. c. 52). Ma appunto perché lia sacerdote non pontefice, si conforta la nostra proposizione. Veniamo a quel //// Id. Decembris. Non essendo precedentemente indicato che cosa fece C. Gellio in tal giorno, bisogna desumerlo dalle sigle che seguono. V • A é T abbreviazione della nota formola vixit annos. E se cosi si dovesse interpretare, bisognerebbe dire che il punto che sta fra V L eli vi é stato intruso per errore, dovendosi leggere LI cioè 51. Ma questa interpretazione viene esclusa dal III1 ld. Decembris. Non sarebbe .ridicolo il dire che il tale addi 10 di Dicembre visse 51 anno? Piuttosto bisogna.prendere quel V per votum. Ma le sigle non sono a trastullo degli oziosi che le facciano parlare a 4or capriccio. Qui per esempio si potrebbe tradurre votum.animo libens implecit, perché non v é stranezza che non si possa far dire alle sigle. Ma esse contengono delle for-mole costanti e uniformemente adoperate: e siccome queste non corrispondono ad alcuna forinola riconosciuta ; perciò noi RIVIERA OCCIDENTALE (137 ) BERZEZZI ci confermiamo nell’ opinione sul bel principio espressa. E poi se miriamo alla provenienza di questa iscrizione, non abbiamo motivo di esserne molto edificati. Il Monti (del resto buon uomo) dice di averla presa dalle memorie di un P. Gavotti dell'0. dei Predicatori, che diceva averla letta in un marmo assai vecchio e logoro. Ora chi sa che còsa questo buon Padre avrà saputo leggere in quel marmo logoro e vecchio? BERZEZZI Di rincontro alla terra di questo nome sorge un isolotto di forse mezzo miglio di circonferenza sulla sommità del quale fu un antico monastero di Benedi’ttini intitolato a S. Eugenio. Ora non esiste più che qualche vestigio di esso e la memoria della seguente iscrizione. 89. VALERIAE • D • F • PROC LAE • L • NEMANIVS -CM SEVERVS • VIR • ET • PAPIRI A • SEX • L * PRISCA • MATER • SI BI • ET • SVIS VF Dice il Ganducio che quest’ Epitafio si leggeva sopra la porta di quell’antico tempio. L’ M dopo il C è un errore, RIVIERA OCCIDENTALE ( 138 ) BERZEZZI poiché tra il gentilizio e l’ultimo nome si esprimeva o la relazione di parentela come filius, nepos, ec. o quella di condizione come libertus. Abbiamo qui un L. Nemanio. Il Ganducio dice di aver veduto un’olla cineraria, sulla bocca della quale era scritto C. NEM. Il P. Spotorno stando alle parole del Ganducio trova motivi a dubitare che quel vaso fosse urna cineraria: pensa invece che fosse vaso a riporvi olio e vino. Il Ganducio non ne descrive la forma, soltanto la chiama giarra. Ora i vasi fatti a giarra servivano a tenere i liquidi nei fondachi. L’iscrizione sopra la bocca è propria dei vasi a grande apertura, come sono appunto gli accennati. Infine il luogo ove si deponevano le urne cinerarie era fuori delle mura della città. Il Ganducio dice che questo vaso fu trovato negli antichi fondamenti d’una casa presso S. Maria di Castello ; ma questo luogo si riguarda appunto come la sede deir antichissima città. Rimane a credere che quel C • NEM fosse il nome del vasaio. Né si farebbe torto al Nemanio della lapide supporlo tale. L. Nemanio avea in moglie Valeria Proda figlia di un Decimo Valerio e di Papiria Prisca Liberta di Sesto Papirio: il che mostra trattarsi di persone d’origine servile. Or-molte figuline furono in Liguria e alcuni luoghi ne ritengono il nome. Da Figlino nel Marchesato di Finale i Monaci di S. Eugenio di Noli possono aver fatto trasportare nell’ isolotto di Berzezzi, che era l’antico loro soggiorno nel paese dei Sabazii, 1 epi-tafio di un figulino di Figlino. Non mi farebbe poi meraviglia che Proda avesse perduto un V passando per le mani del Ganducio, ma che fosse veramente Procul a. V • F viventes fecerunt. RIVIERA OCCIDENTALE ( '139 ) ALBENGA ALBENGA È questa la capitale degli antichi Liguri Ingauni detta dagli storici Latini Albium Ingaunum o unitamente Albingaunum. Nel Medio Evo fu detto Albingana, come si usa tuttavia nello stile della Curia vescovile : il che per la relazione che é tra il b e il v si collega coirAlvinca del latercolo che citiamo al n. 44 7. Questo popolo divenne famoso per T ostinata resistenza che oppose alle armi Romane, specialmente facendo lega con Magone al tempo della seconda guerra Punica. Se poi questa città ricevesse colonia dai vincitori, si disputa fra gli eruditi. Veramente la sua qualità di gente avversa e riottosa Io farebbe supporre, a giudicar da ciò che i Romani praticavano coi cosiffatti. Ma se di questo si ricerchino testimonianze, non ci ha che un passo di Plinio di assai incerta interpretazione. Parlando egli delle colonie italiche dice: nec situs, nec origines persequi facile est, Ingaunis Liguribus, ut ceteri omittantur, agro tricies dato (H. N. ni. 6). Che ager «datus importi sempre colonia il nostro Oderico lo mette in dubbio ; ma d’ altra parte che cosa significherebbe quella distribuzione di terre? Questa si praticava appunto nella deduzione delle colonie. Anche quel tricies, trenta volte, salta agli occhi. È vero che la lunghezza del tempo che durarono a più riprese (come si può supporre) le ostilità tra gl’ Ingauni e i Romani può aver dato luogo a molte ripetizioni di cosiffatti stabilimenti ; ma rimane sempre a dubitare dell esagerazione di quel tricies, che si potrebbe supporre alterato da vicies o da decies : il che ridurrebbe la cosa a più ragionevoli termini. Questa però sarebbe una correzione al lutto arbitraria riviera occidentale ( 140 ) ALBENGA e io non pretendo di aver l’autorità di farla. Siccome non abbiamo monumenti che si riscontrino con questo , ci è forza rimanere nel nostro dubbio. L’essere poi stata questa terra chiamata Municipio, si deduce da questo passo di Tacito. Vitelliani retro Antipolin Narbonensis Galliae Municipium, Othoniani Albingaunum interioris Liguriae reverte? unt(Hist. ii. 13), ove é chiaro che dopo Liguriae per la figura di ~eu gma si deve intendere municipium. Ma è anche vero che questa parola non é sempre usata nello sfretto significato po litico : da che è noto che dopo la legge Giulia (An. di R. per la quale furono uguagliati i diritti di lutté le città d Italia, s’introdusse l’uso di chiamar Municipi o del tal Municipio tutti quelli che erano Italiani non Romani, benché appartenes sero ad una colonia o ad una prefettura. Onde lascian o ognuno la propria opinione, credo .poter dire non essersi a . cora bene accertato se Y Albingaunum Romano abbia a ir colonia o municipio preso nel suo senso rigoroso. ^ Albenga conserva ancora qualche avanzo di antichità, co* un edifizio ottagono, che doveva essere un delubro ad alcuna delle gentili divinità, che ora é volto ad uso i tistero, ed un ponte a più arcale, il quale però non va p indietro dei primi tempi dell’ impero cristiano. Lo strano questo che il detto ponte si trova a un miglio di distanza dalla città dalla parte orientale, ed il fiume scorre ora a cidente presso la città medesima. Questa terra ci fornisce anco un bel corredo di epigrafi Romane, alcune delle quali ass pregevoli, come apparirà dalla seguente rassegna. RIVIERA OCCIDENTALE ( 141 ) ALBENOA 90. P • METILIO P • F • FAL • TERTVLLINO VENNONNIANO G • V • LAVR • LAV1N * QUAESTORI DESIGNATO PATRONO PLEBS VRBANA ALRINGAVNENSIS L • D • D • D I primi quattro versi non presentano difficoltà alcuna, leggendosi regolarmente Publio Metilio Publii /ilio, Falerina ecc. Quest’ ultima parola, che è la tribù a cui apparteneva il personaggio della lapida, mostra che egli non era d’ Albenga da cui riceveva questa testimonianza d’ onore, da che questa città era ascritta alla Publilia. Tutta la difficoltà consiste nel quinto verso, il quale ha prestato materia a dubbii e interpretazioni diverse. Diremo francamente che noi ci siamo dipartiti dalla lezione comune, benché abbia la sanzione autorevolissima del P. Spotorno , che dice averla diligentemente esaminata sul marmo originale; ma la riforma da noi praticata é così lieve che non crediamo che possa far difficoltà ad alcuno. Consiste essa nell’ aggiungere a due I quella lineetta trasversale che le cambi in L : le quali lineette abbiamo altrove accennato come nei tempi avanzati dell' impero si facevano così brevi che facilmente si possono obliterare e molte volle sfuggono a chi sottilissimamente non ci bada. Dove noi leggiamo c • v • lavr • LAviN • il P. Spotorno legge : cviavr iayin • e così spiega le RIVIERA OCCIDENTALE ( 142 ) ALBENGA abbreviazioni: Curatori Vlae AVreliae Idem Adlectus VigllS tiviris. Che le strade principali, che mettevano a Roma, avessero ciascheduna un Curatore particolare, risulta^ dai mo munenti: dunque é ragionevole che f avesse anche 1 ureia, che si stendeva per centinaia di miglia mettendo dalK Ita ìa ^ Gallia. Curator era il termine consecrato a tale uffizio. r]ìP(*\ dei quali poi in Roma un magistrato di xx personaggi, a esercitavano uffizio di giudici per le cause civili, tre p ^ capitali : tre presiedevano alla monetazione e gli a^n ^ r» r si trovano avevano cura delle strade urbane. Foche mem di questo Vigintivirato, perché quelli che ne faceva preferivano il titolo della magistratura particolare c tavano. Ne abbiamo un esempio nel Marini (Fr. .... -, p spotorno cne coRNELivs • stati vs • xxviR, e percio dice lì 1 • I ^ ^ quello della nostra lapide sarebbe secondo. L Orelli a ^ ha un xx viro monetali. Riconosce aneli egli lo Spoto vin per vigiliti sarebbe al tutto nuovo ; ma non si sg^ per questo, chiedendo se v'ha chi possa vantarsi ^ ^ notate e raccolte le abbreviazioni praticate dagli ^ ma riterebbe qualche osservazione anche quell idem a ec siccome noi passiamo per altra strada, perciò non 0CC . e_ tenerci più a lungo intorno a siffatta illustrazione. ^ remo soltanto un altro suggerimento del C. Grassi, i <1^ ^ molto semplice ed ingegnoso, a cui, se non ci fosse a ^ ^ meglio, si vorrebbe di preferenza aderire. Egli piop ^ leggere civi avrelianensi. Si vede che qualche picco a ^ ficazione nelle lettere bisogna pur praticarla, ma ci a ^ fatto uscire con un abile colpo di mano da quel la erudizione per cui ci aveva aggirato lo Spotorno. ^ Ecco ora la ragione per cui ci dipartiamo dall una e 1' altra maniera di leggere e interpretare questo verso. biamo un' iscrizione di Montone (v. n. 138) la quale possiam RIVIERA OCCIDENTALE ( 143 ) ALBENGA credere essere dedicata al medesimo soggetto della presente. Per disgrazia quella è spezzata e mancante di una zona dal-1’alto in basso che interrompe tutte le linee; ma ciò che rimane basta a togliere ogni dubbiezza sulla disputata interpretazione di questa quinta riga. Abbiamo nell’ una e nell’ altra un P. Metilio Tertullino, ma nell’ Albinganese v’ è di più il cognome di Vennoniano, che in quella di Mentone fu omesso per r angustia del marmo, nè si può dire se vi fosse il nome del padre e della tribù perchè queste indicazioni cadrebbero nella parte mancante. Segue la seconda riga che comincia per lavr e il marmo è subito interrotto, ma è indubitato che doveva seguire lavin. Furono anticamente le città di Laurento e di Lavinio, l'ultima delle quali fu detta anche Laurolavinio, perchè, come dice Servio citando Catone, mentre Latino ampliava Lavinio s’imbattè in un alloro e ne innestò il nome a quello della città. Ma Laurento era città diversa da Laurolavinio, da che esistono monumenti che le rappresentano come due luoghi distinti. Dai tempi degli Antonini in poi non si fa più menzione negli scrittori di Laurento, e perciò si crede che i suoi abitatori passassero a stabilirsi in Lavinio, e venissero per questo chiamati Laurentes Lavinates. Ma noi non dobbiamo prendere queste due parole in questo senso al proposito nostro: vuoisi sapere che ne contengono anche un altro, e il Muratori, il Morcelli, 1' Orelli vi riconoscono un titolo sacerdotale e pontificale. E questo doveva essere tanto noto che bastavano all' intelligenza degli antichi le sigle PONTiF • ll come si può vedere nel Muratori per es. in 4 531 -4 e 4 54 • 4. Si scriveva anche tutto disteso, come presso lo stesso (718 • 3) marivs • l • lib • doryfhorvs ... lav-rens lavinas etc. e (1053 • 4) c • nasennio c • f • marcello SENIORI .... PERPETVO PRAETORI ET PONTIFICI LAVRENTVM LAVI- nativm etc. Ma più comunemente era adoperata 'questa abbre- RIVIERA OCCIDENTALE I 14.* ) ALBENGA razione iavr • lavin . come si può vedere per es. nell’ Orelli numeri 2174-, 3/00, 5888. Anzi su quest’ultima il Morcelli i primo a pubblicarla quando fu scoperta in Faleria, rre su tal titolo e fa vedere non potersi prendere per me i patria, ma di dignità, trovandosi in una lunga serie titoli di onorificenze dati a due Cornasidii padre e figlio. somma 1 esistenza di questo titolo sacerdotale e I’ uso di n0mC del S°S°ell° Princ'Pa,e - oltre delle v i- • e vananle- La più importante seconrìnT"! 6 PaJre t,el so""etto principale, il quale, second i\r ■ Che abbiam° dal Gi°ffredo, è P. Vero, sprnn i i ' ülât0I* ^ Settimio Severo, e per conseguenza, P ^ S0ooe^° della Tavola non sarebbe altrimenti In n ° °’ ^ ^aiaca^a- non saprei dire se questa lezione \ ! la Inc^0tt0 ac^ appigliarsi a Caracalla, o se per accomo-' 1 araca^a abbia creduto dover correggere Vero in Se-. ^an^UC]0’ ^ Paganetto, lo Schiaffino tutti hanno veri; f. if "1Sa (Pla^ ^on^air,ent° si può fare suif esattezza di cosif-tivi jCr^01*’ ^‘oniPufando gli ascendenti, tra naturali e a dot-el soggetto, la tavola ne presenta sei. Per Commodo q e.to numero quadra appuntino, cioè I. L. Vero padre di ommodo, 2. 31. Aurelio, qui nominato M. Antonino Pio, nino P'^ SU° ^ie ’ CU] Perci° è detto nipote; S. Anto-. ° i0’ suo a'°> di cui è detto pronipote, mentre sarebbe nto nipote, ina lo scrittore della lapide dopo averlo chia- o nipote in rapporto del zio, si trovò, credo, nella neces- 1 chjaraar,o pronipote rispetto all’avo; 4. Adriano; 5. jano, G. I\erva. Questi tre più lontani si collegano coi suc- Anton* ')er a^°Zi0ne' Caracalla assunse, è verò, i titoli degli nini, con cui parve volersi riattaccare per mostrar di non e a\uto cdcuna relazione di sangne o di adozione coi tre apparirono e disparvero dalla scena in pochi mesi, cioè don ^ ’ ^J0 Giuliano e Clodio Albino; ma non avea ra-Ma 1 a^CUna ^ in^tolarsi nipote, pronipote ecc. degli Antonini. è eh ^ ^°rt0 ra^IOne a non P0teiobsi applicar l’iscrizione, > anche non tenendo conto di L. Vero, i personaggi sareb-° almeno sette, facendoci entrare il padre P. Settimio Severo. erri; i pariante ® anni della podestà tribunicia che leg!* Xlm « «"W i» XV „ XVI. La „oar» teione RIVIERA OCCIDENTALE ( 147 ) ’ • ALBENGA invece ha Vili e si coordina precisamente col IV Consolalo di Commodo ; e questo é un rincalzo in favore della stessa. Infatti Commodo fu associato all’ Impero da suo padre col titolo di Imperator non di Angustus nel 176 e insignito nel mede simo tempo della tribunizia podestà. Successe nel 180 al padre, ma secondo lo stile usato , continuò a numerar gli anni di detta podestà clair anno 176. Ora venendo all anno Vili di essa ci troviamo al 183, anno appunto in cui prese pei la quarta volta il Consolato in compagnia, come dicemmo, di C. Aufidio Vittorino, il quale fu poi console una seconda volta nel 200 dell’E..V. con T. Claudio Severo. Che cosa significhi la podestà tribunizia negl’ Imperatori 1 abbiamo dichiarato nell' Epigrafi Lunensi. Erra pertanto il GiofTredo che assegna T iscrizione all’ anno 185 ed erra nel prenome di Aufidio, che chiama Marco invece di Caio. Il Muratori scrive esattamente Hadriani, che nel -Gioffredo manca dell’ H, e neir ultima riga ha Numini, che è più regolare di Numinis. Una difficoltà che esiste tanto per Commodo, come per Caracalla , è il titolo di Marcomannico, che non apparisce nè dai monumenti, nè dagli storici che venisse mai dall uno e dal-T altro assunto. RIVIERA OCCIDENTALE ( 148 ) ALBENGA 9 2. .....NAE • M * F - MAE ... .....AE ; DIVAE • AVO . . • .....VIXS1T * ANN...... ____VS • C • F... PVB • C . . . .... A • P • UH • V • I • D • FLAM .....FECIT • ET • SIBI..... . . . . E • A • F • SABINAE ... .... ICAE • DIVAE • AVG ... Dei tre personaggi, a cui è dedicata questa iscrizione, cioè un uomo.e due donne, non abbiamo un nome intiero, sa\ il secondo dell'ultima donna; ma la perdita di questi nom., che poco d’altra parte rilevano, è largamente compensata due importanti cognizioni, che da questa epigrafe ricaviau^ In primo luogo ci é confermata la tribù a cui erano a‘cn^ gli Albinganesi cioè la Publilia. Si noti che questa subito presso gli antichi parecchie modificazioni nella sua minazione e perciò anche nel modo di abbreviarla. Le a^ ^ viazioni sono queste : pò • pob • pop • pvb • publ * pUI3LIL leggono Poblilia, Popilia, Publilia e Publicia, 1 ultimo quali nomi, a togliere ogni dubbio, si legge anche mente. Ma sotto questi diversi nomi gli eruditi si accor a riconoscere una sola e medesima tribù. Quindi impana che in Albenga vi erano Flamini e Flaminiche, come da a ^ pietra ricaviamo che vi erano Augustali. Dei Flamini e Flaminiche abbiamo dato un cenno nelle epigrafi Lunensi. prima donna figlia di un Marco ci si manifesta per Flaminic di una Diva Augusta. Della voce flaminicae non abbiamo altro che l'ultimo dittongo AE ; ma l'ultima riga che contiene riviera occidentale ( 149 ) ALBKNGA il titolo dell’ altra donna, colla suj, desinenza IGÀE non lascia dubbio ed illumina il titolo della prima. IIII • V • I • D Qua-tuorvìr juri dicunclo. Di questa magistratura abbiamo parlato al n.° 21. 93. P . M • V • C • P • F1L • . PVBLIO VERO EQVITI ROMANO EQVO PVBL1CO PATRONO MVN1C1PII TR1BELGILI • GALLICANO CENSITORI PROVINCIAE •• THRACIAE CIVI • OPTIMO SEMPER • PRO • MVNMPII INCOLVMIT • SOLICITO PLEBS • VRBANA Il C. Navone riportandola nella sua Storia, diceche è murata nel vecchio castello di Albenga. Il Cottalasso invece afferma che si smarrì nell' edificare il monastero di S. Tommaso d’Aquino, per essere forse stata confusa con le pietre e posta nell'interno di qualche muraglia; ma che ne fu conservata la memoria mercè le premure del Cav. Nicolò d’ Aste che l'inserì nelle sue memorie manuscritte. Dopo Y asserzione così franca del Cottalasso che dovea fare il Navone? Alzar gli occhi alla torre del vecchio Castello, ove dice murata l’iscrizione : non trovandovela dovea dire come il Cottalasso : trovan-dovela, dovea dargli una solenne mentila. Ad ogni modo ha mancalo , e questo prova con quanta esatlezza e precisione si _n|v»EIU ormale ^ ,w , mi r'0fr^e ^t0ne* ^ rcsl° è anche registrata nel Ganducio, nel Gioffredo, come pure nel Tesoro del Muratori, il quale -i j G / ^ ^ielro Màrtire Cangiassi, e la vide pure nelle &cie e eJ Guastavini scritte due secoli prima. Il ìu 1,110 PtKvs° ^ epigrafe s’incontra subito un inciampo, uratoii pi emessa la sentenza Sant heic peregrina quaedam, un rT Una Aananfe ^ Guastavini che al primo P sostituisce 1 , e su questa lezione ipotetica avventura V interpretazione Mambus viro clarissimo. Oppure ritenendo P, propone losuit monumentum etc. Non so chi possa rimaner soddisfatto 1 questa illustrazione. A me pare che meglio convenga to-s^ie, siccome ridondanti, due punti che dividono le tre lettere J\I • A . Ce leggere semplicemente pwò/zo mvczo. Né si creda e^?i questo un modo capriccioso di troncar la difficoltà; che anzi $ono gli esempi di cosiffatte bizza rie non radi nell’ epi-brafia antica, che ci mettono sulla via di leggere in questa maniera. E basti per saggio questo che si legge nell’ Orelli 1277 1 • 0 • M • I • fi . A • E • L • CRESIAÏVS "* SE • DA • TIA • li A * ss • i • na • v • s _• l • i • m • cioè Iovi Optimo Maximo unoni Regmae aelìus Cresimus Sedatia Bassina etc. Le prime tre lettere del nome abbreviato di aelìus rappresentano caso identico del nostro mvciìo, per non parlare di quella Profusione di punti che dividono le sillabe o le lettere di Sedatia Bassina. Anche il pvblio del secondo verso abbisogna di correzione. a d uopo dire che la lettera finale non sia stata bene letta rer guasto di antichità, che vi sia stato posto 0 per falsa in-(*/me> nVd c]je realmente vi fosse L; Nel qua 1 caso pvblil ublilia esprimerebbe la tribù, a cui erano appunto ascritti S Ingauni e sarebbe al suo posto. 1 terzo \erso il Navone legge eqvih, il Murato ri aeqviti, ed ambi akq\o pvBLico. Nel Gioffredo si V una c si f altra pa-- RIVIERA OCCICENTALE ( \ 51 ) ALBENGA rola sono scritte in giusta ortografia. 11 Muratori scrisse sul-1’ altrui relazione. Se è scorretto Y originale vuoisi attribuire all’ imperizia dell’ incisore, come è tutta semplicità nel Canonico il valersi di queir errore ortografico per creare una nuova formola e applicare al soggetto della lapida il titolo di giusdicente. Deir eqvo pvblico erano onorati non tutti quelli che militavano nella Romana cavalleria, ma competeva soltanto a quelli, a cui dai Censori veniva assegnato a sp<£e pubbliche il cavallo , a quelli cioè che avevano un censo non minore di 400 sesterzii, e non a tutti, ma ai più cospicui tra i figliuoli de’ Senatori. Siccome poi in tempo dell’ impero nel Sovrano si fu concentrata anche l’autorità censoria, a questo soltanto spettava il diritto di dare il cavallo a titolo di onore: ' il quale onore essendo divenuto raro, par che cominciasse allora a notarsi, come singolare privilegio sulle iscrizioni. Dopo patrono municipii si aspetterebbe il nome del municipio. Il Muratori infatti lo ravvisò nel tribelgili che segue, che dal Guastavini fu scritto tribigili. Ma di questo municipio non si trova traccia alcuna, come egli pure confessa. Dunque bisogna conchiudere che, se fu, ne andò perduta la memoria, da questo monumento infuori. Si potrebbe invece dire non richiedersi il nome del municipio , risultando dal luogo stesso ov’ era posta la lapide, e potersi perciò ricercare di quella parola controversa un’ altra probabile spiegazione, tribelgili con poca variazione si riduce a trib • leg • iii , tribuno legionis tertiae. Non v’ è niente di più facile quanto lo scambiare in quegli antichi caratteri Y L colf E scomparendo qualche linea trasversale dov’ era in origine (specialmente nelle lapidi meno antiche in cui queste parti si faceano molto piccole) oppure prendendosi per tale ciò che non è, essendo invece qualche scanalatura prodotta dal tempo. Riguardo al Gallicano che segue, lascio ad altri l’indovinarne qualche cosa. RIVIERA OCCIDENTALE ( 152 ) - * ALBENGA Censitor era quel pubblico uffiziale, clic nelle provincie stabiliva e riscuoteva i tributi, oppignorava e vendeva gli stabili in caso di non effettuato pagamento. 94. D : M ERIPLIAE MARCIAE - VIX ANN • XXIIII • M . VI D • V . FECIT • APERTIVS FELIX • CONIVGI SIMPLICISSIMAE BENEMERENTI Cottalasso e Navone. • vi • d • v Menées sex Dies quinque. 95. D • M • S L • MARCIO • CRESCENTI FECIT • TIGRIS • PATRONO QVI • VIXIT . ANN • XXXXII CVM • QVO • VIXIT • ANN • XII Il Cottalasso e il Navone la danno uguale, salvo la parola vtxit che é storpiata nel primo. Secondo Io. stesso questa lapide non esiste più nel marmo originale, ma è stala consci-vata, come alcune altre di queslo luogo, per copia. RIVIERA OCCIDENTALE ( \ 53 ) ALBENGA 96. G . IVLIVS • QVADRATVS IVLIA • OPTATA Dal Gottalasso. Forse questi nomi furono incisi sul sasso che copriva le ceneri di queste due persone, le quali all’ ultimo nome si appalesano d' origine servile, e al gentile si conosce che alla casa Giulia apparteneva il loro patrono» Due nominativi senza un verbo non ci permettono di dire altro. • 97. • L • PACGIO IN • AETERA • SOLVTO ADESTO • TEVTATES Dal Navone, il quale dice essere stala scoperta nel 1718 in. una villa della valle inferiore di Arossia nella pieve detta di Teuco o Teico, Plebs Teuti e poi Teuci, come da scritture. Teutates è nome che davano i Galli a Mercurio, ed é probabile anche che sotto questo o simile titolo lo venerassero gli antichi Liguri. Siccome credevano che questa divinità accompagnasse le anime dei defunti agl’inferi, perciò qui s'invoca propizia a L. Paccio disciolto in aere, ossia trapassato. Questa si stacca dall’ uso comune dell’ epigrafi mortuarie. RIVIERA OCCIDENTALE ( 154) ALBENGA 98. GVOLTIDIVS IL* H1LARIO FILIA • Q • L PIISSIMA Quell’ I che segue il primo nome è certamente un errore e va letto L, che é la lettera che più facilmente si scambia col- 1 I tra per l’imperizia di chi legge e per le ingiurie del tempo. Fa d'uopo ancora osservare, come abbiamo altrove notato, che questa lettera, come alcune altre, nei tempi che si andavano più allontanando dal secolo d’ oro, si scrisse colla linea trasversale cosi breve da potersi appena discernere. Dunque L • L Lucii libertus. Q • L Quinti •liberta. Avventurerei anche il dubbio che la prima lettera di Guoltidius fosse stata a torto incorporata al nome, ma che fosse la sigla di un pronome cioè o C Caius, o meglio anche L Lucius prendendo norma da quello del patrono (che per regola generale soleano assumerlo i cosiffatti) e che si dovesse leggere i • voltidivs. IUVIEHA OCCIDENTALE ( 155 ) ALBENGA 99. D , M DIOFANTO ALEXANDRI FIL • SOROR BENEMERENTI FECIT • QVI VIXIT • ANN • XXII M • V Perduta anche questa secondo il Cottalasso, il quale ha l’abilità di spaccare in due il nome Diofanlo, cui il Navone si prende cura di riunire. È strano che questa pietosa sorella abbia occultato il suo nome. I personaggi, come apparisce dal loro nome, sono d’origine straniera e perciò probabilmente servile. M • V menses quinque 100. M • VALERIO M • F • RECTO VA- XXII Questa è la lezione che ne dà il P. Spotorno, il quale dice d’averla veduta, ed aggiunge che l’urna è fregiata di non rozze figure. Qui il C. Navone sproposita alla scapestrata. Dell’ F fa un P e legge Predo e lo traduce Pretore. Un pretore che muore a 22 anni ! E come se questo fosse ancora poco, aggiunge clic essendosi questa lapide trovata in un riviera occidentale ( 156 ) albenga luogo detto Massarro, é chiaro che quivi avvenne una di quelle tenibili battaglie tra gl’Ingauni e i Romani, in cui la oi (una dei primi prevalse. Caduto sul campo il pretore, che eia questo M. Valerio a 22 anni, fu fatto dei nemici un gran massacro e da massacro ne venne il nome di massarro. Eppure il buon Canonico nemmen nel latino del Breviario può dire d aver trovato questa radice. So bene che queste cose non meritano confutazione; ma sia lecito, almeno accennarle per divertimento. 101. P • GRANIVS PL* HYLA AVGVSTALIS V . F • SIBI • ET BETVTIAE • > • L QVARTAE • MATRI /fy/a è nome greco servile e si riscontra in altre iscrizioni. P * L Publii libertus. V • F Vivens fecit. Dunque P. Gianio Ha era figlio di Betuzia Quarta liberta di Caia. Il segno > vale quanto 0 ossia C volto all’ indietro. E appunto i prenomi delle donne si usavano cosi rivolti per non confonderli con quelli degli uomini. Onde C • L vorrebbe dire Cali libei tus o liberta e 3 • L Came libertus o liberta. In un marmo riferito dal Grevio (voi. ii. pag. 1060) vi sono sedici tra liberti e liberte che si costruiscono a nome e spesa comune un sepolcro, e vi si legge per es. l • valerivs l • d • l • selevcvs, cioè Lucius Valerius Lucii et Caiae libertus Seleucus, valeria • l • o . l • artemis Valeria bacii et Caiae liberta Ar-temis ecc. RIVIERA OCCIDENTALE ( 157 ) ALBENGA La gente Grania poi si trova mentovata in molti monumenti. Il Muratori riporta una lapide di Parma in cui é nominata Betuzia; ma il P. Spotorno vi suppone errore in luogo di lìetutia. Da questa lapide ricaviamo che in Albenga v’ era collegio di Augustali, i quali (per chi noi sapesse) rammenteremo che cosa fossero colle parole del dottissimo Zaccaria nell' opera Laudensium Episcoporum c • hi. « A Tiberio Augustales Romae primum institutos ut Augu-» sii in Divos relati sacris praeessent narrat Tacitus (An. i). » Propterea argutius illi quam verius sentire mihi videntur qui » cum Reinesio in Syntagm. Inscript. p. 4 34. Augustales >» dictos putant quasi Augustorum jussu in coloniis municipiis-» que creatos. Nam multo illud probabilius est imitatione atque » exemplo Romanorum Augusti sodalium in coloniis quoque » ac-municipiis eos constitutos fuisse, nomcnque ab Augusto, » cujus sacra curabant, accepisse, quemadmodum Titiales, » Flaviales , Hadrianales ii vocati sunt qui Titi, Flavii Ve-» -spasiani, Hadriani sacris devoti erant, nulla Principimi jus-» sionis ratione habita. Sacerdotes porro Augustales fuisse » contra quam Velserus et Reinesius opinati sunt, Norisius » luculentissimis argumentis ita demonstravit, ut id eruditis » omnibus viris plane persuaserit. » Ut de eorum munere dicamus, in provinciis publicae ac » solemni sacrorum curae praefuisse videntur. Ad eos .procu-» ratio quoque spectabat et apparatus ludorum.... Quare et » dum spectaculis intererant praecipuo quodam in loco consi-» debant.... Quamdam tamen civilis jurisdictionis speciem in » Augustalibus agnoscere necessum est. Nam in decernendis » cuipiam honoribus, statuis, idque genus institutionibus Au-» gustai es suum assensum praestabant. (Maf. Mus. V. 354. 5. » Fabret. 118 et 228 et disertis verbis 486). » Quare et illud verissimum est, quod docti viri pridem ALBKNGA RIVIERA OCCIDENTALE ( 158 ) observarunt, Augustales in suis coloniis et municipiis ordinem quemdam constituisse medium infra Decurionum amplitudinem et supra plebis aut populi tenuitatem. » 101 M ■ VIBVLLIO • P • F PVB • PROCVLO CORNELIA • Q • F PROCVLA • MATER FILIO • OPTIMO QVI • VIXIT • ANN • XVII Questo marmo sta nel campanile della Chiesa Collegia* S. Maria in fontibus d’ Albenga. PVB indica Ia tribù Publilia a cui, come già si è e^, erano ascritti gli Albinganesi, e si vede collocata al suo p ^ cioè Ira Ia nota genealogica e il cognome. Il Cottalasso, 1’avea pur sugli occhi, andò a copiarla dal Paganetto, e . . T ocrap Moibulio ce la diede bella e storpiata, come e in quello. ke00 Pub per M. Vibullio P. F. Pub., invece di Corneha (Juin^ fìlia legge Corneliaque. È proprio fato delle iscrizioni g romane che sieno cadute nelle mani di una schiera di sto j tori. Del resto nulla è più comune del nome \ibullio. RIVIERA OCCIDENTALE ( 159 ) ALBENGA 403. • DIS • MANIBVS CLAVDIÀE • SINTICHEN VA- XXX .... VTÏ • CLAVDIVS • HERMES • CONIVGI • BENEMERENTI FECIT • PERMISSV • PATRON ET • SIBI EIVS Registrata dall’ Avv. Cottalasso. V • A Vixit cinnos. Poi doveva succedere M menses e quel-1’VTI per cui comincia il quarto verso, par che si debba leggere VII, che sarebbero i sette mesi sopra i trent’anni vissuti da questa Claudia Sintiche. Questo secondo nome; giusta la lezione del Gottalasso, ha tre guasti d'ortografia, dovendosi leggere SYNTYCHE , cioè due volte y invece di i e senza quell' n finale, che ridonda. Si legge correttamente nel Marini (F. A. 176) meno esattamente nel Maffei (Gali. Antiq. Ep. v) e più corrottamente nel Zaccaria che ha Claudia Sintiche (Inst. Antiq. Lapid. 39). Che lo scarpellino fosse poco destro nell’ incidere lettere si vede dalla sciocca abbreviazione di Patroni in Patron ; ma meglio apparisce da questo, che avendo dimenticato di porre ejus subito dopo Patroni e mancandogli Io spazio nella stessa riga, ve lo appose disotto; di maniera che tra per I’ uti e per quest’ altro scappuccio, a chi legge senza esser sull’ avviso riesce uno strano e ridicolo accozzamento di parole senza costrutto. Il titolo di Patrono ci fa conoscere che questi coniugi erano d’origine servile e che erano stati manomessi dal padrone, il quale perciò non si chiamava più nè dominus, nè hcrus, ma patronus. La loro origine si deduce «OIEIU OCCIDENTALE ( Itìi) ) ^—____ ______^ U ) ALfìEXGA anche dai loro nomi '--------- 8««™ il 8«»6I. dXto Xe"* mm**m * 104. nn D -M S VLIAE • c • f . MODESTAE ■ Q. v T ANN-X-M-VID XXVI • F • c • BONO SA • SOrtORI ■ DVLCISSIMAE g nel r di eloajn Presa da Ciambellino. Modesta non ë titolo Caedic.ìt, ']/!/seconc*0 nome di questa fanciulla. Si vede una «« »1 >1, , “ <* A. 2«5) « alto -J6*. « colui cÈeVf " Si ha anche '' Dome di Boaoso vinto e j. 6Ce ' Proc^amare imperatore dall’ esercito e fu vone in i ° 1 VUa da Proibo verso il 280- 11 Canonico Na- u,lfi in lU0«0 rii V n, i Queir M ° bello e disteso. Veramente due abhi JaÌUra Sarebbe inclita; ma chi può dire qual dei ae abb* saputo legare? ■. ** o faciundum curavit. RIVIERA OCCIDENTALE ( | (j 1 ) ALBENGA 105. D • M PÀLFVR1AE EVTIIGH1 AG • I • PALFVRIVS MERGYRIYS • LIB ET • SEVERVS • CAE SARIS • N • CONIVGI INCOMPARABILI B • M • F • S • P • S Di mano medica abbisognerebbe quest' epigrafe , se ne valesse la pena. Risalire all’ originale non è dato, se dice il vero il Cottalasso, che la novera tra le perdute. Il Navone corregge un evidente errore del Cottalasso, che ha Falfurius in luogo di Palfurius. Quelle sigle AC onde comincia la quarta riga , non sono altrimenti sigle, ma il dittongo AE desinenza di Eutyehiae e cosi i due II di questo nome non devono essere altro che Y. L’ I che tien dietro al nome di questa donna dev’ essere un L, cioè Lucius prenome di Palfurio: il tutto letto male e storpiato dai guastamestieri dell’ epigrafia. Poi segue un imbroglio di nomi , in cui non mi sento d’impigliarmi. Chi volesse spendere parole oziose potrebbe dire che LIB ET non formano che una parola sola dovendosi leggere libert e allora Severus dovrebbe diventar Severi e accordarsi con Caesaris. Settimio Severo raramente negli amichi monumenti assume il titolo di Cesare. L’ N sia per nobilis sia per noster apparisce più tardi. Potrebbe credersi che fosse un avanzo della parola ii RIVIERA OCCIDENTALE ( Itiâ ) • ALfeENGA SVAE, da accordarsi con conjugi, maltrattata dal tempo o non saputa leggere. B • M • F • S • P • S Benemerenti fedi sibi posterisque suis. IO 6. L • AVRELIVS • L . . . MELEAGER AED BIS • PRAEF - Q • SI AVRELIAE • L..... ET • P • AVRELIO • L ..... RATRI In un esemplare del Saggio Storico del Cottalasso cl partenne già al P. Spotorno e che fu da lui qua e co < stillato, e che ora si conserva nella Biblioteca dell Lniv trovo la postilla seguente : . , nej « Questa lapide con altra che non può più ^e^°rsl^njte e « pavimento del Battistero spezzata in due pai ti male u ^ » perciò confusa; ma si potrebbe facilmente far com^ » essendovi rottura, non frantumatila. Le parole c , i Altre due sillabe » certezza si leggono sono (segue la lapide). ^ » si leggono, che per la combaciatura falsa dei pezzi ^ « fuori di luogo, et pò; si possono collocare dopo si, » sibi posviT et avreliae ». E vi nota che la lesse ne sto del 1834. Eppure nell’anno stesso in settembre pu^ cando l’illustrazione di varie epigrafi albinganesi (*0 questa con una piccola variante, cioè so invece di i*o 0 (i) Inscrizioni antiche d’Albenga raccolteuì dichiarale por Albo Docilio Romano. Genova Tip. Gio. Ferrando 1834. RIVIERA OCCIDENTALE ( I G3 ) ALBENGA alla fine della terzultima riga coir interpretazione sorori. Ma 1 anno appresso ritornando con un’altra pubblicazione (1) sulle lapidi stesse parla così: « E forse il primo a svisarla fu » Odoardo Ganducio nel discorso sull’ Epitafio di un Decurione » di Genova. Nè il Paganetto diede prova di maggior diligenza. » Per altro essendo bene incise le lettere ed assai grandi, e » il gentilissimo Cavaliere Emanuele Borea-Ricci, ottimo Sin-» daco della vostra città (Albenga) avendola fatta rimuovere, » perchè io la facessi ricomporre acconciamente, posso accer-» tarvi che questa è la vera lezione, benché v’abbiano due » lettere corrose alquanto: L • AVRELIVS • L . . . MELEAGER • AED RIS • PRAEF • Q • SIB . . . AVRELIAE • L • F • PO . . . ET • P • AVRELIO • L • I .... FRATRI » e supplendo le poche lettere mancanti leggeremo Lucius » Aurelius Lucii filius Meleager Aedilis bis Praefectus quin-» quennalis sibi et Aureliae Lucii filiae posuit et Publio » Aurelio I^ucii filio... fratri ». Si vede che dopo averla con più agio esaminata ritornò al po posuit invece del so sor-ori. Aggiungerò che a compiere il ristauro mancherebbe ancora una cosa , cioè il terzo nome dell' ultimo personaggio. È pur vero che essendo diverso il prenome , non sarebbe necessario il terzo nome; ma dalla collocazione dell ultima parola si ^de che innanzi ad essa vi era lo spazio a contenerlo; e poi du- (1) Iscrizioni antiche <1’ Albenga raccolte e dichiarale dal.Prefetto della Civica Biblioteca ecc. Genova per Gio. Ferrando 1R3 >. RIVIERA OCCIDENTALI-: ( 164 ) ALBENGA biterei anche della sigla p che possa essere stata letta cosi per essere guasta dal tempo, ma che fosse veramente un l, perchè quando un figlio comincia a prendere il pienome del padre, gli altri continuano a far lo stesso, almeno in iegola generale, e si distinguono fra loro pel terzo nome. E >aiiebbe la pena di conoscere il terzo nome dell* ultima perdona pei vedere se grecizzava come il primo: il che confeimeiebbe che la loro origine fosse servile e straniera e avessero pieso il nome della più volte nominata gente Aurelia. Ad ogni modo biso^ a dire che avessero acquistato ricchezze ed importanza munie pale: da che si vede il primo insignito di due cariche eue, cioè dell’Edilità e della Prefettura Qnin*nem^e'y{^ Edili era uffizio sopravvedere le vie, gli edifìzii, la Pu ^ e l’economia della città. La Prefettura quinquennale, q non ha altro aggiunto, si riferisce alle corporazioni ei Le arti presso i Romani ridotte a collegi avevano maestri ed altri simili gradi. 11 più alto era quello di detto anche Padre (come si può vedere per es. nel a i ~in nhp nel nostro Lunense) ed era uffizio assai ragguardevole, c soggetto accresceva tanto più lustro in quanto che ^ esercitato per due quinquennii; ché tanto significano q abbreviazioni bis • praef • q, cioè bis praefectus quinque IU VIBRA OCCIDENTALE ( 165 ) ALBENGA 107. 1) • M 1VL1AE • C • F • LAVDICE AVG • LIB • ALCIMO • PABEN . . . FLAVIA • T F • TITIANE • FEC . . . L1BEBTIS • LIBEBTABVSQVE Dal Cottalasso e dal Navone. Il primo non ha D • M. Qui manca qualche cosa, come indicano quei punti alla fine delle righe, e certamente manca il primo nome di quel liberto d’Augusto. Ma anche ciò che rimane lascia troppo dubitare che sia stato scritto con esattezza. Vi è un certo miscuglio di casi, vi é un pare)i che non so a chi si debba applicare, vi è un nome di origine latina e di desinenza greca, cioè Titiane : le quali cose tutte fanno ragionevolmente sospettare che la lezione possa non esser sincera. Non sappiamo qual fosse il prenome di Alcimo ; ma se questi e Giulia Laudice erano i genitori di Flavia Tiziana, come indicherebbe quel PAREN-tibus, a clic denotarsi figlia di Tito? RIVIERA OCCIDENTALE ( 166 ) ALRENga 108. D • AI L ■ AVRELIO ■ FORTVNATO HOAIINJ • DIGNISSIMO PRIMITIVA • VX OR ET • NECTAREVS • GENER BMP erano ^°^aSS0' ^rillll,lv0 e Primitiva, Fortunato e Fortunata pero p0mi ^ stirPe servile comunissimi nel tempo dell’ im-ait che Forlunato non lasciasse prole maschile da che che fu*D/l Se^C,° moS,ie e ü genero. Dulia gente Aurelia, 11 i ustie in questo luogo, tolse Fortunato il nome come "e aveva avuto la libertà. 100. D • M CORNELIVS • ELEAIES AVR • EPIPODIAE ■ CONIVGI BENEAIEHENTI • QVAE VIXIT • ANN • XXV • FECIT Dall Avv. Cottalasso. Evidente errore dell’ incisore o di dii copiò è quell ELEAIES : in luogo di che vuoisi leggere 0 meglio Ifermes, che cosi si avrà un nome greco e l’alleo latino pel marito come si ha jier la moglie : il che accenna alla loro origine. RIVIEUA OCCIDENTALE ( 167 ) ALBENGA I IO. D • IVI AVR . 1VL1ANVS QVI • VIXIT ANN • XVII • M • 11 AVR • MACROB1VS FRATRI Questa iscrizione viene da Ciambellino, villa suburbana in quel d’ Albenga dei nobili Costa. Ve n' erano delle altre ancora, i cui originali ora sono perduti. Parecchie di queste sono registrate nel Saggio Storico del Cottalasso, da cui le abbiamo ricavate. Abbiamo qui un altro esempio di due fratelli che si distinguono l’uno dalT altro per V ultimo nome. La loro origine si appalesa servile, e anche di questi la gente patrona era T Aurelia. D • M T . AELIO MVANO FELICISSIMVS AMICO • B • M • F Anche questa stava già in Ciambellino. 11 P. Spotorno osserva che se il nome di Muano fu esattamente trascritto, si dovrà aggiungere alla classe dei geografici, essendo Moano un villaggio o paese nel distretto della Pieve d’ Albenga, che anti- riviera occidentale ( IG8 ) ALRENGA camente poto appartenere agli Elii e dar loro o riceverne il nome. Si potrebbe anche per congettura credere che il territorio Arveglio, sul quale per decreto del Connine di Albenga fu statuito nel 1288 di mandare abitatori a farne una villa, fosse cobi denominato quasi Arvci Adii, come possessione di questa famiglia. Il nome Felicissimus s’ incontra in altri antichi monumenti. B . M . p bene merenti fecit. L • GEGAMO • PflILARGYRO L • GEGANIVS • STEPHANVS FECIT • SIBI • ET • SVIS POSTERISQVE • EORVM • i i « come tante Questa corre senza intoppi, benche aneli e - > all’altro altre sue sorelle, perduta. È un fratello che de ica^ ^ ^ e ai suoi e ai posteri loro la tomba. La loro 01 i0in^ ^ . come indica il terzo nome, che é l’individuale. Si loro patroni erano della gente Gegania. 113. . . . . ET • • • VLIAE - SVPERIS PARENTIBVS • PIENTISS • T • VICC1VS EX • VISV • LAETVS Il Canonico Navone ci fa sapere che questa fu scoperta 1730 alle Vio senne, territorio ora di Ormea, in una netta tronca e spezzata. Gli antichi fra le altre molte loro s RIVIERA OCCIDENTALE ( 169 ) ALBENGA perstizioni aveano anche questa, che credeano poter provocare rivelazioni dal cielo, chiedendo visioni, specialmente in casi di malattie, per conoscere gli opportuni rimedii. A questo fine s> ingegnavano di prender sonno nei tempii, particolarmente di Esculapio e Serapide, e quindi, se per caso risanavano, a queste Divinità ne esprimevano la loro gratitudine, e perciò le lapidi votive ad esse intitolate portano sovente queste for-mole ex visu, ex monitu, ex oraculo, ecc. Né soltanto consultavano gli Dei in questo modo per la salute, ma per qualunque altra bisogna. Qui questo T. Viccio 4)ar che giubilasse d’ aver veduto (in sogno voglio credere) i suoi genitori, del primo dei quali è perduto affatto il nome : deir altro non rimane che una parte. Nulla di più comune che sognare le persone che ci son care, alla cui perdita non sappiam darci pace. Essendo esse presenti e profondamente impresse nella fantasia, facilmente se ne risvegliano in essa dormendo i fantasmi. Leggiamo in Cicerone (de Divinat. I. I. 4.) « Memoria » nostra templum Iunonis Sospitae L. Iulius de Senatus sen-» tentia refecit ex Caeciliae Balearici filiae somnio ». 114. C • OCCIVS • C • I • L • PHILOMVSVS SIBI • ET • CONLIBERT • REGILA Dal Cottalasso, perduta in originale. Il Navone ha di più il D • M. Resta a sapersi se 1’ uno 1’ abbia soppresso a capriccio o se T altro 1’ abbia messo di sua invenzione : noi non ci andremo a vedere. Caius Occius Caii libertas Philomusus corre bene; perciò queirI non ci ha nulla che fare e ci é stato certamente introdotto dall’ ignoranza. Un’ altra variante ha il Na- RIVIERA occidentale ( I/O ) albenga 'One, cioè Regilan in luogo di Regila. È certo che questo nome auoL esser corretto, e primieramente vuole un dittongo JI1 fine, ma io propenderei per la lezione del Navone, a cui giungendo un L (omesso per errore dello scarpellino o del copiatore) si avrebbe F abbreviazione di Regillanae, cognome romano assai conosciuto. 115. DM AMPHIO SATVRNIN A • CONIVGI Q • V • A Cosi l’abbiamo dal Cottalasso, da cui la tolse anche i Navone. Il primo nome, ad esser regolare, andrebbe mP A s’interpreta Aureliae. , r\ m k • nvìnr*a il numero degl Q • V • A quae vixit annos .... mania anni. 116. TI • CLAVDIO • AVG • LIB HERMETI M • PVERORVM • DOM • AVGVST Dal Na\one. M. Magistro. Era F istitutore e direttore dei Pa§gi di Corte. RIVIERA occidentale ( 1 71 ) ALRENOA • 417. .... AEL1VS • L • F • PVB • AD1VTOR ALV1NCA Da un latercolo militare registrato dal Muratori p. 1040. Che cosa s’ intenda per latércolo, l’abbiamo dichiaralo nelle Epigrafi Lunensi. Manca il prenome perito, come pare, per guasto del latercolo. PVB è la tribù PuMiMa, a cui erano ascritti gli Albinganesi. Il Marini (Fr. A.), a cui sottoscrive anche il P. Spotorno, non dubita di riconoscere in ALVINGA 1 abbi e viazione di Albingaunensis, in cui sia avvenuto lo scambio del B in V per quell'affinità che esiste fra queste due consonanti. Il C poteva esser G, ma lo stropicciamento può aver fatto scomparire quel leggero tratto che distingue 1 una lettera dall’altra. La tribù armonizza con questa spiegazione. Aggiungerò che se vi è abbreviazione, dovrebbe essere di Albingauno anziché di Albingaunensis, perchè osseno che in generale si adopera il nome della città in sesto caso. Infatti ne abbiamo nello stesso latercolo due di Luni, in cui la pa tria è indicata lvna , che non si può prendere per abbrevia zione di Lunensis. Lo stesso si dica dei due soldati di Libaina che vedremo nelle Epigrafi Libarnesi. Ma per tomaie all AL VINCA del latercolo, possiam riconoscerne la provenienza più diretta da Albingana anziché dà Albingaunum. Albingana si dovette introdurre ai tempi dell'impero, da che si trova co munemente nelle carte del M. Evo; come si usa tuttavia ne0li atti di quella Curia Vescovile. È questa un’osservazione che mi comunica il C.co Grassi. RIVIERA OCCIDENTALE ( 1 72 ) ARMA 11 8. VICTORIAE • AETER NI • INVICTI • IOVIS OPTIMI • MAXIM1 M • VAL • CAMINAS CASTELLI • RESTI TVTOR AVTOIYCVS Esiste sulla porta del villaggio Arma nella Liguria occiden tale in quel di Taggia. I buoni Taggiaschi nell ammirazione di questo loro monumento, gli dedicarono gli onori della se guente iscrizione Tanno e il giorno che quivi è notato per c voglia leggerla. D • 0 • M TABIATES • CREBRIS • TVRCARVftf INCVRTIONIBVS (sic) VEXATI • QVO • SIBI • ET • POSTERIS TVTIOREM • SEDEM • PARARENT HOC • PROPVGNACVLVM * TITVLO ANNVNCIATIONIS • NVNCVPATV.M CVM • TABVLA • MIRAE * VETVSTATIS IIIC • INVENTA * EREXERE ANNO • A • PARTY • VIRGINIS * MDLXV DIE * XXV • MARTII Veramente se vi era titolo di lode che questa isci izionc M. Valerio meritasse meno , era quello di mirae vetuslaU^-Al quale elogio contrapponiamo il giudizio del Muratori, ^lt RI ME uà occidentali: ( 173 ) ARMA riferita la lapide dalle Schede del Guastavini (N. T. xci) aggiunge : Aliquid exotici in ista habes. Si noti eh’ egli nelle dette schede non deve aver trovato queir ultima parola che noi abbiamo fedelmente riferita, perchè ora realmente vi si trova, benché si conosca dalla diversità dei caratteri esservi stata aggiunta posteriormente. Il Guastavini o non ve Y ha trovata, o 1’ ha omessa giudicando esservi stata appiccata da qualche bell’ umore per imbrogliar la cosa. Se ne avesse fatto questa giustizia il Muratori, ce ne avrebbe avvertito, come ha fatto del merito di tutta insieme Y iscrizione, che cioè ha un certo non so che di esotico. Il nome che più si avvicinerebbe sarebbe avtolycvs , di cui abbiamo un esempio nel Fabretti (p. 613. n. 112) a cui non mi comprometterei di trovare il compagno, che comincia d • m • q • catvcivs avtolycvs etc. Ma che avrebbe da far qui un nome proprio? come spunterebbe dopo castcili restitutor ? Esotico poi è veramente quel Caminas che non si sa se sia un cognome di questo M. Valerio o nome patrio dello stesso ; ma nè sotto Y una nè sotto 1’ altra significazione si trova nella lingua latina. Non si dice per questo che non abbia potuto esistere; ma il non essersi ancora trovato è un grande argomento a doverlo lasciare nella sua condizione di parola molto dubbiosa. Esotica poi sarebbe Y opinione di chi pretendesse che il soggetto di questa iscrizione fosse il personaggio dello stesso nome che figura in un fatto d’armi descritto da T. Livio nella Dee. iv. c. 10. che è questo. L’ anno 181 av. Y E. V. L. Emilio Paulo, che era stato console fanno precedente, condusse la guerra contra i Liguri Ingauni. Questi, date buone parole sotto colore di venire ad accordi, ad un tratto fecero irruzione sugli accampamenti Romani , e se non riuscirono ad espugnarli, li tennero strettamente bloccati. L. Emilio credendo che il ritardo dei richiesti aiuti fosse cagionato dall’ essere stati intercettati i suoi RIVIERA OCCIDENTALE ( 174 ) ARMA messi, e d’altra parie osservando che i Liguri di giorno in giorno rimetteano della primiera diligenza ed ardore, piepaiò una vigorosa sortita, nella quale affidò il comando di sei cooiti ad un luogotenente per nome M.. Valerio , e la fazione ebbe il più prospero successo. Ora che dalla vittòria di Giove eterno, invitto, e dal restauro di un castello si abbia ad aigomen tare che qui si alluda a tale avvenimento, é una ciancia. Clio in secoli -posteriori alcuno abbbia voluto dedicare un monii mento a quest’ antico fatto, passi.. Ma che 1’ epigrafe sia vicina di tempo all’avvenimento stesso, onde possa chiamarsi mime vetustatis, è una sciocchezza; che la linguae 1 oitogiafia della lapida è ben lungi dal rappresentare una tale antichità , eie cederebbe appena di sei anni al celebre Senatus-consulto dei Bac canali. E son persuaso che anche la forma della scrittura (pej chi se n’ intende un poco) debba smentire quella sognata antichità. Infine io penso anche, benché egli noi dica, che al Mura tori sia paruto qualche cosa di esotico in quella, dedica a vittoria dell’eterno invitto Giove ottimo massimo, la quale singolare e di cui noi non conosciamo altro esempio ; quantunque ciò non voglia dire che non vi possa essere. Or benché tutte le lapidi non siano simili fra loro, pur certe forinole, specia mente riguardo agli Dei, sogliono cosi essere ossei vate , c quando alcuna se ne allontana, risveglia subito dubbio su a sua autenticità. Per esempio, che cosa v’ha di più comune che di scambiar Febo con Apollo? Omero ne fa una sola vinità e lo nomina con ambi i nomi uniti QoWoç AnoïX&v, co Pallade e Minerva n’A^y» ; con tutto ciò le lapidi Apollo possono essere genuine, quelle a Febo sono tutte riget .tate come spurie e fittizie. Che questa epigrafe esista sul marmo originale non é a du bitarsi; ma sarà difficile provare che, anche in tempi poste riorì, abbiasi voluto far allusione all’ avvenimento che abbiam RIVIERA OCCIDENTALE ( 175 ) VENTIMIGLIA rammentato; o bisogna dire che l’epigrafista non fosse molto innanzi nell’ arte. Si sarebbe trattato di perpetuare la memoria di un fatto storico, e di questo non si fa neppur motto. La dedica alla vittoria di Giove si sarebbe potuta fare per modestia dallo stesso M. Valerio , se fosse stato egli 1’ autore del-l’iscrizione ; ma siccome non potè essere, perciò in bocca di un postero è fuor di proposito. Per lui non si trova altro elogio che d’ essere stato ristoratore d' un castello. Noi per dire ciò che ne pensiamo senza pretendere di dar nel segno , crediamo che questa epigrafe appartenga ai secoli inoltrati nell’ era volgare, e tutto al più , per darle la maggiore antichità possibile, se per quella dedica alla vittoria di Giove si fosse voluto alludere a qualche fatto d’ armi, potrebbe essere che ciò fosse stato nelle fazioni tra gli Ottomani e i Vitelliani, nelle quali il ristoro di un castello può aver giovato a tutelare un numero qualunque di quei piccoli, che nella lotta dei grandi corrono rischio di rimanere schiacciati, se non s’ aiutano in qualche modo da sé. Quanto all’ ultima parola abbiamo già espresso il nostro parere. VENTIMIGLIA Procedendo nella direzione occidentale, dopo gl’ Ingauni seguono gl’ Intemelii, la cui capitale fu detta Album e poi Albium Intemelium e unitamente Albintemelium e quindi Albintimilium da cui per la soppressione della prima sillaba e pel passaggio, che è tanto facile, dal b al venne la moderna denominazione di Ventimiglia. Perciò il P. Spotorno osserva che Vintimiglia sarebbe forma più regolare della comune Ventimiglia. Questa terra dovelt’ essere negli antichi tempi di non poca considerazione, da che venne da Strabone RIVIERA OCCIDENTALE ( I 76 ) VENTIMIGLIA onorata del titolo di grande o magnifica città, che così può interpretarsi il suo sv[xayé^nç. Ecco le parole del Geografo Greco: ’Ev Tè tò (j£To&y 7ió\i$ svfÀsy&nç ’lvra^'Xiov, xcù oi xuroixovyrss IvrsfiéXiot. (lib. IV.). La gente degi’ Intemelii, assisa sul mar Ligustico aveva ad Oriente gl’ Ingauni, da cui, come si crede, li separava il Lucas Bonnanni della Tavola Peutingeriana : ad Occidente confinava coi Vedianzi in quel luogo dove poi sorsero i Trofei d’Augusto. Si tiene anche che i Sogionzii, e i Bu-giani, notati nell’iscrizione di questi Trofei, come pure gli Euburiati, fossero tribù soggette agi’ Intemelii. Rimando chi fosse vago di mettersi più addentro in questo argomento, al lavoro del Cav. Girolamo Rossi nostro Socio corrispondente, il quale con amore pari alla sua grande erudizione trattò la storia di Ventimiglia sua patria. Al Socio ed all amico io mi compiaccio di rendere questo tenue ma sincero tributo d onore. 119. IVNONI REGINAE SACR OB HONOREM MEMORIAMQVE VERGINIAE P • F PATERNAE P • VERGINIVS RHODION LIB • NOMINE SVO ET ME TILIAE TERTVLLINAE FLAMINIc VXORIS SVAE ET LIBERORVM SVORVM VERGINIORVM QVIETI PATERNAE RESTITVTAE ET QVIETAE S • P • p Si conserva nella Cattedrale di Ventimiglia, la quale è un composto di Architettura Romana e Gotica, cosi detta, lavorata e riattata in diversi tempi, ma che sorse probabilmente su -1’ antico tempio o delubro di Giunone, a cui fu dedicata questa epigrafe. RIVIERA OCCIDENTALE ( '1^7 ) VENTIMIGLIA Il titolo di Regina dato a Giunone era comune e direi legale ; onde non V adoperavano soltanto i poeti, ma anche i prosatori. Leggiamo in Cicerone (pro D. sua 57) Te, Inno Regina, precor, ac quaeso etc. e in T. Livio (2. 21) 7 e Inno Regina; quae nunc Vejos colis etc. Questa lapida fu illustrata dal teologo Antonio G. B. Cassini Canonico della stessa cattedrale in una dissertazione stampata in Albenga nel 1854. Dal diverso modo d’intendere la parola QVIETI alla fine del quinto verso, ne nasce una gran diversità nell'interpretazione generale dell’ epigrafe. Prendendo quieti per terzo caso di quies, come si era fatto innanzi, si teneva la lapide in conto di sepolcrale ; ma il Canonico Cassini con ragione esclude questa idea e la richiama al genere delle onorarie e sacre insieme. Sia che il liberto Rodione avesse costrutto il tempio di Giunone, oppure (come è più probabile per un liberto) avesse posto un semplice monumento, si vede che costui volle pagare un tributo di riconoscenza a Verginia Paterna figlia di Publio. Dal prenome che egli assunse si riconosce che era stato servo del padre di Verginia; ma non risulta se dal padre o dalla figlia ricevuto avesse la libertà, e se onorasse nella figlia il benefizio del padre, o in lei stessa celebrasse la propria benefattrice. 11 fatto è che in ogni modo chiamò a parte della sua riconoscenza la propria moglie e i suoi figliuoli, un maschio cioè, Quieto e tre femmine, Paterna, Restituta e Quieta. La moglie Metilia Tertullina apparteneva ad un' ingenua famiglia Intemeliese, da che il nome e cognome di questa donna si trovano in una lapide albinganese di un Publio della tribù Falerina, alla quale erano ascritti gli abitanti d’ Intemelio , al qual P. Metilio Tertullino la plebe Ingaunese dedicava una lapide come a suo Patrono. Dubitiamo poi che il Canonico Cassini si apponga attribuendo al marito la qualità di Flamine dal 12 RIVIERA OCCIDENTALE ( ! 78 ) VENTIMIGLIA vedere che la moglie è detta Flaminica. Sì : così si chiamavano le mogli dei Flamini; ma v’erano anche matrone insignite di tal titolo addette al culto specialmente delle Auguste dichiarate, dopo morte, Dive. Non par probabile che se egli tosse stato Marnine lo tacesse per modestia, perchè cocesta sua dignità avesse a rilevarsi di rimbalzo dal titolo della moglie. Non ci è poi dubbio che liberorum suorum sia adoperato per abbi acciai e tutti i figliuoli così maschi come femmine; ma è una sottigliezza fuor di proposito il supporre che il liberto Rodione scegliesse questa parola perchè atta ad esprimere ambedue le idee di lìglii e di liberi. Finalmente S • P • P significa sua pecunia posuit. m. APOLLIN V- S-M • C ANTON comò ^eiK^am° ^ ^0SS] che cita la Passeggiata ecc. di Gia-Chies (^ie (Inesta iscrizione si legge nella facciata della y o 1 ’ ^occo posta alla sinistra sponda della Nervia. * à votum solvit. Drp j ° L riowc èeDtile, che per conseguenza vuol esser Drp . ° a un P^nme; ma che vi sieno le sigle di due che V 8 TSa ^ linta anoma^ia cbe non dubitiamo di dire, che SLPr in Cluest0 1u°g° sia stala male scritta o come ma oIiLlIr!-3» S' P°lrebbe anche dl're che M- Sia merito; dj , . ' suoJ esser Preceduto da L libens, le sigle sima linea ' ÜMt'll'ss'rna s‘ ll'°vano sempre sulla mede- RIVIERA OCCIDENTALE ( 179 ) VENTIMIGLIA ■121. DEDICA • T • EP ✓ E questo, come ci dice il Rossi, un frammento d’iscrizione scoperto nel 1852- insieme con un pavimento di mosaico e canaletti, di sotterranei d’ un tempio, forse sacro a Nettuno, com’ egli opina. Il mosaico rappresenta Airone sopra un delfino con un’ infinità di pesci che gli guizzano intorno. Questi avanzi si trovarono nella pianura detta di Nervia. Le sigle non appartengono ad alcuna delle forinole usitate, e la ristrettezza del frammento non consente alcun tentativo di divinazione. 122. C • ALBVCIVS • C • F • FAL D • INTEMELII • M CHOOK • MII • P • R • M A • XVII VA- XXXV Caius Albucius Caii filius Falerina domo Intemelii miles colioì'tis octavae. Le due sigle che seguono , le credo disgiunte erroneamente per quel punto, dovendosi leggere PRaetoriae. Poi continua : Militavit annos XVII vixit annos XXXV. Dal Rossi. Ragguagliando r iscrizione onoraria dedicata dagli Albinganesi a P. Metilio Tertullino , ove questi è detto della tribù Falerina, con quella di Ventimiglia dedicata a Giunone , in cui è nominata una matrona della famiglia Tertullina, si avea ragione di credere che la Falerina fosse la tribù a cui fossero stati ascritti gl’ Intemeliesi. La presente epigrafe toglie ogni dubbio, dicendolo nel modo il più esplicito ed assoluto. RIVIERA OCCIDENTALE ( j SO ) L • VALERIVS • L • F • SE CVNDVS • DOMO ALBENTIBILI • MIL . LEG VII • G . F . PAMPHÏLIVS • VARVS ET • VALIVS • VELOX MILITES • LEG . E1VSDEM HEREDES • POSVERVNT Registrata nel Grutero pag. 566, da cui la ricavò anche il BEVT^0' ^ll8S^ non dubita di asserire francamente che ALLIBILI sia scorso per errore in luogo di ALBENTIMILI e peiciò assegna questo L. Valerio a Ventimiglia. Noi non osiamo P nunziar giudizio. LEG • VII • G • F Legionis septimae gemmae, felicis. MESTONE Menlone, grossa terra dipendente dal principato di Monae ), ci fornisce la lapide seguente. Questa e le due dei successi numeri 125 e 126 furono trascritte con molta accuratezza marmi originali pel giovinetto Signor Enrico Longpérier ig 1 dell’illustre Adriano, uno dei dotti compilatori della Rcvu Numismatique di Parigi. Il diligente trascrittore le trasmise pe lettera al Bibliotecario dell’Università Cav. A. Olivieri, e quest, gentilmente me le comunicò. ruviuntA OCCIDENTALE (181 ) MENTONE 24. f }-~-'s PME tilio (fERTVLIilNO f Xim \e Y [/ PM ^ trlm tertyLLINVS ^ VENE JSTV / 1 l—.....f Si trova nel Giardino Galleani. È rotta in due pezzi, i quali non si combaciano perchè ne manca un terzo di mezzo. Della gente Metilia col cognome di Tertullino abbiamo memoria in questa riviera occidentale per tre lapidi. V. n.° 90 e 149. Non si può accertare se il nome paterno e l’indicazione della tribù esistessero, perchè la rottura del marmo ci lascia all’ o-scuro. Riguardo al nome che comincia con LAUR si veda ciò che si è detto al n.° 90. Nell’ ultima parte della stessa riga si vedono due lettere isolate, le quali non credo che sieno state poste a modo di sigle : nel qual caso mi sembrerebbero inesplicabili. Potrebbero invece essere avanzi di una parola obliterata dal tempo , e la parola che qui dovrebbe figurare, è LAV1N per ciò che abbiamo detto al citato n.° 90. Quello che apparisce per E sarebbe L, e il V sarebbe un avanzo dell’ N. Le ultime due lettere della quarta riga V P ordinariamente si interpretano vivens posuit; ma qui una tale spiegazione non ha luogo. Questa forinola si usa quando alcuno prepara per sé e pei suoi il sepolcro, per far vedere ai posteri che ci ha pensalo egli stesso quando era vivo. Ma quando uno rende ad un altro questo pietoso ufficio, sarebbe ridicolo notare eh’ egli è in vita. Se non vi fosse più distanza del bisogno, si potrebbe dire che quel V appartiene all’ultima sillaba di Vennonimus, cancel- RIVIERA OCCIDENTALE ( 182 ) HOCCADRÜNA latasi per 1 antichità Y S finale. Il P sta anche da sé a dir posuit. Le sigle di Dis Manibus sono state poste, come si vede, ai lati. Non potendosi dubitare che questo personaggio fosse ornato di quel sacerdozio, di cui al citato numero, si può ben affermare che il soggetto delle due lapidi sia identico, concorrendo il medesimo prenome, nome gentile e cognome, e oltre a questo la medesima dignità sacerdotale. Manca in questa una quarta denominazione che è quella di Vennoniano ; ma qui fu probabilmente omessa per Y angustia del marmo; ma apparisce nel dedicante, che probabilmente fu il figlio, avendo, come si usavp ^Mora tra padre e figlio, il medesimo prenome. KOCCABRUJVA t V L’epigrafe seguente sta nell' antico castello di questo borgo, che assai più piccolo del precedente, fa parte ancor esso del medesimo principato. 125. M-AVEIIO mt-F-FÀ PATERNO • DEC • QVI VE-AN-XVini -M’X'BXIX M• AVELIVS -MAI ■■ MA RCELLVS ET C0|MI SIA TRA^QVILLINiVPA RENT'FILIO 'PIENTÌsSI^ _g- MO fr__ Il Sig. Longpérier noia che la fenditura della lastra è ante-liore all’incisione. In fatti l’incisore lasciò un intervallo tra le RIVIERA OCCIDENTALE ( 183 ) ROCCARRUNA prime due sillabe di Comisia quanto era necessario ad evitare la rottura del marmo. Dopo M. Avello succedono due sigle, le quali (quando non se ne voglia prendere una per uno sbaglio dello scarpellino) bisogna credere che siano due prenomi. Marco è il prenome del padre, e si sa che in quei tempi lo ricevevano i figliuoli, come altrove si è detto. Se non si ammette T un dei due casi proposti, una sigla in questo luogo sarebbe una mostruosità. L’unione di due prenomi è rara bensì e fuor di regola, ma non senza esempii, come si può vedere neir Orelli al numero 2729. L’ abbreviazione DEC ha parecchi significati, ma qui non può leggersi che per decurioni o decuriali. Per decurione, a dir vero, ripugna l’età di '19 anni, mentre per essere abili agli uffici municipali se ne richiedevano trenta; ma bisogna pur ammettere che anche ai ragazzi, per non so qual capriccio, si conferivano cotali titoli d’ onore senza che se ne esercitassero le funzioni. Presso il Fabretti (p. 460) un G. Vellejo si dice onorato del cavallo pubblico cvm ageret aetatis an-nvm QVINTVM. Il Muratori (616. 1) c • vibivs • g • f • vol • da-phnvs • orn • dec • HON • an • v • m • ix • s • e. cioè ornamentis decurionalibus honoratus a cinque anni e nove mesi. Aggiungiamo ad abbondanza ancora un esempio dal Marini (At. '1. p. 89) C • CVRTILIO C • F • QVIR • FAVSTINO EQVITI COII * I • PR * ADLECTO IN ORDINE DEC • CVM ESSET ANNORVM IIII etC. Abbiamo detto che si può anche leggere decuriali, cioè appartenente a decuria. Nulla di più ovvio che il nostro soggetto anche a quella età fosse ascritto a qualche decuria delle tante corporazioni che in quel tempo esistevano. Noi mettiamo in mezzo queste cose perchè ciascuno scelga ciò che meglio gli piace. RIVIERA OCCIDENTALE ( 184 ) MONACO MONACO Questo Principato ha sorlilo un diligente ed erudito Storico nel Cav. Girolamo Rossi, di cui abbiamo già rammentato la bella Storia di Ventimiglia. A quel lavoro, che in poco tempo ebbe già due edizioni, rimandiamo chi volesse ricercare i fatti e i monumenti che riguardano questo piccolo stato. L antico castello di questa città ci fornisce la seguente non felicissima epigrafe. 120. P . L . F • EMILIO PATERNO FILIO • PIENT ISIMO > PARE NIES • INFE LIGISSIMI E C Che si ha da far qui delle prime tre sigle'? L epigiafe e da forma meschina dei caratteri e dalla disgraziata ortogra ia manifesta di tempo assai basso e di gusto infelice. Che nr viglia dunque se prende le mosse da una stranezza contra comune? In quelle tre lettere io non saprei altio leggere c Publio Lucii filio. È vero che poi ripete la qualità di li0 ma sotto diverso aspetto. La prima volta è messo per occasione di accennare il prenome del padre diverso da que del figliuolo: la seconda volta é per accennare la idazione HI Y ILO HA OCCIDENTALE ( '185 ) TURBI A alletto di questi infelicissimi genitori verso di lui. Quest' epigrafe si legge nello Schiaffino , ma io mi sono attenuto alla copia latta di mano del Sig. Enrico Longpérier, tratta, come io credo, con maggiore esattezza. In parentes è facile riconoscere che il T perduta la linea trasversale apparisce come un I. TURBIÀ L’ etimologia di questo nome è controverso, traendola altri da Trophaea (Augusti), altri (meno probabilmente, direi) da Turris in via. In qual modo .sorgesse il paese, che porta questo nome, si vedrà dai brevi cenni che aggiungeremo alla seguente iscrizione. '/127. IMPERATORI « CAESARI • DIVI • FILIO • AVGVSTO PONT • MAX • IMP • XIV • TRIR • POTES • XV111 S • P • Q • R QUOD • EIVS • DVCTV • AVSPIC1ISQVE • GENTES • ALPINAE • OMNES • QVAE • A • MAIU • S\ PERO AD INFERVM • PERTINEBANT • SVD • IMPERIVM '• P • R * SVNT • REDACTAE • GENTES • ALPINAE DEVICTAE • TRVMPILINI • CAMVNI • VENOSTES • VENNONETES • RISARCÌ • BREVM • GENAVNE* FOCVNATES • VINDELICORV • GENTES • QVATVOR • CONSVANETES • RVCINATES • LICATES CATENATES • AMBISVNTES • RVGVSCI • SVANETES • CALVCONES • I3RIXENTES • LEPONTII VIBERI NANTVATES • SEDUNI • VERAGRI • SALASSI • ACITAVONES • MEDVLLI • A CENI CAT\ RIGES BRIGIANI • SOGIONTII • BRODIÒNTII • NEMALONI ■ EDENATES • ESVBIANI • VEAMINI GALLITAL TRIVLATTI • ECTINI • VERGVNNI • EGVITVRI * NEMENTVRI • ORATELLI • NER\ SI • ELA’\ NI S\ ETRI Sulla via Giulia Augusta, detta poi Aurelia, e sotto questo nome tracciata nell’Itinerario di Antonino e nella 1 avola leu tingeriana, al punto in cui questa segna in Alpe inai iti ma , < RIVIERA OCCIDENTALE ( 186 ) TV RDI A «1WII° Hi Alpe stimma, Canno di R. 748 = 6. av. G. C. lì, , 1 ° 01101 e Angusto un superbo monumento per . e. a menioria della sottomissione compiuta ejus duciu r*/1C da cui o da gradini o da un plinto sor-*> 1 a statua colossale dell’ Imperatore. Nella faccia rivolta naie eia scolpito il trofeo: dal lato opposto una tavola di ^ o irhumo ricordava i nomi delle genti soggiogate. Viscritti tbbe andata irremissibilmente perduta, se non l’avesse ni jSena*a ^,ni° De^a SIIa Storia Naturale (lib. in. c. 24). La ciok 01 a niaSSiecia’ ma V] erano internamente due scale a chioc-dei h ^ei CUI S1 riasciva Sl1^ nionumento. Prima nelle invasioni ai ai i e poi dei Saraceni, servi di fortificazione agli abitanti quei luoghi, poi se ne staccarono marmi e pietre per formarne c e bâsti°ni, infine ne sorse il paese di Turbia o Torbia, deda a^n SCrjV0n0, ^ c^ie nmane attualmente è lo scheletro mole, una gran pietra che rappresenta una corazza, ^ c e ^e^era ^connessa, a cui supplendo ciò che manca se e ^U0 f,jrmarô gestes Alpinae devictae. Questi frammenti sta lnCr°bld^ De^ arcata della casa comunale, sotto ai quali trv^ ^ a]âûzo nv-MPIU> che è evidentemente parte di la sillab^ ^ ^ ^etre’ una ^ua^ PreseDta ^ K0s ’ c^e Si yGde chiaro appartenere a venostes , e no r 6 ^ann° SI^a NI j desinenza comune a undici dei centiJ n^a taUJ^a nonilfla{j- L’altezza di queste lettere è di n imetri 19 e 1 intervallo tra una riga e l'altra di 9 centimetri. CJ(jvUl ^ n(nero dei popoli Alpini si trae da Oriente ad Oc-Q,r. ComjnCia dalle popolazioni della gente Euganea , gfjnte y.,e^e.a ^ue^a ^ei Reti* poi nomina quattro popoli della eliciu, poi di nuovo i popoli dei Reti, poi quelli riviera occidentale ( 187 ) TVRBIA della Taurina, infine i Liguri delle Alpi marittime. Questi ultimi sono i Brigiani e i Sogiontii che abitavano la valle della Roja e le aspre montagne, la cui alta catena separa da Tramontana a Levante la Contea di Nizza dal Piemonte e dalla Liguria. Briançonet, come fu congetturato dall’ Hardouin era il centro dei Brigiani : il Gioffredo ne trae il nome di Briga vicino a Tenda nel contado di Nizza. Gli Esubiani è probabile che fossero gli stessi che i Vesuviani nominati nell' arco di Susa e che abitassero la valle della Vesubia. Gli Oratelli occupavano probabilmente il paese montagnoso compreso tra i confini dell’ antica Contea di Ventimiglia, le sorgenti del Paglione e la riva sinistra del Varo. I Velauni e gli Ectini occupavano le terre centrali della Valle della Tinea. Gli Egdinii nominati nell’ arco di Susa non sono probabilmente altra cosa che questi Ectini. Gli Eguituri stavano nella Valle di Entraune e nelle montagne di Beuil: i Nementuri nel Varo inferiore: i Suetri e i Gallilae nella valle deir Esteron , ultimo confine della Contea di Nizza colla Bassa Provenza : i Ncrusi o Ne-rusii nel distretto della città di Venza (Vence) detta anticamente Vintium Nerusiorum. Anche il Barone Luigi Durante nella sua Cliorographie du Comté de Nice c. I. adagia presso a poco nello stesso modo queste popolazioni. Plinio dopo di aver riportato l'iscrizione, soggiunge: «Non » sunt adjectae Cottianae civitates xii quae non fuerunt ho-» stiles, item attributae municipiis lege Pompeja ». Onoralo Bouche crede che queste parole facessero parte dell' iscrizione, ma s'ingannò. Ed un altro errore commise interpretando queste parole di Plinio come se Cottio non a^sse comandato che a dodici città, delle quali niuna essendo stata ostile, ne verrebbe per conseguenza che niuna di quelle popolazioni, che sono nominale nella Tavola Pliniana, spettasse alla giurisdizione di Collio. Né diversamente pare averla intesa 1' Hardouin. Ep- ai' ^aturì9eò> i I camini e con poca varietà gli Esubiani o fr Ctlm SI ved°no figurare cosi nell'una come nell’altra. a questa stessa osservazione creò un' altra difficoltà ai Maf- > i quale si maraviglia che nell'arco Cottiano sieno nomi-Im 1 a cuni P0P0^ si trovano anche nell’ iscrizione del Tro-ikiitd da Plinio « quum idem auctor, per dirlo colle sue paro e, cottianas civitates ibi nequaquam adjectas fuisse di- * recte admoneat ». (fo//. pag. 59). 4 me P e c ie Je parole di Plinio sieno cosi chiare da non dover U0°0 a (lues^ errori e dubbiezze. Egli non dice che Cot- o avesse soltanto dodici città, ma che dodici non furono 1 • potè dunque averne altre che riluttassero. Il Maffei prese a proposizione in generale come se Plinio avesse detto che p|üna c*tta Coltiana fu compresa in questo numero , mentre inio specifica 1 esclusione di sole dodici città, rimanendo le a tre comprese nell’ enumerazione dell' iscrizione del Trofeo, ueste popolazioni poi, sottomesse colla forza delle armi, Au-or^nò a municipii secondo la legge Pompe a, cioè attribuendo loi o i diritti delle città latine. Nel che errò pure il ,°ucle atlnbuendo queste ordinazioni alle dodici città Cottiane c,,e non furono ostili. nfìne faremo osservare che abbiamo assegnato a questo monumento V anno 7Æ* — * 7 , „ y w /4° — 0 prendendo per punto di partenza in aiT XUn fr^uniz,a di Augusto. Abbiamo già della °, Q°^° nofato che quanto agli altri Imperatori 1’ anno au J UrJ1Zia P0(^està segna quello del loro impero, ma che es a regola non si può applicare ad Augusto perchè egli assunse TS l90°^° ^ ann° n0n° ^ SU0 JmPero ciò noli’anno di R. ond memre rimpero era st3it0 cominciato nel 723 = 31 : hnnr'^f ^ 0^n,f^vo^a SI trova nominata la podestà tri-ai • a ^ U0P° tener sempre conto della differenza di otto Q ti ne conono dal 723 al 731. Mi fa maraviglia che RIVIERA OCCIDENTALE ( '189 ) CKMENELO r accuratissimo Mionnet non abbia avvertito di questa cosa il lettore mentre si fa premura di segnare 1' anno in cui fu conferito a Ottaviano il titolo di Imperatore e quello di Augusto e di Padre della Patria. Non trascura di avvertire la differenza che passa tra Imperator premesso come prenome o posposto, che altrove abbiamo dichiarato; ma della tribunizia podestà non fa neppur cenno. CEMENELO Dal Trofeo Augusto la via Giulia Augusta conduceva al capo luogo di Prefettura delle Alpi Marittime, 1’ antica terra detta Cemenelum, posta a tre quarti d’ ora circa da Nizza. 11 Muratori ai suoi tempi potè dire * Ejus ne ruinae quidem supersunt (N. T. 796. i.) noi invece conosciamo perfettamente la sua posizione indicata dagli avanzi di un teatro, di un tempio, che si crede essere stato dedicato ad Apollo, dalle traccie di un acquedotto , da volti e muri distrutti, e dalle successive scoperte che vi si fecero di statuette, monili, monete e simili oggetti, che avrebbero potuto formare un museo, se disgraziatamente non fossero stati di mano in mano venduti e dispersi. E credo che molti più se ne troverebbero, se si praticassero scavi di proposito : il che non pare che sia mai stato fatto. Raccogliamo qui le iscrizioni nelle quali si nomina questa antica città. Di essa fanno menzione Tolomeo, e Plinio. Il primo dice : Vediantiorum in maritimis Alpibus Cemene-leon. L’ altro : Oppidum Vediantiorum civitatis Cemelion o Cemenelion, secondo che altri leggono. La vera forma di questo nome è Cemenelum, come si ricava dalle lapidi, che non vanno soggette a quelle deviazioni, che sono così facili nei co- RIVIERA OCCIDENTALE ( | <)() ) CEMENELO dici scritti a mano. È probabile che traesse il nome dal monte Cemeno, sopra le cui falde meridionali essa sedeva in sito poco lontano dalla città di Nizza verso Settentrione. Nell’ Itinerario di Antonino e nella Tavola Peutingeriana è segnata tra 1 Alpe summa o maritima e il Varo. Fu residenza di un Preside finché fu capoluogo di una delle provincie delle Gallie cioè dei Vedianzi nelle Alpi Marittime, che era il primo popolo d’ Italia di qua dal Varo ora questo luogo si chiama Cimiès e italianamente Cimella. Il famoso cancelliere di Francia Michele de 1’ Hôpital ne parla di veduta in questo modo : « At Yediantinos versus, duo millia tantum » Cemelium locus est plane desertus, in ilio » Cernis adhuc non pauca tamen vestigia inagnae » Urbis, Aquaeductus, Thermas, parvumque' Theatrum, » Nunc Franciscanis' habitata Sodalibus aedes, » Sola jugum montis servat, nomenque vetustum. » Epist. L 5. " 128. L • NONIO •• QVADRATO • CO • I • NAVT S • MVMIVS , Q ■ MANILIVS • ET • CAI • VENIVS • RVFVS • D • S U riporta il Muratori con questa indicazione: Niciae in agro Cernendomi ex Ioffredo (837. 7.). Quella prima sigla della seconda linea salta subito agli occhi di chichessia. Sotto di essa non può esser nascosto Sextus perché 1 abbreviazione di questo prenome é sex. Vuol dire che vi è stata posta per una delle altre sigle comunemente usate. L’ errore sarà stato probabilmente del copiatore. niYIKllA OCCIDENTALE ( 191 ) CEMENELO La difficoltà non leggera che s’ incontra in questa lapide é quel CO • 1 • NAVI • che parrebbe doversi leggere cohortis primae nautarum. Secl hoc omnino peregrinum , esclama il Muratori. Rileva questa osservazione muratoriana il Zaccaria (Excurs. lit. per It.) e dice : Peregrinum hoc dicit Murato-rius : fateor, secl quatuor omnino inscriptiones errori suspicionem amoliuntur. Fortasse id nominis cohorti huic quod Nautarum sumptibus coacta fuisset. Le altre tre si veggono ai numeri 129, 149, 150. All’Orelli pure pare strana la cosa. Ne discorre al n. 3620 a proposito di un’ epigrafe in cui é nominata la coorte seconda classica, e dice non esser meno rara questa denominazione di coorte prima dei marinai, ma non aver nulla da opporre a quattro esempii, dei quali riporta uno al n.° seguente. Ma l’Ilenzen non piega cosi facilmente dinanzi ai quattro esempii, e nel tomo de’ suoi supplementi (pag. 379. n. 3620 e 21) dice ricisamente: « Omnia exempla » cohortis nautarum ab Orellio laudata ad Niciam pertinent » et ex lolTredo desumpta sunt, easdemque notas exhibent su-» specjtas ; unde rem plane singularem caveas ne temere pro » certa . accipias. Quamquam male potius descriptos, quam » confictos, titulos dixerim. Num in Go • 1 • NAVT • latet col-» legmm Nautarum? » 129. T • IVLIO • T •. IVLI • FR • MIL DVPLIC • GO • I • NAVT LIB • FAVSTO • PATRONVS Il Muratori- (825. 6) ce la dà come esistente ibidem cioè Niciae in agro Ceneinelesosi. Qui salta subito agli occhi 1 er- RIVIERA OCCIDENTALE CEMENELO ror tipografico di quest' ultima parola invece di Cementimi, né fascia luogo a dubbio. I duplicarii erano cosi detti perché avevano doppia paga. Questo é il secondo dei quattro esempii in cui s’incontra CO • I • NAVT • di cui abbiamo tenuto discorso nel numero precedente. FR. frumentario. LTB. liberto. 130. D . M T • AVRELI CL • CERTI CEMENELI PR • LEG • XX • V • V IVLIVS • SEVERVS ET . AVRELIVS SEMPRONI VS H • F • C Il Muratori la riporta (796. \) ex Donio in incerto loco. fton ^i fa sopra alcuna osservazione, né voglio farcene io, troundo in essa parecchie cose che in epigrafìa non corrono e che gl intelligenti avvertono a prima vista. Ciò che si legge bello e disteso è il nome di quest' antica città CEMENELI. Riguardo a quell’abbreviazione del terzo verso CL si vegga ciò che diciamo al n.° 135. HIMERA OCCIDENTALI-: ( 493 ) CEMENELO 131. MARTI VINCIO M • RVFINVS FEL SAL IIIIII VIR ET INCOLA CEMENEL EXVOTO Questo abitatore di Cernendo è Seviro Saliniense. Il luogo detto Salinae secondo lo Spon corrisponderebbe a Castellane: secondo D’Anville a Seillans. Marte Vincio prende il nome da Vintium o Vinciiim, di cui era probabilmente il Nume tutelare. Vintium corrisponde a Vence. Il Muratori legge non bene Cemenaei (45. 5) correttamente 1' Ordii (2066). 132. .... QVIR •LAVRO DE CVRIONI • CEME NELENSIVM EQVO PVB EBVTIA LAVREA MATER L . D • D • D Al soggetto di questa lapida il tempo ha tolto il prenome, il nome gentile e il prenome del padre ; ma ha lasciato un’ indicazione che è di gran lunga più importante di ciò che si è perduto. Quel VIR che precede.il cognome LAVRO tiene il posto della tribù e perciò vuoisi ristorare in QVIR • cioè Quirina. E questo, che io sappia, è runico monumento da cui 13 RIVIERA OCCIDENTALE ( 194 ) CEMENELO ricaviamo che Cemenelo era ascritta alla tribù Quirina. (Orel. 5100). Ma fa d’uopo confessare che v’ è qualche cosa che ci può far dubitare di questa teorica. Si vedano i numeri 135 e 136. L • D • D • D Locus datus decreto decurionum. 133. CORKELJAE SALO NINAE SANCTISSIM ■ AVG ■CONIVGI GALLIENI 1VNIORIS • AVG • N ■ ORDO ■ CEMENEL CVRANT ■ AVRELIO IANVABIO V ■ E •spon pag. 163. Mur. 254. 6. Orel 1010. Quest ultimo dietro il Pagi nelle annotazioni al Baronio ai-anno dell E. V. 261, osserva che quel ivniobis vuoisi congiungere, non già con gallieni, ma con avcvsti , il quale Gallieno si dice Augusto giuniore perchè era collega del jja re’.Cl°® ^ Valeriano, che anch’ egli si chi amava Gallieno. agi e il Muratori male lessero cvr • ant • Il Gioffredo prima di loro avea letto bene CVRANT. V • E • viro egregio. RIVIERA OCCIDENTALE ( 195 ) CEMENELO \ 34. V • AELIO • SEVERINO V • E • P • PRAESJDI • OPTIMO ORDO • CEMEN V • E Viro egregio. Ma quel P che segue non so come possa interpretarsi. Che abbia a.leggersi per prò non ardirei dirlo. Almeno io non so d' aver mai veduto Propmeses. Lascio perciò che chi trova alcuna cosa di meglio la produca. 4 35. • D • M L • GRATII • L • F • CLAV VERINI • CEMENE LI • MIL • FRVM - LEG II • AVG VIX • ANN XXXI • MILITAVIT AN • XII • FECIT ■ HE RES • Q • AEMILIVS MARINVS • SIN GVLAR • LEG • EI VSD Qui e la persona a cui è dedicata la lapide e il dedicante sono entrambi due soldati della legione II Augusta. Il primo era dell’ ordine dei Frumentarii, che come indica il nome stesso, era incaricato di vettovagliare la legione; 1’ altro avea RIVIERA OCCIDENTALE ( J 9(j ) CEMENELO il litoio di singularis. I singulares par che abbiano occupato il grado prossimo ai beneficiarii: ciò che rileviamo dalle iscrizioni Orelliane 3529 e 3530, secondo le quali un L. Sabino dall ufficio di singularis progredì a quello di beneficiario, mentre un Celio Aniceto si dice singularis spe beneficiarius. I singulares differivano di "rado secondo i diversi ufficiali di LEG • XXII PRIMIGENIAE PIAE • FIDELIS • L • M • Queste Matrone con epiteti locali si adoperavano presso i Galli e i Germani in quel senso che presso i Romani s’ invocavano i Lari, i Penati, i Genii, le Giunoni. Quanto all’ abbreviazione GL si legga il numero precedente. Questi Vedianzii sono pur nominati in altra epigrafe riportata dal Muletti e dal Durandi siccome trovata nell' alto contado di Nizza, la quale dice \ I • 0 • M M • FVLVIVS .DEVICTIS • ET • SVPERATIS LIGVRIBVS BAGIENNIS VEDIANTIBVS • MONTANIS V ET • SALLVVIEIS V • S • L • M L’ abbiamo riferita in questo luogo e non registrata collo altre Cemenelensi perchè il eh. Mommsen la colpisce di questa sentenza: Mihi constai titulum falsam esse. V. Orel. 5107. ‘RIVIERA OCCIDENTALE ( I 98 ) CEiMENELO 137. .... TRI • PIISSIMA • POSVIT • OB • GVIVS DEDICATIONEM • DECVRION1B • ET • VIVIR AVG • VI • ERANISTO • F • NCIA • LIB • SPORTV LAS • XII • DIVISIT • ITEM • COLLEGIIS • XI ET • IÌECVMBENTIBVS • PANEM • ET • VINVM PRAEBVIT • ET • OLEVM • POPVLO • VIRIS • AC MVL1ERIBVS • PROMISCE • DEDIT LD-D-D II GiolTredo (Cor. c. xi) ci attesta che • fu trovata in Ci-niella nella vigna del Sig. Galera l’anno 1658. Le prime linee D O erano guaste dal tempo ». II Sig. Costanzo Gazzera, illustratore e curatore dell edi zione del Gioffredo, appone alla terza riga questa nota. « Qui » certo evvi errore, né saprei come emendarlo Chi Nolet«sc trovarci un senso senza troppo scostarsi dalle lettere che vi sono e che non danno alcun costrutto, si potrebbe leggere viarum magistro in 'provincia, che si trova usato i^ece di curator, potendosi supporre che questo pubblico uflìziale fos^e stato compreso nella distribuzione fatta ai Decurioni e ai Se viri Augustali ; ma sarebbe una divinazione troppo gratuita. Piuttosto crederei che quel F • NCIA nascondesse la parola pecunia cioè de sua pecunia o de propria pecunia. circo stanza che in cosiffatte epigrafi si soleva notare. Ma neppur que sto ci porta molto innanzi, e perciò bisogna starsene alla con clusione del Gazzera. RIVIERA occidentale ( 199 ) CEMENEU) M • AVRELIO •MASCVLO • V • E OB • EXIMIAM • PRAESIDlATVS • E1VS INTEGRITATEM • ET • EGREGIAM • AD OMNES • HOMINES • MANSVETVDINEM ET • VRGENTIS • ANNONAE • SINCERAM PRAEBITIONEM - AC • MVNIFICENTIAM ET • QVOD • AQVAE • VSVM • VETV STATE • LAPSVM • REQVIS1TVM AC • REPERTVM • SAECVL1 • FELI CITATE * CVRSVI • PRISTINO REDDIDERIT GOLLEG • III • QVIB • EX • SCC • P • EST PATRONO • DIGNISS Abbiamo detto che esiste ancora tra gli avanzi di quest'an-tica città qualche indizio di un antico acquedotto. Dell’ antichissima esistenza di questo e della sua successiva ristorazione fa fede questa iscrizione, che il Gioffredo dice essere stata trovata quivi vicino, cioè presso alle rovine deli’ acquedotto.. Dopo aver parlato di parecchie fontane, che inaffìano quel territorio, soggiunge : « Teniamo per fermo che 1’ ultima di queste fon-» tane posta a cavaliere dell’ antica ora distrutta città di Ci-» mella per uso ed abbellimento della medesima, condotta si » fosse dai Romani e fatta passare per le falde del colle dai » nostri detto Raimies, cioè con voci corrotte ed abbreviate Rai » de Cimies , o vogliam dire Rivolo di Cimella, avendo noi » viste in più luoghi le reliquie dei canali, massimamente tra » rAnfiteatro e le Terme (dove al presente è la vigna del Sig. RIVIERA OCCIDENTALE ( 200 ) CEMENELO » Presidente De Gubernatis) il restante dei pubblici acquedotti » sopra un lungo ortiine d’ archi ». (Cor. lib. i. c. xvm). 139. FLAVIO • VERINI • FILIO • QVI Q SABINO • DECVRIONI • Fi VIRO SALIN • CIVITATIS • SVAE • TI VIRO FOROIVLIENSIS • FLAMINI • PROVINCIAE AL PI VAI. MARITIMARVM • OPTIMO PATRONO • TABERNARI • SALINIENSES POSVERVNT • CVRANTIBVS • MATVRO . . • MANSVETO • ET • ALBVCI IMP • COMMODO • HI • ET • ANTISTIO BYRRO • COSS. La diamo come la troviamo nel Gioffredo con tutte le sue anomalie epigrafiche. Quesla civitas saliniensis della provincia delle Alpi Marittime abbiamo detto ove si colloca dagli eruditi. Si vegga il n.° 131. Ma la registriamo fra le Cemenelensi perché il detto Gioffredo ci attesta essere stata trovata in Cimella e precisamente nel giardino degli Osservanti Riformati. Ciò che é singolare poi è che era scolpita non già nel marmo, ma in una lamina di metallo incastrala, com’ egli dice, in una gran pietra. L’anno indicato pel consolato terzo di Comodo in compagnia di L. e Antistio Burro è il 181 dell’ E. V. RIVIERA OCCIDENTALE (201 ) CEMENELO 1 40. INTEGRITATI . . . BENEMERITA . . . Q • DOMITIO • Q • F . . . NO • II VIRO • AMP . . . BIS • ET • COLLEGIO . . . CIVITAS • CEMEN . . . CVIVS PVBLICATIO NIBVS ET IIIIII EP COLLEGIS TR1BVS ET DE . . . POPVLO OMNI OLEVM L • D • D • D Quest’ epigrafe essendo rotta, come si vede , dall alto al basso e mancando perciò della fine d’ ogni riga, non pai suscettiva di ristauro. Vi apparisce chiaro la citta di Cemenelo , e si vede trattarsi qui, come al n. 137 di uno di quei festeggiamenti in cui la generosità di qualche cittadino appi estas <> un banchetto ai Decurioni e ai Collegi e faceva distribuzioni 0 di denari o di grasce. Quel NIBVS onde comincia 1 ottava riga noi congiungerei col precedente PVBLICATIO, supponendosi mancante la fine di questa riga come le altre, ma crederei che fosse la fine di decurioNIBYS come infatti seguono poi 1 Seviri. L’ EP (epulum) è il banchetto imbandito a que’ due ordini, e ai tre collegi, non si sa quali, perchè probabilmente la loro indicazione stava nei frammenti perduti. A tutto il resto del popolo fu fatta distruzione vdi olio. aiwm OCCIDENTALE ( 204 ) NIZZA hiam ragione di credere che non esista. Fa d' uopo pertanto che ci contentiamo di quel poco che si può avere anche in condizione non molto felice : questo tentativo potrebbe , eccitando l’altrui solerzia, servir di occasione ad una raccolta più-diligente e completa. 142. HERGVLI LAPIDARIO ALMANCENSES Molti monumenti danno ad Ercole il titolo che viene da saxum, Saxanus: questo viene indubitatamente da lapis. Zaccaria lo dice asseverantemente, dubitativamente 1 Orelli, ma entrambi si accordano a confessare che non sanno cosa sieno cotesti Almancenses. Cioè si vede che è un popolo, ma non se ne trova altra menzione. 143. METTIO PARDO MARCINIA LVCILLIA VXOR CVM QVO VIXI ANN • XVI M . . IMMATVRA MORTE SVBTRACTO QVI VIXIT AN • XXXVI DVLCISSIMO FECIT L autore dell' epigrafe in quel primo verbo vixi fa parlare ^ moglie in persona propria; ma poi forse dimentico di questo m della centuria -comandata dal personaggio che segue, cioè Negro Cominio o cosa simile. PRONIO secondo il Zaccaria è nominativo della terza. L’ epigrafista con que’ due nominativi mostra di essere ancora novizio nel mestiere, perchè se l’uno dei due pone il monumento all’ altro, uno di essi doveva esser messo in dativo : o se entrambi lo pongono ad una terza persona, questa dovea nominarsi e dir posuerunt invece di posuit. 145. SEG0M0N1 CVNCTINO VIC • CVN P. Ecco ciò che ne dice il Zaccaria « Fortasse scriptum VIC • « CVR • Vici Curatores. Si vere scriptum CVN • quærant loci RIVIERA OCCIDENTALE ( 206 ) NIZZA » incolæ, quinam fuerint Vicani illi CVN qui Segomoni la-» pidem posuerunt. . 146. M • ATILIO • L • F • FAL • ALPINO • AED VALTILIAE M • F • VEAMONAE L • ATILIO M • F • CVPITO C • ATILIO M • F ALPINO M • ATILIO M • F PRISCO AT1LIAE M • F • POSILLAE ATILIAE MF- SECVNDAE LICINIAE • C • F • CVPITAE NEP T • F • I T • F • I Il Zaccaria non aggiunge una parola di illustrazione Titulum fieri jussit o jus serunt. Ma chi? Ecco ciò che manca e che pur ci dovrebbe essere. Noi la lasceremo come sta. 147. OCTAVIAE VALERIANAE ANICIA VALERIA MATER FILIAE PirSSIMAE '148. VIL • • . V • RVS AEDILICIVS T • F • I 11 Zaccaria, che la dà cosi guasta e mutila non vi aggiunge una parola di illustrazione. Io credo che il punto che divide RIVIERA OCCIDENTALE ( 207 ) NIZZA V da R\ S non dovrebbe esserci, perchè quelle due frazioni doveano far parte d’una parola che è rimasta pregiudicata dal tempo, come per es. Maturus, Palinurus o simile. È anche probabile che manchi una riga al di sopra di questa prima. Aedilicius è titolo di chi ha sostenuto le funzioni di Edile. 149. APOLLONIO DIONYSIO MIL CO • f* NAVT TVBIC • H • E • T • Si vegga ciò che si è detto a proposito del CO • I • NAVT • al N.° 428. Il Zaccaria interpreta le sigle Hic Est Tumulatus : 1' Orelli corregge lier es Ex Testamento.' TVBIC • è tubicen, di cui si’ trova qualche altro esempio. 150. TI • IVLIO • VELL ACONIS • FILI CL• VIACO MIL . CO • I • NAVT > IIII VIR1S HERED • EX • TES • H • S L'ha il Muratori alla pag. 825 • 5,con questa nota: Niciae in horio ducali ex Io {[redo. È questo il quarto monumento in cui apparisce la strana denominazione di CO • I NAVI • V. il N.° precedente e i numeri 128 e 129 nel primo dei quali RIVIERA OCCIDENTALK ( 208 ) NIZZA ---^-ì______ abbiamo riferiti i diversi pareri dei critici. Non si spianano certamente tutte le difficoltà che presenta questa iscrizione. Quanto alla terza riga ecco le parole del Muratori : « CL • « WACO, aut Cluvia Samnilum oppidum, aut Claudia Via cum, » Vindelicorum locus, patria Iulio huic fuisse videtur ». E pel resto poi conchiude: « Sed sunt heic et alia depravata ». MM • A FLAVIAE ; BASELLAE • CONIVG • CARISSIM DOM • ROMA • MIRAE • ERGA • MARITUM - AMORIS ADQ • CASTITAT • FAEMINAE • QVAE • VIXIT ANNOS XXXV • M • III • DIEB • XII • AVRELIVS RHODISMANVS ■ AVG • LIB • COMMEM • ALP MART • ET • AVRELIA • ROMVLA - FILIA IMPATIENTISSIM • DOLOR • EIVS • ADFLICTI ADQ . DESOLATI • CARISSIM • AC • MERENT • FERET FEC • ET • DED La riporta il Gio/fredo come esistente presso la porta di S. Pietro in Nizza. La riproduce pure il Muratori, del quale citiamo le parole che valgano di illustrazione. « Siglae MMA significant Memoriae aeternae. Mulier haec domo Roma idest natione Romana fuit. Ejus Maritus Aurelius Rhodismanus, n loffredum auscultamus, erat Augur, ejusque filii fuere Alpinus, Martius et Aurelia Romula. Sed eruditi norunt non - Augurem heic per ea verba AVG • LIB nobis exhiberi sed Augusti libertum, nuliumque hic haberi Alpinum Martium. Si diligentius exscriptum fuisset hoc elogium nobis occurreret Merius iste A • COMMENT • ALP . MARIT - idest a com- HIVIERA OCCIDENTALE ( 209 ) NIZZA » mentariis Alpium Maritimarum. In penultima linea vox » FERET feretrum videtur, sed peregrina ac pene incredibili » significatione. Ea quippe vox a ferendo nata exprimit capulum » quo mortuorum corpora ad tumulum portantur. At heic pro » tumulo fortassis usurpata ». Mur. MXXII. 5. 151 T • GALENVS EVTICHI M • VIR . AVG DOMITIANAE • AELIAVS VX ORI • MERENTI Quell’ EVTICHI vorrebbe essere Eutychius nome greco che ci fa conoscere 1' origine servile di quest’ uomo. L'M dinanzi a VIR vuole assolutamente cambiarsi in VI per esprimere il titolo di sevir augustalis. Quel secondo nome della moglie è guasto nella finale. Se fosse Aeliae dovrebbe andare innanzi a Domitianae : se fosse Aelianae presenterebbe un’ altra stranezza, conciossiachè le cosiffatte desinenze presentino 1’ allungamento del nome materno, e se questo è già in Domitianae, non. dovrebbesi più vedere nell'altro. 14 WVIERA OCCIDENTALE P ■ S ■ D ■ D Q ■ ENIBOVDIVS MOKTANVS leg • Ili. ITALICAE • > ORDINATVS EX EQ ROM•AB•DOMINO IMP * M • AVR • ANTONI NO . AVG • ARAM • POSV IT • DEO ABINIO L • M W già citato bar. Durante, nella sua Corografia della Contea ^1. Jzza’ ^JCe c^e al luogo detto Chàteauneuf, antico terri-rio dei Vediantn, accompagnando il dotto Archeologo in-6-e (che altre )olte avremo occasione di nominare), Sir John dcau, fatti praticar degli scavi, vi rinvenne, oltre a una l antilà di ossami, molli resti di tombe, di vasi, di anfore e ^ rniJi oggetti di antichità. La chiesa parrocchiale del luogo si fabbricata sulle rovine d’un tempio pagano e conserva, ad ^ a d. molte successive riparazioni, vestigi di antichissima coslru-nc, e sulla sommità di un muro di facciata dalla parte di ^ odi domina un masso di granito in cui è rappresentata i im una testa di toro, che a giudizio dello stesso sig. eau, do\ea far parte d' un’ ara. Di qua e di là poi della J a principale si vedono altre due are, alla base di una ! e quali era scolpita la presente epigrafe e alla base del- dai f * e^a. C^ie seênc- I caratteri poi sono così danneggiali il sig. Boileau dovette giovarsi di lenti por ( 2/0 ) NIZZA RIVIERA OCCIDENTALE; (211) NIZZA venire a capo di leggerle. La seconda però era già registrata nel Muratori. Questa prima si legge anche nell’ Henzen (G772) il (piale la ricava dalle Mém. des Antiquaires de France p. 03. Le sigle che formano la prima riga sono notissime e significano prò salute domus divinae. Vi sono poi alcune piccole varianti, le quali provengono naturalmente dalla difficoltà di leggere quei caratteri pregiudicati al modo che abbiamo detto. Nel Durante è Enibondius in luogo di Eniboudius : dopo italicae manca il segno > che vai Centurione ; ed è mancanza tale che toglie ogni senso, mentre vuol dire che questo soggetto già cavaliere romano (ex equite romano) fu ordinato ossia promosso Centurione. Si vede che il novello Centurione tutto glorioso di tal sua promozione, volle renderne pubbliche grazie a due Divinità, che sarà difficile incontrare altrove, perchè forse erano genii particolari di quei luoghi. Il Dio nominato in questa è Abinio, 1' altro si vegga nell' altra. 454. Q EN1BOVDIVS MONTANVS LEG • III • ITALICAE > ORDINATVS EX EQ ROM • AB DOMINO IMP • U • AVR • ANTONI NO AVG • ARAM POSV IT • DEO OREVALO L • M Anche in questa si osserva qualche piccola variante, fra cui la più importante è quella del nome della divinità, che nel Durante si legge Orevaio. niVIKDA OCCIDENTALI-: ( 212.') NIZZA -JT - 155. CANlfsTlO VELOCI CAlTWWAEAVF corneliaAlanestio VEI lo antestia • c)f Polla parentibv /et fratri I'ra i .due altari nominati di sopra nel mezzo del pavimento é questa pietra che il Durante dice esser rotta per mezzo e ricongiunta, ma assai pregiudicata. Infatti da ciò che egli vi ha saputo leggere non V ë da cavar costruito. 156. * DAN . LICINIVS____ . DiONISlVS . . . LICINIO..... PLACIDO.... FILIO • C.ARIS SI MO FECIT Alla regione pure dei Vedianzi appartiene il castello , ma diroccalo, di Drap, territorio diviso pel Paglione da quello di ; hateàunèuf, di cui abbiam parlalo di sopra. Il Durante dice e ne é più potuto rinvenir vestigio. Di qual monumento facesse parte quel pezzo di marmo, non ce lo dice l’iscrizione, che pei giunta è mutila, e noi noi possiamo congetturare. Soltanto per non lasciarla senza un tentativo di ristorazione, la npro duciamo con quelle correzioni ed aggiunte che sembiano meno improbabili. C • CALVISIVS FAVSTINIANVS LEGatus LEGionis XXII IfeRcs Monumentini! QVOD PATER EIVS C CALVISIVS FAusIi NIANVS VOVerat POSAIT lib. an E primieramente nella prima parola della terza riga abbiamo cambiato ri in E, supponendo che 1' antichità abbia SETTKNTMONK ( 229 ) BOBBIO obliterato le lineette trasversali clic caratterizzano l’E e lo distinguono dall’ I. Queste lineette, specialmente nella decadenza del buon gusto si faceano tanto brevi che in molte epigrafi si pena a discernèrle, e danno luogo a frequenti equivoci. Qui LIG non si potrebbe ammettere come abbreviazione di Ligus nè per soprannome nè per nome di patria : in primo luogo perchè non sarebbe abbreviato, quindi perchè seguendo la legione, questa parola deve indicare il grado che il soggetto deir iscrizione occupava in quella. Segue una sigla composta di II R ma così unite insieme che la seconda asta deir H serve di asta all* R. Noi Y abbiamo stampata distesa per mancanza di quella forma bizzarra di carattere. D’ altra parte le due lettere vi si vedono chiaramente rappresentate, e la spiegazione che abbiamo loro attribuito, cioè lier es, non manca di esempii, e non è disdetta dal contesto, come quella deir M in monumentum. Alla fine della quarta riga abbiamo aggiunto un C prenome del padre ( e si poteva in luogo di questa mettere qualunque altra delle sigle convenzionali ) perchè sarebbe irregolare nella onomatologia cominciare dal nome: e anche perchè la frattura del marmo lascia luogo a supporre che qualche cosa vi manchi. Il cognome poi del padre è evidentemente guasto dal‘tempo o era stato scioccamente alterato dall’incisore; ma niente è più facile che lo scambiare, per la ragione detta di sopra, l’F in T. Dopo FA manca \STI per la rottura del marmo, e nella riga seguente, dov’ è la continuazione di questo cognome, la prima asta che apparisce, non può altro essere che la seconda gamba dell N e 1 altra asta èl’I. È vero che vi apparisce una lineetta trasversale che di queste due aste sembrerebbe formare un H ; ma o questa è una scheggiatura della pietra o vi fu aggiunta per errore o per trastullo. Del resto il cognome del figlio non lascia dubitare del cognome del padre. Ma che cosa è quel \C SETTENTRIONE ( m ) bobbio (he \odiamo alla lino di questa penultima riga ? Noi piuttosto die leggen i vir clarissimus y troviamo opportuno alla sintassi un veibo. Siccome il guasto della pietra ha portato via il resto della riga, cosi è probabilissimo che abbia sofferto danno la ettera che viene dopo V, e che noi supponiamo essere stala O o che perciò abbia assunto 1’ apparenza di C e \Overat cade m acconcio. Questa stessa voce voverat la Iroviamo adoperata hi pari circostanza nelle due magnifiche tavole che si leggono ài numeri 39 e 40. .... EX voro SVSCEPTO PUÒ SALVTE IMP • NEHOMS QVOD BALI AHI BVS VOVEBAT .... VOTO COMPOS POSIT CtC. Finalmente per dare all’ultima riga la sua competente lan ghezza, é lecito supporre che o in abbreviazione o distesa niente vi fosse LIB • AN • •libenti animo o L • M libens merito, secondo T uso comune. Offriamo per conclusione duo epi0ra simili alla nostra- per T adempimento di un’antecedente prò messa, le quali ci hanno servito di-lume a tentai e la ristau razione della nostra. p * BVTILIVS SYNTROPIIVS MARMORARI VS DONV3I QVOD PROMISIT IN TEMPLO -MINERVAE MARMORI BVS ET IMPENSA SVA TUE SETTENTRIONE ( 231 ) DOUBIO D • M QVOD • AELIA • ADIVTA • MATER • SIB1 • ET COMINIO • CELERINO • PONTIF • COL • EQ Il • TlUB • LEG • FACERE • STATV ERAT COMINIVS • QVINTVS • PONTIF • ET • QQ ......SPERATA • ET • COMINIA CAECILIA • FILIAE • CONSVMMAVERVNT Grul. 394. 7. A IVLIVS LEONAS DO NVM QVOD PIIOMI SERAT ANVBIACIS DO MESTICA LIBERT • D • S • P Bimani. Prolog, lu Mural, p. ü9. 180. G • LICINIVS VERVS DIANAE V • S • L • M • Anche questa mi fu comunicata dalla gentilezza del sopraddetto Bibliotecario Don G. Olivieri. Mi disse essere deposta nell’ Episcopio di Bobbio ed essere stata trovata in un luogo di caccia: e questo bene consuona colla divinità a cui si scioglie il voto. Le sigle sono usitatissime per significare votum soluit libens merito. L’ epigrafe nella sua semplice e dignitosa concisione è degna del buon tempo. In LIGIN1VS l’ultima asta dell’N è prolungala e serve perì. Ricavo questa particolarità, come pure la conferma che questo monumento è veramente nel Seminario di Bobbio, da una lettera di Don Luigi Ginocchio , professore nel Seminario stesso : onde non si può de- SETTENTRIONE f m ) I30HBI0 siderare più credibile testimonianza contra 1' asserzione di chi lo suppose esistente altrove. A questo numero richiamo anche la seguente epigrafe che mi fu comunicata quando la stampa era già in corso e non potea più farla entrare nell'ordine della numerazione. Si trova essa in Vaiverde, luogo della Diocesi e Circondario di Bobbio, e cade perciò qui a rincalzare la piccola Epigrafìa Bobbiese. Secondo la descrizione fattane dal Parroco di quella terra, Kev. Carbone, il sasso, su cui è scolpita , sta sul colle di Verde, come lo chiamano, ed è di granito della lunghezza di due metri e mezzo circa e di uno e mezzo di larghezza. Al dissopra dell’iscrizione si vedono due figure, che naturalmente rappresentano i due personaggi a cui è dedicato il monumento. Vi è anche scolpito il cane, simbolo di fedeltà; ma questo di cui il Parroco non parla, io ricavo dalla descrizione che ne fa nelle sue Illustrazioni Storiche dell’Abbazia di Butrio Antonio Cavagna San Giuliani (Milano 1865). Il Parroco dice soltanto essere il sasso lavorato a varii disegni e alle parti laterali vedersi due oggetti, che a lui sembrano cipressi. Io credo che questi sienu gli stessi che nel Cavagna son giudicati colonne. Questa incertezza proviene certamente dai guasti che vi ha esercitalo il tempo. Anche le lettere, specialmente al principio delle righe, ne hanno provato gli effetti, e si pena a leggerne alcune, e molti, come osserva il detto Parroco, si sono indarno affaticati a diciferarlc. La lezione però eli' egli ne ha cavato, non discorda mollo da quella del Cavagna; ina preferisco quella di quest’ultimo, perché corre meglio sui suoi piedi, ed è questa: M • OCTAVIO CF. MACEDO COTTIAE • P • F • POLLAE SETTENTRIONE ( 233 ) LI li ANNA LI-BARN A Antichissimamentc la Via Postumia da Genova salendo per la valle della Procobera ai gioghi deir Appennino conduceva a Libarna e quinci a Tortona e Piacenza. Libarna sorgeva dove vediamo aprirsi la valle in amena pianura a semicircolo sulla sinistra riva della Scrivia tra Serravalle , Precipiano ed Ar-quata. Abbiamo di questa città menzione in Plinio : « Ab al-» tero (Apennini) latere ad Padum, amnem Italiae ditissimum, » omnia nobilibus oppidis nitent, Libarna, Dertona colonia, » Iria etc. » (H. N. m. 7). La Tavola Peutingeriana e 1’ Itinerario di Antonino registrano un Libarnum o Libanum se-condo le varie lezioni a 3G mila passi da Genova sulla strada di Tortona. Ma il tempo era stato a quella città cosi nemico, che dopo averla fatta scadere dall’ antico lustro , le avea pcr-, fino tolto il nome e cambiato in Antilia , e quindi 1’ avea quasi al tutto cancellata dalla faccia della terra, e ne avea per poco obliterata la memoria. Se alcuno ne disturbava il cadavere , era per estrarne materiali a costruirne rozze abitazioni di contadini o ad aiutare 1’ edificazione del monastero di Precipiano e dei castelli di Arquata e di Serravalle, ove chi può dire quante preziose memorie, affidate ai marmi, furono sepolte? Alcuni avanzi di pubblici monumenti non ancora uguagliali al suolo dall'invidia dei secoli, ed eleganti capitelli e frantumi di scolture e opere di bronzo e di terra colta e utensili e monete Romane, che si andarono dissotterrando in questi anni dalle sue rovine, ci fanno fede della sua passala floridezza. SETTENTRIONE ( 234 ) LIBARNA E qui vuoisi rendere tributo di meritato encomio all’Ab. G. Francesco Capurro da Novi nostro Socio corrispondente, il quale, indefesso ricercatore di antichità Libarnesi, non perdonò a spese e disagi per farne tesoro e ne formò un piccolo museo nel Gasino di essa città ossia Accademia filarmonica : oltre una raccolta di pezzi maggiori di marmo, che non potendosi quivi allogare, (iene in altra parte depositati. Donò puro alla nostra Società il disegno della pianta del Teatro, di cui si scorgono gli avanzi fra gli altri ruderi Libarnesi, fatta eseguire con molta accuratezza, e accompagnata da una sua illustrativa descrizione. Anche il coltissimo nostro Socio Commendatore Santo Varni con queir amore intelligente e perseverante, che pone nella ricerca di tutto ciò che è pregevole per antichità, si è andato formando su questa terra, di cui parliamo, una raccolta già assai importante di monete, di vasi fìttili, di statuette e di altri simili oggetti preziosi per F Archeologia, dei quali tutti ha pure eseguito il disegno. Così dobbiam saper grado singolarissimo al Y egregio nostro Socio il Cav. Olivieri che nella sua qualità di Bibliotecario dell’ Università, procurò alla stessa- l’acquisto di una bella collezione di oggetti provenienti dalle stesse rovine, frutto dimoiti anni di ricerche di un altro erudito amatore di cosiffatte antichità, che é il Can. Costantino Ferrari c?i Serravalle nostro Socio corrispondente. Ricercar la storia di questa terra sarebbe vano pensiero. Possiam tutf al più supporre che passasse per tutte quelle fasi che subirono le altre città, che furono assorbite dal dominio Romano. Se poi nel passare a rassegna le poche lapidi che sopravvivono di Libarna, ci sarà lecito trarne qualche congettura, dovremo esser paghi a questo e non pretender di più. Fra i moderni trattò di Libarna il C. Dot. Antonio Bottazzi, il quale dedicò a questo. argomento il capitolo vii della sua °pera, che ha per tititolo Le Antichità di Tortona e suo Afjr-o, settentiiione ( 235 ) libarna Alessandria 1808. Poi prese ad illustrarle esprofessò in altra opera, intitolata Osservazioni storico-critiche sui Ruderi di Libarna, Novi 1815. Ma l’erudito Tortonese lamentava la scarsezza dei monumenti che ci sono pervenuti, non essendosi trovato fino allora . bronzo o marmo scolpito che arrecasse qualche lume alla storia di quella terra. Si era rinvenuta verso la metà del secolo scorso a Pavia nella fabbrica del duomo la lapida di Atilio Eros (v. n.° 181): nel codice Marcanova si aveva l’epigrafe onoraria a Q. Attio (v.-n.° 184): in un latercolo si trovava il nome d’ alcun soldato da Libarna (v. n.° 189) : T agro Libarnese è nominato parecchie volte nella Tavola alimentaria di Trajano fra i monumenti di Velleja; ma nessun documento si era fino allora trovato che facesse precisa testimonianza dell’ ubicazione di quest’ antica città. 11 Cav. Corderò di San Quintino il dì 14 di Dicembre 1823 lesse alla R. Accademia di Torino una memoria in cui dava relazione di una sua visita e d’ indagini da lui praticate sulla faccia del luogo per superior commissione. Egli rimase contento di ciò che gli venne fatto di vedere, da che potè accertarsi dell’ esistenza di un teatro, d’un foro, d’un anfiteatro, e potè comunicare al dotto consesso ed illustrare per la prima volta la lapida di Atilio Bradua (v. n.° 182) scoperta appena due anni innanzi. Ed ebbe la soddisfazione di scoprire egli stesso un altro monumento di non lieve importanza per le induzioni eli’ egli ne trae, che è quella di Atilio Serrano (v. n.° 185). L’ erudita memoria del S.* Quintino si legge fra quelle della R. Accademia al voi. 29. Ci sarà permesso avventurare un solo appunto in ordine alle sue osservazioni. Dall’ aver trovato un M. Atilio Eros (o Erote che si voglia dire) un C. Atilio Bradua ed un C. Atilio Serrano , egli s’indusse a credere che Eros, Bradua e Serrano fossero tre cognomi di altrettanti rami in cui fosse divisa la gente Atilia. Ma bisogna non perder di vista, come abbiam SETTENTRIONE ( 236 ) libarna più volte notato, che in quel tempo, a cui si possono riferire queste iscrizioni, il prenome avea perduto il suo aulico uffizio di individuar le persone : i figli prendevano il prenome del padre, come si può vedere in due di questi, e si distingueva il figlio dal padre, un fratello dall’ altro pel terzo nome. Dunque Eros, B radica, Serrano erano nomi personali o diacritici dell’ individuo, non già cognomi di famiglie. Si potrebbe invece dire che il prenome perpetuandosi pei' questa guisa in una casa, passava in cognome. Quanto a Serrano si capisce come possa prendersi un abbaglio , da che anticamente era un vero cognome ; ma prender per cognome Eros pretto greco, ' che si vede attaccato a un’ infinità di liberti, questa bisogna dirla una svista. Che se da queste iscrizioni non risulta che la gente Atilia in Libarna fosse divisa in rami , apparisce chiaro che dovette essere ricca e potente. Ora essendovi il teatro Atilio (che così dovea chiamarsi se un Alijio Io innalzò a sue spese), e Atilio nominandosi probabilmente anche il foro per l’importante miglioramento che lo stesso vi fece praticare ; potendovi essere qualche via delle principali chiamata Atilia e forse leggendosi sulle loro case scritto a larghi caratteri Aedes Atiliae; non farebbe maraviglia che a poco a poco si fosse introdotto 1’ uso di dire città o borgo degli Atilii per indicare Libarna, e che poi nello scadere di quella terra sotto le devastazioni dei barbari V un nome si sostituisse a 1-l’altro. Antilia poi e Antiria, come si trova scritto nei secoli di ferro, sarebbe evidente corruzione di Atilia. Ad onta però di questo radicale cambiamento, Y antica, denominazione nei tempi di mezzo non andò al lutto perduta. Il nostro Socio Cav. Desimoni, tante volte da me citato, mi fa osservare che non può non riconoscersi (benché modificata dai secoli) nel titolo di Plebs de Licer no e de Linverno, che porta nei documenti una pieve Tortonese, che non può essere altro che SISTTENTIUONE ( 237 ) LIBARNA quella di Serravalle, la quale ha la sua mensa nel territorio di Libarna. Livorno poi è piccola deviazione di Levarna: col qual nome r Anonimo Ravennate e Guidone chiamarono Libarna, per quello scambio che tra il b ed il v si riconosce ovvio e comune. Ma dell’ identità di Libarna con Atilia e Li-verno abbiamo una testimonianza esplicita nella Cronaca del-r Imagine del Mondo di Frate Jacopo d’Acqui, stampata nel voi. in Scriptorum (Mon. Ilist. Patriae'). Questa cronaca, se si vuole, è un ammasso di frottole; ma quando si tratta di una notizia locale di fatto, allora è un’ altra cosa e la sua testimonianza diviene credibile. Ecco le sue parole : « Aliqui « dicunt in ystoriis suis quod dux Marchus non fuit Sarracenus » sed potius paganus, qui in illis montibus habebat suam « terram et occupabat civitatem Atyliam quae erat supra Ser-» ravalum, ubi dicitur Plebis de invenio (colon. 1502) ». E più oltre : « Ut dicitur ab ystoriographis supradictis, ubi » modo dicitur Plebis inverni fuit quedam magna civitas » paganorum nomine Atylia (colon. 1503) ». Il buon frate che scriveva verso la fine del secolo xiv, credette che la prima lettera di Linvcrno fosse articolo e così stimò bene di eliminarla dal suo elegante latino. Inverno adunque è uno stroncamelo di Linverno : questo è alterato da Livorno per l’intrusione di queir n, e Liverno alla sua volta proviene da Levarna che è più vicino come di tempo, così di forma al primitivo nome : genealogia di corruzioni che non solo si seguono col ragionamento, ma che sono anche appoggiate a monumenti. Non faccia poi maraviglia di veder dato da Fra Jacopo F y greco ad Atylia: egli lo distribuisce a profusione, come si vede in y storiis, in ystoriographis, e basti dire che grecizza perfino il nostro paese scrivendo Ytalia. Ma dobbiam sapergli grado di aver più esplicitamente attestata 1 identità di Atilia coir antica Libarna. SETTENTRIONE ( 238 ) LÌBARNA 181. ATILIAE • M • LIB ELPIDI • OPTIME • DE • SE • MERITAE M • ATILIVS • EROS VI • VIR • AVG • DERTONAE • ET • LIBARNAE VIVOS . FECIT Questa lapida fu trovata in Pavia verso la metà del secolo scorso e fu più volte pubblicata. In questa si trova disteso il nome di Libarna: il che non s'incontra mai in alcun monumento scoperto fra le sue rovine, perché i Latini nella severa concisione del loro stile lapidario soleano omettere il nome dei luoghi e dei monumenti, quando questi colla loro presenza parlavano di sé chiaro abbastanza. Quest' epigrafe in-. vece collocata, per quelle circostanze che ci sono ignote, a tanta distanza, dovea portare il nome del luogo a cui apparteneva questo Atilio e dovea portarlo anche perché esprimeva una dignità di cui la stessa persona era investita contemporaneamente in due luoghi. Di questa digni-tà abbiamo parlato nelle Epigrafi Lunensi. La gente Atilia, corne abbiamo detto e come vedremo confermato da altre lapidi , era primaria in. Libarna. Eros era il nome personale di questo individuo, e • siccome é greco, non lascia dubbio che fosse d’ origine servile e che dagli Atilii ricevesse nome e libertà. Anzi il suo prenome fa credere che il suo patrono fosse lo stesso di cui Elpide si appalesa liberta, la quale è pur greca secondo suona il suo nome. È curioso 1’ accoppiamento di questi due nomi e della simpatia di Eros per Elpide, cioè Amore, e Speranza. SETTENTRIONE ( 239 ) LIBARNA 182. G • AT ILI V S • G • F • .BRAD VA PECVNIA • SVA • FECIT IDEM FORUM , LAPIDE • QVADRAT • STRAVIT • Ecco un cospicuo soggetto di casa gli Atilii, che ci si presenta autore di due opere, delle quali 1’ una così nobile, che come già dicemmo, prova essere stata la sua casa veramente primaria in Libarna. L’anno 4821 nel cimitero dell’antichissima ora distrutta Pieve di Libarna poco lungi dal borgo di Serravalle fu scoperta questa epigrafe, intagliata, come osserva il S. Quintino, in caratteri non indegni del secondo secolo dell’ era cristiana sopra un lastrone di marmo bianco ornato all’intorno di cornice, largo un metro e cent. 35, alto centi-metri 90, tale cioè, quale doveva essere una lapide da affiggersi ad un grande edifizio. Primo ad illustrarla fu il detto S. Quintino, il quale non dubitò di affermare (e pare a noi con tutta ragione) che essendosi essa trovata in vicinanza, degli avanzi del Teatro Libarnese, ci dovesse indicare il fondatore del Teatro medesimo. Come già abbiamo osservato, la presenza dell’ edifrzio scusava 1’ oggetto grammaticale del verbo fecit, cioè Tlieatrum. Un magnifico capitello di colonna che apparteneva a questo teatro e che ne. attesta la grandiosità, fu dal prelodato Ab. Capurro raccolto con altri avanzi e sottratto alla distruzione. Ed ecco la prima insigne opera fatta col privato peculio di questo cittadino di Libarna. L’ altra sua opera fu di aver fatto lastricare di pietre riquadrate il foro. SETTENTRIONE ( m ) LIBARNA Tutti sanno come la conformazione e le angustie delle case al tempo dei Romani (come si veggono p. es. a Pompei) portavano per conseguenza necessaria il passar la giornata di fuori, e come il foro fosse il ritrovo delle persone cosi oziose, come occupate d’affari. Ognun vede servizio reso al pubblico liberandolo per questo lavoro dalla polvere e dal fango, e rendendo il luogo più nobile e più elegante. Riguardo alla costruzione del Teatro, osserva il S. Quintino che i muii sono esteriormente rivestiti di pietre squadrate non grandi, ma regolarmente collocate in modo che di tratto in tratto i loro corsi o piani si vedono interrotti da filari orizzontali di grossi e saldissimi mattoni larghi oncie IO di Piemonte pei ogni lato, e grossi T oncia e mezzo : e da questo conchiude che quello edifizio deve appartenere all’ età che corre dagli Antonini a Costantino M. E appunto di questi tempi troviamo un M. Atilio Bradua console nel 185 e per la seconda volta nel 191 e TE. V. Questo terzo nome ci lascia supporre che questo per sonaggio e gli altri più antichi, che son registrati nei Fasti Consolari, potessero appartenere agli Alilii di Libarna. Ora questo marmo è incrostato nell’atrio del nostro palaz, municipale, a cui lo dedicò il Cav. Viani. f SETTENTRIONE ( 241 ) LIBARNA 183. G • GATIO • L • F • MAEG MARTIALI • SCRIBAE VIXIT • ANN • XVIII L • CATIO CF. SEVERO PATRI C • VIRIO • G • F • FIDO AVO MVCIAE . P • F • QVARTAE AVIAE G • LVCRETIVS GENIALIS AMI CVS SIBI ET F VALETIAE VXORI C TV QVI LEGISTI NOMINA NOSTRA VALE È questa un’ epigrafe con cui un C. Lucrezio Geniale destina un deposito mortuario a quattro amici, a sé stesso ed a sua moglie. Il primo di questi soggetti è* Gaio Gazio Marziale figlio di Lucio morto all’ età di '18 anni, e pur già investito del titolo di Scriba. Segue L. Cazio Severo, figlio di Caio, padre del precedente. Il terzo è C. Virio Tito, figlio di Caio avo del primo personaggio: e vuoisi dire avo materno, perchè il nome del casato è diverso. E finalmente Mucia Quarta figlia di Publio. Le ragazze in famiglia per lo più prendevano il nome gentile e poi per distinguere l'una dall', altra sorella, se eran due, l'una si chiamava major, 1’ altra minor, e se eran più, prendevano i nomi ordinativi di prima, secunda, SETTENTRIONE ( m ) libarna tenia, quarta, quinta, ecc. II nome della moglie è semplicemente Valetìa. A dritta e a sinistra del verso VALETIAE VXOR1 fuori della riga e in carattere più grande si vede un F e un C, che io crederei doversi interpretare /feW o faciundum curavit. Conchiude con un saluto al lettore espresso in un pentametro: Tu qui legisti nomina nostra vale. Da questa epigrafe come pure da quella del n.° 184 si ricava Ja notizia che Libarna era ascritta alla tribù Meda. Questa pietra fu trovata nell’aprile del 4 850 vicino al cavalcavia detto di S. Antonio, cioè al levante della strada regia in prossimità di Serravalle, e fu depositata nel Casino di Novi per cura dell’ Ab. Capurro, il quale cortesemente m’ introdusse a ritrarla dall’originale. 184. Q • ATTIO - T • F • MAEC • PRISCO • AED • IIV/R QVINQ - FLAM • AVG - PONTIF * PRAEF FABR • PRAEF • COH • I • HISPANOR • ET • COH • I MONTANOR • ET . COH • I • LVSITANOR • TRIB MIL • LEG • I • A DI VT RIC • DONIS DONATO • AB • IMPERAT • NERVA • CAESARE - AVG • GERM BELLO SVEBIC CORONA.AVREA HASTA-PVRA.VEXILL.PRAEF ALAE • I • AVG • THRACVM • PLEPS • VRBANA Siam debitori al Marcanova d'averci conservato questa iscrizione, che é registrata nel suo codice a pag. 4 28 con questa nota : Serravallem dioec. Derthonensis in Ecc. S. Martini. Il Cluverio la vide ancora in detto tempio. L’ illustrò l'erudito C. Antonio Botlazzi nelle sue Osservazioni storico critiche sui ruderi di Libarna. Non esistendo più, SETTENTRIONE ( 243 ) UBA UNA per quanto sappiamo, il marmo, bisogna starsene al citato codice, ove, benché scritta un po’ alla carlona, parte in maiuscolo, parte in corsivo, l’attinsero quelli che l'illustrarono. Fa perciò maraviglia che il Bottazzi abbia cambiato a suo arbitrio , quantunque ragionatamente , la disposizione delle righe. Per quanto men ragionata, noi offriamo quella precisa del codice, prendendola come cosa di fatto. Essendo stata questa lapida tratta dalle rovine di Libarna, secondo che afferma il Resendio citato dal Bottazzi, non vi è dubbio che la plebe urbana, che innalza il monumento al suo concittadino, è la Libarnese : la quale circostanza si tace per la ragione detta di sopra. A confermare questo giudizio viene la tribù Mecia, che concorda col precedente monumento e si confermano a vicenda. Q. Attio Prisco figlio di Tito fu Edile, Duumviro Quinquennale, Flamine, Augure, Pontefice, Prefetto di corpo-razioni fabbrili: e la plebe urbana mettendo la sua ambizione a noverare tutte queste dignità del suo concittadino , si può argomentare che ei le esercitasse nella nativa città. Seguono poi i suoi gradi militari: Prefetto della prima coorte spagnuola, della prima coorte dei Montani e della prima dei Lusitani. Quanto ai Montani è probabile 'che fossero i Liguri che abitavano i monti degl’ Ingauni e degl’ Intemelii nominati da T. Livio anche Epanterii. In quest’ epigrafe 1’ ordine dei gradi militari é alquanto turbato. Regolarmente prima era il Prefetto di coorte, poi il Prefetto di Ala, poi il Tribuno di Legione. Nell’ iscrizione invece dal titolo di Prefetto della prima coorte d’Ispani, di Montani, di Lusitani si passa a quello di Tribuno della prima Legione detta Adiulrice, e poi dopo accennati i premii di cui Attio era stato rimunerato dal-1’ Imp. Nerva, esce fuori ancora il titolo di Prefetto dell ala dei Traci. La più semplice ragione io la troverei nell’ errore dello scarpellino, che tardisi avvide essergli sfuggito uno dei SETTENTRIONE ( 244 ) LIBARNA tanti titoli; e quando, durante il lavoro, avverti la dimenticanza, o gli fu fatta notare, la riparò a quel punto ove men male si poteva. II P. Spotorno osserva che se la cavalleria dei Traci avesse allora servito come di guardia del corpo al-rImperatore, sarebbe stala maggior dignità esser Prefetto di quest'ala che Tribuno di legione. Ne aggiunge un’altra anche più sodile, ed é di supporre che il nostro Attio nella guerra contro gli Svevi comandasse V ala prima e che, in premio del coraggio mostrato sul campo di battaglia, fosse donato della corona aurea, dell’asta pura e del vessillo, e venisse poscia elevato al comando della legione Adiufrice, e che Io scrittore dell’epigrafe mettendo i doni e poi il coniando dell'ala, volesse significare (invero non troppo chiaramente, osserva Io stesso Spotorno) qual fosse l'uffizio militare in cui si trovava Q. Attio nella guerra Svevica. « Bellum Suebicum Nervae, dice I'Henzen (5439), in hoc » solo titulo memoratur, » Per vedere come talora le dicono grosse anche gli uomini. grandi, basta leggere ciò che ne dice il Grutero (368 . 5 edizione del Grevio) per indicare il luogo di questa epigrafe: « Sorronoli (volea dir Serravalle) in Lusitania (hagatella!) » inter Dorfonam Genuamque non procul a montibus,- » 185. CN • ATILIVS -CN F • SERRANVS FLA • AV.......ATR CO ...... . iTa gli oggetti raccolti dall’ Ah. Capurro si trova una piV tra coronata superiormente da un frontispizio acuminato, nel SETTENTRIONE ( 245 ) LIBARNA cui timpano si legge questa iscrizione. Il ristauro di essa si presenta molto ovvio, ed ha Y autorevole sanzione del S. Quintino, cioè Cneus Atilius Cnei filius Serranus Hamen Augustalis patronus coloniae. Vi sarebbe mica stato pei avventura patronus coloniae Libarnae? 11 S. Quintino crede assolutamente di no, perchè la presenza del monumento rendeva inutile il nome del luogo. Dal passo che abbiam sopì a citato di Plinio, che dà 1’ aggiunto di Colonia a Dertona e nomina Libarna assolutamente, pare che si possa dedurre che a’ tempi di quello scrittore la sua interna costituzione fosse di municipio. A’ giorni di questo Atilio (e non sappiamo a quale intervallo di tempo) era divenuta colonia ed avea perciò per dato il vantaggio (se vantaggio era) dell autonomia. Questo Atilio avea 1’ onore d’ esserne patrono : il che era assai dappiù che la qualità di Flamine Augustale, e ciò prova la chiaitzza, 1’ opulenza e l’importanza di quella, famiglia. 186. LYCRETIVS • YERINAE ET • FILIYS • LIVIAE • IYLIYS • ENNIVS • F • C Comunicala dal soprallodato nostro socio coriispondente Ab. Capurro siccome trovata al Borghetto di Borbera, terra Libar-nese, sopra un Sarcofago di tufo duro, argilloso, somigliante al peperino. F. C. Facnmdum curaverunt. SETTENTRIONE ( m ) LIBARNA 187. D • M VETTI HERMADIO NIS Q VJX1T ANOS XVI ME In questo sfato ci è comunicata da Don Capurro, il quale dice che già gli appartenne, e perciò non v' è luogo a dubi tare della sua lezione. Ma in una nota di frammenti epi0i pervenutaci di mano del C. Ferrari, troviamo una lunga iscri zione, guasta bensì in qualche luogo e mancante della fine, ma che corrisponde perfettamente al principio con questa. Egli dice essere stata trovala sopra una tomba nel 1851 , m non dice d’averla veduta egli stesso. La riferiamo perchè lettore possa anche giudicar del suo merito. d • M VELII II • ERMADIO NIS QVI VIXIT ANNOS XVI MENSES VI • H • ERMADIO NIS QVAE VIXIT ANNOS VIIIlT Il • ERM . . . IS . . . .VIXIT ANN • VII OYO ... OR ... H .... HA VIVS II ... FIS ... IN AIA . . . IMO . . . V . . I . . . ABR . Ili . . • VEST HINC • IVLIA ALBIA APHRODISIA MANSIT PI .... V ..... SETTENTRIONE ( 247 ) libarna Questa epigrafe è così guasta che tornerebbe vano ingegnarsi a congetturare ciò che vi manca. 188. SEQVNDA FILIAE F C Sul coperchio di un’ urna scoperta alla cascina Tana, distretto della Merella Gapurro sur un ramo della Postumia Li-barnese. Così Don Gapurro, da cui ci fu comunicata. 189. DEXTE R LIBARNA PRIMV S LIBARNA Questi son due soldati che si trovano registrati in un latercolo militare che si legge nel T. del Muratori a pag. 1095 che ne indica la provenienza così : Florentiae apud Mar-chionem Riccardium ex Gorio. Il latercolo è rotto e mancante in diverse parti ; tuttavia presenta le note da poterne approssimativamente ritrarre il tempo. Io mi contento di dire approssimativamente ; ma il Muratori ha creduto di poterne determinare Tanno preciso, cioè il 194 deir E. V. Il fondamento cronologico che presenta questo latercolo consiste nel nome e nel numero del consolato dell’Imp. L. Settimio Severo, che vi si vede a intervalli riprodotto parecchie volte fra le colonne dei soldati colle rispettive loro patrie ivi registrati. Non tenendo conto degl intervalli occupati dalle dette colonne, ecco come vi si legge: SETTENTRIONA f ìa ) LIBARNA SEVERO II COS HIP ÎV III COS SEVERO il SEVERO II COS SEVERO II HIP N Ìli COS IMP N IH COS Qui è al tutto difficile incertare di qual consolato si parli, se del secondo o del terzo, perché ora si vede la sigla n, ora ih. Ma bisogna anche notare che vi sono due titoli, quello cioè di Console e quello di Imperatore; ma questo secondo vi è posto quale acclamazione militare, come risulta dalla sua col-locazione. Quantunque la disposizione sia poco regolare, possi am nulladimeno riconoscere parecchie volte le parole aggruppate in questo modo severo ii imp n iii cos: il che direbbe che il ii va unito a imp, acclamazione militare, e il in al consolato. Ora il terzo Consolato di Severo appartiene all anno 102. Non dissimulo che il numero di quest'acclamazione imperatoria non concorda con tal consolato: tutto al più col secondo: da che nel 195 era già al numero mi, e al 202 avea già raggiunto la somma di xii. Si potrebbe forse dire che le soldatesche, a cui si riferiva quel latercolo, tenessero conto soltanto delle loro particolari acclamazioni e che a loro perciò convenisse il numero ii. Ma lasciando una ta 1 questione, perché sarebbe difficile darne un giudizio certo, dirò la ragione per cui io credo che il Muratori non dovesse affermare cosi rici-samente come fa, che il latercolo appartiene all'anno 4 94. Egli si fondò sui secondo consolato, che abbiam veduto esser molto dubbioso; ma, fosse pur certissimo, vuoisi sapere che questo Imperatore (il che fecero anche al tri) scaduto Y anno del suo consolato, continuò a mantenerne la denominazione, intitolandosi cos • n nel 195, 196, 198, 200 e 201. Questo COS IMP ÏV III COS SEVERO il settentrione ( 249 ) LIBARNA si rileva indubitatamente dalla serie delle sue epigrafi, in cui gli anni sono accertati per la tribunizia podestà. Cosi dopo il terzo Consolato, che fu del 202 abbiamo lapidi del 203,-204, 205 e 210 col titolo di cos • in. Come si poteva dunque, anche nella supposizione del secondo consolalo, assegnare al latercolo l’anno 4 94? In ragione adunque di questo noi dob-biani contentarci di assegnare a questo monumento 1’ età del-l’Imperatore, di cui porta il nome senza pretendere di determinarne 1’ anno preciso. Libarna allora era in lutto il suo splendore, il suo nome non era ancora degeneralo in neutro, come fece poi divenendo Libarnmn : il qual nome in qualche monumento perdette anche Y r , per non dire di quel totale cambiamento per cui divenne Miiirìa. 190. ‘ LIBARNENSI • PAG • DOMITIO • EBOREO Parecchie volte nella Tavola Alimentaria dell’ Orfanotrofio istituito in Velleja dall’Imp. Trajano si fa menzione dell’agro Libarnese. Scegliamo questo fra gli altri, perchè se ne può rintracciare il sito : la qual cosa sarebbe vano tentarla per gli altri. Ecco che cosa ce ne dice il C. Bottazzi versato nella cognizione di quelle terre. « Fra i luoghi montuosi e in » distanza di circa due leghe dai ruderi di Libarna, abbiamo » Moni’ Ebore, che nei secoli di mezzo aveva la sua villa » circondata di muri e torri con un forte castello sulla vetta » del monte, chiamato Castrimi de monte Ebore, Montis Ebo-» ris, Montis Eborei. Se si considera 1’ antica denominazione » e la naturai posizione in fondo della valle di Borbera, or settentrione ( 250 ) libarna » detta de' Ratti, a non grande distanza dai ruderi di Li-» barna, dalla parte verso i Vellejati, possiamo con tutta » probabilità persuaderci che Mont’ Ebore sia indicato nella » Tavola Vellejate come capo del Pago Eboreo nell agro Li-» barnese. Tra Mont’ Ebore e le vestigia dell antica città so-» nosi scoperti dei sarcofagi, degl’ ipogei ed altre anticaglie » romane. » 191. DI . . . HAI____L____0 DIIS SAC . . . FA . . L’ ho dal C. Ferrari che dice essere stata trovata da molti anni, scolpita in marmo sull’orlo di un pozzo. Si ’vede che questo era stato fatto pel servizio di qualche tempio , ptr gli usi dei sacrifizii, come indicano le ultime parole sacns faciun dis ; ma da quel che precede, tranne Dus , non .è possibile tirare il minimo sugo : tanto sono sconnessi fra loro i pochi avanzi di quelle parole pei guasti della pietra. P • VALERIO • • II....... PRIM......L........ T • NONIVS.....P..... POTITVS......P...... È in pietra arenaria, e si vede quanto pregiudicata dal tempo. Questa si trova nella Biblioteca dell' Università cedutale dal G. Ferrari. SETTENTRIONI-: ( 251 ) libarna E R NAL CIT IO.......V . . . MMIN...... MEF1R...... L.....M . . . P . . Due frammenti che possiede il più volte lodato Don Ca-purro, ma ridotti a così poca cosa che non presentano alcun costrutto. Frammento d’iscrizione in due pezzi di marmo ceduta dal C. Ferrari all' Università. I due pezzi furono incrostati nel muro all’ ingresso della Biblioteca. È impossibile indovinare di qual personaggio si parli, né a qual opera si riferisca ; ma da quell’ AMPLIATI si può argomentare che il soggetto deir epi- SETTENTRIONE ( 252 ) TORTONA grafe si fosse reso benemerito coir ingrandire a sue spese arcuila delle opere pubbliche, come per es. il foro, il mercato, ecc. Erano anche benemeriti quelli clic dal Principe conseguivano 1’ ampliazione di qualche privilegio per la loro terra. TORTONA Diamo qui luogo ad alcune iscrizioni che il no^tio Socio Sig. A. Wolf raccolse nel Tortonese e che ci trasmise perche ne facessimo queir uso che credessimo opportuno. Parte sono tratte da marmi originali, parte da manoscritti, ma sembrano inedite. Per questa ragione, che presentai alla Sezione di Ai cheologia, da cui avevo avuto 1’ incarico di riferire sulle stesse, la detta Sezione giudicò conveniente pubblicarle nella noslia raccolta, per salvarle da quelle vicende a cui e pietre e carte vanno pur troppo soggette. Ecco il motivo per cui dopo le iscrizioni Liguri vengono queste poche Tortonesi. dal che chiaramente risulta che noi non intendiamo di dare la colle zione completa delle Epigrafi di questo paese, la quale ci farebbe oltrepassare i limili del nostro soggetto. Il territono di Tortona però, quantunque non appartenga alla nostra Li guria, tocca all’agro Libarnese che riguardiam come nostro, e per questo rispetto le epigrafi Tortonesi non sono poi tanto a noi straniere. Del Sig. Wolf già abbiamo fatto al li a voi la menzione, giacche donò àlla nostra Università un mai ino Oli. ginale, cui perciò abbiam registralo fra le iscrizioni di Gc nova al ri.0 17. SETTENTRIONE ( 253 ) TORTONA Le seguenti iscrizioni sino al n.° 202 inclusive ci furono comunicate dal predetto Sig. Wolf, eh’ egli dice aver tratte da un MS. di pugno del Conte Carnevale intitolato : Illustrazione della Diocesi di Tortona. Al manoscritto appartengono le notizie del luogo e il modo del ritrovamento dei marmi originali, le quali notizie riportate, come ce le trasmette il Sig. Wolf, segneremo con virgolette. . . 4 92. • L • MARCELLVS CARBONVS ET AVRELIA P • P • FOCA S1BI . . • ET ■ L • CARBONO MACRO FILIO BYRCIAE M • F • SECVNDAE AVRELIAE M • P • MARCELLAE VIVI FECERVNT Questa iscrizione fu trovata « nelle rovine dell' antica Chiesa » Parrocchiale di Benegassi (Val Curone presso Fabbrica) sep-» pellita sullo scorcio del secolo xv da una frana. Si vuole » che sia stata trasportata al Vescovato di Tortona, e poi dal » Vescovo Mons. Botta data all’Università di Pavia ». In questa non si può negar che qualche stranezza apparisca. Per es. Marcellus, che è cognome, viene dopo il prenome, ed occupa il posto del nome gentile. Dopo Aurelia vendono due PP ; ma il secondo evidentemente è stato mal copiato dallo scrittore del codice invece di F ; cioè Publii Filia. Più giù si trova M • P, del che si deve dire la stessa cosa, cioè leggere Marci Filia. SETTENTRIONE ( 254 ) TORTONA 193. M • C • L • V SVLLAEI FRATRES OPTATVS ET Sa BIXVS VOTVM SOLVE RVNT M . D - F . LL . 0 - P « In Gremiasco si scoprirono diverse anticaglie: Ira esse * questa iscrizione. » Le quattro sigle della prima riga presentano un po’ di difficoltà per motivo della quarta. Se si potesse supporre che quel \ sia corso per errore nel manuscritto invece di F, la difficoltà svanirebbe presentandoci ovvia e naturale l’interpretazione Marcus, Caius, Lucii Filii Sullaei fratres Optatus et Sabinus. Il nome gentile in aeus è raro, ma non senza esempio come Annaeus e Peducaeus. Sullaeus credo che sarebbe il primo. Si chiude Y epigrafe con una sequela di sette sigle, le quali essendo lontane da ogni uso, non si può altro dire se non che devono essere errate, ed ogni interpretazione sarebbe arbitraria. 194. SEXTVS MANNIVS TVLLIVS F • STE mi ET PRIMO FILIO T • F • L Ai tempi del Vescovo Sellala si trovò questa iscrizione nel » costrurre le fondamenta delYOralorio di S. Antonio eli Padova » SETTENTRIONE ( 255 ) # TORTONA Essa comincia a presentare una cosa che è fuor deir uso, cioè il prenome Sextus tutto disteso , usandosi esprimere colle sole prime tre lettere. In secondo luogo ha due nomi gentili Mannius Tullius : questo però nei tempi della corruzione della lingua già inoltrata, si trova praticato. Dinanzi ad F manca la sigla del prenome o dimenticata dallo scrittore del codice o cancellata dal tempo sul marmo. Le sigle che chiudono r epigrafe significano testamento fieri jussit. E se 1’ ultima non fosse I ma L, come si può dubitare per la sua forma incerta, in tal caso si leggerebbe legavit. 195. L • MVNATIVS L • F • L • N • L PRON • PLANCVS « Ai tempi del Vescovo Settala si trovò in un bosco di » Segaiiate ». Questa corre senza intoppi e nella sua brevità è semplice e perfetta. Non presentando essa altro che i nomi e le relazioni di parentela per determinar la persona; si può- credere che stesse alla base di una statua innalzata a questo personaggio. È bella e famosa 1’ epigrafe di Gaeta dedicata ad un soggetto che porta lo stesso prenome, nome e cognome e le stessissime indicazioni di parentela ascendente: onde si può credere che sia anche identica la persona. Ecco Y iscrizione gaetana : L • MVNATIVS • L • F • L • N • L • PRON PLANCVS COS • CENS • IMP * ITER * VII VIR EPVL • TRIVMP * EX • RAETIS • AEDEM • SACRAM EECIT • DE * MANVB • AGROS DIVISIT • IN * ITALIA BENEVENTI vIN * GALLIA * COLONIAS • DEDVXI1' LVGDVNVM * ET RAVRICAM Grill. 439. 8 SETTENTRIONE ( 256 ) TORTONA E gli è pur dedicata una medaglia con questa onorevole leggenda PLANCVS • COS • S • P • 0 * R • OB • CIVES * SERVATOS. Fu Console l’anno 712 = 42. La natura dell' iscrizione, come ho detto, fa credere che fosse apposta ad una statua: questa dimostrazione d' onore ottimamente si attaglia ad un personaggio cosi eminente come fu questo Munazio Planco: collimano così esattamente le indicazioni di parentela, che non so che cosa vieti di riputarlo un solo e medesimo personaggio. 496. DIANAE SACR • M- FLACCVS Q . VALERI VI VIR AVG - BAGÏENNORVM EX VOTO « Sul declinare del secolo XVI si scopri presso Torre dei » Ratti, cioè fuori del paese nel luogo dove esisteva, secondo » la tradizione, una chiesa di S. Marziano... » Questa iscrizione, sarebbe bella, determinandone anche il » luogo, che comunemente si tiene essere presso a poco la terra di Bene nella provincia d'Alba; ma v’ è una tale irregolarità nella disposizione dei nomi, che vuoisi al tutto .riconoscere impossibile che cosi fossero nell' originale. Pertanto invece di M - FLACCVS • Q • VALERI deve leggersi M • VALERIVS ■ Q * F • FLACCVS. É probabile che il copiatore non conoscendo la scrupolosa esattezza dei Romani in questo particolare, credesse esser cosa al tutto indifferente mettere un nome piuttosto prima che dopo d'un altro, purché vi fosse. SETTENTRIONE ( 257 ; TORTONA 197. IMP • CARS MARC • AVRELÏO CLAYD PIO FEL • AVG D • D « Nel 1632 si trovò presso Nazzano in* Valle Staffora. » La seconda parola è evidentemente sbagliata dovendosi leggere un E dov’ è R ,. essendo CAES Y abbreviazione praticala per CAESAR. Dopo Marco Aurelio segue CLÀVD. Non dirò che questo nome si dovrebbe leggere disteso ; osserverò invece che furono molti gl* Imperatori che assunsero il nome di Marco Aurelio: ina non ho mai trovato loro questa giunta di Claudio nè in tutta l'epigrafìa, nè in tuttala serie metallica. Onde io crederei doversi conchiudere che questa epigrafe o non è sincera o fu male letto Claudio dov’ era forse Antonino. In questo secondo caso crederei potersi determinare 1' imp. Comodo, perchè de’ suoi predecessori altri ebbero i nomi di Antonino, altri di Antonino Pio, altri di Marco Aurelio, altri di M. Aurelio Antonino: Comodo è quegli che riunisce.in alcuni monumenti (dando luogo in altri ad altre varietà) questi precisamente che sono nell’ epigrafe di cui parliamo e nell’ ordine stesso, cioè Imp. Cesare Marco Aurelio Antonino Pio Felice Augusto. Era questo un monumento dedicato all’ Imperatore, come dicono i due DD ; ma fa maraviglia che non sia indicato chi lo dedica. 17 SETTENTRIONE ( 258 ) TORTONA 198. D • M MVCJAE Q • F • M • SABINAE FEMINAE SANCTISSIMAE Q • VE . . . ASIS PHOBROLONI F • I • D • P • S « Si (rovo ai tempi del Vescovo Settata in occasione di » uno scavo fatto a Profigà presso Monte Marsino. » Dopo Q • F Quinti filiae, vi è un M che non dovrebbe esserci e che io debbo attribuire ad errore del codice. La penultima riga che deve contenere il nome del marito che pone questo monumento alla moglie, è alquanto guasta. Comincia colla sigla del prenome Quintus e va bene , ma dubito che quella parola che segue, interrotta nel mezzo, termini bene in ASIS. Anche il Phobroloni si può supporre che sia troncato da Phobrolonius. E questo in ius starebbe meglio innanzi a queiraltro, qual che egli siasi, in asis. Tutte cose che fan dubitare dell'esattezza del manu scritto. SETTENTRIONE ( 259 ) TORTONA 199. D • M MAR CVS AVRELIVS . . . . OR . . . MILES COH . . . . A . . . PR .... IVSTINI M . . I . . . VIXIT AN • XLXI MILIT AN * XVIII ........SVNT « Alluvioni di Cambiò. Questa lapide fu scoperta nel fare » le fondamenta della chiesa di S. Antonio. » E così guasta in più luoghi che non si può ristorare , né vai la pena. Si può ben dire che nell’ età di questo soldato 1’ X che viene dopo L è errata in luogo di V. 200. C • ANN1VS C • F CAM • CELER AVG • T • F • I • SIBI ET F1LIAE ET PK1SCAE MATER « Si scoprì nel 1587 in un fondo appartenente alla Chiesa » Parrocchiale di Fregarolo presso Novi. >» L’ indicazione della tribù Camilia, ci mette sulla strada a correggere un errore dell amanuense. Quel T che a ione dopo AVG presenterebbe ovvia la lettura di Augustae Taurinorum; SETTENTRIONE ( 260 ). TORTONA ma siccome questa città, come si può dedurre da alcuni pochi monumenti, fu ascritta alla Stellatina , perciò rimane a supporre con tutta probabilità che in luogo di T si abbia a leggere B e interpretarsi Augustae Bagiennorum, che si sa positivamente essere stata ascritta alla Camilia. F • I è fieri jussit. Infine quel mater, che per rispetto alla sintassi vorrebbe esser mairi, attribuitelo, còme più vi piace, ad una svista deir epigrafista Romano, o dello scalpellino, o del copiatore. Quest' ultimo, a dir vero, ha già qualche altro argomento per richiamare a sé quest* onore. 201. t C • VETTIVS CN • F • SIBI ET L • VETTIO Il Sig. Wolf la vide nella Parrocchia di Sarizola presso Avolasca. È di pielra arenaria dell' altezza di uri melio u quasi e di 70 centimetri di larghezza. 202. AI ■ PETRONIO M • F .• QVARTO VESTIAR SEVERUS L • V- F Il Sig. Wolf la trovò. in casa del defunto Cenerai Bnsseti. Si vede che il soggetto ; di questa lapida era un facitore o venditore di vesti, e gliela dedicò un suo liberto. Quel V ■ F presenta un po' di difficoltà, non quanto a ciò che vi si ha SETTENTHlONIi ( 261 ) TORTONA da leggere, che è forinola usitatissima vivens fecit ; ma quanto al Y opportunità in questo luogo. Questa si adopera quando uno vivendo ancora pensa alla futura stanza del suo cadavere, invece di lasciar che ci pensi chi gli sopravvivrà. Si vede quanto è naturale che questi dica vivens fecit o posuit. Ma quando uno pone una memoria ad un altro, come è il caso presente, sarebbe bella che non fosse vivo, o che fosse - necessario avvertire il lettore che non T ha mandata dal mondo di là. Se poi ei si abbia a leggere altro, io lo lascio indovinare a chi vuole. Si potrebbe attribuire all7 imperizia dell’ epigrafista, che può essere stato il medesimo liberto Severo, il quale probabilmente si. sarà occupato in vita sua più di cucir panni per secondar l’arte del suo patrono, che di coltivar le lettere. E si potrebbe anche leggere Viventi Fecit. Le tre iscrizioni che seguono furono copiate dai marmi originali pel medesimo Wolf; ma oltre a quello che manca per rottura , anche parte di ciò che resta è così oltraggiata dal tempo che non lascia luogo a interpretazione. Perciò le riferiamo senza nemmeno provarci a ristorarle. |. v uni vs / •• Y MAXIMVS. J VRIIA’ P ■ r • p La- vxor • ^ o • p • p • \ P • XXX In casa del fu General Bussoli. Due parole non lasciano dubbio, cioè Maximus e uxor. SETTENTRIONE ( 262 ) TORTONA Si può argomentare che siano questo Massimo e sua moglie , che di concerto si preparino la tomba. Vi è indicata la misura del terreno che destinavano a questo scopo. Ciò che rimane è P • XXX, il che vuol dire che V area si internava nel campo per 30 piedi, correndo Y uso di metter prima l’estensione della prospettiva in • fr • p • cioè in fronte pedes e poi in • agr • i» • in agro pedes etc. 204. C • MAIVS VERECVND N MIN L • CASSI CAESENNIAN D • D • D II Sig. Wolf T ha veduta in casa Carnizia. Poteva essere la dedica d' un’ ara o altro checché si fosse , fatta da questo C. Maio a nome di quest'altro personaggio L. Cassio Cesen-niano. Se 1’ N della terza riga fosse veramente cosi distante come la trovo nella copia del Sig. Wolf, crederei che dovesse far parte del cognome del primo personaggio che sarebbe \e-recundinus. Se poi si trovasse più presso a queir altro, avanzo di parola che é MIN, allora si potrebbe supporre che qui non altro mancasse che Y 0 intermedio per far nomine e che il predetto cognome rimanesse Verecundus. Se si desidera un esempio di questa formula nomine, eccolo. settentrione ( 263 ) TORTONA VOLK * MITI SI VE MVLC1RERO lvcI vettI TELESPHORVS ET CHRISANTVS FRA VI VIR • AVG * NOMI VETTIAE L • F • SECVNDAE TELESPHORI FILI L • D • D • D 205. VBL LIVS E SORALUS LOCUM SIRI ET SVIS IN FRON" TEM P XX IN AGRVM P•XXV -MFSIIGVN DVRINI BOIAIIL UIìL CAESAR Riporterò le parole stesse del sig. Wolf, che accenna il tempo e il luogo in cui venne, in luce. « Questa iscrizione » fu. trovata nel torrente Coppa presso Casteggio e si trova Orel. 1382. SETTENTRIONE ( 264 ) TORTONA »• ora nei palazzo municipale di quel borgo insieme con un » piccolo bassorilievo di vaghissimo lavoro, rappresentante,un « bambino in positura giacente e trovato nello stesso sito. La » base (con la parola Caesar) ora staccata dal cippo , formò » un pezzo con esso quando fu trovato ». L’uso'comune porla in fronte in agro, anziché V accusativo come é usato qui. II resto poi deir epigrafe e la prima parola della base non si lasciano leggere. . . 20(3. É un frammento, come si vede troppo rovinato per poterne cavar costrutto. Lo mandò cogli altri il sig. Wolf da Tortona. Le prime tre righe occorrendo cosi isolate rifuggono da qualunque interpretazione. Inni VR (a cui però manca un I giacche suol si scrivere VIR disteso) indica, secondo 1’ uso notissimo, il grado di Seviro. Tutti quegli L poi, in cui finiscono parecchie righe, devono corrispondere ad altrettanti nomi dei qua li V L indica la condizione di Liberti. Le ultime lettere poi AF, la seconda delle quali potrebbe aneli'essere un E, non ammettono alcun tentativo di spiegazione per lo stesso motivo di essere sole. SETTENTRIONE ( 265 ) TOMTONA 207. Proveniente dal medesimo fonte della precedente. 11 sig. Wolf ci dice essere in marmo di Carrara e con quell’accùra lezza che é propria della sua nazione e del suo carattere particolare, ci segna le misure di tutti i lati che serba questo mutilo avanzo di antichità. Il quale considerato sotto il nostro punto di vista , cioè sotto 1’ aspetto epigrafico , si vede a che si riduca. Quelle due prime lettere può essere che appartenessero al nome di un Valerius. Quell’OPTI Oplio, luogotenente, indica un grado di milizia o anche d’impiego civile. Se in tanto guasto, si .potesse supporre che il V di Velia non fosse ben chiaro è che si fosse invece un A, allora questo luogotenente potrebbe allogarsi in quella che si chiamava COHORS I • AELIA BRITTONDM. Ma se questa supposizione non potesse aver luogo per la chiarezza dell’ A , allora bisognerebbe riconoscere in questa VELIA o anche AVELIA, nome conosciutissimo, una donna che probabilmente è quella che dedica il monumento. STRADE E Cll’l'l ( 266 ) DEI CIPPI MIGLIÀRI E DELLE STRADE ROMANE IN LIGURIA Al regno epigrafico appartengono pure quei modesti moHu-menti stradali che dagli antichi erano posti a segnare le distanze da un luogo all’altro e che alleviavano la noja e la fatica del cammino al viandante, il quale era per questo mezzo avvertito dello spazio percorso, e ad ogni pietra che incontrava, intendeva rimanergli un miglio di meno a perconere. Queste sono le cosi dette colonne o cippi migliari, che bene spesso presentando, oltre al numero delle miglia, nomi e indicazioni diverse, offrono agli Archeologi preziosi documenti ad illustrare-qualche parte di antichità. Siccome nella nostra Liguria possediamo parecchi di questi monumenti, alcuni piantati ancora dove furono collocati tanti secoli addietro dai Romani , alcuni succedentisi T un 1’ altro in ordine di numerazione , due rare particolarità pei cosiffatti ; perciò invece di disseminarli fra le altre iscrizioni, abbiamo pensato di raccoglierli tutti insieme e presentarli in un sol punto di vista. Questo argomento, come ognun vede ci porta naturalmente a parlar delle vie Romane che anticamente solcavano il nostro paese: soggetto che non manca di difficoltà e di controversie, ma che io tratterò da semplice compilatore, limitandomi ad esporre poco più che le varie opinioni clic furono tia i dotti ventilate. La prima strada che si presenta, di cui conosciamo il nome, il punto di partenza e la direzione, è Ia Postumia, che moveva da Genova e su per Val di Polcevera saliva 1’ Appennino e conduceva all’ antica città di Libarna e quindi ( 267 ) STRADE E CIPPI a lorlona. Quanto al suo principio non si può dubitare che fosse a Genova, da che il Console Sp. Postumio Albino, sia che ne fosse il primo autore, o sia che avesse posto mano a continuare il lavoro iniziato da alcun suo antenato, notò nei cippi migliari le distanze da Genova. Ecco uno di questi cippi che fu trovalo presso Verona S • POSTVMIVS • s • F ' S • N ALBINVS • COS GENVA .....XXVII Disgraziatamente è guasto il numero, per cui non si può sapere che distanza vi fosse notata; ma vi è GENVA da Genova, il che ci fa conoscere il punto di partenza. E veramente 1’ emporio dei Liguri, come la chiama Strabone, avea bisogno di essere messo in comunicazione non solo colle terre che gli stavano ad oriente e ad occidente, ma e molto più colle mediterranee e transapennine : o per meglio dire, i Romani, a cui devozione era Genova > volevano avere agevole comunicazione dalla Gallia Cisalpina al mare , e viceversa da luogo per postura così acconcio mandar prontamente al settentrione dell’ Italia uomini , armi , vettovaglie e checché loro piacesse. Quanto alla direzione, che cioè andasse su per Val di Polcevera , ce ne fa fede la nostra famosa Tavola di bronzo, in cui percorrendosi la periferia dell’agro privalo, si viene due volte a tagliare la via Postumia, e in ambi i punti gli Arbitri vi fanno piantare termini da una parte e dall'altra. Pon-tedecimo, terra così attualmente denominata, era senza dubbio 1' antico ad decimum lapidem e ci addita un punto di essa strada. Procedendo in quella direzione la Postumia ci conduce ad una colonia Romana, che è Libarna, di cui conosciamo STRADK L CIPPI ( m ) perfettamente là posizione dalle rovine che tuttora sussistono. Ci mette quindi all’altra colonia Romana che è Dertona, e finalmente a Cremona e Verona: e forse, come opina il Mommsen , si protendeva fino ad Aquilea. 11 nostro Storico Serra indagando quale dei tanti Postumii che furono Consoli, possa essere quello che iniziasse la 1 o-stumia, trova la maggior probabilità per Aullo Postumio Albino il Losco, il cui consolato si colloca all’anno 57-4 180, non però con certezza. « Nessun altro, per usar le sue paiole, « trovossi in circostanze tanto opportune quanto quest Aullo, » essendo le vie Flaminia ed Emilia già apeite, le colonie « di Cremona e Piacenza poc’ anzi ripopolate , i Galli Cisal » pini sottomessi, i Liguri sbigottiti e quattro legioni disoc » cupate ». 11 Serra adunque ci presenta lo Spuiio Postumio dell’ epigrafe come continuatore della strada , di cui -ha posto per iniziatore il Losco. 11 Postumio del cippo fu console beatamente l’anno 606 =148, cioè 32 anni dopo il P bile consolato dell’altro. Ma il Borghesi, che nel io Arcadico illustrò questa pietra, discorre in altro ino o.. trovandosi questo giornale in Genova, non posso, citar parole, ma stando al senso che di tale illustrazione P^es^ il Mommsen nei suoi Monumenti Anteaugustei al N. par che faccia distinzione tra 1 iniziatole e il conti ^ ^ della Postumia, come abbiam veduto che fa il Serra, parole del Mommsen : « Iam cum neque antequam Ligures a » Romanis subigerentur, quod factum est.per VI fere lum, nec post annum 637 quo lata est illa sententia, ‘ * Postumia sterni potuerit, medio autem tempore Spuri » stumii Consules fuerint tres soli a. 568 . 580 . 606, quoi » primus, in fastis L • F, alter A * F scribebatur, aiictoren » viae Borghesius vidit esse non posse nisi consulem a. » Sp. Postumium Albinum Magnum, cujus pater ignoraret » quidem, sed quem a patre Spurio oriundum esse nihil im-» pediret. Albinus Magnus ille in consulatu quid fecerit non » traditur, in Italia eum mansisse collegae in Africam pro-» fectio satis indicat, potuitque igitur in consulatu viam mu-» nire Genua Aquilejam, vel certe Cremonam ». E potea dire vel certe Veronam coli’ appoggio del cippo in questione. Or ciò che fa maraviglia è vedere che il Serra rimanda il lettore al Borghesi , che, com’egli dice, illustrò questa pietra con rara dottrina e non avverte eh’ egli segue un ragionamento diverso. Con tutto ciò io mi atterrei più al Serra che al Borghesi. Sì : fa d’ uopo piantare gli estremi accennati dal Mommsen , cioè non prima della sottomissione dei Liguri, o più precisamente, dei Genuati, nò posteriormente alla sentenza dei Minucii. Quindi in ragione della grande utilità di tale strada pei Romani par che convenga piuttosto anticipare che ritardarne 1’ apertura, specialmente potendosi supporre che i Genuati, forse più avanzati nella coltura e perciò meno feroci degi’ Ingauni e degli Apuani, entrassero più di buon’ ora nel-T amicizia , o venissero , come che fosse nella dipendenza dei Romani prima degli altri. Per questa ragione non ritarderei sino all’ultimo Postumio 1’iniziazione della strada, come fa il Borghesi senza necessità. Infatti M. Emilio Lepido , come abbiamo detto , il cui Consolato è con certezza assegnato allo anno 569 = 1 87, condusse la sua Emilia da Piacenza a Rimini, e perciò nulla di più naturale che aprire dopo questa una strada dal mare che con questa venisse a congiungersi. Il C. Grassi già preside' della sezione archeologica in quel saggio di illustrazione che nel 18G3 pubblicò sulla Tavola di Polcevera e che in poche pagine contiene il germe di- molta dottrina, ha questo passo; « L' antichità della Postumia, prima » della venuta di Annibale, è ammessa ragionatamente dal-» I’ Oderico; ma egli 1’attribuisce ad un Console di tal nome STRADE E CIPPI ( 270 ) « 1’ an. di Roma 520. a. C. 234. Io crederei più consono » alle leggi romane, specialmente nei più antichi periodi, « 1’attribuirla ad un Censore dell’anno stesso, stato pur » Consolo innanzi, ed era per avventura il padre del Console. » Il Censore era: A. Postumius A. F. L. N. Albinus, ed » il Console L. Postumius A. F. A. N. Albinus ». (pag. 36). Mi perdoni il dotto Archeologo e amico mio, se io non posso essere del suo avviso riguardo alle attribuzioni, di cui egli investe i Censori assegnando loro l’incarico di provvedere alle strade in generale senza distinzione alcuna di luoghi. Dal-1'esame degli storici e dal ragguaglio dei fatti eh’essi presentano, io vedo aver gli eruditi tratto, direi quasi, come un canone che i Censori erano incaricati della cura delle vie urbane e italiche propriamente dette ; mentre nelle provincie erano i Consoli che aprivano le grandi vie militari, come pure Proconsoli e i Pretori: insomma quelli che vi esercitavano il comando vi facevano eseguire questi lavori di pubblica e di privata utilità. E quanto ai Censori, Cicerone ci ha conservato il testo della legge: « Censores aevifafes, soboles, familias, pecunias » censento, urbis (empia, vias, aquas, aerarium, vectigalia » tuento ». (De leg. III. 3). Ora stando al rigore dell’espressione si direbbe che le sole vie della città dovessero curare i Censori, e forse fu quello il primo loro incarico ; ma poi la storia ci fa conoscere che la loro giurisdizione sulle vie si stendeva su tutto e solo il paese che si chiamava Italia a que' tempi. Questo noi vediamo essere stato praticato presso a poco sino agli ultimi tempi della Repubblica, e da gli esempi che abbiamo possiam ben conchiudere che non v’ é strada alquanto nobile, la quale non abbia per certo e conosciuto autore un personaggio rivestito della censoria autorità., o che non si possa , quando sia incerto, riferire con probabilità a qualche ( 271 ) STRADE E CIPPI Censore che abbia il nome stesso della via. La più antica di tutte era Y Appia condotta dal Censore Appio Claudio , che poi, perduta la vista, prese il cognome di Cieco: di che abbiamo testimonianza in T. Livio (ix. 29). Deir Aurelia la storia non ci ha fatto conoscere 1’ autore ; ma il Sigonio argomenta con tutta probabilità essere stato C. Aurelio Cotta, che, come abbiamo dai Fasti Capitolini, fu Censore il second’anno dopo la fine della prima guerra Punica. Si conosce per autore della Flaminia C. Flaminio , che fu Censore due anni innanzi che Annibaie invadesse l’Italia, e che perì Console al Trasimeno. Dell’ autor della Cassia non parlano i monumenti ; ma sappiamo che nel 600 = \ 54 C. Cassio Longino sostenne la Censura con gravità e modestia: lode che "gli attribuisce Cicerone. Diciassette anni innanzi era stato Console, anzi primo fra tutti della sua famiglia ; ma durante il suo consolato ebbe a trattenersi in diversi luoghi per affari della Repubblica, che non gli permettevano di fermarsi in Etruria ad occuparsi di strade, quando pure (che non era) avesse potuto secondo le leggi occuparsene entro quei confini. Ed ai Censori parimente spettava il sopraintendere e far eseguire anche le strade minori o di comunicazione e comodo dei municipi e delle terre, a spese , s’intende bene , di coloro , a cui vantaggio si volgeano, come ricaviamo da T. Livio (xn. 27). Ma dall’ altra parte noi vediamo non esservi cosa più comune di questa , che i Consoli facciano alle loro legioni aprir nuove strade. Il cippo stesso, di cui parliamo, ne è una prova. Né più splendida si può avere di quella che ci porge T. Livio parlando dei Consoli dell’anno 569 =— 18/ M. Emilio Lepido e C. Flaminio Nepote. Flaminio dopo aver vinto i Friniati portò la guerra agli Apuani : « His quoque perdo-» mitis , continua lo Storico, Cos. pacem dedit finitimis : et » quia a bello quieta ut esset provincia effecerat, ne in otio STRADE E CIPPI ( 272 ) » militem haberet, viam a Bononia perduxit Arretium ». L’altro Console si occupò dei Briniati e d’ altri Liguri montani a cui non era andato Flaminio. Quindi « pacatis Liguribus, in « agrum galJicum exercitum duxit, viamque ab Placentia, ut » Flaminiae committeret, Ariminum perduxit ». Mi pare che questi esempi deJIe opere condotte si dai Censori e sì dai Consoli confermino ed illustrino abbastanza la distinzione delle attribuzioni degli uni e degli altri, che abbiamo posta per fondamento. Ora si tiri una linea dal Rubicone alla Macra e si vedrà che le strade , di cui si occuparono i soprad.-detti Consoli appartenevano alla Gallia Cisalpina non all Italia allora propriamente detta , che rimaneva a mezzodi della line a indicata. Della Gallia Cisalpina la parte di qua dal Po non fu ascritta alla cittadinanza Romana se non dopo la fine della guerra Sociale, che cominciò 96 anni dopo il consolato di Emilio e Flaminio : la parte cf oltre Po non prima del ditta-torato di Cesare. Non manca certamente di presentare un po’ di difficoltà il vedere che un Console conduce una strada fino ad Areno, terra compresa nel suolo Italico. Al che crederei doversi ii-spondere in primo luogo che forse allora la Cisalpina si stendeva sino alla sponda destra dell’ Arno , sulla cui sinistra è Arezzo, e che perciò si potea nominare questo luogo per indicarne le vicinanze e la direzione: Jn secondo luogoche se Flaminio iniziò quella via da Bologna come Console, non la potè compiere certamente in quel poco tempo che gli restava del suo anno , e o la compiè come Censore in tempi poste-riori, oppur anche proseguita da altri continuò ad andar sotto '1 nome îdel primo iniziatore. È vero che 1’ espressione dello Storico non favorisce quest’ultima interpretazione ; ma chi vo-,esse prender le sue parole a tutto il rigore della lettera, bi- ( m ) STRADE E CIPPI sognerebbe ammettere che conducesse un si lungo tratto strada nel breve giro di qualche mese e coll Appennino valicare. Quindi non tacerò essere stata messa in campo dal 1’ Amati 1’opinione, benché combattuta dal dottissimo Gaetano Lorenzo Monti, che il luogo di Livio sia guasto, e do\e si leODe Arretium debbasi invece leggere Ariminum. L Amati arrect un passo di Strabone che favorisce questa correzione , ma Monti dimostra con molta erudizione doversi invece correggere il Geografo Greco per mezzo dello Storico Latino. Potrebbe bensì parer ragionevole che il Console Flaminio si rivolgess di preferènza da Bologna a Rimini, perchè a quest ultim facea capo la. Flaminia condottavi da Roma per suo pa re , Censore, come abbiam detto, due anni prima della venuta Annibaie (537 = 217). Ma ad escludere questa supposizione basta il riflettere che il suo collega M. Emilio Lepido condii ceva egli stesso una via da Piacenza a Rimini e passa\a cer tamente per Bologna che è punto intermedio in linea ietta quelle due città. Mi pare che questo basti a far conoscere che ai Censor apparteneva la cura delle vie entro i limiti del suolo Italico , e che fuori di questi erano i Consoli e le autoiità locali ci le aprivano e le curavano, lo pertanto son col C. Gras, quando si tratta di anticipare V apertura della Postumia, posso esser con lui quando vuol farla apiiie ad un Cen, anziché ad un Console. D’ un passo di ÀurJio \itto potrebbe invocarsi per avventura conti o di questa diremo quando si terrà discorso dell Emilia di Scauro. Or per compiere ciò che riguarda la Postumia , a l sapere che un brano di questa strada ai tempi ce uu si riconosceva ancora di là dal giogo di Ricò sotto il nome . alterato di Costvma o CosUma e V Oderico rifensce aver trovato scritto come in certi avanzi d’un ponte sulla .ernia STRADE L' CIPPI ( 274 ) si leggea Via Costuma Placentiam. Questo egli en P centro Montenotte e limitrofi a levante i Genuati, a se ^ trione gli Stazielli : onde , secondo il ragionamento e ® Repetti, per giungere a capo di questa strada non punto bisogno di condursi al mare. A rinforzare la sua opinione il Repetti esamina i Piec^ le circostanze , i fini di quell’ opera condotta da Emilio ca Egli fu console due volte , prima nel 639 = 145 e ott dopo, cioè nel 647 = 407. Nel suo primo consolato aggregò alla Repubblica popoli stanziati nella Liguria non ma vittima ma mediterranea, allorché gli fu assegnata a Cisalpina, ed ivi prosciugò una vasta estensione 1 Pa 1 Piacenza e 1’ agro Parmense , incanalandone le acque navigabili. Queste circostanze fanno conoscere eh eg strurre una nuova via ebbe in mira di aprire una comu zione per V Etruria fra Roma e la regione transappenmna esso amministrata', ampliata a Ponente e bonificata STRADE E CIPPI ( 286- ) Mettere in comunicazione 1’ Etruria con Tortona percorrendo tutto il littorale Ligustico sino ai Sabazii , sarebbe stato un giro ridicolo, non che vizioso: d’altra parte Tortona era in comunicazione con Genova per la Postumia. Per servir dunque allo scopo di Scauro, la via da lui aperta correrebbe naturalmente su queste traccie: Pisa, Luni, Val di Magra, Pon-tremoli, la Cisa, Monte di Bardone, Fornuovo, Val di Taro, Borgo S. Donnino, Fiorenzuola, sotto Veleja, Tortona, gli Stazielli sino ai Sabazii. Monumenti epigrafici non ne abbiamo nè per la via marittima , né per la mediterranea ; mà in questa troviamo Fornuovo, cioè Foronovanus, che più tardi fu municipio. Si sa che i Romani fondavano fori o mercatali sulle strade maestre. La sommità di queir Appennino porta ancora adesso il nome Romano di Cassio. Quel tragitto fu sempre praticato in antico e nei tempi di mezzo e moderni dagli eserciti, come pttna con molta erudizione il Repetti: anzi il Targioni non dubitala di riconoscervi in alcuna parte segni evidenti d antica ^ia Romana. Queste sossopra sono in iscorcio le ragioni, onde il Repelti afforza il suo sistema. Il sig. avv. Emanuele Celesia in un elaborato articolo stam pato nella Rivista Contemporanea di Torino 4 862 e ripio dotto poi a parte con qualche giunta, unisce il suo voto quello del Repetti e del P. Spotorno, e alle ragioni addotte dal primo accresce peso coir autorità del dottissimo monsi0. Cavedoni. Non a caso dico autorità, perchè da questa infuori r insigne Archeologo non ci reca nulla, anzi affronta e di strugge arbitrariamente la lezione del testo Straboniano. Ecco le parole del Celesia: « Desideroso di mettere un po' di luce » nella tenebrosa questione, ricercai con ogni possa 1 aiuto » di valorosi ellenisti, e son lieto, per tacer d altri, clic il ( 287 ) STRADI1* E CIPPI » dottissimo monsig. Cavedoni abbia voluto suggellare con ,, T autorità del suo nome 1' opinione di cui siamo manteni-» tori. Senza punto entrar nelT analisi del testo greco, il che »» ci trarrebbe a disquisizioni troppo discordi dall'indole del » nostro lavoro, eccone il letterale volgarizzamento, quale » rillustre Modenese inviava all’amico mio G. B. Passano, che » mi confortò de1 suoi lumi in queste lentissime e sazievoli » trattazioni. — IUc autem Scaurus ille esi, qui Aemiliam » viam constravit, quae per Pisas et Lunam, Sabatos usque, » per Derthonam (transit). — La greca particella hk non » può aver altro valore che per, sottintesovi il verbo pacare. » Dal che si trae che Y Emilia (Aurelia) anche secondo Stra-» bone, passando per Tortona, progrediva fino ai Sabazii ». (pag. 33). Messe per tal modo in luce le tre diverse opinioni sul-r andamento dell’ Emilia posso dire d' aver adempiuto al mio uffizio di compilatore. Ora siccome ognuno é padrone di attenersi più a questa che a quella, secondo che meglio lo finiscono le ragioni deir una o deir altra ; così credo che sìa permesso anche a me di esporre, dubitativamente almeno, ciò eh’ io ne penso , lasciando a chi vuole la libertà di pensare diversamente. Siccome la direzione di questa Emilia si rileva dal noto testo di Strabone, questo perciò vuol essere il perno su cui si aggiri tutto il ragionamento. E prima di tutto io non posso consentire al sig. Spitalieri di Cessole, che il testo in qui-stione sia così corrotto da doverlo mettere in disparte, come fa egli, a guisa di strumento guasto ed inutile. V’ ha in questo scrittore qualche lacuna, parecchi luoghi si riconoscono guasti, in molti vi sono varianti che lasciano lo studioso perplesso sul senso che debbe lor dare : in questo invece v’ è uniformità in tutte quante le edizioni, il che ci attesta Y uniformità stradi; e cippi ( 288 ) dei codici. L’unica cosa che a chi lo legge la prima volta, la un po' di difficoltà è la finitiva, la quale par che lasci qualche cosa a desiderare. Ecco il testo originale : Ovros Si o ^xavpog kcùv Ò XoÙ TYiV A'({JLlXioLV òàòv GTpcÔGOtç, TÌ1V ÙtCL JIstffGJV XOiì Ao'JVMÇ Bxtgov (al. '2a/3xT&v) xòlvtsv^sv &à AspScovog (lib. v.) Ed ecco la traduzione letterale : Hi g vero ille Scaurus est qui Aemiliam viam stravit, quae per Pisas et Lunam usque ad Sabbatos, et inde per Derthonam. Dov'é-qui il guasto? V' è bensì un' elissi, e ciò che per essa manca, lo stesso sig. avv. Celesia, coir aiuto del Cavedoni, supplisce con transit. Mettiamo dunque questa parola dove 1’ elissi 1’ ha soppressa e vedremo come corre limpido e netto il senso.... quae transit per Pisas et Lunam usque ad sabbatos et inde transit per Derthonam. Ottimamente dice il sig. Celesia che la particella hk non può avere altro valore che per, sottintesovi il verbo passare , ed é perciò che io ho messo transit tutte le volte che c’ è la preposizione h*. Con tutto questo la mia traduzione lanto discorda da quella del sig. Celesia che dov' egli da Tortona passa ai Sabazii, io dai Sabazii passo a Tortona. Donde proviene tanta diversità? Semplicemente da questo eh' egli ha saltato a piè pari una parola che pur c'é e che grida di voler essere considerata per quel che vale. La parola é xavrev^ composta da xxì et e ’svrsfàev inde. Strabone dunque ci dice che 1' Emilia passa per Pisa e Luni sino ai Sabazii e di là passa per Tortona. Il sig. Celesia ha stimato bene di non entrare nell' analisi del testo greco ; ma non vedo coinè ciò avrebbe potuto trarlo a disquisizioni troppo discordi dall' indole del suo lavoro, mentre si profferisce mantenitore d'un' opinione ch'egli pur crede fondata sull’intelligenza di questo testo. Monsig. Cavedoni poi potrà coll' autorità del suo nome suggellar cose di troppa più importanza che non é questa; ma non potrà cancellare un avverbio che Strabone ha creduto do- ( 289 ) STRADE E CIPPI verci mettere. Ed in fatti neppure il sig. Celesia lo ha cancellato. Riporta egli a pie’ di pagina il testo greco, il quale se dal lato della correzione tipografica lascia a desiderar qualche cosa (*) , non presenta alcun guasto sostanziale ; ma colla presenza del xàvTsO^fiv fa un curioso contrasto coir interpretazione del Cavedoni e colle proprie dottrine. Fra le traduzioni che corrono trovo esatta quella deir edizione di Basilea del 4 549 pel Veronese Guarino e Gregorio Trifernate, riformala poi e corretta da uomini dottissimi come , ce ne avverte 1’ editore Marco Hopper. Questa dice : et hinc per Derthonem. Meno esatta è quella di Guglielmo Xilandro nell’ edizione del Ca-saubono e quella del Didot, che hanno indeque Derthonem. (*) Perchè non si creda che io dica questo per celia, do qui un Eirnta Corrige che parla chiaro per sè. Errata Corrige OvroS 0 VT0Ç SGTÌv SGTÌv >' OÇ l 0 óàòv ó&òv Jf Yt TJ7V TCÒV — Aoùveov A ovvyç 2a/3/3ùCTG)V 2a/3$aTG5V xavreùàsv xânevbev Aep^-ovovç AspSœvoç oç sarebbe pronome relativo qui, in questo luogo invece si richiede l’articolo ò del participioaor. 1. crpcocas. Quel «, che è anche errato nello spirilo, qui non dee stare, perchè se fosse pronome relativo quae , vorrebbe il verbo espresso. Invece 1 articolo rhy è continuazione dell’ accusativo ò&òv e agisce, secondo l’indole della lingua greca, sopra un participio taciuto per elissi, come a dire $ict,Ba.ivovooLV. E per questo mi appello a chi ha dimestichezza colla lingua. Luna poi e Dertona sono state ben disgraziate. Nel primo nome vi è A invece di A, un accento grave nel-1 interno , œ e v per yìc, : in Dertona vi è o in luogo di a?, vi cresce una v e manca 1’ accento. 19 STRADE E CIPPI ( 290 ) Questa é arbitraria , contraria alla forza del ha,, è accomodata ad un’idea preconcetta, a cui si vuol far servire la traduzione. Eppure questi hanno conservato il xivra&v e sono andati dai Sabazii a Tortona. Ma quivi voleano giungere come a termine, e perciò il hit, non facea loro buon giuoco. Ma doveano riflettere che Strabone parlava a chi .sapeva che a Tortona facevano capo altre strade , specialmente la Postumia, e che perciò in lui stava bene dare al lettore soltanto la direzione per a Tortona. Conchiudiamo. Qui non ci é bisogno di essere profondi grecisti. Anzi un ignaro della lingua greca può giudicar la questione sul testo volgarizzato. Ci é o no T avverbio et hinc? Il metterlo o il tralasciarlo porta o no una sostanziale differenza? Dunque perchè monsig. Cavedoni lo sopprime? Poteva emettere l’opinione che quel-r avverbio non ci dovesse entrare , che ci fosse stato intruso ecc. 1 critici avrebbero per avventura trovato ingiusto il sacrificare un testo incolpabile ad un’ idea preconcetta, ma potea passare per un’opinione come un'altra, a cui avrebbe certamente dato peso il nome dell' autore. Ma mi pare che non avesse a chiamarsi letterale un volgarizzamento, in cui, senza aggiungere alcuna avvertenza, si faceva una soppressione così sostanziale. Lo stesso P. Spotorno sentiva il peso dell' autorità Strabo-niana, e cercava di declinarla dicendo che vuoisi più credere in cosa tutta nostra agli scrittori latini, che a Strabone scrittore greco, corrotto non poche volte dall' ignoranza dei copisti e dall' audacia dei traduttori. In questo modo egli esplicitamente confessa che Strabone è contrario alla sua dottrina. Le cose poi, di cui circonda questa preziosa e involontaria confessione , sono veramente inette. E dove sono , per amor del cielo, gli scrittori latini che parlano della direzione dell'Emilia? Noi li sentiremmo citar volentieri. I copisti hanno guastato ( 291 ) STRADE E CIPPI altri luoghi? Ma questo colla sua uniformità e colla perspicuità del concetto rimuove ogni dubbio. L’audacia dei traduttori? Ma che influisce mai essa sul testo ? Di questo anzi noi ci armiamo a combatter quella. Ciò poi che non giungo a comprendere è che dopo aver diffidato il lettore sulla sincerità di quel passo , egli conchiuda trionfalmente in queste parole : « Così le antiche memorie (quali?), la posizione dei luoghi » (che è appunto in quistionej, e il testo sincero di Stra-» bone , si trovano conciliate con quella unità che seco porta » 1’ evidenza del vero ». Ma questo benedetto testo è egli corrotto o sincero, secondo che lo leggiamo in tutte le edizioni? Se è sincero perchè screditarlo e rifiutarlo da prima? Se corrotto, come ha fatto a ribattezzarlo e come lo legge? Insomma anche i grandi uomi ni, quando hanno un’ idea fissa che vogliono far prevalere , s’imbrogliano anch’ essi. Una volta che sull’autorità di Strabone ci siam messi sulla via littorale , dobbiam dir qualche cosa intorno alle ragioni con cui il sig. Repetti la combatte. Comincia egli a indebolire quanto può Y autorità dei due monumenti che sono la Tavola Peutingeriana e l’Itinerario di Antonino. Io non credo che sieno tanto da disprezzarsi com’ egli vorrebbe far vedere, e i dotti tedeschi, che gli hanno di recente illustrati, cioè il Mannert per la Tavola P. e G. Parthey e M. Pinder per l’Itinerario, non sono del suo parere. Ma prendendoli per quel che possono valere e niente più , per quanto poco valgano , sono contro di lui in nostro favore, e cospirando col senso del Geografo Greco, acquistano anche forza maggiore. Ma nego che i due monumenti si distruggano , avendo già provato non esservi che una semplice omissione nell’ Itinerario , di cui si può supporre un probabile motivo. Qualche diversità poi nei nomi dei luoghi e nei numeri delle distanze non ha da far niente colla traccia della strada. STRADE E CIPPI ( 292 ) 'Se il Geografo Greco , quando disse che 1' Emilia da Luni va ai Sabazii, avesse aggiunto che passa per Genova, avrebbe ovviato ogni quistione. Ma egli credette che per indicare una linea bastasse nominare i due punti estremi. Ma sarebbe stato veramente ridicolo se facendo il giro che suppone il Sig. Repetti , avesse taciuto di tutte le altre terre e avesse nominato 1' ultima che confina coi Sabazii. L’ osservazione poi, eh’ egli fa sull’ asprezza del lido , parte da un pregiudizio. Quando diciamo via littorale , non intendiamo di dire che corresse sempre lungo la spiaggia del mare ; che anzi da qualche traccia apparisce che prendeva di preferenza i monti. Si dice littorale o marittima per contrapporla a quella mediterranea che si suppone correr su per Val di Magra. E con ciò cade Y obbiezione che cioè nell aprirsi dell’ attuale strada non si è rinvenuta traccia dell antica. È bensì vero che Strabone non nomina i Vadi ma solamente i Sabazii. Ma questo lasciando la libertà di prendere un luogo interno, la lascia pure per un luogo a mare. Or non ci è per noi questa necessità di scendere proprio sul lido. Anche la continuazione oltre i Sabazii vedremo che ora si avvicinava, ora si allontanava dal mare. Ragiona bene il Repetti mostrando che Scauro dovea amare una strada che su per vai di Magra lo conducesse all agro Parmense ove prosciugò paludi. Ma che Strabone non parlasse di questa si deduce da più d' una considerazione. Dopo d aver detto che Scauro bonificò quel terreno, avrebbe soggiunto eh’ egli tracciò una strada che colà conducesse. Invece rappre senta Y una cosa tutta staccata dalT altra dicendo : questi è quello Scauro che lastricò la Via Emilia. E poi per agevolare il passaggio dalT Etruria nell’ agro Parmense che bisogno ci era di andare a Tortona e ai Sabazii ? Vuol dire che da Luni air agro Parmense la strada vi era e probabilmente s'innestava ( 293 ) STRADE E CIPPI all’Emilia di Lepido a Piacenza e alla Postumia, ed egli fece quest’ altra per compiere il giro conducendola al mare, e volgendola ai Sabazii verso l’interno per congiungerla alle medi-terranee sopraddette. Ma vuoisi qui render ragione del sopra citato passo di Aurelio Vittore, che preso cosi assolutamente sembrerebbe contraddire alla teorica che abbiamo stabilito riguardo alle attribuzioni dei Censori. Abbiamo detto risultare dagli storici e dai monumenti che i Censori stendevano la loro ingerenza e le loro cure sulle strade che solcavano l’Italia propriamente detta : mentre nei paesi posti oltre i suoi limiti pensavano ad aprir nuove strade e a riattar le vecchie quelli che in esse regioni si trovavano con comando, cioè i Consoli, i Proconsoli , i Pretori , ec. Aurelio Vittore parlando di Emilio Scauro dice: Censor viam Aemiliam, stravit. Ma la risposta è semplicissima e da appagar chiunque non abbia idee preconcette in contrario. La via Emilia probabilmente s’innestava alla vecchia Aurelia, ma non si può dire a qual punto. Il certo si è che percorreva un lungo tratto dell’Etruria sotto il nome che le avea dato Emilio Scauro , come fanno fede indubitata i due monumenti che di sopra abbiamo recati. Ora il tratto che correva sino alla Magra, essendo in paese italico , era naturalmente sotto la giurisdizione Censoria, e perciò Emilio Scauro dovette condurla in tempo che sostenne una tal magistratura. Non così della sua continuazione al di qua della Magra, che appartenendo alle terre della Cisalpina, doveva cadere sotto 1’ autorità d’ altro magistrato. Questa strada dunque dovè esser fatta in diversi tempi, secondo i diversi poteri di cui fu successivamente investito questo Scauro. Ora qual maraviglia che gli storici posteriori riunissero in una sola espressione l’opera di anni diversi, essendone autore un solo e medesimo personaggio ? Si dice che Aurelio Vittore attingesse le STRADE E CIPPI ( 294 ) sue notizie a pubblici monumenti. Appunto: da alcuno di quelli che stavano nell’ Emilia Etrusca può aver derivato il tilolo di Censore che dà all’ autor dell’ Emilia. Ma quando pure si potesse provare (il che non credo) che Scauro tutta la conducesse come Censore, ciò formerebbe un' eccezione, e rimarrebbe sempre intatto il principio che abbiamo chiarito. Giunti o per una strada o per Taltra ’ai Sabazii , fa d'uopo che ci arrestiamo alquanto per sentire il P. Spotorno che di là appunto muove all* intendimento di regolare la serie delle mansioni che nella Tavola P. non corrispondono per la situazione ai luoghi coi quali presentano una certa affinità di nomi.* Se anche in questa, come nella precedente sua teorica, io non potrò esser con lui, io intendo che ciò punto non deroghi alla riverenza, al culto, per così esprimermi, eh' io professo alla memoria di queir uomo che abbracciando colla mente una vasta erudizione e col suo acume opportunamente applicandola, potè illustrare tanta parte di Letteratura, di Storia, di Archeologia, come fanno fede le molte e dotte sue opere, per cui tenne viva la tradizione e la scuola deir illustre O.de-rico. Ma piacendosi egli di riscontrare la sua nativa Albissola nell’ Alba Docilia della Tavola P. accettava da questa parecchi nomi di luoghi, benché rigettasse la traccia marittima del-r Emilia, Non solo io non voglio contrastargli una si innocente soddisfazione, ma anzi confesso di non poter essere coll' Oderico , quando nel citato luogo dice : « Io mi rido della fran-» chezza con cui Cluverio decide che Ad Navalia è Noli, » Vico virginis Varaze o Varagine, Alba Docilia Albissola ». E adduce per ragione che r ordine di questi nomi non corrisponde ai luoghi attuali che si fanno consonare a quei nomi. E conchiude : « Eppure non ostante che la cosa sia cosi » chiara, il Cluverio ha trovato dei seguaci; io non glieli » invidio e non mi lascio sorprendere da certe piccole somi- ( 295 ) STRADE E CIPPI » glianze di nome e su di esse non fabbrico sistemi ». Si : vuoici andar molto guardinghi, che non è impossibile prender dei granchi ; ma se ci è da ridere , riderei di quelli che fabbricano etimologie di nomi proprii sopra un cotale arrendevole etilico, che si presta cortesemente a qualunque parte lo tirino; ma la somiglianza del nome antico col moderno d' un luogo , o di un acqua , quando altre ragioni non ne facciano due cose a ei amente disparate , mi pare un dato da tenerne ben conto. E non sono dati preziosi per Y illustrazione della nostra Tavola di Polcevera alcune analogie dei nomi in essa registrati coi nomi moderni? Cosi ce’ne fossero in maggior numero, che meno controversa ne riuscirebbe Y interpretazione. Io dunque non negherò che Alba Docilia possa corrispondere all’ attuale Albissola ; ma non intendo che ci si abbia a giungere per quella strada che ci vorrebbe tracciare il P. Spotorno. Da Luni avendo egli , preso Val di Magra e descritto tutto T arco che porta quella direzione , scende verso i Sabazii e giunto nel territorio di Cadibona quivi pianta l’Hasta della Tavola P. ’ che . è la seconda mansione segnata dopo Genova verso Ponente. Da quel punto biforca la via in due rami, conducendo T orientale ad infilzare Alba Docilia e il Vico della Vergine, T occidentale a Vado e ad Navalia. « Se « noi vorremo immaginare, egli dice nel citato elogio di Gros-» solano , una linea condotta da Lavagnola a Vado e sopra w questa formare un triangolo che abbia il suo vertice sul » territorio di Cadibona, ci troveremo ad un ripiano sulla » vetta dell’Appennino che ritiene tuttavia il nome Pian de » l Astu presso gli abitatori di que’ monti. Asta poi non é » altro che Hasta luogo notato nelle antiche Geografie, e » nelle carte de' tempi longobardici : del quale il Durandi e » il Sign. Emanuele Repetti non seppero mai trovar la posi-» zione. La scoperta di llasta mi porge occasione di metter STRADE E CIPPI ( 296 ) » fine alla contesa della Via Aurelia, che tal nome le danno » Cicerone, Vopisco, Rutilio e i moderni Provenzali ec. ». In questo stesso Pian de l'Astu non riconosce soltanto Y Hasta della Tavola, ma anche il Castello del Vasto , da cui talora s’intitolarono i Marchesi Aleramici di Savona e delle Langlie. Ma che cosa ha da far qui T Aurelia? Questo nome fu sostituito a quello di Emilia ed alla sua continuazione oltre i Sabazii, prendendolo dal tronco che usciva di Roma ed a cui si innestava. Il primo tronco, cioè Y Aurelia propriamente delta prese poi il nome di vecchia, la sua continuazione quello di nuova. Ma Y andamento dell’Aurelia nuova è conosciuto per la Tavola Peutingeriana e per Y Itinerario, che concordano fra di loro , da quel tratto in fuori che è tra Genova e i Sabazii. Chi ha mai sognato un’Aurelia che da Luni salisse su per vai di Magra? E qual relazione stabilisce il P. Spotorno tra Y Aurelia e Y Emilia ? Abbiamo di sopra citato le sue parole, dove dice che Y Aurelia giunta a Tortona raggiungeva T Emilia che ivi terminava. Quale Emilia? Non quella di Lepido, la quale venendo da Rimini terminava a Piacenza. Piacenza poi si legava a Tortona per la Postumia. Avrebbe detto benissimo, se avesse detto questo deir Emilia di Scauro che dai Sabazii veniva a Tortona ; ma egli invece da Tortona scende colla sua Aurelia ai Sabazii. Il P. Spotorno descritto il suo arco mediterraneo, giunto a Cadibona ove pone Y Hasta divide la strada in due rami, conduce Y Orientale ad infilzare Alba Docilia e il Vico della Vergine, Y occidentale a Vado e ad Navalia. Ma come può egli far questo? Egli ricusa di seguir la traccia dell’Aurelia nella Tavola Peutingeriana e poi assume questi nomi che sono in essa notati lunghesso il lido. Qualunque sia Y autorità che si voglia dare ai due monumenti geografici, di cui parliamo, vuoisi pure osservare eh' essi sono consenzienti nel venire da ( 297 ) STRADE E CIPPI Acqui per Crixia e Canalico ai Vadi Sabazii e nessuno dei due incontra 1’ Hasta nel suo cammino. È arbitraria e gratuita la sua biforcazione , come arbitrario è il fermarsi al Vico della Vergine e non procedere oltre a Levante. Egli poi dall' Autore della Passeggiata ecc. toccò un frizzo che gli cosse fieramente. Il Sig. Navone traduce Pian de l’Astu in Piano dell’ Astore e conchiude che non è difficile persuadersi che « sulle cime dell’ Appennino si trovino piuttosto » degli uccelli da preda, che delle antiche città ». (Let. vi.) Io non crederei al tutto fuor di ragione che altri si valesse di qualche analogia tra nomi antichi e moderni per meglio ordinar la serie dei luoghi che son notati nella Tavola, potendosi supporre che in tanta farraggine di nomi ne sia stato in alcuna parte alterato 1’ ordine. Ma non so chi potrebbe consentire che da questa serie descritta lungo il mare si prendesse arbitrariamente un luogo per collocarlo sopra una vetta dell Appennino, o che di una linea sola se ne facessero due. Sulla parola del P. Spotorno (almeno io suppongo) si è fondato il Zuccagni Orlandini per tracciare questa biforcazione dell Aurelia sulla carta deir Italia antica neir Atlante della sua Corografia. E non meno gratuita è nel P. Spotorno la supposizione che Pian de V Astu , oltre d’ essere stato 1’ Hasta dei Romani, fosse anche V Aste e il Vasto dei tempi feudali. Già il Durandi nel Piemonte Cispadano (Ar. iv.), da due Diplomi, l’uno di Ottone i, 1' altro di Enrico il Santo, avea constatata 1’ esistenza di un luoso nella Diocesi di Savona detto Aste, 0 che senza precisarne la posizione, riguardava per l’Hasta dei Romani. Abbiamo veduto con qual franchezza il P. Spotorno ne determina il sito e come vi trova anche il Vasto dei tempi feudali. Che dal latino Hasta possa esser venuto Aste colla soppressione dell’ h, sia : che Vasto passi in Guasto , anche STRADE E CIPPI ( 298 ) questo s'intende ; ma che nei medesimi secoli Aste si abbia da prender per Vasto , questo non mi par ragionevole. Inoltre se Vasto fosse stato castello di potenti Signori, come si sarebbe detto in Aste curticella una, giusta l'espressione di uno dei citati documenti, senza Y aggiunto di castrum ? E questo trovo che si praticava ordinariamente. E dov' era questo castello ? Chi ce ne addita le reliquie , come di tanti altri appartenenti a quella famiglia, che incoronavano i colli delle Langhe ? Chi potrebbe provare che Vasto è nome di Castello? Io vedo che per lo più assumono questo titolo in Germania diversi soggetti della casa di cui parliamo, e V assumono collettivamente. Questo mi farebbe credere non essere stato nome di luogo particolare, sì bene una denominazione generica che competesse ad un gran tratto di paese, forse venuto dalla desolazione prodotta da un’invasione saracenica. Forse per tal motivo Ottone aveva investito in Aleramo tanta estensione di paese, perché probabilmente poco ve n’ era da cavar partito. Ma ciò non é altro che una semplice congettura e V origine di quel nome rimane ignota dopo la scoperta del P. Spotorno, com’ era prima. Ho già detto come riconosco il servizio che può rendere 1’ analogia dei nomi ; ma ho pur detto che di grandi precauzioni vuoisi cicondare chi voglia far uso di questo criterio e non esporsi al pericolo di errare. Fa maraviglia che un uomo di tanto merito come il P. Spotorno per un preconcetto giudizio si lasciasse prendere ad una semplice somiglianza di suono e si vantasse sul serio di un' inezia come di una grande scoperta: nominando con tuono di compassione il Repetti e il Durandi : 1’ uno dei quali gli avea servito di scorta a tracciar la sua Aurelia, l'altro a trovar Y Aste del Medio Evo. Ora prima di passare innanzi, dobbiamo dare ancor un'occhiata al tratto, che abbiamo lasciato indietro , a partir da ( 299 ) STRADE E CIPPI Luni, per vedere se lungo lo stesso v* abbia di quella fatta monumenti, che sono appunto oggetto delle nostre ricerche. Disgraziatamente ve n’ ha tal penuria, che poco manca a una totale miseria. Appena in sì lunga traccia abbiamo due iscrizioni migliari , una di Luni esistente soltanto in copia , T altra in Genova sul sasso originale, ma entrambe di tempi assai bassi. Cominciamo da quella di Luni, registrata al N.° 208. Questa fu comunicata al Muratori come esistente a Nocchi nel Ducato di Lucca : il Targioni alcuni anni dopo disse trovarsi a Cama iore. 11 Muratori (1055.3) dopo averla assegnata all anno 3 o al seguente aggiunge : « Marmorarii inscitiae fortassis tri » buendae erunt voces aliquot heic perperam scriptae ». Quel fortassis non mette in dubbio se sia o no malamente scritto CAESAERIS o due varianti che vi sono cioè dne invece di dno e dive invece di divi ; ma a chi di questi errori si debba at tribuire il vanto , ed egli dubita in favore del marmoraio. Al Sig. Promis spiace quel D alla sesta riga siccome quello che hassi a spiegar per divo, titolo fuor di proposito ad un imperator cristiano specialmente ancor vivo, e perciò propone di aggiungere un N per leggere Domino nostro, come e nella prima riga. Noi osserviamo che anche il solo D si ado pera nel significato di dominus, e siccome ali’ 11 .a riga si vede dno senza nostro , così ci pare che dove è D si possa leg gere domino senz’ altro. L’ osservazione sul titolo di divo pei gl’ Imperatori cristiani (morti s’ intende) è giusta, ma ciò non toglie che 1’ adulazione e il paganesimo, in quel tempo ancora vivente, non lasciassero talora sfuggire un titolo adoperato per tre secoli senza risparmio. In quella stessa epigrafe migliare pubblicata dal Chimentello, a cui il Sig. Promis rimanda il lettore, vi è ben due volte e in tutte lettere il titolo dim al morto Valentiniano i. 11 medesimo Chimentello non ci trova STRADE E CIPPI ( 300 ) difficoltà : « Uterque (Graziano e Valentiniano 11.) hic nomi-» nantur mortuo jam parente , quem divi titulo ex more in-» dicant ». (De hon. Bisel. 42). E qui per comodo del lettore riferiamo per esteso l’iscrizione imp • caes • d • nro fi valenti PIO • FELICI • SEMP • AUG IMP • CAES • D • N * FL • GRATIANO PIO • FEL • SEMP • AVG DIVI VALENTINIANI AVG • FILIO IMP • CAES * FL • VALENTINIANO PIO FELICI SEMPER AVG \ DIVI VALENTINIANI AVG * FILIO CIVIT • PISANA MP IIII. Non possiamo poi convenire col Sig. Promis che il primo nome del migliano Lunense si debba correggere di Valente in Valentiniano. Egli dice che Valente era Imperator d’ Oriente e perciò non aveva ad esser posto in un migliano d’Occidente. Noi facciamo osservare che la divisione di Oriente e d' Occidente fatta da Valentiniano i nel 364 non portò una separazione tale di cose da costituire due Imperi distinti. A lui piacque decorare suo fratello del titolo di Augusto e assegnargli r Oriente da governare ; ma si continuò a riguardar come un solo T impero. Abbiamo infatti monete di Valentiniano i ove si legge victoria avgg cioè dei due Augusti. Si vegga il Miónnet (Med. R. t. 2. p. 311.). Tre anni dopo (367) dichiarò Augusto suo figlio Graziano e perciò abbiamo monete dello stesso Imperatore, in cui si legge victoria avggg [va9-312) e feliN; adventvs avggg, Gioè dei tre Augusti (p. 208). Questo prova che intendevano in certo modo di regger tutto ( 301 ) STRADE E CIPPI l’Impero in solidum. E il Chimentello cita costituzioni dei codici Teodosiano e Giustiniano dei tre Augusti Valentiniano, Valente e Graziano. E per dare anche un saggio fra i molti esempii che si hanno dall’ Epigrafia , citeremo la seguente inscrizione che si legge alla p. 164. 3. del Grutero. DDD • NNN • VALENTINIANI • VALENTI S • ET GRATIANI • PERENNIUM • AVGVSTOR vm etc. Si hanno poi monete di Valente, Graziano e Valentiniano ii in cui si vedono le solite sigle ddd. nnn, oppure avggg. Il primo triunvirato adunque di Augusti, a così esprimermi, fu in questa famiglia, di Valentiniano i, Valente e Graziano: il secondo fu di Valente , Graziano e Valentiniano n. Sarebbe dunque errato il marmo se, come vorrebbe il Sig Promis, si vedesse in capo Valentiniano dov’ è Valente. Ma ciò che mi fa dubitare delf autenticità di questa lapide è il vedere certe incongruenze che non saprei come spiegare. Se fosse un solo mi gliario non avrebbe per ben tre volte ripetuto quel civit • lvn o lvneì*, e se fossero tre , come si spiegherebbe che ciascheduno porti un nome d' Imperatore diverso ? Noi vediamo che nei pubblici monumenti si univano tutti e tre insieme siccome signori in solidum deir Impero ; e quelli in cui è nominato un solo, non possono essere stati innalzati se non nei luoghi soggetti all’ amministrazione particolare di quello. Ora Valente e Graziano non ressero l’Italia, ma il primo V Oriente, r altro le parti più occidentali del-l’Impero , la Gallia, le Spagne ecc. in Italia regnò Valenti-tiniano ii. Dunque i migliarli, se fossero separati, non potrebbero essere sinceri. E poi com’ è che in nessuno dei tre luoghi è segnato il numero delle miglia? Ci è molto da so- STRADE F. CIPPI ( 302 ) spettare che sia un’ imitazione o sconciatura di quella di Pisa per applicare a Luni il pomposo titolo di civitas. Infine, qual ch'ella siasi l’iscrizione, il motivo per cui il Muratori Y assegnò all’ anno 376 o al seguente, dovette esser questa , che i detti tre nomi non si possono trovare insieme prima del 375, perché solo in quest’anno mori Valentiniano i: e non dopo il 378 perché in quest' anno mori Valente. Essendo dunque il 375 e il 378 i due punti estremi, entro i quali si possono trovare i tre Augusti Valente, Graziano e Valentiniano ii, il Muratori assegnò l'iscrizione al 76 o 77 clic son di mezzo fra i detti estremi. Il secondo monumento di questa specie, come abbiamo detto , esiste in Genova e precisamente nella Cappella di S. Limbania che é sotto la Chiesa di S. Tommaso. Non è nostro uffizio far la descrizione di quel sotterraneo tempietto, appartenendo questo alle Guide artistiche, e perciò noi rimandiamo chi ne fosse vago a quella del valente nostro Socio il Cav. Fed. Alizeri. Solo dobbiam notare che questo santuarietto è diviso per mezzo da un corso di cinque colonnette e due pilastri , che reggono il basso e pesante volto , e che 1’ ultima di queste colonnette più grossa delle altre, é un rocchio di marmo bigio venato rassomigliante al bardiglio carrarese, rotto nella parte superiore in modo che la prima riga (se pur può dirsi assolutamente la prima) é alquanto intaccata dalla rottura. La Gazzetta di Genova nel 1836 n. 47 la pubblicò nel modo seguente. MDC • AED STIVAIs CONS TANTINO PIO FEL3 INVICTO AVG ( 303 ) STRADE E CIPPI Ma siccome questa lezione non mi pareva molto soddisfacente , volli vederla sul marmo e potei constatare in compagnia del Can. Grassi che senza dilìicoltà si può leggere come la registro al n.° 209. Alla forma del marmo par benissimo che fosse un cippo migliare ; ma come tale dovrebbe , secondo 1’ uso comune, presentare alla fine il numero delle miglia. È vero che non é senza esempio la collocazione di esso numero in testa all’ epigrafe , e basti per ogni altro il milliarium aureum notato in fronte coll’ i. Le prime lettere di questa iscrizione a prima vista risvegliano T idea di un numero ; ma più d' una ragione c’ induce a credere che non sia. In primo luogo a venir da Roma a Genova siamo troppo lontani dal raggiungere una cifra così alta come sarebbe il 1600. In secondo luogo al numero delle miglia si suol premettere nella stessa riga m p millia passuum. Finalmente quel primo posto vuoisi lasciare al titolo di Imperatore , e perciò si può credere che si sia perduta la traccia dell’ i e che quel d sia piuttosto un p e che cosi si abbia 1’ abbreviazione di imp. A conforto di ciò vuoisi osservare che i caratteri sono piuttosto grafiti che incisi, e la loro forma é tutt’ altro che bella e regolare. Bisognerebbe dunque supporre che se questo monumento portò indicazione di miglia, questa fu in quella parte superiore che andò perduta. Se poi non fu un cippo migliare, la sua forma non lascia congetturare che cosa potesse essere. La Via Aurelia dopo i Sabazii continua nella Tavola P. e nell’ Itinerario di Antonino a percorrere il littorale Ligustico sino alla Gallia nominando presso a poco le medesime mansioni. Siccome questa strada p.r .rngo tratto è muta, noterò qui in qual modo il Sig. Fortia d’Urban, coadiuvato nella misurazione delle distanze e nel disegno delle carte dal Colon- STRADE E CIPPI ( 304 ) nello Lapie, traduce in nomi moderni i luoghi notati nella Tavola Peutingeriana, accomodando al suo scopo i numeri delle miglia in essa segnati. Dov’ è notato aci Figlinas xxvn, taglia le due xx e scrivendo 7 miglia vi trova Pegli. In Hasla supponendo che il v sia stato cambiato in x (cambio a dir vero facilissimo , come anche il suo contrario) invece di xm legge vin e vi riconosce Arenzano. In Navalia pone Invrea lasciando intatto il numero vii segnato nella Tavola. Riconosce Albissola in Alba Docilia e pratica per questo luogo la medesima riforma accennata in llasta di cambiare l’x in v, onde ridurre il xm in vm. Riduce parimente Yx di Vico Virginis in v e vi riconosce Legine: donde procedendo per quattro miglia va a posarsi a Vadis Sabatis o Porto di Vado, per cui ha bisogno di fare al tutto scomparire il v dalla distanza segnata nella Tavola in vini. Io non dissimulo che in questo procedimento possa apparire una specie di petizione di principio, cioè che i nomi si tirino per accomodarli alle distanze, e che le distanze servano di fondamento al ragguaglio dei nomi. Io non intendo di star pagatore di questo metodo : soltanto ho riferito 1' opinione di questo Aulore come avevo riferito quella degli altri. So anch’io che se l’una delle due cose fosse bene accertata , l’altra ne acquisterebbe tal luce che ne uscirebbe dimostrata. Ma allo stato in cui sono le cose , bisogna contentarsi di andar tentoni per 1’ una e per 1’ altra. Or se questa strada per lungo tratto , come abbiam detto , è priva di monumenti letterati; ci porta poi a que' luoghi che sono notabili per molti cippi migliari che vi si sono trovali, alcuni dei quali ancora piantati nel posto che era stato loro primitivamenle assegnato. Ma le memorie che alcuni di essi portano in fronte, parlano abbastanza chiaro per potersi affermare che in alcuna parte 1’ Aurelia si dovea. congiungere ad un’ altra strada che veniva dall’ interno e sj fondeva in essa. ( 305 ) STRADE E CIPPI Fra i cippi di questa regione ne abbiamo tre che concordemente c’ istruiscono come Y Imperatore Adriano dopo il suo terzo consolato , nell’ anno ix della tribunizia podestà (il che vuol dire Tanno dell’E. V. 125) ristorò la Via Giulia Augusta scaduta per vecchiezza , a cominciare dal fiume Trebbia. Sei pietre parimente vi sono che portano il nome di Cesare Augusto, tre delle quali presentano Y anno xi della tribunizia podestà, cioè 741 di Roma = 13 av. G. C. il qual numero nelle altre è perito. Ora- se queste sei ci dicono che Augusto creò una via o almeno vi fece tali miglioramenti da potersene chiamare autore, le altre ci dicono che le diede il nome, dalla Trebbia almeno, fino ai luoghi illustrati dalle dette pietre letterate. Dico almeno dalla Trebbia, perchè da questo fiume cominciavano i ristori di Adriano che ci istruiscono di quella denominazione, ma essa poteva muovere da più alti principii. Nulla di più naturale che Augusto facendo erigere nell' Alpe summa un monumento così magnifico ed insigne, come indica lo scheletro ancora esistente , che va sotto il nome di Turbia, facesse anche una strada che vi conducesse e portasse il suo nome. E qui non posso a meno di stupire deir asseveranza con cui David Rertolotti, nel suo Viaggio nella Liguria Marittima , sostiene leggersi nelle citate iscrizioni Viam Aemiliam invece di Iuliam Augustam e a flumine Retubia in luogo di a flumine Trebia. E ne rimprovera aspramente il MafTei per aver letto in quel modo, e Y Oderico per non aver corretto il Maffei. L’ insigne Archeologo Veronese non la copiò egli stesso dal marmo originale ; ma a lui la trasmise il Ricolvi, che è autore insieme al Rivautella dei Marmora Taurìnensia : il che prova che sapeva leggere. Il Ricolvi non solo la lesse , ma fu quegli che scoprì quella notata al n.° 223 e le altre ai numeri 215. 222. 224. L’ iscrizione del n.° 218 fu scoperta dal Sig. Boileau Cavaliere inglese, quasi sepolta nella 20 STRADE E CIPPI ( 306 ) (erra e rolla in tre pezzi, che per cura e a spese del dello a\a icre fuiono portati nella biblioteca di Nizza e racconciali con calce affine di sottrarli ad una totale distruzione. Di tanto informa il Conte Giuseppe Anseimo Uarione Spitalieri di Cessole in un articolo Sull3 iscrizione e monumentò della orbia e parecchi cippi miliari (Atti deir Ac. di Torino 1853. ber,e u^* ® questi r ha veduta e studiata, come po-Ììe ^aie c^^unque ne avesse voglia: il che non par che a bia fatto il Sig. Bertolotti. Anzi il medesimo Sig. Conte di tesole compi la terza di questo genere V. n.° 221. Questa fra stata scoperta dal detto Cav. Boileau ed era stata parimente portata nella biblioteca di Nizza, ma le mancava l'ultima riga. Il Conte di Cessole ebbe la ventura di rinvenire il pezzo mancante, cui fece unire al resto. Quest'ultime due confermano quella prima, scoperta dal Ricolvi, che fu lasciata, a che Pare> nel suo luogo primitivo. Dunque noi possiamo tener per certo quella via un tempo aui avuto il nome di Giulia Augusta. II Maffei osserva che strabone, Dione, le monete, i marmi c'insegnano avere Augusto speso molta opera e danaro a lastricare e riattar vie ; ma che ninno nominò mai la Via Giulia Augusta. Con tutto ciò sull autorità di queir unico marmo, di cui ebbe contezza, si acconciò a riconoscerla. A ciò non seppe acconciarsi il Ber-lolotti, dicendo che il Maffei vi avea fatto sopra uno strano ' omento. Io troverei più strano il veder dato il nome di Emilia a quel tratto di via, ove né Lepido, nè Scauro , né altri della gente Emilia si è mai inteso che vi facesse piantare una 'anga. L Orelli e 1 Henzen ammettono senza osservazioni la Giulia Augusta e la Trebbia. Ci si chiederà ora in qual punto la Giulia Augusta si con-Mungesse con quella linea, di cui una parte avea portato il 1 )III( di Emilia e che si congiungeva con quella a cui si ( 307 ) STRADE E CIPPI sovrappose poi quello di Aurelia insino alla Gallia Tra salpina. Prima di venire ad una conclusione , bisogna .mettere m sodo un allro fondamento. 11 Conte di Cessole si fa 1 interro gazione : Da qual punto della Trebbia moveva la Giulia gusta? E con ragione rileva doversi prender lume dal nume delle miglia segnate nei nostri cippi , il quale è cosi a.io .il suo necessariamente ci porta a conchiuder.e aver esso cominciamento in Roma. Bisogna dunque trovare un lio di via che parta da Roma e venga alla Trebbia e che prò gandosi fino ai luoghi delle dette pietre migliari, a egi numero in esse segnato. 1 primi cippi notati del numero delle miglia che si andando da Levante a Ponente sono i due che si conser <. in Ventimiglia , che sono stati trovati in quei dintorni presentano entrambi il 590. Ora prendendo da Roma a minia, questa ci porta per miglia 221 a Rimini. Da i ci porta a Piacenza, cioè alla Trebbia, 1 Emilia di ep da Piacenza a Tortona la Postumia. Da Rimini a ^ sono miglia 224 : da Tortona finalmente a Ventimig ìa • in tutto 582 miglia. Or vi è bensì un divario di otto g ma in un tratto così lungo non vuoisi contar ^61 ^men_ amanuense che scriva v invece di x e che qui e tichi per tre volte V unità i, è facile a concepirsi, spiegata con tutta probabilità la differenza m meno^ ^ ^ inesattezze è pieno l’itinerario, ei 'gi Ventimiglia e constatato una nella piccola distanza eli ‘ . Turbia. Qu„.,a ohe è i mentre i cippi non ne segnano che * c . stanze fatto sulla faccia dei luoghi ha dato ragion grafi migliari. si a(Wuce la A rincalzo della dottrina del Sig. < STRADE F. CIPPt ( 308 ) 4 testimonianza di Svetonio che ci fa sapere come Augusto, assegnate ad altri altre strade da ristorare, tolse per sé la Flaminia sino a Rimini. Più tardi volendone costrurre una che conducesse al suo monumento delle Alpi e quinci in Gallia, è probabilissimo che desse cominciamento alla numerazione mettendosi per quella via eh’ era stata da lui ristorata, continuando pei quei tronchi che esistevano ab antico e forse aprendo, almeno come strada militare Romana , il tratto che dai Sabazii conduceva alla Gallia. Messo pertanto in sodo che dopo i ristauri di Augusto i tronchi della Postumia da Piacenza a Tortona e deir Emilia da Tortona ai Sabazii aveano preso la denominazione generale di Via Giulia Augusta e che con questo nome continuava per alle Gallie ; ora fa d’ uopo di ripigliare il corso di questa strada al punto in cui l'abbiamo lasciata cioè ai Sabazii e procedere verso Ponente. E qui subito fra gli eruditi si manifesta una notabile divergenza. Altri vogliono cercare questa Giulia Augusta, detta poi Aurelia, a mare, altri dentro terra, lo credo che la più cauta opinione sia che corresse ora più vicina, ora più lontana dal lido secondo le accidentalità del terreno. Infatti sappiamo da Strabone che i Romani obbligarono i Liguri a lasciar libera una zona di terra di un miglio e mezzo per tracciarvi una strada. Or questa larghezza indica appunto che la natura, del littorale tutto frastagliato di promontorii , di seni, di roccie li consigliava a doversi tenere or presso or lungi dal mare. Il Conte di Cessole dice di non aver esaminato i luoghi sui luoghi stessi se non da Nizza fino a Turbia; ma di essersi proculate esatte informazioni del resto da persone competenti in tali materie. Ora siccome osservo che le notizie del Cessole sotto sopra consuonano con quelle della Passeggiata del Sig. Giacomo Navone, vuoisi perciò anche far debitamente caso di queste. ( 309 ) STRADE E CEPPI La prima mansione che s’incontra procedendo da Vado a Occidente nell' It. di Antonino, omessa dalla Tavola Peutingeriana, è Pullopice. Simler , Wesseling, Mannert vedono in Pullopice Finale: Reichard , Lapie , Walckenaer vi vedono La Pietra, terre per altro non molto discoste fra loro. Pel Walckenaer Finale corrisponde alT antico Ad Figlinas. Il Navone consente che Pullopice fosse in que' dintorni , ma più dentro terra , perchè , secondo i suoi calcoli, colà portano le distanze segnate. Dal veder questo nome taciuto nelia Peutingeriana argomenta che quando questa Tavola fu compilata, quel paese, o stazione o mansione che fosse y avesse cessato di esistere, e che perciò la moderna Finale si debba riguardare per tut-t’altra cosa. Jacopo Durandi nel suo Piemonte Cispadano, art. iv, fondandosi sulle distanze notate nell’ Itinerario, rileva che così le otto miglia segnate tra Albenga e Pullopice, come le dodici tra Pullopice e Vada ci portano a due miglia e mezzo a occidente di Finale e che perciò Pullopice vuoisi ricercare non in Finale, ma presso la terra di Borzi sul torrente chiamato Fiumana di Borzi. Albingauno è un punto certo. Quinci par che salisse il colle tra Occidente e Settentrione sopra la cresta detta la Rama, donde torcendo a sinistra seguiva una convalle, in cui si trovano ancora tratti di antico selciato in pietra quadra, che conduceva al monte Tirazzo o di N. Signora della Guardia sopra Alassio , ne percorreva la cresta e andava a discendere sulla riva del Merula passando presso il castello d' Andora. Varcalo il Merula per un ponte nel luogo di S. Gio. Batta distante due miglia dal mare, saliva il monte che forma il capo del Rollo , scendeva nella valle del Cervo, continuava per Villa Faraldi , presso cui trovansi una fontana ed un ponte di costruzione Romana, veniva a Diano S. Pietro, attraversava il ponte dell’ Eveno, i cui pilastri sono di costru- STRADE E CIPPI ( 310 ) zione saldissima ed evidentemente Romana e metteva a Diano Castello. In questi dintorni in un luogo nominato la Chiappa, dipendente dal Comune di S. Bartolommeo del Cervo , fu trovala la prima pietra procedendo in questa direzione (la levante a Ponente. Non lungi dii questo punto ricompariscono le traccio della Via Romana e poco dopo s'incontra un fonte di forma Romana, stato poi ristorato. Vi è tradizione, ci dice il Conle di Cessole , di uno scoscendimento e se ne vedono le traccie. Allora dev’ esser caduta questa pietra migliare che fu portata alla non lontana chiesuola di S. Giacomo. La pietra pertanto di cui parliamo è quella registrata al n.° 210 la quale, benché pregiudicata dal tempo, presenta chiaro il nome di Augusto e porta il numero delle miglia dliii. Il numero deir acclamazione imperatoria e quella dell non dovea certamente trascurare di tener presso di sé un esatto registro di tutte queste cose. Io non so quanto valore possa avere la testimonianza di Etico , scrittore del iv secolo, il quale afferma che sotto il Consolato di C. Giulio Cesare V e M. Antonio (710 = 44) si cominciarono a misurare le distanze da luogo a luogo. Nomina i matematici che furono deputati a questo, specifica come si divisero le regioni , e il tempo che ciascuno impiegò a lavorar la sua parte. Il lavoro subi delle interruzioni : fu fatto ripigliare da Augusto. È vero che questi particolari non si trovano in autori contemporanei; ma questi potevano esserci al iv secolo e non esser pervenuti a noi. L'inventare tanti particolari in cosa che non gli poteva essere d’alcun prò, non si presenta molto probabile. D'altra parte sappiamo da Strabone (lib. iv.) e da Plinio (H. N. in. 2) che M. Vipsanio Agrippa, oltre le strade che apri o migliorò petmintf uta^ip£i2iîina fS(frs ^a?l ( m ) STRADE E CIPPI in Gallia , fece rappresentare nel suo portico 1 Itinei ario uni versale profittando , non vi può esser dubbio , del lavoro dei precedenti misuratori. Pertanto la rappresentazione grafica della terra si desunse dai registri dei luoghi e delle rispettive di stanze : e questa alla sua volta, esposta com era agli occhi del pubblico , fornì la comodità, a chi volle profittarne , di desumerne itinerarii generali o parziali, o di riprodurre pai i mente in parte o in tutto la stessa rappresentazione, sia per comodità dei governanti, sia per istruzione della gioventù. E poi naturale e ragionevole che nelle successive riproduzioni si praticassero quelle modificazioni che erano suggerite dalle mutazioni che coir andar degli anni aveano luogo. Queste modificazioni han porto occasione agli eruditi di sottilmente indagare e di accertar con plausibile probabilità il tempo a cui si possono richiamar que’ due monumenti, nell’ atto stesso che il fondo si riconosce proveniente dall' antichità. Allora non aveano certamente Y arte di rappresentare la terra com’ è ; ma quando pure Y avessero avuta, un porticato che si estende in lunghezza non ha altezza proporzionata a tal fine : e quando si volesse supporre una parete ad hoc, quella rappresentazione non sarebbe stata di alcun uso , perchè la parte accessibile ai riguardanti avrebbe offerto il Sahara , che era la parte più meridionale del mondo conosciuto allora : il resto sarebbe riuscito così alto, che la vista non avrebbe potuto arrivarci. Dell’ esistenza poi di membrane in cui era descritta, come che fosse , la figura del mondo , si hanno negli scrittori antichi così chiare testimonianze, che sarebbe follia il rivocarlo in dubbio. A noi basterà aver ciò accennato di passaggio ; da che non è nostro proposito trattar esprofesso di questi monumenti , ma questo tanto abbiam creduto di premettere alla citazione dei tratti che nell'uno e nell altro monumento ci i iVto » 4 A HHCTOv > ***. m À. a fcl i WlM tm klVIf HEMMRINO- r-f AT» jdfvC.Ç V/| Ì M' mmON I *• r R O’L OW M llhA\ilL\VM-IV fiOK ^LTO'IN-AJAiüTEâi » CuUO 1 klHJT\J MA MfW |Vfc* 1 .E IV rm FM VJt' j IMVi Wyc’ivl MpïV^-|NFPN΀M-tf ■ - * ^ ^ g^^ig itì^VA GP>NLl cvîwT Mifr^WS'INf®PLKV^ÇÉ^^M-9EN7>INANOSS(NCjyLOJVlÇ^cccciS£llAHûEHSE5*FAM'?E^N|AMNONj^'^TNPWE5ATfS f^\ENTARBIT^^^GEKNATlVM^®&tERO£^EN5ÊSVjO^NoMHAT^oSEpVSPAMP|aYNIAMAC|PlAWTT^^s in b dicto Jer.o in 150 ». XV D XIII « Item ea pro Bapta testana Sindaco pro expnis per eum factis» » P dicta w nonas in ratione p eum data sub die X may comp1^ pictoris * pro dicto Dapsta de 42 ». XIII1 D X\ TAVOLA DI POLCEVERA ( 364 ) IL La semplice esposizione della scoperta di questo monumento Ma per se a eliminare qualunque sospetto che altri potesse muovere sulla sua autenticità. Io non credo che sia stata mai pugnata da alcuno scrittore: mi è bensì occorso d’intendere ne e nostre accademiche discussioni lanciare in mezzo, benché mi amente, qualche dubbio intorno ad essa. Ad ovviare il caso atri in alcun tempo si periti a riconoscerne la veracità, ennerò i principali caratteri che saldamente la costituiscono e a anno splendidamente risaltare. n » e a vanità o la cupidigia sono le cause che partoriscono e archeologiche imposture, sfido a trovar l’ombra dell’una o altra nel Pedemonte scopritore di questa Tavola. E ciò basta P ^ sé a chiuder la bocca ai più schizzinosi; ma oltre a questo, a frittura, I ortografia, la lingua, la sostanza dell iscrizione, 7 Jn somma collima a mostrarla del tempo. ei la forma delle lettere abbiamo il vantaggio di poter con-lontare la nostra iscrizione con un’altra incisa parimente sul neta o, anteriore di 70 circa anni alla nostra, vogliam diro il amoòo dee/ eto del Senato Romano sui. Baccanali, scoperto nel g o di Napoli nel 1G40 ed ora esistente nel Museo Imperiale 1 ^enna. Basta mettersi sott’occhio il facsimile delle due e per riconoscere nella seconda un certo sensibile migliora-en o nella forma delle lettere, benché nel tutto insieme carneo una tale rassomiglianza da ravvisatisi la tradizione, a resci J?1™8™’ ^ metodo e del gusto nell* incisione cancelle-di nn rozza età. J| Rudor/ï opina che dei Ire esemplari e il terzo *eCre^° Jncj'S1' ^ uno Per Roma, l’altro per Genova, Pi Veturii, quest ultimo fosse meno degii altri ac- ( 3G5 ) TAVOLA DI POLCEVERA curatamente inciso. Quello che abbiamo non può altro essere che il terzo, siccome quello che fu ritrovato in Polcevera, ove appunto abitavano i Yeturii. Confrontando poi ambedue le Tavole colle iscrizioni alle tombe degli Scipioni, le quali sono le più antiche lapidi Romane che ci rimangano, noi vediamo che il Senatusconsulto sta veramente di mezzo tra quelle e la Tavola nostra, non solo quanto al tempo, ma anche quanto alla forma grammaticale delle parole. E qui vuoisi avvertire che .finora si era ritenuto da tutti senza un dubbio al mondo che quella di Scipione Barbato fosse la più antica, e che l’altro Scipione, appunto perchè-è detto figlio di Barbato, fosse figlio di quello. Si osservavano, è vero, maggiori arcaismi nella seconda che nella prima; ma questo si attribuiva ad un capriccio dello scrittore dell’epigrafe, che avesse affettato un colorito di masojiore antichità che non portava il suo tempo. Ma il Can. Grassi in una delle note apposte all’ orazione che recitò nella sua aggregazione alla Facoltà di Belle Lettere, rilevò con buone ragioni che la più arcaica dev esseie la più antica delle due, e che il solo motivo che avea consigliato il contrario, cioè Tesser il soggetto di questa chiamato figlio di Barbato, non provava che fosse proprio figlio del soggetto del-1’ altra lapide, non potendosi provare che quello fosse il primo di quella gente ad avere un tal soprannome, che fu comune anche ad altre genti. Arreca poi altri argomenti che mi sembrano concludentissimi; ma io non terrò dietro al suo iagionamento, perchè ciò mi devierebbe dal mio proposito: anzi messo il let tore su questa avvertenza, lascerò le cose nell ordine che fu tenuto finora, siccome quello che è a cognizione di tutti; tanto più che al mio scopo non fa nulla la priorità dell’ una sopra 1’ altra iscrizione. La brevità di questi documenti non apre un vasto campo a confronti; ma quel poco che se ne ricava, dà una sufficiente TAVOLA DI POLCEVERA ( 3()6 ) idea delle relazioni che passano fra gli uni e gli altri: anzi se nella loro ristrettezza provano l’assunto, la verità ne risulta anche più evidente. E attesa la loro brevità le riportiamo qui per esteso acciocché il lettore, che non le avesse altrove riscontrate, possa prenderne facile cognizione. Ci duole di non poter fare altrettanto del Senatusconsulto sui Baccanali, perchè ci porterebbe troppo per le lunghe. Chi fosse vago di vederlo lo cerchi nei Supplementi del Poleno al Grevio e Gronovio, ove alla pag. 908 del I T. ne troverà il facsimile, o meglio vada a riscontrarlo nei facsimile del Ritschl alla collezione del Mommsen, a cui pure rimandiamo il lettore per le seguenti: CORNELIVS . LVeiVS . SCIFIO . BARBATVS . GNAIVOD . PATRe PROGNATVS . FORTIS. VIR. SAPIEÎYSQYE. QVOIVS . FORMA • VIRTVTE . PARISVMA F VIT . CONSOL . CENSOR . AIDILIS . QVEI . F VIT . APVD . VOS . TAVRASIA . CISAVNA SAMNIO . CEPIT . SVBICIT . ODINE . LOVCANA . OPSIDESQ^E . ABDOVCIT HONC • OINO * PLOIRVME • CONSENTIONT • R..... DVONORO * OPTIMO • FVISE • VIRO LVCIOM • SCIPIONE • FILIOS • BARBATI CONSOL • CENSOR • AIDILIS • HIC • FVET • A..... HEC • CEPIT • COBSICA • ALEBIAQVE * VRBE DEDET • TEMPESTATEBVS AIDE * MERETO ( 3G7 ) TAVOLA DI POLCEVERA Oia il meglio che per noi far si possa, è di offrire una tavola sinottica delle forme arcaiche secondo che si riscontrano nei tre monumenti. ISCRIZIONI SENATUSCONSULTO TAVOLA DI POLCEVERA DEGLI SCIPIONI Gnaiuod .... poplicod , pwalod . . . oqvoltod , senlentiad . . . faciluined , conventionid . . quoius .... extrad, suprad..... quoi virtulei .... virei ........ fineis , invitei, fontei parisuma . . caputalem, facilumed . . infumum , vicensumam proxuma quei . . . . , quei , utei, ubei, ibei . ubei, eidib , quei ibei sci , nisei , etc..... sei Loucana, abdoucit jousisent, plous, noundinum jouserunt, injourias poplicod....... poplicum , poplici arvorsum...... suso, vorsum, conlrovorsias aiquom , quom..... iniquom, rivom aidilis, aide . . aiquom....... Caicilio Gnaiuod .... lioncoino ploirume. comoinem , oinuorsei. . . duonoro .... Duelonai....... * consol .... consoleretur...... tabolam....... Dectuninebus Non facciamo fondamento sull’iscrizione della colonna Duilia, perchè già si riteneva che in tempo dell’impero (probabilmente sotto Claudio) surrogandosi una nuova colonna all’antica, fosse stata ritoccata anche l’iscrizione incisa nel piedestallo. Ma recentemente il Ritschl in apposita dissertazione trasse argomento dalle parole stesse dell’ epigrafe a provare che in quell’ occasione fu rifatta di pianta (forse perchè era al tutto o quasi al lutto obliterata) e che il letterato incaricato di ristorarla dove arcaizzò di soverchio, dove non abbastanza. Ma tornando al ragguaglio che abbiamo presentato dei tre monumenti, si rileva da esso che quello che sta di mezzo ritiene ancora 1’ arcaico D finale che è nelle iscrizioni degli Scipioni, cui non trasmise più al terzo. Abbiamo in una cista mistica del Museo Kircheriano un’iscrizione che il Lanzi richiama all’epoca dei Baccanali stessi, in cui, benché brevissima, si hanno parecchi arcaismi, fra i quali'quello del D finale, di cui parliamo: NOVIOS • PLAVTIOS • MED • ROMAI • FECID DINDIA • MACOLNIA • FILEA • DEDIT {Murat. 132. Orel. 2407). * med è in luogo di me. Alquanto strana è la desinenza di fecid, mentre a cosi poca distanza si legge dedit, e nel sincrono Se-• natusconsulto é nei più antichi monumenti le terze persone dei verbi, hanno sempre la desinenza in t. Il nominativo in os di Novios Plautios ha il suo riscóntro nella nostra Tavola in ager compascvos e nel filios dell’ epigrafe di L. Scipione figlio di Barbato. Così pure in una lamina di bronzo presso il Lanzi (Saggio 2, p. 275) si legge quest’antichissima iscrizione M • MINDIOS • L - FI P • C0NDETI0S ' VA • FI AIDILES • VICESIMA • PARTI (par lem) AP0L0NES • DEDERI (cledere) Del genitivo singolare e nominativo plurale in ai non abbiamo più esempio nella nostra Tavola; ma bisogna notare che l’unica ( 369 ) TAVOLA DI POLCEVERA voce, in cui sarebbe potuto cadere, è romae, che vi si trova così scritta e vi ha luogo una sola volta. Questa desinenza occorre più volte nel Senatusconsulto, come dvelonai (Bellonae) TABELAi datai (tabellae datae); ma questo dittongo la nostra Tavola ce lo presenta in caicilio una volta: il qual nome (che è più strano) e prima e dopo vi è ripetuto nella forma più moderna in ae. Ciò mi fa credere che a quel tempo questo dittongo oscillasse fra le due maniere di scriversi, mentre probabilmente un solo era il modo di pronunziarsi. Così nel Senatus-considto dove si legge aiquom per aequum, si trova sul bel principio aedem non aidem. Nella iscrizione del figlio di Barbato non potendosi prendere quell’ r..... per Romani, nominativo di consentiunt, perchè il ritmo del verso Saturnio n’andrebbe guasto, è probabilissimo che si leggesse romai in Roma. 11 genitivo di Senatus nel s. c. è perpetuamente in vos, sena-tvos. Ed è da notarsi, come particolarità di questo nome, che al dativo si trova senatvei in un’ iscrizione che dal Visconti si riferisce ai tempi della guerra sociale all’anno di R. 663-61 e che si può leggere nell’Orelli al N.° 3104. Si vede che questo nome, il quale restò poi della quarta, ondeggiò prima tra la seconda e la terza alla greca. Infatti nella nostra Tavola ha il genitivo in i cioè senati, nella qual forma si legge pure in un’ epigrafe di S. Atilio Sarano di poco più antica della nostra Tavola, la quale per questo riguardo e per la conformità dell’ortografìa come del soggetto a cui si riferisce, merita di fìsser letta : SEX • ATILIVS • M • F • SARANVS • PROCOS EX • SENATI • CONSVLTO IN TER • ATESTINOS • ET * VEICET1NOS FINIS • TERMINOSQVE • STATVI • IVSIT 24 TAVOLA DI POLCEVERA ( 370 ) Ses. Atilio Sarano era stato Console conP.Furio Filo 1’ anno di R. 618=: 136 Mandato poi proconsole compose per decreto del Senato una questione di confini tra gii Atestini e i Vicentini. Si vede che questa è una lapida commemorativa del fatto: vi sarà, poi stata, secondo l’uso, una tavola in bronzo, in cui saranno stati registrati tutti i particolari della convenzione, e ciò probabilmente a tre esemplari da consegnarsene uno a ciascheduna delle due parti litiganti, e il terzo da conservarsi nell' archivio di Roma. Si notino queste parole: Senati, Veicetinos jusit. Si osservi anche doversi leggere Veicetinos non Veicen-tinos, come si legge comunemente: di che si lagna nel Museo Veronese il Maffei (408.1) che f avea dinanzi agli occhi. In quanto pregio poi si debba tenere questo monumento, vuoisi intendere dalle parole stesse del dottissimo antiquario: « Paucis-» simae profecto, ne quid amplius dicam, Latinae inscriptiones » marmori consignatae supersunt, de quarum fide ambigat nemo, » et hac nostra vetustiores sint ». Ma è un grave danno che la sola nostra Tavola sia scampata all’ universale naufragio delle sue compagne ; chè l’esame di altre contemporanee e dello stesso genere ci illuminerebbe su qualche formola, a così dire, cancelleresca, che ora rimane di dubbiosa e contrastata interpretazione. Abbiamo anche nell’ antica latinità esempii di genitivo in vs in nomi della terza declinazione provenienti naturalmente dal genitivo greco in os, come kastorvs per Castoris nella tavola citata al N.° 3114 dall’Orelli, e venervs per Veneris in altra che dal nome dei Consoli vuoisi assegnare all’ anno di R. 046 = 108. Nel Senatusconsulto abbiamo nominvs per nominis. Nulla di simile si trova nella nostra Tavola. In essa poi gli Accusativi singolari non presentano deviazioni dall’uso normale, tranne due volte rivom, che ha la sua ragione di essere nell’arcaico nominativo in os, di cui abbiamo rilevato I ( 371 ) TAVOLA DI POLCEVERA ancora un esempio in compascvos. Ma 1’ m finale di questo quarto caso non manca mai, come neppure nel s. c. dei Baccanali : manca nelle iscrizioni più antiche degli Scipioni, da lvciom infuori, il quale è pur dappresso a viro , ed è accompagnato da un corteggio di accusativi di diverse declinazioni tutti privi del-1’m finale: corsica, aleria, vrbe, aide. Quanto ai casi plurali avremo occasione di tornarci sopra nelle annotazioni. Frattanto qui osserviamo due cose fondamentali, 1.° che alcuni nomi, che poi rimasero definitivamente nella seconda declinazione, si presentano nei monumenti arcaici con desinenze della terza: 2.(l0'che le desinenze della terza, le quali poi si fermarono in es, provengono dal dittongo eis, il quale nei monumenti antichi ora si trova disteso, ora contratto in un semplice i, ora finalmente in e. Abbiamo nelle nostre Tavole minvcieis, iwfeis, che poi rimasero Minucii, Rufi, veitvries, gen. veitvrivm, il che non toglie che nella Tavola stessa si legga VITVRIVS e veitvrios. Abbiamo dvomvires in epigrafe nel Muratori (147.4) per duumviri. Quanto allo scambio delle tre desinenze se ne ha ricchezza di esempii nella* Tavola in fineis, omncis, Cavaturineis e Cavaturines, Veituries e Veituris, Genuenses, Genuales e Langenses più volte. Questa cosa vuoisi accuratamente avvertire, perchè, come avremo occasione d’osservare, non considerata da uomini per altro dottissimi, fu loro d’inciampo a cadere in difficoltà inestricabili. Per ciò che riguarda il raddoppiamento delle consonanti, non ne troviamo esempio nelle antiche iscrizioni degli Scipioni, nè nel Senatusconsulto de’ Baccanali. E già sappiamo da Festo che Ennio fu quegli che introdusse 1’ uso di raddoppiare le semivocali. Nella nostra Tavola si trova raddoppiata l’s in essent e una volta in possiderent: e questo verbo che per la natura appunto dell’ argomento vi è ripetuto in diverse modificazioni una dozzina di volte, da quell’una infuori, ha sempre una sola s. TAVOLA DI POLCEVERA ( 372 ) La stessa semplicità si osserva in juserunt e jouserunt, in cast eh 9 castelanos, convalem, intromitat ec. Dal che apparisce essere un po’ arrischiata l’affermazione della Civiltà Cattolica (3.° sab. luglio 1861) che la geminazione delle consonanti nelle epigrafi è costante dopo l’anno di Roma 620. Noi abbiamo qui un monumento dei 637, in cui vediamo questa geminazione allo stato appena incipiente. Non abbiamo nella nostra Tavola esempio del dittongo oi per u, prima perchè non s’incontrano parole in cui potesse aver luogo, come coir are, moirus, loidus, oililis, comoinis ec. per curare, murus, utilis, communis, e poi perchè veramente era già andato in disuso e gii si era surrogato il dittongo oe. Anzi, come osserva la Civiltà Cattolica nel luogo citato, dopo il 620 di R. oi per u non s’incontra più se non allo stato di eccezione. Ecco un' epigrafe che riferisce il Romanelli nel suo viaggio a Pompei (T. 1, p. 208) che si può leggere nell’Orelli al N,° 566. C • QVINCTIVS • C • F • VALG • PATRON • MVNIC M • MAGI • MIN • F • SVRVS • A • PATLACIVS • Q • F • ini • VIR • D • S • s • PORTAS • TVRRES * MOIROS TVRRESQVE * AEQVAS • QVM * MOIRO FACIVNDVM • COIRAVERViNT Se, come pare al Romanelli, questa lapida si potesse riferire ai tempi della guerra italica, e se il canone della Civiltà Cattolica fosse certo, quest’epigrafe formerebbe una vera eccezione, perchè posteriore di meglio che 40 anni al 620. Del resto non non è diffìcile trovare iscrizioni di certa data, che affettino arcaismi o forme già da lungo tempo andate in disuso. In una per es. che, secondo il giudizio del Winkelmann e del Nibby, si riferisce ai tempi di Tiberio, si trova dvomvirés e coerave-rvnt. Si legge nel Muratori (147.4) e nell’Orelli (N.° 3808). ( 373 ) TAVOLA DI POLCEVERA Abbiamo infine un riscontro del dat. plurale in ebus per ibus nel Dectwninebus della nostra Tavola e il tempestutebus del-l’iscrizione del figlio di Barbato. E se per avventura alcuno leggesse tempestatibus al N.° 552 dell’Orelli, avverta non esser quella la vera lezione ed essere stata ristabilita dall’ Henzen che la verificò sulla pietra originale. Lo stesso si dica di mereto, che 1' Orelli avea scritto merito. Si vegga nel Mornmsen e nel Ritschl. 111. De controvorsieis inter Genuateis et Veilurios. Questa è come la proposta del soggetto intorno a cui verte la sentenza degli Arbitri a ciò deputati dal Senato Romano: si aveano cioè a comporre controversie sorte tra i Genuati e i Veturii. Partendo da questo principio così semplice noi abbiamo nettamente il nome delle due parti litiganti. Ma questi popoli si presentano varie volte nel corso della sentenza sotto altre denominazioni: i Ge-nuates sono detti anche, e più spesso, Genuenses, i Veiturii s’incontrano sotto il nome di Lmgenses e Langates. Se noi ci lasciamo trarre da queste varietà a supporre tanti popoli quanti sono i diversi nomi, sotto cui compariscono, ci troveremo in una confusione tale di cose da non cavarne più alcun costrutto. A questo inciampo urtarono prima d’ora uomini dottissimi e per questo si trovarono ingolfati in un labirinto, da cui non sapeano come uscire e con false supposizioni accrebbero l’oscurità e indussero altrui in errore. L'Oderico non polendo per una parte separare i Langensi dai Veturii,, suppone che vi fossero due rami di Langensi, cioè semplicemenle Langensi e Langensi Veturii; ma è costretto a confessare essere impossibile indovinar la ragione, per cui i Langensi venissero astretti a pagar tributo ai Veturii. E qui equivocò prendendo per dativo ciò che era TAVOLA DI POLCEVERA ( 374 ) un nominativo plurale in is. V esser partito da una falsa supposizione non gli lasciò avvertire questa particolarità filologica che per I intelligenza del contesto è d’ un’ importanza capitale. Il Serra suppone che la lite fosse tra i Veturii e i Langensi ioio colonia e che Genova come centro comune intervenisse a giudicare la lite e che avendo pronunciato in favore dei Langensi, i Veturii ricorressero alla violenza e per questo fossero gittati in carcere. Quindi l'appello a Roma: dei Veturii per richiamarsi dalla sentenza di Genova: dei Genovesi per sostenere il loro giudicato. Complicazione gratuita, come la moltiplicazione inutile degli enti, che non emerge affatto dal tenore della Tavola. Primo fra noi ad avvertire questa pietra d’ inciampo fu il Can. Grassi, il quale, dopo un profondo esame del testo, entrò nella ferma credenza che la quistione fosse tra’ Genovesi e i Langensi Veturii. Sopraggiunse poi a dargli ragione la disserta- ■ zione del Rudorff, la quale benché pubblicata prima, non era conosciuta da noi. Ma giustizia vuole che, senza togliere il merito a chi vi giunse col proprio raziocinio, confessiamo che avea già detto lo stesso il gravissimo Gravina, le cui brevi e sugose parole vogliam riferire: « Controversias praeterea in Italia » suscitatas, si publica essent objurgatione, aut gravi decreto. » componendae, Senatus ad se trahebat. Hinc in veteri tabula » aenea, in Liguria inventa, legimus missos a Senatu arbitros » finium regundorum inter Genuates et Veturios esse; reque » cognita, Romam venire jussos sententiam ex S. C. dicturos ». (De ortu etprogr. Juris C. lib. \, c. XIV). Si vede che quel-I’ uomo profondissimo in antichità e in diritto non fu arrestalo dalla, difficoltà, a cui gli altri cedettero e seppe nettamente spiccare i due popoli tra cui ardeva la controversia. Or fra questi due popoli di che cosa si piativa? Su due punti versava Ialite, cioè \.° sotto quali condizioni i Veturii Langensi possedessero l’agro privato e pubblico; 2.° quali ne fossero i ( 375 ) TAVOLA DI POLCEVERA confini. Tutti gl'illustratori, a venir sino a Rudorff e Mommsen, opinarono che Genova avesse dominio sull'agro pubblico, cui sfruttavano i Langensi Veturii e che questi fossero tenuti a pagare a quelli un tributo sia di danaro, sia di prodotti naturali del luogo in proporzione dei terreni goduti. • Il Can. Grassi non ammette questa superiorità di Genova, ritiene uguali i due comuni litiganti e spiega in altro modo la detta prestazione. Per questa cosa a lui rimetto il lettore. Ma a qualunque titolo ciò fosse, è indubitato che i Langensi Veturii doveano pagare un tributo o censo ai Genovesi e che da più o meno tempo ne aveano intermesso il pagamento. Or siccome nella Tavola si fa menzione di Langensi Veturii carcerati, se ne deduce che se Genova aveva giurisdizione sull’ altro popolo, i suoi Magistrati aveano fatto carcerare i riottosi , che probabilmente sarebbero venuti a vie di fatto: ma posta la parità di condizione, bisognerebbe dire che vi fu baruffa tra i due comuni e che Genova fé’ non sappiam quanti prigionieri, cui teneva sotto buona custodia. Intervenne l’autorità del Senato Romano, il quale delegò i fratelli Quinto e Marco Minucii figliuoli di Quinto a conoscere di tali controversie e a comporle. Siccome la quistione era complicata di diritto e di estensione, essi vennero sulla faccia del luogo, esaminarono per minuto ogni cosa, stabilirono i confini, segnarono i punti ove doveano esser piantati i termini e ordinarono alle parti litiganti, che quando quest’ operazione losse compiuta, mandassero loro Legati a Roma a sentir pronunciare la sentenza. Questa fu pronunciata alle idi, ossia addi 13 di dicembre sotto il Consolato di L. Cecilio Metello Diademato e Q. Mudo Scevola; che vuol dire l’anno G37 di Roma, 117 avanti 1’ Era Volgare. 1 Legati delle due parti furono Moco figlio di Ometicano di Ometicone, e Plauco figlio di Peliano di Pelione. Gli Àrbitri cominciano a sceverare dalla quistione i poderi privali, cui e lecito ai possessori trasmettere per eredità TAVOLA DI POLCEVERA ( 3~(3 ) o in qualunque modo alienare. Pronunziano che questi beni non abbiano ad essere soggetti ad alcun tributo, e di questo territorio segnano esattamente i confini secondo i termini piantati. In secondo luogo descrivono i limiti dell’ agro pubblico nominando i luoghi ove sono stati fissati i termini. Stabiliscono non doversi ammettere a sfruttarne una parte qualunque chi non fosse Genovese o Veturio, ma e questi e quelli dover pagare alla comunità dei Langensi, o voglia dirsi Veturii, una quota proporzionata, perchè la comunità stessa dovea, in ragione di esso agro, corrispondere ai Genovesi un annuo tributo, che è determinato in 400 Vittoriati, o l’equivalente in derrate, cioè Ia vigesima parte del prodotto del frumento e la sesta del vino. Quanto al territorio compascuo viene ordinato che non meno ai Genovesi che ai Langensi Veturii sia lecito condurvi i loro armenti e ritrarne legna e materia. Il tributo comincierà a decorrere dal principio dell’anno nuovo e lo pagheranno ad anno compiuto. Si riserbano, come proprietà immune, le praterie che posseggono i Langensi, i Dettunnini, i Cavaturini e i Mentovini, i quali possono anche cambiarle di luogo, purché non se ne aumenti l’estensione. Infine i rei delle ingiurie saranno rilasciati avanti le idi di Sestile, ossia 43 di agosto. Se alcuno si troverà ingiustamente gravato da queste condizioni faccia i suoi riclami e gli sarà fatta ragione. Questa sottossopra è in iscorcio la sostanza del nostro Documento: di che ognuno può chiarirsi colla lettura del testo, specialmente rischiarato dalle piccole e opportunissime giunte del Can. Grassi, e dalla sua traduzione ajutata ancora da qualche dichiarazione in corsivo. Ora io toccherò di alcuni punti che occorrono degni di osservazione, citando per comodità del lettore il numero della riga ove si trova la parola o la materia su cui credo di dover chiamare l’altrui attenzione. Queste note furono già lette nelle nostre tornate; ma siccome il Can. Grassi nella ( 377 ) TAVOLA DI POLCEVERA sua edizione fece una cosa simile, io avrò cura di non incontrarmi con lui : il che mi sarà facile, da che egli considera le cose sotto altro aspetto, e rivolge specialmente la sua diligenza verso la lezione del testo : fondamento precipuo d’ogni interpretazione. Cosi parimente sopprimerò tutto quello che riguarda la topografia, perchè entrò da maestro in questa materia il mio collega ed amico 1’ Av. Cav. Desimoni, a cui son ben contento di ceder la parola sopra un argomento tanto arduo quanto importante, e cui egli ebbe più di me agio a studiare sulla faccia dei luoghi. Linea 1. q • m • minvcieis • q • f • rvfeis. Le prime due sigle sono i prenomi dei due fratelli Quinto e Marco Minucii Ruiì figli di Quinto. Così si praticava dai Romani e basta conoscere i primi elementi della loro polionomia per avvertire lo sbaglio del Giustiniani che tradusse Q. M. Minuzio e Q. I - Rufo . scusabile però in ragione del tempo in cui scrisse. Ma l Oderico non la perdona a Gio. Rinaldo Carli, cjie dotto, com era, e nella luce de’ suoi tempi, parlando di questa Tavola nominò gli arbitri allo stesso modo che il Giustiniani. E neppur si avvide delle desinenze plurali di que’ nomi. Qui abbiamo già un esempio di nominativi plurali che vogliono essere consideiati pei due ragioni, 1.° perchè presentano desinenza di terza declinazione, e .poi rinunziarono a questa, per adagiarsi definitivamente nella seeonda, come riuscirono veramente Minucius e Ritfus, 2.° che la loro desinenza è sciolta nel dittongo ei che poi si strinse in i e in e: le quali tre maniere troviamo piomiscua mente adoperate nel corso della nostra iscrizione. Questi Minucii non furono presi come arbitri per compromesso, ma dati ex Senati Consulto, come si legge nella Tavola. Ed al Senato spettava decidere le liti dei sudditi del Popolo Romano. Una parte dei Liguri già da molto tempo era venula in potere di lui; e Genova non per altra ragione era stata distrutta da Magone e rifabbricata da Lutezio. La spiaggia marittima dopo TAVOLA DI POLCEVERA ( 378 ) ------------------*___^___________ 80 anni di guerra e più, era stala sottomessa sul finire del secolo VI. Quindi data- la forma di Provincia ed imposti i tributi, durò in tal condizione finché, come osserva il Rudorff, fu fatta colla Gallia Cisalpina di gius italico. I Liguri Montani di qua dal Varo e gii abitanti delle Alpi Marittime domati finalmente da Augusto, donati del gius latino da Nerone, ritennero più a lungo la forma di Provincia. L. 2. — Già abbiamo detto come in questo luogo si trova nettamente indicato il nome delle due parli litiganti. Or come uscirebbero fuori i Genuenses se fossero diversi dai Genuales, e i Langenses e Langates se non fossero pur Veturii? E non solo per questo si vede che Veturii e Langensi sono posti gli uni in luogo degli altri; ma a togliere ogni dubbio, ben quattro volte i due nomi sono accoppiati insieme. Tutti concedono poi che Langenses e Langates siano la stessa cosa, e perchè non anche Genuenses e Genuates? Abbiamo nell’ antica Epigrafia per es. Tolentinensis (Reines Inscript. in Àp. N.° 8) e lo-lentinus (Grut. 4.10-494-2) il qual nome' patrio è usato da Plinio nella forma di Tolentinas, atis (Hist. N.° III, 48). L. 4. — Questa chiamata a Roma fu perchè la dignità del Senato non consentiva che altrove che in Roma si pronunciassero in suo nome sentenze per arbitri, nè giustizia voleva che si pronunciassero in assenza delle parli litiganti. L. 5. — L. Cecilio figlio di Quinto e Q. Mucio figlio di Quinto nominati come Consoli di quell’anno in cui fu compilato questo decreto, ci avvertono dell’epoca del Documento che è il 63/ di Roma, 417 av. I’Era Volgare. Il Giustiniani oltre all avoi letto male il secondo nome scambiando Mucio in Minucio, pic^e un grande abbaglio di cronologia anticipando l’epoca di 173 anni, assegnandola al 290 av. G. C. Né si sa su che cosa abbia fondato un lai calcolo, da che non si trovano in quel tomo nomi di Consoli che somiglino a questi. ( 379 ) TAVOLA DI POLCEVERA In questa stessa linea 1’ Oderico sospetta che dove è qua abbia a leggersi quia. Io al contrario trovo che se vi fosse quia, bisognerebbe assolutamente legger qua. Nella linea terza si trova qua lego agruM possiderent, et qua fineis fierent: e qui dove è qua s’intende nuovamente lege, cioè qua lege ager privatus, easteli vi-turiorum est. Ogni cosa risponde* ed armonizza a maraviglia. Il Castello dei Veturii qui nominato doveva naturalmente esser quello, dal cui nome di Langa o Lango ne veniva a quella speciale sezione di Veturii la denominazione di Langensi. I Veturii dovevano essere come il genere che abbracciava varii. gruppi con diverse appellazioni, uno dei quali era quello che prendeva il nome da questo castello. Onde i Langensi (nome specifico) .erano Veturii, come potevano essere ed erano probabilmente gli Odiali, i Deltunnini, i Cavaturini e i Mentovi ni (popolazioni mentovate per incidenza verso la fine); ma non tuiti i Veturii erano Langensi. I Savonesi per es. sono Liguri, ma non tutti i Liguri sono Savonesi; ma siccome sarebbe un ragionevole accoppiamento il dire Liguri Savonesi, o Liguri Ingauni, così ci dee parere ugualmente naturale il vedere il popolo, di cui parliamo, chiamato Veturii Langensi. - Il Rudorff, • che** ammette la superiorità di Genova su quei popoli, pensa che tali castelli erano stati muniti per difendere dalle escursioni dei montanari i confini e il ricchissimo emporio della Liguria: quindi erano stati attribuiti a Genova come borghi: da’ Genovesi aveano territorio, da essi ricevean legge e quivi portavano i loro tributi. Ho già accennato la diversa opinione del Can. Grassi, che si vedrà nella sua Memoria. Cosi quanto è ridicola 1’ opinione del Serra che deduce il nome di N. S. della Vittoria da quello dei Veturii, altrettanto è degno di considerazione ciò che il Grassi congettura sulla denominazione di questo popolo. L. G. — Fineis agri privali ecc. Tiberio Sompronio Gracco TAVOLA DI POLCEVERA ( 380 ) in rincalzo della legge Licinia, che proibiva ai privati di possedere oltre D jugeri, aggiunse per sua legge (detta perciò Sempronia) che ogni anno si creassero tre personaggi, i quali venissero incaricati di distinguere l’agro privato dal pubblico per distribuire ai poveri quello che sopravvanzava. Questa legge si promulgava Tanno di R. 620, cioè 4 7 anni prima della nostra Tavola. Non si dee però credere che questa distinzione venisse in campo allora per la prima volta in forza di essa legge: da che è nella natura delle cose che i privati posseggano, ed abbiano pure i loro beni le comunità. D’altra parte neppur si può dire che in Liguria si applicasse allora la legge Sempronia, perchè qui non è menzione di Triumviri, qui non si tratta di ristringere la proprietà di chi per avventura oltrepassava la misura prescritta, nè tampoco si accenna a distribuzione del soverchio delle terre ai poveri di Roma: si tratta semplicemente di fissare i limiti dell’agro pubblico e privalo, donde era nata la quistione, e di regolare anche i diritti della proprietà e del possesso. Ma si vede che in fondo la distinzione di agro pubblico e privato era solennemente riconosciuta. Jn questo passo: is ager vectigal nei siet Langatium fineis agri privati ecc. Dal supporre la pausa avanti o dopo di Langatium ne viene una diversità grandissima nel senso. L’ Oderico che distingue due diverse comunità nei Langati e nei Veturii, pone un punto dopo Langatium e spiega: Questo territorio privato dei Veturii non sia tributario dei Langati, e biasima il Giustiniani che pose il punto innanzi e tradusse: Le confine del paese privalo particolare di quei di Langasco ecc. Questa traduzione armonizza colla dottrina, che fa de’ Veturii Langati una cosa. sola, e perciò questa volta dobbiamo darla vinta al Giustiniani. Riguardo alle possessioni private i Minucii pronunziano che per queste niun tributo si paghi ai Genovesi. Il ftudorff, secondo il sistema da lui seguito,'osserva che ciò poteva essere per uno ( 381 ) TAVOLA DI POLCEVERA di questi due casi, o che ciò si fosse praticato fino allora, o che si costituisse allora per la prima volta a fine di diminuire la potenza dei Genovesi. Questa seconda supposizione ci pare ' un po’ dura ad ammettersi in un trattato di accomodamento: tanto più che lo stesso erudito scrittore ci dice che i Minucii composero la lite de’ Liguri non per diritto d’impero, ma per maniere ufficiose. Il che intendiamo noi che voglia dire che i detti arbitri pronunziarono la loro sentenza a nome del Senato, non con quella pienezza di potere che questo avea sulle terre conquistale, ma che procedettero da pacieri e accomodarono le cose con reciproca soddisfazione delle parti. Fra i pochi nomi proprii, dei quali per la somiglianza della parola si credè trovare il riscontro nei luoghi attuali, è il Marmicelo, che si legge in questa linea, che corrisponderebbe al nostro Manesseno. Quanto a me, per quel poco che mi è venuto fatto di vedere in questo esame, sono entrato nell’ opinione che chi prendesse Manesseno come punto preciso di partenza, non che avvicinarsi, si allontanerebbe dalla probabilità di applicare le antiche denominazioni alle moderne. Senza ripudiare la comunanza di radice fra questi due nomi, io credo che se 1' appellazione del moderno Manesseno si è ristretta ad un punto, quella dell* antico si estendesse a lutto un territorio. L. 7. — Edem. Il Serra trae questo nome dalla lingua Celtica in cui Ben, egli dice, significava selvoso ed e al principio delle voci non ha significato. Ma se egli avesse più sottilmente esaminata questa parola, ne avrebbe, crediamo noi, portalo diverso giudizio. Si vede essa adoperata tre volte con tre diverse desinenze: in nominativo ubi confluont Edus et Procobera (Lin. 13-14) in accusativo ad flovium Edem (Lin. 6-7), in ablativo inde Ede flovio (Lin. 14). Dove se ne va la radice den? Al contrario si vede che nella mutabilità delle desinenze us, em, e rimane intatto e costante \'cd: il ohe ci rende certi esser TAVOLA DI POLCEVERA ( 382 ) questa la vera radice della parola. Che se queste desinenze non bene si rispondono fra loro secondo le declinazioni greche e latine, vuoisi ciò attribuire all’incertezza che in quel tempo dominava ancor nella lingua, come si vede in altre parole di questo monumento e di altri. Con questo cade anche ciò eh’ egli applica al nome di Lemuri dicendo che lem è sinonimo di den. Ciò che vuoisi indubitatamente riconoscere è questo che il monte Lemurino fosse presso al fiume Lemuri: come pure il monte Tuledone al fiume Tidelasca. La loro vicinanza ci spiega l’analogia di cotali denominazioni. Anche il Rudorff da queste relazioni di nomi argomenta la vicinanza dei monti e delle acque. La desinenza asca, che si trova in quattro nomi proprii di correnti, cioè Neviàsca, Vinelascct, Veraglasca e Tuielasca, ci fa sospettare che in quell’ antico linguaggio dei Liguri esprimesse l’idea comune di acqua, rivo, corrente ecc. Tutti poi si accordano a riconoscere nel monte Frenico della Tavola l'attuale Pernecco: cotanta è la somiglianza del nome. Ma lasciamo alla singolare perspicacia dell’ Av. Desimoni il valersi di questi dati per ispiegare la sua tela ingegnosa. V 8. — Termina duo stani. Si osservi che questo nome usato tante volte in singolare è sempre di genere maschile; questa volta che è plurale, si vede di genere neutro. Ma anche in plurale alla terza linea Io vediamo maschile : termìnosque statui juserunt. Che in quel tempo fluttuasse ancora incerta nelle sue forme la lingua non credo che si possa rivocare in dubbio; ma sarebbe difficile il poter determinare se la varietà del genere, che si vede qui, fosse in uso, oppure se fu un solecismo sfuggito all’estensore del documento, o una svista dell’incisore che pose a in, luogo di i. Cosi alla linea 45 ove si legge termins io credo più ovvio il supporre che ali incisore sia sfuggito l’v, anziché immaginare che potesse essere un nome della terza declinabile- in termins, terminos. ( 383 ) TAVOLA DI POLCEVERA In questa ottava linea occorre per la prima volta il nome della via Postumia. Siccome di questa abbiamo parlato espro-fesso nel capitolo che abbiamo dedicato alle vie Romane della Liguria, a quel luogo rimandiamo i lettori. L. 9. Qui 1’ incisore ci ha delto flvio dimenticando 1’ o che adopera costantemente in questo nome dopo 1’ l. Vcndupale. Dal nome di questo rivo il Serra si argomentò di- trarre 1’ etimologia dalle lingue germaniche. Wind significa vento e ubai cattivo: e dice potersi in questo riconoscere quel rivo che si chiama Malo tempo. Con buona pace dell illustre scrittore noi osserveremo che i nomi proprii nella bocca del popolo, col trascorrer dei secoli possono subire delle modificazioni, alterarsi anche talmente da non riconoscervisi quasi più l antica radice; anzi per qualche circostanza interamente cambiaibi. Ma che un bel giorno si faccia la traduzione precisa del nome di un luogo da una lingua in un’altra di radici totalmente di\eise, questa non 1’ intendiamo, nè sappiamo come gli possa e^ei venuta in mente. Questo concediamo che potrebbe avvenire quando il nome fosse preso da qualche circostanza o accidentalità risaltante nel luogo.stesso; ma trovare il catti\o tempo in un rivo è abbastanza ridicolo. In questa linea è nominata la Procobera, il qual nome occorre cinque volte: nelle prime tre è scritto così, nelle alti e è Porcobera. Questa variazione si deve evidentemente attribuire alla negligenza dell’incisore. Che Procobera e Porcobera sieno una cosa sola si deduce da questo che alle linee 13-14 si lesse. ubi confi uont Edus et Procobera e alla linea 23 si legge: ubei confluant flovi Edus et Porcobera. La differenza pertanto non può altro essere che un errore di scrittura. In questo nome tutti i passali illustratori riconobbero la Polcevera, che Plinio chiamò Porci fera. Da questo nome in fuori, 1’ Odenco si ride di tutti gli altri ragguagli che s’istituiscono tra i nomi moderni TAVOLA DJ POLCKVE11A ( 384 ; e quelli della Tavola, fondati su qualche somiglianza di suono Ho già avuto occasione di appuntar di eccessiva questa diffidenza che 1 Oderico nutre per le somiglianze di suono. L’affidarsi ciecamente ad esse è un eccesso di confidenza che può facilmente indurre in errore; ma il rispingerle sistematicamente è privarsi di un ajuto, che riesce talora opportunissimo e porta un raggio di luce dov’ era bujo. E poi perchè riconoscere Polcevera in Procobera e non Pernecco in Prenico, non Langasco nel castello dei Langensi, non Manesseno in Manicelo? Sono armi che bisogna saperle maneggiare, nè tutti sanno. 11 Serra poi che ha la passione delle etimologie celtiche, trova, die Procobera viene da Proch o Broch schiuma, e ober produrre, e significa per conseguenza spumoso: epiteto solito a darsi a’ torrenti di letto sassoso, come ha la Polcevera, e come hanno tutti i torrenti, aggiungo io, per cui ci dovrebbero essere tante Polcevere quanti sono i torrenti che han sortito denominazioni dalla lingua celtica. Essa poi con un’arrendevolezza mirabile presta al medesimo Sig. Serra un altro Proc o Broc che significa bruno e nericcio e au, che vale anche al presente in Germania terreno racchiuso da acque, dalle quali parole egli tira il nome del monte Procavo, e Y applica al monte di Isocorte, di cui è parte il poggio di S. Cipriano, che è in mezzo alla Polcevera e alla Secca. Tralascio di parlare degli altri ragguagli che fa il Serra tra 1' antico e il moderno di quei luoghi. Ho voluto soltanto notare alcuni di quei nomi intorno ai quali egli spende la sua erudizione celtica, in cui, a dir vero, io non ho molta fede. Del resto quanto egli dia nel vero riguardo a que' ragguagli, risulterà dal più volte nominato lavoro dell’ Av. Desimoni. L. 17. — Vocitatust è fusione di vocitatus est. Nulla di più comune di questa nei comici latini. L. 20. — Dorsum. È sfuggito agli occhi dell’incisore Y e che dovea dir deorsum. ( 385 ) TAVOLA DI POLCEVERA L. 24. Eum agrum (cioè il pubblico) caslelanos Langenses Yeiturios posidere fruique videtur oportere. Ecco i Castellani Langensi chiamati Velurii. Segue: prò eo agro-vectigal Langenses 1 eituris in poplicum Genuam dent in anos singulos vie. n. cccc. Questa è stata sempre la pietra d’inciampo. Gli illustratori della Tavola hanno preso Veituris per dativo e hanno interpretato che i Langensi dovessero pagare ogni anno quattro-cento vittoriali ai Veturii. Così l’ha intesa il Giustiniani, cosi l’Oderico, così il Serra. Anzi 1’ Oderico strabilia trovando impossibile spiegar 1’ ordine di tal pagamento. Infatti godere insieme fra due popoli un terreno, e per questo godimento l’uno pagar tributo all’altro, è cosa veramente inesplicabile. Due cose hanno tratto in errore questi uomini insigni: 1’una d’aver avuto in testa quella benedetta distinzione di due comunità, l'altra di aver preso per desinenza di dativo l’is di Veituris. Intorno a che credo di aver detto abbastanza. L. 25. — Vie. n. cccc. Victoriatos numos ecc. Il nome di questa moneta passando per la penna di chi non ebbe agio di consultar la Tavola in originale, subì mutazione in hs. Del resto il Vittoriato prese il nome dalla Vittoria che vi era improntata, fu portato dall’ Illirio, avea corso in Gallia e nell’emporio de’ Genovesi, che non battevano moneta propria. In Roma si accettava come merce, finché per la legge Clodia vi fu pur battuto e corse d’ allora in poi come moneta legale. Questo rileviamo da Plinio: « Qui nunc Victoriatus appellatur lege Clodia » percussus est. Antea enim hic numus ex Illyrico advectus » mercis loco habebatur: est autem signatus Victoria». (H. N. 1. XXXIII. 3). Fra gli antichi ne parla Varrone lib. 3. de Anal. ne parla Cicerone come di moneta corrente nelle Gallie, dov era stato per tre anni Pretore Fontejo, cui egli difende dall’ accusa di concussione (repetundarum) mossagli da quelle popolazioni. La legge Clodia emanò un 60 anni dopo 1’ epoca della nostra 1 avola. ?5 TAVOLA D[ POLCEVERA ( 38G ) Qui il Serra si dà ad indagare a quanto della nostra moneta attuale corrisponderebbero i quattrocento vittoriati, fatta anche ragione dell’ estimazione diversa dei metalli per la diversità dei tempi. Ma siccome, a quanto mi pare, egli non poggia su dati abbastanza saldi; così non vuoisi ricevere come sicuro il risultato de’ suoi calcoli. Lascio a chi è più competente di me 1’ entrare in questa materia e soddisfare alla giusta curiosità del lettore. L. 33. — Pecu ascere. Vuoisi dare al Can. Grassi tutto il merito di aver rilevato che fra queste due parole si è perduta una di quelle toppe che erano state messe o a correggere qualche sbaglio dell’incisore, o a coprire qualche difetto della lastra. Alcune di queste sono andate via ed hanno lasciato vuoto un piccolo quadrato, altre si vedono ancora al loro posto. Ora dopo 1’ v di pecv si vede una piccola parte dell’ s che cadeva quasi tutta nella toppa, e in questa era indubitatamente il p di pascere. Tutti i passati interpreti, non tenendo conto dello spazio che corre fra queste due parole, ne fecero una sola e lessero pecudscere e. questo strano verbo introdussero nei vocabolario Dopo questo rilievo, ognun vede doversi eliminare. !.. 34. — Ligna materiamve. Per ligna si può intendere la legna da ardere* per materiam il legno che l’industria mette a lavoro: quindi ne viene materiarius falegname. L. 38. — I popoli nominati in questa linea erano fuori del circuito determinato dai confini del territorio controverso e si stendevano probabilmente dalla parte del Bisagno su verso Settentrione. Non pare che tra loro e i Genovesi esistessero dinerenze, ma pure presentatasi l’occasione, ad istanza dell’una parte o dell'altra, gli Arbitri stabiliscono una norma di reciproco interesse riguardo alle praterie, cioè che per una parte si rispettino i fieni, a cui sfruttare aveano diritto i dotti popoli, e che per l’altra questi non estendano a dimensioni maggiori i terreni destinati a praterie, ancorché, per rinnovarli li cambino di luogo: ( 387 ) TAVOLA DI POLCEVERÀ il che viene ordinato acciocché non si ristringa il terreno che dee rimanere a comune servizio per condurvi a pascolo gli armenti e ritrarne materia. Ho detto di sopra che queste quattro popolazioni potevano appartenere alla tribù dei Veturii come i Langensi, perchè vedo che in questa disposizione vengono ad essi pareggiati, nè ci sarebbe stata occasione di accomunarli insieme se non avesse militato qualche ragione di comunela. Verso la fine della linea 42 mi par di trovare un rincalzo a questa congettura, dipartendomi, è vero, dalla punteggiatura e dall’interpretazione del Can. Grassi. Dice la sentenza che i cinque popoli nominati non potranno godere maggior estensione di praterie di quello che hanno sfruttato nella scorsa estate, quam proxuma aestate habuerunt fructique sunt Vituries. Come se si dicesse: le praterie, che godranno questi popoli, non eccederanno mai in complesso la somma che sfruttarono lutti insieme i Veturii. È vero che tra fructique sunt e Vituries vi è un piccolo stacco senza punto, che il Can. Grassi prende come equivalente di punto a capo: il che in qualche luogo si verifica ovvio e naturale. Ma-fa d’uopo osservare che l’incisione è condotta con tale oscitanza per la rozzezza dei tempi e dell'arte, che alla precisione di tali minutezze non si può attribuire più che una mediocre importanza. Si aggiunge che Vituries applicato a ciò che segue vi riesce al tutto ridondante e superfluo. Ma ciò io emetto come un semplice dubbio, il quale-, se non altro, varrà a far meglio rispondere la verità della contraria opinione. Se pel ragguaglio degli Odiati e Dettunini con moderne denominazioni non si saprebbe dove metter le mani, trovo mollo plausibile quello dei Cavaturini con Cavazzolo, dei Menlovini con Montobbio, rilevato dal Can. Grassi. Riguardo alle ultime linee, ove occorrono gravissime difficoltà per sigle che furono sempre la tortura degl’ illustralo^ sì pel TAVOLA m POLCEVERA ( 388 ) leggerle, sì per l’interpretarle, io lascio libero il campo al C an. Grassi, il quale ci è entrato con nuove viste, e mi par felicemente. Solo in un punto io dissento da lui, e se m’inganno anche in ciò, il mio errore varrà a rinforzare il vero, come le ombre fanno risaltare i chiari. La sentenza dopo aver determinato che i carcerati siano restituiti a libertà prima delle prossime idi di Sestile (linea 44), aggiunge: seiquoi de ea re iniquom videbitur esse ad nos adeant primo quoque die ecc. In queste parole il Can. Grassi (come risulta dalla sua parafrasi latina e dal suo volgarizzamento) vede un invito alle due parti contendenti di far loro riclami sopra qualunque articolo della sentenza. Io invece ritengo che questo invito non altro riguardi che l’ultima disposizione, quella cioè che riflette sui carcerati. E primieramente il singolare de ea re non indica naturalmente pluralità di materiale non dovendosi riferire che ad una cosa sola, è ovvio che riguardi l’ultima detta, che è appunto la scarcerazione dei detenuti. Tutto il resto era azione civile: solo quest’ultima spettava al criminale, e perciò non fa maraviglia che facesse parte da sè. Il tenere in carcere tutto al più sino alle Idi- di Sestile quei riottosi, che in luogo di danari aveano tentato dar delle busse ai Genovesi, poteva per avventura parere a questi troppo leggera pena : mentre troppo grave potea parere a quelli che gemevano in carcere per avere un po’ menato le mani. Era perciò naturalissimo ehe agli uni e agli altri fosse aperta la via a riclamare verso questa disposizione al tutto transitoria, la quale potea venir modificata o in un senso o nell’ altro senza conseguenza di nuovi disturbi. Ma quali e quanti non ne avrebbe recato ogni altro riclamo se si ammetteva appello sopra qualunque altro punto della sentenza! Già un appello formale non si può ammettere verso un giudizio di Arbitri delegali per Senatusconsulto: tutto al più si può riguardar come possibile la modificazione di una disposizione ( 389 ) TAVOLA DI POLCEVERA transitoria, a cui gii Arbitri stessi aveano voluto lasciare l’adito aperto. Si erano essi trasferiti sui luoghi, gli avevano percorsi in tutti i sensi e minutamente esaminati alla presenza, non se ne può dubitare, dei Procuratori delle due parti, che doveano loro servir di guida a illuminarli sui rispettivi diritti e pretensioni dei loro committenti. E donde se non da questi avrebbero potuto attingere le cognizioni necessarie a segnar confini e piantar termini? Nessuno di noi era presente; ma ragionando possiam bene immaginare con una certa probabilità ciò che avvenne in quella occasione. Se gli Arbitri trovavano concordi fra loro i Procuratori, non facevano che mettere il suggello all’ accordo : quando questo non ci era, gli Arbitri usando della pienezza di quella podestà che aveano ricevuto dal Senato, doveano dirimere la quistione in quel modo che loro si rappresentava più equo, poste sulla bilancia le ragioni, che doveano aver sentite in contraddittorio dai rappresentanti delle due parti. Ma è certo che questa decisione si facea sul posto in re praesente, e di mano in mano si andavano componendo le differenze, et coram inter eos controvosias composeiverunt. Questa espressione ci dà l’idea di un accomodamento amichevole, anzicchè d’un taglio alla ricisa della spada di Temi. La decisione dovea pur parere a tutti presa irrevocabilmente. Quivi chi si credea leso doveva accampar sue ragioni, se ne aveva, quello era il tempo e il luogo di farle valere, presenti i Delegati del governo forniti di ogni facoltà e disposti a far giustizia ai riclami. Perchè tenere in sè per allora, e aspettare a portar le loro lagnanze a Roma, quando era stata compiuta quell’incomoda visita, composta ogni cosa, incisa in bronzo la sentenza? Far tornar gli Arbitri da Roma in Liguria, far loro nuovamente percorrere questi monti e queste valli per la differenza di qualche spanna di terreno? Questo, con buona venia di chi sente altrimenti, non mi par plausibile. E ciò quanto ai termini ed ai confini. Riguardo poi TAVOLA DI POLCEYÉRA ( 390 ) al censo da pagarsi, è vero che in cosiffatti aggiustamenti, la più piccola somma sembra a chi dee pagare esorbitante, di soverchio esigua a chi dee ricevere; ma se anche in questo dobbiamo ammettere che inter eos conlrovosias composeiverunt (nè v’ha ragione per non ammetterlo) è da supporre che prima di stabilire quella somma avranno esaminato bene le ragioni di qua e di là, ed avranno fissato una cifra che potesse parer tollerabile alle due parti. Vuoisi perciò credere che quando furono fatti incidere 400 viitoriati, i Veturii Langensi aveano già consentito di pagarli e i Genovesi si erano mostrati paghi a tal somma. E neppur su questo si dovea più ritornare. L’ unica deliberazione transitoria, intorno a cui si poleano ammettere modificazioni senza rendere inutili i passati lavori e crearne una serie di nuovi, era ciò che riguardava la liberazione dei detenuti. A questa pertanto io penso che si applichi il de ea re e che per questa soltanto gli Arbitri fossero disposti a ricever riclami e a modificare il loro giudizio. DELLA SENTENZA INSCRITTA NELLA TAVOLA DI PORGE VERA TRATTAZIONE DEL CANONICO LUIGI GRASSI AL CHIARISSIMO CANONICO ANGELO SANGUINETl IL CANONICO LUIGI GRASSI —— Incaricato voi dalla nostra benemerita società Ligure di Storia Patria della illustrazione delle epigrafi romane liguri, che il tempo, distruggitore di monumenti innumerevoli, risparmiò agli studi dei posteri, consapevole , come eravate, dei miei speciali studi, clic da lunglV anni io aveva rivolto alla più insigne, per ogni modo, vo' dire, alla preziosa Tavola di Porcevera, voi colla società prelodata, cui mi tengo in pregio ed onore r appartenere, voleste pur me invitato a recar negli atti del nostro Istituto un qualche elemento illustrativo TAVOLA DI POLCEVERÀ ( 394 ) ------------;-*---- del gran monumento nella gratissima compagnia di voi e dell’egregio nostro collega il Cavaliere Avvocalo Cornelio Desimoni. E tanto più che il mio lavoro al presente uopo a voi sembrò per me di non troppo grave fatica qual non comporterebbono le condizioni della mia sanità, avendo voi giudicato di qualche importanza al caso quello, che già si legge pubblicato da me due anni fa pei tipi del Caorsi in Genova; che allora diedi in luce non solo quale svolgimento di quanto io presentava sull’argomento nel 1856 in una memoria diretta al R. Sindaco, il Cavaliere Professore Giuseppe Morro, cui rimase alle mani (la quale memoria trovasi pure testualmente inclusa nella mia detta pubblicazione); ma eziandio per affollo agli studi patrii, e affine di appianare cosi la via ad istudi ulteriori , assicurando segnatamente della preziosa epigrafe la lettura e l’intelligenza gramaticale. Cosa strana, ma vera che un tanto cimelio, dopo tante edizioni , e dopo alcuni tentativi d1 interpretazione , dal 1506 ai nostri giorni, non fosse mai stato con piena esattezza pubblicato cd abbastanza inteso! Per quanto adunque io posso concorrere alla desiderata illustrazione dell’insigne monumento, accetto con gratitudine l’invito e son con voi e coll’onorevole nostro cooperatore, che si tolse il malagevole incarico di trovarne le topografiche applicazioni, corredando oltrac- ( 395 ) TAVOLA DI POLCEVERA ciò largamente il grato tenia di varia erudizione di filologia comparala. e di importanti ricerche più o meno connesse coll1 argomento. Io dissi malagevole queir incarico ; non già per dubbio sulla.grande abilità del trallalore, il cui ingegno e perizia vincerà per fermo delle grandi difficoltà, ma puramente in ragione dei pochi dati al bisogno. E se a lui, e ad altri ancora non sarà dato illuminare per ogni verso oscurità sì folla , sarà il suo lavoro pur tuttavia, siccome credo, un passo degno dei nostri studi; sarà un granellò il solo aver gitlato qua e colà alcuni raggi, che giovino a porci in possesso di alcuni accertali elementi, onde colle successive aggiunte o di noi o dei nostri posteri, venga fatto giungerne a quella meno difettosa illustrazione, di cui sarà trovata pur finalmente capace l1 inestimabile iscrizione, Comechè ardentissimo desiderio di vedere in quel testo il più chiaro e il più compililo possibile abbia mosso pur me a tutte le indagini relative, ebbi impedimenti difficilmente superabili per condurmi al l'esaurimento delle medesime, secondo che mi parevano necessarie allo scopo. Io aveva già disegnata la mia tela, nella seguente ripartizione (*); « La mia traccia, » posso quasi dire, è bella e disegnata, non ho pe- (*) Suiriscr. della Tavola di Por.ccvera cil. (cd. 1863) pag. 16. TAVOLA DI POLCEVERA ( 396 ) » nuria di dati e riscontri, e di buone deduzioni, se-» condo parmi, da quei dati c riscontri. Darne adun-» que la lettura esatta, esaminarne il testo verbo a » verbo, istituire conferimenti con simili antichità, » tener d1 occhio gli autori specialmente antichi, » che dan lume a cotali indagini per determinarne » solidamente 1’ accezione gramaticale , e i signifi-» cati: non omettendo intanto quelle osservazioni filo-» logiche, onde verrà il destro, a migliore illustra-» zione ed utilità, fla il tema d’un libro primo. » Cui seguirà (io continuava) pel secondo libro lo » intertenerci della giurisprudenza romana rispetto al » Gius onorario, al quale appartiene il nostro monu-» mento, lo esaminarne il contenuto giuridico e lo » storico immediato, e l’applicazione territoriale. Àl-« cune nomenclature assai chiaramente riconoscibili: » Langenses o Langatcs, Mankelum o Mànnicelum, » Eniseca, Prenions etc., certi nomi regionali e di » corsi d’acque rimasti nella bocca del popolo abila-« tore, alterati sì, ma che possono richiamar deriva-» zione da quei vetusti nomi ligustici , la distinzione » che fassi fra acqua ed acqua nel bronzo stesso (ove » fluvius, ove rivus); la guisa di limitazione per juga » montium et cursus aquarum tenuta, secondo Siculo « Fiacco, dai Romani, mi saranno di non ricusabile » fondamento. t ( 397 ) TAVOLA DI POLCEVERA » Fermala (io proseguiva) così l’interpretazione, » sarà d uopo distendersi nell1 esaminare le divergenti » sentenze contrarie; far opera chiara e ben ragionata » d’ eliminarle, duce la verità, non lo studio della pro-» pria opinione qualunque siesi. Questa parte critica » darà 1’ argomento ad un terzo libro. E conchiudendo io dicea: « A questo punto si po-» trebbe far fine ; ma parmi che mancherebbe alla » compiuta trattazione un necessario, o, se non altro, » assai desiderabile proseguimento. Le antichità dei » Liguri, le nostre segnatamente sinora poco o con » poca felicità furono illustrate. (Ciò diceva io nel » 1856 , avanti l1 istituzione della nostra Società di » Storia Patria). Saria bene entrarci (nelle nostre anti-» lichilà cioè); tanto meglio che d’esse la più gran » parte rannodasi coir illustrazione della nostra Tavola. » Conosciamo una sentenza di Roma, che ci riguarda; » ci nasce certo la brama di saperne più in là; come » e quando divenimmo Romani, e ciò che i Romani » qui abbiano operato. Sotto la scorta degli storici e » dei monumenti rimastici, quanto potrà inoltrarsi, » eziandio tenteremo in un quarto libro questa nuova » ed ulteriore ricerca »* E questa trattazione non polea cader meglio che alle mani, com1 io augurava e come ora avvenne , d un corpo accademico * ove gli studi positivi o deduttivi da simili fondamenti, nel numero TAVOLA DI POLCEVERA ( 398 ) e noli altitudine degli studiosi, quando tutti collimano per la ricerca del vero, trovano più pronta c più felice riuscita. L’ attuale mio assunto perciò si ridurrà poc appresso in su quel fare, ch’io tenni nella citata pubblicazione. Quella forma allora io scelsi a mo’ di saggio, nel quale fossero principalmente assodati in ispecie gli elementi preliminari. E cade assai bene nel luogo assegnatomi in questa illustrazione. Altr’ordinamento da quella avrà non ostante questa nuova trattazione; e sarà solo in essa conservato quanto tornerà acconcio al nuovo compito. Ometterò adunque la storia della scoperta del bronzo, eh’ io narrai nel citato mio opuscolo, ometterò quanto lo concerne materialmente, non entrerò di proposito in filologia, lasciando queste cose com’è dovere, alla vostra prefazione, che dee precedere questo mio scritto e quello del Desimoni, Lascerò pure di entrar largo perciò nelle discussioni topografiche e linguistiche, le quali costuiscono il tema delle erudite lucubrazioni dello stesso nostro collega , salvo a me la conveniente, ma assai parca, licenza di toccare, si quanto alla vostra parte, si quanto a quella del Desimoni, quel tanto che le occorrenze suggeriranno , cioè quando solo mi parrà o necessaria od opportuna cosa al compimento delle materie da me trattate, oppure all’ esposizione di u/i J)uon rilievo caduto in acconcio, che vantaggiasse in alcun modo ( 399 ) TAVOLA DI POLCEVERA lo studio del monumento , o fosse utile comechessia , od almeno paresse. Eccovi adunque, mio Don Angelo, 1’ ordito in somma della tela che ho in animo di riempire per presentarla a voi, cioè alla egregia Società Ligure di Storia, che spero con fondamento più fortunata, rispetto al monumento di cui trattiamo, dell’Istituto Ligure, ove per mezzo del lodato Marchese Serra ebbesi il buon pensiero di occuparsene di proposito per la prima volta. Darò adunque in prima una introduzione; ove con-serverò l’utile al caso nostro che ^costituiva 1’ argomento della citata dissertazione epistolare da me compilala nove anni fa, e presentata allora al Sindaco della città per ottenere da lui le necessarie agevolezze alla piena e perfetta disamina del monumento. In essa rac-chiudevansi compendiosamente assai notizie dei monumenti congeneri; e del nostro si toccavano alquante opportune avvertenze, coni’io credeva, a non dare in fallo sul bel principio, chi avesse voluto darsi a studiarlo; e si stabiliva una traccia di possibile illustrazione , riferita più sopra. Darò in secondo luogo l’esatta lettura, quanto per uom si può, dell’iscrizione, la quale, gli è strano a credere, pur tuttavia, dopo meglio di cinquanta o ses-• sanla edizioni ch’ebbe (dall’Annalista Giustiniani a Federico Ritsehl e Teodoro Mominsen), non esisteva in TAVOLA DI POLCEVERA ( 400 ) luce perfettamente corretta nè a stampa, nè in rame, nè in litografia. La mia edizione non la diedi allora isografica, cioè, come dicono, per fac simile: e ciò di appensato fine; prescelsi darla in istampa; ma così prodotta, che impicciolita di campo , conservasse le proporzioni dell’originale nelle linee, nei caratteri e nelle finali; sicché se ne ottenesse per la nitidezza e regolarità de’ caratteri di stampa , sostituiti ai vecchi lavorali di poco destra incisione , ed insieme per la piccola e maneggevole forma un uso assai più comodo e, quasi dissi, più ameno. Diceva allora che l’esalta riproduzione isografica sarebbe venuta dopo: chè certo, a studio compiuto, la Società negli eruditi suoi Atti T avrebbe pubblicala colla possibile illustrazione a cui dottamente lavorava. Ed or che siamo al caso del predetto tentativo di una intera illustrazione della preziosa epigrafe, continua a riuscire egualmente in acconcio, cred’ io, la ripubblicazione dal mio testo assai bene assicurato come base e compimento della nostra raccolta illustrativa. Ma siccome gli arcaismi, l’elissi e le vecchie forme di quell’antico Ialino, il quale spira ciò nondimeno una specialissima grazia nativa, che piace ed incanta gl’intelligenti, siccome inoltre quelle stringale formole soventi non esprimono al comune dei lettori tutte le idee che suppongono, e quindi per costoro, essendo meno versali, quel contesto riesce di lettura e studio malagevole, darò di nuovo in lerzo luogo l’Iscrizione ridotta alle forme ortografiche, in cui leggiamo ridoni i latini scrittori, colle* interpunzioni cioè e cogli, a capo, tanto opportunamente allo stesso scopo di facilità introdotti nelle classiche opere di quegli autori; rimovendo oltracciò gli arcaismi gramalicàli, e supplendo con inserite parole, rendute ben discernibi.li dalle precise, che trov-ansi nel testo, per diverso carattere, in quella stessa maniera che sarà eziandio differenzialo quanto di esplicativo brevissimo sarà tenuto opportuno alla più facile e più completa intelligenza di quel prisco contesto. In quarto luogo darò pur nuovamente, ad abbondanza, il volgarizzamento della Tavola, derivato sos-sopra dall’esposizione già compilatane in latino. Ben inteso, che in questo pure per differenza di carattere sia discriminato il puro testo da ogni inserzione completiva ed esplicativa. Colalchè e il latino così acconciato e la derivatane traduzione potran giovare di face comoda allo studio che voglia istituirsi sul testo, che può aversi soit’ occhio nella dala Tavola, qual usciva dall1 incisore romano dopo la compilata sentenza degli arbitri Minucii, delegati dal Romano Senato in questa causa di giure onorario, e pubblicata in Roma alla presenza dei rispettivi legali o procuratori dei liguri '26 TAVOLA DI POLCEVERA ( 402 ) litigami, i quali due procuratori trovansi sottoscritti appiè del digesto con nomi di celtoligure fìsonomia, e con forme gramaticali noji ben latine; così per fermo incisi materialmente, quali erano stati vergali sulla cera del primo originale, stato letto e pubblicato in Roma a quell’ udienza giudiziaria. ( 403 ) TAVOLA DI POLCEVERA INTRODUZIONE L’ uso di consegnare al rame gli atti pubblici presso gli antichi saria tornato davvero ci’ infinito vantaggio ; ma il tempo edace sì in questo , sì in altre qualità memorie funne deplorabilmente maligno; a noi Liguri segnatamente, cui involò persino quasi lutto quanto e 1’ eloquente Livio e l’indagatore Polibio avevano delle cose nostre consegnato nei loro volumi. Quanto all’ Aerescriptura, come l’appella Siculo, gli originali serbati in Roma perirono negli incendii e nei saccomanni : i duplicati di quegli Atti, che riferivansi alle Colonie, ai Municipii federati, alle Prefetture, ai Fori, ai Concilii, alle Provincie , alle Alleanze e via discorrendo, andarono per poco lutti in dileguo con danno irreparabile della storia e della filologia. Nelle guerre Otoniane se ne squagliarono quanto aveanvene in Campidoglio, che andò in fiamme, come nota Tacito, e dove erano collocate le rimanenti, salve o ripristinate, dopo i precedenti infortunii. Perirono per disastri posteriori le tre mila tavole , rifatte, giusta Svetonio , sotto V Imperatore Vespasiano ; riparazione , la quale, comechè di troppo incompleta, alleviava pur tuttavia non *poco il dolore di sì grandi iatture. Ben tornava incompleta quella ristorazione in vero per doppio titolo ; imperocché se ne potè ripristinare soltanto un assai breve numero , quelle cioè che poterono riaversi comechessia da copie, TAVOLA DI POLCEVERA ‘ ( 404 ) ____• . o da copie di copie che ancora n’esistevano per Roma od altrove; e si ristorò senza dubbio con quegli scorsi -non infrequenti e quelle mutazioni, cui vanno sempre soggette, anco in buona fede e conscienziata sollecitudine, le riproduzioni di cose antiche. Infatti come riesci la-copia della nostra Tavola me-sima cavata d’ordine di Cosimo J di Toscana, che trovasi nella galleria di Firenze? Eppure copia ritratta dall’originale, e con mandato del massimo di precisione. Sudò Polibiò, sudarono i più dotti Quiriti, eli’ egli dovè appellare in soccorso, a cavare un costrutto dalLa Tavola che conteneva 1’ atto di federazione fra Romani e Cartaginesi l’anno primo del Consolalo Romano, cacciati i Re; eppur non eran poi sì discosti -dal tempo di quella compilazione. Donde viene che noi possiamo con miglior fondamento interpretare i frammenti delle XII Tavole, anzi quelli puranco delle leggi' regie ? Ei passarono per la bocca e per‘lo stile di molte generazioni, eran testo, ce ne avvisa Tullio, di fanciullesca elementare lettura, mandavansi a me? moria, ivano perciò dirugginendosi, seguendo in alcunché il progresso della successiva coltura del linguaggio. Quanto pei ciò maggiore la rilevanza delle iscrizioni di data coita o a>se gnabile, coeve e ben conservate! Egli è il possederne pui una senza dubbia gran-sorte,* e tanto .immensamente più, se corre data di si felici condizioni, fra sì poco numero scampata dallo sterminio, e dall’ingiuria del tempo,-che I abftia -interamente rispettata. Il senatusconsulto de’ baccanali, che serbasi nel museo viennese, rinvenuto nelle Calabrie, alto sancito nel 568 di Roma, è il solo digesto al nostro paragonabile , e che lo precede ( ); (*) Questo senatusconsulto prezioso per la filologia e per le formolo * non t per fermo di massima importanza storica conciossiaehè non iscopraci nulla di niio\o, sapendo noi il suo disposto altrimenti, cioè per mezzo di l ilo Livio. ( 405 ) TAVOLA DI POLCEVERA cliè il nostro bronzo .è del 037. Ma il viennese è in minor conservazione. Gli esemplati delle antiche leggi e Senatusconsulti conservatici sui libri di Frontino, di Cicerone e di Catone, dal detto sopra son fuori di comparazione, e' perciò me ne passo. 1 miseri brani circonrosi delle leggi agrarie, la smarginata legge Toria, la monca iscrizione Eracleense opistografà d'altre greche molto più antiche, il lungo frammento senza capo e senza chiusa delle costituzioni per la Gallia Cisalpina (*), la legge acefala de praeconibus et viatoribus, il bronzo Termense, sono assai lungi dal poter disputare la preminenza al nostro, che in estensione , che in importanza, che in vetustà, che in conservazione. L’ epigrafe puteolana esistente in Napoli, ma in marmo, ben conservata, pur cede alla nostra dell’ antichità d*alcuni anni. Le due Tavole alimentarie, la Trasàpennina, e la Bebiana portano il nome di Trajano. Non volendo uscir dal latino, io non toccherò qui de’ Marmi Parii o Arundelliani e di altre abbondevole antichità di Grecia, non delle indiciferabili Eugubine tavole di scrittura Osca, alle quali non può assegnarsi, nemmeno probabilmente, l’età. L’ultimo dottissimo tentativo, ma non sicuro, per illustrarle venne fatto testò dall’ illustre tedesco Teodoro Mommsen, mercè il Sanscrito. Possessori di tal tesoro, conveniva tentarne eziandio un’esatta dilucidazione, per averne almeno quanto venisse dato. Or io veduto ch'altri non occupavasene di proposito, mi rivolsi, per zelo patrio ed amore di questi studi, all'opera ardimentosa, a procurarvi comechessia un passo innanzi, contento se almeno O Questa dal- RiiscliI chiamasi 'lex liubria sul puro fondamento che nel suo contesto trovasi detto in uno degli articoli dispositivi: lego liubria. Ciò, secondo il consueto delle forinole siffatte, non include per avventura che una citazione di legge anteriore ; imperocché quando si parla della stessa legge nelle sue disposizioni vengono usate o le sigle H. L. o in tutte lettere Hac Lego, senza nominare altrimenti 1’ aggiunto, Cui bastava aver posto a capo della medesima legge. TAVOLA DI POLCEVERA ( 406 ) giovassi di sprone a questi studi e discussioni che portassero finalmente il desiato frutto (*). Ed eccoci al mio bramato risultamelo. Abbiamo, egli è vero, su tal soggetto, un’apposita dissertazione dell’egregio marchese Serra letta nell’istituto Ligure , nelle cui memorie è stampata. Ma, secondo il mio avviso, il dotto ed erudito scrittore, sì benemerito della nostra istoria , non (e quanto si richiedeva ; commendevolissimo contuttociò d* averci posta la mano e dette cose da farne capitale. Egli per manco di alcune avvertenze filologiche, e deli attenta lettura dei bronzo, si lasciò ire a posarsi in falso ; cotalchè d’ una lite, dove a capo del bronzo stesso, quasi direi per intitolazione, sono determinate le parti (inter Gemiate is et Veiturios) ne fece contestazione fra Langensi e Veturii (**■), diversificandoli fra loro, ai quali Veturii, dopo aver dato il moderno Langasco ai Langenses, dovette cercare un luogo diverso; ed assegnò loro il monte della Vittoria ; modernissima nomenclatura. La (*) A questo scopo feci tulle le indagini per verificare, se esistessero mai antichi cadaslri dell’alta Porcevera, dai quali per le nomenclature regionali che vi si sogliono trovare, polea venire gran lume. Ma nulla di ciò mi venne fatto di trovare, se non ora, che potei vedere alcune Cciruttcìtc, come per lo innanzi era» delti i Registri del censo territoriale, ch’or diconsi Cadastréper alcuni traili della Valle della Porcevera. Ma non ancora ebbi la sorte di trovarli tulli, alcuni in ispecie che per avventura potrebbero riuscire i più utili e più fecondi. (**) Ecco un dei punti d’importanza massima, che non era stato per lo avanti mai colto , nemmeno dall' Oderico. Nella lima U in 23 leggeva si : pro e o agro vectigal langenses veituris in poplicum genuam dent. L’ arcaismo della finale del nominativo plurale veituris, si volle invece un dativo. Quinci l’origine in radice dello sbaglio. E dove la sentenza dichiarava immuni i Langesi Veturii da una prestazione a Genova, loro parte contraria nella controversia giudi cala, si trovò che i Langesi dovean pagarla ai Veturii depositandola presso il comune (poplicum) di Genova. Vedete diversità di conseguenze. Di lì dunque gli errori sierici, politici, giuridici, archeologici, clic furon detti, quando si tolse un cotal fondamento per interpretare o dedurre notizie dalla nostra iscrizione. Egli v’ha certamente fra gli archeologi e giuristi anteriori, chi sembrò averne colto il punto, nel ci-fare cioè'o denominare il nostro monumento, appellandolo giudizio, sentenza, di- % ( 407 ) TAVOLA DI POLCEVERA quale si originò dal Santuario , e non altrimenti, ivi eretto a N. S. della Vittoria, così per appunto intitolato in memoria d’ un fatto d’ armi colà avvenuto col disopra dei nostri 1’ anno 1625 ( Vedi Storia di lia/l'aele delta Torre MS. esistente nella* Biblioteca della nostra Università). L’ eruditissimo e sicuro Oderico, che sarebbe stato veramente 1’ uomo al bisogno, se n’ occupò solo alquanto in vecchiaia , e in malferma salute. Non ne lasciò che un tentativo incompleto, il quale trovasi fra le sue schede nella biblioteca di questa R. Università. Ei, non avendo esaminato accuratamente il bronzo, conti’ era d’ uopo , e non avendo avvertito, che quel malaugurato nominativo arcaico veituris non era altrimenti dativo, neppur egli, comechè archeologo meritamente di fama europea, ne prese il bandolo reggitore. Ed era già in via, che nell accennato suo tentativo in abbozzo troviamo il seguente passaggio : « Linea 24 • evm • agrvm • castelanos • langenses • veiturios • » possidere • fkviqve • oportere. Duos lieic populos commemorari, » Langenses nimirum et Veiturios, suspicatus fueram; placuisse » enim veteribus, praesertim in legibus ctcivfc-cos loqui, plurima » sunt, quae ostendunt, exempla. Ast illud me ab hac suspicione » avertit, quod statim additur : pro • eo • acro • vectigal » LANGENSES • VEITVRIS • IN • POPLICVM ■ GENVAM • DENT. Quis enim gesto o simile inter Genuates et Vetuvios. Toglievan essi di peso le parole, ilio leggonsi al cominciameiilo della stessa epigrafe, senza nulla asserire con cognizione di causa, o almeno senza mai rivolgervi in senso della retta inteli gonza 1 atten zione del leggitore. E fra questi è il Gravina, che dice, iw velai Minila acnca, in Liguria inveniet, legimus missos a Senatu ai bili os finium 1 e(,undoi un inter Genuates el Velurios esse} requo cognita, nomam venire jussos sententiam cx S. C. dicturos. (01%. Jur. 1. «. XIV). Quello che vide .1 Il udor ff, conosciuto a Genova assai dopo i presenti studi, ed ora avvalorato dal-1> autorità del Ritsclìl, del Mommsen. del Sanguineti, del Desimoni e d’ altr. competenti in simili materie, è pienamente in sodo, ed apre la via sicura al rimanente della illustrazione del monumento. TAVOLA DI POLCEVEHA ( 408 ) I » credat Veiturws in partem possessionis, fructusque agri » illius admissos, pro quo agro iisdem vectigal a Langcnsibus » pendebatur? Quid igitur Veituriorum nomen caelatoris osci-» tantia hunc in locum irrepsisse dicam ? At cum quater Lan-» gemes Veiturios in hac Tabula occurrant (Iin. 24. lin. 31. » 33. 37), non ita facile caelatorem quater eumdem errorem » errasse credam. Illud potius suspicarer duas fuisse Lanyen-» sium populos, quorum alii Langenses, alii Langenses Vei-tuni dicerentur ». Quindi non è maraviglia , s’ egli segue più innanzi : « Quaeret fortasse quispiam cur vectigal hoc Veituriis non eorum in Castello, sed Genuae persolvi oportuerit ». Da ciò si chiarisce, quanta era la necessità di un riscontro esattissimo sul bronzo, e deir esame d’ogni minimo punto della iscrizione. Cereai adunque vedere ed esaminare la nostra Tavola; la conferii, dapprima solo, con diligenza scrupolosissima colla copia isografica (;Fac-similé) della Guida per gli Scienziati del 1846; rettificai non poche inesattezze, e di rilievo. Nè di ciò fui contento, non volli affidarmi ai soli miei occhi, ci tornai poco stante col cav. prof. Giovanni Ansaldo Cons. -Municip. ed il prof. Angelo Sanguineti. Con esso loro mettemmo in sodo contro il citato isografo la mia corretta lettura, ed accertammo un’altra cosa, ch’era un parer mio; i guasti cioè ad incavatura quadra non essere altrimenti colpi di zappa o di simile strumento, com’ erane opinione, ma punti di luoghi di rappezzamenti. . Ri-maservi scassinate le toppine, in quei punti preparati inserile negli incastri fattivi dall'operaio incisore; il quale adoperò così o a rispianarvi la mal tirala tavola, o ad emendarvi alcun errore sfuggitogli in sull’ incidere. Fatto sta, che quei pretesi buchi non passano fuor fuora, nuli’hanno di violento, mostrar) lavoro fatto in istudio, conservano resti di saldatura. Inoltre v’ hanno altre toppe somiglianti non iscosse da luogo, che possono riscontrarsi coll’ attenta osservazione. ( 409 ) TAVOLA DI POLCEVERA Quando sotterra da secoli fu rinvenuta dalla zappa del villico I( demonte in Isoserco nel 1506, ebbe a restarne un po' malconcia bensì, ma intaccata per lo rovescio, da dove colpita, lt\ò lo sghembo ed apri quel pelo diagonale che vi si scorgono tuttavia. Un esame ulteriore, e, direbbesi, quasi eccessivamente minuto , istituito coi due chiarissimi colleglli, coi quali ora appunto ho 1 onore di partecipare a questa illustrazione del monumento , venne eseguito da capo coll’ occuparvi non poche ore di osservazione e di conferimento. Diamo adunque 1’ epigrafe coll’ esattezza ottenuta con tante cure , nella lezione della quale troverà il lettore alcune poche lettere minuscole; egli noti che rappresentano i supplementi sui guasti della Tavola originale. E s’ abbia il lettore insieme colla J avola un seguito di brevi Osservazioni relative all'incisione ; e di note indirizzate allo scopo della retta intelligenza. i «r * I TAVOLA —SêTcôntrôvôrsîï i s“intF ^ ^ . CONTUO VOSI AS COMPOSE.VERVNT (R ACERE . TERM.NOSQVE . STATVI . IVSERVNT IUPPRESENTATIV \ ML MUKJU DI PUIC£ VERA K1M9TA UXA PROPORZIONALE SUPERFICIE Di FUCO PII DEL QUARTO DELL ORIGINALE IVIYATA MLNITKMMAMENTE SECONDO LA POSSIBILITÀ DELLA COMBINAZIONE mi nu mobili E BENE ASSICURATA NELLA SLA LEZIONE Kl ISTIS» I CC1A Kl. LUKEnCO LUIGI GRASSI S 10 il lì 15 14 16; 17 18 J9i 20 21 22 2 3 2t 23 26 27; I 28: 29' 30 STAT CELO 00MFLV0 GENOVA TV06«.%m DU «0*D0-*m «lis FATT A >11 i« MCI ITA* LICBII Df *TOMA P\miA O . m . M1NVCIEIS* Q.F- ^ y F coram . ikter • E0S V ln • . oc. - \ r^ENTE . COGNOVERUNT . ET . COR A. p.NFIS . FACERE CENVATE1S . ET • VE1TVR106 . IN • ~ F|NE1S . FIERENT . DIXSERVNT . E • * EX.SENATI • CONSVLTO . DIXERVNT . EIDlfcll* ET . Qt'A . LECE . AÜRVM - POSSIDERENT . • ',0VSFi»VNT . ROMAE . CORAM . SENTENT _ jjsT • QVEM • AGRVM . EOSVENDERE . 1IEREDEMQV6 V BEI • EV . FACTA . ESSENT . ROMAM . CORAM S*™ • ^ ^ pR,VATVS . c.ASTELI . V.TVB.OB,VM • ^ ^ ^ . mANNICELO . AD. FLOVIV,,, DECEMB L . CAEC1L 10 . Q • E • Q • ’ T1VM . F1NE1S . AGBI. PRIVATI. ABR1V0, . I ^ . VSQVE . AD . RIVOM . COMBEHAKEMl SEQV. • LICET . IS. ACER . VECTIGAL . NEI. .IET ^ ^ fLOV.VM . LEMVRIM . INDE •1L yiAM . POSTVM1AM . EX . EIS . TERMINIS . RECTA EDEM . IBI.TERMINAS .STAT . INDE • FLOVIO . * ^ ^ . ,BI .TERMINA . DAO .Sl< • . IN . FLOVIVM.PÎIOCOUERAH . g* INDURIVO • COMBER ANEV.SVSVM.LSQNE. AD. • ^ pjgVIASCAM . W« • D0R*VM ’ T ,NDE . SVRSVM . RIVO . RECTO . VIN ELESCA REGIONE IN RIVO.VENDVPALE . EX . RIVO . VIN VINELASCAM . 1NFVMVM . IREI • TERMIN■ - ^ „AT . EX . EO . TERMINO QVEI . S FLOVIO . PR OCOBERAM . DEORSV M . 1NDE . ALTER . TRANS . VIAM . POSTVM ^ oritvr . AB . FONTE . ENM AN IBE1 . TERMINAS . STAT . PROPTER • ' ‘ FONTEM . IN • MANICELVM . INDE H1SCE F, WS . V1DENTVR . ESSE . VBI . CO! TRANS . VIAM . POSTVMIAM . RECTA . REGIONE . _ ^ ^ , LANGENSES . POSID ^ . INKVM0 . IBEI . TERMINVS (OT AD . TERM1NVM QVEI . STAT . AD . FL°"V ’ \SDE . EDE . FLOVIO . SVRSVORS V «1 • ‘• 1 ^ RECT0 . EEMVR.NO . IBI . TERMINAS EDVS ET - PROCOBERA . IRE. * . MONTE . LEMVRINO . .BEI . . SVMMVM . IBI . TERMINVS . STAT . INDE . SVRSVM . IVGO STAT . INDE . SVRSVMVORSVM IVGCK RE ^ . RECTO . IN MMffE» •^ . RECX0 . „ . MONTEM . 10VENT10NEM . IBI TERMINVJ STAT . IN • MONTE PRO . CAVO . .«DE • ^ terMINVS . STAT . INDE . SVRS1 ^ ^ ApEp;|NVM . IVGO . RECTO RECTO • IN CASTELVM QVEI . MONTEM . APENINVM . QUE. . , N F L o V V M . VERAGLASCAM I N M O N T E M . BER1.GIEHAH STAT . INDE . SVRSVM . IVGO , RECTO . W ^ qE0RSVM . IVGO . RECTO . INF ^ STAT . INDE . DORSVM . IVGO RECTO . IX ,.N MONTEM . TVLEDONEM . .BEI . TERMIN . ^ ^ ^ . MONTEM . :PREMCV; • • CLAx£LVM . IBI . TERMINVS . STAT . INDC ,NFV MO . IBI . TERMINVS . STAT . INDE • - ^ ,VG0 . KECTO . BLVST poRCOBERAM . IBI . TERMINVS . STAT FLOV.VM • TVLELASCAM . «BI • J«V • ^ ^ . INDE REO®>■ ^ ^ . stAT QvEM . AGRVM . POPL.CVM DEORSV M - IN FONTEM . LEBR.EMELL M^ ^ . FLOVI . EDVS . ET • 0P0RTERE . PRO . EO . AGRO VECTIGAL . LANGENSES INDE DEORSV M . IN • FL0V.0M . WRCOB • . VE.TVR.0S . . EAM . PEQVNIAM . NON . DABVNT . NEQVE . SAT.S 0 IVDICAMVS . ESSE . EVM • AGRVM . CA.TE ^ . VIC • N CCCG • SEI . ^ PEQVN.AM . AC1P.ANT . TVM . QVOD . IN . EO . AGRO VE.TVR.S.INPOPUCVM.GENV^I.DE. .. D pER.CENVENSES.MOTA.NON.F.AT Q . poPLICVM . GENVAM . DARE. FACIENT.ARBITRATVV.GENVATrVM^ ^ . PARTEM - SEXTA j^yRIVS qVEj . EORVM • POSEDEIT . K . SEXTI L. L . CAIC.L.0 ONATVM . ERIT • FUVMENT "iytra EOS • FINEIS • AGRVM! • POSEDBT GENVAS. AV • UNGENSiBVS.PR0. PORTIONE. DENT. ITA VTI . CETE», .N • ANNOS . SINGOLOS . QVEI. IN™A . y£ . UCEAT . EVS . QVEI . EV . IN . E0 . AGRO. NIQV.S . POSIDETO . NISI .DE.MAIORE PARTE Q . MVVCIO COS EOS ^^GR0- vgrvm .POSIDEBVNT . FRVENTVRQVB . PRAE ^ ^ VEITVR.VM . COLENDI . CAVEA UvEI . B01T. LANGENSES . QV. • EORV M . » • EO_^ NE . AL1VM . INTRO.MITAT . MSI AGRVM . NEl . HABETO . N.VE . FRV1MÌM0 . QVEI LANGENSIVM • VEITVRIORVM • SE - , 1TA . N0N . PAR® ^ V£1TVR10SQVE . LICEAT . ITA . VTEI . IN CET ERO .AGRO DE • MAIORE : PARTE • U»* * QV0 . minVS . PECVS • ?,ASCERE . ^ , Ex . EO . AGRO.LIGNA MATER. A« AGER . COMPA^VOS • ERIT . IN • ^ QyK . VIM . FACITO , ^VE • UHGE«SES . IN POPLICVM . GENVAM . . ::r :—- = •—• — • ™ •DARE *KH • DEBENTO . QVOD . ANTE . K . IA* (i ; Ü 10 (I 11 ks K IS fi! P !I9 20 121 l2i E B* P n •27 ii 29 3« 31 |3i 33 34 .>•> 3 i «* »• 36 37 38 39 40! 41 42 43 44 45; 46 DARE (VE 3j DEBENTO DEBENTO . QVOD . AN-TÉ .K . ........ _ C,ECIU0 Q . MVVCIO COS IN . AGRO . POPLICO . QVEM . VITVRIES . LANCEM PRATA . QVAE . FVERVNT . PROXVMA . FAENISIC . ^ CAVATVRINEIS . ET . QVEM . MENTOVINES . POSIDENT . EA . PRATA (SES POSIDENT . ET . QVEM . ODL.TEs .^ ' DECTV^IjjE|>VS . ET . CAVATVRINES . ET . MENTOVINES . QVEM . QVISQVE . EORVM . AGRVM INVITIS . LANGENs.BVs • ' MVE FRVATVR . SEI . LANGVESES . AVT OD. ATES AVT . DECTVN.NES . AVT . CAVATVRINES POSIDEB.T . LNV.TE.S . EIS N.QV.S . ^ . DEFËNDERE . SICARE . ID . VTI . FACERE . LICEAT . DVM . NE . AMPLIOREM AVT . MENTOVINES . MALENT . IN . . AESTATE HABVERVNT . FRVCTIQVE . SVNT VITVRIES . Q V EI • CONTROVORSIAS . HUI»» ■ «m» ® W. • INVINCVtEIS . OB EAS . RES . EST . EOS^OME.S GENVENSIVM • OB . IM0VR.AS . IV»'CA^T * I > A^TE , EIDVS . SEXTILIS . PRIMAS . SEIQVOI . DE . EA . RE SOLVEI MITTE. . LEIBER. . q ' ^ q y OQ VE . DI E ET AB O M N . B V S CO N T R O V ER S IS IT H ONO P V BL ;rGv% qTTm e r.EcAD N r o m DEETArc zr • fq %lavcUS . peuam-pel^ . f L! ||56 1 mp r 38 39 40 f 43 j44 ks J6 TAVOLA RAPPRESENTATIVA DEL BRONZO DI PORCEVERA RIDOTTA ALLA PROPORZIONALE SUPERFICIE DI POCO PIÙ DEL QUARTO DELL’ ORIGINALE IMITATA MINUTISS1MAMENTE SECONDO LA POSSIBILITÀ DELLA COMBINAZIONE DEI TIPI MOBILI E BENE ASSICURATA NELLA SUA LEZIONE PER ISTUDIO E CURA DEL CANONICO LUIGI GRASSI «ECOAiDA EDIZIONE FATTA PER LA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA GENOVA TIPOGRAFIA DEI SORDO-MUTI I 865 i c 5 W ) h 1* 1 8 9 40 11 12 15 li 13 16 17 18 19 20 21 22 23! 2i| 0 25 0 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 fORSIEIS . INTE OSI AS COMPOSEIVERVNT (|\ NOSQVE . STATVI . IVSERVNT CONSVLTO . DIXERVNT . EIDIÔMS VM . EOSVENDERE . IIEREDEMQVd? .MEI. IN . MANNICELO . AD . FLOVIVW VSQVE . AD . RIVOM . COMBERANEfl/ft tiMIAM . EX . EIS . TERMINIS . RECTA . FLOVI'VM .P ROCOBERAM . inde . RIVO . RECTO . VINELESCA . EO . TERMINO . Q V E I . S T A T R . AB . FONTE . EN MANI CELO )E N T V R . ESSE . VBI . COMFLVO INFVMO . IBEI . TERMINVS (NT ECTO . LEMVRINO . IBI . TERMINVS S . STAT . INDE . SVRSVM . IVGO ÌM . IOVENTIONEM .IBI TERMINVS )E . APENINVM . IVGO . RECTO IN MONTEM . BERI.GIEMAM )E . DORSVM . IVGO RECTO . IN m . IBI . TER MI1SVS . STAT . INDC L A M . IBI . T E R MI N V S . STAT T j\QVEM . AGRVM . POPLICVM EO . AGRO VECTIGAL . LANGENSES >N . DABVNT . NEQVE . S A TI S ANT . TVM . QVOD . IN . EO . AG R 0 GENVAM . DARE . DEBENTO !IT . K . SEXTIL . L . CAICILIO TIONE . DENT . ITA VTI . CETERI IIDETO.NISI .DE.M AIORE PARTE LENDI . CAVSA ^QVEI . EORVM ITO . NI VE . FRVIMÌMO . QVEI VTEI . IN CET ERO . AGRO AGRO.LIGNA MATERIAM DPLICVM . GENVAM . DARE (VE DARE . NEI . DEBENTO QVE M . VITVRIES . LANGEA . POSIDENT . E A . PRATA (SES i} VISQ VE . EORVM . AGRVM pCTVNINES . AVT . CAVATVRINES CEAT . DVM . NE . AMPLIOREM QVEI . CONTROVORSIAS RES . EST . EOS ; OMNEIS f . SEIQVOI . DE . EA . RE VERSIS IT II O N O P V B L . LI ifLIONI • F OSSERVAZIONI < SUL BRONZO RISPETTO ALL’ INCISIONE DELL* EPIGRAFE ED ALI/ ACCERTAMENTO DELLA LEZIONE QUI ADDIETRO RIPUBBLICATA. E NOTE A DEDURNE LA RETTA INTELLIGENZA -- Credo non solamente opportuno, ma necessario il dare qui nuovamente a compimento e pienezza di notizie e di fondamento quanto io faceva conseguitare nella prima edizione al testo della riproduzione imitativa della nostra Tavola, insieme con quelle copiose giunte, che parranno utili a questa rinnovata e più compiuta trattazione. Seguendo passo passo la iscrizione, cui, per* comodo dei lettori, andrò riferendo per brani eolia rispettiva riduzione alla comune ortografia, e dopo aver notato quanto appartiene al materiale della incisione , passerò a discuterne l’intelligenza gramaticale, sintattica, giuridica e topografica; nel modo che, rispettando la possibile brevità, io crederò confacente ad illuminare qua e là il lesto, ed a cogliere la portata fin dove mi sarà dato, e 1 intelligenza del prezioso digesto. TAVOLA DI POLCEVERA ( 412 ) Il parallelogrammo ili rame o bronzo, il quale contiene la nostra iscrizione, non era tirato, come già accennammo, con guari esattezza d’ arte. Oltre i guasti di tre toppe uscite di luogo e perdule, e qualche pelo in cima a seguito di percossa pel dietro (le quali cose nulladimeno, come vedrassi, non impediscono la pienezza della lettura), non riusci ben riquadrala in lati retti, nò di superfìcie ben continua e levigala. Tal condizione costrinse l’incisore romano della sentenza a dover saltare gli sgorbi incavati in alcuni luoghi, separando cosi talora con una distanza intramezzata un vocabolo unico , ed allontanando di spazio troppo maggiore una voce dalla seguente. Il nostro apografo, qui ripubblicalo, notiamo che non ha che poco più d’ un quarto della superfìcie dell’ originale. Quanto per composizione di caratteri mobili si potè imitare, ivi procurammo di rappresentarlo in tutto : i fori eziandio praticativi per conficcarlo sur una parete o simile. Uno é in mezzo al vocabolo ru-feis nella prima linea; due altri al lato manco dicontro alle linee 24 e 27. 11 primo di questi sembra aver patito uno> strappo violento, che stracciò il margine. Rappresentiamo le finali ribassate alla linea inferiore, come la R dell’ INTER della prima, il ve di materiamve della linea 3i, ed il ses di langenses della linea 37. È da notarsi che la s di terminvs, che vedesi ribassata negl’isografì , o facsimile, come soglionsi comunemente appellare, pubblicati fin qui, non é punto alla linea 17 nel nostro bronzo. E parlando d'isografia debbo dire, che la stupenda eseguila a colore bronzeo dal Ritschl N. XX della sua appendice al primo volume dell'opera, che si pubblica dall' Accademia di Berlino intitolata, Corpus insciptionum latmarum, la quale appendice pubblicasi con proprio titolo (Priscae latinitatis monumenta____ exemplis lithographis repraesentata. Edidit Fri- dericus Ritschelius. Berolini I862J non é perfettamente esatta, ( 413 ) TAVOLA DI POLCEVERA come vedremo. E così pure La copia che ne dà il Mommsen nello stesso volume primo del citato Corpus inscriptionum latinarum. Queste opere con altre ignote a Genova ebbi la sorte di poter consultare mercè gli acquisti magnifici , onde 1’ egregio Marchese Antonio Brignole Sale arricchì splendida mente 1’ insigne sua biblioteca. E prima d’ ir innanzi ad opportune speciali note dobbiamo in genere avvertire, che 1’ incisore non fu sempre fedele nel-l’interposizione dei punti, e dov’ egli fu sbadato, nemmen noi li ponemmo, e questo abluam fatto in ragione della più scrupolosa fedeltà di copia. Ma questi punti non abbiamo potuto metterli a suo luogo, cioè in mezzo dello spazio dall'alto'in basso ; poiché le forme tipografiche son congegnate secondo r uso nostro ordinario , cioè a collocare i punti sulla linea della base dei caratteri stessi, non già in mezzo dell’ altezza delle lettere, come usavano i romani. Se non si trovano fusi a bella posta per le iscrizioni, bisogna contentarsi di questo avviso. Ove però per aggiustamento di caratteri ci venne fatto, procurammo osservare anche questa precisione di collorare il punto all* antico metodo; precisione che non sempre seguì fedele qua e colà lo stesso romano incisore. Si ponga mente, che quanto si trova nella mia Tavola rappresentato in carattere corsivo dinota che quelle lettere sono state supplite, mancando sul bronzo, o per gli accennati guasti, o in fine di linea, ove l’incisore lasciando, per isbadatag-gine, di finir la parola, passò all’altra linea; o forse, almeno per alcuni luoghi, continuò sì leggermente l’incisione, che il tempo ne obliterò le tracce. Lin. 1 Q • M • MINVCIËIS • RUFEIS • DE * CONTROYORSIEIS. (Quiìltus et Marcus Minucii Rufi de controversiis). È curiosa 1 osservazione fatta dal Marchese Serra (Disc, sopra un antico monumento ecc. cit.); egli al capo \. ha queste parole: « Osservo, TAVOLA DI POLCEVERA ( 4-14 ) » che il lesto latino non ha Minucius, né lìufus, ma si « bene Minucieis, e Rufeis, ovvero Minuties, e ifa/fo (e<)U »* upfea /'orma era Ï equivalente della prima). » È evidente che il senso dell' iscrizione vorrebbe questi due » nomi al caso retto (e vi sono proprio al caso retto, ma di » forma arcaica), e che i principii della sintassi latina nel secolo » d’Augusto non li ammetterebbero per ta'Ii. (Sia pure che la » grammatica di quel secolo più non gli ammettesse, ma la sin-» tassi di tutti ï tempi tiene il soggetto di un verbo attivo sempre « per caso retto). Non può qui, (prosegue in conseguenza) essere » error d’incisione, improbabilè essendo, che si commettesse >» due volte. Si vuol dunque conchiudere, che gli estensori » del romano decreto, usando di una sintassi (cioè grama-» ticaj più antica e meno esatta , scambiarono il caso e la » declinazione. Rari non sono gli esempli di casi scambiali « nelle antiche leggi della romana repubblica. » Non è mica vero questo scambiamento di casi; subirono invece alterazioni o » cambiamenti le declinazioni. Quindi Y illustre abate Oderico, che era profondissimo nella latina e nella greca filologia arcàica, non ci fa punto sopra, togliendo naturalmente le desinenze che imbrogliarono il Serra, come nominative. Da ciò si comprende bene che il Serra occupato da simili teoriche filologiche, avea troppo difficoltà a scorgere nel Veturis e Veitu-iils un caso retto; e pure ciò aveva il rinfranco di altri passi dell' iscrizione, patentemente espressi. Perciò nelle lin. 24 in 2>) dovea leggere in classica latinità.' pro eo ag?o vectigal Lan-(jenses Veturii in publicum Genuam dent, e nelle lin. 3^) in 36 : Vectigal..... Veturii Langenses in publicum Genuam dare debento, chiunque avea notato in altre linee Langenses Vetu-rios, Langensium Veturionim. Linea 2 inter • gfxvates • kt • veitvrios. (inter Genuates et. Veturios). Se i miei predecessori nello studio del monumento ( 415 ) TAVOLA DI POLCEVERA avesser tenuto conto di questa, direbbesi, intestazione della sentenza, avrebbero avuto in mano il bandolo per non distinguere i Langesi Veturii in due diverse tribù o sezioni di popolo; onde ebbe origine una strana confusione del lesto , ed una supposizione di ordinamento politico fra noi che non avea luogo per nulla; o clic almeno non poteva dedursi dalla nostra iscrizione. ib. in re praesente cognovervnt. (in re praesenti cognoverunt). Questa forinola di romana giurisprudenza, ripetuta special-menle da Tito Livio, amatore più. ch’ogni altro storico delle antiche e proprie formole, convenienti agli argomenti dei quali toccava, ebbe traslazione passando al comun linguaggio. In procedura giudiziaria rcs vale causa o controversia, della quale si sta prendendo cognizione giuridica, o su cui, presane la necessaria cognizione, si sentenzia. Siccome in questo genere di cause la cognizione richiede la presenza sul luogo, il modo contrasse in altri casi non giuridici il significato puro e semplice di sul luogo; mentre in origine diceva in causa o controversia sopra luogo. Vuoisi notar ciò riguardo alla genesi filologica della forinola, e riguardo al valore, che ha nel conteslo della nostra iscrizione, nella quale per bene indicare la presenza dei giudici sul territorio in controversia credetesi necessario aggiungere il coram, che segue immediatamente. Ib. ET • CORAM • INTER • EOS • CONTROVOSIAS * CO M POS E1V E H V N T. ( et coram inter eos controversias composuerunt ). Quanto a coNTRovosiAs, ognun capisce, che a questa voce, tra la o e la s ; manca la r , senza dubbio per mero sbaglio dell’ incisore. Quanto a composeivervnt, omettendo parlare della forma arcaica, della quale esistono altri esempi, esamino il significato legale del verbo, che può dare, anzi diede luogo ad equivoco. Se questo verbo in tempi posteriori scadde più o meno dalla significanti rigorosamente giuridica, non avvenne, se non perché nelle ». cose di. fatto, come sono le divisioni, divenne assolutamele necessario non istare allo strictUm jus, avendo in simili casi i pudici alquanto ragionevole arbitrio (e così si. chiamò, essendo nomati arbitri i’ giudici sópra ciò). Ma è d- uopo ben avvertire, eh*'eran giùdici con mandato autorevole, non richiesti, ma imposti dalla competente giurisdizione; nei tempi più antichi dal Senato Romano nelle cause più rilevanti e pubbliche, e dal Pretore nelle minori; o private. Usavano le can venienti procedure, onde per combinazione, diciam cosi, dei rispettivi- diruti delle parli, componevano le lìti o controversie ; e la loro sentenza stringeva all’esecuzione' anche i malcontènti, ogniqualvolta era causa in ultima competenza. - • Linea 3. et .*qva • lege -agrVm • possiderent • et • qva (lege) FÌNEIS • FIERENT • DIXSERVNT • EOS • FINES • FACERE • TERMINOSQVE staiti • ivservnt. (et qua lege agrum possiderent, et qua fines fierent. Eos fines facere, terminosque statui jusseruni). Ecco tutto l’argomento principale della Sentenza, che, come vedesi, fu vinta dai Langesi Veturii, a favore dei quali provvedono gli atti e il pronunziato degli Arbitri, e così furono determinati e tutelati i loro diritti. Dove avevano privata proprietà, dove proprietà comune, e dove le comunaglie propriamente dette; e quai n’ erano ï confini assicurati. Da quanto si vede e da quanto segue le riferite parole, cioè dall'esecuzione del primo giudicato degli Arbitri (dixservnt) rispetto ai confini, rispetto ai termini, che i confini medesimi segnassero, e dall’ ordine che le parti si presentassero per la pubblicazione della sentenza a Roma, pare ,• che i giudici, lasciato sul luogo al Mensore, con esso loro recato forse da Roma, l'incarico di piantare i termini eh'essi avevano giuridicamente deliberati, tornassero immediatamente a Roma a preparare iì digesto della sentenza. La delegazione d' Arbitri fu varia nel numero secondo i*tempi: quando tre e quando un solo. 11 caso nostro di due sarebbe per avventura ( 417 ) TAVOLA DI POLCEVERA un fatto unico, se i lesti di Cicerone e di altri, che ne notano tre, non si spiegano coll’ intervento d’ un Mensore, che essendo di grado inferiore, e come ministro dei due Arbitri , non dovea figurare per nome, ma dovea legalmente supporsi che fosse con esso loro. Li II. 4 in 5. VBEI • E A • FACTA • ESSENT • ROM AM • CORAM • VENIRE • IOVSERVNT • ROM A E • CORAM • SENTENTIAM • EX • SENATI • CON-SVLTO • DIXERVNT • EIDIBVS • DECEM13. ( Ubi ea fdCtCL eSSCÌlt, Romani coram venire jusserunt. Romae coram sententiam ex Senati Consulto dixerunt idibus decembribus). Tutto é ben chiaro; qui è descritta la procedura romana, e di qui rilevasi che in questo genere di cause pubbliche, prima dei tempi imperiali almeno, la giurisdizione e il diritto di assegnarne i giudici e validarne la sentenza apparteneva al Romano Senato; e che gli Arbitri delegati non potevano pronunci'ire e pubblicarne sentenza, se non che in Roma. Riguardo al materiale dell’ incisione dobbiamo osservare una cosa. Chi ha sottocchio T isografo o facsimile della Guida di Genova, che la Città donò agli Scienziati nel 1846, come pure quello eseguito dal Ritschl citato sopra, dopo 1' ultima parola incompiuta, ove finisce la linea, cioè eidi per eidibus, vi trova una cifra, che come cifra riguardante quella linea a quella voce ultima (eidi) non esiste punto sul bronzo. Venne rilevato male una specie di ghirigoro, eh’ io rappresentai colla parentesi, per indicare , siccome volle assolutamente l’incisore, che la r , in cui conchiudesi la voce inter della prima linea, non aveva che fare con nessuna delle linee che alla medesima corrispondevano. Lin. 5 in 6. l • caecilio • q • f • mvvcio • q • f • cos • qva (lege) ACER • PRIVATVS • CASTELI • VITVRIORVM • EST • QVEM • AGRVM EOS • VENDERE • HEREDEMQVE * SEQVI • LICET. (Ludo CaeciUo Quinti /ìlio et Quinto Mudo Quinti filio consulibus. Qua VAIOLA fri raiCKUlA ( Ì2U ) seti uht i vùHtlttiuht ; seti tee munti palio eorum legttnm poi ex esse. Pùèmder* ett»»« rito, fuori frtutus tuUeudt causa, ri franta,,dt inbutt concessum est. Aggiungeremo qui Igino |ib. jiaf. Joó) che parta degli agri iteti gate s io generico senso, e dii e: inui/as habent constitutiones ; ih iftttbusdam prot incus fructus partem yraestant certam, alti ifumtas, ahi septenas, tUii pècumam, et hoc per soit aestimati unent. Hong a mente il Allure a questo brano tf‘ Igino posto qui |*er connessione «I argomento ; potrà dar lame nel seguilo della illustrazione. Ib. tAKOATIV» » n*K|* Al.m • FMI* AH • At» • *MO • IN# IMO • OH • »»MIT\M . Afe . r ONT Li • IN • MAUKICtU). ( J.anyaintm fines Ogn pf n alt a rivo ìnfimo, qui ortlur a fonte in Sfasacelo). Otn ‘•‘mmru la designazione dei confini e l'indieaxiooe dei termini. Tra »1 precedente sir? che conclude il pernnl» superiore, e la '"Ci lavativi l'incisore del bronzo dunenlirò il solito ponto; ma non dimentico di lasciar in meno aile due parole odi distanza più notabile dell* osato; quantunque non fi fosse c&> Precio, cioè in altro luogo, da on guasto ioIlfBCdio. Il che ■Kfctra rhiaro il proposito di toler rotti Ure, perché ien«sé a rilevarci I infornineomento d' un altro paragrafi dH dif»v*lo. E bene il sente chi ne legge la contestura. lUlU *•*> U5CATU» han principio le dispnsizioni prese e sentenziale agro privato di piena proprietà ed immune dei medesimi tangesi Vetum. (/uanlo all* rs HAvmiuo, sentio pia al>h0050 icxmasiccui dee notarsene la forma prinuiirale invece di Mann*celi, o Sfa-H*. INDE. 9'LO* IO. HNso. tufi» Iti, IN. CUA l*W. Lievitili, (hute fluito s unum versum tu flu» ium l.rmurtm). Onesto Cor hi ♦I atipie appallato fluirmi lemuri*, 0 Lemùris (clié nulla sap-piamo della sua vera prosodia) dehb* essere piò o meno di-iv Ita meni e una contiiiliazione all insù dell' Erfr, al bas$o di coi è il pruno termine sopraccennato, e donde comincia la definizioni» dell agro privato dei l^angesi Veluni » nno dei punii di controversia coi lìenuali. Peyrono adunane I fife all insti entraci e M prosegue |m‘I fiumi? Lemuri. Come *• chiarirà in seguito. ci non v' ha dnld»io ragionevole che I' fife non deliba rs«ere il tronco inferiore della Verde, mentre, p**r illazione 'ifiira. la moderna Secca viene indicala, per la sua con* Alterata coll’ E*lt, dover essere I’ antica Porc«dH*ra ; poiché I Enisera, se somiglia alquanto di nome colla Secca , questa rootlerna non può dirsi nVwj, come vien detto nella Tavola I tnheea antica, la quale neppur sappiamo* se fosse pronon* ♦’iata F.nia’cti, od Euisfoa. Percorrendo adunque in so I ac-cenmlo Ede (cioè la Verde inferiore), si giunge al confluen’e di II'attuale Biro e dell’ attuale Verde supcriore. IJuale dei due tronchi è »1 Lemuri? Cerio il più in linea; giacché, se il con* line avesse dovuto curvare ad occidente , colà pareva opportuno un termine che ne avvisa&e: e termine non ci fu posto. Ih. i\r>»; rinvio i.r.uvm • ms\h • vsqw; • \n • un ou r o¥BK* R\Nr\w. !noi? fliii’pn fxrnun nwrtum nt! rirwm Gnmhr* ( 423 ) TAVOLA Di POLCKVEBA raucam). Sia in prima untalo che la voce co.*uii:hani:aw, finendo la linea, rimase nelle ultimo Ire lei 1ère non bene incisa. Vedesi I asta verticale della li; del resto appena traspare alcunché di obliterato, per essere sialo forse soltanto leggermeli te graffilo. Questo rivo Comperauea s’incontra continuando all insù per lo limne Lemuri, del «piale debbo essere un confluente. Heb-hesi egli la Conìberama trovare a dritta od a sinistra del tsmuri 1 È qui si ione del massimo rilievo. Linea 8. inde imo comhgranììa • s\s\ m \slrrt!o. se, tenendo conto del luogo o mansione deir Itinerario della Tavola Peutingeriana, che nomasi ait Figlinas, quando questo nome risponda al territorio, ove un villaggio nella parte flessa conserva un nome che ne sembra derivazione, cioè Frgtno, io suppongo che da verso il basso fino a quel punto la Postumia servisse & incommciamenlo al tronco dell' Kmilia per Vado, cola divergente in distinto braccio ; allora la Posiumia sanasi ap* poggiata all' orientale, seguendo i rigiri dei monti ; e la strada detta di Serra, e qualunque altra al di qna sarebbrr fattura posteriore. Dissi seguendo i rigiri dei monti ; giacché lai era il Costume ilei bellicosi romani, nell'aprire strade. coflTeran sempre in antico, militari. Imperocché in lai modo tornavano più sicure da sorprese ostili, e si schivavano i fiumi ; che di ponti, in quei vetusti primordii, essi amavano certo non impeciarsi gran che: specialmente dove i corsi delle acque eran poco notabili, per la miglior parte deir anno asciutti o quasi, od almeno facilmente guadabili. Poche tavole per qualche giorno dell anno bastavano al romnn passaggio degli abitatori locali; in caso di eserciti ben Mpenno gli antichi acconciarsene di temporanei. Il Pontcdc- ( 425 ) TAVOLA DI polcevera cinto dei nostri giorni accenna derivazione romana in Pons otl tlectmum, che diede sicuramente il nome a quei dintorni, e che rimase al detto borgo. Ma nulla ne accerta, che il ponte, eh' or vi ha, sia di antica data, oppure sia stato so-pracostrutlo nel luogo d' un vecchio anteriore. Potea dare il nome ai luogo anche se un ponte dei tempi cesarei avesse cavalcato la \ erde più basso, od il braccio della Verde attuale , dopa la confluenza col Iticò , e colla Secca moderna. Infatti il territorio della Pieve di S. Cipriano, principale di quel distretto , s' inoltrava al di qua di quel tratto accennato della Verde inferiore fino a un rivo, detto ora dal volgo Uhm di Martin, che ha origine da una polla d’acqua o fonte perenne, la più notabile, socondoché mi venne assicuralo, di tutto il territorio ; che posto al di sotto della detta confluenza della Verde e del Hicò è limitalo al basso dall’ arco compreso fra i corsi a dritta dal fossato di S. Biagio, a sinistra dalla Sar-duela. Anzi è il più importante di lutto il distretto che si estende forisiderabilmentc al di sopra della confluenza notala della \ erde c del II irò. Tornando alla Postumia del nostro monumento, essa è fiancheggiata da due termini che sono il secondo c*l il terzo dei piantati per ordine degli Arbitri. Vedremo più abbasso, perché nell incontro di strade fossero richiesti, non un solo, ma due termini. Lio. 8 in 1*. EX • l-IS • TI RMIMS BIDCTA * REGIONE • IN • RIVO • MNnvpui;. (Ex eia terminis rrcM regione in rivum Vrruhrpa-frm). H valore di roclm nell'agrimensura bene spesso ha luti’ altro significalo dall’ accezione rigorosamente matematica. In queir arte, notata appena una colai dirittura, o meglio direzione continuata da un punto all’ altro , non rifiuta di ammettere un andamento tortuoso e Serpeggiante. Anche Ovidio (Tr. 2) se ne acconciò in questo senso, alludendo a confini , che non erano certamente costituiti da una linea al tutto retta: ÎAÏUIA IU HJâXLW u t ( ) i _•_ - . _------— retto yras$ritèr limite uniti. Quando ^Ii Agrimensori o tiru-maliei volitino io*licore la dirittura matematica ili un lato di eoofiuf • il chiamatali nyur; il quale vocabulo nuli avea umi |*t ferino, o l‘ avea b#*u raramente e jier mero caso, fuori delle pian uro, i>ve m eollwwru i termici ili a^egnuioai o dm-Mol“' *i |**r individui, m |m.t centurie, rumiutendo o rumo* ^aiulu Colonie. Avrò |>iù sotlu oecaMUDè.di tornare >u qursiu aggetta^ retins. ÜManru intanto, che I agrimensor»? impiegato all * designinone f ed erezione ile' termini nella conlruvefMu predente, |ugo il e&sere perfettamente ii»lr*o dalle parli litiganti. per la puiibiim notorietà ilei luoghi inducati, non sd»< l»re provvide alla tir ora intelligenza «lei p*(rri, quamlo fnmli mutazioni sopravvennte avrebbero re^a I applicazione di que gl indizii per lo meno problematica. Ad ogni modo è il uopo no’are la formida, la quale morirà, a inni avvilo, nna qualche atlinita coll* avverbiale r regione; rhe vai t|uanlo m fave ut . i/i fronte , ni fi unto opposto, o ti a! punto opposta. Con la detta accezione di sen^o saranno in lese le furinole, ch' m» (mijfì 5) nell » riiluzione dell' scrizione in Ialino riamico ( fit rat;rota redo r? y torte) . si nel volgarizzamento t movendo P'r Uinttun di trrrtno). E per questo motiva le lascio 111 questa nuora pubblicazione, coni' erano nella prima. Linea 9. r\ * rivo • vixpvpvm; * in • novi** • nkviamta*.(h* rivo \riulnf»ìli in flamini Scviascam). Merita .speciale atlen zione fn^to brano unito eoi precedente» ^ edcnuno i dne termini allato alla via Postumia, che lignificavano avere 1 Linge*i Veturii eguale diritto quinci e quindi; che in quel luogo 1 confini la tagliavano, e rhe la direzione del proseguimene dovea esser la linea incominciala dai due termini (reda re-gione). Vediamo cambiala la forinola; ed invere ili rivo, o «li rrrtn rioo Vindapnlt. troviamo ex rtro. Il che non include il concetto doversi segnire I» linea del rivo, né secondo corrente ( V27 ) TAVOLA OI FOLCE VE A A nò contro, ina pi ul lus tu intersecare il medesimo rivo. AJ altro allumili** il rivo non venne memoralo, clic per indizio die il conline, toccalo quel rivo, ascendeva i monti e per jnga o per (liturgia apuarum andava nel fiume Ncoi&tca. L'abbandono dei cor>i d*anjua, e I'assenza di (ermini lungo quel tragitto, mostrerebbe cln* il contine per quella parte riducevasi alla teorica dei confini naturali, cioè aeralo rectus in senso erroneo alla • matematica. Virgilio dice (ÆHtiil. 8) ; Ipsr ego te ri pis, ri redo flumine duomi. Cesare (DIr fri. Cit\ I ) ha questo brano: retto mi [herum itmrrr rontendunt. Sé il fiume di \ irgilio, nè le strade per ire all* Ibero od Ebrt) possono immaginarci in retta linea matematica. fr tw dunque nel ca«o nostro, indi* rando la linea percorsa «lalle acque, esclude sdamenle i diverticeli di minor rivo in Anelile. Linea II. ma • Tinum* * stvt • pn«rrrn • via* • rorfeiAii (Ibi terminus stat propter vitnn Postumiam). S? ascendendo per la Vinelasca si trovava presso la Postumia nn termine (e questo é il quinto dei termini rizzati per ordine degli Àrbitri), vuol dire che la Postumia era traversata dalla medesima Vinelasca lungo la quale incontratasi il lato della detta via. presso cui od allato al quale sorgeva il termine dichiaralo. Ih. ixr>r. • Air» • tuo* • viam * rosrvviiAvi Tmvnyvs • stat. [finir altrr trans tiam Postumiam terminus stat). Erro il sesto rii ultimo dei termini che segnano il limite tuli inforno del- ( itti ) I AVOLA 1*1 l'OLCKVLIlA I agio |u ìvai(* dei Lanosi Yeturii. Qoi non abbiamo, come ncl- l alno |uiiilo, o\e era intersecata similmente la Postumia in- mam: che non esprime altra cosa se non che al di / V# più o meno lontano daUa linea del primo; sicché la stessa Vogiumia potesse far parte per qualche tratto del confine, in qualità di limite naturale legalmente riconosciuto, come corrispondente al diritto dei Langesi Veturii. Lin. 11 in 12. l\ • i o • toimino • qvw • stat • thans viam IWHIAM • BEOTA • UKÌKìM: • IN • MAMCI-I.CM. (Ef co tcnìHMI. Vf 11 sIii uniche rettificazione, opportuna a togliere il fomite ili controversie avfenire. ne avran posto alcun nuoto in sosti lozione di qualche altro dovuto abolirsi. Linea 13. Am ro«.ici • «voo - LAlfOTOM * mSDftvrf • HSSCE-finis . wektv* MS. (Agri publici quod Langent* possident. hi fines videntur esse). Notiamo rispetto ali incisione, che nella voce ffifis ti è un distacco fra la prima e la seconda sillaba ; perché nn piccolo guasto del piano dopo incisa la prima, obbligo, come attenne pur sopra, ad incidere cosi, per valicare una wfossalnra. Quanto all* mscr riMs è, al modo ( 483 ) TAVOLA VI POLCENEIiA % * istesso di ykitl'kis, nominativo arcaico. Per /lisce iu quei tempi scrivevasi anche hieisce : e seri ve vasi fi uns, finis per fines anche ai tempi d Augusto. Quel videntur esse parve strano ad alcuno , perchè non indicaijte il positivo che richiedasi ai tempi nostri in una sentenza. Ma ella è formola di romana giurisprudenza , la quale non indica mica dubbio in ragione dfir atto ove si adopra. Volemmo che rimanesse la stessa formola anche nel volgarizzamento, come espressione propria della romana giudicatura. Vollero i Romani conservale le forinole antichissime, e i vetusti modi, dai quali traspira una modestia onorevole : amore di antichità e meritalo rispetto spesso induce i popoli a non variare i modi e i costumi degli avi. 1 giudici romani continuavano a sentenziare anche assai lardi , come nota Barnaba Rrisson (De formulia pop. rotn. L. V. y 168) e col Videtur, e colle frasi: Si quid nm judicii rst ; treundum tr litem do. Riguardo inoltre al nostro vtDKSTUB, egli è da osservare eziandio, che questo verbo passivo di video doveva avere iri origine il senso di Videre. In questo caso il nostro videktvr essk potrebbe altro non significare che appariscono essere, essendo già piantati quei termini in luoghi alla pubblica vista. Ma diciam qualche cosa di questo secondo paragrafo del documento, che determina ai Langesi \eturii il territorio che non era piena proprietà d'individui, ma del comune loro, le rendite del quale territorio, amministrato dal pubblico, servivano alle pubbliche spese. Territorio di ben diversa condizione da quelli che si dicevano Compascui, o in moderno vocabolo Co-fnunaglic. Il primo , o tutto od in gran parte, era coltivato, come vedremo nel caso nostro, davasi a brani, salvo il nexus al comune proprietario, in livelli, per cui i livellari pagavano un censo al comune, mentre i secondi, vale a dire le Coma» naglie ovvero i Compascui, come li nominavano, tuli al più 2» TAVOLA l»l FOLCI\Eft\ ( 434 } non erano regolarmente se non che boscaglie, miste a greppi ed altri luoghi trulli di piantagione. Quest' agro pubblico en adunque di proprietà e di fruttifero godimento del Castello, qual centro della rea pubi ita ile Langeai Velum, era la fonte del comune erano , giudicato (come vedmsi in un paragrafo sue* cessilo nelle linee 23 in 2i) pubblico, cioè a dire in ragione di proprietà collettiva. Sopra il quale territorio fu imposta, egli è vero , una prestazione relativarooole leggiera a favore ilei (lenuati, o , meglio, a favore del pubblico di Genova ; della quale prestazione indagheremo il moli vu a suo luogo. Vi aveano nel medesimo territorio eziandio dei pezzi di terra occupati , siccome pare evidentemente, senza legale concezione in radice, tenuti da qualche Geonàte e «la qualche \elur»o; e per costoro b sentenza volle mantenerne il dinllo di naturale usucapione , salvo ciò nondimeno f eh' egli pagassero a! Castello proprietario un censo proporzionalo a quel che pagavano gli altri goditori, entrati in pOMeMO utile per modo radicalmente legittimo. Il quale modo, secondo la sentenza medesima , era che il livello fi*se ottenuto per deliberazione a maggioranza dei langesi Veturii, a prò del quale comune veniva riconosciuto il diritto di condizionare il contrailo colla clausola restrittiva. che il livellano non polisse raccomandare la coltura dì quella terra ad altri che ad «n Genuale o ad un Velurio, nè polesse intromettervi per .«inni causa di coltivazione alcun altro che non fosse o dell’ uno o dell altro popolo. Questi concetti sull’ agro pubblico. di cui entra a parlare la Sentenza, ci parve bene premettere, perché il lettore sia posm in guardia a non dare false poliate ad alcune espressioni ^he seguiranno ; I* quali non rilevale in vera significanti spinsero *ul falso alcuni Uholraton del nostro monumento. Linea 13 in l i. vm * conti vovr • fcovs . rr • mocowrM. uhi confluunt Edwt vH Ed?* eI Procokrrn vel Potcobcm)’ ( 435 ) TAVOLA DI POLCEVERA Notai già più addietro che il primo ili questi due fiumi trovai nella nostra Sentenza adoperato in due diverse desinenza, e quindi in due diverse declinazioni. La declinazione che diresi terza è forse nel Lazio la primitiva; negli antichi monumenti, compreso il nostro, molte voci, che poi restarono colle forme della seconda, si trovano nella terza. Dmmvires, Minuetti*, Rufeis, Veìturù e va proseguendo. Ed es ed Edus segnano , direi quasi , nel nostro Kronzo 1’ epoca del trapasso. La recata espressione della nostra Tavola merita qualche considerazione. Fu già notato che 1’ Ede antico dee corrispondere al tronco inferiore della Verde attuale , c la Porco-bora alla moderna Serra. Riguardo alla Porcobera quello, rhe ora esporrò, intendo sia detto unicamente per eccitarvi sopra I' attenzione dei «lotti. Questo nome proprio di fiume trovasi nella sentenza adoperato sei volte, due volte dove si tratta dell* agro privalo , e quattro dove del pubblico. Le prime tre fiate (liti. 9, IO. I V) scrivevi Procobora , e le altre tre (lin. 22, ripetalo m ila 23J Porrohrra, voce che è 1 origino del nome romano posteriore memorato da Plinio, cioè di Porafcra. Questo vocabolo Porci fera secondo ! indole latina arcaica dovea essere Porcuvtra., Porcvfera, essendorhé le consonanti fc, t\ f son molto affini, cri i latini amavano, più anticamente in ispceic, in questa fatta composti , accoppiarli con I’ n intermedio , avanti che fosse a quell’ w sostituita la », Muìfu-pl-CT, per darne un solo esempio fra centinaia rhe poirebbon-sene arrecare , direvasi prima di Multiplex. Dobbiamo por niente , riguardo alla desinenza Rera, rh ella vive tuttora in Liguria in senso di corso i^ioi,i , lìv\ u*li»po >tr,>u che fcJë*45Tü lull, e • fue una voce unica con diversa pronuncia , non possiamo accertarcene. Il greco ha mpì, n*(A* il latino ha prò, prue, per non guari ràpettifunepte diversi fra loro , ma ben differenti nel Significato. Prima di proceder oltre in questa diramila rammenterò al lettore che la liera degli antichi Liguri trovasi pure , sebbene modificata , nei nomi dei fiumi l'ara, e Varo ove un appellativo, come suol avvenire per coni unissimo uso locale divenne proprio. Per simii modo i con vicini ali'Etna, vennero a ben intendersi solo appellandola cui nome di Monte, c gli Arabi fi 6*6*/, che vale il medesimo. E quando cessata la dofnina2ione arabica il vocabolo (ìeòet era divenuto comune, ma che ai popolani non rappreseulava più V idea di monte, eoo pleonasmo v aggiunsero Munte m capo , e fecero MunyiMo. I n notabd fenomeno linguistico ha luogo tuttavia in Liguria, la conservazione cioè di un nome fluviale analogo perfetlamente alla Pwrcabera; ed è il nome d'un modesto torrente nel temtono d’ \lassm , chiamato tuttora Cannìbera ; nei qual nome si vede soltanto , dopo il lasso di molli secoli, cambiala alla Ialina la vocale media nella comprinone. Era certo in que' riinoti tempi Oumoiera , romaneggiala in Cùm%ubera9 poi in Ca*w* Aera. Ma torniamo in via. Rispetto allo «tendo della Sentam rhe ci pervenne, ove bassi questa doppia scrillnra , potrebbe arrenarsi con maggiore fiducia , $e chi vi pose mano fosse sialo un nostro Ligure : rhé non si avrebbe a temere scambi d una voc« nell aJfra, e polrebbesi prendere come sta. Ora. tutto questo considerato, se altri volesse supporre , che la Porcobrra corrispondesse al I' attuale Secca . e che la Procoòrra corri*pondesse ai maggior fium* ingrossalo dopo il confluente della \ enie rolla Serra. io confesso che non ci avrei da opporre aieunchè di peren-tono , atteso un equivoco potuto farsi nel brano, che esami- ( 437 ) IA\OLÀ DI K)LCLVLRA niamo, |>er parie di dii non bene istruito delle distinzioni di uouii quasi consimili ( la cui varietà seule un nazionale, ma non così un forastiere ) può trovarsi Procobera dove al cominciare dei limili dell’agro pubblico sarebbe forse slato duopo scrivere Porcobera. Chi scrisse od incise potea facilmente essere tiralo in fallo dall' aver podi' innanzi già scritto due \olte Procobera. Tutto ciò sia preso per mera ipotesi; ma se fosse mai un fatto vero 9 allora venendo con diversi dati a lentare la lojkigralica applicazione del documento , si andrebbe m falso ; c*l una soda conclusione tornerebbe impossibile. Ad ogni modo, se vogliasi vedere in ciò solamente varietà, od alterazione di pronuncia, non si può fare, se vedo bene, alcuna ragionevole opposizione a dii estendesse questo nome anche al disotto della qui notata confluenza, ove trovasi il primo termine dell agro pubblico, Como vediamo qui sotto immedia lamento. Linea \ l. iuli • temkkvì» • stat. (Ibi t/r minus stai). Abbiamo qui adunque al confluente del\* Eie e della Porcobera (ddla Verde c della Secca ) il primo dei 15 termini, che furono stabiliti a segnare il circuito del confine dell' agro pubblico dei Langetsi Vciani, eh' era uno degli oggetti di contestazione della parte contraria, cioè del comune dei Geouali. In niuno de’ termini si accenna la via Postumia; che perciò non dovea essere tagliala in alcun luogo dalla linea del limile. Giacché la postura più acconcia a mantenere la cognizione confinaria si è per appunto il luogo di pubblico passaggio. P altra parie in seguito alla teorica sopra menzionala, onde senza un somigliante avviso legittimo, la strada spesso valea per confine; chi avesse fatlo altrimenti nella collocazione dei lermini a\rebbe lanciato almeno delle dubbiezze. La maggior quantità relativa dei Irrmini, quivi notali, dà chiaro ad intendere, a mio parere, che il territorio chc si rigirava, era privo di confini naturali, TAVOLA l»l WLCCtKJU ( 438 ) che potessero servire all'uopo, per lunghi traili: dovetti perciò in esso, per U varietà irregolare dei munii, e delle valli, assicurarne la linea dell andamento del contine colf ajuto multiplicatu di legali tndizii di lermioi. Ib. INDE « il»*; . rtOVlO • • |f| * MoVtl.U • UUHIUXO ■ UtFV*u. ( /ruit kilt (Invio stiriti in vtrsurn, tit mohttrm Lemuri-nitm infimwn). Vedemmo il Lemuri fiume di sopra; qui entriamo iu mia catena montana, che nomaci Munte Lemurìno. A prima >i*ta si sente, che \i debb' essere tra quel li unie Lemuri e questo monte una qualche relazione di vicinanza da doversene questu aggettivare il nome, come w si diceste il Monte del Lemuri. Se cosi è , alle falde (infimo) di quota montagnosa giugaja . allato o poco di* . nco • accio • ouwuno • im i • tervi>5 • stat • sm>* • ivco • arerò * leuirino • mi * rinvivi.* • sîat. (M* iUrsumrerrum jngo recto Lrm»trino ; ibi trrminus thU. /Wc rurium jugo recto Lrmuriuo; ibi tmumus stntj. Avvilo imprima che nel bronzo v’ha pr*ipr io tiriiins. Ilo unito in questa nota due brani che concbindoli col n;innws stat; fhè v ha fra essi tale somiglianza che fa nascere il dubbio rHe | incisore eseguisse per inavvertenza una ripetizione del medesimo inciso, se già forse non era stata fatta questa ripetizione dallo Scriba nell' esemplare al pulito la scrittura della . Sentenza sulla tavola cerala: ove per la maggiore facilita e ( 439 ) TAVOLA DI FOLCEVLRA prestezza ili scrivervi, era, se qui fu, un ninile abbaglio assai più probabile. E questo dubbio giammai non .avrà una soluzione* acc ettevole sodamente, se non allora che, dato nel segno nel rinvenire quandochessia la vera traccia di que'confini, avremo noi, od avranno i nostri posteri la fortuna di riscontrare sicuramente i luoghi di questa linea di limile. Egli è da aggiungere oltracciò, che nel primo brano non segue, per rizzarvi il memorato cippo, un sito con nome proprio, siccome invece segue nel secondo brano (e lo vedremo sotto), in una parte del Lemurino , detta Procuro. Sia qui un termine più od un termine meno, ciò che chiaro apparisce si è questo , che il Lemurino era un gruppo di montani gioghi , come verrà mostrilo nell* annotazione prossima. Alla quale pria di por mano credo utile di ricordare al lettore dover (‘gli por mente al significato , che sopra dimostrai attribuirsi all aggettivo reclus m \gritnrnsttn , <* (piindi nella giurisprudenza che si fonda sulle teoriche dell Agrimensura stessa. Linea 16. in . monti. • mio • cavo fin monte Vrocaro). L incisore qui ha punteggiato il MO del noine proprio, certo per isbadaUggiue. Il Kilschl nella sua pubblicazione sul lodata del nostro monumento omise questo punto, che pur e nell originale ; ma il Motnmsen ve lo rimise. Per intendere quanto sarà d uopo esaminare a que sto luogo dee il lettore tener ri’ .occhio col tratto qui posto in capo tutto quello della precedente nota. Eravamo, nel percorrere la linea dei limiti che gli Arbitri giudicavano dell’agro pubblico \ e-tuno , alle falde del monte Lemurino, presso il Lemuri, secondo io arbitro , ad un punto cui s’ era giunti dal primo termine soprannotato. Supponiamo che il testo non sia stato guaito deir accennata ripetizione (nell opposta ipotesi non si ha che a diffalcare un pa*so di limiti ed un termine che lo segna); e facciamoci sopra le opportune considerazioni. Il tir- lAvuiA i>i roiauiiA ( 440 ) mine aile falde tifi Le murino era, secondo Ir regole agritueiiüorte, 0 sopra o ili contro a counnriuinento di schiena di monte, prò seguita unica lino al termine successivo , per modellare U liuea alle Durine naturali e legittime ; il termine ole cuuchio de>i il pruno trullo montano in accendere luu-ghe»o un giogo del Lemurino det' essere in luogo dote * incontrano due o pm gialli er ater dai cippo 1 ulluio di deteruuoare per quale dei ^kghl debba continuare il limite dell agro. Quinci sempre ascendendo ^iitocnj U luiea prosegue ad una parte della Leffiurioa catena , che ha nom? Procuro. Alla seguente nota rimetto il re*lantr del nt»lro ttaggio sopra atomi gioghi dei Lemurino. Il), inde * SMtSV* » OiiO . nccvo • i* • HO.Yft:* • IXHVWJffl ****** . ihi • rthwiNM - stAT. (Me surttim jugo rodo i» mo+ lem ItCmurmum summum ; ibi tcrmimu stili). Quello nuoto tnlio di Imule non avrebbe ragione d’ essere j^K^aficalo, «e dot»* fu posto il termine che lo precede non s* incontrata ulmen«» biforcazione di gioghi , come egualmente «jueslo nuoto terttiw sana Mal# inutile , $e non ne atesse creato il bisogno un altra ditione «li gioghi. E qui al suo Colmo finisce V uso dell appel* * lercorso ne diterw gioghi determinati coi necessari termini. Linea 16 in 17. rant * st*s'* • iteo • *kcto • I* • castri'* V'KI • tOOÜAÎtSÎ • AUA9%9 • mri • TWIllKtS • sìat. fW* ,lr/v sum jutjo rrcto in (Àulelium , qui mnlntms e«f Ahanns ; ito Unmuus slot). Osservo primieramenle. che né p**r questo luogo né per gli altri ote si adopera mm'v, \nn*\¥ qa**lo atterbio necessita assolutamente rhe quel brano di linea di 8» termine all altro debba essere tallo e sempre in ascendere. Anche solo che così incominci, e seguendo le montane ondulazioni non discenda notabilmente ed il fine o «a più allo, o non apparila di minore aIteua. mi pare cosa sufficiente a gm* ( Vil ) TAVOLA DI POLCEVERA Militarne I uso che ne vien fatto iu queste frasi. Or , propilei kìo , dalla velia del Lemurino passi amo lunghesso un giogo per trovare un -altro termine ad un Castello , il cui nome era Aliano. Avrebbe mai il luogo , che nel territorio della Parrocchia dei Gioghi (liceri Alta qualche parentela culi’ antico AliatitiPer molli titoli egli merita seria disamina. Linea 17 in 18. inde • syrsvm • ivgo • recto • in • montem • HJVEXnONEM • ibi • terminvs * stat. (inde sursum itiyo recto iti montent Juventionem ; tbt tcrmitms siatj. Se mai il citato Alio, che trovasi nel Cadastro del territorio della Parrocchia dei Giovi attuali, vale al caso nostro per 1’antico Alianti* , concorrerebbe a prande rincalzo in favore di chi volesse trovare il prisco Ju~ ventò) in qualche altra vetta dei medesimi Giovi. E si badi sempre alla rapone dello stabilimento del notato termine, vale a dire forche anche in questo punto segnalo da un cippo vi era concorso di più d'un giogo montano, la varia diramazione dei quali gioghi obbligava il Mensore a determinare quello dei gioghi, che diveniva il nuovo inoominciamento del successivo tratto di limitazione. Linea 18. inde • svasvn • ivgo • recto • in • montem • apeni- NVM • QVEI • VOCATVR • IKfPLO * IREI * TERMINVS • STAT. (Indt SUr- sum n kjo recto in moìUem pione in tale altezza , che non valeva tenerne cuoio col «mm o col deornrm Se io qui t accusativa forma apentwwm dd lesto lessi nell ablativa apenmmo. e nella mia riduzione in latioo*-coodo i secoli posteriori al monumento, di<*i comti/mu ito Apnmtm ed altri infece volesse inlerporti la prrpooiziooe per, e legpere hde per apemmtmmm, to non arrei nulla da opporre, Rispetto al oome proprio dei monte, pare al lutto un composto di 7W di eoi non ci metteremo a indovinare d significalo nella Ifwna che I usò prima, composto io dicea di Tmì, e dei voraWo o •. che in celtico vale mmm/e o rialzò, Questa voce trovasi io fine di molti n*mi propm locali al di U delle Alpi: come /«Tf/v'iin», imj >1!» imm'tm e di altri nomi IMtaW di città io allora G*là la voce celtica s ebbe dai lalioi ditem »ieelìna*ione. Lanceremo ai fiMoçi, che si trarasrfiaoo di a/fioili di linpie. il vedere se il db», o dm rei Uro abbia aJcuoa pi* reolela col dei ptt anùchi Greci. e sotterralo awor • . , *»vo dai moderni ; vocabolo che iorrilplNMte alla *** iVbbo ancora agpnngrre sul n«>me Twk&m. che est*le Colla via MI aita Porcerem orientale il nome Tu Un allnbuilo »d an looot*, dello perciò Mm/f Tnilo Linea 19. . dco*«vw « ivgo • urtto • in * rtovnv • v**a HxBCAM. (bxic deoc««rat iiap> recto %m flimtnm L* ( 443 ) 1AN0LA DI POLCfcVERA nostra linea di limile io questo brano si abbassa (dtorsum) lenendo lo spigolo (iuyo recto) del monte, che vedemmo nomi-nato Ttütdont, da quel punto daddove parte, seguendone, s intende , i serpeggiamenti incontrali nel percorrere Y inclinazione, lino a calare nel letto della Ytrmjlnsca\ corso d'acqua non piccolo, essendo appellato non ruta, ma fluvita. E li non si iui>e alcun termine, aspettando di collocarlo, come vedremo, a piè del moule allora dello Berìgtma. E qui pi ima di lar passaggio ad altro membro del te*to io credo bene esporre alcune cou>iderazioni filologiche , che potreb-bouo confortare in varii punti le indagini istituite sopra l impor tantissimo ligure monumento. * Abbiamo dii ersi nomi proprii in questa Sentenza, ove domina una certa analogia di desinenze. Qui un territorio dicesi Mant crium , un monte B/ìiUmmÌmm, un altro munie Claxehu*, ed una fonte Lbr.anrUim. Questa stessa desinenza scorgesi nella radice di altri nomi, che un altra desinenza assunsero di nuova giunta. Imperocché si può ben credere che il loro primitivo im mediato, dopo divenuto un sostantivo per olissi del nome che lo reggeva nel pnmo suo essere d aggettivo, passasse poi ad altra forma nuovamente aggettiva. Teorica comunissima nelle lingue. Quiodi il fiume Vcraglisca, supposta una sincope, ci rappresola una voce anteriore in \erayelum] \inclasca ci rappresenta un anteriore radice in 1 mrlum ; ed il fiume TuUhè» in Tnlilum. Abbiamo Cacpterna, valle, abbiamo Bengiemti, monte ; e troviamo Blutticnui o Bltait€iìiUM , e o bnrtnt/m nel monte Blushemdum, e nel fonte Unùmimn. Si arteria eziandio che malgrado che queste >oci [»oniamo neutra, le riconosciamo aggettive in origine, e quelle c go rano sostantive nel monumento le crediamo cosi parere io causa dell dissi del nome, cui si accordano di genere f oppure s? usatodo «untn u. ,1 neutro, come ««de ad greco e nel IA\Otw M h.nnthv ( ili ) Idillio frequentemente. lo noü pruCederù più innati/i in quesu Jisamiüa, la quale mi porterebbe fusai luogi, ila noti concluderla si di leggeri ; oltracciò fuori del mio girello proposito, lia quanto solo accennai tediamo nascere a leu De utili u&serfazioQj t che potrebboo e-ssere suggellate quaudoc bestia dai riscontri territoriali. Dunque la I melava dell afro fintato scurreta probabilmente in regione che dotea dirsi l m lum quasi Umivnwm iuir mm% come aggelino questo da l ia d' ignota significatila, La desinenza io osca, quantunque nel bronzo nostro si teda cucitisi t amenti applicata alle currenti d acqua , non credo per nulla significare oc/m, come fu detto e si pretese per questa Sula ragione. Questa forma aggettila è troppo penerà le ia a*4-Uvmni nomi ligustici a dui perteouli, dote I acqua noo ha che Éar*. Gjo sola differenza accidentale ta io »»*. premo i grea, ta io «ii oelle lingue siate. Ma tiriamo aranti. La ltray/oM ara io luogo o detto o che ateta relazione eoo oo I rroplmm; ed alla stessa maniera ooo un TultUtm La TmirUura, ateodo essi la pnmitita loro radice, dì talore ignoto, io Vmg, ed io 7W E questa radice Tal pare che dessé egualmcole, come gii sì Dotò. ooa parte del oome al 7W*i«»#. Lioea 19 io 20. n • ataioites» * BfTVSO . lai rta- . frr IT. (In monista firnqirmam infimum ; tbi trrmunut fful). Debbo notificare di pòsdraio, rispetto all esecuziof* mannaie dell’ epigrafie, che fra le prime doe sillabe, «ai f ed il restante «iella roce (nui, sema dubbie per mero abbaglio, fedeli inciso chiaramente no punto, che non a atea luogo, e che tanto il Ri&fil. quanto il Jfoaam, nella toro open olita MBiwrii di Dotare, lo toili, giunta il rat* proposito, invriterlo per iscnipoloa feddti di genoma rappresentanza dell onginak E per la stessa ragvxie tenni apparata pii assai ! r«»Li:i:vm\ ( 446 ) da quello stesso termine della Yeraglasca , inoltrandosi pel Bt ng*ma, raggiungesse quel termine, che vedremo in seguito eretto sol monte J*rtnieo. Linea 20. inde • snsvi • ivgo . recto * i* • no»?*» • prlvi-* ^ ibi » TtiRutHvs . stat. (Inde sunum Mÿu redo #« monUm Prrmtwm ; ibi ttrwmu* tint). Il confine va procedendo. Dal vertice adunque deli angulo soprannotato, che si appunta oel fiume Veroglasea, percorso nella linea lungo quella parte che ineo-! miopia dalle falde del monte Betigitmn, ti inoltriamo lunghesso ii H rvjvvi i ed il Prrnteo insieme se mpre per g»ogo continuato fiv«u> recto), e salendo (*vasv*) a trovare un nuovo termine iullo stesso monte Prtnieo. Se ci potessimo fidar® che ilonsig Agostino Giustiniani nella prefazione geografica dei suoi Annali di fimora, abbia riferito i nomi proprii dei luoghi sempre quali erano pronunciati al suo tempo, e alcuno mai noo ne avesse racconcio all’ archeologi ea , per dir cosà, come si poA temere del nome Pruneto, da lui forse ridallo per la cognizione che atea, a tal uopo bastante, della rx*ira Tatola. avremmo un antico nome vivente tuttora nel phneipio dH Re-colo XVI con meno sensibile alterazione. Abbiamo ad ogni modo patentemente ancora riconoscibile. la topica vote Pcrnrrto. Deferite il Giustiniani (edi/ ÌH34), dopo av*>r parlato di Yairé fora \ oir+)t « il pae*e nominato Pedemonte col pae«e di Iso- • *€00......tuttavia difendendo alla marina ; e per qua discorre • il fiume nominato Polcevera secca (nell' ed prima egli «fitte • sempre Parvero), qual discende dalla montagna di Chiare • m distanza di tre miglia ; c poi la valle di Prenero........ E • poi si varra la montagna terso levante, ed occorre la Pieve • di S ricis*..... E snUo questa Parecchia si contiene la villa ' di Ore (leggi Ore)..... la villetta di Pino...... la ferra di Ca- • sanova. • * ♦ 'i e la terra di Immaniren. • Fonata di Prrnecco ode*i tuttavia nominato un forrenle, il quale verno I ingiù ( \'u ) TAVOLA DI FOLCKUÌBA poco distante dallo sbocco dell' attuale fossato di Voifc, ti versa nella Sierra. Quest appellazione suppone chiaro, eh egli scorre da un luogo , ovvero allato a un luogo , che aveva appunto il nome di Prnwccv. Ju Peruecco dicono i Porceveraschi ad una cella estensioni dì territorio nella regione medesima. E se il monle che dovea dapprincipio essere conosciuto sotto questa nomenclatura (]’ rctiicus, Preaeco, Peni ecco), più non si sente nominare cosi , egli è, perche come avviene assai di leggieri, # un altro nome u più facile, oppure allusivo a cosa o di maggiore impressione , o di maggiore importanza relativa fra gli abitatori del distretto, presono il possesso e cosi durando per secoli , cassò il diritto del vetusto padrone. Nel caso nostr.o il ligustico monte, comcchò in forza di prescrizione contraria immemorabile, sia scaduto dai suoi diritti, ha ciò nonostante nelle forinole ancora viventi, cioè Fonalo di Pemecco, In Pernecco, ed in Va Ile 1. \ HI pouKvm ( 4;>u ) distanza fia loro fulcro vieilli ambedue i termini, la linea intermedia lungo la proda dell aequa costituiva il notato confine. E questi erano, come già venne sopra osservato , quei limiti che porgeva alla legista*ione la stessa natura. Trattandosi di correnti o canali d acqua, nello scrivere si adoperavano le forinole recto fi acto, rivo retto ecc. indicando se si correva contro o secondo torrenti, sur g uni o Uforsuiu. l)u\e non aveano luogo gli esporli confini naturali o per mancanza di monti, di fiumi ecc. oppure perchè, per diritti ulteriori riconosciuti, il proprietario {ilei naturali confini oltrepassava , i termini erano collocali $j fattamente, eh essi dicessero per matematiche norme quale tratto al di là dei limiti naturali quel proprietario ave*a in dominio od in uso. Non è qui luogo di entrare siili argomento deHe colonie, sulle assegnazioni perciò delle terre con misure e limiti legalmente determinati. Basta per questo luogo notare che in assenza di un limite naturale la linea da termine a termine era la retta, come notai, detta rigor. Qui dunque, tornando al tratto, che io sto commentando. dallo scrìtto della Sentenza minuciana altro non $i Mieterebbe se non che dal monte Qas-*ek> al fonte LebrieroelO, atria atulo luogo un rigor, od una linea che per dirittura corresse ila un punto all’altro di quella accennata inclinazione. Linea ii, i>dc • itero • ano • cxìsixa • i* * Fioroni • i^aro* raux * ibi • Ttawms • stat. (huit redo rivo i »* flu' n mu Porcoberum ; ibi ter min ut *lai). Da questo membri dell'epigrafe deriverebbe o che il fonte L^briemelo ercorremmo finora, fino a rimanersi al termine stesso che venne memoralo a capo del relativo paragrafo della Sentenza, il quale è per chiudersi colla ripetuta indicazione del primo termine , dove confluiscono 1 Edr e la l'or cohera. Ih. ini • TutMiNvs • stat. (Ibi terminus stat). Quesio è il termine che dissi indicalo due volle, in capo cioè ed in fine del circuito limitando. Sarebbe qui non inutile esaminare, se in questo e cimili casi il termine sorgesse dentro 1’ arco della confluenza dei due fiumi, oppure al di fuori ; vo dire in questa seconda maniera, dall’ uno de’ lati del massimo corpo fluviale, dopo cioè che divenne un solo corso. Le strade, i laghi, i (itimi e similmente le coi se d’ acque di maggiore importanza erano puramente comuni radicalmente e per generale disposizione legittima: nè potevano perciò entrare per se a far parte di agro in proprietà determinala. Quindi il nostro presente termine doveva sorgere denlro alla curvatura, vai quanto dire nell’angolo interiore cosliluito dai due rami confluenti. Alla ragione dedotta dalle norme cromatiche si aggiunge a conferma una deduzione, VAIOLA I»» fOiCK\8ll.% ( 152 ) che si irne, secondo parmi, dal lesto medesimo del nostro monumento Vedemmo alla linea I i, che gli Arbitri , stabilito lo incoininciamenlo del circuito dei confini, che jcutoniiâtino, nel termine detto al confluente, di cui parliamo , dall ktle e della Poi’cvbrrtt ^dei liumi la Verde c la Secca de nostri giorni), t>si proseguono, senza cenno del doversi valicare alcun limne, MOK tt>i • iLovio sviisvonst ti, cioè da quel termine all insù pel fiume EUe. Ma ciò non poteva verificarsi, sennicl» '» f»*** un tragitto di fiume , |»er seguirne la linea superiore , il quale trafitto non doveva trovar luogo per legge generalo agnmeiisona, come fu detto; o 80 ciò avesse doluto Ctó6lt‘ per qualunque ragione speciale, appunto, come fatto di eccezione alle norme comuni, avea maggiormente d uopo di troiano indicalo Milla Seo-ten/a quel tragitto resoci necessario, perche la lm« a dal di «otto della confluenza potesse spingersi a seguire il corso dell « della Verde. Linea 23 in iì Qv&n • A<;a'w • rwpucvn • jvoica*** é**4“ (Qunn atjntm pubiieum ituiicwnHs r*s*), Innanzi al comincia mento di questo nuoto paragrafi» della pronunzia degli Arbitri. cioè fra la voce sta? del periodo precedente» ed il o'* onde principia questo qui riferito» I incisore della Tavola lasciò uno tpèMto fra le due parole assai maggiore del consueto; vi manca nulladimeno n*l mezzo il solito punto; e cerio vi manca per una mera dimenlicania Quell intervallo fu sicuramente lanciato in questo luog^ a 'ludio affine che lenisse con ciò indicalo un prin< ip»0 di nuo o Rispetto al trslo della Sentenza noli il lettore ptJWKIH:— compitezza ! Egli pareva al lutto sufficiente I avere indicalo sopra in capo al precedenb' paragrafo: aghi rorijci o'on la* wm£i mutterr. Quella fiorinola già avea designalo abbastanza chwro la qualifica di Langrse Veturio riconoscila nel lefrilorio. che gli Arbitri intendevano determinare per segnali confini, ( 453 ) TAVOLA DI POLCEVERA come cosa di pubblica perlinenea di quel populo. Eglino colà riferivano un fatto autorevolmente eseguilo, la cui esecuzione era, diremmo, materiale e visibile nei termini stabiliti; quindi dopo avet dello nel preambolo della Sentenza fines pacche ter-m inoso ve statm i\sser\ni, stava bene la formola, che conservava tuttavia a quel tempo forse il concetto etimologico, vident!r essi; ; come so ora noi dicessimo si vegyoti essere. Con luttociò quella non bastava alla romana giurisprudenza, ed aggiunsero la forinola clic esaminiamo. Qual territorio vollero dir essi, del quale descrivemmo i confini, di nostra autorità piantali o riconosciuti ac li v m i* v rlicv m indica m \ s esse. In questa formola Sditesi espressa 1 autorità giudiziaria derivata dalla suprema giu-iisdi/ione del Romano Senato; con questa rend e vasi decretorio il fatto dello stabilimento dei confini ; e si constatava autorevolmente un diruto (indicare ha origine da ins di cere), il contrastato diritto , ed assumevasene la difesa in prò di Langesi Veturii contro le pretensioni contrarie ; giacché trapela assai bene dalla Sentenza clic la controversia fondamentale verteva appunto sopra I agro pubblico, sul quale perciò si usa la formola più spiccila ; mentre invece, dove trai la vasi dell'agro privato altre formolo vengono adoperate, direbbesi in modo piuttosto di rico-gnirione, <‘d allo scopo -d'impedire coll esposizione autorevole di quei diritti privali, che non dovessero mai più nascere piali novelli tra i vani possessori delle parli di quel territorio col loro comune, se mal o già avesse per lo innanzi alcuna volta preteso di loro imporre un qualche censo o prestazione, ovvero tributo, o vi fosse pericolo clic ciò potesse avvenire. Sopra ciò i Genuali, siccome pare, non aveano nulla a vedere; che 1 agro privato era cosi proprio dei possessori, che non erano obbligati alimi in alcuna cosa. Da quanto qua e la già notammo il lettore dee avere una chiara idea dell agro, su cui vieti qui concludendosi il giudicato. Dovremo ritornarvi nondimeno all re volle D TAVOLA DI POLCEVERA ( 454 ) o\e cuti ei anno in esame le clausole, onde fu corredata riguardo all’agro pubblico la nostra Sentenza. Linea ^,4. evm • agrvm • castelanos • langenses • veitvrios • OSIDERE FRMQVE • VIDETVR • OPORTERE. (ElMl agrUTÌl Castel- os Langenses Veturios possidere fruique videtur oportere). e a Tavola, che io pubblico, s’incontrano entro la voce posi-deke lo due lettere si in carattere corsivo per avvisare che queste lettere mancano sul bronzo. Questo è un di quei sopraccennali punti della superficie metallica, ov’ era stato racconcio un ^uasto con una toppa, o quadrellino di riporto, affine di rispianarla, uscì di luogo la toppa, e si perdette, e con essa andaron \ia le due lettere, che v’ erano sopra. Il Ritschl qui in questa linea per langenses ha lanoenses. Continuando a notomizzare le forinole della nostra Sentenza uggiamo, che questo brano è conseguenza, ed esplicativa determinazione della frase, che aveva recisamente giudicato pubblico 1 agro, di cui trattavasi, cioè di proprietà dei Langesi Veturii, con>ideiati come uno speciale consorzio civile. Infatti qui dal nome Castello, onde i Romani appellavano alcune delle varie citili aggregazioni, vengono detti Castellani Langesi Veturii. Si nùti ^ Paesaggio prima di procedere oltre, che questo tratto, se fosse stato ben considerato dagli antecedenti illustratori, dovea rimuovere ogni pericolo, che prendessero equivoco, e si riducessero a dividere un popolo unico, cosi bene determinato binomio, in due ditele tribù o sezioni. Quasi tutta la Sentenza riguarda di più & presso proposito i } eturii, per istabilirne i diritti, facendo loto ragione contro i Genuali, che l’impugnavano: inter ge-nvateis et \eitvrios; i quali Veturii avendo il loro Castello, come capoluogo della loro res publica, col nome di Langa o Lungo, potevano assai convenientemente dirsi ora Veturii, Langati o Langesi, ed ora Langesi Veturii, rimanendo sempre la medesima ed unica controparte nella lite sulla quale ( 455 ) TAVOLA DI POLCEVERA sentenziavasi. Perdonino i ciotti, se in cosa or sì chiara, io insisto in modo die ormai pare eccessivo; ed è così per loto sicuramente ; ma poiria darsi avervi tuttora alcuno che puranco abbisogni di sempre maggiori conferme. Mi si passino in grazia di ciò queste brevi escursioni, attesa l’importanza massima di questo punto fondamentale; ed io torno al proposito, lo diceva che questo articolo della nostra Sentenza non era che conseguenza del precedente, cavata dall’ autorità giudiziaria per chiarirne pienamente 1’ accezione di vera proprietà in capo al riferito Castello. Vedi anche qui omessa una formola decretoria, ed usato il YiDETVR, onde i giudici, quasi direbbesi, presentano la conseguenza all’ altrui ragione: come se noi dicessimo in moderna espressione: « Quell’agro, da noi sopra dichiaialo di » publica proprietà dei Langesi Veturii, apparisce dovei esscie » di possesso e di godimento dei Castellani Langesi \eturii ». Con che si viene ad escludere in esso agro ogni dii ilio ed inge renza dei Genuali. A favore dei quali nulladimeno segue una clausola clic merita grande attenzione ed esame, e eli io i inietto all’ articolo successivo. Linea 24- in 25. prò • co • agro • vectigal • langenses • yei- TYRIS * IN • POPLICVM * GENVAM • DENT • IN * ANOS ' SINGOLOS n • cccc. ( Pro co agro vectigal Langenses 1 citiuii m pubi/ cum Genuam dent in annos singulos victoriatos minio-s cccc). Quando fu preso come dativo il vocabolo neitnri^, dal che lisul lava che i Langesi pagassero la dichiarata somma annuale ai Velurii, allora supposto un popolo o comunità diversa: e che. questo pagamento doveva farsi in Genova, se ne ti asse un illa zione che veniva legittima dalla premessa, se fosse stala buona. Genova n’ usciva principale luogo, prefettura o clic so io, ci\ano tante altic incoerenze, che riducevano il contesto della Sentenza ad una matassa aggrovigliala da non trovarne il bandolo mai più. L TAVOLA DI POLCEVERA • ( 456 ) Genova che in testa de! documento è chiaramente parte collitigante, diventò così una residenza autorevole, anzi giuridica con tutto il resto che ne fu cavato. Piacque assai questa precoce alta condizione della illustre metropoli della Liguria marittima; e a dirla candidamente piacerebbe anche a me, se ciò ave^i trovato sopra solido fondamento. Che fosse allora Genova o non fosse al tempo della Sentenza oppido più rilevante di Lango, non abbiamo argomenti positivi nò prò nè contro: e nelle indagini storiche ed archeologiche non si crea. Ciò che sappiamo abbastanza, e per documento, si è che in questa controversia le due parti erano equiparate, anzi se pongasi mente, la vittoria fu pei Langesi Veturii. Quindi nella falsa via, sulle basi indicate, la voce vectigal, che già sopra recai al vero significato, divenne voce di significanza esclusiva, che assunse più taidi as^ai. e si bebbe una accezione inesatta della espressione in ■ poilicvm genvam. Egli è il Pubblico del Castello dei Langesi Veturii, che dovea dare (dent), dovea pagare al Pubblico di Genova la somma assegnata (in poplicvm genvam), non già depositarla nel comune di Genova: chè altrimenti dovea dirsi in poplico genva, anzi non in poplico, ma presso un qualche magistrato, che in e nova risedesse. Dunque che cosa era questo vectigal, che Lanco doveva pagare a Genova? Accennammo che doveva essere no^ altro che una prestazione. Ma a qual titolo fu ella imposta. Acciocché per noi avesse valore.di tributo,' ovvero di censo sudditezza ci saria necessario assicurare per alti a parte je Genova l’esistenza accertala della sua qualità di centio, alme amministrativo, a rispetto dei Langesi Veturii. Altrimenti co dovrebbe supporsi, perchè ivi si riceveva un vectigal, ei e supposto un vero tributo; ed era proprio un tributo, PeiC Genova era la capitale di quel popolo, che lo pagava. Quest ragionamento parmi peccare di petizione di principio. L1 iam il Brisson, ove nell’opera citata (Lib. V, 130) rifonde ^ ( 457 ) TAVOLA DI POLCEVERA posizioni legali in questo genere di cause: Judici finium rcgun-clo/ uììi permittebatur, ut ubi non posset dirimere fines, adjudicatione Controversiam dirimeret : et si forte amovendae veteris obscuritatis gratia, per aliam regionem fines dirigere Judex vellet, poterat hoc facere per judicationem et condemnationem. Quo enim opus er.at, ut ex alterutrius praedio, alii adjudicaretur : coque nomine is, cui adjudicabatur, invicem pro co, quod ei adjudicabatur, certa pecunia condemnandus erat, L 2 §-.uft. et l. 3. D. finium regund. Dispicere certe Judicem debuisse, an necessaria esset adjudicatio , Justinianus ait; quae utique uno casu necessaria erat, si evidentioribus limitibus distingui agros commodius esset , (piam olim fuissent distincti. Tunc enim necesse erat ex alterius agro partem aliquam alterius agri domino *adjudicare, eumque alteri certa pecunia condemnare. Mr' parve necessario recar lutta questa esposizione del Gius Romano, la quale, comecbè relativa a meno antiche leggi, da quelle tuttavia discende ; e parvemi giovare assaissimo a porci in via per appianare una forte difficoltà del testo della nostra Sentenza, ed a poterne recare il complesso a coerenza maravigliosa. Lo disposizioni legali, compendiate dal Brisson, combaciano colla formola imperativa (dent) dell’ articolo in esame, e dell’altra alla linea 36: dare debento, ove senti 1’ atto espresso in tempi posteriori col verbo condemnare. Tengo adunque che la stabilita prestazione non fosse .che un compenso'della parte genovese attribuita per necessaria rettificazione di confini all’ agro Veturio. E meglio mel persuade se considero la libera alternativa del modo di compensare, elio vedremo più abbasso. Ma pria di concludere questa disamina debbo dire alcuna cosa de’ quattrocento viltoriali, che gli Arbitri designarono per somma di compensazione: quando fosse piaciuto al Comune Langese di attenersi piuttosto al compenso pecuniario, elio agli all ri modi di soddisfazione. TAVOLA DI POLCKYOA ( 458 ) La moneta clic appellasi qui victoriatus numus è soggetto di qualche controversia. Non mi fermerò per dire, che la sijda vie. in alcune edizioni del nostro monumento fu scambiata nella sigla dei sesterni (hs) ; giacche il bronzo non ha sesterzii, ma Vit-toriati. Era divergenza da sciogliere cogli occhi. D'altra parte, quantunque, ma in casi rarissimi, ai sesterzii s' unisca pure la voce numus, non ne son guari accompagnati comunemente. E quanto al vocabolo numus, qui notato in sigla, da esso vole-vasi procedere per determinare di che trattavasi indicando la Sentenza i Yittoriati. Sulla fede di Plinio v’ ha chi credette, che non fossero moneta altrimenti, ma un valore espresso con moneta illirica, la quale, com’egli dice, non conteggiavasi in Italia che col valore di merce, prima che fossero coniati in Roma nel Tribunato di P. Clodio, quel desso che fu si atroce avversario di Cicerone, cioè l’anno di Roma G9/. Io e meco tutti gli amatori delle antiche notizie vorrebbon sorti negli antichi tempi assai Plinii, e che il tempo ce gli avesse intei amente conservati; ma ciò non dee impedire che a riguardo di ^aiuoli, anche tanto insigni e tanto benemeriti delle antichità, non usiamo con buona ragione la critica. Perciò non si jienda in mala parte, se io, in questo caso, dico che credo meglio ad un coevo monumento autentico, che a uno, eziandio dottissimo e diligentissimo, compilatore di tempi molto poste 1 ioii. Senza il dubbio nato dal rispetto verso Plinio, nessuno leggendo la nostra epigrafe, ove i Vittoriati son detti numi, ove sentesi, che nel l’uso dell’espressione dovea trattarsi di moneta corrente, strano apparendo, che i Romani Giudici in luogo romano, e cosi di stanti dall* Illirio, abbandonassero il ragguaglio della loro legittima moneta per assumere in sua vece ima merce di valore, non guari oscillante se si voglia, e, ciò die veramente riesce più forte, per assumere una merce moneta con conio loi astici o. Errò certamente Plinio che fioriva nella settima decade del prim ( 459 ) TAVOLA DI POLCEVERA secolo dell’ era nostra. Possiamo adunque tenere, come fatto bene in sodo per 1’ autorità decisiva della nostra Sentenza, che CO anni prima del Tribunato del Clodio, cui si volle attribuire la legge Clodia sopra la coniatura dei Vittoriati, la Romana Repubblica aveva moneta di questo nome; sia pure che insieme egualmente esistessero presso i Romani Vittoriati Illirici non ispesi, ma mercanteggiati. Che se realmente una legge Clodia creò in Roma questa moneta coll’ impronta della Vittoria da cui prende il nome, del valore del Quinario, poco appresso del nostro valore moderno, ad estimo della materia, di centesimi 41, egli ò certamente più antica assai del citato Tribuno. Infatti veggola da alcuni attribuita ad un Claudio (o Clodio) Centone, eli era con M. Sempronio Tuditano Console nell’anno di Roma 514, avanti Cristo 240. Ed io sono pienamente convinto, che se Plinio avesse potuto vedere il nostro monumento, o avrebbe esaminate meglio le notizie che ricavava da anteriori documenti, o non avrebbe nel Clodio dei documenti, ove il rinvenne, franleso con iscambiarlo per un altro ; e 1’ ordine cronologico da lui tenuto nel discorrere (Lib. 33, cap. 13) delle monete romane sarebbe stato sicuramente diverso. Detto egli dei bigati c quadiigati d’ argento, tocca d’ una legge Papiria o Papiriana, onde gli assi divennero di mezz’ oncia (il Pighio assegna ciò all anno di Roma 586, avanti Cristo 108). Nota poi Plinio, continuando, l’alterazione monetaria romana introdotta dal Tribuno Livio Druso (anno 663), per cui l’argento si abbassò di lega del meno un ottavo di fine; quindi prosegue: Qui nunc Mcloria-tus appellatur lege Clodia percussus est. Au tea e ni ni lue nummus ex Illyrico advectus, mercis loco habebaliu. Lst autem signatus Victoria, et inde nomai, Oia, prima di con eludere questa discussione, è d’ uopo qui rilevale un glande ablu glio del Marchese Serra, rispetto al valoie dei Vittoriati pei comparazione del costo contemporaneo dello biade. LJi die avea TAVOLA DI POLCEVERA ( 460 ) cominciato da un passo falso, onde Genova gli riesci va oppido principale di tutti i popoli della Porcevera, era tentato a crescere il valore dell’ imposto vectigal. Si serve egli di Polibio pel prezzo delle biade a quel tempo, premettendo eh’ egli nacque sett anni dopo la sentenza/pronunziata dagli arbitri, mentre al contrario era morto per Io-meno tre anni prima; e scriveva in tempo, dopo cui i valori monetarii romani, e le derrate ebbero assai vicende. Intanto il lodato Marchese, il quale credeva di vantaggiare la sua opinione coir ingrandire la somma da lui tenuta per tributaria, non si accorgeva che .quanto egli la supponeva più ingènte tanto meglio appariva somma di censo o di prestazione. Imperocché egli é certo, che le imposte furono mai sempre minori delle prestazioni, che i censuarii pagavano al padrone del territorio, che egli godevano o a censo od a pigione.'Ma tiriamo innanzi, che quel che segue compirà la dimostrazione sulla qualità che devesi attribuire all’annua somma, che i Langesi Veturii dovevano pagare al Pubblico dr Genova. Linea 2o in 27. sei • langenses • eam * peqvniam * nò\ • da- BVNT • NEQVE- • SATISFACIENT • ARBITRATVV • GENVATIVM * QVOD ' PER • GENVENSES • MORA • NON • FIAT • QVO • SETIVS • EAM • PEQVNIAM •-ACIPIANT • TVM • QVOD • IN • EO • AGRO • NATVM • ERIT - FRV1 MENTI • PARTEM • VICENSVMAM • VINI • PARTEM * SEXTAM • LANGENSES IN • POPLICVM • GENVAM • DARE • DEBENTO • IN • ANNOS * SINGOLOS. (Si Langenses eam pecuniam non dabunt, ncque satisfacient arbitratu Genualium; quod per Genuenses 'mora non fiat, quo secius eam pecuniam accipiant: tum quod in co agro natum erit, frumenti partem vigesimam/ vini partem sextam Langenses in Publicum Genuam dare debeant in annos singulos). Prima di procedere alia discussione sopra .questo tratto, che continua a riferirsi alla prestazione annuale alla quale gli Arbitri (usiamo il verbo legale) condannarono i Langesi Ver hirii verso il Pubblico di Genova, noto a riguardo del bronzo. ( 461 ) TAVOLA DI POLCEVERA che per entro la voce mora (lin, 26) manca la r svelta di luogo insieme con un quadrellino di riporto, eli’era stato posto in quel punto , come 1’ altro di sopra notato alla linea 24, e colla r ei perdette eziandio la metà dell’ a, di cui ne resta abbastanza per sicuramente riconoscerla. Se le ragioni recate nell’ articolo precedente non fossero sufficienti a dimostrare la qualità del censo, di cui si parla, ne abbiamo in questo brano qui riferito un assai valido rincalzo. Gli Arbitri romani, dopo avere, come vedemmo testé , assegnato ai Langesi Veturii 1’ annuo quantitativo, secondo l’estimo e giudizio loro, che doveano pagare al Comune di Genova, insistendo tuttavia sull’obbligo della prestazione, tollerano (e della loro condiscendenza ne rogano atto nella Sentenza medesima), che possa aver luogo un’alternativa. » Se i Langesi ( Veturii) non isborseranno quel danaro, nò » daranno (altra equivalente) satisfazione conforme al benepla-» cito de’Genuati (e caso), che da parte dei Genovesi non » s'interponga mora altrimenti dall’ accettare quel danaro, allora » [la dovuta prestazione si compensi in tal guisa): (tutto) ciò, »> che in quel territorio (pubblico) fia maturato, di frumento » debbano dare nel Pubblico di Genova la vigesima .parte per » ogni anno, e di vino la sesta ». Ricordi oltracciò il lettore quello che riportai sopra da Igino esaminando, ed illustrando la linea 6. Igino adunque con quel suo lesto ci fa sapere che v’hanno provincie, ove i censuarii-danno al padrone del territorio che godono una quantità determinata del fruito, altri la quinta, altri la settima, ed altri danaro, secondo I' estimazione del fondo. Abbiamo qui il valore dei censi ora al 20. ora a quasi il lo per cento, per ogni frutto; perdi erano prestazioni -verso il proprietario del suolo. Nel caso nostro, del grano non siamo che al 5 per cento, del vino, di cui non sappiamo quanta coltura ve n’avesse, più del 16 per cento, sen-z’ altro obbligo riguardo ad ogni altra produzione, che nascesse e si coltivasse nel medesimo territorio. Che dunque nei 400 viitoriati (a valor metallico lire nostre 164), ovvero nelle concesse surrogazioni, non debba vedersi un tributo propriamente detto, ma, tenuto conio dell'espediente di rettificazione di confini di cui sopra parlammo abbastanza, debbasi invece vedere una pura prestazione di compenso, considerato tutto, è la cosa unicamente plausibile. Nascerà forse un contrario argomento dall’ aver sottomesso all’aggravio tutto il pubblico territorio, non la sola parte di rettificazione? Non pare. Giacche il Pubblico di Genova non otteneva sul Castello Langese Veturio, che un’ ipoteca, il Castello era il debitore e gli Arbitri volevano assicurare l’annua prestazione giudicata sui beni del medesimo, ai quali avevano incorporato per avventura quel tratto, che ridusse la controversia in battaglia. Si voleva blandire Genova, crediamo, quanto con-cedea la giustizia. Chè i Genovesi mostrassero malcontento Io indica evidentemente la frase della Sentenza, che tende a stabilire una prevenienza contro nuovi probabili piati : qvod • per • GENVENSES • MORA • NON • FIAT • QVO • SETIVS • EAM • PECVNIAM • accipiant. Dunque parevano essi agli Arbitri assai disposti al rifiuto della somma loro assegnata. Rilegga attentamente il mio lettore il presente brano; ricordi il titolo della Sentenza inter • genvateis • et • VEiTVRios ; osservi che siamo sempre su quel territorio, che venne sentenziato pubblico ai Langesi, che vuol dire ai Veturii; rilevi in questo brano che si chiamano di nuovo solo Langenses, che in altri si dissero interamente Langesi Veturii; noti il preciso significato che ha la formola arbitratw genvativm, e si chiarirà, che non pareva possibile l’opinione che fossero due popoli. Quanto alla formola arbitratuu, si trova, non relativa a tributo, identica in Catone (De re rust): satis-f[ue dato arbitratu domini. Da questa sola frase adunque non si può certo rilevare, come parve ad alcuni, concetto di preminenza, nò polirim ? nè amministrativa. ( 4G3 ) TAVOLA U1 POLCEVERA Linea 2S in 29. qvej • intra • eos • fineis • àgr\m • posedet • GENNAS • ANT • YEITVR1VS • QVEI • EORVM • POSEDEIT • K • SEXTIL * L • CA1CILIO • Q • MVVCIO • COS • EOS • ITA • POS1DERE • COLEREQVE * liceat. (Qui intra eos fines agrum possidet, G en nas, aut Veturius, n ciò confermando la piena proprietà dell’ agro pubblico sopra determinato nella Comunità dei Langesi Veturii, stabilisce nel loro Castello l’esercizio del dominio: clic essendo in corpo morale doveva collegialmente venire in allo per generali suffragi dei cires di quel popolo, vincendo il partito la maggioranza delle voci. « Del rimanente (praeterea) in quel territorio (pubblico) al-» cuno (così) non possegga se non che in seguilo a concessione » deliberata (sententia) dalla maggior parte de’ Langesi Veturii ». Se ci fosse ormai ancora bisogno di solidare clic i Langesi Ve-lurii sono un popolo solo, qui direi: vedete quel popolo stesso, che gli Arbitri chiaman solo langenses quando si incomincia a determinare il loro agro pubblico, ora, che trattasi di esercitarvi il diritto di proprietà per disporne, son detti con doppio nome Langesi Veturii. Avere il dominio e l’esercitarlo appartiene certamente al soggetto medesimo, o, se ad alili, di sua autorità o concessione. Innanzi che io concluda questa noia, debbo avvertire un errore commesso nel riferito brano dall’ incisore. Doveva, coni’ io racconciai, incidere de • maioris • partis• langensivm • vei-tvriorvm • sententia; non de - maiore • parte con quel che segue. È facile spiegare lo sbaglio. Egli scritto il de e non accortosi per la distanza del suo ablativo sententia, credette darglielo in maiore parte; ne si curò poi di correzione, che il solecismo punto non alterava il senso. E lo stesso errore commise nella linea successiva, come vedremo. Linea 31. dvm • ne • alivm • intro • mitat • nisi • genvatem • AVT • YEirVRIVM • COLENDI * CAVSA. (Duiìl 11011 alitivi illtt'Ollltllal, nisi Genualcm ani Vclurium colendi causa). Abbiamo qui una restrizione all’ esercizio del diritto di proprietà nei Langesi l e-turii, della quale restrizione la Sentenza non ci pone in mano TAVOLA DI POLCEVERA ( 408 ) alcun indizio di fondamento da poterne congetturare il perchè. Era egli esercizio d'impero negli Arbitri, loro concesso dal Senato Romano per ovviare a pericoli di nuove liti, liti da ridursi assai facilmente a zuffe micidiali? Era esercizio di pura giurisdizione giuridica; perché Ira i due popoli già preesistessero o patti o consuetudini, onde nascesse nei Langesi Veturii questo vincolo, che li ratteneva dal poter concedere la loro proprietà senza condizioni onerose, non come loro paresse? Fatto sta che i Langesi ìeturii potevano disporre delle terre di loro pubblica per-tinenza dandole ad usufrutto o livellario o somigliante, ma con obbligo di condizionare il contratto, che il tenitore della terra « non intruda (in quel pezzo di egli tiene) per cagion di n coltura-, altra persona che un Gemiate od un (Langese) » Veturio ». S' io avessi ad esprimere un mio pensiero su ciò, inclinerei alla seguente spiegazione, eli' io propongo per quel che vorrà essere. Se Genova allora non era Temporio dei tempi di Slrabone, la vicinanza al mare dovea renderla più importante e più ricca in ragione dei commerci; i Genovesi dovevano continuare a procurarsi in loro capo di quei tratti di terreno, unendo al commerciale eziandio questo mezzo di guadagno. Ma essi tali più non erano comunemente da prendere 1’ aratro ed il bidente. Bisognava adunque per la coltura di queste terre giovarsi d' altre braccia. Àvrebbon potuto installare in loro luogo Odiati, Deltunini, Cavalurini, Mentovini od altri ; ciò non poteva piacere ai Langesi Velarii, i quali, non guari temendo che fossero occupati da estranei a rispetto dei Genuati, o presto o tardi avrebbon dovuto vedersi occupato il loro territorio, con proprio discapito e pericolo, dalle tribù limitrofe od anche lontane. Protesto e ripeto, che intendo che questo mio pensiero sia valutalo dai dotti miei leggitori per mera, merissima congettura. Linea 31 in 32. qvei • eorvm • de . aiaiohi? • parte • lan- ( 469 )' TAVOLA DI POI.CE \ ERA GENSI\ M • VElTYniVll* . SENTENTIA • ITA • NON • PAREBIT • IS • EVM ■ AGRVM • NEI • HABETO • NIVE • KRVIMINO, ( Qlli eorUlll (le ÎÎÎüjoris parita Laìujcnsium Vciur iorum son tenda ila non. parchi, is rum agrum nec /tabeat, neve fruatur). Esaminiamo in prima ciò che appartiene alla filologia. Noli il lettore nolT ablal ivo MAIORE parte lo stesso solecismo commesso più addietro ; ho già parlalo in quella occasione e di quell’ errore e di questo. Curiosa la significanza eli’ io vidi attribuita in qualche scrittore alla formola non parebit, in senso di non. ubbidirà, che non è proprio quello thè si volle dire, e che altera la portata di questa clausola. Come verbo in significazione forense, che è, quanto a dire, più antica e primitiva, Parret, dice Festo, volendo eziandio corregerne la lessigrafia, quod est in formulis, clcbuit cl producta priore syllaba pronunciar^ et non gemino R scribi, quod et inveniatur in comparet, apparets A questo verbo', nelle fórmolc corrispondenti, nelle Institutiones, Giustiniano lia sostituito apparet. Parere negli atti giuridici, vale constare, esser chiaro. Si paret, disse Cicerone volendo intendere, se- la cosa è ben provata, o ben chiara. 11 concetto di obbedire è traslato secondario. Quanto, all’ imperativo passivo deponente frvimino, è forma arcaica, ed obsoleta già dal T aureo secolo; è persona terza del .singolare; ne abbiamo altri esempi di vetusti scrittori, e nelle forinole giuridiche. Catone disse prae[amino, Pesto riferisce [amino, e nella legge delle xii Tavole: sì in ivs vocatio fvat, attestammo. Un romano dei tempi di Cicerone,.'che non avesse voluto arcaizzare, in comune lingua avrebbe scritto nec habeat, neve fruatur. Dopo la filologia entriamo nel resto. Gli Àrbitri avevan giudicato, clic la norma ordinaria si era, che la concessione -delle terre fosse fatta dalla res publica proprietaria, cioè dai Langesi Veturii., cui venia fatto buono il diritto, o s’ imponeva l’obbligo, che gli ammessi così, d’altri non si servissero per la TAVOLA DI POLCEVERA ( 470 ) coltura, se non che di Genuati, o di Veturii. Contro qnesfe clausole, e contro quella principalmente dei possessori, almeno da sei mesi, vi dovean essere delle infrazioni a questi diritti. Aeniva perciò necessario , clie i cotali possessori illegittimi o riescissero ad ottenere la legale concessione, od uscissero di quel possesso. E tanto provvede il brano, che esaminai finora: « Chiunque infra costoro non si chiarirà cosi (legittimo possessore » cioè) in seguito a concessione deliberata dalia maggior parte » dei Langesi Veturii, egli non si abbia (altrimenti occupato) » né goda ( senza quella padronale concessione) Brano di terra. » Linea 32 in 33. qvei • ager • compascvos • erit • in • eo • AGRO • QVO • MINVS • PECVS • PASCERE • GENVATES • VEITVRIOSQVE LICEAT • ITA • VTEI • IN • CETERO • AGRO • G EN VATI • COMPASCVO • NIQVIS • PROHIBETO • NIVE • QVIS • VIM • FACITO. ( Qui a (je i' COlìl-■ pascuus erit, in* eo agro quo minus pecus pascere Genuatcs, Veturiosqhe liceat, ita ut in celero agro genuati compascuo ne quis prohibeat, neve quis vim faciat). Perché questo tratto, che Ia connessione giuridica obbligò gli Arbitri a capovolgere, sia bene inteso a prima vista, mi si permetta ordinarlo a meno irregolare costruzione : Ne quis prohibeat, neve quis vim faciat, quo minus Genuates, Veturiosque pecus pascere liceat ita, ut in cetero agro compascuo genuati, in eo agro qui compascuus (langas veturius) ager erit. Fra le due voci pecvs e pascere avvi un' altra incavatura quadrala, indizio d’ un racconcio, che produsse T uscita e la perdita del quadrellino calettatovi dal-T artefice. Alcuni editori della nostra Tavola, senza far conio del tramezzo perduto, scrissero pecvascere, o pecwascere in un solo vocabolo, che non pare abbia mai conosciuto la lingua Ialino; ma che pure appunto da questo testo, cosi stranamente rilevato, entrò a far mostra di sé nei migliori lessici latini dei Facciolali, del Forcellini e del Furlanelto. Quel che resta sul bronzo é pecv e, dopo il vano, ascere. Che la prima voce ( 471 ) TAVOLA DI POLCEVERA avesse una s, se più non si vede per qualche urlo, che abbia schiacciato il lembo, o per effetto di ruggine, par certo; era ancora visibile da quel che ne restava, quando Cosimo ne volle copia : in quella vi si trova. Dopo questo il pascere viene di evidentissima conseguenza. Ciò avvertilo, ed entrando all’ esame «lei testo vuoisi notare, clic dell’agro Coyipascuo, cioè delle Co-munaglic, nel nostro monumento non si descrivono i confini; anzi dalla forma, con cui la Sentenza, anche a costo d’ una costruzione intrecciala, s’introduce a parlarne, si sente ch’era costituito di boscaglie per entro i medesimi confini dell' agro pubblico ; del quale alcune parti erano perciò abbandonale , e designate a comun uso. Non avremmo allrimenli l'introduzione in maniera si vaga, clic usarono gli Àrbitri; per cui v’ ha bisogno di supporre una colleganza con quel che precede, come volessero dire: « L’agro poi, in quella porzione » che sarà Compascuo, in quel territorio » con quel che segue. D'altra parte, siccome, al dir d’un antico Gromatico (\edt ediz. Lttchmartti sopracciò, pag. 157), anche questa specie di agro era assegnato a determinali confini, quando avveniva che fosse fuori di altri confini già stabiliti. Nel caso nostro il non trovarne, dell’accennato Compascito, alcuna indicazione di limiti, rinforza validamente la sua coesistenza coir agro pubblico. Sentiamo il citato autore: Inscribuntur et compascva (se ficcasene mappa, avevano cerio proprii e determinati confini ), quoti est genus, quasi subsccivorum, sire loca, qude proximi (inique vicini, idest qui ea contingunt, pascua.... e qui rimansi il testo per lacuna nei codici. Or veggiamo a pag. 102 , che cosa ci vien detto di questi ritagli di terreno (Subseciva): Auctores divisionis, adsignationisque aliquando subseciva iclms publicis coloniarum concesserunt; aliquando m conditione illorum permanserunt (cioè d'uso comune). Quae quidum (i coloni) sibi donata vendiderunt, aliqui vcctigalibus pro- TAVOLA DI POLCEVERA ( 472 ) jLtmis quibusque adscripserunt, alii per singula lustra locare soliti per mancipes ( affiUuaii ) reditus percipiunt: alii in plures annos. Recai questo brano gromatico anche* perché mi parve utile ad illustrare assai punti della nostra epigrafe. Proseguiamo, e .diamo l’intero brano che stiamo esaminando, secondo V ordine della latina costruzione gramaticalmente rad-dirizzata: « Nessuno vieti, nò eserciti violenza, perché i Ge-» nuati ed i Veturii ■(Langesi) non abbiano come V hanno in ». tutto l’altro genovese agro compascuo, balia di pascere lo » -greggi in queir agro che sarà agro (langese veturio) coin-» pascuo ». La forinola' vini facial alluderebbe mica per avventura alle violenze, onde, vennero le controversie e le vie di fatto, cui si allude in fine della Sentenza? Linea 34 in 35. neive • prohibeto • ovo • aiinvs • ex **eo • AGRO • LIGNA • MATERI AM VE • SVMANT • VTANTVRQVE. (Neque prohibeat, quo minus ex co agro ligna, materiemve sumant utanturque). E qui dalle legna si pare che l'agro compascuo non erano che boschi destinati a servire alla connine, pastura de’ bestiami di chiunque si fosse, -che colà li menasse a pascolo; purché i cosiffatti pasturanti fossero de' due popoli ammessi alla comunanza reciproca di quel diritto; ed erano nel caso nostro i Veturii e i G.enuati almeno a titolo di vicinanza o contiguità territoriale, cui allude il Gromatico testé citato, ove nel proximi quique vicini, idest qui ca contingunt, pascua..... si vede, malgrado la monchezza del brano, che si volea dire, che dai contigui godevansi liberamente a comu-naglie.1 Come nascesse questo giure di pascolo ed uso comune, non dico ctì primordiale istituzione, giacché in origine, prima che tratti determinati di una terra, per occupazione individuale e coltura, divenissero legittima proprietà, in cotale condizione di comunanza era ogni territorio, ma in questo caso, cioè nello stadio meno vetusto dei Liguri che allora abitavano fra ( 473 ) TAVOLA DI POLCEVERA n°i > 11(1,1 e cosa fucile a chiarire. Erano-essi, un popolo aggrandito da una sola e ristretta origine? Quindi l’agro occupato dalle varie*sezioni dello stesso popolo, e le varie condizioni -dei rispettivi possessi erano più o meno subordinate a patii Ira tribù c tribù convintili in qualche tempo anteriore? Può egli sospettarsi con qualche probabilità per entro all ordinamento ligustico fra noi anco la mano romana? Per ora è d’ uopo lasciarne al tempo ed ai dotti la risposta. E noi procediamo neir esame istituito. Nelle comunaglie adunque, come vedemmo, del pari de’ Langesi Veturii, . come de’ Genuati , potevano si dell’uno, sì dell’altro popolo, secondo che-fu detto', usare il. comun. diritto della pastura, su quanto vi germogliava d’erba .spontaneamente; più, di là polevansi provvedere di legna per uso di fuoco, e di legnami per edifizii, e lavori. La stessa formola ligna materiam ve trovasi definita opportunamente dal giureconsulto Ulpiano, Digesto 32, 53, \ , ove si osserva materiam esse, qme ad aedificandum, fulcien-durnque necessaria est; lignum quidquid comburendi causa paratum est. Linea 35 in 3G, vectigal - anni • primi • k • ianvarls • SECVNDIS • VETVRIS • LANGENSES • IN • POPLICVM * GENVAM • DARE • debento. (Vectigal anni primi kaki\dis januariis secunda Veturii Langenses . in publicum Genuam dare debeant ). Desidero nel mio iettore una speciale attenzione alla nolomia del tratto presente, nel quale si confermano pienamente le anteriori deduzioni. «La prestazione dell’anno primo, ìsenten-» ziano gli Arbitri, debbano presentarla i Veturii Langes/ » al pubblico di Genova alle calende che seguiranno (secvndis, » che s origina dall' arcaico, seco, divenuto seqvor, come se, » dopo le prime, si dicesse, seqvendis) di gennajo». Dunque da questa sentenza e non da fatto anteriore, come si confermerà più innanzi, nasce pei- Genuat/ il diritto di avere’, e TAVOLA DI POLCEVERA ( 474 ) * pei 1 et urii Langesi ii debito di dare Ia determinala prestazione. Dunque nuova ragione spuntò nell' occasione medesima del giudicato. Che se non avvenne ciò a titolo di compenso, io bramo vivamente, che si riesca a trovarne tale, che possa tenersi per l’unica vera. Intanto non s’infastidisca il leggitore, se gli addito di nuovo quel Vetvris usato in nominativo, e che concorda con Langenses, il quale nome proprio nell'articolo che segue immediato, articolo contenente una disposizione, che riguarda, senza dubbio al mondo, lo stessissimo popolo, bastò agli Arbitri senza l'aggiunta di Veturii. Il censo o prestazione, come indica chiaramente il testo, cominciando a decorrere dal primo di dell'anno successivo, cioè appena 19 giorni dalla pubblicazione della nostra sentenza, era maturo alle calende seconde , cioè dell' altr' anno , di Roma 639; ed allora entravano i Langesi Veturii nell' obbligo del primo pagamento annuale (vectigal • anni • primi), che si costituiva dall'intervallo tra il primo di gennaio 638, al primo dello stesso mese del detto anno di Roma 639. Linea 36, qvod • ante * k • ianvar • primas • langenses • FRVCTI • SVNT • ERVNTQVE * VECTIGAL • INVITEI • DARE • NEI • debento. (Quod ante kaleiulas primas Langenses fructi suiit eruntque, vectigal inviti dare ne debeant). Tanto è vero, che furono gli Arbitri, che crearono 1' obbligazione di quella prestazione che Lango doveva quinc'innanzi a Genova, che con quest' articolo tutelano i .Langesi Veturii riguardo al godimento di quel tratto, che fu oggetto per avventura precipuo della controversia, stalo unito da loro all'agro pubblico dei Veturii per migliore ordinamento di confini. Quel tratto dovea essere terreno più o meno colto, se, come videsi, dava in frutto frumento e vino, nei quali, mediante il quantitativo delle accennale parli, potevasi permutare la medesima prestazione. Ma siccome forse in alcuni dei tenitori avevano i Ge- ( 475 ) TAVOLA DI POLCEVLRA nuati chi avrebbe pagalo spontaneamente per alcun tempo innanzi, gli Arbitri lasciala, com’era naturalissimo, la libertà ai ben disposti, liberano coloro, che non si credevano obbligati (invitei • dare • nei • debento). «In quanto a ciò che » goderono (sino a questo dì) e godranno i (Veturii.) Lan-» gesi avanti il primo di del vicino gennaio, di quello non » abbiano punto obbligazione di dare (alcun) censo loro » malgrado ». Linea 37 in 40, prata qvae • fvervnt • proxvma • faenisicli • L * CAECILIO • Q • MVYCIO • COS • IN • AG HO • POPLICO • QVEM • VITVRIES • LANGENSES • POSIDENT * ET • QVEM • OD1ATES * ET * QVEM • DECTVNINES • ET • QVEM • CAVATVRINES • ET • QVEM • MENTO VI NES • POSIDENT * EA • PRATA • INMTIS • LANGENSIBYS * ET • ODIATIBVS • ET • DECTVNINEBVS • ET - CAVATVRINES • ET - MENTOVINE* • QVEM • QVISQVE • EORVM • POSIDEBIT • INVITEIS • EIS • NIQMS • SI CET • NIVE * PASCAT * NIVE • FRVATVR. (Pvdta, qUUC fuerunt proxima faeniseci, Lucio Caecilio, Quinio Mucio consulibus, in agro publico, quem Veturii Langenses possident: et quem Odiatcs, ct quem Dectunini, et quem Cavaturini, et quem Mento vini possident, ea prata invitis Langensibus, et Odia-tibus-, et Dectuninis, et Cavatur inis, et Mentovi nis, quem quisque eorum possidebit, invitis cis, ne quis sccct, neve pascat, neve fruatur). Innanzi che entriamo ad esporre quanto si contiene in questo brano importantissimo, noterò, rispetto all’esecuzione materiale dell’iscrizione, che alla lin. 37 conclusa nella voce langenses, questa voce vi si trova stroncata dell’ultima sillaba ses, che venne invece allogata pin sotto; avvi solamente un indizio della prima asla verticale della n nella seconda sillaba, e che, malgrado tutti gl’isografi, che finiscono la prima sillaba in m, vi é poi nel bronzo chiaramente la n, che essendovi alquanto allargata ed un po’ guasta, fu presa per una m; vi è dunque chiaro langenses, e non all ri TAVOLA DI POLCEVERA ( 476 ) melili. Ora esaminiamo il conlesto. Primieramente in questo brano abbiamo nuovi argomenti sull’ agro compascuo sopraccennato, i quali, come ricavali dallo stesso documento, assumono un valore dimostrativo. Siccome vediamo, dal punto, ove si cominciò nella sentenza a trattare dell’agro pubblico dei Langesi Veturii, che si scorge chiaramente il soggetto del giudicato, si continuò fin qui sempre sul medesimo agro pubblico (prata — qvae • in • agro • poplico) , e fra gli articoli relativi a quest’ agro pubblico dei Veturii Langesi incontrammo, senza alcun cenno, né spiccato, né implicito di differenza territoriale, quel tratto che fu sopra discusso, relativo all’agro compascuo. Ciò, secondo me, fa necessariamente supporre, clic quell’agro pubblico determinato dagli .Arbitri comprendeva eziandio nel suo ambito il compascuo o le comunaglie. Tanto più se noi consideriamo, che la clausola dei prati, procuratisi da alcuni, ove qui dicesi agro pubblico espressamente, non poteva essere che pei tratti compascui ; essendoché altrimenti i possessori di quei prati o sarebbero stati investiti di quel terreno legittimamente dal Comune proprietario-, oppure avrebbono fallo parie fra coloro, il cui possesso veniva dagli Arbitri ratificato. Nei quali due casi nessuno estraneo poteva averci sopra aJcuna pretensione. Colalché in diversa ipotesi non tornerebbe a proposito, mi pare, quello che in questo luogo vien detto ; che cioè niùno a malgrado de possessori, vi seghi, niun vi pascoli, niuno li goda. Al lutto non* sembra clic fuori di comunaglie, vale a dire, fuori di termini per sé di comun diritto, tener si dovesse per necessaria una sanzione giuridica a prò di coloro, che colla loro industria e sudore si avevano in luogo legitlimamenlc tenuto procuralo que' prati. In secondo luogo oltracciò questa disposizione della sentenza ci fa conoscere altri popoli viventi a comune, assai probabilmente circonvicini ai (Jenuali ed.ai Langesi Veturii, ai quali popoli, per altra via ignoti perfettamente, si estende (pianto qui i Romani Giudici sanciscono a riguardo dei Langesi \eturii. Questi popoli erano a comune certamente, perché apparisce che avevano aneh’ essi agro pubblico. Erano circonvicini, non essendo guari probabile, che ivi fossero menzionati, se rimoviamo l’idea di contiguità, o vicinanza. Se i Minucii inoltre v’entrarono, dovevano per avventura sul luogo stesso esserne stati sollecitati dai medesimi popoli, i quali dovevan esser puranco compresi nella giurisdizione, che gli Arbitri ebbero dal Senato Romano. Ho detto sul luogo; che due soli Legati compariscono appiè' del digesto, uno dunque dei Veturii e l'altro de’ Genuati, e nessuno per gli altri quattro popoli, ai quali si estende questa disposizione della nostra sentenza. Chi potevan esser mai questi quattro popoli nella nostra moderna geografia? Abbiamo, come vedemmo , O diales, Dee hmini, Cavaturini e Mentovi ni. In quanto ai primi, Odia, ovvero Odium, sito certamente del loro foro, castello o somigliante centro civile, diè il nome, considerata la forma della latina derivazione, agli Odiali, siccome Genua lo diede ai Genuati, Langa o Lungo ai Langati, Saba o Sabum ai Sabati e va discorrendo. Imperocché presso i latini questa desinenza as, atis, come derivativa applicata a persone, suppone sempre un luogo, sia città, sia oppido, sia castello, sia vico, sia pago o qualunque simile aggregazione di abitanti, donde essi tolgano il nome patrio. Dectunium, clic forse non era castello, pago o simile, ma più probabilmente territorio, era donde toglievano il nome con diversa desinenza i Dectunrm, allo stesso modo da Cavaturium venivano i Cavaturi ni ; e da Mcntovimn i Mentovivi. Riguardo alla loro situazione, so lice con dati sì scarsi una ipotesi, inclinerei a supporre ,• che gli Odiali tenesser la parte occidentale al basso sotto i Lan-gesi Veturii. Loggio (che potea essere originalmente L'Oggio) TAVOLA DI POLCEVERA ( 478 ) è nome locale presso il braccio superiore della A erde alquanto al di là deJla Gioventina o Fossato di Langasco, poco al di qua della confluenza dell’attuale fossato di 7orbi. L hodie dei latini, diventato oggi, darebbe il come dell alterazione di pronuncia. Lago Leggio è detto nella Carta topografica dei contorni di Genova fatta incidere dal marchese Giuseppe Doria per rappresentare le posizioni degli Austro-Sardi nella famosa guerra del 1746; Lago Loeuggia con genovese pronuncia, così espressa, nella gran Carta dei Hegii Stati di Terraferma, foglio LXVII, intestato genova. Questo Oggio od Oggia, potria bene per avventura aver qualche relazione derivativa dall’ antico Odium od Odia. A riguardo dei Dectu nini non si potrebbe sinora incontrare alcun nome che sup ponga più o meno probabile derivazione da Dcctunium, o da Dectunini. Da quanto nondimeno si dovrà dire degli altri due popoli, Cavalurini e Meniovini, altra situazione meno impro habile non può assegnarsi, che il tratto a ponente, il nuae limitrofo al basso agli Odiati seguiva allato al confine occi dentale dei Langesi Veturii rigirandoli forse alcunché a tra^ montana fino al contatto dei Mentovini. Se il nonie ( Cavazzolo volesse scorgersi come bastevole, dopo tanti .eco di possibili alterazioni, a contenere gli elementi dell ant ligustico Cavaturium, avremmo con meno incerto fondamene il luogo che ricerchiamo ai Cavaturini. Quanto ai Mentovine questo vecchio nome é quello che meglio risulta. Il Monto ovvero Montogio, i Monto gini, il castello Montogino, cosi nominato ancora con vecchia formola un più recente caste ai tempi dell’annalista Giustiniani, fanno chiaro sentile antiche voci Mentovium e Mentovali. Ho detto più sopì a, spetto ai Dectunini, che quella dei Cavalierini e dei Mentoli avrebbe porto argomento per la loro geografica situazione. Se Y Oggia o V Oggio ci rappresenta i limitrofi del Iato, ( 479 ) TAVOLA DI POLCEVERA conio elicemmo , occidentale al basso negli Odiati contigui ad un tempo ai Genuati, ed ai Langesi Veturii; se i Mentovini, i popoli cioè del vasto territorio di Montobio, stanno in alto sopra i Cavaturini all'oriente confinanti coi Langesi Veturii, coi detti Cavaturini al basso e forse per qualche tratto trasverso coi Genuati; perchè si verifichi quella contiguità di tutti questi popoli, che sembra sufficientemente trasparire dal fare che tennero i Romani Giudici nella loro sentenza è d’uopo allogare i Declunini, come feci sopra, alla parte opposta dei Mentovini, sopra gli Odiali. Dopo questa indagine e discussione non sarà inutile rileggere le disposizioni inserite nel digesto in questo prezioso articolo. « I prati che mentre »> erano consoli Lucio Cecilio e Quinto Muzio (die vai quanto » l’anno corrente) furono prossimi alla segatura del fieno » nel territorio pubblico, che posseggono i Veturii Langesi, » ed in (quello) che (posseggono) gli Odiati, ed in (quello) » che (posseggono) i Dettunini, ed in (quello) che (posseg-» cjono) i Cavaturini, ed in (quello) che (posseggono) i » Mentovini , quei prati (diciamo) contro la volontà dei » Langesi (Veturii), e degli Odiali (rispettivamente), e dei » Dettunini, e dei Cavaturini, e dei Mentovini (non sien » tocchi, sicché) quel tratto (del rispettivo pubblico territorio) » ch’altri (personalmente) possederà, (tutti) se l’abbiano in » modo che, loro malgrado, nessun vi seghi, nè vi pasturi, >» nè lo goda (comechessia) ». Linea 40 in 42, sei • langveses • avt • odiates • avt • de- • CTVNINES • AVT • CAVATYRINES * AVT • MENTOVINES • MALENT • IN EO • AGRO • ALIA • PRATA • IN MITTERE • DEFENDERE • SICARE • ID • VTI • FACERE • LICEAT • DVM • NE • AMPLIOREM • MODVM • PRATORVM HABEANT * QVAM • PROXYMA • AESTATE • Il A B VER V NT • FRVCTIQVE svnt. (Si Langenses, aul Odiates, ani Dectunini, ani Cavaturini, ani Mentovini mallent in co agro alia prata immit- TAVOLA DI POLCEVERA ( 480 ) terey defendere, secare, id ut facere liceat (decernimus); dum ( modo ) non ampliorem modum. pratorum habeant, quam proxima aestate habuerunt, fructique siuit'). Diciamo in prima una cosa che si riferisce alla materiale esecuzione dell’ artefice, che incise la nostra Tavola, langveses pare scritto ove doveva essere langenses. L’incisore dopo la lettera g , credendo forse d'aver già fatta la e, si mise all’ opera per tracciare la s: accortosi dell’errore, quando non era ancora ultimata, cioè in condizione da parere un v, gli die’ sopra alcune strisciatile di bulino e passò alla e di seguito. Mancale, dopo Te, una n; sia ciò avvenuto per nuova distrazione, sia perchè non fosse in Roma dismesso ancora l’ uso di cosi anche scrivere queste derivazioni patrie; al modo cioè che vedesi nei Thermeses invece di Thermenses del Senatusconsulto relativo a questo popolo della Pisidia; come può riscontrarsi nel Thes. Insc. del Muratori al N. 582. Ora procediamo all’esame del testo. La libertà conceduta ai tenitori di quei brani prativi, che loro erano di sopra stati ratificati in godimento, di poterne permutare la situazione, mostra abbastanza di bel nuovo che siamo sul compascuo, in ispecie se pongasi ben mente al detto sopra, e se inoltre si consideri che la restrizione , che non se ne accresca il quantitativo, non ha ragione, se non se nella previdenza, che crescendo i prati, di' erano riconosciuti di godimento individuale esclusivo, non rimanesse ritagliato di troppo il territorio, ch’era di sua indole e destinazione assegnato a godimento comune. L'articolo composto del brano precedente e di questo, siccome avea già prima incluse le cinque Comunità di popoli o tribù memorate nel giudicalo, di riconoscere il godimento esclusivo dei tenitori dei prati, che alcuni possedevano sia per concessione del loro rispettivo pubblico, sia procuratisi alla buona da sé, cosi il medesima articolo nel secondo brano che discutiamo, le include qui di nuovo specificatamente in ( 481 ) TAVOLA lii POLCEVERA questa riserva. Come vedemmo, i goditori dei prati dovevano averli già avuti in essere nella siate dell'anno stesso, quando essere dovea almeno compiuto un anno di maturità; il che bastava secondo le leggi, applicate anche senza la discrezione del diritto onorario, a costituire 1’ usocapione necessaria fuori di piena proprietà del fondo. Gaio ci conservò fra gli al ! ri un brano della sesta Tavola delle Xll al nostro proposito : vsvs • Avctoritas • biennivm • ANvs • vsvs • esto (*). Farà maraviglia al lettore che fra i cinque popoli qui memorati inanelli un sesto popolo, cioè quello de’Genuati. Nulla dalla Sentenza trapela, che ce ne faccia conoscere espressamente la ragione. Contutlociò ne avventuro un’ ipotesi, che bramo sia tenuta per quel che pesa. I Genuati per le proprie speciali condizioni del sito centrale e marittimo dovevano già essersi dati ai commerci, abbandonata, segnatamente in persona propria, l’agricoltura: quindi le delle disposizioni non erano di loro interesse. f b \ (*) Venendo sott’ occhio al mio lettore filologo questa sola legge, cavala dalle XII Tavole, egli scorgerà a prima vista la prova (Jella verità di quanto io dicea nella mia Introduzione, che cioè quelle leggi dal non esserci pervenute in monumento coevo, e dall’ essersi tramandate di generazione in generazione per successive scritture , dovevano senza dubbio, tranne per la breviloquenza elegantemente espres- l siva, e per qualche voce e modo arcaico, aver subito col decorso di tanti secoli modificazioni filologicamente notabili. Chi non sente un qualche ammodernamento in questo periodo? *S’altri volesse congetturare qual dovesse essere la forma pristina ed originale, non potrebbe supporre a un sossopra se noi» clic i Decemviri scrivessero: oites •( sottintendi quei fuat) avtosia, oppure oites • avtosices • dvvanves • anvf.s • oites • esto; o se alcuno preferisse un’altra forma, eli’ io nondimeno ritengo per più tardiva : oisos avtosia od avtosicos • dwanvùs • anvos • oisos • esto. E volevano con ciò pronunciare quei legislatori essere I' usucapione riconosciuta legittima e creante diritto, in que1 tempi di continue guerre, e di terreni non ancora forse tanto largamente occupati , quando a favore dell* uso e proprietii polcvasi allegare un biennio di possesso, e quanto all’nsofrulto semplicemente, il decorso d’ anno solo. 31 TAVOLA DI POLCEVERA ( 482 ) Ancóra un osservazione, che potrebbe tenersi ormai per inutile. Aegga il lettore; quel medesimo popolo, che menzionato nel primo dei due brani esaminati, dicesi pienamente in forma binomia vitvrjes langenses, nel secondo brano, legalmente è gramatkamente correlativo al primo, si vede appellato semplicemente langenses. Ecco dunque la disposizione insomnia ivi contenuta: « Se i Langesi (Veturii), o gli Odiati, o j « Dettunini, o i Cavaturini, o i Mento vini preferissero d’ac-» conciare altri prati, tenerli in essere, e segarli in quel (ri-» spetti vo loro pubblico) territorio, (giudichiamo ) essere in » loro balia di così fare, purché non acquistino (per ciò) più « estesa quantità di praterie eh’ ci non ebbero e non godettero » nella prossima state, » che vai quanto a dire nel tempo, che sopra si nominò, della segatura del fieno (proxvma • faenisjcei). . Linea 42 in 44. vitvries • qvei • controvonsias • genvensivm OB • INIVRIAS • INDICATI • AVT • DAMNATI • SVNT • SEI ■ QVIS * IN VINCVLEIS • OB • EAS • RES • EST • EOS - OMNEIS • SOLYEI • MITTEI LEIBERIQVE • GENVENSES * VIDETVR • OPORTERE. ( 1 CtUriOS , (JUl controversiae ob injurias judicati aut damnati sunt, si quis in vinculis ob eas res est, eos omnes solui, mitti, liberar ique per Genuenses videtur oportere). Prima di discutere I’intelligenza e la portata di questo brano riesce allo scopo stesso infertenerci alquanto sulla materiale incisione e sulla filologia. La voce veitvries é preceduta sul bronzo da più notabile distanza del consueto dall’ ultimo vocabolo del brano precedente: svNT; nella quale voce ha conclusione evidente quell’ articolo. Egli è vero che mancavi il punto, che può essere una dimenticanza, ma r artefice non ebbe alcuna ragione dell’accennato distacco sul piano metallico, nel quale non v' era guasto di sorta da dover valicare: e vedremo più abbasso che il maggiore intervallo per argomento di contesto fu lasciato di volontario proposito. ( 483 ) TAVOLA DI POLCEVERA Riguardo alla parola controversias , fin (pii ella parve uno scoglio insormontabile nella sintassi del membro, ove si trova. 3\Ii parve assai strano, che nessuno abbia mai posto mente ai genitivi arcaici in as, dei quali ci rimase di comune uso presso i latini, anche posteriori, familias nei modi Pater, o Mater o Filias familias; genitivo tanto comune ai Greci e per cui abbiamo un argomento di antica parentela originale fra le due lingue classiche. Quanto all' infinito passivo rappresentato in leibeiu fu tenuto per errore d’incisione, c può essere, in luogo di leiberaiu. Nonostante, considerato che la terza coniugazione è la forma più antica dei verbi latini, e che se la perdita di monumenti ha obliterata l’esistenza altrove d’un verbo anteriore leibero, leiberis ; nel passivo lkiberor, leirereris, e neir infinito passivo leiberier, leiber&i, leiheri, tutto ne fa supporre 1’ obsoleta forma ; o almeno nulla si oppone eh’ ella in qualche tempo esistesse. Innanzi alla voce genvenses manca per ferino la proposizione per ; e perciò è d’uopo leggere per genvenses , come nella Tavola stessa si trova in altro luogo espressamente : per • genvenses • mora • non • fiat. Riduciamo ora il brano da una costruzione richiesta dalle forinole giuridiche ad una costruzione più gramaticale: Eos omnes Veturios , qui oh iniurias controversiae Gcnuensium judicati aut damnati, sunt, si quis oh cas res in vinculis est, solvi, mitti, liberarique videtur oportere. La costruzione giuridica, per nesso e continuazione di tema, aveva di sopra costretto gli Arbitri a dire QVEi • ager; qui gl’indusse a cominciare da vitvries ; giacché, come già notai , i Langesi Veturii c l’agro loro erano il tema diretto dalla Sentenza. E qui una ragione perchè questo debba unirsi al brano seguente e non al precedente. Oltracciò se noi la figurassimo unita all’anteriore, avremmo una dissonanza ; e mi spiego. L’ articolo precedente avea sancito che se i Langesi (sei langenses) come pure tulli gli altri popoli ivi TAVOLA DI POLCEVERA ( 48 ì ) nominati, amassero procurarsi altri prati, fossero licenziati a Luto, >aho la clausola di non accrescerne la quantità, che già avevano e godevano nella prossima passata state. Lmgese e tfw/jo son lo stesso. Dunque verremmo a questo periodo: * Langesi con quel che segue fino alle parole che ebbero e godettero % Langesi. Ciò non par che vada bene. D’altra pai te le condizioni più o meno varie, la quantità più o meno diversa deir agro pubblico rispettivo di quei popoli nominati, escludono , a me sembra, ogni parità con quello dei Veturii Langesi. La sola parità, che sivede chiaramente, sta nell’ a-vere gli Arbitri per eguale maniera a tutti quei popoli, come sopra si é detto, ratificato V usucapione dei prati, e qui concessone altri in pura sostituzione di quelli. E ciò resta pronunciato coir enumerazione di quei popoli nelle stesse disposizioni della Sentenza. Se v’ha in tutta questa Sentenza alcunché, donde potrebbe desumersi qualche argomento di una preeminenza di Genova sopra i Langesi Veturii, sarebbe unicamente in questo tratto. Usciti gli Arbitri del civile entrano un poco nel criminale, as- -solvendo, cosi almeno sembra a chi parte dal concetto ordinario, ch’or abbiamo, del gius internazionale, e mandando liberarsi dai Genovesi i prigioni, o tutto?'a sotto giudizio, o già condannati, dal carcere, se ve ri erano. Quando nulladi-meno noi ci troviamo in difetto onninamente di altro menomo dato, che insinui positivamente la credenza di quel fatto, che quinci tennesi di poter dedurre; quando questo avvenimento di prigionieri fatti dai Genuati sul popolo che mano armata, come pare, resistette alle contrarie loro pretese sul luogo, per cui il popolo più numeroso e più forte potesse ghermire alcuni nemici, e strascinatili seco li sottomettesse al giudizio dei suoi magistrati ed a condanna; quando, io ripeto , tutto -ha una spiegazione naturalissima pei tempi che correvano non certe ( 485 ) TAVOLA DJ POLCEVERA guari civili., non posso adagiarmi alla detta supposizione. Tanto più che i prigionieri dovevano essere, se ce n'erano, tanto pochi, che gli Arbitri malgrado la presenza in Roma dei Legali Veturio e Gerivate, onde potevano ricavare precise notizie, ne parlano come di fatto puramente probabile, che varrebbe, secondo me, nei Genuati operazione non legale, ma piuttosto tumultuaria. Se staio fosse altrimenti, i Minucii, eh’erano stati sul luogo ed avevano preso certamente ogni cognizione del caso, avrebbero lasciato qualche cosa di più formale nella loro Sentenza, mentre invece si contentano appena dopo 1’ intera ragione fatta nella causa ai Langesi Veturii, di cosi concludere: « Tutti quei (ljin-» gesi) Veturii, i quali per li torti (quali erano o quali si tennero dai lesi, occasionali dal bollore) della controversia , si trovano »> sottoposti a giudizio od a condanna , se alcun (di loro) » per queste ragioni è sostenuto in carcere, (egli)' è chiaro » doversi dai Genovesi disciogliere, dimettere e liberare ». Ed in questa agglomerazione di verbi tanto, recisi ed insistenti si sente, che ciò vien comandalo a farsi quanto prima, e non già come io medesimo credeva e dissi nella prima pubblicazione degli Studi sulla l'avola di •Porcevera. Mi parve allora che a questo periodo unirsi dovesse quello che seguita : ante EiDvs • sextilis • primas; il quale inciso, meglio ora considerata la cosa, debbo rimettere alr altro articolo, che conclude finalmente la Sentenza minuciana. Linea 44 in 45. ante • eidvs • sextilis • primas • sei • qvoi . DE • EA • RE • INIQVOM • VIDEBITVR • ESSE • AD • NOS • ADEANT • PRIMO • QVOQVE • DIE • ET • AB • OMNIBVS • CONTROVERSIS • IT • HONO • publ • li. (Ante idus sextiles primas, si cui de ea re iniquum videbitur esse, ad nos adeant primo quoque die; et ab omnibus controversiis iterum honore publico liberabuntur). Osservi il lettore, che io punteggiai il testo come credo che avrebbe dovuto fare l’artefice usando la debila diligenza; e TAVOLA DI POLCEVERA ( 48() ) se altrove nel riferire in capo alle mie note i successivi brani, avendo lalto comunemente lo slesso, non ne diedi esplicito avviso, si lu, perché non ve n’era speciale bisogno, come in questo brano, ove debbesi tener conto d’ogni apice. Ad ogni modo e per questo tratto, e per qualunque altro bastava aver alle mani, come si ha qui, e poter consultare la mia precisa rappresentazione di quanto e come si trova nel bronzo, ed oltracciò colla giunta delle rispettive mie note che seguono successivamente ai proprii luoghi nel decorso di queste Ossercaziohi. Ciò premesso per ogni buon fine in via di buona fede che non deve mai patire ecclisse nei ricercatori del vero, cominciamo dal notare un punto importantissimo, che riguarda la materiale incisione. Quell’ it • uoxo • purl • li così scritto sul bronzo fu occasione di grandi imbrogli, e perchè 1’it fu letto et, e perché la novità delle sigle mise stranamente in falso i precedenti illustratori. Che debbasi leggere it lo dice abbastanza il bronzo agli occhi dell’osservatore archeologo. Imperocché, se un colpo di bulino al lato della i verso il t, se la linea orizzontale del t unita all’i, come suol avvenire assai spesso in simili incontri di lettere, ove dovea vedersi la distrazione dell’artefice, potevano mettere in forse qual carattere fosse mai rappresentalo in quel silo veduto alla grossa, ina s'altri consideri, che. se là doveva essere una e, l'incisore I’ avrebbe compiuta; se consideri inoltre, clic leggendosi et in quel contesto, ne va la grammatica, come poi si vedrà: si fa certo, che gli Arbitri vi scrissero nettamente la sigla, in altri documenti comunissima, di iTERVM. Egli è cosa ben singolare, che dove gli antichi poi ovvia cognizione delle formolo usitatissime non si prendevano troppa briga della compitezza delle sigle, che le rappresentavano, lasciarono ai posteri la fatica di rintracciarne il significato, dopo interrottane la tradizione. Quanti studi su questo argomento dal Manuzio, dall’Orsalo fino ai nostri giorni ! Eppure ( 487 ) TAN OLA DI POLCi: v KB A abbiamo qui ancora una forinola in sigle, rlie non era per anco dilucidala. Veruno scrittore, verun monumento, ch'io mi sappia, lia nulla di somigliante. E non è maraviglia; giacché di questo genere il nostro bronzo è assolutamente unico. D’ altra parte troppo si è perduto di scritti antichi di romana giurisprudenza; ove potrebbonsi certo cavare positivi argomenti all’ uopo nostro. Dalla rimola legislazione delle XII Tavole fino ai tempi della Sentenza minuciana quante modificazioni nell’ esercizio della giurisdizione e nelle forinole non avvennero mai nel reggimento di quel popolo, che sopra ogni altro del mondo seppe unico scolpire le leggi, e creare-la giurisprudenza! Ciò sia detto per antivenire un dubbio, che facilmente nasce a chi conoscendo, anche profondamente, una disciplina morale, quasi per istinto si lien forte alle cognizioni della scienza al pieno suo sviluppo ed ordine, non badando alle modificazioni sopravvenute per arrivare essa al suo complemento. Dopo questa non inutile digressione entriamo parcamente all’ esame del testo surriferito. Dissi già che l’inciso ante • eidys • sextilis • primas, dee appartenere a questo articolo, perchè il precedente è compiuto; e l’ordine di porre in libertà i prigioni era di rilascio immediato. In tutta la Sentenza, bene esaminata e bene intesa, non v’ha motto, onde possa immaginarsi per parlo dei due Comuni litiganti alcuno appello a Roma. La causa evidentemente vi fu portata in prima ed unica istanza, perchè di competenza suprema. Altrimenti qui n'eia luogo di un cenno. Quella Sentenza adunque mista ili autorità di giurisdizione e d’impero doveva essere eseguita immediatamente. L appunto perchè colale, la romana equità volle includervi questo articolo, che, salvo il disposto relativo alla causa pubblica, gl’individui poi clic ne patissero per incidenza detrimento nei loro speciali diritti, lasciasse in integro di far valere utilmente le loro ragioni. E qui non v è appello di soi la, che TAVOLA DI DOLCEVEMA ( 488 ) come tale non sarebbe potuto radere, se non cha sulla Sentenza dWla causa pubblica; non v’ è appello, perebè son essi stessi gli Arbitri, che concedono ai lesi nuova udienza per conoscere e giudicare delle loro cause private. E -ciò indica inoltre, che qui Ira noi non era un giusdicente di rilevanza tale da avere o di abituale competenza o potesse avere per delegazione 1’ uffìzio da ciò. Ma a questi ricorsi, cui gli Arbitri invitano i gravali sopraddetti, bisognava un termine perentorio; fu posto a sette mesi, cioè fino al 1.° dell’agosto prossimo; entro il quale intervallo, trascorsa eziandio la stagione incomoda per viaggiare , segnatamente a que’ tempi, a Roma, avevano il tempo sufficiente per condursi colà, provvedendosi intanto di buone prove. I Legati delle due parti erano procuratori della causa pubblica senza mandalo per avventura ulteriore, e certo senza le necessarie cognizioni universali sui fatti individuali. Chi supponesse, che i medesimi od avvisassero i Giudici stessi, o sollecitassero comechessia questa equissima .disposizione, penserebbe cosa non certo improbabile. Un altro argomento, che la riserva dei diritti espressa in questo articolo era a favore d’individui, apparisce dalle parole attentamente considerate della formola, die essendo pubblicata alla presenza dei Legali non può riferirsi a loro, ma dee per fermo riguardare altre persone ed assenti, SEI QVOI (si cui) DE • EA • RE • INIQVOM VIDEBITVR ESSE. Ciò significa patentemente: «Se, in occasione (di questa conclu-» siane) di quella causa, ad alcuno* avervi paresse dell' ingiusto » (a suo riguardo), si presentino (quanti fossero in questo » caso) a noi (ad • nos • adeant) quanto prima (primo* » qvoqve • die) », ma entro il termine fatto buono, innanzi cioè al primo di agosto; passalo il quale scade ogni diritto di riclamo, ed ogni fatto passerà in giudicato. Potrebbe forse alcuno obiettarmi : quella formola ( ea • de • re ) si riferisce ella a tutta la causa, o non piuttosto all’articolo precedente sui ( 489 ) TAVOLA PI POLCEVERA prigioni da liberarsi? Toccammo già sul principio delle presenti Notazioni, che negli alti giuridici la voce res specialmente nel singolare, se il contesto non la determina in modo chiaro altrimenti , vale puramente causa o in processo o sentenziala. Varrone nel G Ling. Lut. 5, nota: in actionibus videmus dia, quam rem , si ve litem. È formola comune : res jvdtcata. Ulpiano* f)i(j. 45, 29, 3. Diferri oportere rem in tempus ecc. Nella legge Antonia, di cui esiste il bronzo originale, leggiamo: QVOS • THERMESES • MAIORES • PISIDAE • LEIBEROS • SEBVOSQN L HELLO •' MITRÏDAT1S * AMEISERVNT * MAGISTRATVS * PR^ (Ujlie > MAGISTRATV • QYOIA • DE • EA • RE * IVRIS • D1CTIO • Qvf °flue ) DE • EA • RE * IN • IOVS • ADITVM • ERIT '• ITA • DE • EA • RE ÌOVS • DICVNTO.....VTEI • Wy ì). EOS • RECVPERARE • POSSINT. Anzi nelle stesse XII Tavole trovasi: rei • sive • stlitis • arbitros. E se questo articolo, che qui esaminiamo, avesse relazione al precedente,’ sarebbono insieme un articolo solo, e la forinola saria stata de ìiac re, non de * ea • re, la quale seconda formola, dovendo alludere a causa i cui elementi sono in distanza, sta bene nell’indole della lingua.latina, ma non istarebbe cosi, se alludesse a cosa immediatamente vicina, com eia qui la disposizione sopra i possibili prigionieri. Ma è tempo ormai di procedere al rimanente di questo ft -condo.articolo della nostra Sentenza. Detto adunque, che qualunque mai si trovasse leso nei proprii diritti aveva facolu di riclamare in Roma presso gli Arbitri medesimi, puicliè ciò fosse eseguilo dentro l’assegnalo limite di tempo, continuano: ET • AB • OMNIBVS * CONTROVERSIS • IT * HONO • PM1L * LI, clic è quanlo dire, che da loro saranno con nuovo giudizio composte lutte le controversie, che saranno deferite al loio liibunale. Qui tutto va piano e regolare. Sostituite invece all’ it un et ; ed io non intendo come possa uscir senso accettabile dall’accozzamento delle voci. Il lodalo Serra ci saia 1 esempio del TAVOLA DI POLCEVERA ( 490 ) l’infelice travaglio durato per faine uscire una qualche cosa. Egli adunque premésso, che alcuni omettono la sigla li, prosegue: « Ma ella è necessaria all’ intelligenza di quel passo, e » mirabilmente conferma quanto i Romani magistrati fosser » lontani dall’orgoglio e dall' indolenz.i di quelle piccole podestà, » che pretendono infallibili e quasi divine le loro Sentenze». Comesi vede l’autore annulla il necessario diritto delle supreme competenze, clic senza pretenderlo esse, debbon essere tenute come se fossero infallibili ; e non ammettere una instabilità giudiziaria sul fondo radicale delle sentenze, clic nessuna giurisprudenza può supporre, senza che intervenga una rcstitnlio in integrum d’un legislatore. Continua poi il Serra: «Per agevolare i ri-» chiami dii loro giudizio, i fratelli Minucii concederono ai » Ricorrenti nel termine di otto mesi;, una generosa esenzione » dall’osservanza delle citazioni forensi, o dall’esercizio dei » magistrali municipali ». Potendo chicchessia far valere presso un tribunale le sue ragioni per mezzo di delegazione o procura, onde ottiene d’essere legittimamente rappresentato, non v’ era caso della supposta dispensa dal comparire a citazioni forensi, che altri potessero avere in corso, e dall’ esercizio di magistrati; dispensa che non parrebbe d’ altra parte fra le attribuzioni autorevoli, che potessero avere gli Arbitri delegati. E senza ciò, vedete imbroglio di senso in lutto questo articolo. Fatta facoltà dagli Arbitri a chiunque avesse ragioni individuali da far valere, il senso naturale porta la promessa di conoscerne e giudicarne; adeant • •• • et • ab • omnibvs • controversis.....lì (herahurtlur): «Si presentino, cioè, e sarà loro fatta ragione». Quanto al verbo libero in questo luogo, egli è di formola. Nella legge Papia abbiamo : liberabitvr operarv vi obligatione. Cicerone negli Officii: Jure praetorio liberantur. L poi in un giudice che ilice: sarete da me liberato dalle controversie, dice insomma che, presane cognizione e giudicatone, le dirimerà. ♦ ( 491 ) TAVOLA DI POLCEVERA Quindi c ovvio il senso, che intervenuto nell» causa un giudizio, se v era da ritornarvi soli’altro aspetto, era d’uopo che intervenisse un nuovo giudizio; ed eccolo espresso nelle parole n(erum) hono(jy^ pmu(co). Ora mi si potrà domandare, perchè mai il promesso giudizio è egli espresso con formola inaudita presso i giureconsulti, e nei superstiti monumenti? Dissi già quali immense perdite abbiamo fatte di questo genere documenti. Dobbiamo adunque, egli è vero, confessare 1’ unicità delle sigle di questa formola; ma la filologia ci aiuta polente-mente a dichiararla; ed a crescer così questa nuova scoperta alla numerosa serie delle sigle romane già interpretate. Non mi è qui necessario d’ entrare largamente nell’ origine e nelle fasi, e nello svolgimento del Diritto Romano. Mi bastano pochi cenni per compiere la mia dimostrazione. Ognun sa che i Magistrati romani erano chiamati Honore*, specialmente nei tempi più vetusti. Tito Livio, che nell’uso delle frasi e dei vocaboli tanto graziosamente arcaizza, dice (L. IV, II) di T. Quinzio Capitolino: Quinque Consulatus, eodem tenore gesti, vitaque oinnis consulariter acta, verendum pene ipsum magis, quam honorem faciebant. Cornelio fin Ati.): Ilouores non petiit. Cicerone (in Verr.J: Mihi honorem illum....... datum. Cornelio (m Cat.J: Honoribus operam dare. Ma a che sto io tessendo una filatessa di esempi? Del significato primitivo di honos ne son gremiti gli scrittori. Il lustro che venne a significare in seguito non è che uno dei soliti traslati di cui sono piene le lingue. Quindi honos, maggiorente ; honos lustro qual si attribuisce alle persone locale in autorità ; honos, allo solenne del- I autorità; iionos, rispetto, riverenza alla persona, alla cosa, che ha in sò onore, pregio, sia in senso proprio, sia in senso comunque traslato. Roma aveva Magistrali (honores) propriamente detti, ed erano dapprima scelti dall’ordine dei Patrizii, ed allora erano tulli, come dicevansi, cvruh; aveva degli uflì- TAVOLA DI POLCEVERA ( 492 ) ciaii d’ordine inferiore, come suol avvenire degli ordinamenti dei Regni e delle Repubbliche. Quanto all* autorità di giurisdizione , salve alcune supreme attribuzioni riservate al Senato, il Magistrato ordinario a ciò era il Pretore, Io straordinario chi, già sicuramente in alta condizione, dall’Autorità suprema ne aveva speciale delegazione. Honores dunque i detti Magistrati, honores gli atti loro, le loro udienze, i loro giudizii. E prima che la lingua latina assumesse P aggettivo in arius, e per processo di lingua che va arricchendosi, passando all'uso dell’aggettivo, che forse era honoricus, vennero le formolo actus honoricus, res o causa honorica. Allorché poi la Giurisprudenza, si equa e si fiorente in Roma, rammollì Io strictum jics delle XII Tavole, e delle precedenti Leggi regie, che la consuetudine conservava in qualche vigore, divennero necessarie delle novelle norme di giudizii ; s’ebber quinci gli Editti dei Pretori, per cui divenne pressoché sinonimo nelle cose civili jus praetorium e jus honorarium, o forse dapprima jus honoricum; perchè derivato dalle norme pubblicate da quell’ llonor o Magistrato. Da tutte queste disamine discende per un sodo filologo il vero significato dell’ it(erum) hono(re) publ(i’co) ufbera-buritur); cioè che con atto solenne saranno di nuovo discusse ed appianate tutte le controversie, sulle quali si fa buono il nuovo ricorso agli Arbitri.' Debbo ancora, prima di concludere questa nota, su questo brano osservare come ne uscisse il iMommsen; giacché, trattandosi di un luminare della latina archeologia, potrebbe, se alcuno lo consultasse, ciò non riesci re a buon servigio per quello studioso del nostro monumento. Egli segue sossopra la scrittura del Ritschl, confessa ivi trovarsi confusione, che vorrebbe, secondo lui, indicare mandalo di astenersi da qualunque controversia. Egli sarebbe desiderabile, che il Ritschl ed il Mommsen avesse? potuto esaminare cogli occhi, proprii, e non avremmo (io ne sono al tutto cerio) la % ( 493') TAVOLA DI POLCEVERA lettura: controvorsisi • thonopubl, quale si trova in autori di tanta diligenza ed autorità; e non avremmo nemmeno nell’isografo del Ritschl, nella linea stessa, in luogo di die lo strano vocabolo bie. Linea 40 ed ultima, leg • moc • ometicam • ometiconi • f • plavcvs • PELiANi • Pelioni • f. (Legati Moco Ometicani Ome-tifoni filius, Plaucus Peliani Pelioni filius). Fino alla pubblicazione de’ miei Studi sulla nostra Tavola fu sempre da tulli gli editori ed illustratori del medesimo monumento (lasciata da parie la strana Legge Moconia, che videvi Agostino Giustiniani) letta la prima parte di questa linea: leg • moco • ME'UCAÿio • METicoNi •• f. Così ed anche peggio leggono pure i due illustri sopraccitati archeologi, per essere stati assai mal serviti da coloro, ai quali raccomandarono 1’ oculare esame del nostro br-onzo. 11 Ritschl ha nel suo lodalo isografo: leg • mogo • METicANio • meticoni • f ; e nel resto della linea bene ; il Mommsen la riferisce tutta così: « Leg(ati) Mogo • Melicanio • » Meliconi • f(ilius), Plaucus Peliani(o) Pelioni f(ilius) ». Tutto 1’ errore ebbe origine da un guasto sul piano del bronzo dopo l o di ometicani (I), ed insieme dalla piccolezza, ma (I) Quando usci alla luce la mia precederne illuslrazione preliminare sul noslro monumento, fra i varii annunzii di giornali, nei quali si volle corlesemenle far cenno del mio lavoro, ve n’ebbe uno, di cui debbo ora alquanto occuparmi (Coir. Mereant. N.0 , 1864 ). L’egregio scrittore di queir Appendice, N. C. Garoni, che mostra grandissimo amore a questo genere di studi, dopo avermi trattalo con molla gentilezza pel complesso di quel mio scritto, dopo aver convenuto meco dell’esattezza de’ miei nuovi rilievi, nell’interesse defli studi (e questo scopo è sacrosanto, e di pien diritto) credette bene di esporre alcune sue osserva/ioni su due luoghi, dei quali uno appunto è questo ometicani, e l altro è la formola giudiziaria ov' entra il verbo videtur. A questa seconda notazione di lui parmi d avere pienamente soddisfallo nel decorso delle mie Osservaziotu, laddove io esaminai quelle frasi al loro posto. Quanto allo slacco del primo 0 del nome Ovuetir cnìiij egli vorrebbe vederci un fare troppo moderno, vale >i dire quel che si usa nei nomi (così li cita egli stesso) O-Connor, O-Counol, O-Donnel. Ld n\ea pre- TAVOLA DI POLCEVEHA ( 494 ) bastantemente visibile, del punto che trovasi dopo la lettera c del nome moc. Quell’incavatura tondeggiante, che pare un punto sgarbato, bene esaminato non è certamente opera di bulino: eppure fu presa per un punto. Non si badò in seguilo al punto dopo l'i di OMETicANi, perchè, veduto l’altro nome peliant, pelioni, si volle trovarvi per un altro verso, ma non vero, una analogia con meticanio meticoni; lasciandovi con tutto ciò quell’o finale del primo nome, perchè l’evidenza vietava disfarsene, e che al Mommsen, per pura coerenza deduttiva, nel secondo nome fece leggere, come se dovesse trovarcisi, peliamo. Ora, come scorge il lettore, rilevala solidamente la vera scrittura che fu incisa sul bronzo, otteniamo perfettamente cjuel-I’analogia di derivazione dei due nomi, onde si cognominavano messo, dio nelle antiche favelle celtiche le vocali 0 ed A prefisse ai nomi proprii non sono parte di essi, ma formano gli articoli il, lo, la. Delibo con tulio il rispetto, che mi piace usalo alle persone o benemerite o di buon volere in queste discussioni confessare, ch’io non credo questo assioma, giacche non è aucora provalo, che il celtico avesse articoli propriamente detti. Vediamo in fatti com’egli esemplifica il suo assunto: onde O-cciduus, il cadente, il basso; 0-vada, il guado, il padule; O-porto, it. porto; A-megio, it. Amegtio, la maremma; A-nao e 0-neula, O-negia, it. Oneglia, il seno, tl golfo. Lascio slare le ultime quattro voci, che avrebbono esse stesse bisogno d’essere discusse ed esemplificale; quanto all’ Occiduus, equivalente di Obciduus dei Ialini, non ha clic fare con articoli celtici, se fossero mai esistili; V Ovada non è che alterazione assai rispettivamente moderna di Vada, dal Ialino Vada; infatti or dicesi volgarmente Guà per l’uso eufemico di aggiungere la lettera G alle voci cominciami in ua, come vediamo in Gualberto da Walpert, in guai, da vae, e somiglianti. Il nome poi Oporto è troppo nuovo. E giacché toccammo sul merito di qucslV, of clic si trova in lesta a cognomi irlandesi ed altri, dirò che io non credo, clic sia articolo nominativo, ma genitivo; quindi in 0'Connor non veggo, come il signor Caroni, quella significazione di il signore, o capo dei Connor, ma semplicemente di o de Connor, sottintesovi un filoio, come Conte, Duca o simile, e ne saria l'intero Lari, ovvero l)ul;e of Connor. Così, ben'inteso, in origine; che nel seguito sarà avvenuto, come fra noi del de, il quale, indicando originalmente nobiltà feudale, venne come segno ili nobiltà qualunque aflisso a nomi clic nulla avevano ni* di feudale, nò di nobile. ( 'j 0"» ) TAVOLA 1>I POLCEVERA i Legati. U genere di appellazione quivi usalo viene al lullo nuovo, nè vi si rinviene in antico scrittore o monumento, per quanto io n’ abbia fallo lunghissime ricerche, alcuna corrispondenza nè vicina, nè lonlana. Pria di tentarne un qualche esame, dirò clic il primo prenome rimasto, abbreviato in moc, doveva essere inciso intero moco, come intero è plàvcvs. L’ incisore forse non incise l’o, perchè valicato il guasto notabile, avendo già inciso l’o che doveva esser finale di moco, com’era nella nostra supposizione sulla cera originale, continuò sbadatamente come se quell’ o fosse stalo il principio ili ometicàni. Egli è vero che trovasi nelle iscrizioni galliche Moc eus, ma moco sa più di ligustico, giacche nel territorio della Parrocchia di S. Cipriano esiste una regione della forse con guasto di pronuncia , assm facile ad avvenire, Maccortesi ; e Mocònesi, lruv:o, trovasi tuttora nel Vicarialo ecclesiastico di Cicagna. Queste forme aggi l-tivali derivative, a proposito di Moconesi, di cui è pieno il nostro territorio con varia desinenza, secondochè avevano soltin leso un sostantivo singolare o plurale, di queslo geneie o di quello, ci daranno un qualche lume per indagale la iasione nei nomi ligustici dei nostri Legati. Abbiamo, ie Montatesi, latine si, i quali o erano Moco,dei (sottinteso agri, campiJ, Celaniei, Polemici, Montanici, o come credo più probabile, almeno per alcuni, in femminile pini ale, cioè a dii e [C nicae (sottinteso una voce, come lemie o sume). te o probabile questa seconda forma, dacché vedo, che gli antichi plurali femminili caddero finalmente in / nella pronuncia voi- TAVOLA DI POLCEVERA ( 496 ) gare, come, per un esempio, Aquae (Statiellae) divenne Acqui. Questa forma aggettiva si vede nella radice di ometicam e di ometiconi. Un luogo, che la implicita forma aggettiva fa supporre nominalo Ometica, od Omelicae, scancellalo dopo tanti secoli, era (badi il lettore, che io non assevero, ma congetturo) la patria o la derivazione del primo dei Legati di prenome Mocone. Ometiconi deve notarne il padre con forma egualmente aggettiva d’altra specie. Chi ha esaminalo profondamente la Ialina filologia si è accorto che Cicero, Calo, Scipio e tanti altri cognomi della medesima declinazione sono aggettivi in radice. Non conosciamo per fermo i costumi sulle nomenclature dei nostri rimoti antenati liguri, onde avremmo alcuna luce diretta; ma chi sospettasse, che allora usassero di accennar le persone per soprannome, e desse cosi nel segno, acconcerebbe le ragioni di queste segnature. La prima adunque sarebbe Mocone di Ometica, figliuolo all' Ometicone, figliuolo del tale, che volgarmente è detto quello di Ometica; mentre il padre chiamandosi per avventura (cosa non infrequente nella stori a) col nome stesso di Mocone, come un fallo inteso dalla comune consuetudine, ne (ornava pienamente qualificato ai contemporanei. Quadra la stessa teorica all’altro nome, comechè invece di Pelicani, Peliconi siavi di meno la lettera c. Vi apparisce già in uso la seconda fase dell’aggettivazione che nacque da sincope. Quindi al punto di vista di queste congetture il secondo legato, che doveva essere il Genuate, nom ina vasi Plauco di Pelica, o Pelia, figliuolo al cosi detto Pelione, o a quel da Pelia. Rileverà certo il lettore, memore del nome di un borgo, all’occaso di Genova, non guari distante, l’affinità, dirò meglio, la medesimezza con questa radice, che ridotta ad indicare un territorio, diventò Pelimi, oggi Pegli; e che nella sua anteriore desinenza Pclum senlesi andar di paro con Manicelum, Velum (primitivo di Velia), Ocelum, Vercelum, Siali dum, In lem cium , Maselum * . .. • • * *>, • * ' • . . ( 407 ) TAVOLA HI POI CEVKHA ? ~ — "• ---- • (primitivo di Manilia) o così di seguito. Torniamo al nome dei- Legati. Quell’ oueticani, e quel beli-ani in grana ài ira a qual caso devonsi attribuire? Credo al nomi nativo • di forma antica, con desinenza fors ance più o meno ligustica. Il Ritschl ha scoperta una vetusta declinazione, su cui scrisse una dilucidazione , eli’ io potei leggere nella insigne Biblioteca Brignole Sale colle altre di quell' egregio Alemanno. Eccone un saggio : noni. Cornelis o Corneli; gen. Corneli; dat. Corneli; acc. Cornei tm od anche Corneli ecc. Al romano incisore non erano ignote sicuramente queste desinenze, quindi, se la forma fosse stata anche ligustica, le avrebbe ammesse con maggiore facilità. E qui sia fine alle Osservazioni e Noie, colle quali io mi ingegnai di seguire passo passo il testo del nostro preziosissimo monumento. Quel mio antico disegno di conveniente illustrazione quadripartita, riferito nell’Epistola preliminare allo scritto presente, attesa 1* attuale destinazione di questo-lavoro, eli’or dovea riunirsi cogli eruditi studi dei miei Colleglli, aveva ad essere necessariamente modificato. Ma io qui nonostante non vo’ lasciare alcuna cosa di quello, ch’io prometteva.-Come si vede, rivolsi fin qui tutte le mie Note a disvolgere, secondo ogni relazione, quanto costituisce il contèsto .della Tavola; relazioni filologiche, giuridiche, storiche, topografiche.; tutto a pohie soli occhio la portala. Si fu dunque il mio intendimento di illuminarne, secondo mi fosse dato,- l’-intelligenza, dopo averne ottenuta la massima esattezza della’lezione, della sintassi, e del cavarne le sicure, o almeno più probabili, significazioni ; senza che questa nuova fatica, ch’io dovetti eseguire in assai breve intervallo di tempo, 'esca contultociò dal mio primitivo e fondamentale scopo di rilevare-cioè dallo stesso documento tulli i dati, che potessero costituire la norma, e quasi dissi, la pietra di paragone per rintracciarne a priori ed accertarne 1 applicazione topografica. Se -il -mio compito non sarà colonato di buon esito, TAVOLA DI POLCEVERA ( 498 ) valgami la buona volontà, e 1’ essermi fallo di nuovo occasione d’ ulteriori studi allo scopo, che pur finalmente esca una qualche luce da un monumento, che da più di Ire secoli e mezzu aspettava ancora chi ne desse la buona lettura, e chi s’industriasse a promuovere gli studi per la sua vera intelligenza. Non a caso, nè per leggera vanteria accennai di sopra la brevità del tempo di cui potei disporre per questo scritto; egli è perchè mi serva di scusa dinanzi al mio dotto lettore, se non trovasse ch’abbia fatto abbastanza. Per zelo di far qualche cosa nella illustre Società, che sì bene promuove ed esercita ogni cura e studio per illustrare le cose nostre, io mi sobbarcai. Confesso il vero, non ci voleva certo di meno per indurmi in sanità non vigorosa a scrivere incalzalo dalla stampa del \o-lume III degli Atti del nostro Istituto, che doveva uscire quanto prima alla luce. Ora dopo che avremo ripubblicata qui imme-dialamenle la Riduzione del testo della Tavola nel comune latino e comune lessigrafia, con quelle aggiunte esplicative, che credetti opportune, e quindi il Volgarizzamento: 1’una e l’altro ritoccati, ed inoltre divisi a paragrafi coi rispettivi argomenti, per insinuarne sempre meglio l’intelligenza ; verremo alla conclusione di questa mia parte ripigliando alcune considerazioni, dando un cenno della topografica applicazione che pare più in armonia cogli elementi sopra discussi; ed eseguiremo, con dar qui eziandio alcune discussioni sulle remotissime nostre antichità, la quarta partizione dell’ amico disegno. sul/a controversia tra’ Genuati e i Langesi Veturii ridotta alle condizioni ortografiche comuni, in cui si compiono le sigle, e si supplisce guanto può meglio (j ramati calment e chiarirla in carattere capillare. Nota. / numeri segnano gli a capo d'ogni linea dell' originale. Sententiae prooemium. ' Quintus et Marcus fratres Minucii Ouinti Filii cognomine Rufi pro Romana Republica iadiess arbitri, de conlroversiis inter15 Genua-tes et Langenses Yeturios, in re praesenti cognoverunt; et coram, inter eos controversias composuerunt: 3 e( qua lege Langenses Veturii agrum possiderent, et qua fines fierent dixerunt. Eos fines facere terminosque statui j usserunt. 4 Uhi, mensore partibusque praesentibus, ea facta essent, Romam coram venire jusserunt. Romae aut&m coram sententia m ipsi arbitri ex senatusconsulto dixerunt idibus decembribus, Lucio Caecilio Quinti Filio et Quinto Mucio Quinti Filio Consulibus (an. 037 Urbis conditae). I. Agri pnvali Langensiwn Veluriorum definitio. Qua lege ager privatus Castelli Veturiorum Langensiura esi: .quem agrum eos vendere heredem que 0 sequi licet; is ager vectigalis non sit. . II. . Agri privati L(tn g ensium Veturiorum fines facti, statutique termini. Langatium Veturiorum* fines agri privati ii sunt: a rivo infimo, qui oritur a fonte in territorio Majiicelo,. usque ad fluvium 7 Edem; ibi terminus stat. Inde lecto fluvio sursum versum, usque in fluvium Lemurim; inde lecto fluvio Lemuri sursum, usque ad rivum Coniberaneam ; 8 inde, lecto rivo Comberanea sursum, usque ad convallem Caep-tiemam; ibi termini duo stant hinc inde circum viam Postumiam. Ex. eis terminis, peragrata recta 9 regione, usque in rivum -Vendupalem ; a rivo Vendupali usque in fluvium Neviascam ; inde deorsum tecto fluvio Neviasca, usque in fluvium Procoberam; inde, 1(1 tecto fluvio Procobera, deorsum usque ad rivum Yinelascam infimum; ibi terminus sta(. Inde sursum continuato rivo Vinelasca : 11 ibi terminus sia t propter viam Postumiam. Inde alter trans viam Postumiam terminus stat. Ex eo termino qui stat 12 trans viam Postumiam, peragrata rccta regione, usque in fontem,-in territorium Manicelum; inde deorsum lecto rivo, qui oritur a Ionie in territorio Manicclo, .n usque ad terminum, qui stat «ni fluvium Edem. r ' . V 111. Agri publia Langensi uni Yeturiorum fines reguntur. Agri publici’ quod Vsturii Langenses possident, hi lines videntur esse. Ubi confluuntf.4 Edes et Porcobera ; ibi terminus stat. Inde, lecto Ede fluvio sursumversum, usque in montem Lemuriiium infimum ; ibi terminus 15 stat. Inde sursumversum continuato jugo recto in monte Lemurino; il>i terminus stat. Inde sursum, continuato jugo recto Lemurino; ibi terminus 16 stat in monte Procavo. Inde sursum, continuato jugo recto, usque in montem Lcmurinum summum ; ibi terminus stat. Inde sursum, continuato jugo *' recto, usque in Castellum, qui vocitatus est Alianus; ibi terminus stat. Inde sursum, continuato jugo reclo/usque in montem Inventionem; ibi terminus i8 stat. Inde .sursum, continuato jugo recto, usque'in montem Apenninum, qui vocatur Boplo; ibi terminus stat: Inde continuato Apennino (*), jugo recto, ,!' usque in montem Tuledonem; ibi terminus stat. lude deorsum, continuato jugo recto, usque in fluvium Veraglascam, et usque in mòntem Berigiemam 20 infimum ; ibi terminus stat. Inde sursum, continuato jugo recto, usque in montem (*) Il lesto qui ha: inde • apeninvm • ivgo • recto; quindi s’altri volesse in luogo di continualo apennino, leggere per apenmnvm, starebbe egualmente bene e m i senso e nell1 indole della lingua. TAVOLA DI POLCEVERA ( 502 ) Prenicum; ibi terminus stat. Inde deorsum, continualo jugo recto, usque in 21 fluvium Tulelascam; ibi terminus stat. Inde sursum, continuato jugo recto Blusliemelo, usque in montem Claxelum; ibi terminus stat. 22 Inde deorsum, usque in fontem Lebriemelum; ibi terminus stat. Inde, continuato recto rivo Eniseca, usque in fluvium Porcoberam; ibi terminus stat. 23 Inde deorsum, usque in fluvium Porcoberam eo loci, ubi confluunt fluvii Ecles et Poreobera; ibi terminus stat. IV. De eodem agro judicii formula. Quem agrum publicum 2i judicamus esse. Eum agnini Castellanos Langenses Veturips possidere fruique videtur oportere. V. Agro Veturii Langenses ad judicat ione aneti judicatione vectigalem pecuniam dent Genualibus. Pro eo agro vectigal Langenses 2:> Veturii in publicum Genuam dent in annos singulos Victoriatos nummos CCCC. VI. Aliae satisfaciendi (Hennensibus jubentur rationes. Si Langenses Veturii eam pecuniam non dabunt, ncque aliter satis26facient arbitratu Genuatium, nisi tamen id eveniat, quod per Genuenses mora non fiat, quo secifis eam pe- ( 503 ) TAVOLA DI POLCEVERA eiiniam accipiant, tum, pro vectigali pscunia. quod in eo agro publico ‘7 natimi erit, frumenti partem vigesimam, vini autem partem sextam Langenses Veturii in publicum Genuam dare debeant 58 in annos singulos. VII. Aille litem contestatam in eo agto publico privatomm possessionis ratihabitio. K Oui intra eos eiusdem agri. publici lines agrum private colendum possidet, Genuas aut Langensis Veturius ille sit, quicumque eorum, Genuatium Langensiumve, possedit kalendis sextilibus, Lucio Caecilio 29 et Ouinto Mucio Consulibus, eos ita possidere colere-que liceat. VIII. Ii tamen possessores justum vectigal pend ma. Eousque possidebunt, vectigal Veluriis Langensibus pro portione, quam possident coluntque, dent ita, uti dabunt ceteri:(tJ Langenses Veturii, quicumque eorum in eo agro publico agrum colendum possidebunt fruenlunjue. IX. Nono de celero possideat in eo ogro pub!tco itisi de Langensium Velariorum sententia. Praeterea in eo agro ne quis possideat, nisi de majoris partis 11 Langensium Veturiorum sententia, dummodo is non alium intromittat in agrum ipsum, nisi Genualem ani Lan- TAVOLA DI POLCEVKRA ( 504 ) gensem Veturium, colendi causa. Quicnmqne eorum (ex eis nimirum) 12 de majoris partis Langensïum Veturiorum sententia- ita possidere non parebit, iseum agrum nec habeat, nec fruatur. Agri publici partis compascuae Genualibus Langerisibusque Veturiis communis usus. Qui 3? ager (*) autem ex eo agro publico'compascuus crii in eo agro quo minus pecus pascere Genuates, Veturios-que Langenses liceat ita, ut licet in.cetero agro 3i Genuati compascuo ne quis prohibeat neve quis pascentibus vini faciat; neve prohibeat quo minus ex eo agro Genuates Vetu-riique Langenses ligna, materiamve 35 sumant, utanturque. XI. Lungensibus Veturiis primus vectigalis annus incipit a proximis posi lutam sententiam kalendis. Vectigal anni primi kalendis Januariis secundis (anni scilicet U. C. 639) Veturii Langenses in publicum Genuam dare ’G debeant. Quod ante kalendas Januarias primas (anni 638) (*) Jn questo articolo della Sentenza, per mera ragione di nesso giuridico, venne capovolta la costruzione del periodo; perché quanto qui si dice dell' agro compascuo in ispecie noi facesse supporre distinto di particolare confine dalK agro pubblico in genere. A qucsjo il paragrafo qvki ager senlesi collegato come Specie alla serie delle disposizioni, che eli Arbitri vanno sentenziando sull'agro pubblico de'Langesi Vcturij. Poniamo qui P ordinamento di questo paragrafo qual sarebbe, se non avesse dovuto indicarne la legatura con quel che precede: « Ne quis prohibeat,- neve quis » vim faciat, quo minus Genuates, Vetur/osqiie pecus pascere, liceat ila, ut in celero » agro compascuo genuati, in co agro qui compascuus (langas vctwïus) ager crii ». ( 505 ) TAVOLA ni POLCEVEflA ------:_—------- Veturii Langenses fruiti sunt, eruntque, ei eo vectigal inviti dare non debeant. XII. Pratorum, (juae in compascuis Lany ensium Vel uriorum aliorunique finitimorum sil usus tantummodo e.r annua usucapione possidentibus. :t7 Prata quae privatorum industria ex agris compascuis fuerunt proxima faenisecio, Lucio Caecilio et Quinto Mucio Consulibus (anno videlicet U. C, G37, ante Chr. 117, seu praesenti), in agro publico, quem Yclurii Langenses 88 possiilent et quem possident Odiates, et quem Dectunini, et quem Ca-vaturini, et quem Mentovini (populi fortasse finitimi) possident, ea prata, inquimus :u> invitis Langensibus Veturiis. et invitis Oiliatibus, et Decluninis, et Cavaturinis, et Mentovinis, quem qujsque eorum agrum ex eis agris publicis compas:nis singillatim 40 possidebit, habeant ita, ut invitis eis possessoribus, ne quis seeet, neve pascat, neve fruatur. XIII. Quae in agro publico compascuo sunl, pratorum modus ne augeatur; loco mutari qtteanl. Si Langenses Veturii, aut Odiates, aut Dectunini, aut Cavaturini, 41 aut Mentovini mallent in eo agro singulorum populorum publico alia prata immittere, dclendere (servare sij-licet), secare, id uti facere eis liceat iudicamus, dummodo non ampliorem 42 modum (id est mensuram) pratorum habeant, quam proxima aestate habuerunt, fruiiiquc sunt. TAVOLA DI POLCKVKIJA ( Ó0() ) XIV. Si (/ai Lan yen ses Velarii su ni in vinca lis eos illico Genncnses liberanto. Verumtamen quoad Veturios Langenses, qui controversiae 43 Genuensium (scilicet ex Genuensium vi) ob injurias judicati, aut damnati sunt, si quis eorum in vinculis ob eas res esi, eos omnes solvi, mitti, liberarique per Gcnuenses videtur oportere. XV. Privatorum jura reservata: eis Romam Arbitros adire concessum, alioc/ue judicio, re cognita, eae omnes con-Irover siae dirimentur. Ante idus sextiles primas (anni videlicet sequentis), si cui de ea re (per hanc ncstram sententiam)iniquum sibi videbitur esse aliqnid, ad nos arbitros adeant omnes, quibus videbitur ita, primo quoque die eis licebit, et ab omnibus controversiis iterum lionore publico, (alio scilicet honorario indicio) liberabuntur. XVI. (Jiriusfjuc partis, Langensis Veturiae et Ce nuatis procuratores, qui rem agitaturi Romam accesserant, Romae in honore (judicio) publico sententiae subscribunt. 40 Legati Moco Ometicani Ometiconi Filins, Plaucus Pe-liani Pelioni Filins. SENTENZA DE’ MINUCII sulla lite fra i Velurii Langesi cd i Genuati volgarizzala, in. cui tutto ciò, eh’è espresso o per fulcro o per sigle, si pone in carattere tondo, cd i supplementi esplicativi in corsivo. PREAMBOLO DELLA SENTENZA Arbitri, Causa, Parli litiganti, Procedura, Mandali giudiziali, Delegazione del Senato Romano, Data. Quinto e Marco fratelli Minucii figliuoli di Quinto di cognome Rufi giudici arbitri per la Repubblica Romana sulle controversie, le quali vertevano fra i Genuati o (ìenovesi ed i Langesi Veturii, conobbero della causa sopra luogo; di presenza infra loro composero le controversie; e con quali condizioni i Langesi Vetuni possedessero il territorio, e come si ordinassero i confini sentenziarono; mandarono stabilirsi que’ confini c piantarsene i termini. Fatte sul luogo (ai cosc, ingiunsero dover essi portarsi a Roma di persona. In Roma poi gli arbitri stessi per autorità di Senatusconsulto, presenti le parti, pubblica- TAVOLA DI POLCEVERA ( 508 ) rono la sentenza ai 13 ili decembre dell’ anno quando erano Consoli Lucio Cecilio figliuolo di Quinto, e Quinto Muzio figliuolo di Quinto (cioè ianno di Roma G.‘J7, avanti Cristo 117). I. Definizione'dell' agro privalo libero dei Langesi Velarii. Dissero come e quale si è il territorio privato del Castello dei Veturii Langesi; il quale territorio egli possono vendere (alienare), e può essere trapassato all’erede: questo territorio inoltre non sia gravato d’alcuna prestazione o censo. IL Determi nazione del dello agro privato, ambilo de’ suoi confinitermini fattivi stabilire. I confini del privato territorio dei Langesi Veturii son questi. Dall’ingiù del rivo, che fa capo dal fonte esistente nel territorio Manicello presso al fiume Ede; là sorge un termine. Quinci per Io fiume •Ede all insù fin al fiume Lemuri; quinci per Io fiume Lemuri all insu fino al rivo Comberanea; quinci per Io rivo Comberanea allo insù fin alla con valle Cezicma; colà sorgono due termini quinci e quindi allato alla via Postumia. Da que’ termini movendo per dirittura di terreno nel rivo Vcndupafe, e / Y -- -_____-— ( óU9 ) TAVOLA. DI POLCEVERA da questo rivo A endupale fin nel fiume Neviasca; quinci dando giù pel fiume Neviasca fino nel fiume Procobera; quinci per lo fiume Procobera all ingiù fino alla foce del rivo ^ inekisca ; la sorge un termine. Quinci in su lungo il rivo \inelasca; là sorge un termine allato alla \ia Postumia. Quinci un altro termine sorge, valicata la via Postumia, per dirittura di terreno fin nel fonte nel territorio Manicello fino a quel termine sopraddetto che sta dal fiume Ede. HI. Confini e termini stabiliti dell agro pubblico del Comune dei Langesi Velurii. Del territorio pubblico, quanto ne posseggono i Langesi Veluriiy colali consta essere i confini. Dove confluiscono l Ede c la Poreobera, là sorge un termine. Quinci lungo il fiume Ede all'insù fin nel monte Lemurino appiè, là sorge un termine. Quinci di cresta continuata all insù sul monte Lemurino, là sorge un fermine. Quinci allo insù di cresta continuata sul Lemurino* là sorge un termine in sul monte Procavo. Quinci all insù per seguitata cresta fin nel monte Lemurino al vertice, là sorge un termine. Quinci all1 insù di cresta continuata fin nel Castello, clic si disse Aliano, là sorge un termine. Quinci pur all’ insù di seguitata cresta fin nel monte Giovenzione, là sorge un termine. Quinci eziandio di seguitata cresta all' insù fin nel monte Appennino, che si nomina Boplonc, là sorüc un termine. Quinci seguitato 1 Appennino per 1 TAVOLA DI POLCEVERA ( 510 ) cresta jm nel monte Tuledone, là sorge un termine. Quinci all ingiù di cresta continuata fin nel fiume Yera-glasca, e. proseguendo, fino nel monte Berigiema appiè, là sorge un termine. Quinci all7 insù parimente di cresta fin nel monte Prenico, là sorge un termine. Quinci allo ingiù cosi di cresta fin nel fiume Tulelasca, là sorge un termine. Quinci alf insù di cresta egualmente pel Blu-stiemcllo fin nel monte Classello, là sorge un termine. Quinci alf ingiù fin nel fonte Lebriemello, là sorge un termine. Quinci lungo il rivo Eniseca fin nel fiume Porcobera, là sorge un termine. Quinci alf ingiù fin nel fiume Porcobera a quel punto dove confluiscono l’Ede e la Porcobera, là sorge il. termine sopraddetto. i IV. Formola del giudizio sull’ agro stesse^ 11 quale territorio noi sentenziamo esser pubblico. Tutto questo territorio apparisce dover essere di possesso e di "odimenfo dei Castellani Langesi A elurii. u V. Su questo loro agro pubblico paghino a Genova censo per confini rettificali in loro aumento i Langesi ! elurii. I Langesi Veturii diano nel pubblico di Genova per questo territorio ogni anno quattrocento vittoriati. \ (511 ) TAVOLA DI FOLCEVEHA VI. O per altro modo soddisfacci ano ai Genovesi i Langesi Veturii. Se i Langesi Veturii non isborseranno quel danaro, nè daranno altra equivalente satisfazione conforme al beneplacito de’Genuati, e caso che da parte de Genovesi non s' interponga mora altrimenti dall accettare quel danaro, allora la stabilita prestazione si compensi in tal guisa: di tutto ciò, che in quel territorio pubblico lia maturato, di frumento debbano dare nel pubblico di Genova la vigesima parte per ogni anno, e di vino la sesta VII. Si ratifica il possesso di coloro che già I' avevano pria che la lite fosse introdotta, sia il possessore Genitale, sia Langese Veturio. Chiunque entro a questi confini del medesimo territorio pubblico possegga a coltura privala un qualche pezzo, sia egli un Genuate od un Langese Veturio, chi di costoro, Genuati o Langesi Veturii, possedette già dal primo (Y agosto dell’ anno consolare dei Consoli Lucio Cedi io e Quinto Muzio (di'e l'anno stesso della sentenza) abbiali essi licenza di cosi possedere e collivare. TAVOLA DI POLCEVERA ( 51 2 ) Vili. Nondimeno pel detto godimento ratificato debbono possessori, o Genuati, o Veturii, dare il giusto censo al proprietario, cioè al Pubblico Langcse Veturio. Finch7eglino possederanno così, ne paghino un censo ai Langesi Veturii (cioè al pubblico loro) giusta la porzione, eh7 ei ne posseggono e coltivano così privatamente. a quella misura,, secóndo cui pagherannolo i restanti Langesi Veturii, chiunque d’essi in questo pubblico \cv-ritorio si avranno un qualche pezzo a privata coltura in possesso e godimento. * Quincinnanzi in quell' agro pubblico niun possegga se non• per concessione, del Comune• Langcse Votano a maggioranza di suffragi. Oltracciò in questo territorio pubblico alcuno così non possegga, se non clic in seguito a concessione deliberata dalla maggior parte de’ Langesi Veturii, e colla condizione, purché il possessore non intruda in quel pezzo oh'egli tiene-, per cagion di coltura, altra persona che un Gemiate òd un Langese Veturio. E chiunque infra costoro non si chiarirà così possessore legittimo, in se- ( 51 3 ) TAVOLA DI POLCEVEWA guito i\ concessione deliberala dalla maggior parie dei Langesi Veturii, egli non s’abbia.nè goda brano di terra. X. Il compascuo o lo comunaglie iteli agro pubblico sta di egual uso ai Genuati ed ai Langesi ì eluvii. In (pianto poi al territorio (*) clic sarà di comune pastura, in quel territorio sia concesso del pari di pascere le loro greggio e ai Genuati ed ai Langesi Velutii, in quella guisa clic si concede nel rimanente territorio Genovese di comune pastura: altri non impedisca la libera pastura, nò ai pasturai di faccia alcuna violenza; nè altrimenti impedisca, clic da quel territorio i Genuati, ed \ Langesi Veturii tolgano legna o materiali, e se ne servano. XI. Comincerà a decorrere sui Langesi I olurii il conso verso Genova dal prossimo primo gennaio dopo la data sentenza , ni un obbligo per lo innanzi di quel dì. La prestazione dell’anno primo (cioè la prima prestazione) delibano sborsarla i Velurii Langesi nel pubblico O Acconciai il volgarizzamento in questo luogo più all’ordine giuridico, clic non ;il gramolicele. Si veda la noia die nella Riduzione Ialina corrisponde allo stesso numero di paragrafo. TAVOLA DI POLCEVERA ( 514 ) di Genova l’altro primo di gennaio (cioè (niello che seguirà dopo questo prossimo gennaio, vale a dire quello dell'anno di Roma 639, nel quale sarà maturato l'anno primo del debito della stabilita prestazione di compenso). In quanto a ciò che goderono e godranno i Veturii Langesi nell intervallo avanti il primo del vicino gennaio (del-l anno di Roma 638), di quello non abbiano punto obbligazione di dare alcun censo od alcuna prestazione loro malgrado. XII. Ritengano il godimento dei prati nell' agro compascuo dei Langesi Veturii e d’ altri popoli vicini quelli ch'hanno in proprio favore I' annuale usucapione. I prati che menti’erano Consoli Lucio Cecilio, e Quinto Muzio (cioè nell’anno di Roma 637, vaie a dire l'anno stesso della sentenza) furono prossimi alla segatura del fieno nel territorio pubblico, che posseggono i Veturii Langesi, ed in quello che posseggono i Deltunini. ed in quello che posseggono i Cava turini, ed in quello che posseggono i Mentovini (tutti popoli per avventura limitrofi). quei prati, diciamo, contro la volontà dei Langesi Veturii, e degli Odiati rispettivamente, e dei Deltunini, e dei Ca-vaturini, e dei Mentovini non sien tocchi, sicché quel tratto del rispettivo pubblico territorio, ch’altri personalmente possederà, tutti se l’abbiano in modo che, loro malgrado, nessun vi seghi, nè vi pasturi, nè lo goda comechessia. Det prati ora esistenti nel compascuo del!' agro?pubblico non si cresca tu quantità ; sia lecito nondimeno molarne il luogo. Se i Langesi Veturii, o gli Odiati, o i Dettunini, o i Cavaturini, o i Mentovini preferissero d'acconciare allri prati, tenerli in essere, e segarli in quel rispettivo loro pubblico territorio, sia in loro balia di cosi fare, purché non acquistino per ciò più estesa quantità di praterie di ci non avevano e non godevano nella prossima siale. XIV. Se aleuti nini de' Langesi I eluvii fosse prigione i Genovesi debbono liberarli (pianto primo. Riguardo poi a i Velurii Langesi. i quali per li trascorsi, occasionati dall'ardore della controversia de' Genovesi, son giudicali, o furono condannati, se alcun di loro per cotali ragioni è soslenulo in carcere, egli è chiaro doversi dai Genovesi essi tutti sciorre, dimettere e liberare. TAVOLA DI POLCEVERA ( 516 ) XV. Si riservano i citrini privali, eonccdcsi ai lesi nuova udienza in Roma presso gli Arbitri; e con altro solenne giudizio sarà loro [alla ragione. % Innanzi al primo venturo dì 13 d agosto (cioè del-l’anno immediato seguente, di Roma 638, avanti Cristo I 16 ; che è quanto a dire : entro otto mesi dalla data del presente giudizio), se mai per questa nostra sentenza in tal causa ad alcuno parrà tornargli fatto contro ragione alcunché, a noi arbitri sopraddetti ei si presentino tutti quanti, cui sembrerà così, quanto prima, ed eglino, istituito di nuovo per essi un giudizio di onor pubblico (cioè d'autorità onoraria), saranno liberati da ogni controversia ulteriore. XVI. / procura lori delle due parli, il Langcse Velario ed il Coniale, mandati a Roma per trattare la causa al pubblico giudizio nel tribunale degli Arbitri, soscrwono alla sentenza pronunciala. I ledati Mocone O.meticano figliuolo ad Ometicone, e Pia Lieo Peliano figliuolo a Pelione. APPENDICE I. Alcune storiche, politiche, critiche rilevanze.— Langesi c Velurii è lo sicsso popolo. Questo puulo, ora riconosciuto dal Mommsen, non fu rilevalo nemmeno dal Rudorff (*). Egli si formò: al passo, o\ entrarono l'Oderico, ed in parie il Serra, di unione politica fra due diverse tribù. Accetta e svolge l'opinione della so\reinmeuza di (lria forse dare ragione, perchè la zona di terra in fra i detti dur estremi prendesse il nome composto dall* estremo orientale , dir eri agli antichi il meglio augurato, cioè Man, e dall’ altro occidentale eht* eia CeL Ma questo sia detto cosi per dire alcuna cosa di confettura. In Marceno abbiamo la concorrenza col primo punto meridiano dH massimo cardine del Castello, abbiamo quella che il primo trailo di limite procede per via prorsa cioè verso oriente (osserxazione «li rito); I ;»1-terazionc del nome è assai leggera per chi considera che dall' md >|. dei nostri dialetti la n diviene frequentemente l, e la l in r, e viceversa. Avremo dunque il primitivo Mollicelo, poi M alee lo e, Malcerto ed in line Marceno. Ora nel territorio di Marceno era un fonte, come sopra jrià dissi nelle Mote. Allo sbocco del rivo, che nascea da quella sorgente, il quale si perdeva nel fiume Ede, ora detto Verde inferiore, dappresso al fiume trovavasi il primo termine. Quinci facendo sia in direzione come di cardine contro corrente per la detta Verde, si entra o percorre il Lemuri, ora Ricò; e tirasi di lungo pel braccio che piega a ponente dello il Masso, lo fo continuare qneslo nome Lemuri p *1 Masso, anziché per l’influente ad angolo che procede dai Giovi, raccogliendo a sè per via alcuni rivi; perchè ai Langcsi Veturii, essendo il Masso più vicino, dovea loro esser assai più noto, e doveva dalla parte loro più facilmente rappresentarsi come un corso diretto e continuato d.il resto del Lemuri più abbasso; qual è infatti, messo al paragone del detto rivo dei Giovi. Ed inoltre alla determinazione del Lemuri della Tavola collimano altre ragioni che seguono. Proseguendo a ritroso questa parte superiore del Lemuri, cioè il Masso, verso la sorgente, debbesi incontrare in un rivo che dicevasi Comber ano a, percorso il quale a ritroso, trovavasi una convalle col nome di Caepliema ( Qualleiza ), entro cui tragittava la via delta Postumia. Or io non dirò qui 1’ appunto dei siti, nè i nomi volgari corrispondenti; ma dico che siamo nella vicinanza di Pietra Lavczzara, cioè sopra, e presso la strada, che dicesi della Bocchetta. Là, trattandosi di luogo meglio esposto alla pubblica coazione, sorgevano due termini, un di qua e un di la della via. I>a Sentenza ci avvisa che la linea, che da un termine passava nell'altro costituiva il principio della direzione del successivo limite fino all’ altro punto denominalo, che seguita c che è un rivo detto Yimlupale, il quale trailo, dal modo spicciativo onde si accenna, dev'essere a breve distanza, c cerio nella stessa comalle, cioè per avventura quello che dicesi al presente Man di Re ermi, od anche ora Hisser ad Isoverd<*. Quando furono compilali i Cadastri nel 1798, ch'or, dopo già stampali i precedenti miei lodi, ebbi la sorte di consultare nell' Archivio della Prefettura di Genova, esisteva da quella parte una regione col nome di ( 523 ) APPENDICE voce prettamente ligustica y ‘‘ <<’>l lMM" ® , alterala che l'a maraviglia. Clic ila L iiidupale veiiisw i an J Clmtdopalr, CliitulopeUo, niuu può dubitare, tsol die si conusi iKH-o dell'indole dei uoslri dialetti. ia«.«piio Questo ChindttpeUo si trova fra la Chiesa di S. Sb ano ( 1 • ini il vicino fossato , il quale è continuazione de! citalo fit • La scopi ria di questo nome riesce a vigoroso rincalzo t. | | «one '/vii siala prima da me indicala nelle Note A lesto < i a ^ hai rivo Yiudupolv si entra, continuando secondo corrente, . Arviasca, che non può esser altro che la Verde tupnwie, ^ Net'iasca incominciando forse il suo nome dopo la ( VituiupaUs o II,■nasi corre a luniro a inferiore, liirù, per comporre fra i due il fiume Me ossia la D„ìrnura. Ma qui il notato tratto di limile continua tino al iiumc 1 ,orfl Dalla via Postumia lassù in allo fino al basso de a . (Porrevera) non \i ha più un termine, lina sì boue co ^ | ^ fa lazione per corso d’acqua scusa ogni cippo, basta aui |a sé, « ssendo limite naturale e legittimo. Di questo cors , Sentenza nota i nomi successivi, allorché è necessario,, j c0inC altrimenti sarei diesi generato dubbio sull’ andamento << ^ ras0 eziandio facevano le iscrizioni dei termini ai eouUMiipora^^^ nQQ che un rivo entrasse in un altro, o in un nume o iuC(,rU) l*jr dirittura, ma ad angolo, senza un cippo sareuiir ^so se doveasi prendere la direzione in su od in g»u d acqua, in cui si entrava. Ma laddove n°Q avea t -llll0 n00 v’era di dirittura di corso proseguita, quella necessita < JI v/m/|()W/A siccome accade qui appunto. Tulio questo connue ()onü- o Chindopeliot segue la Neviasca o la Verde (aso di accen- tuare percorso 1' Edc o la Verde inferiore (non < c‘vera. Onci uarne il nome), giungendo sino alla Proc<> ero ^ (.0Ua Accorpo di fiume, che avea falla linea quasi> ia iute-viasca, la fa del pari al basso entrando 1 «w Evinte la riore Porccvera o la Proeobera. Egli e piuttos « * aj (|j s.,uo (Porcobcra) che confluisce ad angolo. Arriviamo tes>» via. Qui osservi il lettore bene un’ y lira lia ta presso la Poatumia la geminazione dei termini, |>er maggiore notorietà, come sopra « sicurezza. Ma dove nulladimeuo in quel primo caso d'incontro colla \ia i due termini (accano anche ulìizio di segnare la segtieule direzione, (|ui invece non avviene ciò, ma dal solo secondo, che è olire la via, cominciano le mosse verso Ma ni celo o Maiteno, ed inlino al summenzionato fonte; quindi pel rivo che se ne origina , già pur sopra indicato, se ne giunge allo sbocco in Ede, o nella Verde in-I* riore, ove trovasi quel primo termine, nel quale, compiuto il giro, finisce l’ambito, o l’intero confine dell’agro privalo dei Laugesi Veturii. Vedasi qui la mia Mappa, che lo rappresenta a colore (•). Quanto all’agro pubblico, rimessone il lettore ai dati, elio ih* svolsi nelle iVo/e, per ora mi fermo. Non è dubbio Y insieme della sua situazione; solo io bramo ancora un qualche studio per I’ esatta speei-licazione d’ogni sito. Ma il voglio avvisato, che compilando le «Ielle Aole mi tenni largo, e feci conto di tulle le possibili conseguenze, che con qualche più o men buono ragionamento apparivano potersi dedurre, dietro la scoria dei gròmalici, dal puro contesto della Tavola. Quindi lutti i concelti, che sdii là, sempre non rappresentano h* mie proprie opinioni, comeehè paia, avendo io procuralo di dar ad ognuna il più forte rilievo. All’oriente, ov’ è senza dubbio la grau parte dell’agro pubblico in Porccvera, non uno è il Ciazzo, non uno il Pizzoy non uno il Tullo. Il Lemurino è a tramontana al di là della curvatura del Lemuri, che costituisce I’ attuale Masso, ove il monle bagnando le falde se ne reca la derivazione del nome in b murino. Dai citali Cadastri vengo in notizia trovarsi nei dintorni sopra Pietra Lavezzara in Cravasco un Monte Cavo. La sentenza dice: SVRSVM • IVGO • RECTO • LE.VIVni.NO • IBI • TERMINVS • STAT • l\ • MONTE • PRO • cavo. Quindi malgrado clic io stesso abbia di sopra credulo il contrario, dichiaro che quel punto dopo rno merita qualche esame. IV. Rimote Liguri antichità’. — Dalla nostra Tavola chiaramente apparisce il nomano dominio sul nostro paese. Ciò riconoscono 1*0-derico (**) , il RudorlT (***), ed il Mommsen. La via Postumia di (*) Por antivenire una difficoltà 9 che può nascere dalla porzione d’agro privalo ch’esce fuori dal corpo maggiore, reco il seguente testo gromatico (L'ichmann cit. pag. 132) ; In multis regionibus compir imus ‘quosdam possessores non continuas habere terras, sed particulas quasdam in diversis locis. (*•) Castella ego haec Vei t uriorum Langensium, aliommque quorum Tabula meminit, in potestatem Romanorum venisse arbitror jam inde ab anno 5l » vel .">17, quum primum adversus Ligures exercitus promotus, ut ait Liviana Epitome libri XX, es Gallia Cispadana Genuam usque penetravit. MSS. rii. pag. 3 (***) Pars Laurum din ante id tempus in ditionem Romanorum rrnrrat. Genuam oppidum jam Punicis bellis in fide Romanorum fuisse, nec aliam ob causam a Magone Poeno direptum, a Lucretio____exaedificatum esse existimo, loc. nt. ( 525 ) APPENDICE pinna inazione asconde alla fine della guerra contro i Liguri, cioè ‘iN' sia ella iattura del Console di quell'anno L. Po- * Muntis , . . ^ ^ Albinus, sia del Censore dello stess'anno A. I 1 itnniis' f.J'* L. N. Albinus, forse padre del suddetto (Console. KU 1 »utibliclic erano d attribuzione censoria in Italia, e dove, ÌTiT estondevasi il reggimento diretto dei Magistrati Ho- simT li \|UI avvcn*va ^°V'essi costituivano Colonie, Prefetture o Hul)us f n,ln,IS(‘u confessa, che eziandio nell*età della nostra Tavola m us fuit Golf,tac Cisalpinae (proconsul), rcgeba turque ca regio na tum la ha n magistratibus urbanis, nolaudoc he Ùenua extra ti /i i i/i it» ..... v • .. ’ . — ~ « mu costituito (la loro, belle assegnazioni di territorio > era non solo il datum, v’ era anche il redditum suum ai popoli benevoli, \ erano i privilegi di foro romano. Quando i Hotnani volevano conquistare la Corsica, la Sardegna e la Gallia (cisalpina, eia loro troppo necessaria Genova, ed il passaggio bene assicuralo dal mare oltre appennino. Infatti la somma importanza di questo varco strategico è messa in chiaro dall’assalto di Magone a Genova, e dalla cura dei Romani di riedificarla dopo quello smantellamento. Nella calata dWnnibale non pensarono a rafforzare questo punto, on era senza duldiio ogni cosa all'Ordine: pensarono a dedurre nella Valle del Po, a Piacenza ed a Cremona, nell an. av. Cristo il • laonde cavò il nome Yeturio quel popolo, che dicevasi, dal proprio ( ‘‘stello, Lanqcsc? A noi non pervenne. Zonara (*) che nel suo ;\tToèV \«P*S •--A li mncsi ÿ/wVtV'ffc.frt ûd/n/icfo ticv*rlt #ino r>//Y 'f’orei/a Uwreçti {cj >o:;o ,\oaichciv lËSmi Foii.h Ix'bi'irnus^^fj ;V‘ Al.tkünno [uahciuèfui iHSlooa z>,o YnM W7/.V S'liîaoio \° ffre/ticno .Poiiic
  • Mor£wUv M.Ba/sfev Y.cruûi rumo COMPARATIVA CARTA {iva potò S A NTICAe MODERNA im/ionc C0NVKN7.I0NAU OKXOYA ><>,000 toon tüûû 404» O H»00 /// r/// V RaVjllOTl. ]T)f: /ooo Gan I- ~^= >»7 y/V> /7 Stabilimento Frat^Pellas Genova, e tirenze LETTERA PRIMA n SULLA QUISTIONE TOPOGRAFICA Chiarissimo Professore , In uno dei.soavi ma troppo rari colloquj che la diversità di ufììcj ne consente, intrattenendoci delle epigrafi romanoliguri da voi con tanta dottrina e lucidezza illustrate, accennai, se ve ne rammenta, ad alcune idee fondamentali che riputavo acconce a schiarire la quistione topografica della Tavola di bronzo della Polcevera, il più insigne fra i nostri antichi Monumenti. Voi sì buono e modesto desideraste che ponendo alla prova quelle idee ve ne communicassi il risultamelo; ed eccomi a compiacervi per debito non solo d'amicizia, ma e di gratitudine; in quanto che la retta lettura ed interpretazione, che mi porgeste della Tavola, mi snebbiarono la mente da dubbi ed errori i quali per l’addietro me ne avean resa dura (*) Letta nella Sezione Archeologica Tolto giugno 1860. TAVOLA DI POLCEYERA ( 532 ) l’intelligenza. Cosi or che mi avete fatto capace della medesimezza del popolo Langense col Veiturio, e dei Genovesi coi Gemati, mi si resero assai più chiare le relazioni politiche di Genova coi Langensi, che colla interpretazione del Marchese Serra mi erano riuscite intricate ed inverosimili. Inoltre mi basta riconoscere nell' odierna terra di Langasco il castello dei Langensi, senza dover fantasticare alla ricerca di un altro castello dei Veiturii; giacché quello posto dal Serra con ario-stesco volo sul monte della Vittoria fu da voi sfatato senza pietà. Senonchè sul punto d’addentrarmi nel soggetto, mi fece far sosta un pensiero dal testé lodato gravissimo Scrittore espresso in nota al suo Discorso su questo Monumento ( ). Dove dichiara eh' ei sarebbesi giustamente astenuto dal por mano all’illustrazione, se avesse allora saputo che il lavoro era già fatto dal Ch. nostro Oderico. 0 che dovrei far io (pensavo tra me) tanto minore d’ingegno e che dopo le meditazioni di que’ due Illustri e le più recenti del Canonico Grassi e 'sostie e di Dotti stranieri, oso entrare non so se sesto o settimo tra * il cotanto senno? Sebbene converrete meco, non esseie qui i caso di dire: « Roma ha parlato, la lite è finita»; chè negli ordini razionali 1' opera anche di valentissimi non compie mai il giro della speculazione; e almeno qualche spica dimenticata consola il diligente investigatore negli immensi campi della verità. Né lo stesso March. Serra in ciò sembrami al tutto di buona fede (passi celiando l’ardita parola); essendoché se egli ere-deva doversi scusare, quasi di fallo involontario, d a\ei posto mano a siffatto studio; come non vedea di commettere poi una colpa assai più grave e volontaria, licenziando alle pubbliche (*) V. Memorie dell; Accademia Imperiale di Genova. Voi. 2, pag. 135. ( 533 ) TAVOLA DI POLCEVERA stampe il suo Discorso, dopoché gli era nota 1’ illustrazione dell’ Oderico? Ma senza spendere altre parole e prima ancora di esaminare la soluzione che ne vien proposta dal Ch. Personaggio, facciamo di concepire un’ idea esalta della natura de' luoghi e della relativa loro posizione, quale ci è descritta nella Tavola di bronzo : passiamo poscia a confrontare codesta descrizione coi luoghi a noi noli dell’ odierna Polcevera ove fu dissotterrata la Tavola; apparirà allora se ci venga fatto di verificarne i riscontri, dopo 2000 anni, quanti se ne contano dal 117 avanti 1’ Era Volgare, fino al nostro tempo (*). Tre qualità d’agro si trovano ivi menzionate; il pubblico; il privato de’ Langensi- Veiturii coi relativi loro confini ; e un agro compascuo indicato senza designazione di termini, goduto dai Langensi in comune coi Genoati e, pare anco, in comune con altri popoli che appellavansi Odiati, Dectunini, Cavaturini, Mento vini. I. Incominciando a prendere in esame l’agro pubblico, tosto ce ne verrà fornita un’ immagine in digrosso dal modo come sono espressi nella Iscrizione i suoi confini ; modo veramente significante e di sugosa brevità come i Romani-chiedevano e sapeano fare. Ed invero, si capisce di leggeri come codesti (*) Per maggior intelligenza delle cose qui discorse vedasi la Carta Topografica della Polcevera posta in fine del volume. Essa fu imitala da quella pubblicala dallo Stato Maggiore del Regno, correttovi però più errori e difetti di denominazione; vi furono aggiunti il nome antico della Tavola di bronzo corrispondente al moderno , la superficie dei due agri privato c pubblico, e i relativi termini del confine enumerati; il tutto in colori diversi, perchè se ne possa cogliere a colpo d’occhio la differenza e l’insieme. TAVOLA DI POL CUVER A ( 534 ) confini debbano formare una linea non interrotta e in sé rientrante a guisa di anello o cornice dell' agro. Analizzando poi più particolarmente questa linea, la si ritrova potersi decomporre in quattro porzioni ; V ultima e la prima delle quali sono di natura acquatile ; la seconda é tutta montuosa ; la terza é mista o alternata di monti ed acqua. Ma per maggiore semplicità giova ridurre le quattro porzioni a tre sole ; giacché la quarta e la prima sono della stessa natura acquatica e si riuniscono nel conlluente di due fiumi. Quindi, cosi tacendo , riunirò queste due porzioni sotto V unico nome di confine acquatico , e comincerò a descriverlo dalla ultima sua parte ove finisce la descrizione che ne somministra la Tavola. Sul pendio d’ un monte Claxelo era una fontana appellata Lel riemelo, e ivi fu posto il termine che chiameremo primo. Da questo fonte scendeva un rivo Eniseca sboccando nel fiume detto Procobera ; al basso di questo rio presso al fiume fu posto il termine secondo. Di qui procedendo lungo il fiume Ptoco-bera si trovava il confluente di questo con un altro fiume chiamato Edo; su questo confluente stava il termine teizo. Seguitando il fiume Edo sino alle radici del monte Lemiuino si poneva ivi il termine, quarto. E qui termina il confine acqua tico e comincia la porzione tutta montuosa a cui ora passiamo. Dal quarto termine, posto ove il Lemurino bagna le sue falde nell'ilo, si sale su diritto per la costa del Monte fino a un certo tratto non ben particolareggiato ove sta il termine quinto, indi salendo ancora per costa diritta si giunge al monte Procavo e si tocca il termine sesto; ma non si é ancora alla veia som mità della costa Lemurina , incominciata nell Edo. La quale sommità si raggiunge finalmente salendo ancora per costa, e colà si trova il termine settimo. Di qui salendo per costa diritta si trova il termine ottaio nel castello denominato Aliano; quindi, salendo per costa di ( 535 ) TAVOLA DI POLCEVERA ritta nel monte Giovenzio, ivi sta il termine nono ; indi su per costa diritta al monte Appennino detto Boplu s'incontra qui il termine decimo; indi per l’Appennino per costa diritta si giunge al monte Tuledone ove è il termine undecimo. Finalmente si scende giù dal monte per costa diritla nel fiume Veraglasca, ove è posto il termine duodecimo a piedi del monte Berigiema ; e quivi stesso col fiume comincia quella terza ed ultima porzione di confine che chiamai misto o alternato. Dal fiume Veraglasca salendo su per costa diritta sul monte Frenico ivi é il termine decimo terzo. Di qui scendendo giù per costa diritta nel fiume* Tuielasca, ivi è il termine decimo-quarto. Quindi salendo per la costa diritta chiamata Blustie-melo si giunge al monte Claxelo, ove è il termine decimoquinto ed ultimo ; perchè questo è il monte sul .cui pendio vedemmo la sorgiva del Lebriemelo, ed è adunque qui ove si combacia il fine col principio dell’ agro pubblico. Ciò ben fermato in mente, ove ne piaccia indagare il riscontro del sovradelineato confine antico coll’ agro moderno della Polcevera, dapprima cerchiamo se non si possa rinvenire una via breve e pur certa per raggiungere il nostro scopo. Tutti conoscono la regola suggerita da’ Matematici, di scegliere anzitutto tre punti che sieno situati sul medesimo piano o sezione, ma non sulla medesima linea. Che se questi* sieno trovati, la dimostrazione geometrica ne assicura della identità di tutti quei piani e sezioni che passino per quei tre punti; e di tutti que’ piani ancora che, sebbene posti in diversa direzione-ed altezza, si mantengano tuttavia stabilmente uniti col piano o sezione fondamentale. Colla stessa regola procedendo se ci riesce rinvenire nella Inscrizione tre punti i cui nomi e configurazione antica siensi conservati identici fino a’nostri tempi, tale identità ci porrebbe in grado di determinare le rimanenti parti coordinate di tutto TAVOLA DI POLCEVERA ( 536 ) il confine, non solo per lunghezza e larghezza, ma anche per altezza. Né ci rimarrà ombra di dubbio, ancorché gli altri antichi nomi dei luoghi sieno per la maggior parte od anche affatto scomparsi durante il lunghissimo intervallo che separa le due età. Tuttavia, a togliere ogni rischio d' errore, é bene di pur prevedere il caso in cui alcuno dei tre nomi moderni, per quanto somigliantissimo in apparenza all' antico, in realtà non sia identico : il quale caso vedremo poi essersi avverato nella soluzione del March. Serra; e fu la causa onde il suo sistema, intaccato da vizio fin dalle fondamenta, crolla appena scosso e si sfascia. Un altro caso d’ errore o anche d’impossibilità di giungere all’ intento sarebbe, se dalla data della Inscrizione in poi fossero avvenuti nella valle di Polcevera sconvolgimenti tali da modificare, non lievemente, ma quasi totalmente la configurazione del terreno. A questi due casi d' errore, che potrebbero covare entro il cardine o germe stesso della nostra dimostrazione, reca opportuno rimedio e controprova la felice riuscita della dimostrazione medesima, posto che la si possa ottenere. Perchè, se i tre punti da me fermati, oltre alfavere perfetta identità di suono coi nomi antichi, facciano conveniente e continuo riscontro colla posizione e natura dei luoghi intermedii antichi e moderni , e se la deduzione dell’ intero confine ne esca limpida e feconda di armonie locali e filologiche, allora la soluzione del problema si potrà considerare fornita di tutta la certezza desiderabile (*)• Giova anclic riflettere che qui si tratta di terreno magro c in altura; in cui non possono avverarsi que’ progressivi ma mollo notevoli interrimenti o scavi* clic si sa essere succeduti presso al mare o ai grandi fiumi. E se inoltre il terreno avesse varialo solo in altezza oppure anche con leggera deviazione nel verso orizzontale, ciò nulla affatto influirebbe sulla da me offerta soluzione. ( 537 ) TAVOLA DI POLCEVERA Raccoglietevi dunque meco ad esaminare i tre punti che vi sottopongo : 1.° Il nome di Polcevera non si può dubitare, né si é mai dubitato, che non risponda all’antico Procobera, che anche Porcobera vien talvolta scritto nella Tavola. Senonché questa ne accerta che il nome di Procobera di que’ tempi si dovea stendere anche alia parte del fiume che sta al di sopra del suo confluente coll’ Edo : laddove oggi per Polcevera intendiamo soltanto il fiume che sta al di sotto del confluente, al ponte e luogo denominato di Morgallo ; e chiamansi Verde e Secca i due fiumi prima che confluiscano per formare la Polcevera. Ad ogni modo noi, cercando dei punti e non delle linee, non temiamo di errare, tenendo per identico all* agro antico e moderno il sovraccennato punto di confluenza. Cosi i maggiori due fiumi che riunisconsi a questo punto chiamandosi di presente Secca e Verde, è chiaro che l'un di essi risponde all 'Edo, l’altro alla Procobera (ubi confluunt edus et procobera); e di ciò per ora ci contentiamo, riserbandoci più tardi a distinguere quale sia il nome che propriamente convenga a ciascuno dei due fiumi. Il 2.° punto é il Giovenzio (Joventio), chiaro riscontro del nostro monte Giovo; che é a tutti noto, passandovi poco al disotto la Via Nazionale e la Ferrata, che mettono da Ge- \ nova alla gran Valle del Po. 11-3.° punto per mio avviso é non meno chiaramente designato nell’odierno Pernecco, il quale come identico al monte P/ %enìco della Tavola verrà accettalo ila tutti e segnatamente da chi abbia almeno una tintura degli studi linguistici. Siffatto riscontro, non nominato dal Ch. Serra perchè ripugnante al suo sistema, era pure già stato suggerito prima di lui dall’ Acci-nelli ; e a chi mi obbiettasse chiamarsi Pernecco il fianco del monte non già la sommità, io risponderei che quella sommità TAVOLA DI POLCEVERA ( 538 ) oggi si denomina il Pizzo, parola, genovese equivalente a punta 0 cima ; dunque Pizzo di Pernecco vuol dire sommità del monte Pernecco. * Ora fìnattanto.ché due soli erano i punti trovati, il Giovo e il confluente della Polcevera, poteansi bensi questi legare insieme in una sola linea diretta da tramontana a mezzodi; ma le posizioni a levante e ponente rimanevano ancora ignote. Perchè, secondo la già toccata dimostrazione geometrica, quel piano o sezione resta in tale caso fermalo a que' due punti d alto in basso, ma a destra e a sinistra può ancora girare liberamente a guisa d’una cerniera. Facciamo però che un terzo punto sia determinato nella posizione di destra o di levante; appena il monte Prenico della Tavola s' imagini posarsi da questa parte ed incappellare T odierno Pizzo di Pernecco, ecco che l’antico e il moderno s'immedesimano ; ecco che tutto 1 agro resta fissato per questi tre punti cardinali, e tutti 1 singoli pezzi e termini del confine, come le maglie d’ una gran rete, devono prendere da sé il posto che richiede la descrizione della Tavola confrontata colla natura dei luoghi. Che del resto uno dei lati di questo triangolo dell’ agro pubblico, debba essere posto verso gli odierni Pernecco e fiume Secca, ne è anche prova il rinvenimento di questo Bronzo tra Pernecco e Isola (Isosecco) rimpetto a Pedemonte. Hammentale di grazia il confine intero, come io Ï ho tracciato per sommi capi. J1 monte Prenico sta nella porzione mista e di mezzo tra le altre due porzioni, la montuosa e 1 acquatile. II Giovenzio sta nel confine montuoso; in quello acquatico sta il confluente dell' Edo colla Procobera. Ciò posto, come il Pernecco À a levante del Giovo, cosi il-suo omonimo Prenico dee trovarsi & levante del Giovenzio. E coinè, scendendo dal Pernecco verso il confluente, il primo fiume che si trova confluire è la Secca, e subito dopo viene la Verde ; t ( 539 ) TAVOLA DI POLCEVERA cosi si deduce che la Secca debba rispondere all' antica Procobera ; non solo cominciando dal confluente come oggi, ma anche rimontando più in sù. Ed in conseguenza di ciò la Verde dee rappresentare 1' antico Edo. Toccherò più tardi dell' analogia di nome tra il fiume Secca e V antico suo influente il rivo Eniseca , e noterò quale sia il vero e proprio territorio della Secca e come possa essersi esteso questo nome a una parte più ampia del fiume. Frattanto chi ponendosi sul confluente si faccia ad osservare I' ampiezza del letto della Secca e 1' uniforme sua direzione col letto ulteriore della Polcevera, non istenterà a persuadersi che questi due tronchi superiore e inferiore portassero già un solo nome, e fossero considerati come il fiume principale. In quanto alla Verde, essa ci si palesa essere il fiume Edo, anche per rispetto al somigliantissimo nome il’Iso che conserva tuttora nella sua sorgiva (i buggi d'Iso) e nella parte più alta del suo corso (rio d'Iso) fino alla terra d'Isoverde. Si è appunto questa terra e parrocchia, che col suo nome composto Isoverde e colla sua postura segna il luogo ove Y antico nome d’ Edo o Iso si nasconde sotto il nuovo di Verde, che da indi in poi continua fino al confluente colla Secca (*). E che il nome d’ Edo o Iso in antico si convenisse anche alla parte inferiore della Verde e al territorio posto alla sua destra, sembrerebbe darne indizio il nome d'Isocorte che porta (*) Anche altri fiumi conservano all’origine il nome antico; per cs. il Gari-gliano o r antico Lii'i, e il Pescara che è l’antico Aterno. Il che del reste è naturale come dirò in seguilo. Il torrente ldice nell Emilia vicn denominato Jsex in un Itinerario. Anche nella Liguria transalpina, ossia nella Gallia meridionale, il torrente che or si chiama Lcz e da Avieno denominato Ledus: come Rhodu è ora Roscs. A questo indizio d’assimilazione dell’Edo coll’ Iso può fare difficoltà 1 osservazione clic il nome d’Jso si trova o almeno si trovava anche sull altro fiume della Secca (Isosecco)) ma colà v’ è nel solo significato di terra non di acqua; del che parlerò nella terza lettera. TAVOLA DI POLCEVERA ( 540 ) il monte vicino e la cui seconda parte (corte) forse addita la corte ( curia ) o luogo principale del territorio nel medio evo. La quale consonanza di nome del fiume coll' attiguo territorio vedremo più sotto anche nel fiume e monte Lemu-rino della Tavola, e vediamo ancora oggidì nelle fiumare e territorii di Nervi, Becco e molti altri delle nostre Riviere. Lo scambio d’Edo in Iso, della vocale e in i e della dentale t nella sibilante s è comunissimo fra i varii rami delle lingue e dialetti non solo giapelici (Indo-Europei) ma semitici: e può provenire da due cause o funzioni. Talvolta rivela il passare che fa un popolo dall' uno all’ altro dialetto o lingua affine ; talvolta non ha altro ufficio che d’indicare -le varie flessioni grammaticali d'un medesimo vocabolo. De' quali due casi sia esempio la stessa parola edo, presa qui però nel significato latino di mangiare. In tedesco si prende nello stesso significato, ma la si cambia in esse, nell’inglese in ^(pronunziato it), in sanscrito ada, in greco stia, in russo ida, in gallese o celtico propriamente ysu come il nostro iso. E senza cambiar lingua, ma solo mutando il tempo e il modo del verbo, il latino edo, diviene esi, esum, con simile sostituzione della sibilante alla dentale (*). Nel fiume Edo bagnava le sue falde il monte Lemurino, secondo la nostra Iscrizione la quale descrive questo Monte come una lunga costiera segnata a intervalli da quattro termini; e alla stessa costiera sul luogo ove é il terzo di questi termini si rannoda altra punta montuosa chiamata Procavo. Salendo dal Procavo al più vicino termine si raggiunge la cima del (*j Giova notare che la sillaba radicale della parola edo o eden nella Tavola non è già il den, come suppone il Serra per potervi affibbiare una delle sue etimologie celtiche; ma la radice è ed. Difalli la Tavola usa indifferentemente edus, edes, eden ecc., dunque la finale en non ò che una flessione grammaticale. (541 ) TAVOLA DI POLCEVERA Lemorino ; poi si trova un castello Aliano, poi un monte Giovenzio. Qui siamo giunti a un punto da noi conosciuto che è 1 odierno Giovo e qui dunque facciam sosta. Di questi nomi e luoghi cercandosi il riscontro da noi che ci troviamo ancora sulla Verde, non sapremmo in sulle prime quale scegliere tra i monti o dorsi che sì a destra, si a sinistra del fiume, quasi a gara ne offrono recarci per non interrotto cammino fino al noto Giovo. Senonché una semplice osservazione dà tosto il tracollo alla bilancia. I dorsi a sinistra della Verde , da qualunque di essi s; incominci, non contano soltanto quattro o cinque cime bastanti a raggiungere il Giovo, come richiede la via descritta nella Tavola; ma si svolgono per lunghissimo giro, ora sporgendo molto a tramontana per la sgonfiatura del monte Leco, ora ritornando a mezzodì per la Bocchetta. Laddove se noi pigliamo la destra del fiume Verde al di sopra della sua confluenza col Ricco, ci troviamo subito ai piedi d’una costiera che ben s’affa al nostro bisogno. È questa la costa, ora detta Salita della Bocchetta o di Lan-gasco, la quale di già con quest’ ultimo nome ci avverte, essere noi in terra di Langensi. Il termine che era a piedi del monte Lemurino vuol essere naturalmente figurato come esistente dirimpetto alla odierna cascina di Lavaggi, ove è il guado per tragittare la Verde ed è la strada che riunisce le antiche pievi di Langasco e Ceranesi. Salendo per la detta costa un certo tratto, la Tavola indica l’apposizione d’altro termine senza altri particolari ; or noi troviamo sul terreno una specie di gomito 0 piega irregolare , ove probabilmente fu posto questo termine per mantenere la dirittura o per togliere la dubbiezza del confine. Dentro e rimpetto a questa piega sta ora la chiesa parrocchiale di Langasco, dove possiamo supporre esistesse 1 antico castello dei Veiurii-Langensi : tanto più che questo luogo, sebbene al presente sottoposto ad altri micini nel civile TAVOLA DI POLCEVERA ( 542 ) e neir ecclesiastico, era pur nel secolo xn una capo-pieve (*) : per conseguenza più anticamente rlovea prevalere anche negli ordini civili, secondo una massima storica quasi generale. Continuando a salire , riconosceremo il monte Procavo (ove era un altro termine) nell’odierno Bricco Bastia che sfa quasi rimpetto alla terra di Pietra Lavezzara. Questo Monte si distingue dal resto della costa percorsa non solo per un maggiore rialzo a foggia di gobba o punta; ma anche perché il terreno gli si avvalla intorno da tramontana a levante per raccogliere un braccio d’acqua di cui più sotto parleremo, e che scende dalla ultima e vera sommità della costiera o monte Lemurino. E questa ultima e vera sommità raggiungeremo salendo per costa ancora un buon tratto, finche non ci siamo trovati sulla punta del Monte che sta a levante e a soppraccapo del passaggio stradale noto col nome di Bocchetta (**). (*) V. Nominata la pieve di Langasco in un documento del >273 nel Foglia zzo de' Notari mss. alla Biblioteca Civica, Voi. 1, pag. 2G9. Vedi anche nel Registro della Curia Arcivescovile di Genova, pag. 12 e 23 : In plebejo langusti e de langasco, clic appartiene al secolo xn. Atti della Società Ligure di Stona Patria, Voi. 2., yurte 2.a (**) Per risolvere più esattamente la quistione sul confine che corre su per la costa Lcmorina, avviso utile aggiungere uno schiarimento. Veramente, tragittando a sinistra della Verde al di sopra della sua confluenza col Piccò, si presentano non una ma due costiere, sulle quali potrebbe cader dubbio quale scegliere per la salita. Esse sono divise dal torrentello o piuttosto rivo detto di Langasco, o anche della Pioventina o Gioventina. La costa a sinistra è quella che adottammo noi e che reca a Langasco. La destra reca alla Parrocchia di Cesino. Ma entrambe si riuniscono in una sola costiera al di sopra della sorgente del detto rivo e prima di giungere al Bricco Bastia (ProcavoJ. Per me dunque sarebbe indifferente ammettere l’una o l’altra, cercando la verità più nelP insieme che nei più minuti particolari. Ma ho preferito la costa a sinistra: 1.° perchè corre più diritta al Procavo laddove Paltra dee fare un lungo giro; 2.» perché sulla sinistra passò sempre e passa tuttora la strada antica della Liguria;. 3.° perchè nel mio sistema l’agro pubblico è più ampio e non così serralo all'agro privato come nel- ( 5'43 ) TAVOLA DI POLCEVERA La via che vi feci percorrere lungo questa costa fu battuta per secoli fino ai primi anni della mia gioventù, sotto nome di strada della Bocchetta e come precipuo passaggio dalla Liguria al Piemonte e alla Lombardia; di presente ancora é strada provinciale. Io rammento ancora commosso i bei di, (piando al ricorrere degli ozi autunnali pigliavo di gran lena quella ripida salita, e mi batteva forte il cuore pensando che avrei presto riveduto 1’ ottima Madre mia e il longobardo campanile del mio San Giacomo. Prima che fosse aperto sullo scorcio del passato secolo il più comodo ed artificiale varco della Bocchetta dalla munificenza de’ Palrizii Cambiaso, questa strada dal Bricco Bastia in sù seguitava il confine della Tavola, incurvandosi colla costa a levante e toccando 1’ alta cima (*). Il nome nuovo di essa cima é abusivamente tolto dalla sottostante Bocchetta, ma il suo vero nome é quello di monte Reste e Pian di Reste, ed anche colla denominazione di Bastia delle Reste é più volte ricordata nelle carte del medio evo; ma in quest’ ultimo caso fa d’ uopo ben distinguere tale Bastia dal poco fa ricordalo Bricco Bastia, che vedemmo essere più sotto e corrispondere al Procavo della Tavola. È noto che le Bastie, frequenti in Liguria e fuori, accennano a bastioni o fortificazioni poste sui monti e varchi per guardare il passo dai nemici. l’altra ipotesi; 4.° perchè il confine resta assai più distinto avendo al di sotlo la Verde, ohe non avendo il rio Giovciitìna come succederebbe nella contraria ipolesi. (*) Lv espressione jugo recto della Tavola indica il doversi tenere diritto sul ciglio o costa, ma non è necessario che la costa medesima proceda in linea retta; il che credo non si verificherebbe in nessun monte; e qui in fatto la cosla s’incurva e si deve incurvare tra i due monti Procuvo e Lemurino sommo per dar passo alle acque interposte, comesi vede nella Carta dello Stalo Maggiore. È quasi superfluo aggiungere che in questa Carta la postazione rispettiva delle cime del-l’Appennino non indica la loro diversa altezza sull’orizzonte, ma sì la loro diversa sporgenza più a settentrione o ad altri punti cardinali (longitudine e latitudine). TA.VOLA DI POLCEVERA ( 544 ) E questi luoghi difatti come strategici sono spesso menzionati nelle storie militari di Genova (*). Da questa sommità deir Appennino la via non gittavasi subilo, come ora, nella valle del Lemo ma s'inoltrava a tramontana lungo uno sperone laterale che divide le acque della Serma e del Lemo : passava dinanzi alla chiesa parrocchiale di Fiaccone, indi scendeva nella valle del Lemo, e per gli antichi luoghi di Voltaggio e Gavi metteva alla pianura del Po. Noi però non dobbiamo inoltrarci su questo sperone che ci dilungherebbe dai punti per noi fìssati. Teniamoci invece sulla catena Appennina lungo il ciglio ondeggiato che divide le acque correnti quinci e quindi, al mare ed al Po. E siccome nella Iscrizione dopo il Lemurinus summus viene un castello Aliano e poi il monte Giovenzio; cosi quest’ultimo nome c’ insegna che il nostro cammino pel ciglio dee volgere da quella parte ove si possa più presto raggiungere il monte Giovo; cioè quella cima che sta a sopraccapo, ma un po’ più a ponente, della presente salita della Via Nazionale, chiamata aneli' essa la Salita del Giovo. Non trattasi dunque che di vedere fra le punte della Bocchetta e del Giovo quale possa (*) Nell’indice dei preziosi documenti raccolti dall’ Anonimo Agcno vi 6 questo estratto « Bocchetta ; mons oìim Bestae; bastia reparata 143G. In un mss. di ordini del Duca di Milano che si conserva nell’Archivio Capitolare di Tortona vi è una Grida, che vieta passare pel monte Loco andando o venendo da Genova; ma clic si debba lenere invece la sira da pel monte Resto o l’altra verso la Castagnola (clic mette.in Val di Scrivia), sotlo pena di soldi 40 i quali saranno scossi per lo Podestà di Voltabbio e per li provvisionati della Bastia di Resto e per lo Castellan ti Fiaccono (23 agosto 1496). In un privilegio del 1198 concesso da Papa Innocenzo ni Vescovi di Tortona, fra i confini di quella Diocesi è annoveralo Hospitale. Restar, che dovea essere sul nostro monte di Reste e probabilmenlc presso la Chiesa di S. Gregorio di cui appare tutiora qualche traccia. Sappiamo infatti da documenti che Gavi prima del secolo xin apparteneva alla Diocesi Tortonese come pieve e allo stesso Comitato negli ordini civili. ( 545 ) TAVOLA DI POLCEVERA essere la posizione intermedia ove collocare il castello Aliano. Ora e sul luogo e anche sulla Carla dello Stato Maggiore incon^ triamo quivi una cima chiamata Montalto, dalla quale si scorgono benissimo a destra e a sinistra le due punte suddette; perciò crederemo che sul Montalto fosse il castello Aliano come uno dei soliti ridotti, ben situato a vanguardia dei Langensi. Passiamo ora al monte Giovo e qui giunti soffermiamoci a riprender lena per 1’ultima peregrinazione che rimane a fare lungo il confine montuoso ; e mentre assisi sulle molli erbe beviamo a larghe boccate l’aria viva e salubre, consentitemi alcune considerazioni sul cammino già fatto. Avete sentito che la strada della Bocchetta giunta alla sommità si gitta pel fianco opposto nella valle denominata del Ideino dal fiume che la bagna. Codesto fiume di Lemo non vi ha fatto correre al pensiero il fiume Lemori della Tavola? L’identità del nome é sorprendente e 1’ Accinelli con altri ci sono incappati ; ma 1’ odierno Lemo scende sul pendio settentrionale a metter foce nell’ Orba, laddove il Lemori versava dall’ opposto e meridionale pendìo le sue acque neir Edo o Verde. Onde è evidente che questi due fiumi non possono essere identici. Di fatti vi mostrerò più sotto che V antico Lemori risponde all’odierno torrente Ricco, un di cui ramo (e forse il maggiore) scende dal monte della Bocchetta sotto il nome di lliasso (gran rivo), ed è quello stesso ramo che già notai formare 1’ avvallatura fra questo monte della Bocchetta e il Bricco Bastia di Pietra Lavezzara. Ciò posto ne sorgono due bei riscontri : 1.° Il monte Lemorino con tutta la sua costa e i suoi due piedi tuffati nella Verde resta fiancheggiato dal lato destro dal torrente Lemori o Ricco; così i due, Lemurino e Lemuri, fiume e territorio aveano un solo nome ed erano una sola cosa; come 1’ attigua Verde o Iso colle sue terre d’Isoverde e ìsocorte TAVOLA DI POLCEVERA ( 546 ) poste aneli’esse alla destra e al di là del fiume avrebbero formato un altro composto di terra ed acqua sotto un solo nome, come notai d’ altri luoghi moderni. 2.° La sommità del monte Lemurino si troverebbe essere il comune principio del Lemo moderno e del Lemori antico, versanti le loro acque sui fianchi opposti. Del quale notevole fenomeno abbiamo pure esempi nei popoli tutti che meglio portan l’impronta dell’ antica origine e segnatamente nelle Alpi e in Liguria, anzi a pochi passi di qui ove stiamo seduti. Perché dal monte Giovo scendendo le acque, si formano presto in due torrentelli, di cui l’uno s’avvia nella Seriola a B usai la pel fianco settentrionale e chiamasi la Miglìarese; l'altro scende al Bieco pel fianco meridionale e nomasi la Migliarino,. Il nome di Joventio (Giovenzio) non credo che provenga da jugum quasi giogo di monte, ché allora a tutte le cime m converrebbe; come di fatti in senso generale di ciglio di monte la parola jugum si usava allora e poi in tutto il medio evo. Dunque il nome Joventio ha qui una speciale derivazione e forse allude ad un tempio di Giove, che fosse quivi innalzato a tutela del confine comune e consecrato alla religione dei varii popoli circostanti e probabilmente tra loro cognati, come toccherò in appresso. Del quale costume, comune del pan al culto pagano e al cristiano, basti per ora addurre un solo esempio nel San Bernardo già detto Monte Giove ( )• Prima ancora di rimetterci in via, noi possiamo di qui compiere coll’ occhio il giro del confine montuoso. Difatti la Tavola ci fa passare dal monte Giovenzio al monte Boplo o Appennino e dal Boplo al monte Tuledone. E non alti imenti (*) Vedremo nella 2/ lettera come i confini di più popoli fossero, luoghi religiosi, tempii, boschi sacri ecc.; cosicché sacro e pubblico o compascuo si consideravano sinonimi. Anche l’essere scritto Joventio e non Juventio conferma la derivazione da Jovem più clic da jugum. ( 5\1 ) TAVOLA DI POLCEVERA il nostro sguardo spingendosi avanti sul luogo o sulla carta geografica scopre nella catena appennina al di là del Giovo due alte cime; dapprima il monte Pesalupo, poscia il monte Foea che rannodasi all' antecedente per mezzo dell’ altipiano ove é il Santuario di N. S. della Vittoria. Il Foea deriva forse il presente suo nome dai faggi onde era rivestito e che si chiamano in genovese Fo ; cioè Fagyiaja o, come si dice negli Appennini toscani, Faggiola. I fianchi di quest' ultimo monte s' allargano trasversalmente al ciglio finora percorso ; da una parte si bagnano nella Scrivia, ma chi scende dalla parte opposta e meridionale si trova pervenuto al torrente di Voir è o Vojè, che vedremo essere il fine della porzione montuosa e il principio del confine misto (*). (*) La più difficile parte di questo confine montuoso, dal monte della Bocchetta al Santuario della Vittoria, fu verificaia dal mio amico Alessandro Wolf instancabile indagatore di luoghi e di documenti. 11 quale riconobbe appunto che il Montalto ha un bel ripiano sulla sommità ed è in ottima posizione per vedere dalle parli opposte la Bocchetta e il Pesalupo, e poter così servire di termine intermedio. Lo stesso si recò anche a Busalla, e per la squisita cortesia di quel Segretario Comunale Signor De-Ferrari potè vedere e prender copia di documenti inediti e tipi importanti per le quislioni di confini Ira Busalla e i Comuni di qua dell’Appennino. In essi è descritto tutto il ciglio e il pendio settentrionale compreso nel Comune di Busalla, e da uno di questi documenti in data del 1 fioC apparisce che un luogo detto Aliano o Fessarcllo esisteva già sullo stesso pendìo a tramontana ma un po’ più a ponente del monte Pesalupo. Da tale descrizione appare che questo Aliano non può essere identico con quello della Tavola, il quale dovea essere sul ciglio appennino c non sul pendìo, ed inoltre dovea essere ancora più a ponente al di là del monte Giovo; ad ogni modo l’uno non poteva essere gran che lontano dall’altro; e forse tale coincidenza di nomi non è casuale, ma elìetto di trasporti o resto di più estesa denominazione, come diremo di simile fenomeno nel Manicelo. Rilevasi dai medesimi documenti che in quel secolo xvii la strada del Giovo passava più a levante della presente Via Nazionale, ossia più vicina al monte Pesa-lupo, e scendeva a Busalla, avendo a destra il monte Capellin, che è uno sperone settentrionale del Pesalupo, e alla sinistra il rio delle Levrere che è un influente della Migliarese sovra accennata. Ivi era un Monastero iniito’alo a N. S. della TAVOLA DI POLCEVERA ( 548 ) La Tavola olire qui un’espressione singolare e contraria all uso comune; dà il nome d'Appennino incominciando soltanto dal Boplo e ciglio successivo fino al Tuledone, mentre 01 a si sogliono nominare Appennini anche, i precedenti monti Bocchetta, Montalto e Giovo, come spettanti alla medesima catena piincipale. Se voi me ne chiedete il perché, io non *sapi ei rispondervi, se non col ricordarvi il geografo Strahone nato circa mezzo secolo dopo la data deir Iscrizione ; il quale uarua, o\c fu scritto J’allo di tracciamento di confini contenuto neir anzidetto ocumento del 16o6. Si noti che il monte Cappellin e il Pesalupo sono scritti nella -aita dello Stato Maggiore al rovescio della vera loro posizione. Il nome di Pesu-lupo appartiene al monte che è sulla catena principale dell’Appennino. II Capellin di dietro o a tramontana, formando, come dissi testò, uno sperone laterale. Si 110,1 *)mc (*1C Cappellin acquista più sotto il nome di Poggio, donde pro-\cii-ono più famiglie di tal cognome. Forse, come toccherò nella terza lettera, questo moderno nome di Poggio ha qualche attinenza col nome antico di Boplo che avea l’attiguo Pesalupo. Io non voglio dissimulare una obbiezione che potrebbe farsi alla mia interpretazione del confine d.illa Bocchetta al Pesalupo. La Tavola dopo nominalo il monte Lemurino prosieguo; inde susum jugo recto in castelum Atianum; inde susum jugo ledo in montem Juventionem; inde susum jugo recto iil Apennmum. qui locatur Boplo. Da ciò a prima fronte parrebbe doversi inferire che salendosi sempre susum dall uno all altro monte, il secondo debba essere più alto del primo, il terzo del secondo t va dicendo; formandosi così una progressione d’ altezza crescente. E ciò si \erifica infatti salendo dal monte Procavo ai Lemorino; ma appunto perchè si verifica nel fatto, è espresso anche nella Tavola in modo da non poterne dubitare, giacche la sommità del monte Lemorino ha lo stesso nome che ha la più bassa sua falda. Ala questa necessità non apparisce negli altri monti. Crèdo non probabile tro\are in I ole e vera tal numero di monti così cavalcali e senza che li separino correnti d acque come richiede la Tavola; ciò poi ò impossibile entro il triangolo da me assunto fra il Confluente, il Giovo e il Pernecco. L obbiezione si scioglie a questo modo. Sebbene la cima del Giovo invece di crescere in altezza da quella della Bocchetta diminuisca, ad ogni modo vi ha sempre un ondeggiamento, una gola, una parte più bassa tra le due cime; per guisa che passando dall’una all’altra si scende dapprima, ma poi fa duopo risalire. Per-C‘ la Tavo,a> sfondo la voluta brevità, nota solo la salita che mena diritto al termine posto sulla cima ultima nominata. '( 549 ) TAVOLA DI POLCEVEIIA fa cominciar gli Appennini da Genova (*). Osservale invero sulla caria geografica come il ciglio montano che dalla Bocchetta movendo al Giovo e al Pesalupo teneva la direzione di setten-trion-levante, appena raggiunge il Pesalupo, bruscamente si pieghi quasi ad angolo retto e si prolunghi a mezzodi-levanle per la cima di Creto, donde manda un contraffarle al monte Sperone fin sopra Genova. Non pare egli dunque che la Tavola concordi con Strabone ponendo il principio dell’Appennino in questa piegatura di catena dal Pesalupo a Genova? La quale catena riprende al monte Creto la solita direzione di levante, e corre a rannodarsi cogli Appennini di Lunigiana e di Toscana. Checchessia di ciò,-ormai rimettiamoci in via, facendo colle gambe quel tragitto che col pensiero e sulla Carta avevamo già delineato, dal Giovo al Foea e 'dal monte Foea scendendo giù per fianco fino al torrente di Voirè ove comincia il confine misto. Nel nome di questo torrente in cui ora ci tuffiamo non è diffìcile riscontrare il nome e 1’ esistenza del Flovius Veraglasca della Tavola; giacché separando la desinenza asca comune ad altri torrenti ed astraendo le lettere di mezzo gl (sien desse eufonia o nesso grammaticale, chè non deciderò) rimane la radice Vera come nome proprio del torrente, e questo è chiaramente traducibile nel genovese Voirè o Vojè.- E possiamo affidarci all’identità dei nomi Voirè e Veraglasca con tanto maggior ragione, in quanto a questo torrente seguita sul terreno il luogo -di Pernecco, come nella Tavola al Veraglasca tien dietro il monte Prenico; i quali due nomi, Per- (*) Geograph. iv, 6, 1. Appenninus a Gemici incipit: e v, 1, 3. Genuam Ligurum emporium quo loco Appenninus Alpibus committitur. Qui potrebbe anche citarsi, sebbene meno calzante, il passo di Livio lib. xxi, 54, dove chiama i luoghi posti verso le origini della Trebbia /oca Alpibus, Appenninoquc interjecta. Ora le origini della Trebbia sono a Torriglia, sui monti non lontani da questa stessa catena del Pesalupo. TAVOLA DI POLCliVEKA ( 550 ) necco e Prenico, vedemmo essere senza meno identici e formare 1 ultimo de' nostri tre punti cardinali. Senonchè nella Iscrizione troviamo inserto tra il Veraglasca e il Prenico un Mons Berigiema infimus che abbisogna di spiegazione. I termini piantati qui non sono che due; il secondo sulla cima del Prenico, il primo al basso nel fiume l e raglasca ; ma questo non può essere naturalmente posto entro il fiume medesimo, si sull’una delle due rive. La Tavola ci avverte che esso termine non fu piantato nè alle radici del Monte Foea sulla riva destra, né a piedi del monte Pernecco sulla riva sinistra ; e che fu invece piantato alle radici di un terzo monte detto Berigiema il quale, essendo nominato dopo il fiume Veraglasca, deve essere situato tra il torrente \ oirò e il monte Pernecco. Ora questo monte intermedio non può essere che il così detto Bricco di Terzane, che dalla catena appennina spinge 1' estremo suo lembo tra il torrente di Voirè e il suo influente di Cassine. A chi mi chiedesse il perché la Tavola non fa menzione di quest’ultimo influente, che pur ci dovea essere (giacché due monti vicini, senza un rivo che li separi, specialmente al basso, sono inconcepibili), si potrebbe rispondere, che il termine sebben posto sull’ estremo lembo del Bricco di Terzano, figura nella Tavola come se fosse piantato nel contiguo torrente di Voirè dove é veramente il confine. Quindi l’uomo che percorre questo confine vede e tocca il termine che é sul lembo del Bricco, ma non passa per quel lembo nè pel rivo seguente; perché guada il torrente Voirè e piglia subito la salita di Pernecco. Per compiere il confine misto e con esso tutto il giro, ridiscendiamo il Pernecco ma dal pendio opposto a quello onde salimmo ; ci troveremo nel torrente detto di Pernecco o di Ciaè. Passatone il guado risaliremo la costa di faccia che di- ( 551 ) TAVOLA DI POLCEVERA cesi di Carrée-, giunti alla cima, percorriamone alquanto il ciglio fino a posarci sul cosi detto monte Ciazzo. Donde scendendo 1' ultima volta, troveremo sul pendìo una fontana che si chiama d'acqua fredda tra le regioni dette di Casuzza e dei Loi. Questo fonte è perenne e ricco d' acqua con bella cascata : e queste acque furono in parte raccolte e incanalate, ad allegrare colla loro freschezza e salubrità la sottoposta villeggiatura de' Marchesi Negrotto. Siamo qui dunque pervenuti al fonte che é il principio del confine acquatico, e su cui deve segnarsi il primo termine del-1' agro pubblico secondo la convenuta numerazione. Vien giù dal fonte un rio detto ora di Ciazzo o Da/figo, il cui corso seguitando, sbocchiamo nel fiume Secca; e notiamo il secondo termine al confluente di essi rivo e fiume : indi continuando lungo il fiume Secca, troviamo il terzo termine al confluente di questo fiume colla Verde verso il ponte di Morgallo. Ma non abbiamo ancora dichiarato, dal Pernecco in poi, quali nomi antichi riscontrino i nuovi che trovammo sul terreno. Il torrente di Ciaè o di Pernecco è l’antico Flovius Tuielasca; la costa di Carrée detta anche di Rustegazzo risponde al giogo Blustiemelo ; il monte Ciazzo al Claxelus; la fontana d’acqua fredda al Fons Lebriemelus ; il rio Ciazzo o Da/ftgo al Rivus Eniseca che sboccava nella Procobera (Fiume Secca). Anche qui non ci fa difetto qualche somiglianza di nome. Se Ciazzo e Loi possano avere affinità cogli antichi Claxelus e Lebriemelus indagherò più tardi. Ma credo importante di additarvi fin d’ora, che l’antico nome di Tuielasca, dedotta la solita finale asca o l-asca, si assomiglia a quello dell’ odierno monte Tulio (*) di cui bagna le falde e che è situato più in sù, ma in continuazione alle creste di Rustegazzo e Ciazzo. (*) Da questo Monte traggono origine e cognome le famiglie Tallo genovesi. TAVOLA DJ POLCi:Vi:HA ( 552) Ora abbracciando d' 1111 colpo d'occhio sulla carta geografica la posizione relativa de' luoghi moderni rispondenti agli antichi, intendiamo subito il perchè questo confine sia misto o alternato di monti ed acque. Gli è che, dal monte Foea in avanti, il confine abbandonò la catena principale appennina, per cui sarebbe riuscito a Creto o anche a .Genova ; e prese invece a costeggiare il fianco occidentale della stessa catena, per poter ritornare al fonte e ai fiumi donde avea cominciato il giro. Ora da esso fianco occidentale si diramano più speroni trasversali intersecati da corsi paralleli d' acque mr il che porge la ragione di co-desto saliscendi ripetuto, e ci rende l'immagine di costole ed arterie che mano mano si spicchino dalla spina dorsale appennina. Conchiudo colla numerazione dei termini nuovi che potrebbero sostituirsi agli antichi ; e ciò sarà il compendio e la ricapitolazione dell'agro pubblico. Dal confluente ove trovammo il terzo termine si corre lungo la Verde a porre il quarto alle falde del monte Bocchetta (già Reste) rimpetto ai Lavaggi. (Lemorino infimo).* Il quinto va più in sù sullo stesso Monte forse rimpetto alla chiesa dì Langasco. Il sesto sul Bricco Bastia (Procavo), rimpetto a Pietra Lavezzara. Il settimo sulla sommità del monte Reste a levante del Varco della Bocchetta (Mons Lemurinus summus). L'ottavo sul Montalto (Ca-stelus Alianus). Il nono sulla punta del Giovo, che sta a sopraccapo e a ponente del Varco detto anch' esso del Giovo sulla Strada Nazionale (Mons Joventio). Il decimo sul monte Pesalupo (Boplo), da- dove passando pel santuario della Vittoria si giunge al monte Foea (Mons Tuledon). Qui è 1'undecimo termine ; poi si abbandona il ciglio appennino che è qui denominalo Costa dei Fontanili; e si discende nel torrente Voirè (Veraglasca) ove è il duodecimo termine ai piedi del Bricco di Terzano; si sale sul Pizzo di Pernecco ove è il tredicesimo termine (Mons Prenicus). Si ridiscende nel tor- ( 553 ) TAVOLA DI POLCEVERA rente di Ciac (Flovius Tulelasca) ove é il quattordicesimo. Si risale per la costa di Carree o Rustegazzo (Jugo Blustie-melo) pervenendo al monte Ciazzo■ (in montem Claxelum); qui è posto il quindicesimo termine; e scendendo al fonte à' Acqua fredda (Lebriemelo) si ritrova di nuovo il primo termine e il cominciamento del confine. > •. II, • Se vi paja aggiustata l'applicazione- dell'agro pubblico dei Langensi al presente territorio della Poiccvera, nè vi sia grave passar meco all' esame dei termini dell' agro privato, compiacetevi. di seguirmi, e spero ne avremo ad uscire con molto minore fatica : essendo questi termini assai più pochi e raccostati, e tutto il confine di sua natura semplice e quasi prettamente acquatile. Oltreché già conosciamo l'Edo e la Procobera, che anche qui, come nell’agro pubblico, sono la parte più importante, anzi il cardine del confine. Quindi é che col solo leggere attentamente la descrizione, che dà la-Tavola, di esso confine, e cercare nella nostra mente di formarcene un idea adequata, ci avvediamo tosto che le sue singole parti hanno fra loro delle relazioni logiche e chiare, e che l'insieme ci si presenta abbastanza intelligibile, anche prima che se ne cerchi 1' applicazione sul terreno odierno. Poniamoci alla prova, avvertendo che anche qui per maggiore chiarezza ed uniformità invertiremo un pò 1' ordine dei confini della Tavola, numerando i termini di mano in mano che si presentano. Se dal solito confluente ci dirigiamo lungo il fiume Edo, dobbiamo trovare in qualche punto lo sbocco di un rivo che nella Tavola è denominato di Manicelo, e che scende da una fontana dello stesso nome. Che se per contrario dal confluente TAVOLA DI POLCEVEHA ( 554 ) solito ci dirigeremo lungo il fiume Procobera, dobbiamo trovare Io sbocco di un altro rivo denominato di Vinelasca. Scegliamo la prima direzione. Giunti allo sbocco del rivo di Menicelo e qui posando il primo termine, rimontiamo il corso del rio sino alla fontana omonima dove sarà il secondo termine ; indi proseguendo il cammino per linea retta, dobbiamo, secondo la Tavola, trovare dapprima due termini (3.° e 4.°) che serrino in mezzo una via detta Postumia, poi un rivo il cui corso seguitando, riconosceremo essere desso il già nominato rivo di \ inelasca, che sbocca nella Procobera ; e a questo sbocco porremo il quinto termine dell’ agro privato. Da questa descrizione emerge chiaramente : 1.° Che i due rivi di Manicelo e di Vinelasca si ravvicinano per le loro origini o corso superiore ; 2.° Che essi due rivi stanno dunque su di un piano inclinato di cui bagnano i pendii opposti : in altre parole qui si tratta di un solo monte o colle , dalla cui cresta scendono da una parte il rio di Manicelo, dall’altra quello di Vinelasca; 3.° Che cosi, i due termini del rio e fonte di Manicelo, i due termini della Postumia e il quinto al basso del rio di Vinelasca segnano una linea di confine non interrotta, che é come la base di un triangolo la cui punta sia il solito confluente ; 4.° Che la via Postumia essendo serrata tra due termini in linea retta cogli altri tre ed essendo situata tra i due rivi opposti , certo dovea trovarsi sulla cresta del monte o rasentarla e procedere in direzione traversale ai detti rivi ; 5.° Che tra i corsi superiori di essi rivi non poteva esservi né grande lontananza, nè tanto meno ostacoli (tranne la Postumia ), né frastagli d' altre acque. Questo è adunque uno dei lati del confine dell’ agro privato ed è segnato da cinque termini. ( 555 ) TAVOLA DI POLCEVERA Altri due lati non hanno bisogno di termini, essendo segnati dal corso naturale dei fiumi. Difatti dallo sbocco del rio di Manicelo nell’ Edo continuando lungo e ritroso quest’ ultimo fiume, troviamo che influisce in esso un altro fiume chiamato Lemori, e proseguendo a risalire il Lemori troviamo in qualche punto lo sbocco d’ un rivo denominato di Comberana, ove di nuovo ricompare un termine, e qui finisce il secondo lato del confine. In simile modo pigliando il fiume opposto di Procobera dal punto ove sbocca il rio Vinelasca e procedendo a ritroso del fiume, troviamo che influisce in esso un altro fiume denominato JSeviasca, e proseguendo anche a ritroso di questo, ci abbattiamo nello sbocco d’ un rivo detto di Vindupale, ove ricompare un termine e finisce il terzo lato del confine. Non rimane che a determinare il quarto lato : e questo si trova descritto nella Tavola molto analogo al primo lato. Perocché esso è segnato da quattro termini che formano presso a poco una linea retta: due dei quali già li vedemmo, uno cioè allo sbocco del Comberana nel fiume Lemori, dunque dalla parte dell’ Edo ; T altro allo sbocco del rio Vindupale nel fiume J\e-inasca, dunque dalla parte della Procobera. Questi sono opposti ed estremi : gli altri due termini intermedii serrano anche qui' la via Postumia come nel primo lato; e anche qui per tracciare il confine si dee rimontare dal basso all’ alto del rio Comberana ; poi cammin facendo si devono trovare i due termini di qua e di là della Postumia, poi entrare nel corso superiore del rio di Vindupale e con esso sboccare nel Neviasca. Dunque anche qui la via Postumia corre in mezzo ai due rivi e in direzione a loro traversale, dunque passa sulla cresta o pressapoco dello stesso monte o colle che abbiamo già notato nel primo lato del confine : e anche qui i due rivi devono ravvicinarsi pel loro corso superiore senza interposizione di TAVOLA DI POLCEVERA ( 556 ) altre acque od ostacoli, tranne la Postumia. Giova notare che, secondo la Tavola, questa regione alta in cui le origini dei due rivi si. ravvicinano é una convalle e si denomina Convalle Caeptiema. Venendo noi dalla Procobera nel fiume Neviasca, numereremo il sesto termine al basso del rivo Vindupale ; da esso ascendendo sulla cresta poseremo il settimo e Y ottavo di qua e di là della Postumia; indi scendendo pel rivo Comberana troveremo il nono ed ultimo allo sbocco nel fiume Lemori, donde per Y Edo possiamo 'compiere il giro e ritornare al primo termine o anche al solito confluente. In poche parole si scorge che questo confluente forma come la punta di un promontorio , sporgente sui quattro fiumi che quivi hanno il comune punto di riunione : che la superficie deir agro privato si stende sui due fianchi di questo promontorio da fiume a fiume per lunghezza, ma per larghezza è limitata dai rivi e termini segnali di sopra : che la via Postumia iovma come la groppa del promontorio e divide Y agro privato in due parti. Ora che abbiamo pienamente vedute le condizioni logiche deir agro privato antico , facciamo di applicarle al moderno , recandoci sul luogo o tenendo fra le- inani una buona carta disegnata a grandi proporzioni. Poniamoci al solito gran confluente che forma la Polcevera. Sappiamo già che la Procobera è Y odierno fiume Secca, che s.ta alla nostra destra o a levante. Così T Edo è Y odierna Verde che sta alla sinistra o a ponente. Il terreno di mezzo... ma voi mi precorrete col pensiero, segnando col dito sulla carta la lunga e alta costiera interposta ai due fiumi, come quella che riunisce tutte le condizioni dell’ agro privato richieste dalla Tavola. Questa costiera che .manda i suoi rivi per gli opposti fianchi ai fiumi suddetti, or si denomina di San ( 557 ) TAVOLA DI POLCEVERA Cipriano dall’ ivi posta antica chiesa pievana dedicata al Santo di questo nome. Lungo o presso il ciglio di essa corre tuttora una strada non buona ma pur comunale, che dalla Chiesa e Comune di San Cipriano conduce a tramontana alla Chiesa e Comune di Serra, e quindi s’inoltra a varcar 1’ Appennino per raggiunger Busalla' e la Valle di Seri via. Questa strada moderna ci rappresenterà la Postumia nel tratto almeno compreso fra i suddetti quattro termini 3.° 4.° 6.° 7.° Passiamo ora ai fiumi. 11 Lemori influente nell' Etlo non può essere che il torrente Ricco che sbocca in Verde : non tanto perchè il Ricco ne è il più grosso influente, ma più perchè esso è il più vicino dalla .parte della costiera predetta, per guisa da potersi legare con un solo rivo ai termini della sommità per ove passala Postumia, senza incontro d’altri termini o incidenti. Similmente il fiume Ncviasca influente nella Procobera, non può essere che Y odierno torrente detto di Serra dalla sovrapposta chiesa pievana e Comune testé indicati. Perché questo torrente scorre sotto al fianco della costiera opposto a quello ove scorre il Ricco; e come il Ricco sbocca nella Verde, cosi il Serra è un influente della Secca. E come il Ricco è il più vicino da una parte della costiera per guisa da potersi legare alla sommità con. un solo rivo, così anche avviene del torrente Serra dalla parte opposta. Qui poi si aggiunge altra ragione. Tre sono i torrenti che influiscono verso questi luoghi nella Secca, anzi la formano qui per la loro congiunzione, non essendovi superiormente fiume o altra acqua che si chiami Secca: il che giova avvertire per quel che dirò in seguito. Di questi tre influenti il più vicino alla' costiera vedemmo essere il torrente di Serra; poi viene quello di Voirè; ultimo quello di Pernecco. Ora per gli ultimi due, oltrecchè un loro rivo non potrebbe rimontare alla costiera senza traversare il tor- TAVOLA DI POLCEVERA ( 558 ) rente Serra, c’ è di più che i torrenti di Voirè e di Pernecco sono già compresi nell' agro pubblico sotto i nomi di Veraglasca e di Tuielasca. Di che si vede che 1' agro pubblico essendo compreso fra i torrenti di Pernecco e di Serra, stringe ed abbraccia a levante 1’ agro privato ; non altrimenti a ponente 1' agro pubblico dal Monte della Bocchetta giungendo fino al Biccò (ossia il Monte Lemurino fino al fiume Lemuri) stringe ed abbraccia 1 agro privato da questa parte ; da mezzogiorno anche il privato é cinto dal pubblico al di là dei due rivi di Manicelo e Vinelasca; perchè è agro pubblico il confluente e la punta del Promontorio che ora formerebbe all' incirca le parrocchie di Morgo e di San Quirico. E non meno da settentrione 1 agro privato al di sopra dei due rivi di Comberana e Vindupale deve essere cinto dal pubblico e steso pei monti Giovo, 1 csa-lupo, Foea, a cui dee necessariamente far capo la via Po stumia dopo aver attraversato l'agro privato. E così infine tutto T agro privato è serrato dal pubblico tutto all intorno come da una cornice. Non rimane che a determinare più esattamente la posizione del limite settentrionale e meridionale dell’ agro pinato, i quali limiti già sappiamo essere i quattro rivi surriferiti, ma occorie di trovarne 1' odierno riscontro. E qui la bisogna come ognun vede è difficile , trattandosi di piccole acque facili a \ariare * Tnf e non riconoscibili senza il segno materiale del termine, tavia il modo romano di segnare i confini fu sempre cosi saggio e riciso, come già sappiamo, che anche qui non falliranno i caratteri naturali che suppliscano ai mancati tei mini. Ed invero abbiamo dapprima un fonte come avevamo nell' agro pubblico. E come colà avevamo trovato la ricca sorgiva che dà l'acqua ai Marchesi Negrotto, cosi qui dal confluente rimontando la Verde quasi fino alla sua congiunzione col Bieco ( 559 ) TAVOLA DI POLCEVERA troviamo la Stazione della Ferrovia e la grossa terra di Ponte-decimo nutrite da un ricco canale d'acqua, che scende da una fontana sul pendio occidentale della costa di San Cipriano nella villa del March. Orso Serra. Dal fonte medesimo discende un rivo che sbocca nel Ricco passando sotto la Stazione della Ferrovia e ha nome rio del Baracchino ; questi rio e fonte saranno il riscontro dell’ antico Manicelo. Nel letto stesso del rivo , o assai presso, passa la strada comunale che sale da Pon-tedecimo alla chiesa di San Cipriano, o più propriamente alla Cappelletto, posta alquanto più a meriggio di essa chiesa. Qui la strada si biforca : un ramo volge a tramontana passando alla chiesa pievana, e continuando lungo o presso la cresta va a raggiungere la chiesa di Serra e l’Appennino; e questa rappresenta 1’ antica Postumia. L’ altro ramo prosiegue la prima direzione a levante, scendendo pel fianco opposto a quello ond’ era salito e finisce nel fiume Secca. Anche questa è strada comunale e nello stesso tempo è letto di un rivo che sbocca nel fiume Secca ; ed ha inoltre il nome speciale di rio della Secca. Riflettendo su questi dati riconosceremo che, posto il primo termine al basso del rio del Baracchino, il secondo deve essere alla Fontana del March. Orso Serra; il quinto cade al basso del rio della Secca, che corrisponde all’ antico Vinelasca. Restano gli intermedii, il terzo e quarto termine che si devono trovare sulla cresta tra i due rivi del Baracchino e della Secca, e propriamente sul luogo detto la Cappelletta, a meriggio e vicino alla chiesa di San Cipriano ; e così anche tutti i primi cinque termini si trovano sovra una sola linea che taglia dal fiume Verde a quello della Secca. Questo è il limite meridionale dell’ agro privato, cioè verso il confluente e il mare. Per trovare il limite settentrionale o a monte, ripetiamo in pratica il cammino fatto colla mente nella descrizione della Tavola. Dal fiume Secca TAVOLA DI POLCEVERA ( 500 ) passando a quello della Serra, più sono i rivi che scendono in questo dall’ alto, della costa di San Cipriano ; ma notevoli sono due che si incontrano -subito dopo la chiesa di Pedemonte, il primo detto rio di Preio, il successivo detto della Pria o Pietra, che divide la parrocchia di Pedemonte da quella di Serra. Salendo su per 1’ uno e 1' altro di questi rivi alla sommità della costa, si trova ivi un notevolissimo abbassamento di 10 a 15 metri tra due rialzi, che danno appunto a questo luogo Y idea d’ una convalle. I due rialzi si chiamano i Bricchi di lìouero e di Martino. Or come due rivi dalla parte onde venimmo cadono nel fiume Serra, così altri due rivi cadono dal pendio opposto nel fiume Piccò. Di questi ultimi il primo a meriggio si chiama rio dei Campi, il successivo è il rio della Scabbia. Cosi qui noi potremo porre la Convalle Cacptiema tra i Bricchi di Povero e Martino : ma non saprei ben decidere sulla scelta da farsi di due tra i quattro rivi suddetti. 11 maggior rialzo del Bricco Martino e la divisione dalle parrocchie nel rivo della Pietra ci persuaderebbero a considerar questo come il riscontro dell’ antico Yindupale, onde il rivo Comberana sarebbe il presente rio della Scabbia. Ma d’ altra parte al rivo Comberana sarebbe più filologicamente affine anzi identico il rivo inferiore detto dei Campi: forse anche fu già ivi un solo rivo per parte, che si è poscia diviso in due per Y ondeggiamento del terreno nel mezzo della Convalle. Ad ogni modo non é nostro pensiero di disputare un po più o un po meno di terreno , ma solo di rinvenire entro certi limiti la rispondenza. Affermai che la strada corrente da San Cipriano al Bricco Martino, e di qui alla.Pieve di Serra é una traccia della Postumia. Difatti essa, sebbene ora ridotta a misere condizioni, è tuttora strada comunale ; ma fino ai principii dello scorso secolo fu passaggio verso l'Appennino, il più importante dopo (561 ) • TAVOLA DI POLCEVERA quello della Bocchetta,. Erra dunque il Ch. Bottazzi (*) opinando che la Postumia tenesse il letto del Ricco come ora fa la Strada Nazionale ; laddove vediamo che essa passava sulla costiera di San Cipriano a sinistra dello stesso fiume: il che è anche più conforme all* antico costume genovese che preferiva nelle vie e abitazioni il colle al. piano, ed è anche più conforme a questi luoghi stessi, ove le chiese matrici esclusiva-mente situate sull’ alto indicano la via delle relazioni politiche ed ecclesiastiche nella prima metà almeno del medio evo. Quale fosse l’ulteriore andamento della Postumia non é chiaro: siccome essa dirigeyasi a Libar'na e Tortona, cosi non è a dubitare che giunta a Busalla seguitasse fiancheggiando il letto della Scrivia per Isola , Arquata e Serravalle, come fanno ora la Yia Nazionale e la Ferrata (**)', indi per Cassano a.Tortona. Ma la difficoltà si è a vedere quale fosse il suo corso nel tratto intermedio tra la chiesa di Serra e Busalla attraverso 1’Appennino. Saliva-essa sull' altipiano della Vitto-, ria come fa la strada presente? E dalla Vittoria piegava al passo, del Giovo a sinistra del Pesalupo ? 0 invece piegava a destra di questo monte scendendo subito in vai di Scrivia per San Bartolomeo di Valle Calda? Ambedue strade che si fanno tuttora. 0 infine, dalla chiesa di Serra si andava a quella di Monianesi e per di qui al Giovo e giù pel Monastero a Busalla? Io lascerò ad altri l’ardua sentenza (■***). (lV) Sui ruderi di Libania. Osservazioni critiche. Novi 1815, pag. 46. (**) Vedasi una buona descrizione della direzione della Postumia da Busalla in poi fino a Tortona .nel suHodato opuscolo del Bottazzi; pag. £6 e seg. Anche il nostro Annalista Giustiniani conferma questa direzione, scrìvendo che a suoi tempi •tale tratto di via • si .chiamava Costuma, evidente corruzione di Pòstumia. V. i suoi Annali, vol’. I. pag. 54. •(***) lo però credo più probabile il secondo caso; clic cioè dalla chiesa di Serra la Postumia procedesse alla Vittoria e di là scendesse in Scrivia per Valle £alda. 36 TÀVOLA 1)1 POLCEVERA ( 562 ) N ìnmeno è chiaro quale fosse 1' andamento del primo tratto a stessa via da Genova a San Cipriano. Perchè oltre le ra- 0 , 1 strategiche delle vie militari che fanno preferire l’altura, amo già accennato che le parrocchie antiche genovesi du-j , hhC°ra ^n° a nostn sono lu^e in a^° : il c^e sero- 6 e ad^Jtaici una strada sul ciglio a sinistra della Polcevera 1 ^ Mugliano, Brasile, Cremeno e Manesseno, nomi liguri P u. I\ei dintorni di Manesseno scendendo nella Secca o nel vi- o suo confluente colla Verde, la via ulteriore per San Ci-piano sarebbe additata dalla Parrocchiale di Morgo, nome an-e^so, come quello del vicino Mor gallo, prettamente ligure. Q strada è lutiora la più comoda e su questo trullo anche il Bottazzi è d’accordo a far passare la Postumia. dair *ua*u,^l,e esse strade si prendano, è chiaro che la via romana per uscire agro privato e tragittarsi nella Scrivia dovea intersecare il confine dell'agro \e ‘"1C° ,n l)unt0 ^1 ciglio Appennino ira il monte Foea e il Giovo. Ora !p ,o appunto il Ch. Can. Grassi non trova buona In mia soluzione : perchè /a os utnia, non essendo nominala tra i confini dell’agro pubblico, si dee supporre 1er suo avviso clie non li tocchi, ma deggia passare altrove. L'obbiezione è speciosa, ma non è difficile rispondervi. e epigrafi, come si sa, e specialmente le descrittive e romane, non iscrivono die 1 sifedo necessario. Nell’agro privato, di confini per natura meno rilevati,, ovea nominarsi la Postumia, toccando due volle i termini, anzi restando chiusa tra cs'i, onde e uno dei segni essenziali alla verificazione del confine. Al contrario nel-agro pubblico il confine abbraccia una grande distesa con pochi termini, i quali P sti in montagna sulle cime più rilevale. Ora la via naturalmente non pas-per que>te più allo punte, ma fra I1 una e l'altra: dunque i termini non la occavano c* non era duopo nominarla ; sebbene facendo materialmente il giro del confine la si dovesse traversare. Un altra osservazione mi fu fatta dal prelùdalo nostro Socio. IVon pare che convenga nome di fiumi allo correnti di Pernecco, Voirè e Serra, che io dico corrispondere umi Tuielasca, Veraglasca e iVeviasca. Lo concedo, ma in tutto questo territorio p V1 Snno ac(l110 guari più grosse, e la stessa maggior corrente che dà il nome alla ° c®vcra non merita propriamente il nome di fiume. D’ altronde la Tavola non distin-uiano / e ,‘VI e non fa Parola di quelle acque di media grandezza, che si cliia- torrenti 6 ne* Odiate dalla ghiaia che menano. Or appunto sono Ire acque suddette e hanno largo letto sebbene di breve corso ; dunque ( 563 ) TAVOLA DI POLCEVERA Che se tali ragioni non vi fossero, non si può negare che l'andamento più semplice è quello che tengono oggidì la Via Nazionale e la Ferrata lungo il letto della Polcevera da San Pier tl’ arena fino al noto confluente al Ponte di Morgallo, indi per la Verde fino a Pontedecimo, dove perfino la parola Pontedecimo sembrerebbe indicare un ponte romano ad decimum miliarium o decimum ab urbe lapidem (*). Da Pontedecimo allora la via avrebbe abbandonata la valle, e piegando a destra avrebbe salita la costiera di San Cipriano in direzione assai vicina o parallela al rio e fonte di Manicelo, cioè sulla presente strada Comunale da Pontedecimo a San Cipriano. non sono assolutamente rivi; ma piuttosto che rivi si devono dir fiumi, come del resto si chiamano anche in dialetto fiumare simili torrenti della Riviera Ligure. Si aggiunga che la Carta dello Stato Maggiore segna i tre torrenti suddetti col colore celeste solilo a darsi alle acque più grosse; laddove i rivi che colà fanno riscontro a duelli della Tavola sono segnali in nero e con linea appena visibile. Il Can. Grassi è anche d’avviso che i tre punti da me posti per base nui bastino a dedurne 1’ intera soluzione. Su ciò non posso che rimettermi al giudizio dei lettori, avendo per parte mia cercalo di dare tutto il possibile rigore logico alla dimostrazione. Ma noterò che i miei tre punii non sono tutta la dimostrazione ma solo il principio e il germe, da cui partendo, lungo il cammino Irovo tanti altri rincalzi ed argomenti secondarii. Aggiungo che se volessi anche abbandonare uno di essi punti, cioè il monte Giovenzio. considerandolo come un omonimo al Giovo solo apparente e non reale, il mio sistema starebbe ancora in piedi. Perché il rinvenimento della Tavola in un luogo tra Pernecco e Pedemonte (Isosecco) fìssa un punto a destra del confluente ; il nome presente di Langasco lissa un punto a sinistra negli agri de’ Langensi. Ora questi nuovi due punti, sebbene meno determinati di quelli dati nel testo, bastano tuttavia a provare che la direzione generale del confine è sempre quella medesima che fu da me sviluppata. Qualunque però sia il dissenso tra me e il Ch. Grassi e qui e anche sulla natura dell’ agro vectigale di cui nella seconda lettera, godo esprimergli la mia stima per la sua molta e varia erudizione, per lo studio che va facendo sulle più oscure quistioni ligustiche sacre e profane, c per essere stato il primo ira noi che ridestò lo studio sulla Tavola di Bronzo e ne propose la lezione più esatta che sia stata data finora; come ebbi io stesso a riconoscere col riscontro dell originale. (*) Così opina il Bottazzi, op. cit. tavola di polcevera ( 5G4 ) L anche possibile che il Ponte ad decimum sia una mutazione di data posteriore alla nostra Tavola, ui miglioramento introdotto nella direzione della Postumia che , . abbandonata di tutti questi popoli figurino tutto all'intorno come altrettante zone concentriche. Compreso da siffatta icea, non é a dire se aguzzassi a tutt' uomo la povera mia vista sulla caria topografica e andassi cercando col lanternino di piogene tracce di nomi somiglianti a quelli dei popofi Odiati, ectunini, Cavaturini, Mentovini ; i quali nomi si trovaselo disposti intorno nel modo ora accennato e nell'ordine di posizione relativa ; giacché quest’ ordine di nomi, essendo più 'ohe ripetuto identicamente nella Tavola, si appalesa essere anche 1 ordine di fatto onde si succedono i territorii di essi popoli. E sebbene i risultamene ottenuti sembrino a me stesso di un \ al ore assai dubbio, voglio communicarveii, lasciando a voi di farne quel conto che meritano. I pi imi popoli nominati nella Tavola sono gli Odiati. Ora all estremità orientale della mezzaluna, cioè al di là della Secca e del monte Foea, giace un territorio assai esteso e di buoni pascoli ; che per mio avviso desume il nome di Montoggio dal Monte che vi torreggia. Togliendo da questo nome il prefisso generale Monte rimane la radice Oggio che in latino dovrebbe tradursi in Odius, come raggio fa radius e simili; comecché si soglia ora piuttosto trasformarlo in Montobbio. Ciò posto, gli abitatori antichi di questo Monte e deli' annesso territorio potrebbero essere gli Odiates della Tavola. Dal primo passando all'ultimo de' quattro popoli, secondo 1 ordine testé sospettato, mi é duopo cercare i Mentovini alla estremità opposta della mezzaluna, cioè a ponente e verso la valle dell' Iso-Verde; ed appunto al di là della bassa Verde nella Parrocchia di Laruego la Carta dello Stato Maggiore ci presenta due luoghi o casali col nome di Mendona, i quali perciò si possono riputare i resti del popolo Mentovino. I ( 575 ) TAVOLA DI POLCEVERA Molto più nemica mi fu la sorte nel cercare il riscontro de popoli Dectunini e Cavaturini i quali, come interposti ai due sunnominati, dovrebbero essere nel centro dell’ arco ap-pennino. Né io volli col Marchese Serra storpiare i Dectunini in Dcrtunini, e correre fino a Tortona per pescarvi il riscontro; e nemmeno mi spingerò al più vicino Gavi per pescarvi i Cavaturini; anche a rischio di passare per poco zelante amatore del mio paese natale. Quindi io non saprei che cosa suggerirvi, a meno che non vi contentiate fino a migliore ipotesi dei nomi di Tcggi e monte Cavo; i quali se non altro riscontrano per l’ordine e la poca lontananza della posizione (*). IV. Ed ora che vi ho svelato lutto il mio pensiero sulla quistione topografica di questo Bronzo, vorreste Voi, Carissimo, essermi ancora di tanto cortese da farne il paragone colla soluzione fornitane dal March. Serra; e dirmi schiettamente, se T amor proprio mi fa velo al giudizio, sussurrandomi essere (*) Il Ch. Can. Grassi propone un’altra soluzione sul riscontro de’ nomi dei popoli Mentovines e Cavaturines. Colloca i Mentovines nell’odierno Montoggio o Montobbio, come se fosse una corruzione di Mentovimi; i Cavaturines nell’o-dierno Cavasolo sul nostro acquedotto in Bisagno. jAltri aggiunge per gli Odiates l’odierno Aggio. Come dissi nel testo, non essendo notato nella Tavola alcun confine, non si può ricavare la posizione di essi popoli che con un’approssimazione molto larga e per sole omonimie, sempre dubbiose quando non confortate da altri sussidii. Quindi mentre lascio nel testo intera la mia ipotesi, non trovo nulla a ridire contro quella del Grassi, la quale può mantener sempre il contatto fra questi popoli e i Veiturii e Genuati per mezzo di un proporzionato compascuo. La differenza principale fra tale ipotesi e la mia sarebbe che il centro di questi popoli verrebbe trasportato da tramontana a levante-mezzodì. E questa differenza, lo confesso, milita a favore della ipotesi del Chiar. Grassi, essendoché ravvicina più il compascuo a Genova, e lo porta su quello stesso terreno di monte Creto, Vicomolasso ecc., che nel medio-evo posseduto tavola di polcevera ( 570 ) vera la mia, erronea la sua spiegazione? Sebbene.io so che anche Voi dichiaraste erronea quest' ultima ; e mi apprendeste che tale la giudicò eziandio il dotto tedesco Rudorff. Invero come potrebbe essere giusta una soluzione, in cui il confine dell’ agro pubblico è diametralmente opposto alla descrizione ché ne fa la Tavola? Perchè là dove questa ci addita una catena di monti non interrotta (il confine montuoso) il Ch. Scrittore vi sostituisce delle cime staccate e divise da due rilevanti masse d'acqua, quali sono il fiume Verde e il Riasso che vedemmo essere il braccio principale del Ricco. E per contrario quando la Tavola segna un confine misto di monti ed acque, egli vorrebbe indurci ad accettare, per tale la più solida e compatta catena montuosa che sia in Polcevera, quale si é quella che dal Giovo pel monte Leco e per quello di N. S. della Guardia scende alla Verde; e vorrebbe farci accettare per fiumi le loro origini, anzi i primi coli dèlie acque che su quella catena cominciano appena a dividersi di qua e di là e a far mostra di sé. principalmente dal Vescovo di Genova dimostra con ciò l’antica sua indole di agro Imperiale, succeduto al compascuo dei popoli più antichi come spiegherò nella se guenle lettera. Forse anche non è da trascurare nella ricerca dell’ agro compascuo la sottile avvertenza fattami dal rimpianto Amico Avv. Ansaldo; che cioè mentre, secondo il mio sistema, i confini .de’ due agri pubblico e privato procedono nella Tavola da ponente a levante, quello del compascuo o dei quattro popoli ultimi nominati procede nel verso opposto; il che non pare conciliabile colla precisione della Ta vola in tutto il resto: onde dovrebbero piuttosto supporsi gli Odiati a ponente, i Mentovini a levante, i Dectunini e i Cavaturini nel mezzo. Mi sia concesso aver nominato quest’Amico molto benemerito della nostra Società, e troppo iirima turamente mancato ai vivi per aver nobilmente anteposto alla cura della salute 1’ adempimento del dilicato suo uffizio c il servizio della Patria. Egli cra dotat di acuto intelletto; e non poco mi confortò l’approvazione che diede al mio si stema dopo averlo maturalamcnte studiato, suggerendomi un solo miglioramento in un particolare. ( 577 ) TAVOLA DI PÛLCEVLRA ----------—______________‘_1_ Né questi soli, sebbene abbastanza gravi, sono i difetti, onde abbiamo ragione di richiamarci. L’agro compascuo è posto dal Serra lungo tutto lo spazio intermedio tra il pubblico e il privato dei Langensi ; e a ciò ei fu mosso, io credo, dal non sapersi che fare di questo spazio, superfluo pel suo sistema. Ma primamente non mi capacita questo destinare al pascolo, anzicchè i gioghi appennini, la più bassa valle lungo il Ricco e la Verde, che é molto più conveniente alla fruttifera coltivazione. Secondamente mollo meno vado persuaso che i due agri, pubblico e privato, proprii dei Langensi dovessero essere tramezzati in tutta la loro lunghezza da un territorio comune a Genoati e forse ad altri quattro popoli: con disturbo infinito dei Veìturii per passare dall’uno all’altro agro, curarli e difenderli ; e cosi con un fonte perpetuo di dissidii e d’incomodi tra questi popoli. Infine avendo il Ch. Scrittore fermato il fonte di Manicelo nell’ odierno Mancsseno e il rio Vinelasca nel presente rivo d’ Acquamarcia al di là di Zemiguano, non so capire come egli non vedesse l’impossibilità di ricongiungere questi, rivo e fonte , mediante una linea retta e non interrotta da altre acque ed ostacoli, come vedemmo che richiede la Tavola. Ed invero oggidì per passare dal rio à’Acquamarcia al fonte di Mane s seno, fa d’uopo traversare il grosso torrente della Sar-clorella e nell' attraversarlo s’incontra ivi lo sbocco del rio di Manesseno prima del fonte che gli dà. vita; laddove la Tavola suppone il rovescio, cioè il ravvicinamento dei rivi per le loro origini. Oltrecchè il luogo di Manesseno, ove è il fonte, non solo è molto distante dal rio d’ Acquamarcia, ma ne è anche separato per le due interposte parrocchie di Zemignano e Cremato. Se, nonostante tuttociò, Voi riuscite a trovare qualche arcano passaggio tra i rivi di Manesseno e ù'Acquamarcia, che riunisca 37 TAVOLA PI POLCEVERA ( 578 ) le condizioni volute dalla Tavola, non solo io vi decreto la corona civica, ina pongo pegno che vi saluteranno Benefattore quei buoni Terrazzani ai quali aprirete bel modo di comunicare tra loro alla spiccia e ravvicinarsi a Genova. Senonché col solo nominarvi 1' odierno Manesseno vi compendiai già la somma, l’unica causa di tutti gli errori del Chiaro Marchese. Il quale avea benissimo cominciato e fatto progredire notevolmente l'interpretazione della Tavola, esposta prima di lui ai capricci e al bersaglio di persone affatto sfornite di critica, che facevano vagabondare i poveri Langcnsi-Veiturii da Volivi a Voltaggio, anzi fino alla Toledana presso Gavi. E mi gode l'animo di poter qui finalmente dall'ingrato ufficio di appuntatore passare agli encomii, riconoscendo i meriti di un Personaggio eminente per nobiltà di sangue e più d’animo; per acutezza d’ingegno, dottrina, virtù letteraria e cittadina; i quali meriti furono, meglio ch’io non saprei , rappresentati alla nostra Società e raccomandati alle pubbliche stampe dal mio amico Tommaso Belgrano ("'). Il March. Serra aveva veduto pel primo, che tutto il territorio descritto nella Tavola avea ad essere racchiuso al di qua dell' Appennino e nella valle di Polcevera. Aveva anche quasi compiutamente indovinata la postura dell’ agro privato e della via Postumia; aveva veduto bastare la determinazione di tre punti per dedurne tutto il rimanente territorio ; avea perfino colto nel vero, fermando due di essi punti al monte Giovo e al confluente della Polcevera,- porgendo cosi la orientazione principale o in lunghezza dell’ agro antico nel moderno. Ma andando in traccia del terzo punto,-si lasciò illudere anche egli dalla somiglianza del nome di Manesseno col Manicelo (’*) V. Della vita e delle opere del March. Gerolamo Serra, Memorie Storico-Critiche di L. T. Belgrano. ( 579 ) TAVOLA DI POLCEVERA della Tavola e li scambiò l’uno per l'altro, trascurando la già da altri avvertita e maggiore somiglianza dei nomi Pernecco e Prenico. Tuttavia, siccome queste apparenti omonimie non polevansi conciliare insieme ma l'una delle due escludeva evidentemente l’altra, la somiglianza del Prenico col Pernecco avrebbe dovuto presentargli, anche a prima vista, preferibile e più opportuna; in quanto cosi tutti i tre punti appartengono al solo agro pubblico e perciò si legano meglio, laddove il Manicelo era nell’ agro privalo. Movendo da questo errato princìpio, non vi era valentia d’ingegno che bastasse a strigare il Ch. Autore dall’ arruffata matassa in cui si andava sempre più avvolgendo; nè, sebbene in parte se ne avvedesse e a mezza bocca lo confessasse (*), si senti il cuore di rifarsi da capo. Invero non è da negare che la somiglianza dei nomi Manesseno e Manicelo, specialmente per un orecchio genovese, non sia viva e calzante. Di che s' affaccia naturale l’interrogazione: é un puro caso codesta quasi identità di vocaboli; e niuna relazione affatto passerà tra i due luoghi, antico e moderno, significati con questi nomi? Io avviso che non sia disperata la conciliazione e ve la propongo tosto, pregandovi a dirmi se vi garba. Il Manesseno d’ oggi è situato sul colle a sinistra del fiume Secca; alla destra dello stesso fiume si erge, come sapete, la costiera di San Cipriano ; sulla quale (ma più in sù 'e sul fianco rivolto alla Verde) ponemmo il fonte di Manicelo, oggi del March. Orso Serra. Or nulla di più naturale che sia accaduto 1’ uno o 1’ altro dei casi seguenti. 0 che l’antico territorio di Manicelo si stendesse dall’ odierno Manesseno fino alla fontana Serra; e che (*) V. nel prelodato suo Discorso alla pag. 120 le parole « io non voglio però dissimulare che i punti di mezzo.... non riescono tutti onninamente conformi alla descrizione lasciataci dai Delegati », colla sua risposta o scusa. fosse poscia in quest’ultima parte oscurato il suo nome da quello di San Cipriano, invocato a Patrono dell' ivi sorgente chiesa e parrocchia; come avvenne in tanti altri luoghi. Oppure che gli abitatori dell’ antico Manicelo per ignoti eventi si tragittassero o fossero tragittati dall' uno all’ altro colle. Il che potrebbe essere anche avvenuto per rispetto ai nomi del Lemuri antico e Lemo moderno, anch’essi identici o quasi, e vicini, ma opposti e non conciliabili in un solo. E ne abbiamo esempi storici d’interi popoli, come i Galli Sequani che trasferirono le loro sedi dalT uno all' altro fiume, ribattezzando le nuove coll’antico nome; dalla Sequana {Seine) passando all Arai, che poi prese il nome di Saucona (Saone); abbiamo esempi anche di piccoli Comuni del medio evo, che per varie cagioni si trasferirono dal piano al monte o viceversa, dalla riva dritta alla sinistra, da un fiume o rivo ad un altro ( )• (*) È ormai tempo che io dica alcunché del dotto HudorIT che, come 5ià di volo, anch’esso riconobbe erralo il riscontro topografico del Serra, e sebbene non si fermasse di proposito su tale quistione, tuttavia propose alcune corrczi la maggior parte buone c con tanto maggior merito, quantochò egli è stiamer non conoscente de’ luoghi. Quando io scrissi e lessi alla Società le due mie pnn lettere, non avevo ancora veduta nè cercai vedere Tunica copia, alloia csistcnl in Genova, della sua pregevolissima Dissertazione; nè desiderai nemmeno ora niente conoscerne il contenuto; non già per superbia, ina pel solo scopo di non intralciare le idee giù concetto, prima di averne veduto io stesso e comunica o i mio risultamelo. Or godo essermi trovato d’accordo con lui in più cose, com è T aver segnalalo l’errore del Serra di porro il compascuo nel cupo deliaca anzicchè sui monti; l’aver riconosciuta l’identità del Prenico col Peinccco, I a\e sospettata una qualche relazione tra V Eniseca e la Secca, il Lemmi e il mon Lmurino. Ma il Ch. RudorlT trovò di più nel Serra una contraddizione da me non avve tita; che è d’aver posto il fiume Edo a sinistra e il cominciamento dell pubblico a destra ; mentre secondo la Tavola entrambi devono trovarsi dalla stes parte. Il RudorIT infine crede all’identità del Manicelo col Manesseno e dell aliti fiume Lemuri col moderno Lemo; il che non si ammette da me pei le ragioni abbastanza emergenti dal mio sislema. ( 581 ) TAVOLA DI POLCEVERA Chi, gentile d'animo, non si commosse, assistendo colla storia alla mano al frequente spettacolo di popoli e genti, da sventure domestiche, da tirannia di signori o d’altri popoli, da amore di libertà e d’indipendenza indotte a lasciare il tetto nalio e a trapiantare altrove i pairii nomi? Chi non vede quanto feconde d’insegnamenti non solo morali ma storici sieno siffatte mutazioni anche di sole parole? Le quali, come vedremo più tardi, ci porgon lume per indovinare i successivi spostamenti e sovrapposizioni dei popoli e delle grandi nazioni e, per così dire, delle membra della Madre comune, 1’Umanità. Quando la Gente Romana colle conquiste & colle colonie distruggendo e rinnovando ebbe innestata la giovane sua civiltà sul tronco degenere dei più antichi popoli, si lasciò aneti’essa sommergere nella piena de’ vizii e della voluttà che le smisurate ricchezze le avean procaccialo. Allora 1’ umanità sarebbe immancabilmente perita, se la Divina Provvidenza non avesse riparato in tempo colla grazia e colla giustizia. Colla grazia inviando 1’ Aspettato dei secoli a ricreare il mondo per 1’ Augusta Redenzione ; colla giustizia facendo comparire sull’ Orbe Romano i Germani, barbari ma non corrotti, aspettanti da tanto tempo (come già i più antichi) sull’estremo lembo orientale che venisse la loro volta di partecipare alle delizie d’occidente. Ma quanto eroici rimedii non erano richiesti a sanare sì profonde piaghe! Come il ferro ebbe a recidere senza pietà le membra incancrenite e dislocare con violenza e penetrare sino al midollo e dissanguare! Talmente che all’aprirsi dell’undecimo secolo l’umanità credette essere pervenuta al suo ultimo fine, quando invece stavano per ispuntare i primi albori della nuova civiltà. Si è in questo stadio massimamente che alle grandi trasmutazioni di genti e di popoli succedono i minuti spostamenti di ville e borghi, secondochè richiedea la difesa della propria vita e libertà contro i vicini Signori; e si fanno le TAVOLA Di POLCKVKHA ( 582 ) g c ia e famiglie e gli Alberghi, primo elemento del Comune* u poi si glorioso. Sono queste adunque le ultime onda-deli uragano che si va spegnendo, sono le prime aure < e cielo che s inzaifira, i primi germi della vita libera e civile ( lC ,l (lue^° aure , a quel riso fanno presa e si svolgono. ila senza avvedermene mi trovo passalo dalla disquisizione topografica. della Tavola a ile quistioni sociali ; sul che nè Voi nulla mi chiedeste né io nulla vi promisi, sapendo che altri trattarono e meglio che io non saprei. Tuttavia avvi in tali quistioni un aspetto che s’incrocia colle mie ricerche sui consorzi e sulla costituzione de’ popoli medievi d’Italia compilali cogli antichi; le quali ricerche io, e forse anche Voi, chiameremmo il mio sogno dorato; ma altri meno benevolo potrebbe chiamarle il mio incubo. Quindi io non posso difendermi dal desiderio che mi invita a spendere su tale subbietto altre considerazioni, che agevoleranno (spero) la intelligenza del nostro prezioso Monumento. Se a Voi parrà che abusi della vostra indulgenza, sia recando legna al bosco, sia spacciandovi lucciole per lanterne, e Ui chiamatevi in colpa pel primo d’aver ridestato la mia vena da un sonno biennale ; alla peggio vendicatevene col gittare sul fuoco le pagine malarrivate. Che se per converso non vi sgradisce questo nuovo mio proposito, attenderò che me ne accertiate con un vostro cenno e farò seguire alla presente già troppo lunga una seconda lettera. Frattanto abbiatemi pel vostro sincero estimatore e cordiale amico. LETTERA SECONDA <‘> SL'LLA QUESTIONE SOCIALE Nella precedente mia lettera chiusi la disquisizione topografica degli agri Langensi-Veitur iati, assimigliandoli (se ben vi rammenta) a tre zone concentriche e disposte per guisa che 1’ agro privato fosse nella parte più interna e bassa ; il pubblico nel mezzo ; il compascuo al di sopra e all’ infuori in forma d’arco. Così l’agro privato circondato e difeso dagli altri come da una doppia cerehia, sembra rendere imagine di un frutto , il cui seme sia difeso dalla polpa e dalla corteccia. Questa imagine che mi suggerisce il Kemble (**) parlando degli (*) Letta nella Sezione Archeologica addì 2& giugno 1860. (**) Nella sua bell’opera sogli Anglo-Sassoni (The Saxons in England) della edizione inglese voi. I.o pag.. 44. Sebbene io non citi che pochissimo questo Autore, avverto una volta per tutte che ne ho .desunto molte idee fondamentali per questa seconda lettera. Giustizia vuole pure che io confessi che questo Autore come quasi tutti i Tedeschi che citerò, se ho potuto consultarli a mio bell’ agio, lo devo alla ricca biblioteca e alla consueta liberalità del Comm. Professor Caveri. \ TAVOLA DI POLCEVERA ( 58i ) agri germanici, viene tanto più acconcia al inio proposito; in quanto che, secondo Je idee da me altrove espresse, lo svolgimento della vita sociale si%assomiglia a quello della vila organica. Di che io considero la formazione successiva dei tre agri suenunciati, come una traccia , un indizio delle rispondenti tre epoche sociali dei popoli. E Y esistenza contemporanea di tutti i tre agri alla data dell' Iscrizione avviso che ci ponga soli’ occhio, come di colpo , tutta la storia delle tre epoche ; non altrimenti come in certi vegetali si riconosce l’età o il grado di svolgimento dal numero delle tonache sovrapposte. Senonchò, laddove il Kemble considera I’agro privalo come il seme, io inverto 1’ imagine e prendo il compascuo pel seme e pel primo grado della vita de’ popoli. Ed invero, se rispetto ai Langensi, l’interno sta nell’agro privato, l’esterno nel compascuo ; la cosa procede a rovescio , quando si ponga mente alle relazioni generali tra loro dei Genuati, Langensi, Odiati, Dectunini, Cavaturini, Mcntovini. Allora il compascuo addiviene Y interno, il centro ove si incrociano lutti i particolari confini ; è desso adunque il seme , lo stipite, onde poscia s’irraggiano le varie specie di agri pubblici e privati che gli sorgono intorno; e per la stessa cagione la gente prima, abitante nel compascuo, è lo stipite onde derivarono le varie tribù che stanziano sugli agri medesimi. E se l’esistenza del solo agro compascuo rappresenta la prima epoca, l’aggiunzione dell’agro pubblico segna la seconda, quando una tribù , un popolo si divide dall altro, ed ottiene un agro suo proprio, ma le famiglie che formano questo popolo rimangono ancora in comunione tra se; per conseguenza è molto vivo il sentimento di questa comunione, mentre va illanguidendo il sentimento dei vincoli del sangue che legavano già i due popoli ora divisi. Il terzo ed ultimo grado di svolgimento è rappresentalo dall’ agro privalo ; ed avviene quando anche le ( 585 ) TAVOLA DI POLGEYERA singole famiglie d’ uno stesso popolo cessano la comunione, ed ottiene ciascuna una porzione d’ agro in privala proprietà. L essersi conservata la traccia dei due stadii più antichi presso i popoli della Tavola, non ostante che fossero già pervenuti al terzo , dee tenersi come una fra le molte prove che la Liguria sofferse invasioni minori di quelle di tanti altri popoli ; e che perciò dovettero essere o solo transitorii o meno efficaci gli effetti della violenza straniera. Per simile guisa il disporsi d’ un corpo in cristalli o in forme comecchessia regolari , dimostra che la sua formazione non fu turbata da forze eccentriche, ma segui il tranquillo andamento delle interne arcane simpatie. 11 contrario dee avverarsi nella storia de’ popoli più invasi od invasori. I Germanici, se hanno anch’ essi due e talora tre qualità d’agro, giova notare però che il compascuo è surrogalo da un territorio chiamalo in loro lingua Mark, cioè limite. 11 quale vocabolo, anziché l’idea di cognazione o di comune possesso, importa il senso di ripulsione ; e siffatto territorio in cambio di servire agli usi religiosi e sociali di più popoli confinanti, è più spesso e nei più antichi tempi divenuto un ampio deserto orridamente devastato, o una selva impermeabile per natura e per arte, affine d’impedire il reciproco contatto (*). Anche i Romani i quali si sa non essere rimasti addietro a verun popolo nell’ invadere, aveano una qualità di territorio simile alla Mark Germanica e l’appellavano ager arcifinnis; parola che Frontino deduce appunto da arcendo ìioslem (**). Virgilio avea per fermo in mente o Civitatibus ( elei Germani) maxima laus est quam latissimas circum se vastatis finibus solitudines habere... simul hoc se fore tutiores arbitrantur repentinae incursionis timore sublato. Così Cesare, De bello gallico vi. 23. E poco prima parlando degli Svevi ripete lo stesso ed aggiunge : una ex parte a Svevis circiter milia passuum oc agri vacare dicuntur. Jbid. iv. 3. (**) De agrorum qualitate. V. Gromatiei veteres; edizione Lachmann. pag. 6. TA NOLA DI POLCEVERA ( 586 ) 1 agro arcilinio, quando nel ix libro dell' Eneide verso 323 k parlare l'Irtacide Niso in questa sentenza: Haec Ubi vasta dato et lato te limite dacam. Cioè la- devastazione eh’ ei va a fare nel campo nemico viene assomigliala ad un ampio deserto di confine, che circondi e difenda la persona dell’amato Eurialo. Ma voi mi direte che nella nostra Tavola gli Arbitri non ubarono la parola arcifinius, si propriamente ager empa-scuuò'. Né io nego che quest' ultima parola sia di buona lingua latina ; credo però che i Romani la usassero in senso più ristretto, vale a dire a significare le terre rimaste comuni a più rami d’ una famiglia che é nel resto divisa di beni (*). Laonde 1’ estensione di questo significato alle comunaglie fra più popoli , comecché naturale e conforme alle primitive instituzioni, tuttavia non ha forse altro esempio nei monumenti o scrittori latini ; e deve essere stata adoperata qui per analogia o come traduzione d’ una equivalente parola ligure. Detto fin qui in genere dei tre agri, passiamo , se vi talenta , a considerarli per singolo. (*) Fronlin. De controversiis agror. Croni, vel. pag. 15. Est et pascuorum proprietas perlinens ad fundos sed in comune. Anche oggidì si trovano in più luoghi de’ pascoli, boschi o simili che sono come appendici e comunaglie di più fondi privali e divisi. Non altrimenti il compascuo della Tavola è la comunaglia della gran famiglia Genoate di cui ogni ramo ha poi i suoi propri fondi od agri-l’na traccia di questi tre agri si potrebbe vedere anche in quel passo dei precitali Gromat. vel. pag. 302, in cui, dopo esser detto che ogni possessione venera il Dio Silvano, perchè primo pose i termini, così si prosiegue: Omnis possessio tres Silcanos liabet; domesticus possessioni consecratus, alter agrestis pastoribus consecratus; tertius dicitur orientalis cui est in confinio lucus positus, a quo duo pluresve fines oriuntur. Qui è chiaro che il primo Silvano accenna all'agro privato; il secondo all’agro non ancora dissodato ne diviso, dunque pubblico; il terzo alla religione e ai commerci fra più finitimi, cioè al compascuo. ( 587 ) TAVOLA DI POLCEVERA I. La postura del compascuo, centrale fra i popoli nominati nella Tavola , il rimanere comune fra loro la proprietà di questo territorio, 1’ antichità e semplicità dei Liguri e la probabile esistenza d’ un Tempio comune sul Monte Giovenzio , sono tutte circostanze che ci persuadono del vincolo di sangue che dovea rannodare tutti questi popoli come una sola famiglia. Non son io che dovrei spiegare a Voi, Erudito ed Ecclesiastico , come le tradizioni d’ un Collegio Sacerdotale e le comuni feste religiose giovassero anco fra i Pagani a ribadire la memoria della prisca cognazione, ad agevolare il mantenimento di amichevoli relazioni e degli interessi reciproci. Ma ben vi pregherò d’ avvertire tre disposizioni della nostra Epigrafe, che svelano la sollecita cura di conservare intatto il più possibile lo stato tradizionale delle cose e delle persone. Colla prima si prescrive che si abbia a tenere immutata la quantità e 1’ estensione dei prati in tutti gli agri pubblici dei popoli ivi nominati. La seconda vieta d’ ammettere al godimento dell’agro pubblico Langense altre famiglie oltre quelle che o già vi partecipano , o vi sieno nuovamente introdotte per consenso della maggioranza di quel popolo. La terza ristringe ancora più i’ arbitrio dei Langensi, i quali, anche volendo, non potranno ammettere all’ anzidetto godimento persone e famiglie se non sieno di Langensi o di Genoati. In queste disposizioni é da riconoscere il fondamento di un diritto superiore, perchè antecede di tempo e di preminenza il diritto civile e politico dei singoli popoli, e che perciò è anche probabilmente un vincolo gentile e religioso come tutti i più antichi diritti. Per tale guisa ci si rivelano indizi di parentela ed unità originaria fra i popoli della Tavola : allo stesso modo come dalla comunione delle cose sacre, degli usi e delle tradizioni, dai nomi , dai consorzi seguiti da graduate divisioni, accennai in altro mio lavoro potersi dedurre a buon diritto la primitiva unità delle famiglie patrizie romane o greche, e di quelle marchionali e signorili del medio evo. Il che se é vero, il consorzio adunque antecede la divisione non solo tra le famiglie d’ uno stesso popolo, ma tra più popoli stanziati nel medesimo territorio. Anche qui, come dissi colà, vicini (dello stesso vico) e cognati è tuti' una cosa ; la parola gelondan (che in Anglo-Sassone vuol dire conterranei) viene Iradolla in un Glossario di quel tempo per fratrueles : ("') il latino affines, ad fines, che etimologicamente nuli’ altro significa che confinanti, viene ad assumere il senso di parenti. E se quindi il consorzio primitivo delle famiglie si mostrava già fecondo di conseguenze per l’illustrazione delle storie speciali, visto poi sotto l’ampio aspetto del consorzio dei popoli, dee tenersi come base della storia generale. Il perchè non vi spiaccia che io vada rincalzando con alcuni esempi la mia tesi della probabile parentela di questi popoli. La Iscrizione Osca disotterrata in Àbclla (**) fa parola di un territorio intermedio e comune fra questa città e la vicina Nola nella Campania ; le quali vi possedevano egualmente in comune un tempio dedicato ad Ercole ed un tesoro. Or bene, da ciò inferirono concordi gli Eruditi la cognazione fra i cittadini di Abella e di Nola come io feci pei Liguri. E che del resto quelle città Campane non solo, ma la più parte dei popoli della bassa Italia fossero d'uno stesso sangue, risulta e dalla somiglianza delle lingue riconosciuta nelle non poche iscrizioni osco-sabelliche, e più dalla tradizione conservataci delle loro (*; Kcmble, vol. 1. png. 57. (**) V. Mommscn, / dialetti dell' Italih inferiore, pag. Il 9. V. anche Ijusclike, I monumenti del linguaggio osco-sabello, |>ag. 33. ( 589 ) TAVOLA DI POLCEVERA antiche emigrazioni. Le quali sui monti della natia Sabina mano mano si staccano dal ceppo comune, strette dall7 ira del Cielo , dagli auguri, dalla fame ; guidate dagli animali sacri al Dio guerriero ; e recanlisi a fondare le numerose colonie donde uscirono i forti Sanniti, gli Irpini, forse gli Equi e gli Ernici , senza forse i Marsi, i Piceni, i Peligni, i Marrucini , i Trentani e tant’altri, fra cui i conquistatori della Campania , Lucania e dei Bruzii (*). La Grecia , comecché il barlume delle prime tradizioni venga in lei offuscato dalla piena luce della civiltà, no'n lascia tuttavia di ricordarci tracce di somiglianti Instituti. Escatia si denominavano ivi gli estremi lembi di due o più territorii confinanti , sul sommo delle catene montane , alla principale divisione delle acque ; e qui erano templi, si tenevano le assemblee, (*) Trovo ora nel Mommsen, Corp. inscript, latin, pag. 73, che nella parte dell’agro pubblico Romano riservata ai pascoli erano ammessi al godimento promiscuo i Latini e Federati. Certo questo era il primitivo compascuo, che legava i Romani coi già consanguinei Latini ; come anche aveano essi comuni templi e convegni religiosi e boschi sacri che, come si sa, si appellavano Incus: così il lucus Jocis Indigetis e il tempio col luco di Diana sul monte Aventino; il quale (come ben osserva il dotto Dellefsen) era comune tra Roma e il Lazio ; perciò non fu permesso stendere fino a quel monte i privati edifizi fin all’ Impero, fin quando cioè le antiche massime e tradizioni erano obbliate. Di simili luchi e templi sui confini ve n’era dappertutto, specialmente ai monti e ai capi marittimi. Lungo, sarebbe enumerarli; ma basti ricordare i Templi di Diana nel bosco Aricino , sui monti Algido e Tifata ; d' Apollo sul nevoso Soratte, di Minerva al Capo di Sorrento ; il bosco della Dea Vacuna presso Monte Fiscello nell’Umbria; e nell’Umbria pure il Giove Pennino sul monte presso Gubbio, e il Giove Clitunno; Giove Pallaio nei Peligni, Anxuro a Terracina, Laziale presso Albalonga; infine anche il monte di Giove nelle Alpi, e un Giove nelle bocche dei Pirenei presso un tempio di Venere (Port-Vendres). Tale criterio gioverebbe, cred’ io, a stabilire più rieisamente la posizione del Lucus Bormani nella Riviera Occidentale. Giacché Bormano mostrandosi un Dio o Genio Ligure col suo bosco sacro tra gli Albingauni e gli Intemelii, dovrebbero i pratici di colà indagare il luogo ove confinano le antiche pievi e dove sia il TAVOLA 1)1 POLCEVERA ( 590 ) si trattavano paci e guerre. Pausania nella descrizione della Grecia annovera molle selve e territo rii di tal fatta, già ritrovi lieti, poi divenuti fonti di scissure, come la selva fra l’Attica e la Megaride, la selva Porcina tra Laconia e Messenia, i boschi sacri presso Corinto, nell’Epidauria e va dicendo. In quanto aiïa Germania, ne attesta Tacito l'insigne riverenza che vi si nutriva pei boschi sacri, ed i convegni che vi teneano i popoli con sangui nei fra solenni riti religiosi. Stato tempore in silvam auguriis Patrum et prisca formidine sacram omnes ejusdem sanguinis populi legationibus coeunt... celebrant barbari ritus horrenda primordia... maxima habetur ludo reverentia (Tacit. Germania, 39). Fra i Galli nomina più volte Giulio Cesare i popoli d’uno stesso sangue : come gli Ambarri necessarii cl consanguinei più ragguardevole contrafforte clic dall'Appennino scenda al mare a distanza di l’i circa miglia da Albenga. Probabilmente anche LU Connine nel Monferrato era un antico Lucus; ed era poi noi medio evo uno dei punti più importanti del contine ove s’incontravano le Provincie e Diocesi di Tortona, Asti e Pavia, ed anche il confine de’loro Comitali, prima della creazione del più recente Comitato di Monferrato. Del resto si può dir tulio in una parola, notando che presso gli antichi sactwi «* publicum erano come sinonomi. V. in Mommsen, Inscript. Neapolit- le seguenti due epigrafi di Venosa. N.u 715: .... QVAISTORES < CENSVERE AVT POVIILICOV AVT SACnOM ESE E N.° 716: .... AVT SACRUM AVT POVDLIC... LOCVU ESE CENSVEflE ( 591 ) TAVOLA DI POLCEVEflA Aeduorum; gli Svessiones fratres et consanguinei Remorum (De B. G. lib. Ï. , 11. e il. 3). Che più? quando lo stesso ci avverte (ibid. I. 33.) che gli Edui furono denominati fratelli e consanguinei dai Romani, non pare egli che ci somministri con ciò un prezioso indizio del passaggio sociale nei popoli, simile a quello che altrove avvertii essere accaduto nei consorzi di famiglie e antiche e medieve? Passaggio cioè dal vincolo di sangue alT adozione , alla aggregazione per carta o rotolo ; passaggio dal senso naturale della parola consanguineo al figurato o simbolico ; e cosi dalla verità alla finzione ; ma finzione che presuppone antriore la verità e che ci conserva nelle rimaste formole la memoria dell’ antico organamento , mentre è sottentrato il nuovo colla seconda epoca (*). H. Questa seconda epoca dello svolgimento sociale dei popoli io la raffigurai più sopra come simboleggiata nell' agro pub- (*) Ho già notato altrove che l’ilIuslFe Peyron riconosce questa finzione legale nei Pari Spartani costituiti da Licurgo e chiamati Singenei, cioè'cognati ; e ne trova esempi più antichi nei Singenei dei Re Medi e Persiani ed esempi recenti nei così detti Cugini del Re. Ma sta sempre vero che questa associazione politica, sebbene aiterata pel corso degli eventi, deriva da una primitiva società consanguinea e la presuppone. Questa opinione sulla primitiva unità delle genti romane, che io professavo quasi più per intuito che per raziocinio nel mio antecedènte tenue lavoro, la trovai poi con piacere sostenuta contro il Niebuhr da valentissimi e con argomenti irrepugnabili che non è qui il luogo di ripetere ; rimandando chi lo desideri per es: al Lange, Antich. Rom. Voi. I.pag. I6o-73. Il quale Autore alla pag. 59 dello stesso Volume mi fornisce una nuova e bella estensione del principio d* unità tra i popoli del Lazio, osservando che Alba era ritenuta la città madre, e le 12 città confederate come di lei colonie. Il che, anche se non fosse storicamente vero per la tale o tale altra città, prova sempre la cosa in genere e il concetto tradizionale nel popolo di tale primitiva unità ; ed è pure confermato dal culto .comune di Giove Laziale presso Albalonga citato nella noia precedente, che farebbe di questa città madre come l’agro compascuo del Lazio. « TAVOLA 1)1 POLCEVERA ( 592 ) blico : il quale abbraccia ad un tempo 1' idea di separazione di un popolo dall' altro, e T idea di comunione tra tutte le famiglie d’ uno stesso popolo. Ed invero col moltiplicarsi delle generazioni si rallenta il vincolo degli affetti, mentre cresce il cozzo degli interessi: di che. si accumula materia a lotte terribili, non potute impedire dai Patriarchi se non collo stabilire su territorio separalo la rispettiva tribù. Allora Abramo dice a Lot (Genesi xm) : « Deh ! non siavi contesa fra me e te, né fra miei pastori ed i tuoi, conciossiacché noi siamo fratelli. Separati d’appresso a me ; se tu vai a sinistra io andrò a destra ; e se tu vai a destra, io andrò a sinistra ». E Lot si parti traendo verso 1' Oriente nella pianura del Giordano e Abramo rimase ad Occidente nel paese di Canaam. E questa divisione secondo i punti cardinali, del cielo si perpetuò tra i popoli, e diede il nome a (ante genti Germaniche nel medio evo. Cosi dal compascuo sorsero e s’irraggiarono all' intorno gli agri pubblici, dove, come si é detto , tutte le famiglie d’ una stessa tribù o popolo possedevano tutto in comune. Tale comunanza esisteva ancora presso i Nomadi della Scizia ai tempi di Scimnio Chio, il quale dice di loro : Vivunt ita ut comur nia esse omnia destinent, opes et cunctam familiam (*). Anche oggi la terra non appartiene alle singole famiglie, ma all’intero Comune in alcune tribù Slave della Servia, della Bulgaria, del Montenegro ; lo stesso accade Ira gli Arabi d' Orano, a Madras nel Iaghire e tra gli Afgani; in tutti quei luoghi insomma dove la società é tuttora più o meno nello stato d’infanzia ; il che giova a porre sotto gli occhi dell’ osservatore contemporaneo, come a dire, tutti gli scaglioni per » (*) Versi 8o6-o7. V Geographi Greci minores, ediz. Didot, vol. I. p. *232. Per fili esempi seguenti vedasi la sullodala opera di Kemble. ( 593 ) TAVOLA DI POLCEVERA cui ascende 1’ umanità pel corso dei secoli dal più basso al più alto grado d’incivilimento. Il medesimo stalo d’ infanzia già si era avveralo in Germania per attestato di Tacito ed in Gallia secondo Cesare. De’ quali storici il primo ci apprende che presso i Germani agri prò numero cultorum, ab universis per vicem occupantur, quos mox inter se... partiuntur... arva per annos mutant et superest ager ("); e Cesare dei Galli: ncque quisquam agri moclum certum aut fines habet proprios, sed Magistratus ac Principes in agros singulos gentibus cognationibusque qui una coierint (si noti qui il sangue fondamento della distribuzione) quantum et quo loco visum est agri attribuunt, atque anno post alio transire cogunt (**). La quale divisione provvisoria, preludio di quella stabile ossia del futuro agro privato, si vede anche esercitata presso le odierne tribù Slave, Àrabe e Indiane sovra indicate; e ne’Vaccei dell' antica Spagna, secondo Diodoro, e in una tribù di Dalmati Illirj secondo. Strabone ; salvo che questi ultimi rifacevano da capo la divisione ogni sette anni, gli odierni Afgani la rifanno ogni diecianni, tutti gli altri ad ogni anno (***). Voi vedete dalla Iscrizione della Polcevera che i Langensi aveano superato questo stato d’ infanzia, avendo già un agro • (*) De mon'b. Gennan. 26. (**) De Bell. Gali. vi. 22. (***) Presso gli Israeliti Dio era l’unico Proprietario del suolo; anche recentemente nel Messico il suolo apparteneva al solo Sovrano. Questa massima vigeva presso gH antichi Romani (Gajus, Instit. II. 11. 7.): In eo solo domniuin populi Romani est vel Cesaris; nos tantum possessionem et ùsumfriictum habere videmur* Dall’ esagerazione di tale massima derivarono le pretese dell’ Impero Germanico sostenute in Roncaglia dai Giuristi ; e ne vennero i principii feudali: nulle tèrre sans Seigneur ; tout fut en luy (nel Sovrano) et vient de luy au commcn cernent. Y. Giraud, Recherches sür le droit de propriété chez les Romains; il quale però erra, per mio avviso, deducendo la primitiva comunione Romana dal diritto di conquista e non da una regola generale. TAVOLA DI POLCEVERA ( 594 ) pii\alo, ma rimaneva loro una parte, e non la minore, del-I «iglò pubblico, come fondo di riserva e come mezzo di rendita o di altra utilità al Comune. Somigliante residuo si trova conservato anche negli altri popoli : e noi qui vediamo che Io a\eano pure gli Odiati, i Dectunini, i Cavaturini, i Mento-uni. Aiistotile fa anzi dell'agro pubblico come il principio fondamentale d’ ogni società (*). Nella nostra Iscrizione I’agpr publicus si scrive poplicus; d che si trova in altre antiche epigrafi ed é più conforme non solo all uso arcaico della lingua, ma al 1' etimologia della parola che equivale ad ager populicus o populi. Ed è la stessa etimologia che si conviene al vocabolo Folcland, onde gli Anglo-Sassoni denominano il loro agro pubblico ; cioè Land-folc ; terra del volgo o popolo. Nella Tavola Vellejate, di <‘he parlai nella mia antecedente, 1’ agro pubblico si appella «anche più semplicemente populus ; per es: adfines Sulpicio iSepote et Licinio Catone et Populo ; cioè il tale agro confina con quelli di Nipote e di Catone e coir agro pubblico. E in simile senso viene adoperata la voce populus nel libro delle Colonie inserto fra i Gromatici, dove il più volte ripetuto iter populo debetur , dinota la servitù di passaggio a favore del Comune. Gettando uno sguardo sulla mia Carta Topografica, si vede che nell agro pubblico de’ Langensi era situato il loro Castello principale: e che un altro Castello nomato Aliano stava come avanguardia sui confini dello stesso agro. Io non ho qui in animo di decidere se nel primo di essi Castelli abitassero tutti o la maggior parte de’ Langensi, perciò delti Castellani ; o se per contrario vivessero dispersi in case isolate e più esattamente (*) Politic. Lib. vii. q. 7. Necesse est agros in duos partes esse divisos, quanm altera pubhca, altera sit privata; ... publicae partis reditus partivi in sucìificia, cultumque Deorum, parti?)) in concacnatiomvm sumptus impendatur. ( 595 ) TAVOLA DI POLCEVERA nella porzione d’ agro privato a ciascuna famiglia spettante. Confesserò tuttavia che questo secondo caso a me sembra il più probabile ,. essendo conforme all'uso dei Liguri descritto da Strabone : dissipati per pagos vivunt (*); e conforme in genere ai costumi loro, semplici, duri ed agresti, come ce li rappresentano Possidonio, Diodoro, Livio, e tutti in somma gli Antichi (**). Posta la qual cosa, il Castello non avrebbe servito che a difesa e a momentaneo ricovero delle famiglie e masserizie O più preziose durante un invasione ; e dovea perciò esser situato (*) Geograph. lib. v. 2. (**) Il costume di vivere non agglomerati in città ma dispersi in vichi e paghi, non era proprio dei soli Liguri ma anche di molli altri, anzi quasi di tutti i popoli Italici. Così Livio accenna i castelli e vichi de’ Samniti (ix, 38, 7) e li dice in montibus vicatim ab itantes (ix, 13, 7). Appiano dice lo stesso dei Samniti e dei Daunii (Bell. Samn. 4, I). Strabone Io dice degli Oschi, dei Vestini, dei Marsi e Peligni (v, 4) e dei Lucani (vi, I). Vedansi anche Feslo alla voce vichi; Plutarco pei Sabini (nelle Quest Rom. 16) e Pólibio per Ia Gallia Cisalpina (n, iv, 9). Queste citazioni desunsi senza troppa fatica dal Ch. Voigt (Tre epigrafiche costituzioni ecc. Lipsia 1860, edizione in tedesco, pag. 58 e seg.); il quale ne aggiunge altre a buon diritto, cavate da epigrafi ove si nomina il pagi scitum o sententia. Ma non crederei che abbia ragione, ogniqualvolta dal solo nome di pago o vico trovato presso un popolo vuol dedurre che questo stesso popolo avesse una costituzione politica a pago e non a città. Si sa che i paghi e specialmente i vichi, anche dopo perduta ogni importanza politica, rimasero come suddivisione o accessorio della città; e il Voigt ciò ammette: dunque non basta trovare nominato un pago o vico presso un popolo, per dedurne che quel popolo era costituito a paghi, viveva pagativi o, come si diceva in greco, comédon. Piuttosto ciò si potrebbe dedurre dal vedere nominata entro un ristretto spazio di territorio una gran quantità di popoli, i quali dunque non sono concentrati in una sola città, ma sciolti in altrettanti paghi; del che si vedono molli esempi in Plinio e, per es., nella descrizione del Lazio. Anche il nome stesso di questi popoli usato in plurale è già, se non una prova, un indizio del loro vivere a paghi. Il simile dicasi della parola tribù che Plinio usa pei Galli Cispadani, c della parola greca ethne che più volte usa Strabone e che corrisponde al nostro gens; indica dunque il vivere sotto il vincolo agnatizio o naturale, non sotto il politico della ciltù. TAVOLA DI POLGEVEHA ( 59Ü ) nell'agro comune e su pel monte in luogo forte, come erano i rifugi e castelli della Gallia descrilli da Strabone e da Cesare. E che tare fosse anche presso i Latini 1' uso e il significato primitivo de’ Castelli, ne é prova l’aggiustata definizione della voce Castellum data dal Ch. Porcellini: il quale osserva, essere divenuti stabile abitazione i Castelli soltanto in progresso di tempo, quando si fece stabile o troppo frequente l’invasione, I’ incertezza, l'insicurezza delle persone. Simile caso si ripetè nel medio evo, quando e per la stessa causa le Castella si moltiplicarono in modo straordinario e da semplici mezzi di difesa passarono a stabili aggregazioni di famiglie, anzi a grossi borghi che abbiamo tuttora. Nell' agro pubblico argomentammo inoltre dover essere stala ne’ tempi più antichi la Via principale, che dava il passaggio per oltre gli Appennini protetta da due Castelli ; e non é a credere che i Langensi abbiano accolla con piacere la costruzione della nuova via Postumia in mezzo al proprio agro privato, lungi dai Castelli ed in giogo più basso; falla dai Romani col consueto proposito di signoreggiare più agevolmente i popoli per mezzo di buone comunicazioni. Onde sappiamo che la costruzione di simili strade eccitò sempre nei vinti l ira mal frenata, e talora 1' aperta rivolta contro i Romani. Vediamo poi nel medio evo i Genovesi ridivenuti liberi rivolere l'antica via di Langasco come principale; e finalmente annessa la Liguria al Piemonte e divenuti inutili que' ripari, ritornare il passaggio verso la via Postumia. Faceano parte dell'agro pubblico naturalmente i tempii, i sepolcri (*) e tutti quegli Instituti e terreni che servono (*) Come i templi, così i sepolcri si ponevano in terreno o pubblico o «onipasrno: per es . Ira i Romani alialo alle grandi strade; di che son celebri i sepolcri lungo la Via Appio. Preneslina ecc. Nel pubblico era destinalo un luoco pei sepolcri dei poveri (Cromai, vct. pag. 23, 5j). Nei consorzi di più famiglie, i loro sepolcreti ( 597 ) TAVOLA DI POLCEVLRA alla necessità od utilità del Comune : tra i quali è da notare segnatamente il luogo destinato agli esercizi della persona e della guerra e ai convegni politici, giuridici e commerciali; in quibus conventus finiti majores (Gromat. vet. pag. 56). SilTatto luogo più o meno, esteso fu sempre e di necessità in tutti, anche i più agresti, villaggi ; e in antico solca portare il nome di prato dalla natura del terreno. Già fin dai primi tempi della Repubblica di Roma un pezzo d’ agro pubblico donato a INI ozio Scevola continuò a chiamarsi il prato o i prati, .e coll’aggiunta del nome del nuovo possessore i Prati Mudi. Nel medio evo più spesso questo terreno avea un nome un po’ diverso nel suono, ma equivalente nel senso e forse nell’ etimologia; dicevasi broda, in genovese braca,-ed era anche latinizzato iu braida e italianizzato in brera. Son conti a tutti i prati e le brade o brcre delle città medieve, onde rimase Uno a noi la memoria nei nomi tuttor vivi sui luoghi medesimi. Basti rammentare i Prati di S. Germano a Parigi (Saint-Germain-aux-prés), la Brera di Milano, la Braca a levante dell'antica cerchia di Genova (in-a-braea), il Prato del Bisagno attiguo alla stessa nostra Braca, ancora oggi destinalo agli esercizi militari, e che nel medio evo fu dello Prato di S. Martino dalla chiesa vicina che or s* intitola della Pace. Finalmente e sempre per Genova vogliono essere notati i Pré, cioè i prati a occidente dell’ antica cerchia, sui quali sorso poi il borgo ed ora sestiere di Pro (*). e luoghi religiosi si ponevano sulla particolare loro coniunaglia che era, come dissi già , la ripetizione in piccolo del grande agro compascuo di tulla la genie; perciò appunto si chiamavano genti questi consorzi di famiglie Romane. Grom. vet. pagina 22: Loca sacra aedificabantur qwim maxime in confinio ubi trium ni quatuor possessionum terminatio conveniret; c pag. 23: Lucos frequenta in tii- finia ct quadrifinia invenimus. C) Forse' anche è afflue .filologicamente al nome di prato c braida il Ialino di praedium, clic altri, vogliono originarsi da preda nel falso sistema da loro seguilo TAVOLA DI POLCEVERA ( 5VJ8 ) L'agro pubblico elio non era addetto agli usi sovra specificali, veniva sfruttato in origine da tutte le famiglie, come supplemento allo scarso agro privato e come terreno non dissodato. In seguito parte di esso fu ridotta a coltivazione, o altrimenti assegnata a privati mediante un tributo (vectigal) da pagarsi all'erario pubblico. Ma restò la memoria della prima destinazione di quest’agro presso i Ronijini nella paiola pascua, la quale, secondo Plinio, adoperavasi ancora a mioì tempi nelle tavole censuali per significare e tutto 1 agro pubblico ed anche il vectigale che se ne cavava (*)• bonde vennc altresi che da pecu si chiamò peculato il furto non di denaio o bestiame qualunque, ma di denaro pubblico; sebbene poi pecunia passasse a significare danaro in genere. Per una simile gradazione d’idee, il germanico fieli (animali bovini) originò il fé, feo, feodo, cioè la prestazione del tributo o de’ servigi, onde il vassallo nel medio evo riconoscer il suo signore. Di che gli Anglo-Sassoni appellavano Boni-fce (denaro di Roma).il tributo pagato a tale titolo alla Santa Sede. Codesto vectigal, pascuo o feodo che dir si voglia secondo le diverse epoche, solca essere confiscato pel primo dal po di voler cavare l’origine della primitiva proprietà romana dalle conquiste, wve di farla derivare dal naturale cd nniversale diritto di comunione nella famiglia. Nemmeno sembra estraneo a questi vocaboli il romano Paint min e il nome e vatonc di Monte Palatino, clic gli antichi rannodano a Pale Dea pabah, oS~*a pascoli e all’acro pubblico. (V. Fabrelli, Glossar. Hai. vocab. Palatium c Anche in seguito il Palazzo significò più specialmente il luogo o>c si raduna Governo o la Signoria; e (quel che ò assai notevole) nel medio e>o in Lombar i questo stesso luogo si chiamava brolo, broglio, broletto, che lia evidente relazione colla braida o ìtrera: così tutto corrisponde. V. pure la nota seguente. (**) Plin. H. N. xvin, 3. Pecunia a pecore appellabatur. Etiam nunc in tabulis censoriis pascua dicuntur omnia ex quibus populus reditus Ifabet, 0 se 110 porge come conseguenza l'essere desso nei vùy U1SU 1 ^enüvesi : w «//£/• (privatus) vectifjal « i * *’LI Cu,lversa si dà il nome e la nVà*Ì* ma in nat,,ra c dall’intero popolo. E per ^ L^iZlun( i aof,o pubblico diventa vectigale quando il tributo ^ ^ a popolo all altro: Lati g enses iti poplueum Hi VM dent; o quando è concesso dal Comune ad un privato mediante trihmn. ^ . porfj0 flul Vosidebunt vectigal Lasgensibüs pro cal I ie /, ,lt‘ C^e Sl riconosco ch° distinzione tra i vo-pi luu.s e vccUgulis è letterale e semplice; nò fa mestieri p • ^an*as*,can(l° sensi più misteriosi, come fecero Niebuhr "nos ^ ° C ^ì l^Lllr’ CUI diverse ipotesi possono essere inge-ma non hanno il conforto di alcuna prova, come ben conosce il eh. Macé (*). ^ "fan *unSa più importante ô il senso giuridico delle nòli' ^)ss,t^n c /rui> che si trovano frequentemente ripetute frlia Udizione. Il prelodato Macé, seguendo le orme dei pan iqo ?.!. llt. 1(1 l),0Pritiê cl da domai ne public....... chez tes Romains, F J 102> *0-5. Paris IMI. dotti Tedeschi c del suo concittadino Giraud (*), ha cori una lucida discussione ben distinto il valore della parola latina possessio da quella di dominium ; ha provato che la possessio si riferisce al godimento dell’agro pubblico * quel godimento cioè che un privato o anche un popolo può avere in questo agro senza riunire in sè il doniniuni, la proprietà che risiede nel popolo Signore. Ora nella Tavola abbiamo un altro esempio dello stesso significato, da aggiungere ai tanti già riferiti dai chiari Trattatisti testò accennati. Quando si parla dell’ agro privato, che ò piena proprietà dei Langensi, non si dice già quem Veiturii possident ; ma qua ager privatus Castelli Veituriorum est; la quale espressione est significa evidçntemente la proprietà e il dominio. Per 1’ oppòsto le otto o nove volte che si parla degli agri pubblici dei Veiturii, Odiati ecc., non si adopera mai la parola est, ma possidere ed anche fruì. Dal quale costante modo di dire si possono inferire due conseguenze. 4 .a In agro pubblico quem Langenses posident et quem Odia tes et quem Dectunines et quem Cavaturines et quem Mentovines posident : queste espressioni ripetute per ogni agro dimostrano che tutti questi popoli erano considerati come puri usufruttuarii del proprio agro pubblico; la cui proprietà o dominio dovea dunque risiedere in altro popolo e naturalmente in Genova, anche per l’agro degli Odiati, Dectunini, Cavaturini e Mentovini. 2.8 Quei intra eos ftneis agrum posedet..... quei eorum posedeit kalend. sextil.... eos ita posidere co-lerequc liceat : eus quei posidebunt vectigal Langensibus prò portione dent ita uti ceteri, Langenses; questo passo fa argomentare che, come in Roma, anche in Liguria vi fossero degli antichi possessori che godevano parte dell’ agro pubblico ad (*) V. Macé, Opera cil. pag. 100-101. Giraud. Recherchas sur le droit de propriété chez Ics Romains, pag. <93 c seg. V. anche Decker, Antichità Romane (in tedesco) Yo\. 3.o parte M pag. 314 e seg.; par. 2.*, pag 122 e seg. TAVOLA DI POLCEVERA ( 600 ) esclusione degli altri Langensi; e che quo’ Possessori, come in Roma, volevano esimersi dal pagare il recti gal pretendendo cambiare la possessione in propriet1). Ma la sentenza degli Arbitri Romani dando ragione ai pretendenti sul primo punto, cioè conservando loro I' esclusivo antico % possesso, volle però che ne pagassero il vectigale proporzionalmente agli altri Langensi; e per tal modo assicurò il carattere di possessione e la integrale estensione all’agro pubblico. Donde traspare come un ombra dello ardenti quistioni agrarie di Roma, le quali spesso sconvolsero la Repubblica, ma che anche spesso a foggia di valvola di sicurezza sfogate a tempo, ne accrebbero la forza e ne dilatarono i confini (*). « I*) Anche il eh. RudorlT, a cui assente \Jommsen (Corp. inscript. I«itin. p. 73), ammette senza esitazione la dipendenza de1 Langensi da Genova cou queste parole: Castella ( Langensium ) Genuae tamquam cici attributu erant , a GenuentUm agrum habebant, ab eisdem jura petebant, eodem vectigalia dabant. Dubiia soltanto se la riunione dei Langensi eo’ Veiturii sia stala fatta da’ Genovesi, o se provenisse per generazione di uno dei popoli dall* altro. Recentemente aneora il eh. Voigt (opera citata pag- 125-133; ammetto questa dipendenza ; senonchè pretende che fossero i Romani quelli clic posero sotto Genova i Langensi-Veiturii dopo averli riuniti. Ora di questo supposto fatto de* Romani non v’ò alcuna traccia o indizio di provo; dappoiché pii Arbitri che pronunziarono la sentenza, non esercitavano una funzione politica ma una giudiziaria ; e sentenziarono de jure constituto, non de constituendo, Questa opinione del \oigt perciò accorda troppa immistione nelle relazioni Genovcsi-Langensi al popolo Romano, il quale in tal caso pare che si sarebbe anche riservala almeno una parte del vectigal. Reccntissimamcnte il nostro eh. Socio Can. Grassi (Sull’ iscriz. della Tttrotti di Porceo era, I863J, venne in campo negando codesta dipendenza de' Langensi da Genova, nè per titolo di giurisdizione, nè per quello di tributo; e fermandosi segnatamente sul secondo titolo sostiene che « rectigai non lia necessario senso di tributo, in imperio in antico ». Ma egli avrebbe dovuto corroborare con qualche esempio la sua tesi: oltreché non fece neppur ccnuo dell*argomento cardinale, che si deduce dalla distinzione giuridica delle parole possessio e dominium, le quali evidentemente sono adoperate m*lla nostra Tavola nel senso romano, come osservai nel nel lesto, lo non addurrò qui i numerosi brani di leppi e di Giuristi sul senso ( 007 ) TAVOLA DI POLCKVKHA L agro compascuo fra più popoli essendo in gran parte scomparso per le lotte e gli spostamenti, e per ragioni che fra poco dirò, rimase sull'estremo confine l’agro pubblico; e questo durò fino ai nostri tempi sotto nome di Comunaglie nella più parie dei Comuni, e più durò e dura tuttavia fra i popoli montanini. L’ erudito Gabriele Rosa nel suo opuscolo sui Comuni e Feudi lombardi fu il primo, eli’ io sappia, a rilevare l'importanza delle Comunaglie, per intendere la storia medieva e le antiche divisioni in vichi, paghi o (jau. E se lo stesso principio si applicasse al più ampio ed antico compascuo sui confini tra i Comitati, le Provincie, le grandi Genti, si vantaggerebbe, credo io , 1’ intelligenza della storia generale, ponendola in confronto delle voci possessio e ager vectigalis che si trovano specialmente raccolti nelle pagine di Girami e Becker testé citate in nota alla pag. 605; solo dirò che dopo tali testi e i concordi ragionamenti di tanti illustri è opera ardila tenere un parere contrario. Tanto meno è da accettarsi l’ipotesi, che il Can. Grassi vuol sostituire a quella eh’ci rigetta. A suo avviso qui il vectigal non significa « che un semplice com-» penso o prestazione imposta alla parte in guadagno di territorio; quando la re-» golarità de* nuovi contini obblighi il mensore ed i giudici ad intaccare alcunché » dell’altra parte »; cd aggiunge che « gli Agrarii fanno cenno di tali casi ». Anche qui avrei desiderato che recasse un esempio (ratto dagli Agrarii. Del resto io comprendo che in una divisione gli Arbitri o gli Estimatori impongano, a chi guadagna un po’ di territorio, un compenso, una rifatta a favore dell’altra parte; ma da pagarsi per una sol volta o in un determinato numero di anni. L’imporvi invece a tale titolo un censo perpetuo, come vuole il eli. Oppositore, pare a me che non sia mai stato consueto ; nè sarebbe utile , come più alto a promuovere le liti che a prevenirle ; perciò un tale espediente non deve ammettersi e non sarebbe degno dei gravissimi Arbitri Romani che pronunziarono la sentenza. Ma , che è più , nel nostro caso non si tratta , come suppone il Grassi, di una striscia di territorio, d’intacco d'akuncliè dall’ una o dall’altra parte, ma di lite su tutto l’agro pubblico, anzi anche sull’agro privato, dunque sull’intero territorio dei Langensi ; giacché la decisione degli Arbitri su entrambi gli agri presuppone un litigio altrettanto generale. I)i che è evidente non trattarsi qui di più o meno danaro, ma di dipendenza. Arrogi clic un censo nel modo inteso dal eli. Oppositore sarebbe una vera e pura enfiteusi; ora i Giuristi sanno che l’enfiteusi, non solo nel nome, ma nella sostanza fu ignota ai Romani fin dopo l’impero ben inoltrato: sebbene sii TAVOLA DI rOLCEVÇnA ( 008 ) colla storia di questo compascuo o del suo trapasso graduale dal popolo vinto al vincitore, e dal popolo vincitore al suo Re od Imperatore. Del quale soggetto io verrò porgendo uno schizzo, nn saggio del molto che vi sarebbe a diro; con che sarà chiusa la mia disquisizione sull’agro pubblico. Vedemmo addietro che i vincitori o cognati o più miti ap-pngavansi d’imporre un lieve tributo. Roma imitò questi dapprima, ma col crescere la superbia e il bisogno dell’ erario prese a confiscare i compascui dei popoli, talora anche l'agro pubblico e perfino il privato. Di qui gli .immensi terreni dei Romani per tutta Italia e le Provincie; il celebre agro Campano, i monti detti lumiimi, la selva Scanzia ecc.; di qui infine, crescendo vero che l’agro vcctjgale e l’enlileulieo abbiali finito per confondersi, quando si smarrì il senso dell’antica distinzione. Il voler rispondere per lilo e per segno alle cinque obbjczioni die il Grassi reca contro questa dipendenza de’ Langensi, richiederebbe troppo più spazio clic questa nota non consenta, ma non richiederebbe grande acutezza d’ingegno; tanto più chc il eh. Oppositore stesso le reca anzi in forni a di congbietture clic di argomenti. Quindi io mi soffermerò soltanto ad uua di esse, perchè mi porge occasione ad uno schiarimento. Egli dice che se si trattasse di vero tributo e non di censo, non si sarebbe lasciata l’alternativa del pagamento o in danaro o in natura; e non vi sarebbe la mora a ricevere il danaro. E perchè no? rispondo io. Il tributo in origine come qualunque altra prestazione si pagava sempre in natura ; ed è col crescere della civiltà e coll* abbondanza del numerario che si muta la prestazione in una somma fissa di denaro. Così Igino, de JimiU (lioesius, /lei, agrar, script.): mji i vectigales... in quibusdam /hocincus fructus pat iem constitutam praestant, nunc \illti pecunia m. Nel medio evo difatti colla povertà r barbarie ritornò il tribolo e il censo in natura, e sparve di nuovo coll’epoca moderna, sebbene resti tuttavia ne’ popoli rimasti addietro. Così è giusta I’ etimologia del vedigli da veliere, recare i frutti al padrone (Isidor. Origin. xvi. 18.8); e così anche i Langensi avranno recati i loro frutti a Genova. Ora a me pare dalle espressioni della Tavola, clic la riduzione del tributo in denaro dovesse essere cosa assai fresca e forse introdotta precisamente per la prima volta dagli Arbitri, adìnc di togliere occasioni di lite nell’estimo del raccolto; perciò è previsto il caso assai naturale clic i Langensi non se ne appaghino, o i Genovesi sieno in mora a ricevere il denaro offerto ; e in questi dm- casi i Langensi daranno il tributo in na- ( 009 ) TAVOLA DI POLCEVERA coi dominii la brama, quelle eredità che, simulate o vere, Roma, raccolse di fatto dai pingui patrimoni de’ Re di Pergamo, Bitinia e va dicendo. Ma come questi Re aveansi appropriato 1 agro pubblico o compascuo de’ popoli loro sudditi, così anche a sua volta 1 agro Romano di tal fatta divenne Imperiale; dacché 1 Imperatore venne a considerarsi come 1’ unico rappresentante del popolo; e noi l’abbiamo veduto nel luogo citato di Gajo in eo solo.......... dominium populi Romani est vel Caesaris. Il medesimo agro passò poi in gran parte e con altre lura ; queslo procedimento non ha dunque nulla nè d’inverosimile , nè tanto meno di contrario al significato di vero tributo. Le parole della Tavola relative a questo caso, interpolate come sono dal ch. Grassi nella sua elegante trascrizione , mi fanno sorgere un pensiero che esporrò dopo di avere riferito le parole stesse colla interpolazione in caratteri majuscoli invece dei capillari adoperali dal Grassi. Si Langenses eam pecuniam non dabunt ncque ALiTEn satisfacient arbitratu Gcnuntium si tamen id eveniat quod per Ge-nuenses mora non fiat che chiama dunque col nome comune di Genoate l’agro a cui bau diritto coi genovesi i popoli circostanti ; 2.° nella Tavola la parola Genuenses è nominata solo due volle , quando si traila de’ Genovesi che sono in mora a ricevere il tributo , e quando si traila degli arresti falli dai (genovesi contro i Langensi. Ora quesli casi si possono applicare ai Genovesi presi in senso ristretto, cioè cittadini , mentre tulle le altre volte in cui si parla di Genoati, il senso può esserne applicalo a tutta la stirpe. Ala siccome la controversia era inter Genmtes et I-eturios , bisognerebbe allora dire che il tributo propriamente non era dovuto a Genova ma a lutla la stirpe : era insomma un contributo, lo non mi deciderò su tale spiegazione ; solo osservo che anche in tale senso, il capo della stirpe, il potere giudiziario cd esecutivo e la cassa pubblica erano in Genova: or tulli sanno che ciò basta a stabilire in fallo e presto anche in diritto una dipendenza dei minori luoghi verso la Capitale. :J9 TAVOLA DI POI.CËYKRA (010) proprietà confiscato o vacanti nelle mani de’ Ho Goti e Longobardi i quali, conquistando l’Italia, si pretesero i successori nei diritti imperiali: di che la immensa quantità di Corti Regie comprendenti talora anche intere Città coll’ unito territorio, amministrate da Gastaldi del He Longobardo. Ma gli Imperatori aveano già donato sullo stesso agro pubblico o compascuo ragguardevolissimi patrimonii alla Chiesa Romana; e sebbene i Longobardi appena venuti la spogliassero .* quasi al tutto di codesti patrimonii, i Re successori fattisi cattolici glieli restituirono di buona o mala voglia, o li assegnarono in dote a Chiese e Monasteri, da loro ivi o altrove fondati. A chi non è noto il vasto Patrimonio della Santa Sede in Sicilia, amministrato dal grande Pontefice Gregorio primo? Ma al nostro uopo è più opportuno accennare al Patrimonio delle Alpi Cozie, cioè degli Appennini Liguri secondo il linguaggio di quei tempi. Del quale Patrimonio restituito, ritolto e ridonato dai Re Longobardi alla Chiesa Romana, si disputa tra gli eruditi, se abbia compreso il dominio dell’ intera Provincia o soltanto private proprietà. Ma a me sembra chiaro che nè I’ uno nò • 1 altro di questi casi sia il vero; e che il cosi detto Patrimonio delle Alpi Cozie provenisse, come gli altri simili, dal nucleo dell' antico agro compascuo, poi Romano ; dilatato per violenze e confische, per latifondi abbandonati, per morti, rovine, estinzione d’eredi, impotenza di pagare i tributi; attraverso il lungo corso di que' secoli infelicissimi. È perciò che i beni di esso Patrimonio trovansi sempre avere lor sede principale ai margini, o al mare e ai promontorii, o lungo la spina dorsale appennina, o nei più lunghi e rilevati contrafforti che legano l’Appennino al mare; insomma lungo tutte le striscie di terreno ove erano i confini tra i Comitati; coronando all'intorno le private proprietà come era il caso degli agri pubblici e compascui. 4 (Oli ) 1 AVOLA DI POLCEVERA Questi boni i Papi lasciarono godere ai Vescovi delle Diocesi rispettive, in alcuni luoghi impoverite dalle continue incursioni saraccniche. Così Oneglia e i gioghi che le si addossano passarono al Vescovato d Àlbenga; ma, che la concessione dei Papi fosse , anziché di dominio , di usufrutto o di possessione nel- ' I antico senso, ne è prova il fatto di Urbano vi; il quale nel 1385 ritolse gli stessi e vicini beni senza compenso ai Vescovi d’ Albenga, Noli e Savona, e li cedette alla Repubblica di Genova. Nè altra origine che* una imperiale o pontificia concessione penso io che avessero le proprietà, che il Vescovo di Genova conservò per molti secoli sull’ Appennino di Creto da Molassana a Vico Molasso ; e quelle altre che nel 100G il vescovo Giovanni donò al da lui fundato Monastero di San Siro (*), e che si stendevano da Langasco e Mignaneyo a Voltaggio, Carosio e (lavi; dunque attraverso la Bocchetta e la Valle superiore del Lemo y cioè in parte sul compascuo e sugli agri pubblici dei popoli nominali nella Tavola. Aggiungiamo a questi terreni ecclesiastici quelli sulla vicina Valle della Scrivia, su cui furono fondati e riccamente dotati i Monasteri di Precipiano e Savignone fino dai tempi Longobardi; ed avremo per tal modo abbracciato una grandissima parte dell’ agro di confine, che separava nel medio evo LI Comitato di Genova da quello di Tortona. Applicata codesta stregua ai confini degli stessi e di altri Comitati , vedremo sorgere in folla fatti analoghi. 11 Monastero di San Fruttuoso sul Promontorio di Portofino avea per dono dell’ imperatrice Adelaide la più parte de’ suoi beni sui lidi e lungo il confine tra i Comitati di Genova e Luni; e sui monti e pascoli della Riviera Orientale O V. il documento dell1 anno 1006 ora stampato nell’Appendice al Registro della Curia Arcivescovile di Genova. Atti della Società. \ol. 2.°, P. 2.*, pag. 42/. TAVOLA Dï POLCEVERA ( 012 ) soi se il Monastero di Brugnato, che divenne poi Vescovato. Anche più celebre fu il Monastero di Bobbio fondato dai He Longobardi, e arricchito dai Carolingi sulla vasta ed alpestre solitudine che separava non solo i Comitati di Genova, Tortona o Piacenza, ma faceva altresì una lunga punta a meriggio verso il mare; come mostra tuttora la Diocesi sottentrata al Monastero e avente giurisdizione lungo la Valle di Borzonasca. I confini tra i Comitati di Tortona ed Acqui erano contraddistinti dagli ancor ragguardevoli resti della famosa selva Orba presso l’omonimo fiume, che fu poi anche il confine tra le Marche, Ligure o di Genova-Tortona, e Aleramica o di Savona-Monferrato. In questo confine si stendevano largamente beni e paesi, come Fresonara, Basalusso, Fregarolo, ecc., donati dal-l’imperatrice Adelaide- al Monastero di San Salvatore di Pavia. Cesserò per non essere infinito, ma potrei farne 1’ applicazione ai confini tra i Comitati di Luni e di Toscana .e forse senza eccezione dovunque; gli é perciò che mi venne detto altrove che i primi Monasteri, come già gli antichissimi centri religiosi, risiedevano sui boschi sacri di con fine, e fu di colà che stesero innumerevoli colonie per tutta Italia a educare ed ingentilire il popolo (*). (*) Nella terza lettera dichiarerò come la nomenclatura odierna de' luoghi di confine ove sorsero i Monasteri od altre ampie Signorie, sia un indizio, anzi una riprova dell'antica esistenza ivi d'un agro compascuo. Un'altra prova se ne potrebbe desumere dalla conformazione fìsica di tutti questi contini, clic sono ben rilevati e segnati dalla natura; in allo dorsi o spine longitudinali, al basso mari o grosse acque con alluvioni c penisole; ai Iati i più lunghi speroni e conlraflorti sporgenti nell’acqua o legati ad un gran fiume con breve rio. Da tali conformazioni viene assai spesso la ragione delle divisioni etnologiche e politiche e la direzione delle emigrazioni. La terra si riparie in una rete di membrature. Il nodo primo dell’antico mondo si concentra tra il Caucaso e l’Indocush; e di qui partirono le genti per rOricnle e per l'Occidcnte lungo le catene dell’ Indocina e della Persia, del Tauro, Carpazii, Alpi, ecc. Ciascuna delle grandi membrature si suddivide mano mano in piccole come corpo organico; e così dai passaggi ( Gl 3 ) TAVOLA DI POLCEYKRA 111. La terza epoca dello 'svolgimento sociale dissi simboleggiarsi nell’ agro privato ; I’ epoca cioè quando la terra non è più comune a tulle le famiglie d’uno stesso popolo; non è nemmeno distribuita soltanto pèr modo provvisorio, ritornando comune a dati periodi ; ma ciascuna famiglia riceve in perpetuo una determinata parie d’ agro coltivabile e può trasmetterlo agli eredi. Ed invero col moltiplicarsi delle generazioni nelle famiglie avviene <\nche qui ciò che abbiamo veduto accadere alla gente prima, la quale si era dovuta dividere in più stabili tribù o popoli ; delle granili genti si discende fino ai confini delle più piccole parrocchie, segnate allo stesso modo con monti e rii finali (tra noi rum fi uà, raffinale, rovinò ; ad fines negli itinerarii romani '. Sono degni di nota speciale i contini dei \e>co\ali e dell» antiche pievi ecclesiastiche ; e più ancora certi nodi rilevatissimi o\e concorrono i contini di più Vescovati e più pievi. Per cs., in Provenza la punta della de quallro Vescovati segna iL confine di quattro Diocesi. Nel Piacentino al Monte chiamalo Obolo (del cui nome toccheremo nella terza lettera)'. concorrono i fini di olio pievi. In queste stesse tini del Piacentino sono notevoli certe rosi delle ciostie (chiostri), ossia strette e facilmente chiudibili aperture per cui si può passare da un popolo all altro. Queste rammentano i claustra Udina, clic separavano i> Lazio vecchio dal nuovo, lo credo giustissima l’opinione del mio amico Wolf, che ricerca il cloustium tuli are d«*lla Tavola Yellejalc in una di tali aperture, lungo o presso il monte Tol-lara o la Badia di Tolla. Forse'sono qui da riferirsi i numerosi beucco, hocco, boccolo sui monti tra il Geuovesalo e l’Emilia, che pare sieno nomi affini alla Bocchetta; come le così delle porte, di cui, senza andarle a cercare ai Pirenei, o tra iLCajuiiù^e 1’ Eusino, abbiamo la Porta Beltrame nel medio evo situala tra 1’ Appennino, il lago di Monlignoso e il Mare, e che separava già la Lun.g.ana dalla Versilia, poi, col crescere della potenza Genovese, diventò nei trattali il punto più orientale della pai o meno diretta Signoria della Repubblica sulla Riviera. Ma 1' antico e Vero contine del Comitato di Genova a Levante era quel lungo contiuf ferie di cui parlai in noia alla prima lellcra pag. S/l; cioè il \asco :0\ra Amo, dello nel medio evo l'ielra Corice, thè divideva i comitati di Limi e Genova, e su cui le carte del medio evo attestano l'esistenza d’un Ospedale (le pelea conce, tome appunto ve n’ora dovunque in agri di tal fatta. Parimente .1 Comitato dt Oc- TAVOLA DI POLCEVEHA ( 6** ) così ora una di esse tribù o popolo si dee suddividere in più famiglie non solo con separazione personale, ma colla stabile e separata dotazione di un agro privato per ciascuna. Tanto più clic il territorio goduto in comune comincia ad essere scarso alla sussistenza della cresciuta popolazione. Si capisce allora che per lare che risponda la terra alle speranze del coltivatore e nutra il più possibile di viventi, è giocoforza che ogni famiglia abbia il proprio terreno a cui si affezioni, vi spenda tutto l’ardore ond’è capace e vi faccia migliorie di cui solo godranno le generazioni avvenire ; provvedendo dunque, più che alla propria sussistenza, al vivissimo sentimento d’alletto versola posterità, e con ciò al progredimento sociale voluto dalla Provvidenza. nova era separato a ponente da quello di Savona per un contrafforte assai notevole, che si legava al mare per mezzo del torrente Lerone. Ora si osservi che tali contrafforti sono assai più distinti e strategici in allo che in basso; essendoché in basso si diramano in più coslerelle mordili c in più fiumicclli. Donde viene che il contine inferiore è sempre più ondeggiante, e sempre più s> allarga a favore di quello fra i popoli limitrofi clic va crescendo in potenza. Così Genova assai per lempo avea trasportalo il contine occidentale dal torrente Lerone al fiumicello Lacstra (Gesta), incorporandosi con ciò l’interposto territorio di Cogolelo, che prima dovea far parie del Gomitalo Savonese. Così anche l’opposlo contine della Iliviera Orientaleandavasi sempre più allargando al mare, da Rovereto di Chiavari a Seslri, poi a Moncglia, poi a Levanto ecc., a danno del Monastero di S. Fruttuoso, dei Vescovi, dei Conli di Lavagna e dei Signori di Passano, feudatarii di quelle terre e rappresentanti l’agro compascuo o imperiale. Ma il confine settentrionale o longitudinale reslava più fermo c in possesso specialmente de' marchesi Malaspina, discendenti dall’ antico Marchese della Liguria 0berlo. I Malaspina possedevano una sterminata striscia di territorio lungo il dorso Appennino Ligure dall’estrema Lunigiana all’estremo Torlonese; il che dunque rappresenta benissimo il primitivo agro compascuo. I frastagli che interrompono qua e là lale catena, o sono donazioni imperiali a Vescovi e Monasteri, o sono infeudazioni a vassalli (Conli di Lavagna odi Passano) i quali poi si emanciparono dai Marchesi e divennero Signori; o sono infine il più tardo effetto della potenza cresciuta nei Comuni di Genova, Piacenza e Tortona, che sempre più fiaccarono i Marchesi e i Signori. Tuttavia le tracce del compascuo durarono ancora fino allo scorso secolo ne’ feudi clic sui monti Liguri aveano acquistalo per ( 615 ) TAVOLA DI POLCEVERA Si sa che Licurgo nell’ordinare la Laconia ne divise l’agro, assegnandone 9,000 porzioni agli Spartani, 30,000 ai Perieci. Ai Romani fa Romolo stesso che, secondo Dionigi d’ Alicarnasso, divise le parti deir agro privato; ma ne assegnò anzitutto una parte agli Dei e al Re (*). Queste porzioni degli Dei e del Re erano presso i Greci chiamate temenos, cioè taglio, ritaglio ; parola che indica etimologicamente il distacco di esse porzioni dall’ agro pubblico, e dimostra con ciò essere il pubblico anteriore all’ agro privato e di tempo e di natura. I pezzi divisi dell’ agro privato sono significati con diversi nomi, secondo le varie lingue ed i tempi. Si appellano pars, portio, perchè parti o porzioni di tutto l’agro; donde la parola comportionalcs applicata a ciò che appartiene alla stessa por- eredità o in altro modo dagli antichi Siguori i Doria, gli Spinola, i Centurione, ecc., i quali vi hanno tuttora estese proprietà. Ma gli antenati dei Malaspina andavano ancora assai al di là della Liguria e della Lunigiana nel possesso di tali compascui; perchè continuavano lungo 1'Appennino per Volterra fino verso Arezzo e le sorgenti della Chiana e dell'Arno., ove erano le così dette chiuse del Marchese o chiusure obertenglie, dal nome del marchese Oberlo che le possedeva. E queste chiuse segnano uno dei più rilevali confini geografici c storici: e rammentano le chiostre sovradelle, o le tante chiuse nelle Alpi e al Giura. Chi stendesse queste idee agli altri grandi aari marchionali, troverebbe, io credo, molli e preziosi sussidii all7 intelligenza della Storia del medio evo e, chi sa, anche dell’antico. E, per es., nel già Ducalo di Modena i larghissimi possessi del Vescovo di Reggio dispulali e in gran parte assorbiti dai Marchesi antenati della contessa Matilde, c gli amplissimi del Monastero di Nonantola, che divenne poi Vescovato, si troverebbero tulli formali di territori di simili grandi contini alti, bassi c trasversali; tra i Comitati di Parma e Reggio (per es. Canossa); tra Modena e Firenze (Cerreto dell’Alpe); tra Modena e Mantova (Mirandola); ira Modena e Bologna (Nonantola, S. Cesareo, ecc.). E anche qui la nomenclatura, di cui diremo nella terza lettera, fornirebbe la riprova (Rovereto, Querciola, Ghiandeto, Novellava, Novi, Finale, Carpi ecc.). (*) V. per la Laconia il già lodalo profondo lavoro del Peyron nel Volume 17 delle Memorie dell’ Accad. delle Scienze di Torino, Serie 2.a. Per la divisione di Romolo . V. Dionigi d’ Alicarnasso, Antiquii. Roman. I. zione. Si chiamano sors, sorte, in germanico donde il nostro lotto; perchè sono tirati a sorte i pezzi di terra, dopo misurati, per essere distribuiti a ciascuna famiglia; donde le sortes gotiche e longobarde, e la parola consortes, consorzio, che indica lutti i rami d’ una famiglia che godono ancora in comune diritti o parti dol già unico patrimonio. Si chiamano ancora haeredium, in greco cleros , perché queste parti passano agli eredi. Ma raccogliendo tutti insieme questi vocaboli, non pare egli ai conoscitori di cose filologiche che pars, portio, sors, klot e forse anche cleros e heredium racchiudano in se una radice identica, e per conseguenza un significato in origine identico? Finalmente 1’ agro assegnato a ciascuna famiglia si chiama eziandio familia, casat as, mansus e in anglo-sassone inda, perchè vi può vivere, vi rimane alimentata per tutto un anno una famiglia, un casato, un nostro manente. E forse alla anglo-sassone hida corrisponde la voce germanica edel; nè fa obbiezione che quest’ultima voce significhi nobili; perchè i primi nobili e nell’ antico e nel medio evo erano i soli compartecipi nell’agro privato e pubblico; a differenza dei clienti, assidui, (insassen) che non aveano proprietà nò erano considerali come cittadini. Notai testé che la parte, la sorte e l’eredità hanno forse una identica radice linguistica; ma anche senza ciò è indubitato che nell’agro privalo romano i vocaboli pars e heredium erano sinonimi. Donde viene che in origine la proprietà d’ una famiglia dovea di necessità passare agli eredi i quali erano tutti consorti, condomini, nè potevansi spogliare con disposizioni private della sorte loro attribuita per diritto pubblico; in altre parole, la sola successione legale era ammessa, il testamento era ignorato o proibito. Licurgo volle immutabili il numero e le porzioni del-l’agro privato assegnate alle singole famiglie della Laconia. Si rimprovera a buon, diritto agli Spartani d* aver voluto come cristallizzare siffatta instituzk)ne, acconcia solo ad . una meno svolta società, come anche vollero cristallizzare tutta la loro vita privata e pubblica. Ma non è giusto rimproverare l'istituzione medesima nel suo grado primo e transitorio, quando la si trova nell’uso generale dei popoli, anche dei più civili come i Greci e i Romani. Senonchè questi ultimi usarono qui, come sempre, quel profondo accorgimento che usano tuttora gli Inglesi (in molte e grandi cose simili); per cui nelle cose si lascia mutar la sostanza, sebbene non ad ogni cader di foglie, ma con poco o punto mutare delle apparenze; di che le antiche formole, conservate nella lettera, modificate nel senso, sono ad un tempo un gradino alla nuova instituzione, una prova e storia dell’ antica. • E che altro sono i testamenti romani più antichi, se non una % legge speciale per ogni volta, che deroga all’ ordine generale di necessaria trasmissione agli eredi? Perciò que’ testamenti po-teano farsi soltanto nei Coraizii Curiati, cioè coll’assenso del vero e antico popolo Romano che era allora il solo Legislatore (*). La stessa proibizione di' testamento era negli Ateniesi- prima di Solone; e l’unico mezzo di ottenere ivi l’eredità d’un estraneo era quello di farsi da questo adottare; vale a dire si4dovea entrare a far parte della famiglia con una finzione legale, per (*) Non ignoro clic dottissimi Scrittori (e fra i più recenti il Lange, opera citata, vol. I, pag. 136), sostengono che in questi casi il popolo non faceva da Legislatore ina soltanto da testimonio. Ma io credo l’opinione contraria più vera e più consentanea allo sviluppo graduale della legislazione romana. Giacché anche i lodali Scrittori, ammettendo che lo stalo originario di quella legislazione era la successione necessaria, devono convenire che l’abrogazione di un principio così cardinale, e che toccava il vivo delie famiglie nel Diritto Romano antico, dee essere stala accordata per gradi lenti il più possìbile e dapprima, per sole ragioni di famiglia che richiedevano una speciale indagine per ogni caso; come oggidì succede nei consigli di famiglia pei minori. Invece, ammettendosi l’opinione del Lange, il progresso ulteriore, ossia il passaggio dal testamento ne’ comizi calati a quello più recente per (ics et libram diverrebbe un regresso verso il diritto più stretto ed originario. Vedi anche Giraud, Histoire du Droit Romain, l’aris 1847, pag. 82. TAVOLA DI POLCEVKRA ( G18 ) poter poi essere considerato erede legittimo e necessario. La facoltà di testare era anche ignota ai Germani a’tempi di Tacito e non fu introdotta che assai tardi. Dalla originaria stabilità ed inalienabilità delle sorti private nasce un altro corollario, clic giova accennare come assai importante all’ intelligenza di alcune fasi storiche. Le famiglie col sempre più moltiplicare non potendo alimentarsi abbastanza sulla misera sorte immutabile, e le famiglie nuove venute rimanendo senza agro al tutto, dovettero acconciarsi per vivere al servizio del Re o dei Principi della Tribù ; donde poi in questi la forza, l’ambizione, la sete di gloria; in quelli lo ^spirito d’emulazione, l’avidità del bottino; in tutti le imprese ardite, le guerre frequenti, l’assoggettamento delle vicine tribù. Cosi sorse la clientela personale anche presso i Romani, onde si hanno già tracce ai tempi di Romolo; e vennero i Clienti o Ambacti presso i Galli, nominati da Cesare e da Polibio; e i Solchivi presso gli Iberici e i Cornili nella Germania. E di qui vennero pure le clientele de’ popoli assoggettati verso il Re o il popolo vincitore, come sappiamo in Gallia degli Ambarri clienli degli Edui (*) e de’ Carnuti clienti de’ Remi, e di altri gradi d’ assoggettamento che furono il primo passo alla servitù. Ma in ultimo, come giusto castigo che infligge la Provvidenza alla sete insaziabile di conquiste, il lustro da queste recato al popolo vincitore gli ricade in obbrobrio; 1’ autorità del Re rafforzata dai suoi clienti, persone e tribù, viene a pesare sul suo proprio popolo con giogo intollerabile; l’antica costituzione di libertà è cassata; gli antichi Corniti (compagni) del Re diventano i Conti (comites) delle Provincie ; i suoi scudieri, scalchi, (*) (ìli Apìbarri essendo nello stesso lempo i clienli e i consanguinei degli Edili (Cesare, de 13. G. lib. 2] sembrano approssimarsi allo sialo de’Langensi, clic |»ro-babilmenle cognati de’ Genovesi pur pagano loro un tributo. ( 619 ) TAVOLA DI POLCEVERA coppieri, camerieri si appropriano le più sublimi dignità del Regno. E alla rivoluzione de’ fatti si accompagna una curiosa rivoluzione nel significato delle parole; il compagno (comes) viene a dire superiore; il vassallo, il thaue (in anglo-sassone servo) diventa titolo di nobiltà; viceversa 1’ arimanno (il libero guerriero) si muta in segno di soggezione (tributo detto ari-lìianma); 1’ antico cari o ehurl che volea dire il forte, il libero, passa a significare una persona spregevole; come l’indipendente abitatore della villa diventa un villano. Che più? In un analogo trapasso dalla Romana Repubblica all’impero, il nome sovra ogni altro temuto di Quiriti non fu egli usato da Cesare verso i suoi soldati come titolo di castigo e di avvilimento? E non bastò questo strano castigo a frenare la sedizione di que’ Gre-garj, che già preludevano con tali sentimenti alla futura insolenza pretoriana facitrice e disfacitrice d’Imperatori (*)? Di tutte le quali e simili vicende, o fortuna politica delle parole, sarebbe prezzo dell’ opera fare un libro da aggiungersi a quello pubblicato dal ch. barone Manno; chi potesse rapirgli quel suo stile elegante ed arguto, ond’ ei sa così bene infiorare codeste aridità grammaticali. Non è da credere che, dopo introdotta l’assegnazione perpetua dell’ agro privato, rimanesse con ciò esaurito 1’ agro. Anzi una grandissima parte e la maggiore si lasciava indivisa, cioè restava agro pubblico; sia per servire, come si è detto, alla Religione e al comodo comune, sia come pascolo o sussidio agli agri privati , sia come risorsa di future gratificazioni ai benefattori insigni della patria: siccome sappiamo di Mitilene che donò di agro pubblico il concittadino Pittaco; e di Roma che altrettanto usò verso Scevola e Coclite, salvatori della nascente Repubblica; (*) Lib. 2. Ode 13. V. Dione Cassio 42, ò2, c le altre autorità ricordale da Macé, opera citala, pag. 291. nomi immortali finché amor di pairia scaldi i petti di liberi cittadini. Più si rimonta indietro, più l’agro pubblico è vasto e superiore in estensione al privato. Di che lodava Orazio gli antichi Romani; privatus illis cousus orat brevis, commune magnum (*). E che anche T agro pubblico dei nostri Lan (jensi fosse 00 ettari sono di ra0ione |>r ' il 7 ‘/s Pcr loo> ^ rimanente apparteneva fino ai tempi più recenti in ^ prietù ed appartiene tuttora per lo meno in dominio diretto ai Comuni. ^ ^ che la stessa proporzione tra la proprietà privata e la comunale s incontra pr poco negli altri territorii lombardi di montagna. X. La pi oprietà fon ia Lombardia, Milano 1864, pag. 154. Osservazione ch'io devo, come tante a buone notizie c sussidj, all' Amico Wolf. ( 621 ) TAVOLA DI POLCEVERA popolazione. Langen.se. in confronto colla presente popolazione ivi stanziata ; e far ragione della giusta quantità del tributo pagato, considerato questo tributo non solo nel valore metallico dei vittoriati , ma nel loro valore commerciale ossia nella quantità del grano o vino che loro corrisponde. 11 Marchese Serra institui a tale proposito parecchi calcoli; ma io non posso menarli buoni per più ragioni : 1.° Perchè, se è vera la mia soluzione topografica, la contenenza dell’ agro Langense è molto diversa da quella dal-1’ egregio Storico proposta. 2.° Perchè egli non ha tenuto conto dei prodotti dell’ agro privato, il quale sebbene assai minore in estensione, pure per la coltura del grano e del vino dovea essere al certo superiore in importanza all’ agro pubblico. 3.° Perchè ad ogni modo i calcoli di lui mi sembrano peccare, ora per le basi, ora pei risultati. Difatti egli pone il vittoriato eguale in valore ad un mezzo danaro romano, quando i più recenti ed autorevolissimi risultati del Borghesi, del Cavedoni e del Mommsen lo dimostrano all’ e-poca della nostra Tavola del valsente di tre quarti di denaro; sebbene sia vero che più tardi sia digradato a mezzo denaro. 0 Inoltre il Serra ragguaglia a soli centesimi quaranta il denaro romano, laddove tutti i dotti, da-Eckelfino ai più recenti, lo dichiarano di tale quantità d’ argento fino che valga centesimi 80 a 82 (*). (*) V. Mommsen, Della Moneta presso i Romani, edizione tedesca, pag. 389; e di nuovo recenlcmenle nel Corp. inscript, latin., pag. 74, ove cita Borghesi, , Decadi Numism. 4, pag. 26; e dice che il vittoriato era una moneta eguale ad una dramma di .Marsiglia, ed avea corso ani he nella regione Circumpadana donde ne fu dissepolta gran quantità. Vedi altresì Cavedoni, Ragguaglio storico de’ principali ripostigli ecc., Modena l$.”4, pag. I36 e I76. Plinio avverte che il vittoriato fu così dello per l’impronto della Villoria che era sulla moneta, e che il nuovo TAVOLA DI POLCEVERA ( ()22 ) Ciò posto il vittoriato dee ragguagliarsi a cent 61, non a 20 corno opina il Serra, ognun vede con quanta differenza: e cosi i 400 vittoriati, montare del tributo, a vece di equivalere a Lire 80, ascendono a Lire 244. Quest' ultima somma dunque dee tenersi la vera pel calcolo del valore intrinseco o metallico delle anzidelle monete. Ma, per mio avviso, ei cade in errore altresì quando passa ad esaminarne il valore estrinseco o commerciale, che è il più importante; cioè si domanda, quale quantità di grano coi 400 vittoriati si potrebbe comperare. Il Serra se ne appella al quasi coetaneo Polibio; ed io non nego già che questi abbia veduto.nella sua lunga età di 82 anni discendere talora in Lombardia il prezzo del grano fino a quattro oboli, ossia centesimi 61 al medimno (*); il che darebbe L. 1.22 per due medimni eguali ad un nostro ettolitro. Ma noi dobbiamo cercare il prezzo medio del grano per una lunga serie d’ anni e non contentarci dei casi straor-dinarii, se vogliamo formarci un giusto concetto economico di que’ tempi. Ora è noto che nell’Attica ai tempi di Demostene, viitoriato fu battuto per la legge Clodia, cioè, come dimostra il Borghesi op. cit., veVso il 6o0 di Homa, ossia 13 anni dopo la nostra Iscrizione. Questo nuovo villo-rialo era veramente eguale ad un quinario ossia a mezzo danaro romano: ma è ora accertalo che i vittoriati anteriori avevano il valore maggiore clic è detto nel lesto. Ciò posto, il denaro essendo riconosciuto in quel tempo eguale a f/«4 romana, viene al peso di gr. 3. 90; ma, ammettendovi un 2i.mo di lega, rimane d’argento fino gr. 3. 73, che a centesimi 22 al grammo (come ora vale l’argento monetato) rendono centesimi 82 per danaro e così, per 3/4 o un vittoriato, ceni. 61 a 61 ‘/2 della nostra Lira Italiana. Per l’intelligenza di ciò clic segue nel testo si avverte clic la dramma d’ Alene era maggiore del denaro romano, essendo calcolata dal Dureau de la Malie a ceni. 91 e più: e che mentre il danaro romano si divideva in quattro sesterzi, la dramma si divideva in 6 oboli; donde si capisce il perché più sotto nel testo si dica clic quattro oboli o 2/3 di dramma ora varrebbero cent. 61. Così 2/3 di dramma ateniese e 3/4 di danaro romano hanno un identico valore. (*) V. la nota precedente in fine. ( 623 ) TAVOLA DI POLCEVERÀ vaie a dire nel iv secolo avanti P E. V., il grano valeva cinque dramme al medimno, ossia L. 4.57; e così per due medimni, o un ettolitro, L. 9.14. Dopo due secoli e mezzo, cioè nell 82 avanti 1’ E. V. e 35 anni dopo la data della nostra Tavola, il prezzo medio del grano in Sicilia era per attestato di Cicerone di tre sesterzi, ossia d’ un vittoriato il moggio ('); e così per sei moggia, che fanno un medimno, L. 3.24, e per due ifìedimni, o un ettolitro, L. G. 48. Ora i Romani sarebbero siati si sciocchi da mandare a prendere il grano in Sicilia a tre e anche a quattro sesterzi il moggio; t così pagare almeno L. 6. 48 un ettolitro di grano, se avessero potuto averlo contemporaneamente per L. 1.22 nella Gallia Cesalpina? Ma si sa che quando si traiti di tributi perpetui ed anche d’afïittamenli a lunghissimo tempo, non è il prezzo straordinario del grano o dell’uva di qualche anno che bisogna cercare, come non si potrebbe oggi far caso degli altissimi prezzi cagionati dalla crittogama, sebbene già durino da più anni. È il prezzo medio d! un secolo almeno che bisognava riguardare nel nostro caso ; e qui sembrerebbe che da Demostene a Cicerone in due secoli e mezzo il prezzo del grano fosse diminuito di L. 2.66 all’ettolitro: ma considerando che Atene difettava di cereali ed abbondava invece di miniere d’argento; nel mentre la Sicilia era fertilissima ed abbondante di cereali, a tale da essere allora chiamata il granaio d'Italia, ne viene (*) Cicerone conlro Verre, Lib. de re frument. §§ 70, 75, dice che il grano della decima dovuta dai Siciliani si valutava per legge 3 sesterzi ili moggio; il erano richiesto oltre la suddetta decima si pagava 4 sesterzi; ma aggiunge che Verre si vantava d'aver ribassato il prezzo corrente del grano a 2 sesterzi e mezzo. Di che è chiaro clic il prezzo di 2 sesterzi e mezzo è il più favorevole ai Romani; quello di 4 sesterzi il più favorevole ai Siciliani; quello di 3 sesterzi è il prezzo medio e legale: est enim modius lege sestertiis ternis aestimatus. Ma si noti che talc è il prezzo sul luogo del raccolto, e non già in Roma dove si devono aggiungere le spese del trasporlo ed accessorie. TAVOLA DI POLCKVEIIA ( 62Ì ) ili conseguenza clic il prezzo medio in tulio questo intervallo,e in una medesima città non deve aver variato gran che. Ed appunto a tale stregua di L. 6.48 all’ettolitro lo calcolano per tutta la durata della Repubblica i più riputati moderni Scrittori col Dureau de la Malie (*). Cosi resta anche vero quel che dice il ch. Poinson, che l’argento a que’ tempi essendo tre volte più caro che oggidì, i prezzi d’ allora devono essere triplicati per ragguagliarsi ai nostri. Difatli se I’ettolitro di grano valeva presso i Romani L. 6. 48, ora non si può valutare meno di L. 20, anzi -da parecchi anni vale di più; ma il prezzo di L. 20 si può considerare, ed ò appunto considerato piesso i recenti Scrittori, il valore medio pel nostro secolo. Dunque il grano è rincarilo del triplo rimpetto al valore dell’argento; dunque i 400 vittoriati che in argento fino varrebbero come si è dello sole L. 220, realmente oggidi ci farebbero le veci di L. 6G0; perchè con quest’ ultima somma si comprerebbero ora ettolitri 33 circa di grano, quanto se ne sarebbe comprato all’ epoca della Tavola coi 400 vittoriati. E se le mie conclusioni sono vere, ognun vede quanto distino da quelle del xMarchese Serra, il quale dopo avere di troppo diminuita il valore intrinseco, ha di troppo accresciuto il valore estrinseco, portandolo a L. 3,072 di Genova, pari a Lire Italiane 2,500 (**). Del resto mi sembrano troppo scarsi e vaghi, i dati della Tavola, per poter calcolare dal pagamento del tributo la popolazione Langense. Nemmeno può sperarsi qualche approssimativa deduzione dal calcolare l’area dell’agro privato; perchè (*) Mémoire sur le système métrique des Romains ( Mémoires de / Institut de France, vol. xu, pag. 506). (**) Il ch. Storico qui inciampa in altri errori, clic guastano i suoi calcoli d altronde ingegnosi. Perchè non è vero che un medimnò di grano pesi libbre romane 160; questo sarebbe il peso di un eguale contenuto d’acqua; ma si sa thè cento litri o chilogrammi d’ acqua non equivalgono in peso che a chilogr. 75, o al più a 79 ili ( ti 25 ) TAVOLA DI FOLCE VERA non si sa quale fosse la sorle assegnata a ciascuna famiglia in origine; e perchè ad ogni modo questa uguaglianza della sorte dovette essere distrutta in processo di tempo dalle eredità e dalle alienazioni. Tuttavia, come compimento della discussione sull agro privato , voglio fare alcune osservazioni che giovino almeno alla sua storia generale, ossia alla popolazione possibile ad alimentarsi in un agro di tal fatta. Presso gli antichi Romani la sorle, lolto o heredium, era di due jugeri o pressapoco un mezzo ettaro per ciascuna famiglia; nelle loro colonie talora rimase identica, ma talora sali a 7 e fino 10 jugeri; non tenendo conto dei 50 e talora fino a 70 jugeri dati in certe colonie, non più in proporzione del bisogno, ma per considerazioni politiche. Presso gli Anglo-Sassoni, secondo i ben ragionati calcoli del Kemble, la sorte o hyda si può' stabilire a 33 acri inglesi equivalenti ad ettari 13.35. E questa grave differenza della sorte anglica sulla romana si spiega, dacché in Inghilterra il terreno sovrabbondava alla richiesta, era per la più parte incolto; si richiedeva una maggior quantità d’ alimenti per vivere in un clima più freddo, e una maggior quantità di cereali per formarne anche la loro unica bevanda di birra. All’ incontro in Liguria il clima caldo come nei Romani e, più che nei Romani, la scarsezza del territorio e la semplicità de’ costumi, farebbero supporre 1’ agro privato grano. In secondo luogo non è vero clic le suddelle libbre 160 romane corrispondano a libbre genovesi 195: ma bensì a libbre 165. Se io nolo questi sbagli, non è per maligno piacere, che la Dio grazia in me non alberga, ma perchè uon confondano la menle a chi avesse brama di riprovare i calcoli e lenlare nuove soluzioni. Del reslo nulla di più facile ad errare in siffatta materia, come io slesso ne ho fatto più volte la triste esperienza: e ciò punto non toglie i grandi inerili del Serra, a cui ho fallo già e rinnovo qui il più sincero omaggio. Sono poi d’ accordo con lui più sollo nel calcolare a 18 oncie circa (Va chilogrammo) per bocca il consumo giornaliero de’ cereali, e al 4 per cento nollo il prodotto «loi grano seminato. 40 TAVOLA ni POLCEVERA ( ) ./ h ( di\ i.sO in particelle .piuttosto simili n\\'haeredium romano, non all In/da anglo-sassone; od ammettere cosi per ogni amijj ia un patrimonio rii mezzo ettaro. Questo patrimonio, se-n< o i calcoli del eh. Macé (*), potrebbe somministrare un I otto medio di io ettolitri o chil. 750 di grano, bastanti a sussistenza di quattro persone, il cui ordinario consumo .ia i 4o0 gì animi al giórno, ossia di ■•chil'. 1 Go all’anno per oni persona. Veramente il calcolo pratico è ben diverso fra .noii. col nostio terreno, sterile e a coltivazione imperfetta, Mentre ^ 1 aC( calcola un prodotto del 7 all’8 per cento, io credo C0! ^Cl,a c*,e s‘ Possa appena ammettere il 4 netto; e trovo CU cu puro l’opinione di Columella per l’Italia in ge-neiale ( ). Anche la quantità di 450 grammi di consumo giornale per .bocca si potrebbe più ragionevolmente portare a mezzo chilogrammo; cosicché, tutto ben calcolato, si troverebbe che un mezzo ettaro per se solo basterebbe appena ad una famiglia di tre persone. Ma non bisogna dimenticare i piccoli, c i vecchi della famiglia: e più specialmente che. i.Langensi, come in genere gli antichi popoli, aveano un abbondante supplemento nella pastorizia esercitata sugli agri pubblico e compascuo, di gì an lunga più estesi che l'acro privato. •1 posto, ammettendo anche pei Langensi mezzo ettaro per famiglia o fuoco; ricordando che il loro, agro privato misura ettari 418.yf e deducendo un decimo di terreno infruttuoso per case, stiade e confini, la popolazione potrebbe per que’ tempi calcolarsi a fuochi 752. ra ne^ secolo XVI, secondo il contemporaneo Giustiniani, la popolazione risiedente sul territorio già occupato dai due (*) Opera citata, pag. 122-f ( ) V. Dui eau De la Malle, Sur l’agriculture romaine. Nelle Mémoires de Institut d( /7 ance, voi xii , pag, 452; dove cita anche un opinione conforme conlc Ba,,)0 l,cl Inolio medio dei terroni moderni in Piemonte. • agri Langensi ascendeva a fuochi />83. Nel 1838 secondo il ch. De Bartolomeis i fuochi erano ivi cresciuti a 2,670, e nei più recenti censimenti civili ed ecclesiastici vi si conta una popolazione di* anime circa 13,000 distribuite in 13 parrocchie O- .A chi mi chiedesse il perchè io trasferisco il sistema delle colonie romane a spiegare le origini della divisione primitiva dell’agro privato, risponderei essere mio avviso, che le institu-zioni coloniali sieno un’ immagine appunto rimastaci di questa originaria divisione delle sorti, come le colonie erano un’immagino dell’antica patria, e come questa stessa antica patria, per quanto lontane vogliansi le sue origini* non era che colonia .ed immagine d’ una anteriore e prima. Quindi è che tulle le colonie dapprincipio si assomigliano; sebbene col volger de’ tempi si trovino differenziarsi le greche dalle romane, ed entrambe dalle germaniche. .Ma chi ben guardi, riconoscerà il loro principale divario essere in questo': che le germaniche più rozze e durate, come a dire; nello sialo d’infanzia,- ritennero fin ben addentro (*) Cioè nell’agro privato parrocchie 3 e. nel pubblico distribuite qcl modo che segue : - * ' privato • • . . 1 Parrocchia di Pedemonte » ... 2 » » S. Cipriano » - . 3 9 9 Pontedecimo pubblico, punta a meriggio . 4 9 9 S. Quirico » » » * . . 5 9 9 Morgo » parte settentrionale . 6 > » Campomarone » i » 7 » » Langasco » » * . 8 » 9 Cesino » » » . 9 9 9 Mignanego * » » . 10 9 9 Paveto u » > . Il 9 9 J'umerri » » i . 12 9 9 Monta nesi > i » . 13 » » Giovo • » » . 14 9 9 Serra » 9 9 . 15 » > •Voirè. TAVOLA IH POLCEVERA ( G38 ) al medio evo i primitivi instituti ; i Greci, presto elevatisi a civiltà e con un genio essenzialmente innovatore, tolsero presto dalle fasce e dalla tutela tanto l’individuo quanto la società, e perciò le loro colonie presto si emanciparono dalla madre patria. I Romani, dal valore e dai prosperi eventi astretti quasi loro malgrado al progresso, ma d’ altro canto tenacissimi delle antiche tradizioni, se mutarono spesso la sostanza, ritennero 'i'e e immutate le formole sociali—giuridiche, preziosa scala a farci ben comprendere lo stato primitivo. Cosi vediamo nel fondarsi delle colonie romane adoperali riti e costumi, la cui origine si perde nelle religioni etrusca ed orientale: un numero di coloni trapiantatovi proporzionalo al numero delle tribù o curie della madre pairia (300 famiglie prese dalle 3 tribù o dalle 30 curie); la traslazione colla famiglia degli Dei Penali e del luoco immortale di Vesta, simbolo del focolare della famiglia, e della reciproca comunione nel focolare della città; la designazione mediante l’aratro del giro esteriore della colonia; i riti augurali ed i sacrifizi onde si poneva mano alle prime londazioni e si consecravano i limili pubblici e privati; la perfetta orientazione e la forma quadrata delle prime città, come Roma, Ninive, Babilonia, le suddivisioni di esse e della loro popolazione in 3, 4, 12, numeri sacri fra Pelasgi, Etruschi, Germani, Druidi; infine il nome sacro e segreto della città, e I imposizione stessa del nuovo nome che imprimeva carattere come il nostro battesimo, e non dovea perciò ripetersi né' mutarsi finché la città o colonia sussistesse nel suo complesso. Onde tante volte si legge nel libro delle Colonie della tale o tale altra di esse clic manet veteri consecratione (*). E Cicerone nella seconda Filippica rimprovera acremente Antonio d’aver turbalo la religione degli auspicii, circonducendo l’aratro in una ( ) Gromat. vel., voi. i, pag. 220 o 2»6. ( 629 ; TAVOLA DI POLCEVERA colonia ancora sussistente; ed aggiunge: negaci in eam coloniam (juae auspicato deducta esset, dum esset incolumis, novam coloniam jure deduci (*). Nè per quanto si vada disputando tra gli eruditi in diverse sentenze, io credo si differenziino in sostanza le colonie civili dalle militari romane, o gli stabilimenti dell’ esercito longobardo dalle altre emigrazioni germaniche. Gli Anglo-Sassoni, secondo il Kemble , presero possesso del suolo Britanno come un’ armata, ma la terra fu distribuita per famiglie e cognationes ; gli affini servivano insieme sotto un uflìziale del proprio casato o tribù. Lo stesso accadde nel medio evo, dove, come notai altrove, le strade nelle città, come il campo militare e i navigli, erano occupate da consorzi vicini tra sè, separati da altri. Dei Galli nota Cesare che distribuivano anch’essi la terra per cognationes, e che combattevano generativi, cioè divisi per genti o tribù. Nei Germani ciò spiega Tacilo più particolarmente: quodque praecipuum fortitudinis incitamentum est, non casus nec fortuita coìujlobatio turmam aut cuneum facit, sed familiae et propinquitates (**). Per fermo la cosa non poteva essere diversa presso gli antichi Romani, i quali trasferendosi nella colonia colle loro famiglie sapevano trattare egualmente secondo i bisogni l’aratro o la spada, la cui riunione fu causa della loro potenza. Si sa che il campo militare romano era un immagine della città, come dice Polibio: partium dispositio speciem urbi similem praebet ; quadrato come era e disposto col pretorio nel centro, e i vichi all’ intorno popolati dalle legioni scelte dalle rispettive tribù. Non fu che sul declinare degli Instituti Romani , che le colonie puramente militari od avveniticce presero la mano sulle antiche (*) Filippica 39. (**) German. 7. E Cesare lo dice non lanlo dei Galli quanto dei Germani. De Bell. Gali. lib. 51: Germani suas copias generativi constituerunt. Ibid. 19. Gatti generativi distributi in civitates; e anche altrove. TAVOLA DI P0LCEVERA ( 630 ) militari civili, ma fu anche allora che’ fecero pessima prova, nt dà lagione lo slesso Tacilo: Non ciani ut olini uni- It'tjioìits tlcdacebantur cum tribunis et centurionibus suis, (((jusque ontrms militibus, ut consensu et caritate rem- ] cam c/fice? eut ; sed ignoti inter se diversis manipulis sine sine affectibus mutuis quasi ex 'alio genere mortalium petite m unum numerum collecti, numerus magis quam colonia (*). . E qui chiudo Ia lettera rivolgendomi di nuovo a Voi, Amico* .° Gissimo, a cm se l’indole del soggetto trattato mi tolse, di irizzare più. sovente.la parola, non ftii tolse di tenervi sempre pensici o, bramando anzi avervi vicino per interrogare ansioso J 'ostii moti, e dalle ciglia corrugale o spianate e talora (vo-& io sperare) anche ridenti, indovinare 1’ approvazione o la con-anna delle mie opinioni. Ma chi sa, se vi sarà bastala la pazienza d accompagnarmi sino alla’fine, trovando Voi, -cosi uon Dustajo, il mio dire senza fiato di vita e di quella eleganza , che lende gradito pascolo la lettura delle più severe come delle più comunali osservazioni ? E che direte, se io Vi minaccio una terza lettera, per disaminare la Tavola di bronzo anche sotto il rispetto filologico? Ahimè! che io m’immagino < i vcdeivi almeno accartocciare gli orecchi, per timore di sentire 1 elle etimologie sul gusto di quelle spiegate dal Serra. Mi suona tuttoia nella mente il fischio della vostra ferula non'meno frizzante perché attica, con cui le marchiate di riprovazione; ed io staio in guardia per non incogliere la stessa disciplina, onfes>o anzi che le più volte le fatiche spese dagli eruditi in cimili lavori diedero risultamene* ridicoli. Ma (invertendo la frase un grand uomo) chi riesca ad avanzarsi un passo al di là (el ridicolo, non potrebbe trovare il sublime? Certo io non (') Animi. Lib. 27. « ( 631 ) TAVOLA DI POLCEVERA sento si alto di me, nè mi credo felice di ripetere il celebre Eureka ; pure anche i semplici manovali pari miei aiutano e spianano il terreno al futuro architetto, raccogliendo con lungo e paziente amore i materiali, separando i simili dai dissimili, notando le lacune per guisa che le eccezioni accidentali spariscano, le regole generali si confermino e più si rischiarino; si tentino nuove vie per conciliare falli a primo aspetto contrad-dittorii, e si propongano dei nuovi quesiti, il cui studio può condurre a felici scoperte. Ecco I’ intendimento dell’ ultima mia ricerca sulla Tavola di * bronzo, i cui risultali Vi comunicherò, se mi verrà fallo di renderli soddisfacenti prima di tutto a me stesso (*•). (*) La primitiva unità dell’ agro nc’ popoli c le sue successive e graduate divisioni sono una verità generale ; perciò calzano tanto più alla storia del primo popolo, ossia al principio dell’ Umanità. Gli Eruditi e Pubblicisti specialmente Tedeschi hanno sollevalo a questo proposito di molle quistioni ; e si domandano; se fu anteriore di tempo la casa isolala (-einzellioff) o il villaggio (dorf) ; se e come siasi svolto il vico, il pago, la Marca; la proprietà, la pubblica autorità, la città politica, ccc. Ma la sana filosofia vede che anche in ciò le tradizioni contenute ne1 nostri Santi Libri sono le sole conformi al vero; e che. posti tali principj, anche le quistioni secondarie ne ricevono lume e razionale definizione. In principio fu una sola la famiglia umana, e moltiplicò per via di generazioni. Dunque fu unica la prima sua abitazione e fu unico anche il primo suo agro o lerritorio , ma quest" unico agro fu tutta la terra di cui 1' tomo fu costituito Signore. Cosi nell* origine stessa dell* Uomo è connaturato il diritto di proprietà, e in lui stesso come Capo di famiglia ò connaturata 1’ Autorità; donde hanno radice tutte le proprietà ed autorità che verranno nella successione de tempi. La moltiplicazione delle famiglie rese necessaria la moltiplicazióne delle case e la divisione degli agri ; ma, come notai nel testa, ciò non avvenne subito, nè facilmente , nè dovunque egualmente: di qui la varietà non solo di simili stabilimenti presso i popoli, ma e più la varietà per cui uno stesso nome indica qui e colà una diversa instituzione e sviluppo. Cosi vicus, oecos, casa, ecc., che etimologicamente sono sinonimi, dove indicano una sola casa (madre), dove invece significano un gruppo di case (figliali). Così le parole gc, gca , gaia, mentre in greco significano la terra in tenere (I* agro primitivo), in altre lingue si tramutano in gau, gavi, gà, magus, pagus, etc., cioè nei territori speciali d* ogni tribù e «1 % TAVOLA DI POLCEVEBA ( 032 ) popolo. Lo stesso dicasi della Marea, nome germanico clic equivale a confine e clic s* applica a confini maggiori o minori diversamente secondo le vaiie tribù, s‘ no** ^ene ’ che in questo secondo caso continua ad esistere il vincolo tra le famiglie < pago o della tribù ; dura nelle tradizioni, nelle consuetudini , nei convegni religiosi e anche politici; dura altresì come vincolo fisico, perché, se non le c condizioni sacra c neutrale il Tirolo c in genere il territorio Alpino, sciogliendolo pendenza di una delle tre Nazioni e affidandolo alla comune loie proto LETTERA TERZA «*> * SULLA QUESTIONE FILOLOGJCA. Chiarissimo Sic. Professore , I. ' A chi si accinga a considerare la nostra celebre Iscrizione sotto il rispetto filologico, si offrono tosto alla inente due modi possibili di esame: F un modo riguarda la lingua latina in cui è scritta, e le cui forme grammaticali e ortografiche sentono alcunché d’ arcaico -; onde , come nelle poche altre inscrizioni anti-augustee a noi pervenute, vi rivelano tracce preziose dello svolgimento graduale della lingua medesima. Ma io non entrerò in questo campo ; si perchè troppo lontano dal mio proposito, si perchè eruditi valentissimi ne hanno già trattato, e \oi stesso ne toccate quanto basta all’ intelligenza del senso generale di essa Inscrizione. (*) Letta alia Sezione Archeologica li < e 21 marzo. 2«5 aprile e Iti maggio 1863. TAVOLA 1)1 POLCEVUAA ( 036 ) 11 secondo modo di esame verserebbe sull' indagare, se nei nomi proprii o anche nelle forme della medesima possa per avventura scoprirsi alcun indizio dell'antica lingua ligure, o venga fatto trarne lume per la storia ed etnologia patria. Ora ciò appunto avrei desiderato ottenere, e mi proposi di spendervi sopra tutto quanto é il mio povero ingegno; ma sovvengavi che già sul chiudere della precedente mia lettera non mi facevo illusioni sulla difficoltà dell' impresa, ed avvertii essere mio di-Aisamento di porre piuttosto quistioni che scioglierle; convinto, come sono, che anche il solo posare nuove quistioni e determinare il campo con qualche approssimazione, sia un passo (li più sulla via della verità. Sovvengavi pure che nel non breve intervallo trascorso da allora in poi, ebbi a palesarvi più volte che io stavo- per abbandonare l'impresa, disperandone utile risuliamento; e se pure, compiuto comecchessia il lavoro, ve lo comunico, non é già perchè io ne sia contento ; ma gli è che non é punto inutile ehe i nuovi venuti apprendano a spese di chi ii precorse le difficoltà, i tentativi, le prime, per quanto deboli, tracce del guado o del sentiero ; e alla peggio trovino ammucchiata materia, onde con più felici augurii porre una volta le basi del divisato edilìzio. Ciò premesso, ecco le mie osservazioni. I.a Troviamo scritti nella Tavola quattro nomi proprii aventi una medesima desinenza : Veraglasca, Tulelasca, Neviusca, Vinfiasca. Secondo il modo filosofico eli concepire l’indole delle lingue, è da credere che la comune desinenza asca esprima una idea generale, che a tulli i quadro nomi suddetti si attagli: menlre la prima parte di ciascuno di essi nomi vera, tuie, nevi, vine dovrà significare un’idea particolare, un individuo compreso sotto la specie o vocabolo comune asca. E la deduzione teorica ( 037 > TAVOLA DI POLCEVERA nel nostro caso si accorda alla osservazione pratica: essendocché, se si lolga da Tulelasca e da Veraglasca la comune desinenza, rimangono le radici tuie e vera: la seconda delle quali vedemmo nella illustrazione topografica conservarsi tuttora nel vivo dialetto, benché un po’sformata, in Voirè o Vojè; l’altra radice vedemmo altresi conservarsi nell’ odierno monte Tulio attiguo all antico torrente di Tulelasca, ed anche nel non lontano monte Tuledone della Inscrizione medesima. Ne mi pare che debba far difficoltà la lettera l o gl, che s’interpone tra le radici tuie o vera e la desinenza; siffatta interposizione può essere semplice effetto d’ eufonia, per evitare V iato come in altre lingue; o anche (chi sa?) potrebbe denotare un articolo , una particella analoga alle nostre moderne. Posto come vero questo ragionamento , ne riescirebbe assai probabile che anche il nome antico di Neviasca, che vedemmo attagliarsi al torrente della Serra, si dovesse tuttora nella sua radice trovar vivo in quei dintorni, o comecchessia travisato in neive, nei, neva, nasca : nomi tutti difatti perfettamente liguri e vivi in più altri luoghi, sebbene non mi sia venuto fatto di rinvenirli colà dove la Tavola pone il Neviasca. Ma se poi mi chiedete che cosa voglia dire propriamente il vocabolo o desinenza asca, confesso essere imbarazzato a rispondere. È chiaro che non si spiega colle lingue italiche, vuoi moderne, vuoi antiche: perciò deriva da altro linguaggio ignoto; e siccome V uso di tale desinenza è frequentissimo tanto nella Liguria propria quanto nell’ antica assai più vasta, é ovvio il dedurne (e fu già notato da altri) appartenere questo vocabolo alla antichissima lingua e nazione ligustica. Il Bardetti, che tutti i nomi Liguri ed anche Italiani volea cavare dal Celtico, ci assicura che nel linguaggio di questa gente, asca significa acqua. E veramente a primo aspetto saremmo tentati a dargli ragione, vista la somiglianza ili suono tra questi due vocaboli, TAVOLA DI POLCEVERA ( 638 ) o considerando elio nella nostra Tavola la desinenza asca è appunto applicata a quattro tra fiumi e rivi. Ma in pruno luogo vuoisi andare adagio nell' accogliere le etimologie del Bardetti, come intinte di sistematica preoccupazione; seconda-mente lo studio dell’ idioma celtico, forse non ancora maturo oggidì, era affatto nell' infanzia ai tempi di quell Erudito. È per me, non credo clic egli traesse tale etimologia ila alcuna fonte celtica, ma piuttosto se' la figurasse di suo capo, vedendo nella nostra Inscrizione la natura dei luoghi cun essa desinenza significati. Per ultimo, se consultiamo il linguaggio vivente, conosceremo applicarsi questa desinenza non alle ^ole acque, ma a valli e a monti, e perfino a gruppi d abiiazioni insieme al territorio-dipendente; il che del resto è naturale, giacché; come notai' nelle precedenti mie lettere, presso le tribù antiche ed i Liguri in ispecie, il torrente o rivo portava sovente il nome del territorio da esso bagnato. Senza più adunque ghiribizzare sull’intrinseco significato de vocabolo asca, a cui dovrò ritornare più tardi, mi basti per ora farvi osservare la somiglianza sua con altra desinenza asci, assi, comunissima aneli’essa nella Liguria tanto di qua come di là dall’Appennino, e che al di là traspare già nella Tavoa alimentaria Vellejate; applicata ai luoghi di A rollasti, Caud& lasci. 2.a Una finale che senza dubbio significhi acqua nella nostra Inscrizione, credo sia la voce bcra in Procobera. Più nomi fiumi contengono quasi puro questo vocabolo ; 1 antico 7ibeir ora modificato in Tevere, come la nostra Procobcia i dhenut Polcevera; e l'Ilibcrus fu contratto in Ebro , a somi0lianz degli Italiani Ambra, Lambro, Oiribrone, e dei medi-evi ciicum padani (perciò antichi Liguri) Olubi'a, Colubre. JMa., che pi monta, vive tuttora'nel patrio dialetto il vocabolo beo ih stesso significato di acqua o canale; argomento secondo me ( 639 ) TAVOLA DI POLCEVERA irrepugnabile, e tanto più prezioso quanto più raro e quasi unico in siffatto genere di ricerche. Né io reputo inverosimile che siavi affinità di significato, come vi è somiglianza di suono tra questi bera o vera e le numerose acque liguri che vanno sotto il nome di Varo, Vara, Vare/m a (in dialetto Vaca, Va ernia) ecc., ed anche il Boalte anlico e moderno, il lìoron, il Boaceas degli llineràrj e di Tolomeo. Anche qui i Geltofili salteranno sù a dire che il nostro bera viene dal loro a ber significante riunione d’acque; come di-= fatti .la Polcecera (almeno nell’uso moderno) comincia alla riunione dei due fiumi, la Secca e la Verde. Certo anche in Inghilterra, che è la terra' classica del Celtico, si trovano fiumi colla medesima finale, per es. Humber; e si trova an-' che colà scambiato il ber in ver con facile trapasso; donde i nomi proprii Inver-ness e.simili, che si dicano contenere in sè il significato d’acqua. Ma pogniamo come vere-queste analogie; ammettiamo anzi che e&e tutte abbiano una sola e comune origine; non si dee aver fretta a conchiudere che dunque questa origine sia celtica. Tali voci e nomi di luoghi possono essere stati trovati già in uso al tempo della invasione e adottati dai Celti nuovi venuti, ed essere precisamente proprii — della gente Ligure,ia quale si sa essere-stata fino dai tempi preistorici largamente diffusa dal-T Italia per la Gallia fino alla Spagna e alle Isole. Occorrono quindi studi più profondi per cavarne sode conseguenze ; e questi studi devono avere a scopo, oltre alla cognizione di parecchie lingue, anche la riunione possibilmente compiuta di tutti i nomi proprii simili per sottoporli all’ analisi, come meglio spiegherò a suo tempo. .Con ciò solo evitando gli scogli a cui rompono si facilmente gli etimologisti, sarà dato scoprire il giusto criterio per discernere le somiglianze vere dalle apparenti. Verrà allora il tempo di poter risalire a più difficili quistioni, che ora non farebbero che av- TAVOLA DI polcevera ( 640 ) volgerci in un laberinto senza liscila. Potrassi indagare a ca-• gion (T esempio, se i vocaboli beo e gora, che qua e là in Liguria e sul Po hanno lo stesso significato di canale (1 acqua, non sieno un identico nome pronunzialo in diverso modo, c per quello stesso scambio di lettera per cui IJburnum è divenuto presso alcuni Livorno, presso altri Li g orno ; e se coi nostri Varo, Va renna, o coi latini Tiberis, lliberus non abbiano affinità linguistica i Gar, Gardon, Garonna della Francia meridionale, e perfino il Ligeris (Loira) e il Sigoris (Segie) della Spagna. Infine verrebbe in discussione la già sospettata comunanza d'origine tra i Liguri, i Liburni, i Levi, i Siculi, i Levatila o Libii, le bocche Libiche del Rodano e la iberica Ligystine col suo lago omonimo. 3.a Vedemmo nella prima lettera, che al nome del fiume Edus della Iscrizione risponde 1’ odierno Iso, se non nel prin cipale suo corso, almeno nel suo cominciamenlo. Notai allora altresi, essere naturale nelle lingue e nei dialetti la trasfoima zione della lettera d nella s, da edo a iso. Non v ha altra corrente in Polcevera che si chiami Iso ; ma questo stesso nome si applica a più luoghi d’abitazione, po:>ti non solo lungo il fiume omonimo (come Isoverde), ma anche sulla Secca, l’altro dei maggiori influenti della Polcevera (come Isosecco), anzi si trova anche in luoghi non lontani ma situati sul fianco opposto e settentrionale dell' Appennino Liguie . PCI es* Isoa, Isoelle, ecc. Veramente la posizione d lsosccco a ^ui.a di penisola tra i torrenti di Secca e di Pernecco, parrebbe in dizio che il nome d'Iso qui traesse origine e significato isola, come sua forma naturale; difalli nelle carte del me evo simili nomi vengono latinizzati in insula, donde veno il cognome ad un ramo dei Visconti Geno\esi i\i possidenti, come ebbi ad osservare in altra mia Memoria. E pei quanto 1’ autorità de' Notari del medio evo non sia di gran peso sotto ( 6il ) TAVOLA DI POLCEVERA questo rispetto, non voglio negare alla suddetta etimologia una corta verosimiglianza. Ma perchè si mostrasse al tutto vera, sarebbe mestieri che lutti i luoghi di tal nome fossero in simile posizione peninsulare ; la quale prova mi par difficile ad ottenersi. Frattanto noterò col Grammatico Donato che domus..... veteres insulas dixerunt; e con Festo che insulae dictae sant 'proprie quae non junguntur parietibus cum vicinis. Onde i Liguri antichi, i quali secondo Strabone dispersi per pagos habitant, e che più di tanti altri popoli serbarono lor primitivi costumi , potevano chiamare rettamente col nome d’Iso ( isolato) la casa di ciascuna famiglia. Ed ecco (pii nuovamente 1’ iso ligure essere affine nel significato come nel suono al latino aedes, per analogo scambio della dentale colla sibilante. Vedremo presto 1’ applicazione che potrebbe farsi di questi dati ; per ora passiamo ad altre osservazioni. 4.a Moco e Plauco, figlio quest’ultimo di Peliano Pelione, sono i nomi dei due Legati Liguri presenti alla pronunzia della sentenza che fu incisa nella nostra Tavola. È evidente 1’ indole prettamente ligustica di tali nomi. A tutti corre alla mente 1’ amena Pegli vicina a Genova, ed anche il P e glia e Peglione rivo e Comune nella stessa Riviera e presso al ligustico Varo. Di Moco già notò il eli. Serra essere un nome usato tra le tribù Alpine, come prova un inscrizione riferita dal Grutero (*). Ma, che è più, vive tuttora tal nome nel Geno-vesato ; cioè nella parola composta Moconesi, che è ad un tempo un paese nella valle di Fontanabuona e un antico vicolo nella nostra Città. Qui vengono in acconcio due riflessi. 11 primo è: quanto la raccolta e lo studio dei nomi di persona giovino a compiere la (*) Grutero 838, 9. Vecco Mocconis Vilius- Anche oggi v’.ha una vai di Mocoii nelle Alpi Venete. Deir Omeliconi pure ha trovato riscontro il eh. Rudorf nella Iscrizione del Malfei, Mus. Yeron. 453, 2: Jolios Larcaxcs Medicoms Filiis. u raccolta e lo studio dei nomi di luoghi ; essendoché gli uni deduconsi ‘dagli altri con influsso reciproco, coinè spiegherò più sotto; e così succede che talora \\ cognome d'una famiglia estinta si conserva nei suoi antichi possedimenti ; talora por l’opposto il nome d'un paese che fu distrutto si conserva nella famiglia che ne fu signora o ne.provenne. I Montarlo, a cagion d’esempio, illustre famiglia che diede più Dogi alla Repubblica, trassero il cognome da Montaldo-Ligure che fu già castello presso Arquata, ma di cui esistono appena le tracce. SilTatto metodo di compiere la lista dei nomi topografici per mezzo dei cognomi di famiglie, fu abilmente adoperato da Guglielmo Humboldt per la lingua Basca, dal Thierry e da altri che applicaronsi alla ricerca delle antiche memorie. Il secondo riflesso é quello a cui alludevo nel numero pie-cedente. Supposto che iso, osi significhino casa o famiglia isolata nel centro dei rispettivi agri, come era uso dei Liguri e .delle tribù antiche in genere; supposto che Moco o Mocco sia il nome del Capo-famiglia' che nella Iscrizione* Gruteriana si declina al genitivo Moccon-is; mi par naturale che Mocon-est o Moccon-isi sia la stessa cosa, come chi dicesse la casa di Moco- o Jtoccò; e per tal guis-a avrebbero anche spiegazione non pochi altri nomi di terre Ligustiche aventi la stessa desinenza. Sean-esi, Pdn-csi, Polan-esi, ecc. E.chi sa sé appunto non siavi affinità etimologica, come vi é affinità di suono, tra il latino genitivo is in Moccon-is e la ligustica desinenza di Moccon-esi? Anche la lingua Greca ha la forma ides per significare la figliazione o la discendenza, insamma la famiglia, Tindarides -, Vdeides, Aeacides, etc. Dove la differenza tra il greco ides e il nostro isi non istà che nel più volte già notato solito scambio Ira la. dentale e la. sibilante. In generale, chi ben consideri, troverà che i varii nomi onde si esprimono e la .generazione semplice, e tutta la famiglia e i discendenti e perfino la'casa materiale d’abitazione, vengono ad immedesimarsi in una sola forma, o scambiansi agevolmente l uno per 1 altro nell’ uso comune dei popoli. Cosi domus de Gavi nelle carte del medio evo indica egualmente il cognome e la famiglia de’ Marchesi omonimi, e i loro castelli e case, e tutti i territorii loro spettanti. Si aggiunga che nelle inscrizioni latine la frase domo Gavi esprime la patria in una forma analitica o sciolta, mentre il latino Gaviensis o T italiano Gaviese rappresentano la forma sintetica dell’m, eiisi, insula, raggruppata e preceduta dal radicale Gavi. Si obbietterà che queste forme sono tanto latine e greche quanto ligustiche, e perciò nulla si può dedurne di speciale alla lingua antichissima. Io rispondo che se esse sono comuni alle lingue classiche e sono note-in quanto all’ uso pratico di tali desinenze, rimane però non ispiegalo finora il loro valore etimologico, ossia il senso che avrebbe la parola 'esi, ensi, ide o simile-da per sé-, e non più incorporata come desinenza ad una radice; e si chiede quale ne dovesse e'ssere la forma unica, pura, primitiva. Ora questa forma primitiva, questo suo senso naturale non si trova nelle lingue classiche e note, si dee dunque cercare altrove. Lasciando questo compito ai filologi, io andrò ancora accennando altri probabili travisamenti della stessa parola. Ciascun sa che in greco la casa e la famiglia si scrive oicós e si pronunzia aecos: e i Filologi vi hanno riconosciuto affinità col latino vicus. Se viens nell’uso posteriore variò alquanto di significato , stendendosi ad indicare non una sola casa ma O 7 più riunite ,* non mancano esempi dell’ uso su*o nel senso primitivo. Ebbene, anche 1 aecos greca passò dal significato di una sola casa a quello d’un gruppo- o aggregato di famiglie: anzi dappertutto, in qualunque lingua o dialetto è avvenuto lo stesso, perché la lingua è lo specchio della realtà; perchè dovunque , e segnatamente nei tempi primitivi, 1’ unica casa cullo svolgersi della famiglia in tribù si moltiplicò in più case; v questo conservano l’antico unico nome dèlio stipite o Patri-alra- > finché almeno la conquista o la mistione di razze non abbiano disfatto la tribù, il clan, il consorzio e simili. Io che supposi l’esi o iso genovese una corruzione di forma ignota, affine all 'aedes latina e all’ ides greca, non voglio ravvolgermi in altre speculazioni per indagare se Y esi predetta non debba piuttosto rattaccarsi alla aecos greca o al vicus Ialino; bastandomi notare che il trapasso dalla ccos alla csis ossia dalla gutturale alla sibilante e inverso del trapasso sovrannotato dalla sibilante alla dentale; e che 1' uno non érneno frequente dell’altro nelle lingue e nei dialetti. E non sarebbe a meravigliare, se per divisioni di razze e successive loro mistioni fossero sorte a costa 1’ una dell' altra due forme di suono alquanto diverso eppure di senso identico o molto affine : e così, come avremmo in latino nel medesimo tempo aedes, vicus e insulae, trovassimo in genovese identica alla desinenza esi la finale erjo nei non pochi nomi di luoghi Mignon-ego o Migna-nico, I igan-ego, Mora/n-ego, Mezzan-ego ecc., che abbiamo in Liguria. Non potrebbero considerarsi queste*due forme diverse di un solo senso esi e ego, come due strati di tribù o dialetto, sovrapposti in tempi diversi sullo stesso suolo? Tanto più chela forma ego, che forse é la più recente, sembra avere una forte somiglianza co\\' acum celtico, che ha Io stesso significalo di più abitazioni riunite, e che troviamo nei documenti, disteso dall’Appennino Ligure sopra Piacenza (vedi la Tavola Vellejate) tutto giù per le Gallie fino all’ Irlanda, formando aneli’ oggi contratta in ac la desinenza non solo di moltissime terre, ma di moltissimi cognomi da esse terre oriondi, Flavignac, Porr----- tgnac, ecc. E non sono ancora finite le somiglianze. Perché se riflettiamo che i Liguri marittimi avendo più dolce pronunzia, ( 645 ) TAVOLA DI DOLCE VER A conservarono la vocale Ira due consonanti (Mignaw-go), lad-do\e i Liguri Iransappennini e circumpadani amano accorciare in generale le desinenze alla francese, sopprimendo vocali; ^ ci remo agevolmente a conchiudere che non diverse in sostanza dalla forma di Mignanego sieno le numerosissime desinenze dei luoghi circumpadani, Marengo, Odalengo, ecc. Ed celiale accorciamento parmi abbia avuto luogo nel gas o gii anglo-sassone, nel gau o g avi germanico (forse anche nel- 1 antico italico casa o cà), che sembrano analoghe nel suono ai predetti aecos e vicus, ed esprimono un distretto territoriale abitato da una tribù pura o da più famiglie consanguinee, almeno ln 0no,I1G ; donde i numerosissimi nomi di luoghi e famiglie in tedesco e specialmente in inglese llastimja, lVichinga ecc., conti atti più tardi in llasting , ecc. Per ultimo se consideriamo la lettera n in Mocon-isi, Migna-n-ego , non come faciente parte della radice, ma come suffisso o forma grammaticale, il che è assai più probabile, trovandosi ripetuta identicamente in più radici; e se a questa lettera n sostituiamo la s, come altra forma grammaticale molto usi tata, invece di Marengo o Marenco ne risulterebbe un nome di luogo o di famiglia Mar esco. Per tal guisa spieghe-rebbesi quella infinita serie di nomi digradanti in esco, esca, o contratti in schi che si stende dalla Spagna alla Polonia, e a cui si possono anche riferire il già notato ligure asca, asci, 0 gli antichi italiei osca, osci, usca, vesci, Trebula Mutusca , nomai japuscum nelle Tavole Eugubine, ecc. 5.a Fra le correzioni che il eh. Preside di questa Sezione Canonico Grassi ebbe il merito di fare alla lezione della nostra celebre Tavola, è forse la più notevole quella della penultima linea, ove invece di Moco, Meticanio, Meliconi, osserva doversi leggere JMoe, Ometicani, Onieticom. Ravvicinata questa nuova lezione dei nomi o titoli del legato Moco ai nomi e TAVOLA DI POLCEVEHA ( 6'i'6 ) (itoli già noti del suo collega Plauco, Peliani, Pelioni, risalta una assonanza in .queste finali di nomi notevolissima e clic non può essere casuale. Sembra che dovesse esistere nella costruzione grammaticale della lingua ligure una regola, pel cui mezzo un semplice cambio di vocale (Peliani, Pelioni, Ometicani, Ometieoni) basti a distinguere il padre dall avo, o il padre dalla patria, o simile. Io non conosco in altre lingue un caso simile a questo; ma chi sa che i Dotli non I abbiano già in pronto, e ci somministrino essi quella luce che da noi non potremmo ottenere? (*) 6.a Una finale ripetuta più volte nel nostro Monumento, si è quella di elus : Fons Mai tic eius , Fons Lebriemelus, Jugum Blustiemelum, Mons Claxelus. Colla stessa finale abbiamo più altri nomi nella Tavola Vellejate, nei vichi ibocelis, clebelis, solicelis, e nel cognome Stonicelus. Di più troviamo in quest’ ultima Tavola dei nomi come Leucumelium, Biondella, Flaecelia., i quali si distinguono bensì dagli antecedenti per una lettera i aggiunta alla desinenza, ma é facile ridurli coll’analisi a perfetta identità.1 riflettendo cioè che, secondo 1’ indole della lingua latina, 1 aggiunta della i'fa l’uffizio di accrescere al senso principale della radice un senso accessorio; per guisa che data la parola Leucumelum e supposto che essa significhi il nome di una terra, tutti gli (*) Un qualche riscontro a queste desinenze simili olTrc l’iscrizione della G«illia in Grillerò, 472. I. • . d • M TAVR1CIO FLORENTI TAVniCII TAVRICIANI FILIO VENETO ETC. Meritano anche di essere recale ad esempio le parole greche >jios, yioiios. la pi i delle quali vuol dire fiQlio, la seconda figlio tli figliò ; e le desinenze Ialine Tuli iu Tull-ìanus a cui ritorneremo. ( 647 ) TAVOLA DLfPOLCEVERA oggetti che provengono da questa terra possono chiamarci co nome comune di LeucuYnelii, sieno dessi inanimati e ver frutti prediali, o sieno invece persone e famiglie che ne prò vengano o ne desumano il eognome. Di che si vede come forme secondarie Leucumeliurn, Biondella, Flanella, presiq pongano un primitivo Lcucumelum , e simili; si \ede inoltr come anche senza intendere il significato di quelle parole giovi esercitarvi sopra r analisi per ridurle alla pura radie , diminuendo così il numero dei problemi da sciogliere possibilità degli*errori. Perciò, dopoché avremo ritirata la [' rola elius alla sua forma più semplice elus, • Incerano nuando V analisi che la desinenza elus è essa stessa un acce sorio di più antica formazione, e che dunque dcu. anch esser posta in disparte quando si voglia giungere a radici pi Difatti staccando tale desinenza dalle parole Blustemi Lebriemelus, rimarrebbe una forma Blustiema, Lcbiiema, finale nuova ma eguale ad altre che troviamo nella nostia zione : Mons Berigicina, Vallis Caeptiema ( ). Vl qua’ forme sono adunque più antiche, e, se non ancora prime 1, certo assai vicine alla radice; forse alla [>uia radice rebbero collo staccare ancora la loro comune deànen che si trova difatti terminare più alni nomi prop 1 secondo il già esposto considerarsi come se^no ea g applicata a più casi particolari. • H MI* finale * pare analoga nel senso di monte. Cosi il Cerna Plmiano a e © ^ Liglirc. Come pure Cernendum (Çimella o Cimiers), ove ambe la^ J ^ Cimncin0 deU’ Emilia, aliri mon li Cerna delle Alpi e Appennino , i ' ,. ffl0Dt; Cevennes); il il Cenimcnus di Strabone o la Ctmenue > t gto ^ d^la Tfaci^ Equivarrebbe forse monte, lago e selva Cimino, dell’ Elruria , vorrebbe dire Monte fra alla parola ilaïiina Cima, in dialetto Smia? E Bengiem* le acque? TAVOLA DI 1‘OLCEYKHA ( Gi8 ) Analisi siffatte ci apprendono non solo a semplificare, conni dissi, le ricerche linguistiche o topografiche, ma anche a contare in certo modo il numero delle code od appiccichi, che seguono alla radice e che si potrebbero appellare derivati di prima, seconda, terza formazione ; donde verrebbero uiili ciitorii a valutare la relativa anteriorità storica dei nomi proprii di terre o famiglie, come dirò più innanzi. Per ora ritorno a due nomi della Tavola terminanti in elus: Fons Lebriemelus, e Mons Claxelus. Se alla prima di esse si tolgano le due successive finali, ema e elus, rimarrebbe la radice lebri; or non avrebbe dessa alcuna affinità coi già notati vocaboli di beva significanti acqua, e contratti anche in bra come si vede in Ebro, Tebro e Lambro, che erano lliberàs, Tiberis, Lainbèr ? E siccome questa fontana è presso una regione che si dice dei loi in genovese e che italianamente sì tradurrebbe lori; non avrebbe quest’ ultimo vocabolo alimi là colf antico di lebri dato dalla Tavola? Allo stesso modo come il torrente antico Olubra presso Gastei San Giovanni di Piacenza ora vien denominalo precisamente Lora; il (piale passaggio ed omissione della b è del resto assai naturale (*). Il Claxelus è pure un evidente composto di due parli; la seconda di esse parti è la finale elus che già vedemmo comune a tanti altri nomi ; la prima parte dovrebbe essere la essenziale ossia la radice. Volendo tentare una spiegazione del secondo membro, trovo clic elus, ilus, ulus non solo in latino o nell'antico italico, osco, umbro delle iscrizioni, ma e in germanico e in quasi tutte le lingue conosciute, significa il diminutivo, come lo indica anche in dialetto genovese; ciò posto Mons Claxelus sarebbe equivalente ad un piccolo Claxus. (*) Anche in Venezia il quartiere di 6. Giacomo dell’ Orio dicevasi nel medio pvo de Luprio, e il Cadore Cadubrim. ( 649 ) TAVOLA DI FOLCEVLftA Ora secondo la mia prima lettera (se ve ne rammenta), I’ antico Claxelus della 1 avola porta oggi il nome di monte Ciazzo; per conseguenza un nome simile all' antico, spogliato della sua desinenza. Dico simile Claxus a Ciazzo , perché si sa che i moderni dialetti e la stessa lingua Italiana sostituirono in tali casi la i alla /, dicendosi chiamo, pioggia, più, dove i latini dicevano clamo, pluvia, plus. Si potrebbe obbiettare che il Ciazzo del nostro dialetto equivale e nel suono e nel senso air italiano piaggia, ossia terreno dolcemente declive; ma anche ciò ammesso, non ne viene che il primo nome sia figlio del secondo. La forma Ciazzo può venire direttamente da Claxus, senza essere passata per le forme intermedie del latino plagao italiano piaggia; ed essere cosi quelle forme indipendenti da queste, sebbene per l’identità del significato tutte probabilmente dipendenti da una lingua diversa e più antica. Del resto non mancano esempi, che in una medesima lingua siensi travasati tutti due i modi di dire ; così in italiano accanto alla parola più si é conservato (almeno ne’ trecentisti) il sinonimo chiù, analogo al genovese ciù; e in latino accanto alla plaga vive la voce clivus più affine al nostro Claxus ; e vi si può riferire anche il vocabulo curvus. 7.a Passo ad altra parola della Inscrizione che ha suono diverso dal Claxus, ma un significato non al tutto differente ; e questa è Comberanac (rivùsj. Per la terza volta i Celtofili ricorderanno le numerose combc esistenti nelle Alpi, ed aventi il senso di vallicela posta sulla parte superiore dei monti. E vedendo che non solo qui il nome di Comberana si attaglia al suo moderno corrispondente rio dei campi, ma anche altri due rivi posti alle sorgenti della vicina Verde si appellano coi nomi di rii delle gombette e dei campi, diranno che questi nomi, sebbene raffazzonati, non possono essere che la corruzione di un più antico combci e l’indizio dell' o-rigine celtica dei Liguri. Nè io negherò il primitivo significato TAVOLA DI POLCüVBhA ( 050 ) di comba pci* valle o altra curvatura; aggiungerò anzi essersi fra noi conservata similo forma anche in altre voci, come nella yombetta, misura rotonda di capacità, c nelle voci zombo, gimbo, trasformato per assimilazione in gibbo, , come avvenne nell’ italiano sinonimo gobbo (*). Alla stessa radice mi sembra che possa ridursi il latino cijmba sinonimo di nave, giacche Y y greco accenna ad un più antico u posto allo stesso luogo e che darebbe la forma cicmba. E da lutto ciò viene appunto la risposta ; che questo vocabolo non è tanto celtico (pianto appartenente ad una antichissima radice comune a più lingue, la celtica compresa; che quindi prima di dar giudizio, giova esaminare tutte le lingue e i nomi di paesi in cui esista tale radice, e cercare in quale di essi si presenti più comune, più pura, applicata ad oggetti più naturali o meno tocchi dalla civiltà, infine (pialesi dimostri madre più feconda di nomi da essa radice derivati. Applicando hali critcrii, forse si riuscirà al rovescio di quanto è supposto nel sistema celtico: perché siccome le Alpi erano certamente occupate dai Liguri, prima che dai Celli, è più verosimile da ciò solo, che il nome di comba tanto ivi frequente fosse ligustico; e* che i sopravvenuti (come accade in simili casi) abbiano ricevuto dagli antichi Coloni il nome proprio dei luoghi.. I/ esempio testò addotto di cyinba per esprimere la curvità della nave, mi ricorda la parola eia ì sis (scritta più anticamente clusis), usata- aneli’ essa in latino per indicare non solo un convoglio di navi, ma anche una nave sola. Mi richiama anche alla memoria il classicum, nel senso di tromba o strumento da suono ricurvo; nelle quali due parole sembra nascondersi la radice claxus o clasus, allo stesso modo come nella cijmM si nasconde la radice cumba. E qui ritornano le interrogazioni già fatte a proposito dei vocaboli esi, ego, ga. Chi sa se (*) In senso simile i Sabini usavano cumba per leiliga. ( 65! ) TAVOLA DI POLC&VERA cumba e claxus non sieno due forme sovrapposte da successive immigrazioni ? 0 se non sieno in v ece alterazioni contemporanee di una sola radice, prodotte nell’isolamento fra le varie tribù mediante uno scambio regolare di lettere, come fu osservato di sopra? (*) 8.a Fra i nomi di luoghi Liguri indicati nella Tavola di bronzo non è da passar sotto silenzio VAlianus, che non è nuovo in Liguria, benché a primo aspetto non paja. In una carta Genovese dell’anno 1000 clic fa parte del Registro Arcivescovi! e di cui è ora in corso la pubblicazione, si nomina un monte Alitano in vicinanza di Bavari e probabilmente sulla stessa catena appenniria, su cui posa il Castellus Altanus della Tavola; sebbene i due luoghi non possano essere identici e debbano distare tra loro due ore e più. Un altro Allumo (anch’ esso ora probabilmente perduto) era nome di luogo presso Bus alla e verso il monte Giovo o Jovertzio della Tavola, come risulta da documenti inediti e fede degni da me veduti; sebbene dal .loro complesso anche questo luogo non puossi identificare col castellus Altanus. I! non raro cognome genovese Agen proviene assai probabilmente da un luogo omonimo, che non potei ancora scoprire nel Genovesato (**), ma che, se vi è tuttora o se vi era almeno nel medio evo, i Notari d'allora necessariamente lo avrebbono nelle loro carte latinizzato in Aliano come latinizzavano le simili forme Stagen, Cugen, in Staliano, Qailiano. Un nome simile, Aggio, significa tuttora un territorio e un’altura non guari distante, posta sul fianco della stessa catena appennina che riunisce i due Alliani deì medio evo co\YAlianus della Tavola; ed anche questo Aggio i Notari latinizzarono in Allium, sebbene talvolta lo scrivessero Ajum. (*) Alla stessa radice pare appartenga anche il greco-latino Concha. (*') Seppi ora chiamarsi Agen una regione posta dietro Megli su quel di Recco. TAVOLA DI POLCICVIìRA ( 652 ) come scrivevano pure Stajanum per Slulianun. Clic se nella prima mia lettera dissi potersi applicare il moderno nome di Aggio agli antichi Odiati, io non mi disdico, ma osservo che un medesimo nome di luogo può assumere forme alquanto diverse secondo i gradi di sviluppo del dialetto, secondo la pronunzia dei varii dialetti, e anche un poco secondo il gusto di chi lo scrive o traduce nei documenti dolio varie epoche. Così un luogo che nella Liguria marittima si chiami Agen, nella transappennina sarebbe detto Ajan, come avviene appunto nel Tortonese e nel Modenese. Ma in entrambi i paesi il nome italianizzai si scriverebbe Agiimo; eppure 1’Àgliano Modenese si trova anche scritto in documenti del medio evo Iddiano; e ciò, benché paia strano, non è che una conseguenza naturale della continua lluttnazione dei dialetti verso una lingua. IdV diano sta al suo sinonimo Agliano come la lettera d sta alla /, che si sa essere tra loro permutabili in più lingue (*). E non sono (jueste sole le permutazioni che possono avvenire. Aggio poteva provenire od almeno essere già stato pronunzialo Adius, come raggio da radius, o come per un’altra ipotesi Montàggio poteva essere anticamente un Mons Odiits. Eppure Montoggio si trova anche scritto Montobbio e (nelle carte del medio evo ) monte Opio o Oblò. Le quali varietà pongono bensì alla tortura chi vorrebbe fra le tante ipotesi giungere alla verità, ma sono feconde d’insegnamenti, e porgono forse il modo di ridurre a pochi tipi tanti nomi locali diffusi e molto ripetuti in Italia, come ad esempio Staggio, (*) Y. Tirabo’schi, Dizionario degli Siali Estensi ; dove prova clic i nomi locali Ajano, e Iddiano si trovano scritti ne’ documenti del medio evo ora Allianum, ora Adinnum, ora Idianum, ora Aidiamnn. Anche negli antichi Stali Parmensi il nome d'l^gio si scriveva ora Igitnn, ora II invi e forse anche hliafìi. (V. Nicoli, Eli-mologia eie.), (ili Attidiulcs di Minio e Atiiarates delle Tavole Eugubine trovano il loro riscontro in Atligio; c I' antico Rudiiic dell Italia meridionale ora si dice Ruggc. Stâgen, Stabia , Stana, Stajauo, Stalliuno ; Gag yen , Gabbiano, Ciarlano t Gajano, Galliano. Cosi ritornando ali’ Alliano , questo nome é anche nella Liguria antica e circumpadana, dove Plinio ricorda una regione Alliana tra i Liguri di Lilubio e Casteggio. Ed infine esso è sparso per altre parli d'Italia; di che basti rammentare il celebre ma infausto fiume Allia non lungi da Roma. A chi mi rimbrottasse che io vado pescando inutili somiglianze fuori del mio cerchio, risponderei che il Lazio non é poi tanto strano all’ antica Liguria. Accennerò più innanzi come Liguri e Siculi abitassero già il paese che fu poi dello Lazio; e come i nomi locali di esso, anzi della intera Italia, appartengano nelle loro radici ad una lingua forse diversa dalla Latina. Frattanto notiamo, che hanno, non che somiglianza, identità di suono tra loro i Ligustici Veiturii e Sabazii colle tribù romane Vet'luria e Sabatina; e che agevole sarebbe far risalire altri nomi di luoghi e famiglie romane a radicali ligustiche, come ad esempio la famiglia Tullia proviene da una radice Tul. Il chiaro Petit-Radel provò .(come vedremo più sotto) che gran parte dei nomi locali del Lazio e dell’ Etruria ha il suo riscontro in nomi simili della Spagna; e che tale somiglianza non si può attribuire all’influsso romano dopo la conquista, sibbene ad un’ epoca anteriore. E siccome riscontri simili fra nomi locali della Spagna e della Liguria furono già in buon dato raccolti dal Tonso, dal Serra, da Gabriele Rosa e, volendosi, se ne potrebbe ampliare il numero assai considerevolmente ; così da questo doppio contatto fra il Lazio e la Spagna, fra la Spagna e la Liguria sorge materia di gravi riflessioni, di che più innanzi potrò appena delibare alcunché. 9.a Passerò di corsa le altre osservazioni, che mi si offrono leggendo i nomi proprii del nostro Monumento. Perchè, se pochi o nulli sono i risultamenti ottenuti fin qui, più vado TAVOLA Iti POLCEVGHA ( 654 ) avanti, più mi avvedo il terreno farsi sdrucciolo e richiedere altre gambe che le mie per uscirne con onore. Cosi mi contento accennare che* il nome del monte Procavo ha forse una affinità col sottoposto fiume Procobcra, allo stesso modo come vedemmo il montano Lemurino avere relazione col fluviatile Lemuri. E siccome la conversione di Procobcra in Porcobera viene da sè ed è anche usata nella stessa nostra Iscrizione, così non è forse straniero al nome di Invocavo 1' attuale di Perche o Berche, che nella Carta dello Stato Maggiore si vede assegnato ad un luogo non molto distante dal monte Bastia, che è l’antico Procavo; avvertendo inoltre che questo nome di Perche come que.llo di Tuie o Tulio vanno annoverati tra gli antichissimi e misteriosi, che dalla Tràcia per 1' llliria, per l’Italia e la Gallia si stendono fino alla Spagna. Egualmente potrei rinvenire sulle Alpi somiglianze col nostro monte Pre-nicus (Pruneken, Premier), come ne abbiamo ivi trovato per la parola Moco. . Cosi nel nome di Boplo troverei non identità di luogo ina analogia di suono col ligure odierno Bobbio, per quella stessa già notata facilissima transizione, per cui Montobbio fu trascritto nel medio evo Monte Oplo. Senzachè, lo stesso nome di Bobbio in altro documento* del medio evo è scritto Pobbio, che per la medesima facilità di transizione equivale a Poblo. Or si noti che le parole Poblo e Boplo in qualunque lingua si scambiano tra loro promiscuamente; ed. applicando questu scambio al nostro caso, ne possono sorgere- due ipotesi: la prima è che, come Montobbio equivale a Montoggio,-’così l’ignota etimologia di Bobbio o Pobbio (che è anche nome Alpino e dell’Appennino Emiliano) potrebbe avere affinità di suono e spiegazione nel moderno vocabolo di Poggio; di che é non lieve conferma il sapere che il Boplo della. nostra Iscrizióne, sebbene, come dissi a suo tempo, pigli oggi nella ( 655 ) TAVOLA DI POLCEVERA sua cima il nome di Pesalupo, pure si chiama propriamente Poggio quella delle sue coste laterali che conduce a Busalla. La seconda ipotesi sarebbe clic r nomi di Boplo, Boblo e Foggio abbiano affìnità di significato col 'Poplo o Popolo, ossia coll agro pubblico, come difatti i Bobbii conosciuti sono tutti .situati in luoghi a proposito. Il Bobbio ligure in ispecie, prima d' essere Monastero fu già una vasta Corte Regia de’ Longobardi ; perciò anche, come sopra notai, in tempi più antichi dovea essere agro pubblico o compascuo. A tale radice dovrebbe rattaccarsi anche il Poblet dei Pirenei-, su cui sorgeva un Monastero latinizzato in Populetum; ed anche i non rari ma meno ragguardevoli Poblelo, Piobesi ecc., vivi o medievi del ’Tortonèse e di altri Contadi. Ma infin dei conti ho confessato che tali riscontri sono pericolosi, potendo essere effetto del caso ciò che a prima fronte parrà ingegnosa scoperta. Laonde se potrò ancora sostenere che il nome de’ Mentovines è indubbiamente Ligure e Alpino, che si ripete in Mentone della Riviera e della Savoia; e che una sola e identica è la radice dei Langenses o Langasco e delle Lunghe situate sull’opposto fianco appennino (*); l’estendere questo metodo oltre l’Italia può offrire ancora somiglianze seducenti, ed aggiungerò perfino, somiglianze che col tempo potrebbero acquistare un buon grado di probabilità: ma quest" ultimo risultato non è sperabile, se non dopo severe analisi filologiche e dòpo studi storici comparativi. Sono queste le due condizioni essenziali, senza cui è inutile sperare risposta a simili quistioni; perciò di esse condizioni intendo d’intertenervi nelle seguenti pagine, quanto brevemente mi sia possibile. Quando adunque mi si chiedesse se possa esservi affinità fra le nostre Lunghe predette e le Langhe della Caiascogna od (*) Anche a Hapallo presso al mare è un luogo dello Langano. TAVOLA DI POLCEVERA ( 056 ) anello coi Gallici Linyones ( Lan gres) ; se la Beturia Iberica coi Veturii Italici; se le nostre radicali Edus, Lemuris, Nervi ecc., con altre simili moltiplicato per la Gallia e la Spagna ; non darò che una sola risposta generale : che, osservate prima le opportune cautele per analizzare la parola c ridurla alla pura radice, si accumuli il più possibile numero di tali radici, distinguendole accuratamente secondo i diversi luoghi dove erano o sono tuttora incorporate nella lingua; ed infine, paragonata la storia e le antichissime tradizioni di questi diversi popoli e regioni, si esamini se non ne risultino indizi sufficienti per far discendere uno'di essi popoli diretta-niente dall’altro; o se la relazione di un popolo all’altro invece di essere di padre a figlio non sia di più lontana con-sanguinità; se abbiano insomma una lingua in sostanza comune, benché travisata dal rompersi sempre più in dialetti colla crescente lontananza; e questa lingua, questa comunanza si palesino specialmente in certi nomi di luoghi ripetuti più volle, lungo alcuna delle vie mondiali tracciate dalle tradizioni storiche; onde cotali nomi sieno quasi cippi miliari superstiti, che ci serban le tracce delle antichissime peregrinazioni della Umanità. II. Non mi stancherò dunque di ripeterlo. Raccogliendo falli, non fu mio intendimento cavarne etimologie sul gusto del Menagio e compagnia; ma solo perche la materia agglomerala si sottoponga ad un'analisi ragionata, non contorta, nò violenta; vi si esercitino sopra le ipotesi bensì (che è cosa necessaria a progredire), ma le ipotesi si sottopongano a controprove, in quel modo sicuro come s’ usano in chimica i reagenti. Ed ecco appunto in che peccarono gli etimologisti. 1 quali sono beali come ( 657 ) TAVOLA DI FOLCEVERA appena scoprano una somiglianza comecchessia; subito se rie impadroniscono e ne cavano l’etimologia, col recidere senza pietà le povere membra della parola, invece di cercarne pazientemente le naturali articolazioni; e poi vi spacciano il loro trovato come il non plus ultra della verità. Donde avviene che, a chi ci creile, riman chiusa la via a spingere più sottilmente l’analisi su quella somiglianza, e cavarne quel molto o poco di vero che vi possa giacere nascosto. Ma chi non ne resta persuaso, rigetta tutto, abbatte col falso anche'il vero; cosi anzicchè addentellar sempre nuovi*elementi, che facciano presa e rendano solida la costruzione,' si ama meglio cominciare ogni volta ab ovo un ediTizio che sarà al primo soffio abbattuto. Certamente non si griderà mai abbastanza ai Giovani di guardarsi da questo vizio, ove si vedono talora inciampare gli stessi Dotti armati della più.potente moderna erudizione. Ma nemmeno può contestarsi la grande utilità' del raccogliere, colle più minute notizie patrie, anche le più minute omonomie, e tesservi sopra analisi e supposizioni; purché con.quelle cautele e quella preparazione erudita che il soggetto difficile e gli studi progrediti richiedono. Di forma che cominceranno a rilevarsi le parli più essenziali, che saranno semi e materia di nuovi confronti'; e l’esperienza mano mano additerà i pericoli, i rimedii, gli spe-dienti, le fonti ; e il tesoro che si va raccogliendo consentirà quella sempre maggiore ampiezza di vedute, quella direi quasi intuizione, che è presagio* insieme e compendio delle future scoperte. Io credo siffatto campo spinoso sì, ma gravido nelle sue viscere di preziosi veri, e vergine quasi al tutto nel giro della Storia Patria. E se ne vantaggeranno non solo le cose nostrali. • . ma ben-più la Filologia generale che sui diversi lavori parziali appoggiandosi salirà più alto, afferrerà d’un sol colpo d’occhio qua le lacune e gli errori, colà l’ingegnoso modo ‘di colmare TAVOLA DI POLCEVERA ( G58 ) e correggere; così, proponendo nuovi canoni e sottoponendo nuove interrogazioni ai più umili ricercatori delle singole parti, ristabilirà anche in questo ramo quella fraternità del lavoro che sola può far progredire 1’ umana Società. In tale maniera di procedimento sono da prendete a modello i cultori delle scienze naturali, che ottengono sempre più meravigliosi avanzamenti mediante la disciplina dell’ordinamento, con una fìtta rete di congressi, corrispondenze, osservatoci, telegrafi, e avvicendano le monografie cogli studi di scienze comparate, l’analisi colla sintesi. L’analisi sottilissima per misura, peso, qualità, e per invenzione di nuovi più sensibili stronfienti ; nulla trascurando per quanto paja di poco pregio, perchè ivi è talvolta il germe d’ un intero sistema. La sintesi di varii gradi, che comincia a raccogliere tutti i fatti simili, poi ne lenta la spiegazione con una ipotesi o regola pratica che li ripartisca in famiglie, specie, generi, ordini. Le regole pratiche suggeriscono tentativi di nuove esperienze che, più o meno felicemente riuscite, formano controprova della loro bontà; e infine si tenta ascendere alla vera teoria, alla formola pura ed astratta, che contenga in sè la ragione compiuta di tutte le regole pratiche. Ma non basta. Le scienze naturali oltre il calcolo ordinario ne possedono uno straordinario o superiore, che si dirama in due membri opposti tra sè, ma che a vicenda si completano; voglio dire il calcolo delle dijferenze, che pur si chiama degli infinitesimi o dei limiti ; e il calcolo delle somme o delle integrazioni. Con questi due calcoli, il primo de’ quali disfà il lutto riducendolo all’elemento, e il secondo ricompone l’elemento nel tutto, olterigonsi quelle forinole più sublimi che col calcolo ordinario o non si otterrebbero mai, o solo assai più lentamente e imperfettamente. Non altrimenti la Linguistica e la Storia potrebbero giovarsi mirabilmente per le rispettive indagini di un metodo simile, che va anch’esso diviso in due; da chiamarsi ( 659 ) TA\ OLA DI POLCEVERA l’uno il criterio dei limiti, l’altro il criterio delle somme o delle 'probabilità. Col primo di essi, se anche non si giunga a determinare ricisamente una verità, si riesce a rinchiuderla entro un cerchio più o meno ampio; ai limiti del quale l’errore può giungere, ma varcare essi limiti non può. In tal caso Terrore possibile ben si assomiglia ad un infinitesimo in matematica, che si trascura senza che ne restino punto intaccale le conseguenze entro i posti confini. Questo metodo inoltre lascia guadagnar sempre maggior terreno alla verità, ampliandone il cerchio, e restringendosi in proporzione la portata possibile del-P errore. Col secondo .criterio sommando 20, 30, 40 casi simili, storici o linguistici, ne emerge un fascio, un insieme i cui singoli elementi per sè nulla varrebbero a conchiudere*, eppure riuniti e confermati da sempre nuovi fatti finiscono collo ispirare una morale certezza. Che se questo paja ripugnante alla logica, secondo la quale nelle conseguenze non si dee comprendere più di quel che sia nelle premesse, non ripugna invero chi ben consideri ; dappoiché qui la vera premessa del sillogismo non è P uno o P altro dei singoli fatti, ma sì 1’ ordine costante di natura, voluto dal disegno tanto più mirabile quanto più semplice della Divina Provvidenza: ordine che ci si palesa e conferma appunto in proporzione del ragguardevole numero dei casi simili osservati. Siffatti due criterii non sono nuovi, sebbene, troppo spesso attuati per solo istinto di naturale acume, non poterono rendere tutto quel frutto che avrebbe recato la piena conoscenza della loro efficacia e la loro riduzione a formole rigorose. Ma il secondo criterio segnatamente, il calcolo delle probabilità, fu anche svolto sotto il rispetto teorico, ed ebbe acutissimi e felici cultori in entrambe le discipline onde è qui parola. Così in Filologia questo calcolo ne insegna dapprima ad andar cauti, a TAVOLA DI POLCEVERA ( 6G0 ) non dedurre subito dalle apparenze di vocaboli simili anche la somiglianza delle idee in essi vocaboli rappresentate. Perchè il numero .delle sillabe possibili a combinarsi in una lingua essendo molto più ristretto che non è il numero delle, idee da esprimersi con quelle sillabe, dee avvenire di necessità che molti suoni simili si trovino rappresentare idee disparate. E ciò tanto più dee avvenire, ponendo a confronto vocàboli simili ma appartenenti a lingue diverse: giacché le più centinaia -che ne esistono al mondo e la corruzione soffèrta da esse lingue pel corso- dei secoli moltiplicarono e travisarono i suoni; rimanendo in proporzione molto meno svariato il fondo delle idee nel-r Umanità (*). ’ . . . Tuttavia continuando • a raccogliere fatti simili, il calcolo stesso che pria ci gridava cautela, ne incoraggia -ora e ne affida a ritrarre da grande somma di somiglianze fruiti sinceri di dottrina filologica. Perchè i casi di somiglianza accidentale prodotti dalle cause predette devono avere un certo limite; e se il numero continua ad aumentare • fino ad un alto segno, contuttoché si escluda la mistura delle lingue e dei luoghi e si adoperino le più savie cautele, è forza conchiuderne che la somiglianza in tale caso è reale, non apparente nè arbitraria; e che dunque sta ivi nascosta una famiglia o generazione d’idee rispondente alla famiglia delle parole simili raccolte. Non aUri-menti dal paragone- di più dialetti a lui ben noti, qualunque uomo.di mediocre intelligenza viene a conoscere 1’affinità fra gli stessi dialetti -e la loro comune derivazione da una lingua madre. E in simile modo i Dotti- procedendo a disaminare molte lingue madri, e vedendo chiaramente impressa nelle medesime (*) V. Pictel, Origines Indo-Europ'eennes, Paris 18 >9. Introduction, § 2 de la méthode, pag. W e seg., ove sono saviamente indicati i pericoli, le precauzioni, le probabilità di riuscita. ( 061 ) TAVOLA DI POLCEVERA tanta affinila di (orme grammaticali e di radici frale une e le altre, poterono dedurne con eguale certezza l’esistenza d’altra lingua più antica, che losse madre comune di quelle lingue ed ava di quei dialetti. Di che l’inglese Young ideò ingegnosamente una specie di. scala o misura di tali somiglianze, la cui altezza, progrediente' in proporzione che ne cresce il numero, faccia salire quello che in principio era minimo grado di probabilità fino a piena certezza. L’applicazione dello stesso metodo a nomi proprii, ripetuti in più luoghi -antichi e .moderni, frutterebbe, per mio avviso, più vantaggi di molto rilievo: 1.° quello di rischiarare la Geografìa antica e del medio evo, e le diverse (pur non sempre contraddittorie) lezioni d' un medesimo nome in più scrittori o documenti; 2.° quello di agevolare l’intelligenza delle famiglie o consorzi aristocratici di tutti i popoli, che successivamente apparvero nella Storia e celano sotto i- loro prenomi o cognomi gran parte delle proprie vicende; 3.° (ed è il cardine di tutti gli altri) il vantaggio di potere avvicinarsi sempre più a scoprire il vero ed unico nome tipo di sotto alle molteplici- sue trasformazioni scritte o pronunziate; e con ciò scoprire anche la lingua in cui questo nome tipo abbia' il suo significato naturale, la sua indubitabile etimologia. Perciò quando mi si affaccia il nome di un luogo che rinvenni già altrove vestito colla stessa o quasi identica forma, posso crederlo dapprima effetto di caso od anche effetto di circostanze simili, ma senza la menoma relazione tra i due luoghi omonimi. Quando però mi' ritorni ripetuto lo stesso nome in quattro, sei, dieci luoghi , diminuisce in proporzione la probabilità del caso, che è caso appunto perchè solitario; e cresce nella stessa proporzione la probabilità d'una regola di relazione, cioè d’una causa generale e comune di tutti questi nomi. E se codeste.ripetizioni si trovassero poi disposte in più luoghi diversi in una TAVOLA DI POLCEVERA ( 66+2 ) foi ma regolare ed analoga, pei1 esempio qua si cenili simili con iaggi o subcentri simili, cioè con nomi proprii secondarii agglomerati intorno ad altri principali, e lutti rispettivamente omonimi, non sarebbe questo più che sufficiente indizio di uno stretto nesso di consanguinità fra gli abitatori di tutti questi luoghi? Riassumendo: da una parte il calcolo delle probabilità e dei limiti elio costringono la materia sotto generali classificazioni, dall altra I analisi che rivede e controprova i singoli elementi di queste classificazioni, infine la sintesi che di nuovo li congiunge e ne indaga la ragion filosofica; ecco i tre mezzi che adoperati da una o meglio da più persone, alternatamente o congiuntamente, non possono fallire ad una gran riuscita. Tale è la caccia che si dee fare alla verità per iscovacciarla dai più intimi recessi, dai luoghi più arrischiati ove ama nascondersi; si comincia dal largo a ricingerla; il cordone è ancor troppo vasto e lento per chiudere tutte le scappatoie; ma le basi strategiche poste in sodo concedono di potersi inoltrare senza scoprire le spalle, acquistando sempre nuovo terreno e fermando nuove parallele collegate alle prime basi; il cerchio stringendosi cresce la forza nei singoli elementi pel contatto reciproco; si adoprano stratagemmi, finti attacchi, falsi supposti, armi e stromenti d’ogni maniera e di cui fu prima sperimentata la bontà, eliminando i non buoni, rafforzando i deboli, provandone le forze congiunte in varie guise, acciò non si consumino in urli reciproci, ma collimino tutti allo scopo prefìsso. E tuttavia non si approderà gran cosa nelle più alte e più diffìcili battaglie intellettuali, senza le qualità che vi dee recare l'ordinatore di tutti questi mezzi, l’animo: che vuol essere ardente ad un tempo e calmo; poetico per intuito, matematico per le deduzioni; spoglio di pregiudizi, tenace de’ principii sani, ma docile a ricredersi e paziente a rifare la via, appena si avveda d errore; fidente nell’ingegno e nell’erudizione, e ad un tempo ( 063 ) TÀVOLA DI POLCEVERA diffidente por la facilità dell’abuso; onde, più clic a se s!esso, creda alla natura ; ascoltandone fedele la voce, interrogandola senza posa con opportune sperienze e per guisa che, a vece d’un ritratto a mano d’uomo che é sempre un po’ parziale, ella stessa, la natura, si renda pittrice e fotografa. Queste considerazioni, che parranno troppo ampiamente svolle, non volli omettere, perchè da me riputate fondamento per la soluzione non solo delle presenti ricerche, ma e di altri problemi storici egualmente oscuri ed intralciati, dei quali vado forse troppo arditamente occupandomi come Voi sapete; donde intesi una volta per tutte rendere ragione ai miei Amici delle basi a cui tento attenermi, sebbene per infelicità d’ingegno sia scarso il frutto che ne ritraggo. Ed ora, ritornando al tema della mia lettera, dirò che avendo in primo luogo accumulato somiglianze e principii d’attacco, come materia di studio preparatorio all’intelligenza della nomenclatura ligure; avendo in secondo luogo parlato del metodo fondamentale onde ha da scaturire la soluzione delle poste quistioni, mi rimane il compito di penetrare più addentro nei mezzi secondarii, più opportuni a giungere allo scopo prefissoci; riducendo così in forma di operazioni pratiche quelle leggi fondamentali sul metodo che andai testé abbozzando. III. La prima delle operazioni da intraprendere si è la collezione compiuta de’ nomi de’ paesi, monti, rivi, boschi, ecc., non solo per la Liguria marittima, ma anche colà dove i Liguri per antico stanziavano; e non solo dei nomi ora vivi, ma e di quelli perduti che ricordano le carte del medio evo egli antichi Scrittori o Geografi. È vero che Gluverio ed altri eruditi raccolsero quanto dagli antichi si potè; e tentarono con più o meno felice TAVOLA DI POLCEVERA ( 664- ) successo trovare la rispondenza di que’ nomi co’ moderni : ma questo tesoro rimane troppo scarso e-infecondo, finché non sia avvivato dal conlatto con altri nomi attuali o medievi che hanno con quegli antichi una fisonomia di famiglia ; benché con variazioni di lineamenti di cui sotto studieremo l’importanza. — .Questo lavoro non può esser fatto, che da noi Genovesi i quali, oltre aver tutto l’agio di percorrere a palmo a palmo il nastro paese e conoscerne tutti i monumenti anche inediti, soli possiamo acquistare nell’ intelligenza del dialetto e nella continua e reciproca conversazione quel latto pratico , quel discernimento delle vere dalle false somiglianze , quella piena cognizione degli .usi, modi ed abbreviazioni che uno straniero, quanto si voglia ingegnoso, non potrebbe mai in tutta la sua vita. La miniera poi. principale da coltivarsi sarà la raccolta dei nomi di luoghi che sono posti più in alto, più selvaggi e deserti, più strani ed ignorali; i nomi di certi monti, fontane e piccoli rivi di cui specialmente il popolo di campagna e alcuni più specialmente Ira lo stesso popolo custodiscono, come sacro deposito, le secolari memorie. Gli antichi Scrittori non si occuparono naturalmente che de’luoghi più illustri al'loro'tempo, e nulla di più poteano aggiungere quegli Eruditi che solo-si .proposero di ‘.commentare gli Antichi; di che rimane materia quasi vergine quella che io. raccomando di preferenza. Si sa che tanto la conquista quanto la civiltà sono essenzialmente innovatrici : è nella Città dove.il Re o il popolo fatto signore esercitano il maggiore influsso, ed ambiscono eternare, coi nomi dell’antica patria le loro gesla e la loro memoria nelle nuove sedi. La natura per .contrario e la tradizione si ricoverano nei più lontani e poveri ridotti ‘ quivi il popolo indigeno mantiene inviolata la forma del tetto natio, i suoi costumi, il dialetto ; e, mentre i soppravvenuti denominano altramente il basso fiume, esso mantiene il nome antico alla parte più alla, alla sorgente ; e colle prische memorie con- ( 665 ) TAVOLA DI POLCEVERA serva e scalda -I odio tenace confitro i nuovi Signori e si matura alla riscossa (*). All uffizio ora indicato di raccogliere la materia dee poi succedere I analisi ; il compito cioè di sceverare il simile dal dissimile, il comune dal particolare, il noto dall’ ignoto. Se pigliamo ad esame i nomi d un paese qualunque, li vedremo potersi comprendere tutti sotto tre grandi classificazioni: 1.° nomi di nota derivazione e di noto significato ; cosi in Genova le piazze e vie del Campo, Campetto, Vigne, Orti e simili, ci porgono un’idea evidente di ciò che fossero questi luoghi prima d’ essere ridotti allo stato presente; %° nomi di nota derivazione, ma di significato ignoto nella loro origine; così le piazze e vie Lomellina c Grimaldi chiaramente indicano nel nome la loro derivazione dalle illustri famiglie omonime; ma non è altrettanto agevole a spiegare il significato originario degli stessi nomi; e supponendo anche (che è probabile e viene riferito dai Genealogisti) che la famiglia Lomellini sia orionda di Lomello, antico territorio fra il Ticino ed il Po , la soluzione avrebbe fatto un passo di più, ma rimarrebbe sempre a spiegarsi il significato originario della voce Lomello. La terza classificazione comprende tutti gli altri nomi di. luoghi di cui non è noto nè il significato d’ origine, nè la derivazione loro da altro nome. E questa è che più importa per lo studio della Lingua e Storia Ligure primitiva. Voi mi concederete di porgere qualche esempio di tal fatta analisi per dimostrare l’utilità che se ne trae, sia per ridurre il moltiplice alla maggiore possibile semplicità, sia per chiarire (*} Perfino entro le mura d’una Città,, la parte più antica, più evitata, ò la più utile a studiarsi per la illustrazione delle sue origini o dei primi suoi svolgimenti. Sotto tale rispetto Genova nostra offre frammenti di mura, archi, passaggi sotterranei, cose d’arte, di cui, non che il significato, l’esistenza stessa è ignota alla più parte de’Cittadini. Ala chi soffiasse su que’ resti un po’di vita, desterebbe la più viva attenzione non solo dell’Archeologo, ma e di qualunque colla persona. TAVOLA DI POLCEVERA ( 666 ) dai nomi la storia dello svolgimento della popolazione entro un dato confine. Pigliamo uno di que’ territorj già indicati nella lettera an(e-cedente, la cui natura è di servire di confine insieme e di agro pubblico o compascuo tra più popoli. Questo territorio deve essere disabitato, pascolativo o selvoso ; ma se avvenga che la popolazione crescente o la conquista ivi induca ed affolti le abitazioni , queste nuove case e ville recheranno necessariamente improntala ne’ loro nomi la lingua e i costumi dell’ epoca antecedente. Quindi la storia di questo suolo avrà sofferto variazioni analoghe alla sua nomenclatura; quindi anche la nomenclatura, che è sempre più durevole delle tradizioni storiche, gioverà moltissimo a schiarire antiche vicende che sarebbero d’ogni altro lume sfornite. L’antico Comitato Tortonese, che comprendeva anche l’odierno Alessandrino, confinava (come dissi altra volta) col Comitato Acquese per mezzo del fiume Oì'bci, nome Ligure, Alpino ed anche Iberico ; e questo fiume rimase pure il limile dopo 1’ epoca Carolingia tra le due grandi Marche, la Obertenga o di Genova-Milano, e Ia Aleramica o di Savona-Monferralo. Era dunque naturale che 1’ agro posto lungo questo fiume fosse selvoso o pascolativo, ed appartenesse non solo come agro pubblico ad una tribù, ma come compascuo di grande estensione a molti popoli. Era anche naturale che un agro di tal fatta e così notevole non rimanesse semplice Comunaglia, ma passasse a suo tempo in dominio di Roma e da questa nell’ Imperatore Romano poi Germanico : donde poi fosse usufruttuato da Marchesi , Conti , Visconti o altri simili Rappresentanti dell’ Impero; e da questi o dall’Imperatore stesso fosse donato a Vescovi o Monasteri, poi ripreso o disputato: come prova in tutti i casi simili la storia delle Marche e Comitati di quell’ epoca. In questo territorio che abbiamo preso ad esempio troviamo fino dalle prime ( 007 ) TAVOLA DI POLCEVERA suc memorie una grande selva Orba., come già dal suo nome sospettavamo dover essere cosa primitiva. Ella stendevasi dal fiume omonimo fino almeno presso la B or nuda a Marengo, nome di nuovo Ligure, primitivo, e celebre non solo nella Storia moderna, ma e nel medio evo come luogo favorito di caccia de’ Re Longobardi ed Italiani. Accanto a questi nomi di radice ligure ma di senso ignoto, troviamo sul vasto agro suddetto altri nomi che ben qualificano 1’ indole nativa dell’ agro medesimo e le sue fasi posteriori. Difatti non lungi da Marengo sorgeva Bovereto, castello che fu dei Marchesi Obertenghi e che poi col nome di Alessandria ridivenne l’agro pubblico, il baluardo della Crociata Lombarda contro il Barbarossa ; ma che in origine non può essere stato che un bosco di roveri, come indica il suo nome qui e in tanti altri luoghi d’Italia. A costa di questi luoghi, fra molte altre possessioni monacali, stendevasi 1’ ampia signoria del Monastero Pavese di San Salvatore, per donazione dell’ Imperatrice Adelaide , comprendendo i paesi del Bosco, Fregarolo (Füegar olium), F resonar a, Rio-Cervino, Busaluzzo, ecc. Or questi nomi da per se soli bastano a mostrarci che anche qui, come in tutte le contemporanee colonie monastiche, crescendo la popolazione, la gran selva antica a poco a poco si ritirò e scomparve ; ma non senza aver lasciato sui nomi delle nuove abitazioni la traccia del suo stato nativo. Quindi è che continuando a percorrere il gran triangolo fra 1’ Orba e la Bormida, troviamo sempre nomi pastorali o di selve ed alberi: Silvano, Capriata, Carpinolo, Tagliolo, 0viglio, Frascheta, Spineta, Pasturana (*). A questi possono aggiungersi que’ nomi di vi- (*) Ecco una Iisla ampia di nomi di simili luoghi, ridolli a paesi abitali anche, in altre regioni d’Italia. Spineto, Spineta , Spino. Silvano. Bosco. TÀVOLA Dì POLCEVERA ( (H)S ) cini luoghi che, come Vada (Ovada), indicano acqua stagnante; o, come San Cristofaro., accennano alla nuova Parrocchia ivi sorta; o, come l'Eremo (Lerma?) e gli Enniti accennano la nuova cella monacale: o come Masone indicano la Mansio (Maison) Gerosolimitana, i cui Cavalieri dall’ Orba fino a Gavi lasciarono memoria di ampli possedimenti. Per tale guisa tra le poche radici primitive ligustiche che segnano il confine vediamo, guidati dalla sola nomenclatura, abbarbicarsi tra le selve e i cespugli un. giovine"popolo. Ma presto anche lo vediamo soggiacere alla gran piaga del medio evo , la Signoria feudale che lascia ivi, come per.tutto altrove,, la sua impronta nei nomi di Castelletto, Castelvero (castrum vetas), B.elforte, Rocca, ecc. Senonchè rimpetto alle fortificazioni dei Signori ve- Gazzo, Gazzuolo (medio evo gadium, gaium, bosco). Tagliolo (bosco ceduo), Tagliata, le Tagliale. Carpineta, Carpineli, Carpi. Frascara, Frascaro, Frascarolo, Fruscitela. Rovereto (mollissimi) Roeuo. Onclo (Ontaneto). Sanguinerò. Suvereto. Tiglieto. Pineto. . * . Cerreto, CerrioJo. Acereto (Assereto). Saliceto, Sauleri (Soleri). Gorreto (vimineto). Albereto (dai pioppi). Faggiola, Faggio. Vignola, Vignole, .Vignale. . Mirteto, Morteo, Moltedo, Morta (dai mirti). Querciola, Querceto. Ginepreto. Ginestreto. Ghiandeto. Frassineto, Frassinoro. Cas'agneto. Felegarolo, Fregarolo, Filigare, Filicaie. Tasso, Tassorei lo, Tassarolo, Tassara (di radice ignota ma cerio selvatica). Sterpeto, Busseto. Ronco, Ronchetto (dironcaio), Roncaglia, Roncarolo. Volpedo, Volpignino, ecc. Orsara ( 669 ) TAVOLA DI POLCEVEHA diamo poi sorgere le costruzioni del popolo in Franca-villa , Mohò ai imannorum (Serravalle e la vicina Armannina) e le Nuove case (Novilatinamente Novae); rifugi di vassalli che scuotono-il giogo feudale, e * si associano per la comune libertà ed indipendenza. ’ . Sovra questi diversi strati s’innalzano ultime le numerose palazzine fondate dai Patrizii, come la Catlanea e la Lomellina; le. quali appunto nel nome recano-evidente l’impronta della moderna origine. ' • Ora se uscendo da questo territorio progrediamo più a levante pel Tortonese e pel Piacentino,'fin dove già fiorirono Libanìa e Velleja; e se anche ivi ne studiamo la nomenclatura viva o scritta in carte e lapidi, troveremo pur qui benissimo le tracce Pasturarla. Pastine. 0viglio, Pecora™, Pecorile Mandrogne, Mandrio, Mandriolo Capriata, Caprile, Cavriago, Capraja, Caprera. . Vaccarezza, Yaccarile. Porcile. Verzile (dai cavoli). Zerbo, Zerbino, Zerbe, ’Gerbido Noceto. Sorbolo. Brugneto, Brugnejo, Brugnato. Pomarolo. Olmeto, Ormea. Canneto. Sambucelo, Sambuca. Forse anche i parecchi Farneto Farnio, Farnese e simili, che il Repelli deduce da farnia specie di quercia; e i Vernazza, Vcruetta, Vernelti, simili a tanti àl.lri in Francia che il Maury deduce dal nome veni, aune, ontano. (V. la sua Mémoire sur les fòrets de la .France; importantissima anche per la storia de’grandi e piccoli compascui colà). Poi i Vada, Ovada, le Lame numerose per la Liguria e tutta Italia, equivalenti forse a piccolo lago ; i Campi, Campora. Palude, Parodi, Padule, Panilo. Chiara, Ghiarclo. Chiappeto ecc.; e i luoghi banditi (cioè riservali nel medio evo per la caccia del Signore od altri scopi), Baflno, Bandie, ecc. L1 importarne è vedere queslì nomi in una regione, non ad uno ad uno ? ma a gruppi' e in una 'distesa’ continua clic indica agro compascuo antico, come vediamo, qui pel Tortonese, nia si potrebbe dimostrare pel Parmigiano e Modenese e, credo anche, dovunque. TAVOLA DI POLCEVERA ( 670 ) di lutti questi strali, compreso il primitivo che trapela qua e là in Avolasca, Cremi,asco paesi vivi, e che formava già nella Tavola alimentaria l’estremo margine Vellejate nei gioghi Areliasci, Caudalasci dell’Appennino. Ma tramezzo a questi strati ne risalta uno di più, e assai fitto, che non lascia quasi distinguere gli altri, e rende una fisonomia generale tanto diversa da quella de’ paesi testé percorsi. La storia difatti c’ insegna che quando il territorio dell’ Orba continuava tuttora nella natia selvatichezza, il vicino Tortonese, il Libarnese e il Vellejate fiorivano da lungo tempo di popolazione, e ricevettero dai Romani l’onore di colonia e nobil sangue latino. Ed ecco che alla Storia porge luminosa conferma la nomenclatura di tanti di questi luoghi, che chiaramente appaiono essere stati stanziamenti di famiglie Romane o romaneggiate. E, come la Tavola Vellejate ci tramandò . i numerosi Fundus Metelli anus, Petronianus, Papirianus, Sta-tianus, Cornelianus, Fabianus, Valerianus, Vettianus, etc.; così 1’ attuale topografia Tortonese ci nomina a ogni piè sospinto un Cassano, un Sardiano, uno Stazzano , un Corneliano, un Ve zzano e via discorrendo, che, sebbene un po’ guasti dal dialetto, equivalgono al Fundus Cassianus, Sergianus, Sta-tianus, Vettianus, appartenenti alle notissime genti dei Cassii, Sergii, Stazii, Vettii (*). Lungo le colline del Piacentino continuano le desinenze e i nomi di simile fisonomia, come è da aspettarsi in tutto questo territorio che fu colonizzato; ma, se si salga invece su per l’erta degli Appennini Ligustici e verso il mare, ricompaiono tosto puri, o quasi, i nomi silvestri-Iatini simili a quelli che vedemmo co- (*) Che i nomi presenti dei varii luoghi Vezzano corrispondano al Ialino Vet-tianus ne è prova (oltre il solito trapasso dal latino all’italiano) una inscrizione trovala nel Vezzano alpino della Valle di Non. (V. Walkenaer, Geographie de la Gaule, vol. ii, pag. 55). Anche nella Tavola Vellejate il fondo Vettianus si considera rispondente al moderno Vezzano. (071 ) TAVOLA DI POLCEVERA sloggiar 1 Orba; Oneto (Ontaneto), Sariguineto, Brugneto; oppure nomi traiti dalla indole pietrosa del terreno : Priacorva, Pregola , Predovera, Preduca, ecc. ; nomi tutti che, come molti altri nel Genovesato, hanno nella prima sillaba il radicale pietra, più o meno accorciato secondo i diversi dialetti; sebbene sia talora difficile spiegare la seconda parte di queste stesse parole. Ed ecco che al fenomeno della ricomparsa delkt nomenclatura selvatica si accompagna la ricomparsa storica dei grandi agri compascui, che lungo questo territorio ricingono i Comitati di Genova e di Luni, e li separano tra se e da quelli dell’Emilia; e qui appunto per altre donazioni imperiali sorsero i grandi Monasteri di Bobbio e di Brugnato, che col crescere della popolazione si mutarono in Vescovati. Or non è questa una prova lampante che la diligente collezione de’ nomi locali e la loro analisi sono ottimo criterio a rifare una storia, non ancora scritta, della sovrapposizione della civiltà in un dato territorio? Di guisa che sotto V humus vegetale moderno traspaia il terriccio del medio evo, e l’ammendamento della coltura Romana, e in fondo in fondo un filone ligustico , il quale, sebbene apparisca più puro o in maggior quantità ai lembi estremi, al monte e al mare, non lascia di spuntare anche qua e là lungo il territorio; quasi voglia additarci di sotto terra i resti dell* antica continuità che è ora interrotta. Se le operazioni finora spiegate si ripetano sovra altre parti e poi sulla totalità del territorio Ligustico, appariranno nuovi fenomeni. Perchè gli stessi nomi proprii dei luoghi, monti, fiumi * e rivi ricorreranno non raro ripetuti qua e là, e raggruppati per forma da indurre piena convinzione che tali ripetizioni e raggruppamenti non possono essere effetto del caso, ma d’ una profonda ragione storica. Non è ella cosa assai notevole, per esempio, che tanti nomi della Riviera Occidentale si trovino ripetuti, o identici o simili, » TAVOLA DI POLCEVERA ( 672 ) sull’opposto pendio, che è or Piemontese, ma ora in antico Ligure aneli’esso? Donde ad un tempo Albenga ed Alba, Ceva di Piemonte e Ceva (medio evo) di Porto Maurizio; Arassi di Albenga e Rocca d'Arazzo d’ Alba, Lavagnola di Savona e 1’ altra d’ Ormea, Vesime di Savona (ora Mesima) e Vesime di Acqui (*). Alcuni di questi nomi perfino si troveranno precisamente di rimpetto; e due rivi omonimi partiranno talora dalla stessa cima in direzioni opposte, battezzando di un nome comune le regioni bagnate: come vedemmo nel Mìgliarese e Migliar ina e .possiamo verificare, per esempio, nel Goltra, monte e.due rivi che si versano 1’ uno nel Piacentino, l’altro nella opposta Riviera di Levante ; come si troverebbero anche nella bassa Italia sorgere • 1’ un contro 1’ altro e fuggirsi I’ Ofanto e 1’ Ufiia,: o tra T Italia e la Provenza il Varo e il Ver don; la Dora e la Durance (*). ■ . • (*) Priocca di Savona e (T Alba, Cantarano, di Savona c d’ Asti, Dersczio d’ Allunga e di Cuneo, Canio di Riviera e Cuneo di Piemonte, Loreto (li Savona e di Asti, Polcevera di Genova e di Bormida, Caramagna di Saluzzo e d/ Porto Mau-rizio,Meira, Mere o Mele d’Albenga, e Meri rio d’Acqui, Grana tf’ Albissola e di Cuneo-, Lerca, lcrea, ecc. Vi hanno anche di rimpetto i .due Vado, Ouaila. V’hanno puce più Diano e Ceriate, ma, questi come il Diano- di Spagna, potrebbero Avere un senso religioso e non locale. Anche* in altre parti d’Italia, e in antico, è notevole una simile ripetizione di nomi di città e popoli per diverse regioni. Col solo Plinio uflil mano se ne può’fare un bel catalogo. V Auximum Piceno e Latino (lasciando gli omonimi della Gallia e Spagna); i Ficulenses, Nomentani, Amiternum, angolani,-Fide ne, Su'mo, Ascuhm, Carseoli, AbetHmm) Collatia, Alba, che si trovano ripetute tra il Lazio, I’ Umbria e le regioni 2.a 4.a e 5.a delia divisione Augustea. Altri nomi sono ripetuti tre volte, come VE'juum e il Teanum coi due Teate e Nuceria altrove detta anche Incuria, come la Nuceria di Tolomeo nell’ Emilia oggi si dice Luxira. I nomi di Treba, Trebula, Tribula, Contreb/a sono anche più numerosi e.si stendono dall’Umbria e Lazio all’Emilia, anzi al/a Spagna. Ed anche in Plinio abbiamo esempi di nomi posti rimpetto sutle due pendici dei!’Appennino : Tifernum sul Tevere e Tifernum sul Metauro; e forse-questo (che è ad un tempo nome di città c di fiume) ha più profonda relazione collo, stesso nome di Tevere. (*) V Arco e V Orco scendono dai pendii opposti del monte Jseran (dónde scende anche Y Isère) dirigendosi il primo in Savoia e Francia, V Orco -in Italia c ( 073 ) TAVOLA DI POLCEVERA Nò solo sui fianchi de’ monti, ma anche in pianura s’incontrano in numero notevole le ripetizioni di nomi. È facile a riconoscere che vi sono più fiumi o correnti Magra, Macra, Maira, Meira, Meja, Mere o Mele, nomi identici, benché per la varia pronunzia un pò disformi ; e non altrimenti si danno Neirone, Ncgrone , Nirone, Nera, Nar a ; poi Lei rotte, Lerone, Lcira, Leja, Lura; poi ancora Queir onc, Curone, Queira, Cheirasca o Queirasca o Chi-' rasca : in tutte le quali serie è osservabile che esse procedono con certa legge costante che dà. ragione della loro leggera dissimiglianza. Cosi, per esempio, il Genovese ama in queste parole il dittongo o, come meglio si chiamerebbe > il gunu ; cioè quel notevole rinforzo grammaticale che , dal sanscrito in giù, si trova in molte lingue e dialetti. Perciò egli pronunzia Leia, Neja, Nejon, Meie, Cheiasca il nome di queste acque, se è un Genovese proprio della spiaggia marittima ; se abita poi dalla stessa parte dell’ Appennino, ma più sul monte (cioè, secondo i posti principii, sia più conservativo delle antiche forme) pronunzierà Lcira, Lei-ròn, Ne ir a, Meire, Cheirasca, come sappiamo che si sarebbe pronunziato e si scriveva nel dialetto antico di Genova (*). Ma se passiamo oltre Appennino, troveremo subito gli stessi nomi pronunziati senza il dittongo e secondo i varii dialetti, Liòn o Limi, Niòn o Niròn, Queiròn o Curòn, ecc. Ma il fenomeno anche più degno di nota si è che , se da tutti questi nomi d’ acque presi insieme stacchiamo la prima consonante, tutto il resto della parola è perfettamente identico e si riduce alla parola radicale eja, eira, ia o ira secondo i dialetti. Perciò sorgerebbe il soin Po. L’ Aravo o Arago scende dai Pirenei in Ispagna, dando il nome al Reame il’Aragona ; e dirimpetto scende V Aregia {Arriege) in Francia. (*) Anche il Liri della Campania ò scritto in antico Lciris. La Nera della Saliina pare appartenga alla classe del nostro Nciròn, sebbene in latino si dicesse Nar. Anche presso la Nura dell’Emilia la Tavola Vellejate pone i saltus na-riani. 43 tavola di Polcevera ( 674 ) spello che questa radice significhi acqua nell’antico linguaggio; e che le quattro consonanti che si sogliono premettere, /, w, ^ ^ sieno, o articoli diversi, o segni di qualche idea accessoria, come ne è segno non dubbio la finale one, Neirone ecc. Simili considerazioni lacciansi per gli altri idiotismi che cangiarono Meira o Maira in Magra o Magra, e Neirone in Negrone: come per molti altri nomi d' acque ripetute, Mellea, Grana, Vrai ta; dei quali i due ultimi hanno chiara relazione coi nomi di Gar e di f aro contratti (*). (*) A questi prefissi si può aggiunger pure st che dà il nome a tante acque: Stura, Astura, Sturla (SturulaJ, Stroppa (Sturupa), Steira, Sterone, Stironr, e forse anche Stella (che così i Genovesi italianizzano Steira); perciò anche loSZ*/-/ow, allo stesso modo come al nostro Meira (Merula) ò affine il Me Ila, Melo dell’Emilia, i Mellea piemontesi, VHimella, ecc. Anche la semplice t o d comincia moltissimi nomi di correnti: Teiro, Taro, Do-ira, Dur ia, Aturius, Duero, Thoron, Doron alpini, Dora, Durance, forse le Turrite, toscane, il Ter gallico e iberico ecc.; inoltre i contratti Dr ance, Drac, Druentia. Colla labiale h, o V abbiamo vera, bera, Varo, Varenna, Vaira, Verdon, cambiato anche nella gutturale Gar, Garden, Garonna, o compendiato in Vraita, Grana; a cui forse si possono riferire i parecchi Glanis, Clanius, Cluentis, etc. Però le corruzioni dei dialetti hanno reso così molteplici tali variazioni, che è difficilissimo risalire alla sorgente. Così per una parte il Clanius in alcuni dialetti ha perduto la gutturale (cosa del resto comunissima) ed è divenuto Lagno, come nel Napolitano, e di qui forse i parecchi Lagno e Lagneto liguri ; osservando però che la frequente desinenza di Agno, Bisogno ecc.; può venire da amnis. In altri dialetti invece la gutturale si è trasformala in fi (Clodia poi Fluvia; Cluentis in un Itinerario Flusor): passaggio simile a quello dei Romanzi del medio evo, che cambiarono il Re Chlovis in Firn. In altri dialetti infine la gutturale è rimasta ed ha caccialo la liquida ; e ciò è il più usitato in Toscana: Chianti, Chiana, Chienti, ecc. Ma il nome era, che fin qui considerammo come la radice di tutti questi derivati nel significato d’acqua , può assumere un altra forma da cui poi dipendono molti altri derivati: cioè può essere stato scritto o pronunziato esa; sapendosi del resto che la variazione d'esa in era fu quasi generale in Latino : e il sommo Borghesi cavò da inscrizioni, che in Gallia Cisalpina la forma dei cognomi in esius durava ancora quando i Romani aveano già fatto il cambiamento in ertus. Ciò posto abbiamo una gran quantità di correnti d’acqua chiamate isis, oise, isara, esi, esino, ed aggiungendovi i solili prefissi abbiamo moltissimi fez, Ijs, ( Plinio chiama Liria Quando adunque si presenta una grande quantità di tali somiglianze , anche dopo ben vagliate per separar I’ accidentale e 1 apparente dal reale, si potrà ben conchiuderne, in virtù delle premesse leggi di calcolo, una medesimezza o affinità di lin- ■ ? r il gallico Lez) ; e parecchi Tesino, Tosa, Teissa; poi molti Musa, Misa, Musone, Misiglia, Mosa, Mosella, Mvise ecc.; joi Sesia, Seccia (Sectes), Sisola, Sessa, Cesinasca, Cese; e coll’aggiunta cl, Clasius, Chiese, Chiara o Chiara, Chiusone contratto in Chisonr, Chisonella, ccc. Finalmente, dato che la esa sia stata indebolita in era, c la n'a ancora indebolita in eja, poi in ea o in eua, certi dialetti ritornano a rinforzare quest’ ultima forma più debole, interponendovi , alcuni di essi un aspirazione o una gutturale, altri una labiale , altri una dentale. Così è che il giù da noi notato vocabolo di bera, che nel genovese maritimo (che è sempre il più dolce o debole) si pronunzia beo, altrove più nell’Appennino o aìiche al mare (ma in provincia) si pronunzia beugho, bgà, beilo, bedaie, bado ecc. che poi talvolta s’italianizza in boatte, che rimembra il boatle e il Boarias di Tolomeo e dell’ Itinerario. Come si vede, io mi limito, al mio solito, ad esporre fatti non molto noti o non osservati perchè di piccola levatura ; ma non oso risalire alle ragioni che sarebbe subbietto bellissimo , ma diffìcilissimo. Tuttavia si potrebbero almeno posare delle interrogazioni come le seguenti: 1.° I prefissi sovra notati di /, rn, n, q, st, b ecc., hanno, eglino un vero significato finora ignoto ; o non sono invece che articoli o segni grammaticali, od anche puri effetti di pronunzia ed eufonia? Per es, come Anzo si cambia in Vanzo; Irta può aspirarsi in Hyria, e indurirsi in Curone. Ma il cu o qu può invece avere quel significato disprezzativo o magnificativo o interrogativo, che gli attribuiscono in altri casi i Filologi. Tanto più la / può indicare 1’articolo, come la vediamo tuttavia incorporarsi con simili nomi e raddoppiarsi successivamente. 2.° Che cosa si deve pensare delle lettere tramezzate entro la radicale, facendo di era, engha o eda, e di un irò, oro facendone un ibro, obro, imber, ombros o idros ? Queste lettere in più sono esse primitive, o sono un rinforzo posteriore ? Ed hanno esse uno speciale significato , o sono semplice effetto di pronunzia ? Per certi esempi sembrerebbero semplice eflclto di pronunzia. L’ Ulubra è diventata Lora, P Ecclesia Adurìensis, che avea nome dal fiume Adurius, divenne Chiesa di Agre. Viceversa F antico Tamarus fiume iberico divenne Tambre, e la gallica Samara Sambre : come i nostri Maira e Neirone divennero Magra e Negronc ; e l’odierno Maro nei documenti si scriveva Macro; così si potrebbero spiegare i numerosi Ambra, Lambro, Zambra, Ombrone, ecc. Si aggiunga quel clic si è detto sopra; che beilo, biro e beugo indicano la stessa cosa-; e che l’idros, per signiti- TAVOLA DI POLCEVERA ( G/G ) guaggio primitivo tra' popoli ove que’ nomi s’ incontrano, c forse anche una più o meno lontana congiunzione di sangue ; e si comincieranno ad avere, in questi elementi di lingua ignota, buoni dati per confrontarli alle lingue ora note, e dedurne importantissime conseguenze filologiche e storiche. /V ' ' care acqua in greco, è fenomeno frequente a quella Nazione che traduce ruber in cnthros, liber in eleutheros , libra (peso) in litra. Anche l’Eure francese nel medio evo è scritta Autara, a cui forse si può anche riferire il toscono botro, detto anche burro e burrone ; e l’Ere tenus della Venezia è divenuto Revone, come difatti anche il ligure rio si scrive volgarmente riano e ritano ; vi si può anche riferire il Rigonus dell’Itinerario e, chi sa, anche i parecchi Reno che potrebbero esser contratti, come da Rodano venne Rène. Però i Rodani Emiliani conservarono la dentale. Tuttavia non manca chi attribuisce ai nomi di Negrone, Magra, Verde, Verdon, Chiara, Torba, Rìotorbio, Tor bella, Argentina* ecc. un significato conforme al senso naturale di questi aggettivi in Italiano. II che potrebbesi confortare con un esempio: che P antico Tanagro della, bassa Italia, influente nel Seie, or si chiama Negro, ed ha un altro affluente chiamalo Bianco: ma queste potrebbero essere postume deduzioni popolari, come notai nel testo pei nostri Verde e Secca. Si potrebbe sospettare con altri che Orba voglia dire due acque ed estendere il caso al Trebia, Treja, Triobris oggi Truyere, che volesse dire tre açque, come nelle Alpi abbiamo tuttora un torrente per ' lo stesso motivo chiamalo Tre/JUmi. Ma l’Orba può essere una assai naturale trasposizione (V obra, obris; del che abbiamo esempio in Strabone pel ÌS'arbonese Orbe. Anche la Iberica Segorba era già Sego-briga o Segobria, e tale forse era il nome delia nostra presente Seborga Ligure. Così l’Arno potrebbe essere il Reno, come difatti un fosso Arnonico di Toscana nei documenti è detto Renonicus ; il Rubico forse ò divenuto 1’ Urgone. Per lo stesso motivo in Germania i nomi di fiume Elba, A/bis, e i scandinavi etf non sono che trasposizioni di fino, fiume. Finalmente è notevolissimo il tan, dan, che entra in tanti nomi di acque colla radicale eri, aro, ro; Eridanus, Rodano, Èretenus, Rhodanau, Tanaro, ecc., dalla Germania all’ Italia c alla Gallia ; e che sembra corrispondere ai numerosi del Mar Nero Tanais, Don, Donetz, Boris-tenes, ove è pure il Tyràs e Ylstrr, simili ai già notali Liguri: e nell’ Ister sboccavano due acque, Duria e Clanis; come anche altri fiumi di nomi simili ai sovra ricordali, Drava, Mur (Meira ?), Savo ecc. Una gran messe di nomi Liguri si trova sulle Alpi, come i citati Boron, T/ioron, Isère, Bruneken, etc. ; e fra altri molti Moco, Pellio, Tellio, Varese, Varcnm, Li-gorno, Ligornetto, Neria, Musa, Cher ano, Bobbio, Bobbiate, Uno, Uri, Zenone, (Genaunes), e il Meira e il Uri torrenti che mischiano le loro acque a Chiavenna. ( 677 ) TAVOLA DI POLCEVEIU die se questi numi sparsi dall’ Appennino alle Alpi per mezzo all ampia valle superiore del Po, accusano l'unità originaria dell’antico popolo; l’altro fenomeno anche sovra toccato di varii ordini , subcentri, o raggi che si raggruppino in modo analogo in più luoghi anche lontani, sia contemporanei, sia successivi , suggerirebbe il mezzo di seguitare le parziali vie e stanze tenute dalle secondarie tribù. Per esempio nel territorio di Gasal-Monferrato sul Po si trovano, od esistevano altra volta, certi nomi di luoghi, simili ad altri esistenti nel territorio più montuoso d’ Alba : tali sono Perno, Sarmaza, Mora e Morano, Piobesi e Pobietto, e forse più altri. Non potrebbero queste più speciali subcentriche omonimie accennare al salire della tribù dal basso in alto, come rifugio da straniero invasore, o per l’opposto allo scendere dall’ alto al basso, come questo sia asciutto dalle paludi , fecondato dalle alluvioni del fiume, e porga meno stentati i frutti dell’agiato vivere? Difatti anche la valle media o Emiliana del Po si sa per le istorie essere stata assai tardi liberata dalle paludi che la intristivano, e solcata dalla grande via che diede il nome a quella Provincia: ebbene anche qui i nuovi studi di nomenclatura, che ci va facendo I’egregio Amico mio e Socio nostro Alessandro Wolf, ci addimostrano in quei nomi una linea ben ricisa tra i colli e il terreno d’alluvione, che merita tutta 1’ attenzione .dello Storico-filologo. Dei Galli Sequani ho notato in una delle precedenti lettere (*), che già stanziati sul fiume omonimo (Sequana ora Seine), e di qui cacciati si ritrassero sul fiume Arar; onde venne (credo io) a quest’ ultimo il nome di Saacona (ora Saone), sebbene, assai secoli più tardi a questo avvenimento, il nome nuovo sia riuscito a scacciare dai documenti il classico Arar. Ma quando i due nomi simili si trovino sui fianchi opposti dello (*) V. a pag. 580. TAVOLA DI POLCEVERA f «78 ) slesso monte; comecché anche (jui possa darsi il caso d’ una sola tribù ritiratasi per guerra o d’accordo innanzi ad altro popolo, tuttavia è più ovvio il pensare che i due nomi identici riguardino due tribù sorelle o due rami d’ una sola tribù, che si postarono sui due fianchi, e rimasero in comunione mediante I’ agro pubblico sulla cresta del monta, e mediante il tempio e il convento giuridico, il mercato e il castello di rifugio. Supposizione questa che benissimo si attaglia a spiegare la consanguinità e gli agri dei Liguri della nostra Tavola , e le più tarde chiese matrici, che fino a questi nostri giorni ancora dai più alti colli ligustici primeggiavano sui più fiorenti borghi del piano. Infine anche que’ nomi che mostrano indole chiaramente diversa dagli altri che li circondano, giovano a trarne indizi storici; e, se alcun d’essi in un paese si incontri isolato, in altro paese invece combini colla nomenclalnra propria di queslo, tali falli ben rilevati crescono di pregio. E se uno di tali fatli isolali potesse spiegarsi con una ragione storica che ne determinasse I’ epoca, ciascun vede quanta luce se ne riverserebbe sui nomi analoghi ma non isolati dell’ altro paese. Potrebbe recarsi ad esempio, se fosse vera, l’opinione del chiaro Durandi, che il nomedi Sarmaza, che è fra quelli accennati più addietro, significhi lo stanziamento ivi di milizie Sarmatiche, incorporate nell’esercito dell’ Impero Romano. Dalla Liguria stendendo ah'Italia il riscontro de’ nomi identici o simili, e dall’Italia all’Europa, il campo diviene certamente ognor più difficile, ma i criteri d’analisi sono sempre gli stessi. Senzachè, una tale estensione è necessaria,' se si voglia pervenire al pieno conoscimento delle primitive genti Ligustiche, e delle loro relazioni cogli altri antichi popoli. Lascio da parte per ora le Gallio, che pure a meriggio devono aver mollo di Ligure, ma non vi ha finora, eh’io sappia, chi ne abbia fatto tesoro; e m’interlerrò alquanto sulla Spagna, de’ cui nomi lo- cali la somiglianza con molti Ligustici fu già notala da illustri Scrittoli , come dissi più addietro; ma dal saggio che io stesso ne lio potuto fare, le somiglianze trovate sono un nulla rimpetto alle moltissime cd anche più ragionate e calzanti che se ne otterrebbero ; quando vi sia chi paragoni i documenti delle due nazioni , specialmente quelli del medio evo e dei due fianchi Pirenei, con buone carte topografiche moderne a grande scala; e dico e sostengo che è impossibile attribuire a puro caso, o a ragioni storiche isolate, un sì ingente numero di consonanze. L’illustre Petit-Radel institui un riscontro simile tra i nomi della Spagna e quelli del Lazio e dell’ Etruria, facendone vedere la curiosa rispondenza; e, prevenendo un obbiezione clic gli si sarebbe potuta fare, dimostrò come siffatte rispondenze , o la maggior parte di esse, dovessero precedere il tempo deir invasione Romana in quella Penisola; perciò in nessun modo potessero quelle omonimie provenire da fondazioni di Colonie Romane o Latine , ma sì da vincoli più antichi e preistorici che aveano dovuto esistere tra i popoli Iberici e gli Etrusco-Latini. Senonchè, continuando egli a cercare quali fossero questi vincoli, credette trovarne la causa nelle oscure invasioni Pelasglie, le quali, per suo avviso, venendo dalla Grecia in Italia si sarebbero stanziate nel Lazio e nell1 Etruria; ma dopo un tempo non ben definito avrebbero dovuto ripartire e rifugiarsi in Ispagna, a cagione di tremendi sommovimenti vulcanici che posero a soqquadro l’Italia e ne sepellirono più città (*). Non è qui il luogo di esaminare quanto abbia di vero questo sistema ; "dirò solo che per recargli maggior nerbo di ragionamento , il chiaro Uomo avrebbe dovuto anzitutto dimostrare, che se i Pelasghi ebbero tanto a cuore di lasciare in Italia e in Ispagna, (*) V. negli Adi dell’ Instituto eli Francia voi. vi, Petit-Radel Mémoire sur les origines dem plus anciennes villes de V Espagne, pag. 324 c seg. TAVOLA DI POLCEVERA ( G80 ) per mezzo delle omonimie, tante memorie de’ loro successivi stanziamenti, molto maggior numero di memorie simili avrebbero dovuto lasciare in Grecia loro più antica stanza e principio di emigrazione. La quale dimostrazione egli non avendo neppure accennato, non che tentato, ne rimane grandemente indebolita la sua opinione; e riesce assai più verosimile che i riscontri fra la Spagnai l’Italia debbansi a relazioni anche più antiche di quel che non sia la invasione pelasgica. Questa seconda opir nione piglierebbe maggior grado di probabilità e quasi certezza, se si venisse ad ammettere, quello che già gravi Eruditi sostengono , che i Pelasghi sono stirpe greco-latina, mentre i nomi Ispano-Liguri, o se si voglia Ispano-Italici, hanno nelle loro radici evidente l'impronta di una lingua che non è greco-latina; anzi nemmeno forse appartiene ad alcuna delle lingue indoeuropee. Guglielmo Humboldt fece fare un passo di più alla quistione (*). In primo luogo nota nella Penisola Spagnuola una zona geografica, entro cui trova i nomi locali di stampo puro Basco o nazionale, e la distingue da altra zona, ove trova predominanti i nomi di indole Celtica. Donde riesce più agevole formarsi un’ idea delle rispettive vie prese nell’ emigrazione da questi popoli, e dei reciproci loro urti e reazioni. In secondo luogo, sottoposti a speciale esame i nomi della prima zona, come quelli che sono più puri da mistura straniera, cercò se nella lingua Basca (che si sa essere diversa dalle lingue indo-europee) si potesse trovare un significato naturale e intelligibile per que nomi o radici, che le lingue indo-europee non sono capaci a spiegare. Che se il celebre Tilo-logo fosse riescito a provare che sì, ne dovea chiaramente conseguire che il Basco abbia ad essere I idioma 01 io,inai io non solo (*) V. Il suo opuscolo : Ricerche sui primi abitatori (lolla Spagna per me/.zo della lingua basca (in tedesco), 1821. TAVOLA DI POLCEVERA della Iberia, ma e di tutte quelle altre regioni, in cui quelle ora ignote radici e nomi si trovino o puri o in grandissima quantità : dunque anche secondo le cose sovra dette, il Basco potrebbe essere stalo il linguaggio preistòrico della Liguria o dell’intera Italia. So bene che recenti scrittori pretendono che l’Humboldt abbia fallito il suo scopo, donde proclamano doversi ricorrere ad altre lingue ; ma non credo ancora decisa la lite. Il suo sistema ben concorda con altri fatti, a spiegare storicamente la sovrapposizione delle genti europee ; e mentre alcune radici mi paiono dichiarate da Humboldt con sufficiente riuscita, avviso eli’ ei fosse impedito dall’ ottenere maggiori risultati dalla cognizione del Basco non abbastanza matura, segnatamente a’giorni ne’quali scriveva quel Filologo. Ad ogni modo, se sia Basca o Ligure, o con quale altro nome si debba chiamare la lingua, capace a spiegare quelle radici che non hanno senso nelle note favelle Italiche, è chiaro che verrà solo pienamente conosciuto e provato; allorquando di pari passo alla Filologia comparata abbiano proceduto gli studi topografici speciali che vado raccomandando pel nostro paese, e che ci apprenderanno, come a dito, le sovrapposizioni de popoli, le loro varie direzioni, i prolungamenti e i ritorni, la più superficiale o più profonda mutazione e, direi quasi, corrosione del terreno da essi abitato; come notai de’ Romani sul Tortonese; e come si potrebbe mostrare col luminoso esempio de’ Saraceni in Sicilia, i quali, dove abbiano poco, nulla o molto stanziato, si potrebbe giudicare, se anche se ne smarrisse la storia, per mezzo d’una buona carta geografica commentata colla loro lingua. L’argomento che emerge da questo fallo, accaduto in tempi storici, dee considerarsi valido anche pel periodo anteriore, quando manca ogni altro sussidio di prova (*). (*) Vedasi una bella applicazione di questo criterio nella Sloria de' Musulmani in Sicilia dell’ illustre Comm. Michele Amari. i TAVOLA DI POLCEVERA ( (53:2 ) Ma acciò la fio qui spiegata classificazione (Ji omonimie , e la loro riduzione al minor numero possibile di radici ottenga tutto f effetto che se ne desidera, occorrono avvertenze che ho già toccate, ma che ora intendo discorrere con maggiore larghezza. Occorre cioè di ricercare la identità della radice sotto un invoglia apparentemente diversa. Questa diversità può manifestarsi in due modi: l.° per mezzo di particelle preposte o posposte alla radice ; particelle che all' idea sostanziale espressa da essa radice attaccano una idea accessoria, un senso modificato ; 2.° la diversità può palesarsi per mezzo di cambiamenti fatti nell’ interno della parola, e per giunte o troncamenti che non esprimono un senso particolare, ma sono prodotti dal vario genio delle lingue , dei dialetti e delle pronunzie , da certe le^reri d' accento e d’ eufonia, dall’ orto fra due popoli diversi e dalla transazione che ne risulta ; di che nasce una lingua o dialetto nuovo comune ai popoli misti. o Cominciamo dal primo modo di diversità : ciò sono le aggiunte in principio o fin di parola per esprimere i rapporti grammaticali, il diminutivo, il derivativo, ecc., come anche le • aggiunte atte a comporre due o più nomi sotto un solo vocabolo. Sottoponendo all’ analisi un composto di questa specie. se ne ravviseranno sovente chiari i singoli elementi, e si vedrà che f uno di essi esprime un idea generale, perciò comune a più composti simili ; quindi anche questa parte di parola si trova ripetuta identicamente moltissime volte, mentre 1 altra parte che esprime un idea particolare, si cambia in ognuno di essi vocaboli. Cosi, come nel nostro linguaggio abbondano i Castel-franco, Castel-vecchio, Cas tei-n uovo, Rocca-forte, ecc., abbondano similmente in Sicilia per lo stanziamento saracenico i Calata-fi mi, Calata-beilotta, ecc., la cui prima j>arte Kalat risponde in quella lingua appunto al nostro concetto di castello o rocca. Cosi al primo membro de' numerosissimi flostri ( 68:3 ) TAVOLA DI POLCEVERA Monte-rotondo, Monte-rosso, Monte-moro, si ragguagliano i numerosi saracenici Gibel che hanno eçual significato; e di cui 0 O 7 uno é rimasto famoso nel promontorio di Gibilterra ( Gibel Tarik) ; monte presso cui il Capo de’ Saraceni Tarik tragittò per lo stretto dall* Africa in Ispagna. Non altrimenti dunque , anche ignorando noi il senso delle voci sovraindicate di bera, ego, esi, ecc., al solo vederle formar la parte comune di più altre parole particolari, possiamo venire nella certezza che questa parte comune esprime un idea generale, modificata o resa più particolare dall’altra parolina a cui si trova agglomerata ; e rappresentano cosi, 1’ un membro quel che in filosofia si dice la specie, l'altro membro quel che si dice Y individuo compreso sotto la s'essa specie. Il trovarsi poi la parolina, che esprime la specie, posta prima o dopo di quella che esprime l’individuo, nulla varia al senso, ma può dar lume alle ulteriori ricerche ; dappoiché é noto che le lingue moderne o analitiche sogliono preporre l’idea generale, e cosi l’italiana dice Cartel-nuovo, Casa-mavari; mentre le antiche e sintetiche usavano a rovescio, sia nei composti, sia negli affissi e nelle altre forme grammaticali : e può essere questa la ragione onde gli antichi nomi Liguri hanno sempre in fine di parola la esi, ego, bera, che è il membro esprimente la specie. Ma se anche rimanga ignoto o dubbio il senso vero etimologico di questo membro, ne risulta non poche volte, per la frequenza con cui é adoperato, un suo significato che direi pratico; perché si capisce 1 uffizio a cui tale parolina è destinata , senza capire donde e come provenga. Cosi la desinenza latina ius (Tull-ius), onde sopra toccai, é chiaro che significa * sempre derivazione, sia generativa o locale o altra qualunque ; sebbene rimanga oscuro il modo e il perché della formazione di tale particella. La quale temo essere troppo audace rasso- TAVOLA Di POlCEVEHA ( 68 i ) migliandola al greco yio, che indica ranalogo senso di figlio, in latino filius ma in più dialetti contratto in fio. Se ciò fosse, la vera radice esprimente generazione sarebbe io o uio\ a cui, secondo il genio dei varii linguaggi, il latino avrebbe fatta precedere F aspirazione /’, V etrusco la gutturale p facendone il vocabolo puia nello stesso significato ; il sanscrito sosti-, tuendovi la s ne avrebbe fatto sya, segno del caso genitivo. E, come il greco suole aver sempre maggiore affinità col latino, si potrebbe considerare anche come affine alla voce filius la antica forma greca fides in Pele-fides figlio di Peleo; essendoceli T interna consonante l anche in latino si scambia facilmente col d, (filiusz=fidius): e, come si sa che il digamma preposto f è poi scomparso nel greco meno antico, lo stesso può essere avvenuto nella forma sorella y io. Tali trapassi sono comuni in tutte le lingue : gli antichi già notavano che nel Sannio si pronunziava fordeum quello che i Latini dicevano /10/ deum e noi diciamo orzo e simili; avverandosi qui dunque tre successivi casi di una lettera, premessa, poi indebolita e cambiata in un aspirazione, per ultimo tolta del tutto. E, per arrestai ci alla sola parola filius, se gli Etruschi giunsero ad indurire ancora la f cambiandola in p sua affine (pinti), gli Spagnuoli moderni la indebolirono cambiandola nella semplice aspirazione Ilio ; la quale, come vedemmo, facilmente può scomparire del tutto, almeno nella pronunzia. E in quanto alla foima san scrita sya, è noto che il trapasso dalla s alla h è un fono, meno regolare, che distingue tra loro le lingue soi elle come la sanscrita dalla zenda ; e anche distingue tra loio i dialetti d7una sola lingua, come nella celtica il dialetto iilandese dal gallese. Ma sia checché vuoisi di queste etimologie, rimana sempre inconcusso in sostanza, che dei due membri in che si divide ifl parola Tull-ius, il primo esprime un’idea particolare, il se~ ( .685 ) TAVOLA DI POLCEVLÌtA condo una generale di generazione o di provenienza; cosi dicasi di 7 arqiun-ius , Gau-ius, come provenienti dalla città di I ar quinti, Qabio, ecc. Ora procedendo nell’analisi, si presentano altri nomi costituiti di tre membri in cambio di due: /nll-i-anus, 1 dirquin-i-anus; dove si vede che, siccome il composto 7 ullius indicava derivazione dal semplice, così il maggior composto 7ullianus indica ulteriore derivazione dal minore composto ; e come Tullius indicava un individuo proveniente od appartenente a luogo detto Tulle o Tulio, così Tullianus ora indica un fondo od obbietto appartenente a Tullio. Donde risulta anche qui un significato pratico, che assume la particella au nuovamente interposta entro il vocabolo Tull-i-anus; sebbene poi anche di questa particella rimanga a spiegare il senso nativo o etimologico. Perciò 1’ analisi ci fornisce più classi di nomi proprii, che si potrebbero appellare di prima, e di seconda formazione, e poi altri di terza e di quarta, perchè, per es., il nome radicale Carus può e suole mutarsi nel suo diminutivo Car-in-us che sarebbe un primo composto, suscettibile delle altre due maggiori aggregazioni Car-ìn-ius e Car-in-i-anus (*). Nè si credano quisquilie grammaticali codeste, onde caviamo utili criterii per discernere, in proporzione dell’ampliamento del- vocabolo, I’ anteriorità relativa della.persona, della cosa o dell' instituzione con quel vocabolo espressa. Dalla pura ispezione del nome, sono già certo che 1’ esistenza del fondo nella sua qualità .di Tulliano è posteriore di tempo all’ esistenza della famiglia Tullia; ma che per converso l’esistenza di questa (*) Come la tinaie in sembra affine al greco y io (figlio), così questa seconda duale i-anu sembra affine al greco yiono nel senso di nipote o figlio di figlio ; così il greco yiono indica un secondo grado di generazione, mentre il latino Tulli--anu indica un secondo grado d’origine o di dipendenza. Tralascio la lettera s in fine delle parole Tullius, Tullianus, yios, yionos, perchè essa è un suffisso grammaticale, esprimente un significalo di più, ma che qui non cade in discussione. TAVOLA DI POLCUVEKA ( 686 ) famiglia è posteriore ai luogo di Tullo o Tuie che Je diede il nome. Comprendo egualmente che 1’ amena villeggiatura della Lornellinu iu fondata dai Patrizi Genovesi dello stesso cognome, ed è dunque più recente della famiglia; ma che questa a sua volta è più recente del luogo che porta il nome più semplice e più radicale di Lo-mello, donde difatti, come già abbiamo accennato, si crede orionda. E stendendo siffatte considerazioni, trovo per tutto i nomi proprii passare dalla denominazione de’ luoghi a quella delle persone o viceversa, e con lievi e agevolmente riconoscibili cambiamenti; il che concorda con quanto dissi in addietro sull’utilità di raccogliere anche i cognomi a complemento delle topografie storico-linguistiche. Ma trovo di più la ragione filosofica che mi spiega il perchè e il quando debba essere il luogo che presti il nome alla famiglia, e il quando invece debba essere la famiglia che dia il nome al luogo. Osservate difatti che nei tempi moderni le famiglie moltiplicate ed arricchite formano e riformano ville, castella, strade ed anche città nuove, a cui per giusta o vana gloria impongono il proprio nome. Nel medio evo, specialmente fino al secolo xi, succedeva il caso inverso; la popolazione essendo più rara e povera, e la terra essendo, non che il principale, l’unico fonte di ricchezze; era questa che imponeva la denominazione alle famiglie o consorzi che cominciavano a formarsi; era la terra che divisa e suddivisa in parti battezzava con altrettanti cognomi omonimi i singoli rami delle famiglie, le quali, crescendo di numero, non poteano più rimanere nell’antica comunione. Onde da uno o pochi nomi proprii, per es. dall’ unico Marchese di Liguria, acquistavano allora vita e personalità i Marchesi d’Este, di Massa, Gavi e Parodi ecc.; come dall’ unico Vicario o Visconte genovese sorgevano le famiglie Nobili e Consolari de’ Carmadino, delie Isole, ecc., come ho più volte osservato. L’ alternativa cosi avveratasi tra I' evo medio e il moderno era già avvenuta entro il cerchio storico ( 687 ) TAVOLA DI POLCEVERA Romano, dove al già unico nome antico della gente eransi a poco a poco aggregati, collo svolgersi e suddividersi della famiglia, i prenomi, gli agnomi e i cognomi, precisamente come poi nei feudi. E si era anche ripetuta tra i Saraceni, che moltiplicarono dopo le meravigliose conquiste il nome, prima unico o appena accompagnato da quello del padre. Ma nelle prime origini del-l’Umanità, la famiglia dovendo essere considerata più nobile della terra (come è veramente), è la famiglia che denomina la terra e le comunica il proprio suo nome. Donde nella Bibbia 1 Egitto è chiamato ancora Mezr , dall’ omonimo discendente Camitico che ne prese possesso. Ed ancora a’ nostri tempi le tribù Berbere o i Clan Scozzesi, viventi alla primitiva, indicano con 10 stesso nome patronimico tanto la rispettiva popolazione quanto 11 territorio da ciascuna tribù occupato. Infine tutte le antiche tradizioni de’ popoli derivano il nome della loro terra dal nome dello stipite o Patriarca rispettivo; e, dove più non rammentano il vero Patriarca, ne creano uno a bella posta per conservare identici i due nomi personale e topografico: onde in Grecia fu favoleggiato che la Ionia, l’Eolia, la Doride furono possedute dai discendenti di Ione, d’ Eolo e di Doro. Da queste non ben fondate genealogie si volle pigliar argomento per negare le vere della Genesi, anzi mettere in dubbio la'regola generale; ma, lasciando a parte la quistione religiosa, si dovea riflettere che un uso costante dell’Umanità, anche quando sia erroneamente applicato in casi speciali, dimostra con ciò stesso la verità della sua origine; e così l’esame critico dee travagliarsi soltanto nei casi particolari per sceverarne la vera dalla falsa applicazione. Scendiamo ora a ragionare della sovra enunziata seconda specie di diversità, e come possa essa ridursi all’ identità. Tali dissi essere le diversità, non provenienti dall’organismo della lingua, come la prima specie, masi da cause inorganiche. La varietà di pronunzia, a cagion d’esempio, maschera un identico _ TAVOLA DI POLCEVERA ( 688 ) nome tra due popoli, anche non lontani , per forma che l’orecchio non vi ravvisa punto la medesimezza che pur v'é. Non solo variano le vocali nelle diverse pronunzie , ma alle vocali si sostituiscono le consonanti, e queste si scambiano ira loro: Genua, Genova, Jarnia, Zena, Gènes; Vada, Ovada, Gnu, Uà, Uae. Qui è da notare che chi cercasse disporre queste varietà di pronunzia in ordine geografico, secondo i paesi di mano in mano limitrofi che ne fanno uso, troverebbe non raro la modificazione della pronunzia corrispondere gradatamente e quasi insensibilmente allo inoltrarsi da un luogo c da un popolo ad altro vicino; cosicché lo stesso nome, giunto ai due confini estremi ed opposti del territorio, finisca coll'assumere le due diverse fisonomie dei dialetti in cui si è traforato. È a notare altresì che a questa graduata esplicazione nello spazio corrisponde una esplicazione simile nel tempo; perciò uno stesso dialetto senza , uscir di paese, collo svolgersi dei secoli, si tramuta a poco a poco, finisce col divenire, notevolmente diverso da se ‘stesso, e pre- * senta una più ricisa somiglianza da un Iato colla lingua onde procede, dair altro con quella in cui va a morire. Ni uno havvi tra noi che ignori la diversità del nostro dialetto vivente da quello usato dal Defranchi e dal Cavalli, lontani da noi soltanto di uno a due secoli; ma documenti scritti nel genovese dei secoli xv e XIV rivelano assai maggiore diversità, e nello stesso tempo assai maggiore somiglianza coir antico toscano'; cosi succede del dialetto veneto, e probabilmente anche degli altri italici, i quali vanno per tal guisa mostrando il comune loro principio in una lingua madre; come per converso l'odierno crescente contatto, la facilità delle comunicazioni d'idee e degli studi e la civiltà ritornano a rifondere i dialetti nella lingua unica Italiana. Anche la lingua Latina nei più antichi monumenti si scopre molto più vicina, che non poi, alla Greca sorella ; e Polibio •( 689 ) TAVOLA DI FOLCE VERA attesta clic i pubblici trattati dei Romani, scritti tre secoli addietro, erano impresa quasi disperata a diciferarsi ài suo tempo, anche dai più valenti. Non è dunque a meravigliare, se i paesi che latinamente dicevansi Mevania, Flamonia, Norba, filerà, siensi ora tramutati in Bevagna, Flagogna, Norma, Bieda; e se sia sfuggita nella moderna pronunzia la gutturale che cominciava i nomi di Carseoliy Casperia, ecc., che or si chiamano Arsitoli, Aspra; mentre anche i Toscani moderni, se non tolgono del tutto questa c iniziale , la .indeboliscono in una aspirazione simile alla h delle lingue straniere. Di cambiamenti simili o inversi ne abbiamo anche in Liguria, dove, per esempio, un monte della Riviera occidentale, chiamato nel medio evo Vesima, or si pronunzia Mesima; e giova. molto lo studio loro per iscoprire T identità della parola sotto il -velo della differenza; e dedurne norme almeno pratiche per tener vivo alla mente il vero tipo, travisato secondo i genii dei dialetti e le successive loro esplicazioni nello spazio e nel tempo, come testé fu accennato. Nè solo si tramuta in un’altra, ma talora si detrae o si aggiunge-e una lettera e un intéra sillaba; in proporzióne che un popolo ami mèglio o la rapidità o la lentezza nella pronunzia, mutili le parole -lungamente composte per dirle tutte d’ un fiato , q per contrario serbi la forma tradizionale. Io non parlerò .delle aspirazioni introdotte o scacciate nelle parole,‘perchè sono cosa più propria delle lingue straniere: ristringendomi a quel ' che è più pratico, osservo che il nostro popolo è impaziente di lunghi giri, e dove trova nomi proprii di più membra composti, cerca, raffazzonarli in iscorcio.il meglio che può, allo stesso mòdo come crea le elissi nella grammatica. Da ciò in Liguria una quantità di nomi come, ad esempio, Precanle, Prebiscea, Prelausaea, in cui difficilmente 44 * TAVOLA DI POLCEVERA ( 690 ) indovinerebbe lo. straniero, racchiudersi i nomi composti di Pietra calante, Pietra bissava (cioè pietra colorita a biscie), Pietra lavezzara o da far lavezzi. E qui è di nuovo, dove 1 uffizio d’interprete non può essere adempiuto che dal.concittadino, il quale solo ha il senso del dialetto proprio, la cognizione piena del territorio, T esempio degli Avi e dei Notari del medio evo, e documenti d'ogni maniera; in cui, se pur talora abbia fatto errare la smania delle etimologie o delle reminiscenze classiche, è certo ad ogni modo che nell’ interpretazione v’ ha da essere molto di vero e di corrispondente alle transizioni del dialetto, molto di più vicino al tipo che si ricerca. . Siffatto uffìzio vorrei si assumesse qualche Genovese di acuto ma sano e prudente criterio, imitando ciò che tentarono con più o meno riuscita chiari Stranieri, come Krause per alcuni nomi locali germanici, Rabul pei nomi savoiardi e, maestro di tutti, Augusto Le-Prévost per la Normandia (*). Dove trovi parole contratte a tale, che uno (*) Le-Prévost, Recherches sur les Comunes et les hameaux de Normandie; c anche il suo Dictionnaire des Comunes du Département de l'Eure. Krause nel Periodico di Pelerman Mitlheilungen, ecc. Gota -1861, iv. Rabut nelle Mémoires et Documents publiés par la Société Savoisienne d’Histoire etc., vol. i, pag. 93 e ni, pag. 428. les hameaux de la Savoie. Mahn, Ricerche etimologiche sovra alcuni nomi geografici -1859, in tedesco. L’Ab. Nicolli nei suoi lavori sugli antichi Stati Parmensi; Etimologia dei nomi di luoghi ecc., Piacenza 4833; e Archeologia Universale ecc., Piacenza 4834; sebbene manchi di critica e di dottrina, è tuttavia utile a studiarsi per la piena cognizione che ha dei luoghi e dei documenti relativi. II Repelli nel suo bel Dizionario Geografico Storico della Toscana ha anche buoni articoli di nomenclatura comparativa ed etimologica. I Dizionari!' delle altre parti d’Italia contengono pochissimo sotto tale aspetto, ma sono abbondanti di falli e notizie da servire come fondamento del lavoro da farsi. Per la parte importantissima del medio evo sono lodevoli specialmente ( fra quelli a me noti) il Tiraboschi per gli Stati già Estensi, il Repetti sullodato e il Casalis per gli antichi Stati Sardi. ( 601 ) TAVOLA DI POLCEVERA straniero non potrà mai tleciferarle ; per es., Brest contratto da Bread stadi ( larga città). E vi ravvisi schierali, come in serie, nomi indicanti qualità del terreno fisiche o morali, Clermont, Clair vaux, ecc., eguali agli Italiani Chiaromonte, Chiar avallò, Valle amara, Valle buona, ecc. Altri nomi accennano a qualità feudali; Montinoli, cioè Mons Hugonis simile al fiorentino Montui (Mons litighi nei documenti), e simile anche ai nostri Camporsone, Campus Ursonis; Campodonego o Campo-clonico, (Campus domnicus o dominicus). Altri, nomi di maggiore importanza per la Storia accennano a speciali stanziamenti di popoli ; come le numerose desinenze boiler in Germania accennano a Olandesi qua e colà stabilitisi; e in Italia i Re-francore e Lombardore riferisconsi a Franchi e Longobardi. Le regole pratiche che da tali lavori senza fallo potranno desumersi , agevoleranno la via a determinare col tempo la regola razionale, la formola filosofica che tutte quelle pratiche in sé contenga e le spieghi. E la stessa formol^ si vedrà allora contenere anche in sè la spiegazione di que' nomi, che constano di elementi di lingue diverse. Sul quale subbietto se volessi trattenermi, uscirei dai limiti di questo lavoro, ed anche (il confesso schiettamente) dalla portata de' miei studi più consueti; ma mi vorrete perdonare se, per desìo d'eccitar altri alle nobili discipline filologiche, spingerò alquanto il guardo temerario in que7 recessi. L'urto di due o più popoli di lingua e civiltà diversa, dei quali il vincitore nell'ordine politico è spesso vinto nell'intellettuale ; quest'urto, dico, cambia la direzione del movimento o sviluppo progressivo di essi popoli, come avviene in ogni qualunque contrasto di forze; e ne nasce una media, una risultante in civiltà e in Filologia, come avviene nella meccanica. La lingua, che allora si va formando, non è più quella del popolo conquistato e nemmeno del conquistatore ; se conserva di una di esse gran parte del dizionario,, ne ripudia più o meno la grammatica, come cosa troppo complicata ,e superiore al sno intendimento. Per tale guisa al Latino succede r Italiano, alle lingue sintetiche le analitiche; ma (ciò che è importantissimo a notare) la parte della parola-ripudiata non dispare del tutto ; i suoi ruderi restano appiccicati al vocabolo come scoria, il cui antico significato si va a poco a poco smarrendo nella tradizione, e il cui suono e forma si vanno sempre più corrompendo, perché non sostenuti dall' antico organismo. Le già arcane leggi che governano simili transizioni, vanno ormai rivelandosi mercé le profonde ricerche de' Filologi, specialmente Tedeschi ; già si ottenne la piena prova di quel più antico procedimento, onde una sola lingua che comunemente chiamasi indo-europea ne figliò sette od otto ; la greco-latina, la celtica, la germanica, la lito-slava, l'armena, le ariane o la zendo-sanscrita : tutte le quali a for volta divennero madri .di, tante altre lingue e va dicendo. Ma non basta considerare furto de'popoli tra loro, perdar ragione della varietà delle lingue; v’ é un altro fenomeno a studiarsi, non meno, se non più, importante. È questo-il-caso d'un popolo isolato da altri, ma in urlo colla natura che lo circonda. Ciò vorrebbe essere posto in miglior luce che non siasi fatto finora, anche dai più valenti; le variazioni della lingua, che devono avvenire anche in una tribù in istato crisolamento pel solo influsso di cause umane e naturali, sono non solo un caso più semplice e più astratto di quello delle variazioni per contatto da tribù a tribù; ma devono essere un caso avvenuto, una realtà; perché sole possono spiegare il continuo e meraviglioso moltiplicarsi .delle lingue fra famiglie selvagge isolate, come in America; e solo questo caso potrebbe spiegare {naturalmente almeno) le prime divisioni della lingua primitiva del-f Umanità; la quale, come una sola di specie, anzi di una sola I ( 693 ) TAVOLA DI POLCEVKRA prima famiglia , non potè avere che uria sola lingua. Questo , che è dogma religioso, -è anche vero sommamente conforme alla ragion naturale perché consonante alla gran piramide di tutti i veri; e negli ordini morali e civili unico stabile fondamento della fraternità degli uomini e delle nazióni. E pognamo anche che non mai giungano a provare questa unità colle loro speculazioni que' Filologi, i quali pur con tanto acume e dottrina seppero ridurre a pochi tronchi principali la già smisurata varietà delle lingue, non ne potrà rimanere infirmato un vero che poggia su quegli altri venerandi fondamenti che accennammo: almeno finché i Filologi stessi non si contentino, per negarlo, di più o meno ingegnose probabilità, ma riescano a dimostrarne rigorosamente la impossibilità; il che finora non fecero e non faranno. Senonché il dogma stesso , che ci annunzia Y unità prima della lingua, c'insegna ancora che questa fu scissa in più, non per un fatto naturale e graduato, come testé supponevamo, ma per uno soprannaturale e subitaneo. Io ammetto ciò pienamente; ma dico che non ripugna, anzi giova, alle ulteriori conseguenze del fatto sopannaturale subitaneo, accompagnare la considerazione del naturale graduato che lo seguì. La separazione-violenta che dee essere avvenuta per la confusione delle lingue, dee aver rotto i vincoli d’ogni specie, che solo r organamento ossia la persona sociale può mantenere incolumi, in religione come in civiltà* come nella lingua. L’indole diversa morale e fisiologica di ciascuna tribù, che nel precedente organismo contribuiva mirabilmente alla bella varietà nell’unità, come sia abbandonata a sé, ristagna o si svolge sempre più dal lato vizioso per cui peccava il Patriarca; a poco a poco non è più TUoino che signoreggia la natura, ma viceversa ne resta signoreggiato ed infiacchito; e quel clima, quell’elemento a cui T incivilito resiste o a cui si piega senza perdere l’eia- TAVOLA DI POLCEVERA ( 694 ) sticità della reazione, lascia invece la sua impronta deleteria sul selvaggio, ne’ suoi costumi come nelle idee, nel. tipo dei cranii come delle fisonomie, nella lingua come nella pronunzia. In somma per lo alternare e Io incrociarsi continuo di co-deste fasi d' isolamenti e contratti, si moltiplicano all' infinito le varietà nei vocaboli esprimenti una medesima idea. Chi fa abuso di suoni di gola, chi manca d'aspirate; quà un frequente interporre dittonghi, girne e vocali, là un sopprimerle a più potere; colà un tramutarle, facendo passare la fondamentale a pei diversi suoi gradi, ossia d'allargamento in o, u oppure di ristringimene- in e, i ; dove togliere anche.le consonanti o indebolirle o indurirle, dove sostituire all' uffizio della gola il labbro, o alla gola e al labbro l'uffizio del palato, del dente, del sibila. Così una forma dapprima unica si vede percorrere tutte le articolazioni della bocca nelle pronunzie e lingue diverse, anzi nella stessa pronunzia e lingua, ma in secoli diversi; onde sorgono que' fenomeni addietro notati, per cui una regola pratica, che distingue un umile dialetto dal fratello, si trova essere una norma fondamentale per discernere due grandi lingue tra loro. E non solo giova come criterio filologico, ma come criterio storico per distinguere il passaggio di un gran popolo, come di una piccola tribù, dall'uno all'altro de'suoi periodi sociali, in proporzione dello svolgersi della sua lingua o pronunzia. 1 Peni o Punici non sono in sostanza che Fenici trasmigrati in Africa, e da semplici commercianti marittimi levatisi in Cartagine ad alto grado di potenza politica. Or osservate che il vocabolo Peni o Punici non si differenzia dal suo generatore Fenici, in sostanza, se non per l’indurimento della labiale /‘nella sua affine;;. Pure questo scambio, che par tenuissimo, é di grande rilievo, in quanto in sé compendia tutta la Storia d'un gran popolo, passato dall'uno all'altro periodo. E Varrone, nell' enumerare le genti che occuparono ( 695 ) TAVOLA DI POLCEVERA successivamente la Spagna, potè a buon dritto porre i Fenici come anteriori ai Peni; perchè questi ultimi, come potenza politica, erano più recenti e al tutto staccati dallo Stipite Fenicio (*). La ragione generale e complessiva di tali gradazioni cominciò a ben rilevarsi soltanto nel nostro secolo, mercé le leggi cosi dette di Grimm dal nome del loro celebre scopritore, che con tanta acutezza e riuscita se ne valse per dilucidare la lingua e i dialetti germanici. Ma era serbato al1’ acume di un altro dottissimo Tedesco scoprire una nuova legge filologica, che tutte le leggi già note in sé comprenda e spieghi, e di cui T avvenire mostrerà sempre più la capitale importanza. Onde se le leggi pratiche di Grimm potrebbero assomigliarsi a quelle di Keplero in Astronomia, questa, di cui ora parlo, sarà forse col tempo paragonata alla scoperta di Newton. Intendo alludere al ch. Bopp e alla sua legge deir accento o gravità del suono; per cui., la voce pesando e calcando con maggior forza sovra una sillaba, ne viene con ciò più' difficile a pronunziarsi il resto della parola : quindi a misura che essa parola divenga soverchiamente lunga per nuovi membri aggregati; o a misura che il popolo impaziente o ignaro dell’ importanza di essi aggregati, voglia accelerar la pronunzia, l’accento soffre una lotta; e, se è vinto, si sposta dalla sillaba radicale, la quale non essendone più protetta ne riceve modificazione nella sua vocale; se al contrario V accento vinca, rimane a posto, ma ne ricevono danno le sillabe successive, le quali, come avviene nella pronunzia inglese , si sciolgono spesso in uno non ben definibile mormorio e in altre lingue scompaiono al lutto. Analogo a siffatti casi di scomparsa totale può considerarsi il fenomeno offerto dalla lingua Tedesca, per cui si distinguono il plurale (*) Plinio, H. N. ni, 3. In universam Hispaniam M. Varrò pervenisse Ibiros et Persas et P/iocnicas -, Ccllasquc et Pocnos tradii. TAVOLA DI POLCEVERA ( 696 ) dal singolare in alcuni nomi, e il passato dal presente in alcuni verbi, non mediante una particella aggiunta, come di regola ordinaria, ma soltanto mediante una modificazione della vocale radicale, che si trasforma, per es., da a in e o in a-, da / in a , da u in ü; allargando , stringendo o intorbidando la pronunzia: valer, padre; vdter, padri; mutter, madre; mütter, madri; binde, io lego; band io legava; bande, io legherei; halte, 10 aveva; lidtte io avrei. La spiegazione, che se ne può dare, é questa: che la particella, solila ad aggiungersi per significare 11 tempo o il numero diverso , dovea in- origine apporsi anche in questi verbi e nomi che ora sono eccezionali ; ma la giunta col proprio peso avendo reagito suir accento della radicale, lo vinse e modificò la pronunzia della vocale. A seguito del che il popolo s' avvide, come la stessa sillaba, diversamente pronunziata, or bastava da per sè a distinguere 1' un tempo e l'un numero dalT altro ; e nemico, com' é, delle lungaggini, si avvezzò ad omettere quindinnanzi Ja particella ossia giunta che era divenuta superflua (*). Che se questa ragione é vera, come a me pare, essa vale anche a spiegare le formazioni dei tempi e nomi della intera classe delle lingue Semitiche, dove avviene per regola generale ciò che vedemmo avverarsi nella lingua Germanica solo per eccezione; ed ecco, nel riconciliare una divergenza sorta nel grembo delle lingue indo-europee, traspare il mezzo di rannestare, alla già meravigliosa unificazione di queste, anche le lingue Semitiche; togliendo di mezzo un ostacolo che per confessione de' più chiari Filologi é dei principali all'assegui-mento di si desiderato e santo scopo. (*) V. per casi non eguali ma analoghi Leo, Prelezioni sulla Storia del Popolo ed Impero (Tedesco, Halle‘4854 (in tedesco). Voi. 1, pag. 7; citando anche ivi T autorità di Grimm. ( 697 ) TAVOLA DI POLCEVERA Inoltre dalla legge di Bopp sorge quest'altra conseguenza rilevantissima: che 1’accento, dove pesi con più forza sulla radice, rende più unite e, come a dire, incorporale a sé le altre membra della parola; dove per l’opposto pesi con forza minore, rimangono esse membra più sciolte e quasi staccate nella pronunzia. Secondo questi due contrarii effetti adunque, una parola è organica o inorganica; ma il suo stato più per-.felto è naturalmente 1’ organico, che fa nella semplice parola il medesimo effetto che fanno il verbo nella frase, lo spirito nel corpo, il principio dell’ unità nelle opere letterarie od arii-•s t i eh a. Certo il .troppo peso sull’ accento non solo incorpora le membra accessorie, ma le consuma com.e vedemmo pocanzi ; ma in un linguaggio sintetico, dotato di accento forte ad un tempo e giusto, la desinenza de'vocaboli (ossia la flessione grammaticale) non può essere che una parolina indipendente di sua natura e significante un’idea accessoria di tempo, numero, caso, ecc.; la quale attratta dallo accento o spirito nel suo cerchio organico, é ridotta a far parte integrante di un maggiore composto. Di che viene tutta la differenza adottala in filologia tra le tre grandi classi di lingue, che si dividono in monosillabiche, agglutinanti, inflettenti. Perché, o la parola non s’ organa 'mai in composti, restando sempre un monosillabo come avviene nella lingua Chinese; o s’organa bensì ma assai imperfettamente, le parti del composto facilmente lasciandosi risolvere o mutare di posto relativo, come nelle lingue Basca e Finnica; o infine ne riesce un organamento stabile e non più risolubile senza intaccare Y esistenza stessa della lingua, come è avvenuto nella Greco-Latina e in tutte le altre dette indo-europee ; dove le membra della parola, senza staccarsi dalla radice, si articolano, si piegano, forti insieme e svelte. Ciò posto, la Grammatica, che è lo studio delle flessioni o delle relazioni, non esiste propriamente nella lingua Chinese TAVOLA DI polcevi-:ra ( 698 ) in cui la relazione non risulta che dal posto che tengono fra loie i monosillabi. Ma nelle lingue inflettenti, per cagione (e! decadimento nella giusta intonazione dell' accento, le flessioni essendosi guaste e storpiate, la Grammatica non ci trova pin che un significato di convenzione, il quale fa le veci dell'an-tico senso smarrito. E peggio avviene collo scontrarsi e mescersi di due o più popoli di diversa lingua e diversa-civiltà; la- flessione, ossia il significato di convenzione, diventa sempre più dura cosa a capirsi e sempre più si guasta; il suffisso divien prefisso, si slacca dalla radice e diventa articolo, pienome, verbo ausiliario; il latino diviene italiano, e i Dotti dopo a\ei lottato buona pezza contro la corrente devono finire col cedei e e adattarsi alla intelligenza comune. Ma oltre i documenti scritti della lingua morta, e quand' anche tutti siffatti documenti sieno periti, restano, come dicevo, i ruderi delle antiche flessioni, inorganici bensì e inavvertiti, ma pur land e tali che, comparandoli nelle diverse lingue il Filologo ormai sta per risollevare il velo, e sorprendere il tipo nativo ne suoi infiniti meandri e travasi. Ma si dirà: che cosa ha da fare tuttociò coi nomi proprii di luoghi e specialmente della Liguria? Vi ha da fare, in quanto queste ragioni, appunto perchè generali in tutte le lingue, si ripetono anche nei fatti più minuti d'ogni dialetto, e danno occasione a concepire ipotesi, che confermate da sempre maggior numero di fatti possono diventare realtà. E v ha da fare, perchè se i'nostri nomi proprii locali vengono da una lingua ignota e debbonsi ricondurre per capirli alla pura radice, è mestieri saper distinguere anche in questi nomi le varie guise di incorporazioni, e le antiche, sebbene guaste, funzioni grammaticali che con una o più invoglie la possono nascondere. Ben è vero che questo compito non appartiene più al modesto amatore delle notizie patrie; il quale dee esser ( 699 ) TAVOLA DI POLCEVERA contento dell uffìzio, che'gli abbiamo assegnato, di raccogliere i nomi proprii e analizzarli fino al punto a cui può giungere coir intelligenza del dialetto e lingua sue, e meglio, se vi aggiunga il corredo del latino. Il rimanente, eh’ei non capisce, sarà un’incognita che dovrà rimandare al filologo per l'analisi ulteriore; cosi anche qui, come nelle industrie e in ogni opera intellettuale o morale, si avranno i vantaggi della divisione del lavoro, che è atta a persuaderci non solo la debolezza dell’individuo e il santo vincolo della socialità, ma anche la santa unità impressa in tutti i vincoli delle idee e delle cose. Che se i fonti della conoscenza sono diversi tra il Filologo e il Collettore de’ nomi patrii, pure il metodo e molti strumenti sono comuni ; e le conclusioni dell'uno non è a dire quanto giovino a raddirizzare, aiutare, compiere le conclusioni dell'altro. Così il Collettore pratico noterà spesso, nel trapasso da uno ad altro dialetto, due nomi differenziarsi soltanto per l'articolo, che è omesso in uno di essi nomi, nell'altro è aggiunto anzi incorporato; per esempio: i fiumi Ardara, l’Ar.-dara , la Lardava; Ofanto , 1' Ofanto, il Lofanto. Troverà invece talvolta la diversità consistere nella sola spostazione della r ; esempio Arda e Adra, Prenecco e Pernecco, Saterno e Satreno ; oppure cambiarsi la d in t, Adria in Atria, Atri; o sopprimersi una consonante, come vedemmo Carsuoli divenire Arsitoli. Ebbene egualmente il Filologo dovrà far tesoro di tali fatti, sottoponendo all' analisi la incognita ricevuta dal Collettore pratico, e tentando scoprire quali altri fenomeni restino ivi ancora da astrarre per ottenere pura la sostanza o radice ; e, per esempio, potrà proporsi ad esaminare, se Cum-bri, Humbri e Umbri non sieno per avventura nomi indicanti un identico popolo o il suo territorio. Similmente troverà in Ispagna e Sicilia moltissime volte 1’ articolo arabo al o el incorporato al nome proprio, e fatto precedere da un nuovo « TAVOLA DI POLCKVKRA ( 700 ) articolo staccato; onde il Cadì (giudice) divenne Y Alcade, e di Merla si fece la famosa Almeria e Y Almeria. Troverà ivi pure il nome generale di vadi o guadi (fiume) incorporalo al nome particolare ed antico del fiume medesimo; e per tale aggiunta assumere questo nome un apparenza diversa, onde r iberico Ana diventa il Gundiana; come per somigliante fenomeno f italico fiume Esi diventa Fiumesino. E i grandi fiumi danubiani con diligente analisi si ravvisano vestiti tuttora dello stesso nome, benché in apparenza assai diverso: don antico Tanais; Dniester (medio evo Danastris) l’antico Tyras e forse Styras, Astyras, Dan-Astyras; Dnieper, (medio evo Danapris, contratto da Dan-a-boris} cioè il rovescio dell' antico equivalente nome di Boris-thenes) ; senza entrare per ora nelle radici Boris (bera?), Astyras, Ister, Tyras (Àstura, Stura, Teiro, Dora?), Tanais, Danau (Eridanus? Rodano?), che richiederebbero un discorso infinito (*). Da quali esempi abbastanza autorevoli é numerosi piglierà il Filologo a sospettare, non forse, sotto ad altre radici apparentemente pure, s’ascondano ancora idee generali, o rapporti grammaticali. E domanderà a sé, se quella lettera s che precede tanti nomi italici, rendendo dissimile ciò che senza lei sarebbe identico, non sia in origine altra cosa che un articolo incorporato alla radice, come é diffatti un articolo in dialetto sardo ? II che supposto, i nomi di Sairi e Atri, Sarno e Arno, Sarda e Arda verrebbero identificati e spiegati allo stesso modo, come, chi ora dicesse f Atri e il Latri, Y Arno e il Larno, come i Sardi direbbero s} Arno, e Y Ar dar a direbbero s ’ Ar dar a. E siffatta supposizione si renderebbe vieppiù probabile, considerando che molti nomi, solo diversi fra loro per la presenza o 1' assenza di questa lettera, sono già riconosciuti (*) V. la nota a pag. 67G in fino. ( 701 ) Tavola di polcevkra come realmente identici; come Indus e Sindus, Alpes e Salpes, o come i nomi orientali di Amastro, Amiso / Ainur, Marakanda, che poi si chiamarono Samastro, Simiso (Simsun), Samur, Samarcanda; a cui molli altri potrebhersi aggiungere. Nè manca a spiegar ciò una ragione intima filologica. Nella gran classe delle lingue Greco-Latina, Sanscrita ed altre, questa'lettera termina il caso retto dei nomi, e si stacca dalla radice, permutandola in altri casi con diversa lettera. La s è adunque una flessione, un segno grammaticale, che, secondo il genio della Latina ed altre lingue sintetiche, s'attacca in fine di parola, ma, secondo il genio dell'italiana ed altre moderne analitiche, si stacca e si pone avanti alla parola e diventa l’articolo; colla sola differenza che il dialetto Sardo ha solo mutato di posto l'articolo, conservandone intera la forma, e lalingua Italiana ne ha inoltre mutata la forma da s in lo o il. Ma il Genovese antico indeboli più ancora questa forma cambiandola in ro, e il Genovese moderno lasciò scomparire del tuttofar. Ebbene, anche nella suddivisione delle lingue Germaniche succede un fenomeno quasi simile; perché, mentre alcune di esse mantengono la flessione in fine di parola, come lingue sintetiche, pure questa flessione- in un ramo di esse lingue (il Norvegio) si esprime. colla lettera r laddove in altro (il Gotico) si esprime col più comune segno della Jettera s. Che se fosse ben conosciuto di questi e più altri misteriosi aggregati non solo l’uffizio pratico, ma il vero tipo e il senso etimologico, io avviso che se ne troverebbe la* chiave a spiegare (come già fu tentato) quella terza lettera che comparisce regolarmente nei verbi semitici, e ne rende la radice polisillaba in cambio di monosillaba, come dovrebbe essere; e se risultasse provato (oome già si sospetta) che questa terza lettera non è che una particella accessoria, che si può staccare dalla radice e ne‘modifica il significato, si eliminerebbe con ciò Tal- TAVOLA DI POLCEVERA ( 702 ) tra delle massime cause di divergenza, che i Filologi riconoscono esistere fra le lingue Semitiche e le Indo-Europee (*). IV. Ecco, o Carissimo, traccialo secondo mio potere il disegno degli studi da farsi sui nomi proprii locali, e che analogamente potrebbero farsi sulle forme grammaticali dei dialetti, modi, proverbii, ecc., acciò T investigazione sull'antica lingua ligure produca convenienti risultati. Ma, nel cominciare il faticoso nostro viaggio filologico, io avevo accennato richiedersi ancora qualche cosa di più, perché questi risultati ottenessero tutta la possibile pienezza. Dissi cioè che bisogna unire o chiudere tali studi colla profonda ricerca delle antichità Storico-Liguri; senza le quali riescirebbe, necessariamente e ad ogni istante, spezzato il filo delle indagini; e mancherebbe quel capo in cui si accentrano, -da cui partono e ritornano le sovra descritte deviazioni, urti, reazioni, isolamenti, riprese. Ed anche qui, sebbene'passati in altro campo d'indagini, siccome esse pure versano sopra fatti oscurissimi e preistorici, su quistioni in contradditorio modo sciolte da’ moderni, e con poche e confuse parole toccate dagli antichi ; per tutti questi motivi ne viene che il metodo di esame storico, da imprendersi, non possa essere guari diverso dal metodo filologico suadom-brato; si riduca insomma a ricominciare dal raccogliere tutti i brani originali degli antichi Scrittori, a disporli in ordine cronologico, poi passarne alla analisi, ritener per vero fino a prova contraria tutto quello che ivi si dice; e dove, vi'paia essere contraddizione, tentare se questa non possa essere tolta {*) Vedansi anche i dotti studi del ch. Prof. Ascoli, Del nesso ario-scmilico; nel Giornale II Politecnico, 4864. ( 703 ) / TAVOLA DI POLCEVERA di mezzo, distinguendo i tempi diversi in cui vissero i due scrittori contraddicevi ,* oppure distinguendo i fonti diversi onde trassero le notizie ; infine, dove con tutlo ciò non possa giungersi alla piena certezza, contentarsi di aver ottenuto un certo grado di probabilità e di verosimiglianza, che in cose tanto antiche ed oscure é già un bel guadagno e può essere scala ad altri maggiori; quando dopo matura riflessione resti fermato, senza dovere ad ogni istante ricominciare da capo. È questo in sostanza il metodo che tanto raccomandava r illustre Cesare Balbo, e che chiamava metodo connettitore delle tradizioni e dei monumenti, per mezzo di quella operazione che io dissi sintesi pratica, immediatamente successiva alle prime collezioni ed analisi di fatti, ma che il Balbo in questo caso appella immaginativa storica. La quale concilia tutti i fatti, non rigettando che il contraddittorio evidente, e del-r insieme compone un racconto che da un primo grado di probabilità può levarsi col tempo a certezza. E a buon diritto rigettava egli il metodo inverso o eliminatore di cui Vico e Niebhur sono i più chiari rappresentanti, e consistente in ciò: che assunto un solo fatto, e talora anche una opinione, come verità e fondamento di tutto un sistema, si reputa falso tutto quanto non pare coordinarsi con quel presupposto; e Io si rigetta, comunque gravi possano essere le autorità e le fonti che raccomandino una sentenza contraria. Metodo questo pericoloso a priori perchè, se il presupposto non è vero, cade tutto in rovina il laboriosamente architettato edifizio, seppellendo col cattivo il buono. Metodo mostratosi vizioso alla prova perchè, poste a parte profonde e bellissime meditazioni su quistioni secondarienon è riuscito che a rituffare nelle tenebre i principii della Storia senza sostituirvi nulla. Metodo infine cartesiano in Filosofia, protestante in Religione, dovunque orgoglioso, che vuol fare un Uomo solo criterio deir Uni- TAVOLA DI POLCEVERA ( 704 ) verso. Eppure chi rientri per poco in sò, riconoscerà tosto da quanti motivi sià soggetta a velarsi la verità al nostro sguardo, anche a nostra inscienza o malgrado; quindi non rinnegherà certamente il senso intimo, ma farà di rairrontarne continuo i risultati con quelli, si del senso comune, si del dotto pubblico ; pigliando animo a progredire se v’ è concordia, se no, ritentando ragioni ed esperimenti. Con questo faro innanzi agli occhi non rischierà di straniarsi dagli altri per troppa acutezza, isterilendo nella solitudine si prezioso tesoro d’idee, ma le feconderà nel grembo della madre comune, 1' Umanità ; e ciò facendo troverà anche nelle fonti più scarse celato qualche frammento di verità preziosissima, chi sa per quanti secoli di tradizione orale e scritta, a noi tramandata. Perfino certi-squarci d’ Autori, ove sembra mal conneltere il senso, anzi appunto perciò, possono fornire la chiave d’un enigma; perchè quelle parole devono essere state copiate da più antico Scrittore senza essere intese, né possono essere .state inventale o raffazzonate, ché allora avrebbero senso più chiaro ed armonico; sono dunque suggello di tradizione oscurala, ma che verrà forse a collimare colle più recenti scoperte. Ma anche passando a indagini più comunali, vedrà l’apparente contraddizione dileguarsi distinguendo i tempi. Così gli oppidi Clastidio e Lilubio a questa stregua potranno senza errore dirsi, quando Liguri, e quando Gallici ; allo stesso modo come i recenti Geografi avrebbero polulo a buon dritto chiamare le stesse terre dapprima Milanesi, poi Piemontesi. E così dicasi delle Alpi e de’suoi popoli, quando Liguri, quando Celti. La Luni-giana, anzi la stessa Pisa, potevano dagli antichi essere dette, ora Liguri, ora Etruschc; secondo che in questo terreno intermedio volgeva la fortuna nella lotta tra i Liguri è gli Etruschi, accennata da Livio, e che celasi tuttora nelle omoìiimie locali. Cosi infine se la lingua delle iscrizioni umbre, osche, ecc., ( 705 ) TAVOLA DI POLCEVIiRA è senza dubbio d'indole italo-greca, mentre, per altri dati, 1 "ili P°P0li paiono piuttosto primitivi ed anteriori all’ invasione pelasgica , non è questa una contraddizione ; quando si pensi, che i Pelasgi o Italo-Greci conquistatori possono avere, anzi hanno veramente introdotta colla civiltà la loro lingua, e ciò tanto più nei monumenti scritti ; allo stesso modo come le molte iscrizioni Romane scoperte nell’ Algeria non provano la lingua nativa delle tribù africane, ma quella de’conquistatori. Ora trattandosi di sì oscure memorie, che debbonsi legare colle più antiche trasmigrazioni de’ popoli, e nello stato presente delle cognizioni storiche, sarebbe egli possibile spirare su que ruderi 1’ alito della vita, e chiederne conto di vicende che nessuna penna dettò, nessun labbro trasmise? Certo il Poeta di Venosa non ne rimarrà sbugiardato: i Forti che ussero avanti Agamennone, ninno varrà a sprigionarli dalla lunga notte in cui giacciono (*). Ma, se non i nomi degli Uomini , potrebbero venir fuori (e non è il meno) i nomi dei popoli e delle tribù; nomi che, quasi cifre di lingua ignota su lapida sepolcrale, serbaronsi incisi su monumento più perenne del bronzo, nella memoria dell’Umanità, nell’ umile nome dei rivi, dei colli e delle piagge deserte. E, secondo la relativa antichità, profondità ed estensione del suolo, essi nomi indicano le tribù ‘ he giacquero prime, e quelle che vinsero per essere poi a lor volta soggiogate. Donde s’intravvede e quasi si assapora quella, che esse tribù provarono, vicenda misteriosa di gioie e dolori, virtù e vizii, ruota perpetua in questa terra; mi accanto ai (*) Orazio, Libro iv — Ode, 9. Vixere fortes ante Ag rymabiles Urgentur, ignotique longa Noctcy curent quia vale saci'O. TAVOLA DI POLCEVERA ( 706 ) mobili eventi uny filo aneli’esso perpetuo e misterioso, unico e consolante, che le genti raccoglie in nazioni, le rileva dalla barbarie; e nella unione sempre più ingrandita e coronata dal Romano Impero prepara la via alla pienezza de’ tempi, al trionfo della luce e dell’amore, al}’Evangelio. Un disegno di tale lavoro, in cui sieno tracciate le membrature principali, fu nella parte sua più sublime adombrato da Sant’ Agostino e da Bossuet; e fu, non ha molti anni, di profonda e varia dottrina rimpolpato dall’illustre Conte Balbo che lodavo-testé: ma si aspetta chi- con la stessa salubrità di metodo frughi il terreno ancora troppo poco esplorato, e chi raccogliendo la sparsa messe dia vigore e finitezza al sublime edilizio. Così il viaggiatore notturno, cui l’alba sorprenda presso a un meraviglioso paesaggio, ode dapprima un lieve susurro che a lui quasi inconscio rinfranca le forze, e fa presentire l’augusta presenza del bello. A poco a poco si staccano le ombre, si riparton le masse, rivelasi il mare, il piano,, il monte che poi la luce inciderà in ogni più minuta sua parte, e rivestirà del ricco e svariato suo manto. Senza meno Voi non attendete questa impresa da’ miei omeri; da me, che solo volli essere annoverato tra i manovali che vi recano una pietra o, poniamo anche, un fuscellino : ma giacché mi posi in mezzo anch’io, discorrendo del modo come mi pare doversi dirigere le ricerche filologiche in Liguria, consentirete che compia comecchessia il mio intendimento; ragionando del modo come mi sembra doversi concepire le origini storiche Liguri-Italiche, in mezzo a tanta dubbiezza e varietà di sentenze fino a’ nostri dì pubblicate. La Storia e la Geografia del pari c’insegnano essere antichissima la Nazione dei Liguri, a tale che Dionigi d Alicarnasso , peritissimo delle Italiane antichità, mentre sa o tenta spiegare le origini degli altri popoli della Penisola, venendo ( 707 ) TAVOLA DI POLCEVERA alle nostre si dà per vinto e confessa di nulla saperne (*). Noi troviamo nei tempi storici la gente Ligustica in Italia diffusa dal mare, che ne trasse il nome, fino al Po e all’Arno; ma indizi non dubbi rivelano che più anticamente continuavano i Liguri oltre il Po fino alle Alpi. SuMungo circuito di questi monti rimanevano ancora stanziati in tempi storici i Liguri Taurini e i Liguri Sleni od Euganei; ed occupavano gli estremi dell' arco montano; i Taurini a ponente, gli Stehi a levante, ma staccati tra loro, e come violentemente attraversati dai Galli sopravvenuti, e dagli Etruschi-che cacciati d'Italia eransi in parte ritirati sui monti Retici. Dunque la Liguria, ristretta come oggi è fra 1'Appennino e il mare , non ha a considerarsi come la culla prima da cui ingrandendosi salisse fino alle Alpi, come suppone il Serra; ma per converso la Liguria primitiva occupò con 1' Appennino senza meno il bacino superiore del Po fino alle Alpi: e solo per successive sventure fu ristretta al Po e poi ancora dall'Appennino al mare. Ma anche oltre l’Arno e perfino nel Lazio per attestato di Dionigi si trovavano sparse le tracce di stanziamenti di Liguri misti a Siculi: anzi altre tracce simili giungono fino all'isola di Sicilia, per testimonio dell'antichissimo Filisto e di Costantino Porfirogenito. E per tal modo-l’Italia sarebbe stata un tempo poco meno che interamente occupata dalle genti Ligustiche ; tanto più se si tenga per vera 1’ opinione del eli. Tonso (**): che identici ti Liguri sieno que’ Liburni che abitavano primitivamente il Piceno, misti di nuovo e compagni a’ Siculi ; e quegli altri Liburni che lasciarono il loro nome alle spiagge orientali dell’Adriatico. Arroge quei Liborii di Plinio che (*) Antiq. Italie. Lib. i. Utra sit eorum (Ligurum) patria incertum est ; nihil enim cei'ti de iis praeterea dicitur. Anche Plinio li chiama antiqua Ligurum stirps. II. N. hi, 24. (**) Dell’ origine dei Liguri, Pavia 1784; Filisto apud Dionisium, Aut. ìtal. i. TAVOLA DI POLCEVEHA ( 708 ) abitavano la Campania, ed ancora nelle carte del medio evo si chiamavano Liburiani e Ligimàni (*). L' opinione del Tonso . a me arride ; e ne è conferma il riflesso che i Greci sebbene chiamassero Ligii i Liguri, tuttavia denominavano anche libi e o libiche le Bocche del Rodano, non per altro certamente se non perchè in paese e sotto il dominio Ligustico. Di più, anche i Liguri del Vercellese denominavansi Libui o Libici, e Levi i finitimi lungo il Ticino: e Liburno o Livorno è nome che (come si è detto innanzi) identificasi con Ligorno, ed esprime non solo la fiorente città maritima all’ oriente estremo della Liguria, ma anche una ragguardevole terra del Vercellese medesimo; oltrec-ché riscontri di questo nome s'incontrano non rari qua e là, come nelle Alpi Svizzere (Lig or netto), ove si hanno moltissimi nomi d’indole ligustica; o come nell’antica Libarmi fra Genova e Tortona, ove tuttora scorre il rio Liborno , e la cui pieve ecclesiastica portava ancora nel medio evo il nome di Liverno. Uscendo d’Italia per le Alpi maritime, incontriamo sul pendio opposto la continuazione delle notissime genti Ligustiche tutto giù per Ia Gallia meridionale fino al Rodano : e queste genti perciò che miste a Galli o Celti, furono dette da Scillace Celio-Liguri. Proseguendo sempre a occidente, continuano i Liguri fino entro la Spagna, e sono detti per questo dal medesimo Scillace Ìbero-Liguri. Troviamo difatti in Iberia una città ed un Jago denominati Ligystine (**) ; e una tradizione riferita da Tucidide rammenta un antichissimo loro (*) Plin. H. N. xvm. II. pars ejus (campi Campani) quae Leboriae vocantur. V. anche ibid. xvn. 4. Nella Cronaca Cassinense (Muratori, R. I. S.) frequentemente si nomina la Liboria nel senso della, ora detta, Terra di Lavoro. Nei Monumenta Regii Napolitani Archi vii, Neapoli, 1840-61, più volte si trovano denominate queste regioni: in territorio liburiano ed anche liguriano ; fines liburiae ; liguriae terra ; leburiae tellus, etc. (**) V. nota a pag. 712. Scillace Geographi minores, ediz. Didot, Voi. i. Tucidide, Dr Bello Peloponnesiaco, lib vi. 3. ( 709 ) TAVOLA DI POLC^VElìA stanziamento sul lìume Segre (Sicoris), donde i Siculi li avrebbero scacciati. 11 eh. Serra qui di nuovo riflettendo su questa triplice denominazione, recata da Scillace, di Liguri, Celto-Liguri, Ibero-Liguri, ne vuol dedurre che dunque i Liguri proprii erano gli Italici, perchè puri di mistura straniera. Questo riflesso è giusto si, pei tempi di Scillace ; ma non ne viene, che, dove si trovi più pura la gente, ivi abbia sempre avuto T origine: non bisogna, come notavo poc’ anzi, scambiare la culla coir ultimo rifugio; comecché queste due fasi possano avere tra se stretta attinenza. Laonde é probabile (e, secondo me, vicino a certezza) che i Liguri puri occupassero dapprima tutta la Europa occidentale , e per lo meno dall' Italia alla Spagna ; fossero poscia rotti e frastagliati da genti diverse sopravvenute, e per la maggior parte spinti e ridotti fino ai margini maritimi. Codesto sistema spiegherebbe il perché Dionigi, rammentando le origini degli altri Italici, ignorava quelle dei Liguri come le più antiche ; e consuonano con esso quegli oscuri versi di Licofrone nella Cassandra, dove, parlando dell’ invasione de’ Pelasghi in Italia e della loro vittoria sui Liguri , appella questi ultimi prole di giganti : col quale nome sappiamo che gli antichi intendevano una stirpe primitiva o, come dicevano , autoctona e diversa dalle posteriori. Sarebbe forse indizio deir esistenza in Liguria di questi popoli primitivi la scoperta del signor Forel ? Il quale trovò in una caverna presso Monaco frammenti di armi di pietra simili a quelle scoperte in lsvizzera, Francia, Germania e Danimarca ; e che si suppongono essere state adoperate e costrutte da popoli che ancora ignoravano Y uso de’ metalli, e vivevano in un tempo che or si è convenuto chiamare 1’ età della pietra (*). (*) V. nella Storia di Venlimiglia del eh. Rossi nostro socio corrispondente, pag. 34o, la lettera del signor Forel delli 27 febbraio 18o8. V. Licofrone nella Cas- TAVOLA DI POLCEVEUA ( 710 ) Pei giungere a più ricise conclusioni su queste misteriose 01 igini sai ebbe d uopo scoprire altri monumenti, e anche cranii ma in buon dato, per.evitare le troppo affrettate sentenze, e verificare que casi e ragguagliarli alle nostre ipotesi; sovralutto gio\eiebbe scoprire iscrizioni in lingua ignota, se si potesse credere che popoli cosi primitivi avessero usato caratteri. Ma sventuratamente non abbiamo nulla di cose nostre sotto questi rispetti; e siamo ridotti a ghiribizzare su quel che dicono gli stranieri o altri chiari Italiani sulla etnografìa e craniologia Ligure; senza poter sottoporre i fatti alla nostra.spe-n'enza, ed apprezzarne il valore in un subbietto di finora tanta dubbiezza. Perciò tacerò di questo; soltanto sull’indole del linguaggio ligustico arrischierò qualche osservazione. Cercando tra i linguaggi dei popoli che ebbero sede dalla Spagna all Italia, quale sia quello che più si scosti per indole e forma dalle lingue indo-europee, ci si presenta tosto il Basco, che, rannicchiato in un angolo montuoso della Spagna, è stranissimo e diverso affatto da quelli che tengono e tennero quasi tutto il resto dell' Europa occidentale. Esso è di quei linguaggi che dicemmo chiamarsi agglutinanti, mentre gli altri sono inflettenti. Soltanto a IT estremità opposta dell' Europa orientale, fra i Turchi, i Finni e i da cola provenienti Magiari si trovano simili lingue agglutinanti, e si continuano per la finitima Asia o pel Monte Ural, e pel vasto paese anticamente detto 7uran ; onde le stesse lingue soglionsi anche chiamare Uraliche o Tur artiche. Ora, non altrimenti, come si ammette da gravi Autori, che i Baschi sieno i resti della primitiva popolazione Iberica , ridottisi su quegli aspri monti al giungere di nuovi popoli ; in si- s.imlru, verso 13o9 : Tyrreni..... gravem cum Liguribus et a sangue SyIoniorum Gigantum stirpem ducentibus, belli conflictu miscentes pugnam...... caeperunt Pms ; nptivomque terram.....subegerunt prope Umbros sitam. (711 ) TAVOLA DI POLCEVERA inile. modo abbiatn veduto restringersi i Liguri agli estremi lembi (1 Italia, protetti dalP Appennino e dal mare. Ma non vi é -nessuna improbabilità ad ammettere altresì, che entrambi questi resti sieno rami divulsi d’ un solo tronco , tribù varie tV Una sola 'gente.; e cosi (come opinarono alcuni Dotti) i Liguri sieno un ramo degli Iberi o, viceversa e più probabilmente, gli Iberi sieno un ramo della gente generale dei Liguri. Siccome inoltre vedemmo le tracce de' Siculo-Liguri diffuse fino air estrema Italia meridionale, di dove passarono nell’ isola; così gioverebbe (almeno in via d’ esperimento) supporre di lingua Basca o altra agglutinante le iscrizioni dissepolte nella Messapia, le quali tanto differiscono dalle osco-umbre ed altre italiche, e né per mezzo di queste lingue né colla Greco-Latina furono ancora potute spiegare. A me sembra che colali inscrizioni e per la lunghezza .delle loro parole, e per frequenti ripetizioni di sillabe simili e di vocali, offrano in digrosso una fisonomia di linguaggio agglutinante o incorporante ; e meritino perciò che vi s’ instituiscano sopra gli opportuni confronti; il che credo non sia mai stato tentato (*). •Checchessia di ciò, Y identità de’ Liguri cogli Iberi piglia rincalzo da due osservazioni: l.° la già notata grande rassomiglianza di molti nomi locali nelle due Penisole, oltre i numerosi osca, esca, asca, che vedemmo formare il sustrato ligustico e che rinveniamo egualmente tra gli Iberici, e perfino nel nome proprio del popolo rimasto vivo ; Basco , Vasco, Guascone, #e della sua lingua Eusca, Euscara; 2.° le tradizioni e i Raccoglitori delle-prime storie nominano uniti di frequente (*) Supposto elio. la lingua Ligure fosse agglutinante, si potrebbe domandare, se la sillaba ti nell’ Ometicani, Ometiconi non fosse un infisso accessorio o grammaticale, come si usa incorporarne in siffatte lingue; nel quale caso queste parole non avrebbero radice, in sostanza, diversa da quella di Moco; come forse anche si potrebbero ridurre ad una sola radice Peliuni e Plauco. TAVOLA Di POLCEVERA (712 ) i Siculi coi Liguri ; come difatti già notammo Io stanziamento in Ispagna d’ entrambi, dei Liguri nella città Ligystine presso Tartesso (*), dei Siculi sul Segre influente del fiume Ebro, altro nome di cui fu rilevata Y importanza. Che se Tucidide racconta che Y uno di questi popoli quivi cacciò 1’ altro dalla sua sede, non mi par questo buon argomento per inferirne, come altri ha fatto, che i due- popoli fossero di stirpe diversa tra loro ; come se la guerra fraterna fosse cosa nuova nel mondo. Senzachè, pojrebbe essere (e forse è il caso più probabile) che gli uni abbiano spinto gli altri avanti, perché spinti essi stessi da altre genti nuove e veramente diverse, come ^vedremo tra poco. Che a questi Baschi o Exischi sieno affini , almeno nel suono della parola, gli Oschi deir Italia meridionale , mi par chiaro da perse; e già toccai le più città di nome Osca, esistenti sulle opposte pendici Pirenee della Spagna e della Guascogna ; alcune delle quali tuttora conservano tale, ma più o meno corrotta, denominazione. Agli Oschi ftalici furono sempre reputati identici gli Opici (Obsci), gli Ausoni od Aurunci: che la varietà di pronunzia di questi nomi lascia infatti riconoscere l’identità della radice loro comune, secondo le leggi filologiche. Una desinenza simile modificata in usca si rinviene nei nomi dei luoghi e in inscrizioni dalla Messapia fino all'Umbria (le già citale Trebia Mutusca, nomen japuscum) ('"'). È degno di nota, che il nome di Oschi od Opici, usato per indicare non alcune tribù del meriggio, ma gli Italiani in genere, questo nome, dico, e quest’ uso ci venne dai Greci ; e di rim- (*) Ecateo in Stefano Disamino e Avieno Ora maritima, verso 284. I Liguri son detti Ligustinoi in Licofronc. Eustalli. in Dionis. V. 36. Vedi anche Thierry, Histoire des Gaulois. (**) Quest’ ultimo è nelle Tavole Eugubine c viene consideralo come sinonimo di nomen o gente japigia. ( 713 ) TAVOLA DI POLCEVERA patto gli Italiani continuarono a chiamare col nome di Greci i loro vicini di levante; anche dopo che questi ebbero dimenticato il nome nativo e si ribattezzarono con quello di Elleni. Io non cercherò se non sia un poco stiracchiata l’opinione di chi vuole identici, almeno nel senso, i due nomi suddetti: Greci (Graiki, griggi o vecchi), ed Oschi (Caschi, prisci, vecchi od antichi). Entrambi i popoli abitano due penisole, appena attraversate da uno stretto, ed hanno la lingua non solo della stessa classe indo-europea, ma anzi affine l’una verso Y altra più strettamente che non verso le altre lingue della stessa classe (ciò s' intende dopo Y invasione pelasgica o incivilitrice). Ora r antico loro contatto ed estensione, rotta poscia dalle scissure esterne ed interne, mi sembra dare una profonda ra- , gione del curioso fenomeno sovra notato. Gli Italiani conservarono r antico nome ai Greci, che questi dimenticarono ; e i Greci conservarono a tutti gli Italiani il nome antico d’ Oschi, che questi poi diedero solo ad alcuni popoli del meriggio ; e perchè ? Perchè la memoria del nome antico e generale della stirpe si custodisce più agevolmente dal popolo vicino, tanto più quando si stacca, che non dal popolo stesso a cui quel nome si applicava; quest'ultimo popolo, soffrendo interne suddivisioni e vicende , va a poco a poco dimenticando il nome proprio generale, e ne assume uno nuovo e parziale, corrispondente al suo frazionamento o vicenda (*). Ammettendo dunque dalla Spagna all’Italia, e meglio per tutta Europa ( sul che non posso qui a lungo discutere), un fondo o sustrato di popolazione, che di lingua crederemo agglutinante, (*) Un caso simile è quello degli Inglesi, i quali tuttora chiamano gli Olandesi Dulch, forma corrotta di Drutsch (Tedeschi) ; mentre essi Olandesi, da molti secoli staccati dal ceppo germanico, lasciarono questo nome e si considerano di nazione diversa. TAVOLA DI POLCEVERA ( 714 ) di nome diremo Ligure, Liburna, Libia o Leva, verrebbe a palesarsi una esistenza sotto-terra di un immensa catena continua, i cui anelli trapelano qua e là, ma più chiari 'mostranti ai due estremi opposti ; a levante si rannodano all' Ural e alle tribù Turaniche di lingua omogenea ; a ponente alla Spagna; al mezzogiorno attraversano il Mediterraneo e si posano sul .continente alTricano, dove il sustrato è composto di . popoli detti Libii dai classici e Levatila nella Sacra Bibbia; dei quali nomi aflricani fu già avvertita dai Dòtti T affinità coi nostri Liburni, Libui, Levi e Liguri. Sovra questo fonilo di popoli caduti, pare, in istato selvaggio , osserviamo ora il levarsi di un nuovo strato di gente venuta dal di fuori, portante con se i doni della Civiltà nelle opere, nelle ai mi e nel linguaggio più perfetto fin flettente); ma che porta anche con se necessaria conseguenza la conquista : gente che i Filologi chiamano Indo-Europea, e di cui uno fra i più nobili portati é certo il ramo Pelasgico o Italo-Greco. Le tradizioni, onde vanno piene le antiche poesie e stoiie, i miti e i monumenti, sono troppo concordi, e parlano di fatti troppo grandiosi e stampati nella memoria de’ popoli, per poter dubitare che sotto .il velame delle favole non abbia a riuscire accertata la sostanza di un fatto storico, che é cardine e chiave dell’ incivilimento europeo. La stirpe che recò questo benefizio è quella stessa che tutto ardi ed ancora tutto ardisce, e che già da Orazio veniva appellata la figlia di Giapeto, audax Japeti genus ; onde il Poeta . inconscio rincalzava colle tradizioni mitiche la verità rivelataci nella Bibbia, che ci addita in Jafet il nome e la genesi di questo Capo-stirpe. Figlio di Giapeto, secondo i miti, è quel Prometeo che primo staccò dal Sole la scintilla della vita, per rinnovellare 1' uomo .incadaverito e soffiargli il senso del bello; ma ahimè! Prometeo, padre e simbolo insieme di tanti nobili spiriti, non sa resistere alla supeibia dei ( 715 ) TAVOLA DI POLCEVERA doni non suoi e ne paga il fio sènza requie , catenato sul Caucaso in preda a strazii ineffabili. Ed ecco già colle reliquie della prima tradizione comparire il nome del Caucaso, puntò di capitale importanza storica non meno che geografica. Qui risuona tuttora, e risuónava già (in dai tempi più remoti, un numero grande di dialetti ; quasi semi o compendii delle favelle che di colà si dilatarono alle parti più lontane. Questo monte che non poterono varcare le armi, altrove invitte, d’Alessandro e di Pompeo, rimane tuttora il principio della Civiltà e dell’Europa; e l’Europa e la Civiltà di là si stendono insieme fino alle colonne d’Èrcole, Limite opposto , famoso egualmente per le tradizioni storico-mitiche e per le are' ivi dedicate ad Ercole e Perseo. Difatti T Eroe da cui ebbero nome queste colonne, sia mito, sia capo reale della prima invasione Giapetica, imprime il nome e . la memoria sua e de' compagni lungo tutta 1’ Europa. Già a’ piedi stessi del Caucaso l’aurifera Colchide serba tracce di lui e della sua nave Argo ; e a questa memoria si rannodano i nomi degli stanziamenti Pelasghi in. Grecia degli Argivi e degli ylr-cacli, e di quelli in Italia degli Argei, d’Èrcole stesso, di Circe e Medea; e fra i celebri delitti le non meno celebri navigazioni, che lunghe e svariate s’appuntano nell’Eroe come in comune principio. Sono suoi compagni Teseo, che raggruppa gli sparsi villaggi d’Atene, per farne ima città meraviglia del mondo, Armeno e Perseo ; 1’ ultimo de’ quali levato, come vedemmo , ai divini onori sulle are dell’estrema Iberia. Nella lunga peregrinazione trovano a combattere, dappertutto selvaggi , mostri , fiere e giganti ; e in Liguria propriamente hanno un durissimo cozzo colle tribù indigene, che fanno ri-sovvenire i giganti liguri di Licofrone sovra nominati. Questi Giganti si chiamano Albion e Ligur ; il primo de’ quali nomi fino dai più antichi tempi si attaglia a’ luoghi già occu- TAVOLA DI POLCEVERA ( 716 ) pati da' Siculo-Liguri: Alba, Albano, Albaro, Albium Interne-lium, Albium Ingaunum , Alpi, ecc. Ma v' è di più. Le memorie deir africano Jemsale lette da Sallustio, narrano che, morto Ercole, le tribù compagne della sua spedizione tragittarono di Spagna in Africa , dove , vinti gli indigeni Libii , si stanziano, formando anche qui Io strato dominante della popolazione. E chi sono queste tribù già compagne d’Èrcole? Sono i Persi, i Medi e gli Armerà; ma, pei soliti già notati svolgimenti di lingue, i Persi mutarono poi il nome in Farusii; allo stesso modo come la Persia propria o nativa si chiama oggi Fars , Farsistan. I Medi scambiarono il nome in Mari o Mauri, con trapasso dalla d alla r, giustificato dal eh. Saint-Martin, e giustificabile coi nostri esempi di rado e raro, blera e bieda e coir assai più calzante della Medullia nelle Alpi, convertita ora in Maurieme (•*). Cosa notevole ancora : questi Persi, Armeni, Medi consuonano nel nome con Perseo, Armeno, Medea, i noti compagni d' Ercole nel racconto mitologico: uno fra i molti esempi, onde sopra toccai, che la tribù, finché rimane pura, ritiene od almeno si reputa generalmente ritenere il nome dello stipite. Ancora un riscontro più mirabile e preso da fonti diverse. Come, secondo Jemsale, in Africa ai Libii si sovrapposero i Pèrsi e i Medi, e a questi sappiamo poi essere succeduti i Fenicii e i Romani ; così Varrone racconta che in Ispagna àgli indigeni (Iberi) succedettero i Persi, poi i Fenici, i Celti, i Peni o Cartaginesi e i Romani -(**). Ora codesta introduzione di nella serie tra gli indigeni e i Fenici in Ispagna, per quanto narrata da (*) V. nelle Memorie dell’ Accad. delle scienze di Francia, voi. xii. 2.a parte, pag. 181: Saint-Martin, Observations sur un passage de Saliuste ré'atif à l'origine des Maires, etc. (**) V. sopra la nota a pag. 69j. ( 717 ) TAVOLA DI PO LC. VER A autorevole Investigatore, era riuscita ai Dotti uno strano e non ispiegabile fenomeno ; finché il fatto fu confermato col riscontro analogo delle memorie africane ; e l’indovinello fu chiarito col progresso della filologia, che fermò i Persiani tra le razze di lingua che si usa dire indo-europea, ma che in ragione del Patriarca dovrebbe dirsi Giapetica ; analogamente a quanto già si adottò per rispetto al ramo Semitico. Ancora un altro indovinello se ne chiarisce; un caso, fra gli accennati sopra, di frammenti che Poeti o Scrittori tolsero da sorgente più antica, senza pienamente intenderne il senso. Alludo a quel luogo di Servio che fu la tortura degli Eruditi. Ivi parla di Sabo progenitore de’ Sabini, e lo dice venuto in Italia dalla Persia per Lacedemone. Da Sparta in Italia il viaggio correva a meraviglia per chi voleva far venir dalla Grecia ogni ben di Dio, comprese tutte le origini. Ma la lontana Persia non poteva entrarci, ed essere la prima in ordine, se non da chi conosceva o copiava da antico conoscitore, il quale indicava V ordine degli stanziamenti così energicamente in tre parole; dalla Persia per Lacedemone all’ Italia. Ma lo stesso Servio, nello stesso luogo, sebbene con lezione guasta od oscura/e più chiaramente Silio Italico, poeta studiosissimo delle patrie antichità, risalgono più in su e sciolgono un indovinello anche più remoto , rammentando V italiana Casperia e facendone il riscontro colla omonima città della Battriana (*) ; onde , senza saperlo , riportano fino all' oriente del Caspio il primo nucleo ove si maturò ai futuri destini la stirpe Giapetica ». , ^ / - . i ‘ (*) Serv. ad Aeneid. Lib. vm, verso 638; Sabini... a Sabo qui de Perside pei' Lacedemonios transiens Italiam venit et, expulsis Sicul/s tenuit loca quae Sabini habent ; nam et partemi Persarum nomine Caspiros... apellari caepisse qui post Caspendi dicti sunt. E Silio Italico, Lib. vm: Bactri nomina ducens Ci-sperula. TAVOLA DI POLCEVERA (718 ) dopo il distacco dalle sorelle; e a quella stessa sede come la' più antica, accennano appunto i più freschi risuìtamenti de'Filologi. In somma vediamo partire tutta dall'Oriente Europeo’-Asia-tico questa lava immensa di popoli, che allagò 1’ Occidente. E all’Asia in ispecie, come madre comune deir Umanità, accennano le tradizioni di tutti i popoli, e dati storici, etnologici, linguistici d’ ogni genere. Né altro cammino può aver tenuto la stirpe anteriore, che dicemmo di lingua agglutinante; la quale, se lasciò all’ estremo occidente d’ Europa come una traccia, un segno di confine nel’Basco, ebbe però neir Oriente Asiatico la sua sede principale ed estesissima nei Sciti antichi, negli Unni, Uiguri e Tartari del medio evo; e sta tuttora a cavallo ai monti Urali come anello d’ unione tra Asia ed Europa. • Ma, se non é difficile posare questo ordito generale su cui tessere Y immensa tela e Y intreccio delle popolazioni europee, egli é per Y opposto difficilissimo, e in queste pagine impossibile, discendere a' singoli particolari. Noi non- assumeremo la impresa di svolgere partitamente l’invasione Giapetica; la quale dai secoli preistorici va durando fino ai nostri di, e mettendo d’epoca in epoca le moltiformi sue tribù sul davanti della scena. Così lo Slavo, il più giovane figlio di Giafet, guata tuttora con avido sguardo, s' ei possa un giorno ricrearsi a bell' agio nei giardini dei meriggio, e assidersi al lauto desco ove già si assisero i primogeniti, il Germanico e, prima del germanico, il Celtico e il Greco-Italico. Lascerò* dunque di considerare il come i Giapetici siensi divisi in queste nazioni che scesero a ponente, e in altre che pigliarono Y opposta via • del Levante ; e come nel frattempo siensi costituiti gruppi, di nuovo poi suddivisi, come il pelasgico (italo-greco) ; e se dai Pelasghi non possano supporsi originati i Peligni Italici, e dai Medi o Mari d’Èrcole i Marruvii, i Marrucini i Marsi. Ai quali ( 719 ) TAN OLÀ Dj POLCKV/îHA (mirando le sole apparenze) sembrerebbero .potersi unire anche j A[arici Liguri, eolie numerose omonimie locali Marengo, Marassi, Je Mcu'saglie olire alpina, olire appenniria e cis-ap-pennina; e il mitico Mar domatore di cavalli e Centauro, come è Centauro un altro dei compagni d’Èrcole. Senonché. questi nomi presentano maggiore probabilità di origine antipelasgica. Ha per noi maggiore importanza la quistione sulla origine degli Umbri. Sono dessi di stirpe celtica, progenie.s Celtorum, come li chiama Bocco? Od appartengono alla gente primitiva, come ..pensa Plinio, e più precisamente alla Ligure, come si ritrae da Plutarco? (*) 11 quale nel noto aneddoto nella Vita di Mario dice chiaramente : nomen suum intonabant Ambrones; Ligares suum 'cognomen ex adverso clamaverunt esse: ita enim LIGURES IPSI SE TOTIUS GENTIS VOCABULO NOMINANT. P1ÌDÌO e Plutarco, ben più credibili dell’oscuro Bocco, mi attirano nella loro sentenza; e, in quanto al r attribuire agli Umbri sangue pelasgico, vedemmo che la lingua delle loro iscrizioni non prova nulla. Ma sieno essi o no un ramo dei Liguri, pare ornai non cóntroverso, che gli Umbri innanzi alla venuta degli Etruschi largamente stanziassero a fianco dei Liguri o Siculo-Liguri ; dividendosi fra loro in certo modo il bacino del Po fino al Mediterraneo, gli.Umbri a settentrione,, gli- altri a meriggio. Pare che a queste due genti possano aggiungersi i Bruzii o Brezii e i Messapii della bassa Italia; antichissimi, come ognun sa, colle loro inscrizioni in lingua finora ignota; e che soggiogali dai Pelasghi Lucani non mai posarono fino alla riscossa. E qui di nuovo si offre alla mente un curioso (*) Plutarco in Mario, cap. xxix. 5. 6. Plin. xm. 19: Umbrorum gens antiquissima Italiae existimatur, ut quos Ombrios a Grecis putent dictos quod inundatione tertarum imbribus superfuissent. E Floro, i. 17: Umbri antiquissimus Italiae populus. TAVOLA DI POLCEVERA ( 720 ) riscontro storico-geografico. I Ire popoli Brezii, Liguri ed Ombri, considerati come occupanti per un tempo tra essi soli l'Italia, hanno analogia, per numero, affinità di nomi, e situazioni rispettive, coi tre popoli Bretcmni, Loegri, e Cimbri o Ilumbri dell’ isola d’Albione, di questo stesso nome di Albion che vedemmo aver più sorta di relazioni colla Liguria; e, come in Italia, così in queir Isola i Bretanni essendo alfestremo meriggio , venivano i Loegri nel mezzo e più a ponente, e i Cumbri al settentrione, dove lasciarono tuttavia lor tracce nel fiume Humber, nel Cumberland, nel Northumberland o Northumbria del medio evo. Lascio a Voi e agli Intendenti giudicare, se mi sia o no riuscito di afferrare, almeno a grandi tratti, la fisionomia storica di questi si oscuri periodi; e se io possa confidare d’ aver posto in pratica il metodo dal Balbo e da me tanto raccomandato: di integrare o connettere i fatti, piuttosto che eliminarne qualcuno; e di differenziare o gittare certi larghi . limiti, che pongano un freno al vagolare perpetuo delle congetture nelle parti essenziali ; lasciando alf avvenire la cura di ristringere sempre più i cerchii entro cui nuotano le quistioni secondarie. Io non oso credere d'avervi soddisfatto; ma, se le mie meditazioni non vi paiono inutili, continuatemi ancora per poco la vostra attenzione. Le tenebre già cosi fitte delle prime origini va a poco a poco diradando falba foriera d'un gran giorno. Agli stanziamenti di lingua turanica barbari ed * immemori succedono le immigrazioni giapetiche con orali tradizioni e ritmi ; e fra i Giapetici vanno segnalati primi per civiltà i Pelasghi, che passano in Grecia, in Tessaglia, Tracia, e pei mari Adriatico e Tirreno scendono ad occupare gran parte d; Italia; cacciandone o signoreggiando gli indigeni. Ma dalla Pelasgica vuol essere accuratamente distinta la stirpe Etrusco-Tirrenica (721 ) TAVOLA DI POLCEVERA che è posteriore e diversa per più rispetti. Gli Etruschi ci lasciarono nelle numerose inscrizioni una lingua tuttora incompresa, e che invano travagliansi i Filologi a ritrarre allo stipite Giapetico. E se i tentativi fatti da altri e di fresco dai chiarissimi Stickel e farquinj, per interpretarla col Semitico, non furono coronati dal successo, non è ancora questa una prova sufficiente per rifiutare il Semitismo degli Etruschi, da gravi Eruditi sostenuto. La fìsonomia di questa lingua arieggia molto più del Semitico ; al contrario delle iscrizioni umbre , osche, falische, le quali, per quanto non anco intese del tutto, si palesano evidentemente di lingua indo-europea. Oltrecché, se luce può venire all’ Etrusco da qualche parte, ciò può essere piuttosto da quelle lingue, che, come le Semitiche presentano ancora per se stesse delle oscurità; le quali, quando sieno meglio schiarite, se ne sveleranno anche nuovi rapporti colle lingue affini. Laddove lo studio delle Giapetiche é già molto più avanzato e poco meno che perfetto ; e tormentato come fu in tutti i versi e dai più chiari Filologi per farne riscontro all' Etrusco , avrebbe senza fallo dato qualche discreto risulta-mento , se ve ne fosse stata la possibilità. A questi indizii arroge la mancanza o parsimonia di vocali; 1’ uso (come tra i Semitici Licii) di aggiungere al nome proprio il materno invece del paterno, il quale invece si pone più comunemente tra gli altri popoli; arroge il tipo de' cranii etruschi, che, secondo recenti indagini deir Italiano Prof. Maggiorani, fu riconosciuto simile ai cranii semitici ’(*). Ancora: il genio sacerdotale etrusco rammenta le qualità speciali della razza di Sem, come gli augurii, e i numeri mistici religiosi o politici. L/ introduzione dell’ alfabeto in Europa si lega a tradizioni d’immigrazione Fenicia, (*) V. Gazzetta Piemontese 8 maggio 1862 : Rapporto del dott. Garbiglieli alla R. Accademia di Medicina sopra alcuni scrini di craniologia etnografica. 46 TAVOLA 1)1 POLCEVERA ( 722 ) dunque almeno in genere Semitica. Finalmente il veridico e ben- informato Erodoto fa discendere gli Etruschi dai Lidii dell Asia minore,-cioè da popoli vicini ai testé nominati Lidi, e ai Solimi ed altri molti, che stanziavano tra il Monte Tauro ed il mare; e sono ammessi come stirpe Semitica, almeno nella parte antica della popolazione. Gli Etruschi venuti in Italia vi trovarono i Liguri ed Umbri, e li sottomisero, ponendo le fondamenta-della prima Etruria, dalla Ligure Pisa fino al Tevere; e cacciarono parte dei vinti alle montagne vicine, che ritennero il patrio nome d' Ombria, piccol vestigio di grande fama; ma le traccie delie antiche sedi rimasero nei tuttora vivi nomi dei fiumi Ombrone (più • volte) Ambra, Zambra, ecc. I vincitori, sempre* più dilagando, altra Etruria fondarono nella Campania; altra intorno al Po, ove presero, agli Umbri non meno di trecento oppidi : e formarono , così le tre note confederazioni Etnische di dodici Lucomonie per ciascuna. Grande fu la loro potenza e mandò vivo lampo di gloria nelle cose maritime, ma il giorno della sventura sopravvenne. I Celti calano dalle Alpi e spazzano via Umbri ed Etruschi fino al Po ; costringendo parte di questi ultimi a rifugiarsi tra le gole delle Alpi lietiche, ove rimase per lungo tempo memoria di loro e tracce nella lingua. Altri Celti venuti dopo, trovando questi luoghi occupati dai fratelli, tragittano il Po e- s*insignoriscono di tutto il territorio da verso Piacenza fino all1 Adriatico ; lasciando tuttavia vivere quivi .le reliquie degli Umbri ed Etruschi, che vi si trovano ancora a tempi di Strabone, e che si tramandano in nomi tuttor vivi, come la testé dissepolta città d’ Umbria (') e oltre Po. 1 Ambro o Lambro, ecc. Ma il rimanente territorio dall’Appennino al Me- (*) V. la recente Relazione del chiarissimo Con4e Pallastrelli : La città d Umbria; Piacenza, 1864. (723 ) TAVOLA DI POLCEVERA -----------*_à-—:_________— (ìilerraneo rimane ostinatamente Ligustico e rimarrà perfino dopo le conquiste domine ,< al le cui armi i Liguri tenacemente contrastarono per ottórita* anni, e, quando pur dovettero cedere, serbarono a ogni -modo più pura la- stirpe nel paese nativo. Mentre succedevano le vittorie dei Celti nell’alta Italia, gli Etruschi erano sgominati anche nella Italia media sotto la generale rivolta dei popoli soggetti, vecchi e nuovi, Siculo-Liguri e Pelasghi, collegati dal comune odio contro i novissimi. La Etruria si ristringe allora, come già l’Umbria, come prima la Liguria; grandeggiano invece le popolazioni miste, Roma e i Sabini. La lotta inevitabile nello scontro di due potenti volge a vantaggio di Roma, ma questa per vincere è costretta a far concessioni; associando a se piuttosto che asservendo le altre città^ E da questi dolori sorge infine il sacro e venerando nome d’Italia, cinta della doppia co'rona civile e religiosa, come signora delle nazioni. Questo nome sorge propriamente dalle cime appennine, • presso al lago di Cotilia (oggi Contigliano nella Sabina), ove gli antichi posero il centro o 1’ ombelico della Penisola, e dove le creste montane s’ allargano per traverso fino a quel- picco maestoso che porta tuttora il nome di gran sasso d’Italia. Egli è sul ridetto ombelico che, secondo il mitico racconto, i Pelasghi erano pervenuti dalle bocche del Po, ed avean trovata sul lago 1' Isola fluttuante, predetta dalla fatidica Dodona, come riposo ai lunghi errori. Quivi dunque già due volte, e coi Pelasghi, e collo scioglimento della guerra sociale, si erano costituiti i nodi politici della futura grandezza d’Italia. Ivi in un raggio non molto esteso all’intorno s’affollano nomi e popoli, Sabini, Mar si, Marrucini, Peligni, Equi, Vestini, ecc., quasi compendio ed embrione di tutte le genti e lingue d’Italia; non altrimenti come le vedemmo affollarsi nel Caucaso e nella Battana, che sono nuclei di simili ma ben più vasti irraggiamenti. E questi nuclei più vasti e primitivi si collegano per mezzo di altri intermedii a TAVOLA DI POLCEVERA ( 72 i< ) quello di Cotilia. Perciocché i Pelasghi qui giunti erano partiti da Dodona che può dirsi il centro della gente Ilalo-greca, fìsico e politico e religioso , al cui oracolo ancora assai tardi chiedeva responsi la Italica Agilla e inviava doni dopo le vittorie. Ma, come l’Italia aveva il suo proprio ombelico , così quello della Grecia era Delfo, considerata come centro fisico, politico e religioso; ed infine fra la Javonia (Jonia) nuova e l’antica, ossia fra la gente Italo-Greca e 1’ Asiatica, era ombelico l’isola di Deio coronata dalle Cicladi e miticamente fluttuante nell’ Egeo, come P italica Cotilia nel piccolo lago. Tutti i quali ombelichi erano perciò luoghi di convegno per le consultazioni divine nelle pubbliche e private necessità, per le anfizionie e federazioni, e per mantener viva la memoria del sangue comune ; infine per la neutralità del territorio sacro, 1’ ospitalità , i commerci e i conventi giuridici. Erano insomma un imagine, anzi un modello deir agro compascuo da me discorso nella lettera precedente j solo diverso, in quanto questo collega poche tribù, quelli ran-^ nodano l’intera stirpe Italiana, o Greca, o Asiatica, o due di esse; o infine anche tutte insieme. Stabili ognun d'essi per rispetto ad ogni popolo e territorio aggregato, ma mobili l’uno verso l’altro, come seme da seme, o sistema da sistema , venivano imaginati dall’antica sapienza come fluttuanti misteriosamente, e tutti insieme simboleggiati nella favolosa Omphale (greco nome d’ ombelico), compagna d’ Ercole nel travaglioso cammino. V. Ma qui dove termina, anzi dove comincia, la Storia Giapetica, sottentrar deve la Storia Umana, e la sede prima del Padre di Giafet e de’ suoi fratelli. La quale si potrebbe ben definire l’ombelico della Terra, 1’agro pubblico dell’Umanità. E siccome in tutti siffatti agri od ombelichi il popolo credeva ad una spe- ( 725 ) TAVOLA DI POLCEVERA ciale presenza del suo Dio; cosi nella terra sacra per eccellenza, e nella vera religione, è ben ragionevole ammettere, anche allo infuori della rivelazione, che il vero Dio in modo specialissimo e soprannaturale conferisse coll’ uomo. Ed è altresì ragionevole ammettere che questa terra sacra sia quella stessa in cui si compierono i più augusti misteri, dalla Creazione alla Redenzione; terra che nei presenti rivolgimenti politici sembra chiamala a nuovi destini , se non anche a chiudere nel remoto avvenire la Storia colà dove ha cominciato. Onde io non posso, come si usa dai più, deridere i Comosgrafì del medio evo, i quali (invero per solo motivo di pietà non di scienza) stabilirono in Gerusalemme il centro o precisamente 1’ombelico della Terra, come anch’ essi lo chiamavano ; e trovo che, come dovettero cedere tutte le ere anche più illustri, ed essere ricevuta nella Storia e nella Cronologia I’ era dell’ Incarnazione , come centro d’ unità a cui guardino innanzi e indietro i secoli , non altrimenti dovrà forse col tempo riceversi in Geografia la Terra Santa come principio e fine delle longitudini ; per evitare le sempre crescenti varietà che la superbia e la rivalità delle metropoli in progresso già comincia ad introdurre. Non è da me il dire come la stirpe di Giafet siasi staccata dalle sorelle. Basti toccare che il progredir degli studi consente di sempre più semplificare 1’Antropologia, e fa già intravvedere la possibilità di ridurla a sole tre schiatte principali, appunto conforme al racconto biblico : il che posto, non saprei perchè si abbia ripugnanza a denominare Giapetiche, e Camitiche le altre due schiatte e lingue principali, mentre la terza tutti chiamano Semitica ; e mentre si confessa da tutti essere assai imperfette le denominazioni, che si preferiscono alla Giapetica., di lingue e schiatte Indo-Europee, Indo-Germaniche , Ariane e simili. È già provata senza ombra di dubbio l’unità di quest’ultima vastissima classe di lingue, che dall’ India e Persia corrono TAVOLA DI POLCEVERA ( 726 ) dominando quasi tutta Europa, come sovra notai , ed ornai dominano il mondo intero. L’ unità di tutte le lingue Semitiche è aneli’èssa da molto tempo riconosciuta senza contrasto. Rimane àncora a cercare l’unità Camitica; indi a classificare sottoTuna delle tre unità le lingue non ancora comprese , o quelle di cui non sono bene chiariti l’indole ed i caratteri essenziali. Ma anche sotto questo rispetto si vanno facendo grandi progressi ; e dille cose dette in addietro Voi ne potete intravvedere il modo. La più semplice di tutte, e come base di classificazione è la lingua Chinese, che vedemmo formata di puri elementi o monosillabi, senza organamento che li colleghi. Pigliando ad esame la lingua Basca, le finniche o turaniche ed altre moltissime . dell’ Asia, America ed Oceania, i Filologi riconobbero che in mezzo alla grandissima varietà loro risalta un carattere comune a tutte, che è il cosi detto glutine o cemento ; cioè la facoltà che possedono esse lingue di legare i monosillabi in maggiori composti, ma legarli imperfettamente, con poca efficacia e stabilità, donde furono dette agglutinanti; pel quale comune carattere poi esse tutte distinguons! di nuovo dalla grande classe delle inflettenti, dove.il legame è forte e stabile, e diventa flessione, secondo che già notai in addietro. E come aggiunsi, già intravedersi il modo onde ridurre ad unità di spiegazione le fin qui credute insuperabili di ver- * genze fra la classe Semitica e la G i apel i ca, - cosi si può sperare.con buon fondamento che lo studio delle lingue agglutinanti, che (si può dire) comincia ora, progredendo dimostri il vincolo,-non più solamente interno che le leghi fra sè, ma un vincolo esterno e superiore che le congiunga, per una parte alle inflettenti, per 1’ altra alla Chinese o monosillabiche ; di che infine si compia nell’ unità la piramide filologica. Alla schiatta di Cam o del figlio Cush i Dotti convengono di recare la civiltà antica Nembrotica, Egiziana, e Chinese coi loro geroglifìchi ; onde anche la lingua monosillabica apparterrebbe ( 727 ) TAVOLA DI POLCEVERA al ramo Camitico. Rimarrebbe ad indagare 1’ attacco delle lingue agglutinanti che, essendo intermedie tra la monosillabica e-le inflettenti , possono dalle une o dall’ altrq, es'serè figliate. E certo la quistione è difficilissima; essa è anche indifferente al dogma rivelato, che ammette e spiega la violenta confusione delle lingue; tuttavia è dato sperare,, che si nasconda ancora nell’interno delle lingue madri la traccia dell’unità prima e della rottura; che in tanta luce delle odierne discipline filologiche il nodo Si vada ormai avvicinando al suo scioglimento; e che, almeno idealmente se non col fatto, si possa dimostrare questa prima congiunzione, anzi unità. Ma anche il- fatto sembra quà e là confermare questa ideale possibilità del passaggio da una classe di lingue all’altra. 11 monosillabo che in China rifiuta ammogliarsi, lo si vede nel vicino Giappone sottostare ad un principio di coesione : mentre nello stesso Giappone e nella Corea comincia pure a svilupparsi iri sillaba il geroglifico Chinese ; e così anche nella scrittura, come nella lingua,, si fa il glutine. Quindi, come nella scrittura si è progredito di nuovo sviluppando la sillaba in parola intiera e stabilmente composta, così nulla v’ ha che osti a credere che anche nella lingua è possibile il trapasso graduato- dal glutine alla flessione, dal composto debole è instabile ad uno forte e fermo. E non mancano in vero indizi di cosiffatto pratico avvenimento, per esempio, nella lingua Turca; la quale, d’indole sua agglutinante , col lungo stanziare presso la civiltà Europea ha assunto un carattere che poco si scosta dall’ inflettente. Onde appare che la differenza; cardinale.fra le più volte ripetute tre grandi classi di lingue, si può risolvere in una differenza di soli gradi e non di essenza ; e perciò nulla ostare alla loro unificazione. Ma appare altresì che tali trapassi da. una gran classe all’altra, per essere effettuabili, richiedono anzi tutto il contatto di una maggiore civiltà. L’uomo della China tutto d’un pezzo nella lingua e nella scrittura, senza facoltà nò inflettiva ne cementatila , è TAVOLA DI POLCEVERA ( 728 ) anche tutto d’un’ pezzo nella Civiltà, antichissima ma infeconda; perchè isolato per secoli venne poi in contatto per altri secoli colle sole genti turaniche. Queste genti al contrario nella lingua vedemmo essere dotate di un grado più perfetto ; accoppiando e moltiplicando gli attacchi delle sillabe e 1’ inclusione delle idee accessorie nella principale, fino ad un numero straordinario che gli stessi Europei potrebbero invidiare : contuttociò non seppero giungere a stabile flessione. E, cosa mirabile ; le stesse condizioni, che nella lingua, si avverano nella storia di queste genti. I Turanici poterono riuscire non solo alla dominazione su altri popoli, sì agli sterminati imperi di Attila, Gengiskan, Tamerlano; pur non seppero rendere mai stabili questi imperi ; disfacendosi nei singoli elementi P immane aggregato, non appena mancava la forza che li teneva avvinti, senza dar loro organamento. E se gli Osmanli, misti di molto sangue giapetico, prolungarono di molti secoli la signoria ornai decrepita, appunto perciò, col quasi ordinarsi della loro civiltà al contatto Europeo, abbiamo ver duto quasi ordinarsi ed inflettersi la loro lingua ; senza però giungere all’intento, vuoi nell’uno o nell*altro rispetto, per manco di civiltà vera, che è la morale e religiosa (/f). Queste considerazioni ho voluto esporre sulle obbiezioni solite a farsi contro P unità filologica dell’ umana specie , perchè si possono acconciamente applicare anche a simili obbiezioni fatte contro la sua unità etnologica. Gli oppositori sostengono la originaria diversità delle razze umane, e la perpetuità dei tipi craniali e fisionomici : la quale perpetuità sembra tale davvero, se la si consideri negli Egizii, nei Chinesi, negli Israeliti, in tutti i . . • ì '* ‘ ■ “ . .p • ./ ‘.0 •-(*) V. Sulle lingue Turaniche, ed altre idee da me espresse nel testo^ il eh. Max-Miiller : Letture sulla scienza del linguaggio, tradotte recentemente dall’inglese. E, sebbene alquanto più antiche, si consulteranno sempre con fruito le dottissime Conferenze del rimpianto Cardinale Wiseman! sulla connessione delle scienze colla religione rivelata. < • ( 729 ) TAVOLA DI POLCEVEIÌA in somma que’ popoli che vissero isolati, o almeno senza nozze miste, per cagioni di tradizioni religiose, di politica o di situazione. Ma essa si smentisce in tutti quelli che cambiarono climi, costumi e contatti ; così i Celli e i Germani vennero, un popolo dopo l’altro, attraversando il settentrione, e durante la traversata rivestivano caratteri fisici somiglianti; ma il Celta, giunto il primo a meriggio, non somigliava più a stesso, ossia al Germano che stava ora a settentrione. Ad ogni modo tutta l’umana specie si mesce e genera insieme, senza ostacoli di tipi o popoli diversi; a differenza delle altre specie animali e vegetali, le quali, perchè realmente diverse fra loro di essenza, sono anche permanenti e di mistione infeconda. Quando adunque Lavater e Gali, T uno dalle fisionomie, 1’ altro dalle bozze cerebrali, arguiscono una differenza intellettuale e morale negli animi ; la loro dottrina (non però ancora dimostrata) non è per se stessa da rigettarsi ; purché si ammetta quei segni fisici essere effetto e non causa delle interne passioni, vizii e virtù. E siccome l’animo , col lasciarsi più spesso vincere dal vizio, acquista sempre più viziosa tendenza; e viceversa coll’ esercizio della virtù sempre più si rinforza e nobilita ; in simile maniera si può imaginare che nella stessa proporzione si sprofondino le linee del viso e si aggrandiscano le bozze del cranio, e le une e le altre con bella o brutta simmetria si compongano. Ma (che più importa al caso nostro) 1’ eredità paterna di ferocia o d’ignoranza dee sempre più rincrudire lo stampo fisico e morale degli avvenire, e renderli al tutto selvaggi, ove non sia consolata da tradizioni vive o rinfrescate dal contatto con genti più sane. 11 eh. Etnologo Morton, che pur vuole la perpetuità dei lipi diversi, cita un fatto che nel suo sistema non è spiegabile, nel nostro è chiarissimo. Secondo lui gli Europei ed i popoli civili in genere hanno il cranio di dimensione piuttosto piccola; laddove i Selvaggi (e gli Indiani specialmente) lo hanno di mole esagerata ; ma questo TAVOLA Di POLCEVERA ( 730 ) _ ' * fenomeno, colà sì generale, si trova tuttavia ripetuto nei cranii di quattro o cinque Inglesi che appartengono ad uno dei popoli più civili del mondo. Un altro eli. Scrittore (*), che propugna.il sistema del Morton, ha creduto sciogliere la difficoltà, osservando che questi pochi cranii d’Inglesi furono pigliati dalla feccia del popolo, c|ai ladri ed impiccati; mentre i cranii de’ Selvaggi esaminati sono a centinaia e di tutte le classi sociali. A meraviglia dico io; appunto ciò prova contro di voi. Se la vita d’ un solo individuo, o al più di poche generazioni intinte nel vizio, bastò a dare al cranio un assetto simile a quelli d’ una intera nazione selvaggia; tanto più dunque questa nazione selvaggia, benché generata da stipiti sani e ben proporzionati di corpo ed animo., può. nella sua vita di secoli, e pel difetto di virtù, e scienza, acquistare un assetto di degradazione morale e fisica che crescerà più; e anche diventerà permanente, :se non la .risani, un nuovo innesto. Per la soluzione definitiva di tali quistioni non è competente la Craniologia, la quale dovrà solo dare prù fatti che sia possibile; ma accanto alla scienza d’un igiene morale dèlie Nazioni dovrà sorgerne anche la Patologia; dove si esaminino gli effetti del vizio e della bruttezza dell! individuo sul corpo sociale , e la trasmissione ereditaria di questi effetti non rammendata da innesti o contatti ; la loro diagnosi , i sintomi, i■ rimedii, i danni sempre crescenti nel ritardo della cura; e come infine, ridotto il male agli estremi, le nazioni imbecilliscano o infunino, è muojano. Il vedere i più alti veri di una scienza particolare disciplinarsi e quasi confondersi, in una scienza superiore , reca sempre grande conforto all’ animo amareggiato dal troppo frequente cozzare e (*) Le idee di questo Scrittore, che è V illustre Carlo Cattaneo, e uu cenno sul sistema del Morton si possono leggere nel Giornale il Politecnico^ ann. 1862. Voi. xiv, pagina 333 e scg., specialmente pagina 3o0. (731 ) TAVOLA DI POLCEVERA sbizzarrirsi delle discipline speciali. Il perchè non si possono sentire senza dolore Filologi ed Etnologi autorevolissimi, i quali, dopo avere con profonde ed acute indagini saputo ridurre a pochissime le famiglie quasi innumerevoli delle lingue e razze ; dopo avere con ciò ottenuto un risultato, quale i dotti'più antichi* e forse essi medesimi non avrebbero, non che sperato, imaginato.; ad un tratto s’-impennano, dicendo che (dalla parte • che più importa) non si dee andar oltre , e appoggiano questa loro pretesa ad argomenti, che in sostanza si riducono a ciò solo: quel di più, a cui desiderate voi altri di giungere, non si è mai visto ; dunque non può essere. E per tal guisa tolgonsi da se medesimi la possibilità di ottenere quel premio che le loro onorate fatiche meritavano ; che è il vantaggio stesso della Scienza a cui consecrarono tutta la vita e sacrificarono tanti altri meno nobili piaceri, perfino la salute. Senonchè, anche lo sbizzarrire reca il rimedio con se. Difatti ecco sorgere, in altro ordine di discipline, Naturalisti non meno autorevoli, i quali non solo non credono che 1’ uomo sia stato in perpetuo Caucaseo, Mongollo, Egizio od’ Israelita ; ma asseriscono anzi che l’uomo cambiò in guisa che una volta non era nemmeno un. uomo, era una scimmia ; e alla scimmia era passato da precedenti gradi di animale meno perfetto, anzi cominciò dallo stato vegetale, anzi dal minerale; anzi dall’, uovo primitivo del mondo, ritornando cosi a’ tempi mitologici ; anzi ancora meno, dalla generazione spontanea, secondo -un nuovissimo sistema. Noi, niente affatto autorevoli in nessuna scienza, potremo tuttavia esprimere un desiderio. Considerando come una sola la famiglia umana, abbiamo anche 1’ abitudine di considerare tutti i Dotti come una sola Università mondiale, a cui domandare per la suddetta famiglia il pane dell’ intelletto. Finché ci si pongono innanzi preziose collezioni, musei , gabinetti ; finche ciascun • Professore colle proprie e profonde sue cognizioni va dispiegandoci questi tesori TAVOLA DI POLCEVERA ( 732 ) e rilevandone l’ordine, il bello, il buono che vi si contiene, noi non potremo sentire che vivo diletto per la scienza qualunque sia, e viva gratitudine per chi ce la impartisce. Ma quando si tratti dei principii generali delle cognizioni, ameremmo che i Professori di cose naturali non entrassero a trinciare in Metafisica, prima d’averla seriamente studiata; e ci pare per di più che i Professori d’ una scienza qualunque, prima di salire in cattedra, farebbero assai bene a dibattere in particolari conferenze tra loro quelle spinose quistioni, che hanno tratto alle relazioni fra 1’una e l’altra scienza speciale, e tra tutte le scienze prese insieme, ossia la Università. E, quando (come è molto probabile) essi Professori con tutta la dottrina e buona fede possibile non giungessero ad intendersi, volessero almeno dalla cattedra esporre le loro opinioni con quella modestia e dubitanza che giova e non pregiudica alla verità. Altramente operando ; fra tanta contraddizione di cose offerte una dopo l’altra , tutte vere , tutte provate con molto ingegno e con molta franchezza; a noi poveri studenti il Si e il No nel capo tenzona, e la libertà delle discussioni non altro genera che la libertà del sorriso ; il che è poco atto a ispirare il rispetto alla scienza e a chi la professa' Inoltre noi abbiamo ancora due Professori, ossia due crite-rii, che se non c’insegnano a capire direttamente e scientificamente queste cose, c’impediscono almeno dal traviare. Uno è il senso comune, che rifiuta *di ammettere assurdità le quali verrebbero come corollarii da certi sistemi, l'altro è la rivelazione religiosa, la quale essendo indubitatamente vera, devono essere con lei concordi tutti gli altri veri di qualunque ordine ; almeno finché resta in piedi il principio filosofico di contraddizione. Quindi, siccome un vero illumina 1’altro e, più é superiore, più giova ai sottordinati ; e, se universale, deve mostrare il suo vigore in tutti gli ordini e perfino nelle più minute relazioni; non capirò mai come si possa metter da t ( 733 ) TAVOLA DI POLCEVERA parle, anche come criterio indiretto, la rivelazione; quasi che il bendarsi. un occhio o tagliarsi una gamba fosse mezzo più sicuro per riuscire alla meta. E che esso abbia giovato veramente alla Linguistica e alla Storia, ne fornisce prova la stessa qualità e vastità delle quistioni a loro relative, poste dal Cristianesimo in poi, non monta se risolute a un modo o all'altro; la più parte delle quali non erano nate e nemmen sospettate nella Civiltà del Paganesimo. . Ed è appunto perchè giovano come cardine alla disquisizione delle origini Ligustiche, che ne toccai; e non già per isfoggio d'erudizione, assai facile co’ recenti sussidii delle biblioteche. Noi sappiamo che la stirpe di Cam dopo avere sfavillato di una grandiosa sì ma quasi sensuale civiltà in Babilonia e in Egitto, si fiaccò e fu dispersa. Cam divenne il servo de suoi fratelli; e i suoi più lontani nipoti, maledetti 0 spregiati, giganti o nani, jene o fanciulli perpetui, giacquero sotto le Giapetiche popolazioni, dall’India all'ultima Europa; o vagano abbrustoliti sotto il sole della Libia; o s'arretrano sempre più respinti in America. Al contrario i figli di Sem conservano fino dall'aurora de' secoli posdiluviani la loro provvidenziale posizione nel centro mondiale; mantengono 1 costumi primitivi e lo stato politico di tribù; protetti da una immensa striscia di deserto che tutta attraversa la Terra, dalla punta più occidentale africana fino all’Oriente estremo ; le quali condizioni fisiche ben rispondono a tale durata di costumi. Alle spalle di queste due stirpi, la stirpe di Giafet, dopo aver maturate le forze fisiche nei geli olire il Caucaso el’Indocush, si svolge come un immenso rotolo dall'Asia all'Europa e dall'Europa all'Universo ; e Giafet diventò il Signore de9 suoi fratelli come di nuovo predisse la Genesi. L’Europa geograficamente non è che un appendice dell'Asia, ma un’appendice necessaria a questo svolgimento Giapetico. Perchè attaccata al maggiore continente per breve istmo ; ricinta dai mari, attraversata nel centro dai grandi sistemi delle Alpi e dei Carpazi!, presta nello sviluppo storico queir uffizio che prestan nell’ ordine fisico le forze naturali. .Le quali, per durare in. moto costante, vogliono essere tenute sempre ineguali tra loro e disposte in certe condizioni d'isolamento a intervalli ; senza del che ne verrebbero tosto T equilibrio e il' riposo. Non altrimenti negli accennati svolgimenti stogici predomina alternatamente la forza, quando fìsica, quando intellettuale o morale ; i Celti, i Germani pel lento settentrione e pei monti ; gli Oceaniti, i Tirreni., i Pelasghi pel mezzodi e pel Mediterraneo, che.-fu ben detto il Lago della Civiltà, pei golfi, i frastagli e per le ampie penisole che.affrettano i commercii; e cosi in diverse condizioni etnologico-geografiche, ora rinfrancandosi i corpi snervati dal piacere, ora dirozzandosi gli animi grossolani e feroci; ora ristabilendosi il violato diritto della famiglia, ora ritemperandosene il crudo nelle più ampie sfere'della Società. Questa alternativa di forze, che baciansi compiendo il circolo e tosto srallontanano, 'durerà finché l'unità che apparve da principio non ricompaja. Iddio, che disse sanabili ie nazioni, può egli solo risanare i figli di Cam , e V Ebreo errante da diecinove secoli ricondurre al sospirato riposo nell'unico ovile, ove le • nazioni si sentono davvero, come sono, sorelle. Frattanto egli stesso, Iddio Benedetto; non 'solo ci trasmise i principii morali e storici , che fanno la salute delP intelletto-, m-a ci volle quasi compagni e testimoni ai singoli gradi del successivo sviluppo; lasciando per nostra istruzione indistrutta, coi primi elementi, anche una traccia, un saggio delle ricostituzioni loro nei varii ordini; onde si può*ben dire che i Cieli e la Terra attestano tutta la gloria, della Creazione, e in quanto allo spazio, e in quanto al tempo.. Ed é perciò, che nelle lingue cosi varie e sformate nai possiamo almeno intrav- ( 735 ) TAVOLA DI POLCEVERA vedere i caratteri della unica-e primitiva. Nella quale un giusto accento doveva ragguppare intorno alla idea principale le accessorie , come membra in un corpo sano, sottordinate sì ed •in graziose curve conformate, ma senza confonderle e distruggerle. Per tale guisa le forme.grammaticali consentivano alla' frase, al periodo la più ricca varietà di composizione, finezza e varietà di distinzioni nei modi, nei tempi ed in ogni altra relazione; delicatezza di suoni e di ritmo, insomma evidenza, efficacia, unità, armonia riunite. Delle quali doti vediamo i resti tuttora sparsi in diverse favelle specialmente antiche ; nel Sanscrito una delicatezza e varietà di consonanti, che noi non sappiamo più pronunziare e stentiamo ad intendere; nel Latino, e specialmente nel- Greco, le brevi e le lunghe, i varii piedi, Y arsi e la tesi, cioè,, come neHa Musica, la levata e la battuta; e nel Greco, come in più altre lingue, una varietà di conjugazioni e di declinazioni ; parte di cui giaceva già da più secoli nelle Grammatiche; come fossile, mal compresa da quegli stessi che ancora parlavano quel linguaggio. E i resti delle successive- formazioni possiamo anche riconoscere nei popoli, nonostante gli innumerevoli viluppi che vi recarono 1-e invasioni civili e barbariche. È perciò che sentiamo tuttora nel Basco dei Pirenei il suono d’una lingua tanto dissimile dalle Europee, e -di cui fa d’ uopo cercare sì da lontano il riscontro. Se il Celta ha .oggi smarrita del tutto la sua favella, già estesa in tutta la Francia; un secolo fa la si parlava ancora sul margine marittimo verso la Manica; e ancora oggi la si parla al di là del mare nel Gallese e in Irlanda. *11 Germanico tiene tuttavia più puro Y idioma nativo nell’ultima Islanda.. In Italia per converso la Civiltà era troppo vicina al suo fuoco, per tollerare de’resti orali; ma suppliscono le iscrizioni o almeno le tradizioni storiche. Anche qui dunque sui margini meridionali fra Y Appennino e il mare, .i Liguri TAVOLA DI POLCEVERA ( 73G ) conservano puro il nome e la stirpe, e la ormai indisputata precedenza in antichità; mentre le tracce ne restan pure più o meno languide nei nomi alpini e circumpadani. E resti dell'anti-chissimo Lazio sembrano giustamente al valentissimo Mommsen i Volsci, che furono dai nuovi venuti spinti in sù e adossati alla montuosa striscia che guarda il Mare Latino. E resti, come dissi in addietro, giudico i Brezii e i Messapii, che sporgono sulla estrema punta della Penisola e furono fatti schiavi dai Lucani. E se gli Umbri e gli Etruschi o Raseni succedendosi a vicenda invadevano le pianure e i colli vitiferi, a vicenda respinti si addensarono, gli uni nella piccola e montuosa Umbria, gli altri frale Alpi Retiche o Rasene come vedemmo; e lasciarono nei nomi, o antichi o ristretti? perenne ricordanza delle sofferte sciagure. Era forse oscuro presentimento di tale destino, che ispirava ai Bardi Celtici la credenza nella immortalità della loro Nazione? Immortalità però cantata sulle arpe malinconiche, come eco d'una voce che ripete le antiche glorie senza poterle ravvivare. O é forse presentimento del vicino ritorno all' unità quello affaccendarsi degli Eruditi a indagare nei loro fonti tutte le lingue? E lo affaccendarsi di tutti i popoli a porre i lor dialetti alle stampe, raccoglierli in Dizionarii, in Grammatiche; quando appunto stanno per affogarsi nel mare delle lingue, e le lingue stesse vanno scambiandosi e accomunando frasi e parole colla mirabile rapidità onde oggi tutto s' affretta? 0 ne è indizio la smania onde si rovistano le più minute memorie di campanile? Quando le nazioni si agitano convulse e ogni di più scompajono le diversità sociali; come se ogni stirpe, ogni popolo, ogni famiglia si sentissero chiamati a deporre il proprio bilancio? (*). (*) La conservazione delle tracce della antica unità, che vedemmo palesarsi attraverso al lungo e faticoso passaggio dei popoli e delle loro lingue e grammatiche, si riscontra egualmente nelle fasi diverse della scrittura. Giù notai che il gero- ( 737 ) TAVOLA DI POLCEVERA Condizione - adunque necessaria per la Filologia e la Storia d' un popolo è il diligente e compiuto studio dei singoli fatti; ma condizione ancora più necessaria per la intelligenza di questi fatti si é il non distaccarli dalla loro base. Cosi in ogni ordine d’idee fisiche, intellettuali, sociali, duopo è ritrarsi a quando a quando ai principii, come con profonda’e‘felice frase disse Macchiavelli. Non altrimenti la selva secolare, la montagna, il fonte romito, apparentemente inutili alla lontana Città, ne sono invece 1’ elemento più vitale. Colle spalle (ora ahi! troppo » • glitico chinese, sebbene passi nel Giappone a rappresentare una pura sillaba, lascia ancora tanta traccia da riconoscere il suo stalo antecedente, quando esprimeva un’intera parola. Vedemmo altresì la sillaba sciogliersi in alfabeto, pur serbando nel riscontro delle diverse lingue la sua antica fisonomia essenziale. In tutte le lingue i segni alfabetici si possono ridurre a numero minore, col sempre più rimontare verso. P antichità ; facendosi scala delle tracce tuttora conservale negli scritti o monumenti. Così il Sanscrito ci apprende che le vocali e, o non esistono per se stesse, perciò non hanno un segno particolare che le rappresenti ; ma sono un prodotto più recente, una contrazione dei dittonghi ai, au; del quale.fenomeno vediamo pure lo traccia nella pronunzia francese e genovese; Cmnaìn, Cremen. Lo stesso Sanscrito ha bensì Un segno speciale per le altre due vocali i, li, ma questo-segno si pone (all’uso semitico) o sopra o sotto, non entro il corpo della parola; il che significa, che è un aggiunto, una introduzione posteriore ed accessoria; la-sola vocale a si considera, nella lingua predetta, come essenziale e naturalmente implicata nelle consonarci, ed è anche la più frequente nelle radicali; come difalti chiunque? pronunziandola^ si capacita che questa vocale a è la più piena nel sùono e la più regolare; di cui le altre tutte non sono Che o un indebolimento, o uno sforzo, graduato e circolare, prodotto dalla varietà e dal peso degli accenti, come notai nel testo. Passando alle consonanti; anche qui gli alfabeti e le scritture diverse ci chiariscono del come una stessa consonante generò, tramutossi, si oscurò, ricomparve, dal-1’ una all’altra lingua *o dialetto; pur lasciando tracce e, direi, fossili archeologici a mostrarcene Io stato antico e gli intermedii. Così la f (digamma), se già fin dai tempi classici era sbandita dalla favella Greca come segno alfabetico, rimase tuttavia, come segno di numerazione, ad indicare col suo valore di 6 il sesto posto che già le competeva nell’ alfabeto ; il quale posto ò conforme a quello delle altre lingue- ove la f tuttora si conserva. La stessa consonante si scambia colla v, 47 • TAVOLA DI POLCEVERA ( 738 ) nude) le disviano i venti e la grandine , e la dissetano con freschi e perpetui umori; é loro opera il delizioso tappeto che intorno Je si stende di fiori e frutta, e r aere puro che caccia la minacciosa mefiti. E volge al monte il Cittadino che chiede ristoro a 11’ affranta salute, o slanco dei rumori anela gli arcani colloquii del cuore ; e trova spesso ne' rozzi casolari il vergine senso, il maschio pensiero, la lingua e il dialetto più puri; e il Filosofo vi ravvisa quelle giovani generazioni che scendono man mano, come i suoi rivi e il suo aere, a rinsanguinare la Città affralita dai piaceri. • • a lei tanto alfine, neU’Ebraico e in altre lingue (e, nella pronunzia, anche coll’antico digamma greco suddetto) ; egli è perciò che nell’alfabeto ebraico allo stesso sesto posto si sostituisce la v. La n anticamente si scambiava colla l, e come segno di numerazione (=50), e come segno alfabetico, e come pronunzia: donde s’identificano il enatus o gnatus latino, e il Jcincl germanico col child inglese, il clan scozzese e il densi etrusco. La d e la r si permutavano reciprocamente tra popoli, e tra dialetti dello stesso popolo; gli Oschi usavano il segno r, ma lo pronunziavano d; viceversa gli Umbri scrivevano d pronunziando r; gli antichi Latini dicevano indifferentemente meridies e medidies, advorsum e arvor-sum; come i Toscani ferire e fedire, e come vedemmo mutarsi breda in brera e Medi in Mari. Gli stessi Latini scambiarono il c nell’affine g, divenendo gneus e gnatus quel che per 1’ addietro si scriveva cneus e cnatus; in conseguenza del quale scambio avvenne una trasposizione nell’ordine dell’alfabeto; al terzo posto, ove i Greci e gli Ebrei ponevano la g, rimase presso i Romani la c; e diventò superfluo ed inutile il latino k (la c primitiva). Ma dove si rifugiò dunque la g cacciata dal suo posto dalla lettera affine? Ella si rifugiò al settimo posto, cacciando di colà la z greca e sopprimendola ; e la potè vincere e sostituire appunto, perchè lesi assomiglia nel suono; onde l’una scambiasi sovente coll’altra nelle lingue e nei dialetti; come noi diciamo Zena (forse il nome vero e primitivo, e non raro nei nomi locali italiani) per Genova, zenuggio per ginocchio, e simili. Altre lettere, cambiando suono, conservano tuttavia 1’ antica forma, almeno in parte; cioè con una piccola modificazione nel segno, che corrisponde alla modificazione avvenuta nella pronunzia; per es., la c assume la cedilla in Sanscrito, come nel nostro dialetto, quando viene a pronunziarsi come una s; Çesao per Cesare; donde il criterio per ritrarre tanti nomi analoghi ad un tipo anteriore. Così Va dicendo di altre molte modificazioni e passaggi, che involgono in sè la stessa ragione ed uffizio. ( 739 ) TAVOLA DI POLCEVERA Chiuderò con esempi, tratti dalle scienze naturali, il ragionamento già forse troppo lungo e per Voi e per qualunque, anche più indulgente, lettore. Ma il parallelo tra la Linguistica e la Geognosia è cosi calzante, clic non posso difendermi dall’ accennarlo a brevi tocchi. Nella gran mole del Globo terracqueo vediamo conservate tuttora (come dicemmo nella Linguistica) le tracce successive delle evoluzioni della materia. I graniti primitivi, come Tunica lingua, giacerebbero inaccessibili sotto le parecchie stratificazioni ; senonché li palesano gli alti margini marittimi e le fonde caverne, e le eruzioni vulcaniche che rompendo la crosta alzarono i monti. Tanto più i terreni secondarii e terziarii riescirono a trapelare alla superfìcie, mostrando quà e là i loro filoni. Una eguale composizione d’ elementi , una analoga direzione ed inclinazione tradiscono la loro (direi quasi) consanguinità ; come la famiglia nelle lingue si scopre per via del loro simmetrico sviluppo. Alla potenza del fuoco alterna quella deir acqua ; e quà benigni sedimenti consolidano e fecondano il suolo, preparandolo alla vita organica , simili al tranquillo attecchire della popolazione e della civiltà; colà violenti trasporti e corrosioni creano i ciottoli e i conglomerati , che rammentano i trasporti egualmente violenti e lontani in Linguistica ; ciò sono i nomi di paesi, parole e frasi di lingua o dialetto che rimangono isolate in mezzo ad una generale fisonomia diversa, e non pervennero quivi per naturale irraggiamento , ma accidentalmente, sporadicamente ; accennando aver origine da quella parte della terra, ove si trova la fisonomia generale analoga a que’ nomi isolati; come i ciottoli accennano al lontano filone omogeneo. Saltiamo ora dal massimo cosmos al minimo. I quattro, già così detti, elementi della natura sfasciaronsi ogni dì più, e oggi il loro numero moltiplicò fino a sessantacinque; sembrando così dare una conferma al materialistico sistema del caso o del capriccio. TAVOLA DI POLCEVERA ( 740 ) Ma ecco il sorriso, che spunta beffardo, è costretto a morire in un atto d' ammirazione. V idrogeno, che è il più leggero di questi sessantacinque nuovi semplici, si scopre essere l'unità, che, moltiplicata più.e più volte in numeri rotondi- diventa ogni volta Y equivalente d’uno degli altri semplici; e cosi li .può rappresentar tutti con poche forinole semplicissime, e diverse soltanto pel numero delle volte moltiplicato per se stesso. Cresce 1’ ammirazione, scoprendo che una spostazione di molecole dello stesso corpo semplice, senza ajuto d’altri, basta a dare a quel corpo le più svariate, anzi contrarie, qualità: luce e tenebre, medicina e veleno, diamante e carbone. E all' unificazione della materia si accompagna 1’ unificazione della sua forza motrice ; giacché non più ormai si dee- parlare dei quattro già famosi impondera bili, ma del solo fenomeno del moto che tutti li rappresenta e ne compie a vicenda gli uffizi; onde si trova che la luce e il calore magnetizzano, il magnete e il calore elettrizzano, 1’ e-lettrico illumina e scalda; tutti poi vanno sempre più conformandosi in leggi generali di ondulazioni, dyirraggiamenti, deviazioni , polarizzazioni ; in una parola di leggi meccaniche, esprimibili con formole d'alto calcolo e di maravigliosa eleganza e comprensione. Cosi anche qui ciò, che pareva contraddizione, svanisce; i raggi della verità, scontrandosi per una legge (come a dire) d’interferenza, sembravano, dove muti di luce, dove raddoppiati di brio; -rifratti attraverso al prisma eransi sminuzzati negli infiniti digradamenti dell’ iride ; ma ecco che fatti convergere nel concavo specchio rivestono la nativa verginale bianchezza. Il Filosofo, fatto signore della Natura, ravvicina le di lei molecole al crepito elettrico e ne ridesta le dormenti simpatie; di che esse, vincendo gli influssi estranei, traboccano in forme calde e risentite, o dispongonsi in limpidi cristalli, in curve, ordinate e sottordinate di non mai vista armonia. Allora al fremito ( 741 ) TAVOLA DI POLCEVERA della materia risponde il fremito deir ànima; alla generazione degli enti la generazione delle idee. Tuttavia, dopo aver disciolte nell’ unità tante apparenti contraddizioni, non si lascia quel Filosofo trascorrere oltre al giusto punto in cui esiste la vera contraddizione. Ma, rifiutata la dottrina panteistica, distingue ancora nel finito le diverse essenze e nella medesima essenza le diverse sostanze; e raccogliendo il frutto delle sue meditazioni esclama con gioja: una. Natura a servizio d'una Umanità; una Umanità a servizio di un Dio! VI. Ma basti : che la immaginazione si smarrisce, affranta sotto la grave soma* di questi-pensieri. A me che trascorsi la vita migliore , per capriccio di fortuna, dalla solitudine non consolata di dotti colloquii sbattuto ad ingrato frastuono e al supplizio di Tantalo; a me fia compenso bastevole, se a salti e per dirupi, più indovinando che vedendo la giusta via, e non senza tracce sanguinose sulla persona, possa pur giungere a qualche altura ; donde pascere lo sguardo lungamente bramoso sulla terra a più' felici proméssa.' E di là volto ai Colleghi, cui ride’ aprile degli anni, ricchezza d’ozio o di censo, dir loro: Salite, cari Concittadini, non vi arretri l’erta faticosa e Y orridezza che sulle prime vi attraversa il cammino ; essa è necessaria per infondere alle facoltà mentali il vigore, come alle corporali Y esercizio fisico. Perocché anche in tutto T ordine di natura si avvera che Iddio é geloso de’ suoi doni ; solo i violenti glieli rapiscono. Ed or che mi avete raggiunto ; vedete voi, quale magnifica scena vi si apre allo sguardo , quale caldezza di luce, freschezza d’ ombre e d’ acque , copia di fion e frutta, che vi ricerca nell’ intimo dell’ a-nima e ne incatena gli affetti? Vedete quella messe che bion- TAVOLA DI POLCEVERA ( 742 ) _;___4_______ deggia, mollemente cullata al vento, quasi inviti ad accoglierla nelle vostre braccia? Chi coltivò primo questo giardino? Tempo già fu che desso era irto di triboli ed infame per disastri ; quando Italiani lo dironcarono, e mesti spargevano i semi pel solco solitario, senza speranza di vederne il germoglio. Ed ecco, presso airora del raccolto, accorrere in frotta gli stranieri e sudare a grandi gocciole; mentre gli Italiani meriggiano in dolce far niente, paghi di mendicare dagli altri il pane a tozzi, di seconda e di terza mano, e infetto non raro di sostanze velenose (*). Non crediate a chi vi distogliesse da questi studi, croi pretesto che r Italia ci chiama alla vita politica e non a pedanterie. Certo di pedanti non fu mai avara la Natura in ogni maniera di discipline; e, se si trattasse di scegliere tra pedanti e pedanti, preferirei sempre i pedanti deir erudizione a quelli della politica; ché i primi sono soggetto di riso innocente, i secondi possono fruttare alle generazioni lagrime e sangue. Ma, ben lungi dair essere pedantesco, lo studio del passato ne’ suoi più minuti particolari, sono anzi questi che ci rendono viva, più che scolpita la fisonomia della Storia; sono un mezzo essenziale a ben capire il presente e ben guidare i futuri destini della Nazione. Tanto più, in un'epoca, come la nostra, di grandi commozioni e ricostruzioni politiche, importa ben rilevare le .conseguenze sperate o temute, facendone parallelo colla vita intima delle età analoghe precedenti. Così per mezzo, non delle grandi storie, ma delle erudite monografie, vedo e perfettamente comprendo Sparta che vuol rendere stereotipa la forma deir antica società, impedendole ogni progresso, ogni svincolo nella famiglia e nella proprietà, come nella città. Vedo (*) S’intende che parlo in genere, e so che non mancano nemmeno oggidì illustri Italiani che seguitano le orme degli antichi; ma sono troppo pochi e troppo scarsi de’ sussidii neccssarii. ( 743 ) TAVOLA DI POLCEVERA Atene per converso, troppo dimentica delle antiche basi sociali, lasciar libero il corso alla demagogia, che per una scala necessaria conduce alle discordie, alla tirannide, alla rovina. E tosto mi ricorrono al pensiero i pericoli tuttora vivi dei due sistemi contrarii politici, della resistenza e dell’ irrefrenato movimento. Poi, quando vedo nella Roma imperiale la famiglia e il Comune soffocati sotto il più aggravante dispotismo, che milioni di braccia vuole meccanicamente dirigere sotto un solo capo ed un sol cuore, io raccapriccio pensando a’ guai terribili che arrecò lo intacco di que' due cardini sociali, e ai rimedii altrettanto terribili che dovette la Provvidenza adoperare pel ristoro della vita disperata della Società. Infine a quelli che accusassero i nostri studi di prosaici, di spogli d’ogni lampo di bello e di poesia, rispondete coll'invito a gustarli più addentro. Nulla di più vago, di più drammatico che la Storia, incarnata allo studio profondo delle antichità. Nelle parti anche più secondarie della Filologia. ed Archeologia, la scoperta d’ ogni vero ignoto è compenso indicibile a lunghe aridità e fatiche; non raro (come in Fisica) un fenomeno, in apparenza di piccol valore, diviene al lume della critica la chiave d'un sistema, la formola ove ritrovano centro e vita i dispersi rottami della verità. Ad ogni modo, il solo viaggiare per sentieri non anco battuti, queir arcano presentimento del vero che si sta scoprendo, gli errori stessi aizzano lo studio, e gli infondono uno zelo , un ardore che procaccia ad ogni disciplina non solo i suoi fautori, ma e i suoi martiri. Walter Scott trova la miglior vena de* suoi Romanzi nello studio delle più minute patrie antichità; e i Greci, finissimi conoscitori del bello , collocarono fra le nove sorelle Polinnia la Musa della Storia. Poeti furono invero i primi Storici, i primi Archeologi e Filologi, dalla cui miniera inesausta cavansi ognidì sempre nuovi tesori e più viva l’intelligenza della an- TAVOLA DI POLCEVERA ( 744 ) fica età. E grandi appunto essi furono, per aver saputo accoppiare alla fervida immaginativa e al senso squisito del bello 10 studio accuratissimo dei fonti delle cose e delle cognizioni. Perciò fu inarrivabile il Poeta, che coir ira d’Achille cantò i primi albori della Greca civiltà, le sue genti, i suoi costumi; consegnando a ritmo non perituro la labile tradizione. Fu sommo il soave Cantore d'Enea, che sulla laboriosa fondazione della Gente Romana raccolse pietosamente i resti preziosi delle nazionali antichità. L'Italia risorta gloriossi del Poema sacro, che descrisse fondo all' universo ; ma il Vate studiò anzitutto a trasmetterci le cognizioni, i luoghi e le persone de' suoi tempi, imprimendole di un marchio potente, che tuttor vive le rende .al pensiero dopo tanto correr di secoli.- Sul chiudere del medio un altro Cavaliere Italiano cantò con nobili versi la liberazione del gran Sepolcro, impresa invano derisa e che agitei à 1 a\-venire della Società; e anch' egli, il Tasso, si era di lunga lena preparato con istudi filosofici, storici e geografici. Alle quali epo pee, se aggiungansi le ardite, eppur profonde, speculazioni del l'Inglese che narrò i primi eventi della Creazione, e del Tedesco che cantò l'Augusto Mistero della Redenzione, avremo abbozzato 11 ciclo dell'umana Storia nell’ordine del tempo; finché 1 Angelo del futuro secolo, sul 1' arpa a corde d' oro, compia quello che uom non potrebbe ; raddirizzi tutti gli errori, sciolga tutti i nodi e gli episodii nell’unica azione, il mezzo rannodi col principio e col fine; tutta, verità sia tutta bellezza; tutta la Storia sia la più perfetta,- la più incantevole, la- più augusta e santa Poesia. . Abbiatemi sempre per Vostro affezionato e sincero estima tore ed Amico. ADDITAMENTI E INDICI ADDITAMENTI i. Quando il presente volume era già quasi compiuto, il nostro infaticabile e benemerito Socio Sig. A. Wolf mi trasmise la seguente iscrizione , che non voglio trascurar di pubblicare ; e son persuaso che i nostri lettori riconosceranno che é meglio tardi che mai. MATRONIS CIRIBIVS NEPOS YSLM Il luogo , ove il Sig. Wolf 1’ ha veduta, é la Parrocchia di Roccaforte, villa detta delle Chiappelle, Mandamento di Rocchetta Ligure. Era stata trovata in un terreno detto Campo del Re nelFanno 1822. « È di pietra calcare de’ luoghi, egli dice, e la mancanza di indizii di cancellature e di altri guasti fa credere che Y iscrizione, tale quale è, sia completa ». Al leg- ADDITAMENTI ( 748 ) gerla come è qui riprodotta, non si capirebbe la ragione di questo preambolo del Sig. Wolf ; perciò fa d’ uopo sapere che io 1’ ho sottoposta ad un’ operazione medica ( e credo non arbitraria ) onde potesse far la sua figura al cospetto del pubblico. Ecco ciò che egli soggiunge: « Quanto alla terza lettera della prima riga lo scrivente la trascrisse quanto più fedelmente poteva, essendo incerto se essa rappresenti una I o una L o una E monca ». Questa dubbietà dello scrupoloso copiatore lasciandomi una certa libertà di scegliere ciò che il senso richiede , io sono entrato con risolutezza ad escludere tutte e tre le lettere proposte , adottando invece il T che ha colle predette la massima analogia di forme. Questo solo scioglie ogni difficoltà facendo uscir netto e chiaro il concetto, mentre colle altre lettere sarebbe vano tentarlo. Si sa (e nè abbiamo avuto un esempio al n.° Î36) che Matronae e Matres presso i Galli e i Germani equivalevano a quelle domestiche Divinità, che erano presso i Romani le Giunoni, i Lari, i Penati, i Genii. A queste Madri e• Matrone dedicavano i loro voti o chiamandole assolutaménte così, o dando loro qualche topico epiteto, come nella citata di Ceme-nelo matronis vEDiANTiBUs, o vEDANTiABvs, come legge 1 Orelli (2093), MATRONIS GABIABVS (Or. 2083), MATRIBVS QUADRVBVRG (Or. 2090), ecc. In questa nostra, come si vede, è assoluto. Tale è quella di Pallanza riportata dall' Orelli (4902) matronis SACRVM PRO SALVTE CAESARIS AVGVSTI GERMANICI eCC. E quest' altra : SECVNDVS RV FIANVS PRO NATIS SVIS V • s • % • M. (Grut. 1016. S). ( 749 ) ADDITAMENTI E si trovano anche unitp le Matrone alla Giunoni, come in questa : MATRONIS IVNONIBVS VALERIVS BARONIS F. V • S * L • M. (Murat. 93. 4). * + Cosi si trovano unite le Matrone coi Genii : matronis et GENIIS AVSVCIATIVM , eCC. (Orel. 4903;. Non faceva certamente bisogno di tanti esempli, ma ho ri portato due iscrizioni intiere perchè ne risultasse la facoltà e il modo di rettificare le ultime sigle. La penultima manca della lineetta traversale alia parte inferiore per farne un l. Tanti volte abbiamo avuto occasione d’ osservare che in tempo del 1’ Impero avanzato , queste linee traversali si facevano così bie\i che ora facilmente sfuggono all'-occhio dell osservatore, tanto più in quei sassi su cui il tempo ha più usato del mio po tere ; mentre una scanalatura qualunque prodotta da coriosione o altre cause estrinseche, fanno apparire di tali linee do\e non sono. I lettori ne hanno una prova nella tei za lettera della prima parola di questa iscrizione: Dunque la penultima lettela sia l non i. Quanto all’ultima che si può dire? Come 1 ha letta il Sig. Wolf è un n; ma, siccome qui è assolutamente necessaria un m, perciò fa d' uopo supporre una di queste due cose : o 1’ incisore ha sbagliato facendo un' asta di meno alla lettera, o i secoli 1’ hanno obliterata senza che u Ja^ inasto traccia e indizio di cancellatura, come osserva il big. ' Wolf. Ma qui si vuole assolutamente riconoscere la nota or-mola votiva Votam Solvit Libens Merito. ADDITAMENTI ( 750 ) II. Quantunque il mio compito si ristringa alle Lapidi Romane della Liguria, non credo che mi si vorrà ascrivere a colpa se qui, fuori del corpo delle Latine , ne registro un pajo di Greche per la buona ragione che esistono in paese. In questo modo resteranno congiunte alle loro sorelle, e quantunque gli originali non corrano alcun rischio , essendo entrambi in troppo buone mani ; si assicura con ciò il destino delle due leggende per ogni tempo a venire. Oltre a questo potranno giungere a cognizione dei dotti: da che osservo che non furono note al Boeckh e ai suoi continuatori, e non entrarono (per quanto posso contare sulle mie indagini) in quella grande e magnifica Collezione. La prima, che non solo è Greca per lingua, ma anche per soggetto, è incrostata nell' atrio del palazzo del Sig. Barone Baratta in Rapallo. Non a caso ho detto che è in buone mani, giacché ognuno conosce la squisita coltura di questo Signore e il singolare suo amore per tutto ciò che al bello si riferisce. L’iscrizione é incisa in un marmo su cui é scolpita in basso rilievo la figura di un vecchio barbuto seduto in terra, che appoggia il capo sulla mano sinistra , mentre coir altra porge un vaso o lo riceve da una donna , seduta anch; essa, che stende verso di lui la mano sinistra. Dietro il vecchio si vede un giovane che ha 1’ aria di un servo, e questa figura è condotta in parte sulla cornice del basso rilievo, lo non ho veduto il monumento, ed é forza che mi riferisca alla descrizione che me ( 751 ) ADDITAMENTI ne fu fatta. Così la lezione che presento dell' Epigrafe , mi fu assicurato essere stata esattissimamente ritratta dall’ originale. MANH2KEPAMET expo n am anoxs/tynn / I caratteri della seconda riga sono alquanto più piccoli di quelli della prima , e le parole , come é stile dell’ antica Epigrafìa Greca, sono scritte senza intervalli fra loro. Nella prima riga se ne distinguono due , nella seconda tre , e se eccettuiamo la prima parola, tutte le altre presentano qualche incongruenza, che non dubito ascrivere all’ imperizia o sbadataggine del mar-morajo. In primo luogo all’ ultima della prima riga manca la 2 finale , richiedendosi qui il caso nominativo , non il vocativo, come sarebbe allo stato in cui si vede. Nella seconda riga la prima parola, per ridurla ad un nome assai noto, dovrebb' essere ETPnnH ; ma trattandosi di nomi proprii, che ammettono le più strane variazioni , possiamo supporlo colla seconda breve e coll’ * finale cambiata per dialetto Dorico in La seconda voce , che sembra dover esprimere il padre di questa donna, dev’ esser genitivo , e ad aver la desinenza di questo caso, manca di un 0 tra % e ç. D’ altra parte è regola elementare che queste due lettere non si trovano mai esplicite dappresso, perchè quando s’incontrano, si fondono nella doppia Qui pertanto fa cY uopo legger MAN0X02. L’ ultima parola finalmente , che esprime la relazione conjugale di costei con Manete, è evidentemente errata nella finale. FTNH significa donna e moglie, rrNN non esiste in tutta la lingua Greca né come parola intiera , nè allo stato di troncamento o abbreviazione. La conseguenza perciò è chiara. Tra la n e 1’ n vi è tale analogia di figura , che Io scambio dell’ una colf altra é facilissimo. Di questi errori, come pure della soppressione di qual- ADDITAMENTI ( -752 ) che lettera nel mezzo o nella fine delle parole ,' sono p.iene le iscrizioni Greche. Pertanto., a lasciar intatto il nome della femina, il resto vorrebbe essere riformato così : MANH2 KEPAMETS EYPOI7A MAN0XÓ2 TTNH MoiVtlÇ X£ pXflS'jç EvpÓ7TU MÔiVO^OÇ yvvii Manes figulus Europa ManocMs (f) uxor. Ho tradotto seepa/Mus per figulus, ma noto che potrebbe perfettamente tradursi per Cerameus, cittadino di Ceramo. I Greci al nome personale faceano succedere come diacritico il nome del padre e spessissimo quello della patria, specialmente se si trovavano fuori del luogo natio. L’Attica è piena d’iscrizioni di stranieri al paese, dei quali è notata la provenienza. Valgano, a mostra degli altri , questi due esempii. (PIA0XAPH2 AIOAilFOS «MAONIAOT ©EOAilPOT KHMEIEY2 IiCAPIEYS. ilìneckh, 0(35). iUL 646)' Ne aggiungerò ancora uno, che ci avvicina più al noslio argomento : BEP.fì. EProxAPors • ËKKEPAMEftN \ ( 753 ) ADDITAMENTI Chi è che prenderebbe questo £X xapoLpéco* per indicazione di mestiere? Questa Bero , figlia di Ergocare si manifesta dei Ce-rarnesi ; la qual maniera ha molti altri riscontri. Ne addurrò ancora un esempio: MYPINH©EOA.ftPOYEKKEPAMEfìN@TrATHP nOATKPATOYEKKEPAMEflNrTNH (Murat. 1037. 8'. Ho scelto questa del Muratori non solo perchè offre la medesima qualificazione della precedente, ma anche perché mi porge occasione di muovere un dubbio sopra una nota illustrativa che il celebre Archeologo vi appone. Dopo di aver tradotto Theodori Ceramei e Polycratis Ceramei soggiunge: Ceramum Cariae urbem heic habes, Straboni et aliis veteribus memoratum. Per dire che Teodoro era di Ceramo, si sarebbe dovuto trovare Qeoìòpov KepoLpécog. Lo stesso dicasi di Policrate. Ma qui si vede una formola diversa. Si sa che in Atene era un quartiere detto K^a^xóv, e che gli abitanti di questo si chiamavano K sprats (per dialetto in Aristofane K eparfs). Ora mi pare che quella formola ex Kep^é™ sia piuttosto applicabile a questi, che ai cittadini di Ceramo. Per la mancanza degl'indici opportuni, il Boeckh sarebbe una selva da smarrircisi quando non avesse seguita la distribuzione geografica ; ma sulla supposizione che questa epigrafe fosse Ateniese per 1’ addotta ragione, l’ho cercata fra quelle dell’Attica e l’ho rinvenuta al n.° 649 colle altre di sopra citate. Il Boeckh allega il Muratori, e aggiunge laconico e severo: cum imperita annotatione. Se egli ha inteso di censurarlo per la ragione che ho rilevato, io non so , perchè egli noi dice. Se intende altro , lascio che altri vedano meglio. Ma sia che Yispa/xevç e kx Kspa.ixéœv sieno una cosa sola, o sieno due cose diverse ; mi par ( che è ciò ADDITAMENTI ( 754 ) che volevo provare) non potersi determinare se il Kepafxeùç della nostra iscrizione si abbia a tradurre per figulus o per Cera-meus. In questo secondo caso sarebbe veramente di Ceramo, non d’ Atene. Ho riguardato Europa come figlia di Manoco e moglie di Manete ; ma 1’ espressione dell' epigrafe, a dir vero , non é così nitida che non lasci il lettore in qualche incertezza. Il basso rilievo rappresenta due figure, un uomo e una donna. Non tengo conto della terza, perohè ha Y aspetto di servo, é indietro e si sospetta perfino che vi sia stata effigiata posteriormente. Ora se queste due figure hanno il loro richiamo nell’ epigrafe, devono essere indicate dai due nominativi che sono Manete ed Europa. Ma qual ragione vi sarebbe di esser insieme, se non li legasse la relazione conjugale espressa in yvv>i? Questo é il motivo per cui io credo che dell'altro uomo si faccia menzione accidentale, come di padre della donna. Da questo risulta ciò che dicevo dianzi, che la dettatura dell' epigrafe non è felicissima. Si paragoni a modo d' esempio con questa di Salamina: • - " AT2IKAEIA Lysiclea AT2IKAE0T2 Lysiclis EKK0IAH2 ex Coele 07TATHP filia MENEKPATOT Menecrati EKK0IAH2 ex Coele TYNH (Boeckh, 619). uxor Io non entro a parlare del basso rilievo, perché né Y ho veduto, nè m’ è venuto fatto di averne il disegno. Io mi son limitato a parlare della materialità dello scritto. Del resto so che r illustre Cavedoni ha dettato intorno a questo monumento ( 755 ) additamenti un illustrazione , che sarà da par suo ; ma non ha ancora veduto la luce. E questo basta, perché mi sembri di essere stato abbastanza audace a dir quello che ho detto. III. L altra Epigrafe esiste presso il nostro coltissimo Socio il Oom. Yarni, nel cui Studio 1' ho veduta, or fa parecchi anni; SI stampata nel Nuovo Giornale Ligustico ( 2.a serie ) del P. Spotorno, e dice così: AETKIOSATAIOS AETKIOTTIOS OAAEPNA<£AAMMA2 XPH2TEXAIPE Questa , come si vede, è greca quanto alla lingua, ma é foggiata esattamente alla norma dell’ Epigrafia Latina, come Latini sono i suoi personaggi. Il P. Spotorno ha saggiamente sostituito un I a ÆAAEPNA e ne ha fatto uscire la tribù Falerina. Ecco pertanto il prenome Lucius, il nome gentile Audius, la figliazione Lucii filius, quindi la tribù al posto che le era ordinariamente assegnato, e poi il cognome Fiamma: il tutto secondo il metodo legale dei Romani. Si conchiude con una espressione d’ affetto. Il P. Spotorno non ne indica la provenienza ; ma il Com. Yarni mi fa sapere che egli X ebbe in dono dal March. Fabio Pallavicino, siccome proveniente dal-1' isola di Paros. Se fosse lecito avventurare una supposizione, io direi che forse in Paros fu di passaggio, ma che venne più da lontano. Io trovo una pietra compagna a questa in Alicarnasso , città notissima della Caria, dedicata ad altro soggetto della medesima gente Audia, per cui si può supporre Lucius Audius Lucii filius Falerina Fiamma o bone salve. ADDITAMENTI ( 756 ) che colà fosse stabilita in tempo dell’ Impero, o per ragione di traffico o meglio di qualche impiego governativo*. Eccola : MAPKEATAIE Marce Audi AETKOTTIE Ludi fili XPH2TEXAIPE (Boeckh, 2665). o bone salve. Ecco il nome della medesima gente Audia, e i prenomi Marco e Lucio che sono perfettamente Romani. Chi potrebbe dire che il padre di questo Marco non fosse quel medesimo Lucio , che è il soggetto della lapide intorno a cui discorriamo? Il Boeckh con molta ragione supplisce 1’I che manca a AETKOT j ma si mostra alquanto titubante riguardo al gentile ATAI02, accompagnadolo con un punto d*interrogazione. Se avesse conosciuto questa nostra Epigrafe , avrebbe deposto ogni dubbio. Non Y è in questa Y indicazione della tribù, ma supponendo questo secondo marmo posto accanto al primo , si giudicò non esser necessaria. Per dare all' iscrizione una aria di novità senza dipartirsi dalla medesima semplicità , Y autore ha rivolto il discorso al defunto. Del resto vi é in entrambe perfino .la medesima espressione d'affetto XPH2TEXAIPE. Osserva il P. Spotorno che i Greci amavano- di trasformare in asvxioç \\ Lucius dei Latini, forse perché, in relazione di Asvxóg, albus, lucidus, sapeva loro di qualche cosa, e si avvicinava al significato di Lucius. Ma poi Asvxtoç era nome a loro famigliare. • • ' ( 757 ) ADDITAMENTI IV. SU VARII OGGETTI D’ ANTICHITÀ’ * / SCAVATI IN TORTONA CENNI DEL SUCIO LUIGI TOMMASO BELGRANO In alcune adunanze della Sezione d'Archeologia furono presentati all’esame de’ Socii non pochi frammenti di sculture, vasi ed altri fìttili litterati, che aveano spediti ali' Instituto T egregio collega Alessandro Wolf, ed i signori cav. avvocato Cesare De-Negri ed aw. Dei-Piano. Questi frammenti, ad eccezione di uno soltanto, furono di recente' scavati in un terreno di trasporto che attorniava la città di Tortona, e pare venisse ivi gittato all’ oggetto di saldamente munirla con ispalti e bastioni (*). Esso è di qualità pingue, ossia, come chiamasi, cimiteriale, e meno propriamente marna; misto ad ossa d’animali, e segnatamente a corna di cervo ; e quindi identico per condi-dizione alle marne accennate dal ch. Cavedoni coinè non infrequenti nell’ agro modenese, e dentro cui nel 1832 si rinvennero parecchi frammenti di vasi, ond’egli stesso fornì no- (*) Ora fu rimosso e ceduto a benefizio dell’ agricoltura. ADDITAMENTI ( 758 ) tizia nel Bollettino della Corrispondenza Archeologica di Roma (*). VASI Gli avanzi de’ vasi tortonesi sono perfettamente analoghi a quelli descritti dall’illustre Archeologo precitato, non che dal dott. Fabroni ; e, senza tema d’errare, possono derivarsi dalle figuline d’Arezzo, fors’ anche per qualche parte da quelle di Modena. La prima di tali città viene appunto per la fabbricazione de' suoi vasi, onde facevasi estesissimo traffico, celebrata dagli antichi scrittori ; e Plinio ricordando come a' suoi tempi i vasi aretini fossero pregiati ugualmente che quelli di Samo e di Sagunto, ci fa conoscere che aveano posto fra' migliori del mondo (**). Per ciò poi che é de’ modenesi, lavorati a somiglianza degli aretini, essi erano stimati al paro di quelli dei Traili e d’al-' tre celebri officine; e ve ne avea copia straordinaria (***). Erano tali vasi impastati di finissima argilla, e cotti con molta diligenza e perfezione; alcuni aveano una vernice nera traente all' azzurrino, ma i più erano inverniciati di rosso ; e tutti splendevano assai a cagione della estrema Levigatezza. I nostri frammenti inoltre, nella guisa stessa che i modenesi, indicano due principali maniere di vasi; le quali gioverà (*) Vedasi il volume del 1837, pag. 4 4 e seguenti. Simili vasi si rinvennero pure negli anni 1830 e successivi in Arezzo, e passarono in possesso di quel pubblico Gabinetto d’antichità. Il professore A. Fabroni ne tenne discorso in più luoghi del citato Bollettino, (an. 1830, p, 237; an. 1834, p. 402 e p. 4 49; au. 4837, p. 105; an. 4844, p. 20), e venne poscia illustrandoli con apposita opera (Storia, degli antichi vasi futili aretini, con 9 tavole; Arezzo 484I, in-8.o^. (**) PI in., Il ist. Nat., lib. xxx, cap. 42; V, Ingliirami, Monumenti etruschi o di etrusco nome, Tip. Fiesolana, 182-i; vol. v, par. i, pag. I e seg. (***) Tit. Liv., lib. XLi, 18; Plin., xxx, 12; Cavedoni, loc. cit. Opina anzi quest’ ultimo che la perfezione deli’ arie figulina venisse a' modenesi apparata non altrimenti clic dagli aretini. ( 759 ) ADDITAMENTI ricordare seguendo la dotta illustrazione del Cavedoni. L' una a fondo piano e largo, a sponda non molto alta ed appena divergente all’ infuori ; V altra a fondo alquanto concavo nel-T interno , ed a sponda in proporzione assai alta e conversa al di fuori. Onde i primi, che sono per lo più assai grossi in ragione delia loro ampiezza, sembrano appartenere alle patellae, sottocoppe, ecc.; ed i secondi, generalmente sottili e leggeri, ai calices, tazze, scodelle, e simili. Gli uni c gli altri sono di forma, rotonda ; ma quelli segnatamente della prima maniera si addimostrano i più ricchi, e vedonsi all’intorno fregiati da bassi rilievi eseguiti a parte con forme o stampe (*), ed esprimenti figure umane, animali, piante e capricciosi intrecci ornamentali, lodevolissimi dal lato della perfezione, del buon gusto e della purità di stile. La parte interna del fondo piano ha in tutti alcuni circoli concentrici segnati a leggerissimo incavo ; ma ne’ più fini due di tali circoli somigliano al giro di una ruota, e lo spazio fra’ medesimi è distinto da spesse e leggere lineette a guisa di raggi luminosi. Nel bel mezzo della parte interna del fondo é impresso a lettere rilevate, e per esteso oppure in nesso e con abbreviazioni e sigle, il nome del figulo o del padrone delle figuline ; ed il sigillo ha talvolta 1’ impronta di un piede umano ed ignudo (**), tal* altra la forma di una tavoletta, ecc. (*) Riferisce infatti il Fabroni (Bull, cit., an. 1839, p. 107), che nelle scoperte (P Arezzo mescolati agli avanzi de’ vasi trovaronsi quelli delle matrici d’ argilla cotta, e le forme da modellare gli ornali de’ medesimi. Così in alcuni avanzi modenesi, appunto per difetto della creta, la quale, o poca o non abbastanza molle, non empi del tutto le forme, si vedono diverse figure rimaste imperfette ( Cavedoni, loc. cit.); c in alcuni frammenti de’ nostri si osservano traode di rilievi staccali dal fondo e perduti. (**) Pare al Cavedoni che questo sigillo siasi originato dall’osservare che facevano i figuli le orme dei loro -piedi, impresse nella creta da essi impastata. ADDITAMENTI ( 760 ) , 6 anfichi nel seppellire i cadaveri ponessero loro ppresso degli oggetti preziosi, delle monete, delle ampolle, asi, ella é cosa notissima. Sembra però all’ Inghirami (*) p tere pei più lagioni ed esempi congetturare, che esistesse 1 r anco una qualche superstiziosa ceremonia o consuetudine, 01 za di cui spezzavansi alcuni d’essi vasi innanzi d’allo-§ 1 nei sepolcii. La quale ceremonia o consuetudine avrebbe . 5 conìe tante altre, sopavvissuto alla caduta del Pagane-^iacché molti pezzi di vasi infranti si trovano eziandio murati nelle Catacombe di Roma. -llcl i IJ10^ avanzi disseppelliti appo le mura di Tortona, •°s©i seibati da questa.Società, vuoisene rimarcare uno segnatamente , il quale dal lato della composizione rivela molta somiglianza con quello che fu trovato in Corinto dal chiarissimo odwel, e che hanno pubblicato il precitato Inghirami e il D Agincourt ( ). Codesto frammento rappresenta una caccia di cinghiali; in altri poi vedonsi raffigurati de’ conigli e. dei cani. Ora siffatti animali, non che nç’ vasi, incontransi di frequente nelle urne; perocché -al paro della pantera, del leopardo e dello scorpione, voleano indicare le orgie che celebra] ansi in autunno ad onore di Bacco, e insieme quella stagione a lui particolarmente dedicata. Bacco protettore dçl- 1 autunno, della caccia e della vendemmia, era nel tempo stesso il nume delle anime ; presiedeva alla loro vicendevole ascesa e discesa, e, secondo Platone, largheggiava di sommi benefìzi a prò delle medesime. I sepolcri erano quindi affidati alla sua particolare tutela ; ed al ricorrere della stagione autunnale aveva luogo la commemorazione de' morti (***). (*) Op. cit., vol. v, par. ii, pag. 581. ) Inghirami, voi. v, par. n, Tav. lviii e lix; D’Agincourt, Recueil de fragments de sculpture antique en terre cuite, Pl. xxxvi. (***) Inghirami, op. cit. ( 761 ) ADDITAMENTI Un altro poi de’ nostri frammenti è ornato a foggia d'urna striata^ e veniva quà e là seminato di cuori. 1 quali vedonsi pure dipinti in un vaso fittile riprodotto dall’ Inghirami stesso (*), né altro sono che il simbolo dell’anima; giacché presso gli Egizi, dalla cui scrittura geroglifica deriva senza fallo questa rappresentazione , era parere comune che f anima fosse racchiusa nel cuore. Non pochi sono i nomi figulini che trovansi impressi in questi avanzi ; e giudico utile cosa il riprodurli, seguendo T esempio in ispecie degli illustri Cavedoni, Ritschl, Fabroni, ecc.; non senza manifestare i sentimenti di una ben dovuta gratitudine all'amico signor Wolf, il quale si assunse di meco dividere T impresa di decifrarli. (-4) AERCSR (2) AP . . . VT . . . (3) A TAR w ATEI (5) BATV LLVS (6) (7; (8)- D. F. IVCVND |j CAI. AEL £ CLOTRO (9) C. MVRRI (10) £ 4 * * U P3 (in CNAEI (12) C. SARI (13) D. TET. .m ETAER (lo) herTo (16) IVCC (17) M. B. . . . (18)* M. P. A (19) , M. PERENCRl •(20) MECNVS (*)' Inghirami, voi. i, pag. 458 e Tav. xlv. ADDITAMENTI ( 762 ) (24) JWVRRI (22) P. ATI (23) P. MVEI (24) PATERC VLVS (25) PLOLCI VMBRI (26) PRIMVS (27) QVADRA (28) REASSA (29) SEX M FES (30) SOLO (34) T. ATII. (32) TA OEC (33) T. CE (34) VMBR. (35) V. M AEMMA (36) VETTI (37) VETTI OPTA Questi nomi, che sono probabilmente tutti di servi e di liberti, vedonsi impressi per la maggior parte su tavolette, e quello recato al numero 3 sovra un sigillo rotondo ; i numeri 1 , 8, 9, 28 e 29 sopra una forma di pie’ destro, e di sinistro il 21 e il 33. Il nome di c. mvrri (num. 9) sembra avere analogia, ed anzi essere identico a camvri, c. amvri (am in nesso), c. amv. ri. , ca. mvr., appellativo di un solo figulino dal eh. Cavedoni trovato costantemente impresso entro un orma di piede. Crede nondimeno l’illustre Archeologo che la retta scrittura del medesimo debba essere quella di camvri, e che i punti, i ( ^63 ) ADDITAMENTI quali s’ incontrano nelle successive , sienvi stati posti o per dividere le sillabe, ovvero anche per negligenza (*). Ma forse il nostro frammento, come il secondo dei modenesi, presentava le lettere am in nesso; e la linea trasversale della piima o non fu bene impressa o venne cancellata dal tempo ; ed in tal caso la vera lezione di quel bollo sarebbe, con una novella variante, c. amvrri. Per le stesse ragioni dovrebbe quindi leggersi amvrri (am in nesso) il num: 21. Herto (num. 15) è il nome servile d’un artefice aretino, letto pure dal Fabroni (**). Nei nostri frammenti s’ incontra in due vasi di mediocre finezza; ma nell’uno é impresso sovra una tavoletta, e nell’ altro in un sigillo foggiato a ferro di cavallo, a somiglianza del nome di cneate (num. IO). Vuoisi però notare che in entrambi i pezzi, la lettera t è maggiore delle altre. P. ATi (num. 21) l’abbiamo pure in due vasi; cioè nel primo sovra una tavoletta, e nel secondo sovra una specie di stella, in questa foggia : p. A T I Primvs (num. 26) finalmente sta impresso due volte su tavoletta , ina colla differenza che in una corre per esteso su di una sola linea, e nell’ altra si parte in due, cioè : prim .vs. 11 bollo pLOLCi vMBRi (num. 25) ricorda, non che il nome, la patria dell’ artefice; e questa costumanza non è nuova. Cosi nel Fabroni si legge: a. titi. figvl. arret (vv"). (*) BuUellìno ecc., an. 1837, p. 12. (**) ld. an. 1834, p. 103. (*+*) hi. an. 1831, p. 102. ADDITAMENTI ( 764 ) LUCERNE ** - * ** Parecchie lucerne fittili, o frammenti di esse, inviate alla Società dal prelodato amico mio signor Wolf, recano i nomi-seguenti : (38) (39) (40) (41) ALIX COMVNS FORTIS LVTATI Il nome di comvns (coir ultima asta della n molto prolungata superiormente), ossia Comunis, trovasi pure in una lucerna libarnese della nostra Università, sebbene contratto in comnis; e quello di fortis, che come Y altro di celer (42) s'incontra il più di frequente ne' fittili diseppelliti fra i ruderi di Libarna, può eziandio vedersi improntato sovra' una bella lucerna con testa di Baccante del Museo Passeri (*). Possono pure aggiungersi ai nomi testé riferiti quelli che si trovano in altre lucerne, eziandio libarnesi, della prefata Università, e sono : cresces (43), cvkes (44), festi (45). Quest’ ultimo é pure impresso in un vaso aretino, entro un orma di piede umano (**). TEGOLÒNI Dei due tegoloni che sono pervenuti alla Società, uno le fu spedito dal cav. De-Negri e porta impresso il nome del figulo cydnvs. setori (46); l'altro le era inviato dall avv. Dei-Piano, giacché si scoperse in un fondo del medesimo posto a Viguzzolo, e v’é scritto: martialis (47;. (*) Lucernae fictiles Musei Passerii, Pisauri, 1751 ; voi. u, Tab. lii. (**) Ballettino cit., an. 1837, pag. 406. ( 765 ) ADDITAMENTI Siffatti tegoloni servivano alla custodia delle urne cinerarie, allora quando si poneano sotterra ; due si collocavano ritti ai lati di ciascuna di queste, ed un terzo veniva sovrapposto agli altri a mo' di tettoia (*). Si aggiungano qui due pezzi di latercoli, sull’uno dei quali si legge il nome di ati (48), con at in nesso, e sull’altro distinguons! le cifre x. . . in. . i. STOVIGLIE Tre frammenti impastati di terra biancastra, lavorati in modo piuttosto grossolano, e senza vernice, portano presso gli orli i nomi di altrettanti figuli, cioè: iali (49); plato (50) ;... SSIEN (51). SCULTURE Oltre ad alcuni avanzi di sculture in marmo, notiamo un bel putto di basso rilievo in terra cotta, dalle cui mani si diparte un intreccio di fogliami; ed un pezzo di oscilla, o maschera fittile, alquanto maggiore di proporzioni e per lavoro meno rozza di quelle che si riscontrano nel precitato Museo Passeri (**). L’origine di queste si attribuisce ad Ercole; il quale, volendo abolire i sagrificii d’ umane vittime che i popoli Italici • offerivano in onore di Saturno, volle che alle medesime si sostituissero soltanto umani simulacri; e ne offerì egli stesso. Le oscille (e ve ne avea di fìttili, di bronzo, ecc.) soleano dagli antichi venir collocate nell’interno delle case, ed anche (*) Bullettino cit., an. 1829, pag. 180. (**) Lucernae fictiles, eie., vol. il, Tab. y. ADDITAMENTI ( 766 ) so.spe^e ai rami de' vecchi alberi sacri nei campi (*) ; imperocché oltre il ritenerle come un efficace preservativo contro la magìa e gli incantesimi, riputavano essi che come gli Dei punivano i delitti degli uomini, dopo morte, nelle anime loro con tre generi di pene, questi potessero eziandio con egual numero d espiazioni purgarsi tra’ vivi, cioè pel mezzo del fuoco, dell’ acqua e deir aria. H A tale ceremonia allude appunto Virgilio nelle Georgiche (lib. 11, v. 388-9) : Et te, Bacche, vocant (Ausonii) per carmina la-eia,, tibique Oscilla ex alta snspendunt mollia pinu. ( 767 ) INDIGI DELLE PAROLE DISTRIBUITE PER MATERIA i N. B. I numeri sono quelli delle Iscrizioni. T significa la Tavola di Polcevera, e i numeri che vengono dietro a questa sigla indicano le righe della Tavola F denota i nomi che leggonsi ne* vasi fittili, tegoloni, lucerne, ecc., e sono compresi sotto una numerazione particolare nel iv Additamento, fra la pag. 757 e la pag. 766. 1 nomi , gradi, ecc., riferiti in carattere corsivo, sono quelli che $' incontrano in lapidi spurie, o per lo meno sospette. DIVINITÀ’ Abinius — Deo Abinio 153. Apollo — Apollin(i) v. s. votum solvit 120. Bellonae 53. Deis Manibus \. Dis Manibus 9. Dianae 2. 180. 196. Felicitati 39. 40. Fortunae 34. Fortunae placidae 236. Herculi lapidario 14-2. H. Herculi oppure Hygiae 37. Iovi 40. Iovi Optimo Maximo I . O . M. 43-Iovi Sabazio 31. 1 luno(ni) 40. Iunoni Iustae N. (nostrae) 32. lunoni Reginae 449. Laribus 30. Lunae 50. Lunae Hetruscae 237. Marti Vincio 434. Matronis. Additamento 4. Matronis Vediantibus 136. Minervae 39. 40. Orevalus — Deo Orevalo 454. Sabazius — lovi Sabazio 34. Teutates 97. Victoriae aeterni invicti Iovis optimi maximi 148- ( 769 ) INDICI PERSONAGGI APPARTENENTI a FAMIGLIE IM PE RI A L I DISPOSTI IN ORDINE CRONOLOGICO Cacsari Augusto . . . 219. Imp. Caesari D. F. Imp. V. Cos. VI (an. 28 av. C.) 58. Imp. Caesar Augustus Imp. x. tribunicia potestate xi (14 av. C. ) 210. 211. 214. 216. 217. 222. Imperatori Caesari Divi filio Augusto Imp. xiv. trib. potes, xvm (6. av- C.) 127. Imp. Neroni Claudio Divi Claudii filio .... trib". pot. xiii (66. e. v.) Tmp. xi. Cos. iv (tenuto conto del- V ultimo consolato nel 60 e. v.) 40. Divae Poppeae Augustae (moglie di Nerone, che V uccise con un calcio V anno 6o) 59. Imp. Vespasianus Caesar Aug. (regnò dal 69 al 79) 55. Imp. Nerva Caes. Aug. Germ. etc. (dal 9G al 98) 184. Imp. Caes. Nervae Trajano Aug..... trib. pot. ix. Cos. v. (105. e. v.) 42. Plotinae Augustae (Moglie di Trajano ) Martianae Aug. ( sorella dello stesso) 42. Imp. Caesar Divi Trajani Parlici F. Divi Nervae N. Trajanus Hadrianus Aug..... trib. pot. x (125. e. v.) Cos. in ( tenuto conto dell’ ultimo consolato dell' an. 119) 218. 221. 225. Imp. Caes. Trajano Hadriano ..... trib. pot. xvii (an. 155). Cos. m (come sopra) 45. Imp. Antoninus Pius Felix Aug. (dall'an. 158 al KM ) 212. 215. 215. 220. 224. Divo Antonino Pio principi felicissimo 242. Imp. Caes. M. Aurelius Antoninus Pius Felix Aug. (daïïan. 161 al 180) 44. 155. 15 i. Faustina Augusta (moglie di Marco Aurelio. Questa lapide appartiene probabilmante all'anno 171. V. illu-‘ strazione) 44. Imp. Commodo ni et Anlistio Byrro Coss. (an. 181) 159. Imp. Caes. M. Aur. Antonino Commodo tribunic. potestat. vili. Cos. ìv. INDICI ( 770 ) (an. 183, successe al padre nel 180, ma sin dal 170 era stato da Ini insignito della tribunizia podestà', perciò V anno vili di questa collima col suo quarto consolato, a cui risponde il 185 deir e. v.) 91. 197. Pertinace imperante etc. 245. L. Septimius Severus.... M. Aurelius Antoninus (Caracalla) Iulia Augusta (moglie di Settimio Severo, madre di Caracalla e Geta. Questa inscrizione è del 200, essendo indicati i consoli deiranno, T. Claudio Severo e C. Aufidio Vittorino u) 45. Fulviae Plautillae Aug. sponsae lmp. Caes. M. Aureli Aut. (sposata a Caracalla verso V an. 202, due anni dopo rilegata a Lipari e poi fatta uccidere) 46.. Imp. Publio Valeriano Aug. Cos. ni Gallieno Aug. n. (an. 255) 49. Corneliae Saloninae' sanctissimi Aug. coniugi Gallieni junioris Aug. n. (dall'an. 255 al 200) 155. Imp. Caes. FI. Val. Constantino Pio Fel. invicto Aug. (dal 500 al 537) 209. Constantinus Aug. N. 256. Imp. Cacs. Flavio Valerio Constantino Aug. Constantini Pii Aug. filio (Costantino ii dal 557 al 540) 163. Faustinae Constanti Aug. piissimis et nobilissimae (il Muratori l’assegna per moglie all’Imp. Costanzo) 243. Imp. Caes. D. N. Valens' Pius Felix semper Aùg. Imp. Caes. J). Gratianus Pius Felix semper Aug. Imp. Caesar D. Valentinianus semper Aug. (Questo marmo, se fosse sincero, cadrebbe fra. gli anni 375 e 378) 208- / ( 771 .) INDICI NOMI DI UOMINI A Abascantiis 76. Q. Aburius Nepos 59. 40. Achilia 47. Adjutor 117. T. Aebutius 34. C. Aelius F. 7. Aelius Adjutor 117. T. Aelius’Muanus 111, P. Aelius Pylades 19. Aelius Severinus 154. Aemilius Barino 159. 0- Aemilius Maximus 155. Aercsr (sic) F. 1. Africanus 47. Agrippa 48. Q. Albatius Corinthus 47. Q. Albatius Verna 47. Albiccius Pudens 174. Albiceius Pudentianus 174. C. Albucius 122. Albucius Pudentianus 175. Albucius 159. Alexander 5. . Alcimus 107. Alpinus 146. Amphion Saturninus 115. Aninius Faustus ‘47. Annianus Flavianus 79. Annius Celer 200. Annius Successus 47. Antigonius 227. Antistius 159. M. Antonius Neantus 74. M. C. (?) Anton(ius?) 120. Apertius Felix 94. Apollinaris 48. Apollonius 47. 48. Apollonius Dionysius 149. Appuleius 52. Aprilis 47. Aptus 47. Aquilius Egiectus 47. Aquilius Eucharistius 47. Aquilius Ianuarius 47. Aquilius Soterichus 47. Arnius 18. A} 'uns 241. Atar F. 5. . Ateus F. 4. M. Atilius Alpinus 146. C. Atilius Bradua 182. M. Atilius Cupitus 247. M! Atilius Eros 181. M. Atilius Priscus 146. INDICI ( 77*2 ) Cn. Atilius Serranus 185. Atius F. -48. P. Atius F. 22. T. Atius F. 51. Atticus 15. Q. Attius Priscus 184. M. Avelius Marcellus 125. M. Avelius Paternus 125. L. Audius Flamma (Asvxtoç AvSiog ^yôifjifjLOLs) Additamento ni. G. Aufidius 57. T. Aurelius Gertus 150. Sal. Baebius 82. Balbus (?) 11. Batullus F. 5. Boiaelli Tiodotus 47. Caecilius 48. L. Caecilius Cos. T. 5. 28. 57. Caelus 159. * CI. Caesar 48. Callirius 81. G. Calvisius Faustinianus 179. G. Calvius 60. Caminas 118. Campanus 80. P. Caninius Felix 11. \ ' Canistius Velox loo. Capatius 170. Capito Solumanus 48. Carbonus 192. L. Carbonus Macer 192. L. Aurelius Fortunatus 108. Aurelius Glycerus 47. Aurelius-Januarius 155. Aurelius Julianus 110. Aurelius Macrobius 110. M. Aurelius Masculus 158. Aurelius Meleager 106. Aurelius Pylades 19. Aurelius Rhodismanus 151. Aurelius Sempronius 150. Autoiycus (?) 118. Boiellius Fortis 77. Bradua 182. Bugio 170. Byrrus 139. Cassius Festus 4-7; Cassius Valerianus 246. Castricius 86. G. Catius Martialis 183. C. Catius Severus 183. L. Catius 78. M. Caltius Secundus 20. T. Ce.... F. 55. Celer, F. 42. Celsus 22. Censorinus 50. Cerialis 247. Cimogio 167. Ciribius Additamento i. G. Civici... 83. ( 773 ) INDICI Clotro F. 8. Claudius Felix 47. Claudius Helenus i A i. Claudius Hermas 103. M. Claudius Marcellus 51. Claudius Symphor ... 47. CleaDthus 32. Cneate F. 10. Cneius F. 11. L. Cominius Herma 9. C. Cominius Thallus 8. C. Cominius Valerianus 8. Comunis F. 39. D Demetrius 47. Dexter 189. Diofantus 99. Dionysius 7. 149. 156. • E Egieclus 47. P. L. F. (?) Emilius(si<;) Paternus 126. Eniboudius Montanus 153. 154. P. Enislalius Paternus 136. Epaphroditus 10. Eptius 47. Ero Major 65. F Fabricius 47. L. Faenius Zosirnus 87. L. Faianus Sabinus 232. Fai Ionius 47. Condoli us 170. Cornelianus 47. Cornelius Hermes 109. L. Cot. Proculus ... 49. Cosconius Caelus 159. Cresces F. 46. Crispo Ibsala 159. Cukes F. 44. Cunctinus -145. Cupitus 146. C. Curtius 71. Curtius Valens 17. Cydnus Setorius F. 46 Domitius 140. Donatus 47. 80. Durnalius 213. Eronios 166. Eros 61. 181. Etaer F. 14. Evaristus 162. Eucharistius 47 Eutychius 152. Eulichus 236. Faustiniauus 179. Faustus 47. 129. 228. Felicio 48. Felicissimus 111. indici (774 ) Flamma ( Qy&W** ) mento ili. Flavianas 79. Felix il. 58. Festus 47. F. 45. FI. Festus 49. Fidus 183. M. Firmidius Spectatus 45. Fisidius 47. Flaccus 48-M. Flaccus 196. Flavius -47. 139. Fortis- 47. 77. F 10. Fortunatus £7. 73. Fortuni us 5-Fulvius 47. Furficius 81. G Gabnus Optatus 48. Gaeminus 47. Galba 48. T. Galenus Eutychius 152. Gandidus 47. L. Geganius Philargyrus 112. L. Geganius Stephanus 112. G. Gallius 88. D. Haterius Agrippa 48. Helenus 141. Heliodorus 47. L. Helvius Potinianus 63. Herennius U. 47. . Herma 9. Hermadio 187. Hermeros 47. Hermes 5, 106. 109. 116. Hermippus Primus 48. Gemellus 47. Genialis 185. 229. Germanicas 4‘S-Glaucus 39. 40-Glycerus 4-7. Glycon 47. P. Granius Hyla 101. L. Gratius Verin.as 135. Herlo F. io-L. Hilarius 98-L. Hilarius Vii— (■) ^ Aur. Hilarus 5. Hilarus 11. Hilarus Vaccio 18. Honesimus 6. • Honorius Philodamus Hyla 101. 1 Addita- Jbsala 139. lali(us) F. 49. Januarius 47. 1.35. lamis 238. ( 775 ) INDICI Italicus 47. lucci F. 16. lucundus '16. 0. F. Iucundus F. 6. Iulianus 110. G. Iulius 64. M. Iulius 5. T. Iulius Buggio 170. L. Iulius Castricius 86. Iulius Ennius 186. C. Iulius Italicus 47. Scx. Iulius Eronios 166. C. Iulius Math. 47. G. Iulius Mucro 12. G. Iulius Onesimus 42. Sex. Iulius Optatus IH. 166. G. Iulius Primio 12. Sex. Iulius Pronio 444. G. Iulius Quadratus 96. G. Iulius Salvillus 47. Iulius Severus 450. C. lunius Vi trasi us 243. luslinus 499. FI. lustus 4. Justus 47. G. M. C. Q. Laberius Lupus 47. Laurus 152. Lepidius Fortis 47. Liberalis 47. Licinius Dionysius 156. Licinius Placidus 156. Licinius Tacitus 47. Licinius Verus 180. Livis 227. Macedus 180 bis. Macer 172. 192. Macrinus 17o. Macrobius 110. Magnus 472. M. Livius Aptus 47. Livius Heliodorus 47 Lucretianus 39. 40. Lucretius 106. C. Lucretius Genialis 183. Lupus 47. Luq.... (?) 83. Lutatius F. 44. Maius 201. Manes (Motvwç) Additamento ii. Manilius 128. Sex Mannius Tullius 194. Manox (MavoÇ M^yo^ot,) Additamento il. Mansuetus 159. Marcellus 425. Marcius Achilia 47. L. Marcius Crescens 95. Marinus 155. C. Marius Cimogio 169. Marius Rufus 169. Martialis 183. F. 47. Q. Martius 259. Masculus 158. Maturus 139. INDICI ( 776 ) Maximus 17. 164. 165. 503. Mecnus F. 20. Memmius Macrinus 177. • Mercurius 105, P. Metilius Tertullinus 90. 121. Mettius Pardus 113. 0- M. Minucieis Rufeis T. 1. Miro 19. Mnestheus 47. Nectareus 108. L. Nemanius Severus 89. M. Nem unius 161. Nepos 59. 10. Additamento i. Nioer Cominius 111. o C. Occius Phiiomusus 111. Octavius Faustus 17. Octavius Luta(tius) 17. Octavius Mnestheus 17. Octavius Successus 17. Moc. Omelicani Orneticoni T. 16. Montanus 47. 153. loi. 166. Muanus 111. P. Muei F. 23. Q. Muucius T. 5. 29. 37. S. (?) Muniius 128. L. Munatius Plancus 195. Murri F. 21. C. Murri F. 9. L. Nonius Quadratus 128. Numisius Cornelianus 17, Numisius Tacitus 47. Nunius 47. M. Octavius Macedus 180 bis. Oliinpus 82. Ometicani T. 46. Orneticoni T. 46. Optatus 144. 166. 195. L. Paccius 97. Patidius Thripius 17. Palfurius Mercurius 105. Pamphilius Yarus 123. Pardus 113. Paterculus F. 21. Paternus 125. 126. 136. Pedanius Liberalis 17. Peliani T. 16. M. Perencri F. 19. P. Petreius Quadratus 162. M. Petronius Quartus 202. Philargyrus 112. Phiiomusus 114. Piso 81. Placidus 156. Plato F. 50. Plaucus 195. ( 777 ) INDICI Plaucus Peliani Pelioni T. 46. Plolci Umbri F. 19. Potilo 250. Polybius 47. Pompeius Africanas 47. Pompeius Festus 47. L. Popillius G and id as 47. ' Poppaeus Ligur 81. Primus 189. 194. F. 20. Priscus 140. 184. Probus 47. Proculus 47. 102. Profuturus 47. Pronio 144. Pudens 174. Pudentiauus 174. 175. Q Quadratus 96. 128. 102. F. 27. | Quartus 202. R L. Rasinius Pr.... 83. Beassa F. 28. Rectus 100. Rhodion 119. Rhodismanus 151. Sabinus 195. 252. Salvillus 47. Sapus Vienus Polilo 250. C. Sari F. 12. Saturninus 105. Secundus 125. Segomo Cuuctinus 145. Sempronius 150. Serranus 185. Severinus 134. Severus 89. 105. 150. 185. 228. Ta. Oec. F. 52. Tacitus 47. Rufeis T. 1. M. Rufinus Felix 151. Rufus 128. 129. 109. Rutilius Probus 47. Severus Severius 108. Sex(tus) M. Fes(tus) F. 29. Solo F. 50. Soterichus 47. Stephanus 112. Successus 47. L. Sucius 105. Sullaei fratres 195. G. Sulpitius Piso 81. Symphor(osus) 47. Terentius Genialis 47. Terentius Proculus 47. INDICI ( 778 ) Tertulliims 90. Tettianus 47. Tettias Gaeminus 47. Tettius Gemellus 47. Tettius Luciuus 47. Tettius Tettianus 47. 3. Tet(tius) F. 15. Thripius 47. Tigris 93. Tiodotus 47. Tittius Apollonius 47. Titti us Glycon 47. Tullius 191. M. Valerius Caminas 118. Valerius Probus 47. Valerius Proculus 47. M. Valerius Rectus 100. L. Valerius Secundus 123. Valerius Velox 47. Valius Velox 123. Varus 123. 180. Vectius Profuturus 47. Velacus 164. 165. Velox 47. 123. 155. C. Venius Rufus 128. Vennoniacus 90. 124. P. Verginius Rhodion 119. Verinus 139. P. Verus 93. Vetius F. 36. C. Vettius 201. Vettius Hermadio 187. Vettius Optatus F. 37. Vienus 230. L. Viaticus Magnus 172. Sex. Vibius 168. 227. M. Vibullius Proculus 102. P. Vicillius Urbicius 85. M. Vindus 236. Umbr(o) F. 34. ( 779 ) INDICI NOMI DI FEMINE Aemilia Marcella 172. Aemilia Posilla 172. V. M. Aemma F. 55. Aetia 81. Agnis (?) 15. Alix F. 58. Alpillia 160. Anicia Valeria 147. Antestia Polla 135. Antonia 79. Arescusa 69. Athenais 47. Atilia Helpis 18 L Atilia Posilla 146. Atilia Secanda 146. Atticilla 12. Attilia 81-Avia 81. Aurelia 106. Aurelia Epipodia 109. Aurelia Foca 192. Aurelia Laudice 25. Aurelia Marcella 192. Aurelia Romula 151. B Bassilla 151. Benedicta 76. Bonosa 104. Hurcia Secuasa 172. Burcia Secunda 192. Chelidon 12. Clara 75. Claudia Benedicta 76. Claudia Syntyche 103. Clodia Helpis 229. Cominia Orais 9. Cominia Zele 9. Comisia Tranquillina 125. Cornelia 11. 228. Cornelia Atticilla 12, Cornelia Procula 102. Cottia Polla 180 bis. Crispina 47. Cupita 146. INDICI ( 780 ) Dionysia 247. Ebulia Lauria 132. Elnonia Tyclie 70, Elpis 181. Epipodia 109. Eriplia Marcia 94. Erotis 72. Fabia Fortunata 74. Fabia Numantina 52 Faenia Hevretia 87. Felicitas 47. Flavia Bassilla 151. Hateria Reparata 27. Helle 32. lulia 47. lulia Loudice 107. Julia Modesta 104. Julia Optata 96. Lais 162. Laudice 23. 107. | Domitiana 152. Erosco 69. Evliodia 70. Europa (Ev/jottw.) Additamento u. Euterpe 28. ' Eutychia 105. FJavia Titiane 107. Fiorentina 75. Foca 192. Fortunata 74. Fuscina 177. Helpis 229. Hevretia 87. lulia Platonis 4. Julia Thetis 21. 71. lulia Urbica 18. Junia Phyllis 78. Laurea 132. Lepidia 47. ( 781 ) INDICI Licinia Cupita 146. Livia 186. Marcella 192. Marcia 94. Marcia Verina 177. Marcinia Lucilla 143. Martha 80. Martia 228. Neamona 146. Negellia Noniana 15. Noniana 15. Oc lava 251. Octavia Valeriana 147. Palfuria Eutychia 105. Papiria Prisca 89. Paterna 119. 175. Petronia Dionysia 247. Phyllis 78. Pietas (?) 15. Platonis 4. Lacillia 115. Melillia Tertullina 119 Moccia Paterna 175. Modesta 104. Muccia Quarta 185. Mucia Sabina 198. Numantina 52. Numitoria 47. Nunnia Martha 80. Optata 96. Orais 9. Plautia Chelidon 12. Polla 155. 180 bis. Posilla 146. 172. Prisca 89. 200. Priscilla 77. Probitas 47. Procula 89. 102. Quarta 185. Quies 119. Quieta 119. » — Il —-- indici ( 782 ) R Regilana 114. Restituta 26. 119. Romula 151 Sabina 198. 228. Secuasa 172. Secunda II. 81. 140. 192. Sequnda 188. Sergia Trophitne 10. Servilia Restituta 26. Syntyche 103. Tertia Vippia 176. Tertullina 419. Tettia Clara 75. Teltia Erotis 72. Thetis 21. Titiane 107. Tilinia 47. 56. Tranquillina 155. Trophime 10. Tyche 70. 256. Valeria 117. Valeria Alpillia -160. Valeria Procula 89. Valeriana 147. Valetia 185. Valtilh Neamona 146. Velia 207. Verginia Paterna 119. Verina 177. Vibia Priscilla 77. Vinicia Tyche 236. Vippia 176. Ulpia Fiorentina. Urbica 18. ( 783 ) INDICI DIGNITÀ’ GRADI E TITOLI Aedilis 146. 184. 232. Aedilicias 148. Aruspex 241. Beneficiarias Tribani 29. Biselliarias 47. Censitor Provinciae Thraciae 93. Centario (>) 20. 155. 154. Centario frumentariorum 45. Centurio ordinatas ex equite Romano 153. 154. Cerialis 22. Consol iterum 51. Consul designatus 91. Cornicularius 165. Curio 59. 40. Decurio 21. i Decurio Cemenelensium 132. Decurio duumvir Saliniensium 151. Dispensator 75. Dispensator rationis privatae 43. Duovir iterum 54. Duoviro 159. Duoviro ni 60. Duumvir quarto 59. 40. Duumvir Quinquennalis 59. 184. Duumviri 39. Eques Romanus 86. 93. 153. 134, Equo publico 59. 93. 452. Filiae (Collegii Tign.) 47. Flamen 21. 92. Flamen Augusti 184. 185. Flamen Romae et Augusti 39. 40. 59. o Flaminica 92. 419. Fortissimus invictusque ac super omnes felicissimus Princeps 94. Gunitatis principali 246. Haryspex (Collegii Tign.) 47. Hereditatum caduc. Patronus 25. Iiorearius (Imperatorum) 76. Immunes (Collegii Tign.) 47. Laurens Lavinas(Sac0rd(mo)9O.424. Magister puerorum dom. Aug. 416. Mater castrorum totiusque domus divinae 44. Matres (Collegii Tign.) 47. Maximus 91. Medicus (Collegii Tign.) 47. Miles Cornicularius cohortis Ligu rum 165. ( 78 V ) *x -K^ *« $nfc*afc CfeW»r^«iiis I3& ># «53- I>i. gii <{$*&.} 4T. f'iü %* ljmo:>hStïx t it. ÎVI'W). ÿÔtfi^V' Tûm.) iT-feir/iîifê A/i rî£il;/iDiîs Ckfcimftÿ ?»- C.) Si» - -fri >& **$. TfîiiTAW^ itaaiiflÿni $&- T'/mii(v 'Vagirais 'uh. iTv *&. ‘^i- Ü2K. r,r:<3fë&fc£ i.au 333g. Tiraseli r* Hvfè&tU£ J&iut 3M ^jiiMTis rüsiimunni a: . $wiiumjruir. tr. gramiis n iLi^itnmiTinr. frntffaiu& yjù, i. liininm 2£T~ Trnwt&mb aurair 2&. 7& tjf.JO. 3?. luuiTjiruiLp^Ràwpnn i. *ros?*£f /pj-umcs £F4 Prineep* civ halls 86. Procurator a raliocitos fisc* ®6. Promagister xx heredk. Aug*. 5#. Ooaestor dasîgna toi* SO- Safta 47. Sri ht Âz^z&zlL* r'n rat jlt^j Vrt. Serâr epieesi ^5> ^i: 5*êigafedR ££> 7**>«erin3i5 3B&- TcSanada ffvd- U% 0 £HL £££ îlf 2tH 22 i. ^ ^ggr TsLjdiìus unii *nt Tj!Ìuiuii££ tuL talL ;» TTriumiiis niiii. ètiiruq: m. m. TUA 'tjtfc. c. Lt(iiirnim ia2-TTmè. £o£ ju fëst- &TT T*iimiir :o. ( 785 ) INDICI INDICE GEOGRAFICO Acitavones 127. Alba Docilia 225. 22G. Alba Pompeja 22. Albentibi li 125. Albentimilium 225. 226. Allbinganensis (plebs urbana) 90. Albingaunerisium (plebs urbana) 91. Albingaunum 225. 22G. Albinlimiliensis 478. Alianus (castello) T. 17. Almacenses 148. Alpe Maritima (in) 225. 22G. Baetica 25. Baliares (insulae) 50. 40. Berigiema (monte) T. IO. Bexon 226. Bibola 226. Blustiemelus (monte) T. 21. Boaceàs 226. € Caeptiema (convalle) T. 8. Calucones 127. Alpe Pennino (in) 22.'». 226. Alpe Sunima (in) 22G. Alpes 257. Alpinae (gontes) 127. Alpium Maritimarum (provincia) 129. Al vinca 117. Ambisuntes 127. Apeninus T 18. Apuana (fiume) 257. Aque Statiellae 225. 226. Aquensis 22. Augusta Baggienorum 22. 106. Bodetia 226. Boplus (monte) T. 18. Boron 225. 226. Breuui 127. Brigiani 127. Brixentes 127. Biodiontii 128. Camilia (tribù) 22. 200. Gamuni 127. INDICI ( 780 ) Canalico 223. 226. Catenates 127. Caluriges 127. Castelum Vituriorum T. 3. Cavaturineis, CavaliirinesT. 58.59.40. Cemenelensis 451. 456. 144. Cemenelum 450. 454. 223. 226. Cemen. Civitas 140. Cerameus (Kips-fisrjg). Rome di patria, da Ceramo, potrebbe anche Dacicus 42. Dectunincs T. 58. 59. 40. Ectini 427. Edenates 427. Edus (fiume) T. 7. 15. 44. Eguituri 127. Falerina(2nH)90.422. Additam, ni. Figlinas fad) 225. 226. Galena (tribù) 20. 59. 40. 52. 54. 65. 82. « Gallicanus? 95. Gallitae 127. Gemenelluin. V. Cemenelum Genaunes 127. essere nome di professione, cioè stovigìiaio. Addi lamento i. Claudia (tribù) 150. 455. 456. Glaxelus (monte) T. 21. Comberanea (rivo) T. 7. Gonsuanetes 129. Cornelium 220. Costa Balene 225- 226. Grixia 223. 220. Delphinis 220. Dertona 21. 181. 225, 226. Eniseca (rivo) T. 22. Erycinae stationes 257. Esubiani 427. Focunatfs 127. Fossis Papirianis (ad) 223. Gcnua 20. 24. 22o. 226. T. 23. 27. 53. Gcnuas, Genuateis, Genuates T. 2. 25. 26. 28. 54. 54. Genusnsis 22. T. 26. 45. 4-4. Germanicus 91. ( 787 ; INDICI Ilasta 225. Hisarci 127. II Hispania cit. et ult. 25. Muricum 25. Intemelium 422. Io ventio (monte) T. 17. Iulia Augusta (via) 218. 221. 223. Langatium fmeis T. G. Langenses T. 13. 25. 27. 29. 50. 50. 29 Langueses 4-0. Langenses Veiturii T. 24. 24. 25. 51. Lebriemelus (monte) T. 22. Lemurinus (monte) T. 14. 15. 16. Lemuris (fiume) T. 7. Lepontii 127. Libarna 181. 1^9. 225. 226. Macra 240. Maecia (tribù) 185. 184. Manicelo (fons in) T. 6. 12. Mare superum , inferum 127. Marcomannicus 91. Libarnensis pagus 190. Licates 127. Ligurum montes 257. Ligurum Respub. 240. Lucus Bormani 225. 226. Luna 44 82. 225. 226. Lunae conditor 258. Lunensis (civitas) 208. HI Medulli 127. Mentovines T. 58. 59. 41. Monilia (ad) 225. 226. Montani. Cohors M. I. 169. 170. Nantuates 127. Navalia (ad) 226. Nemaloni 127. Nementuri 127. Ner usci 127. Neviasea (fiume) T. 9. INDICI ( 788 ) o Odiates T. 38. 39. 40. I Oratelli 127. Palatina (tribù) 50. Palestina 79. Parthicus 45. Partica (expeditio) 247. Postumia (via) T. 8. 11. 12. Prenicus (monte) T. 20. Procavus (monte) T. 16. Procobera (fiume) T. 9. 10. 14. Por cobera 22. 25. Publilia (tribù) 25. 92. 117. Pullion 226. Pullopice 226. Quirina (tribù) 132. 139. O R Ricina 225. 226. Roma 39. 40. 151. T. 4. Rubra 226. Rucinates 127: Rusfusci 127. o Salassi 127. Saliniensis 131. Sarmaticus 91. Seduni 127. Sogiontii 127. Solaria (ad) 225. 226. Taberna Frigida (ad) 225. Tanareorum rector 2-40. Tegula ta 226. Stacile 226. Statiellensis 22. Suanetes 127. Suebicum (bellum) i84. Suetri 127. Thracia 95. Ticinum (domo Ticino) 169. Trebia 218. 221. 223. ( 789 ) INDICI Tribelgili 93. Triullati 127. Trumpilini 157. V Uceni 127. Vadis Sabatis 225. 226. Varum (flumen) 225. 226. Veamini 127. Vediantii 171. Veiturius, Vilurias, Vituries T. 25. 28. 51. 33. 42. Veturis Langenses. Yeturies Langenses T. 35. 37. Velauni 127. Vendupala (rivo) T. 9. Tuledo (monte) T. 19. Tulelasca (fiume) T. 21. Turres 226. Vennonetes 127. Venostes -127. Veraglasca (fiume) T. 19. Veragri 127. Vercellae 21. Verguoni 127. Viberi 127. Vicus Virginis 225. 226. Vindelicorum gentes 127. Vinelasca (rivo) T. 10. indici ( 790 ) INDICE DI LATINITÀ Abnepos 91. Adesto 97. AdGgere -49. Adlectus 22. Adsumams (adsumamus) 49. Ager compascuos T. 53. Ager poplicus T. 13. 23. 37. Ager privatus T. 5. Agonotheta (certaminis praeses) 137. Agros immunes colere 239. * Amicus 185. Anno à Licinio Consule 59. 40. Ante eidus Sextilis primas T. 44. Ante Kalendas Januarias primas T. 3(>. Aquae cursus 158. Aram posuit 155- 154. Atnepos 91. Avia 183. Avus 183. B Basim dare 62. Beneficiarius 29. € Castelli restitutor 118. Castel us T. 17. Cerialis 22. Chors (cohors) 20. Civis optimus 93. Cojux (conjux) 68. Colendi causa T. 51. Collegiis xi et recumbentibus panem et vinum praebuit, et oleum populo viris ac mulieribus pro-miscc dedit 157. Collegium fabrum tignariorum 47. Coloni et incolae o5. 56. Coloni et inquilini 65. Colonia 22. Comparaverunt (sarcophagum) 5. Compitum et aram 30. Conferet fisco solidos quinquaginta 08. Gonfluont T. 15. Conflovont 23. Conjunx (conjux) 81. Conjux 10, 12. Conliberta 114. ( 791 ) INDICI Consacratus 1. Consaeptum 1. Consecrare 45. Consul 22. Consummare 19. Controvosiae T. 2. Controvorsiae -42. Controversiae T. 45. Contubernalis 28. Cooptare 49. Cornicularius 105. Dare debento T. 27. Debenignites (de benignitate sua) et sbenevolentia (sua benevolentia) -49. Dedica t • ep ? 121. Deorsum T. 10. Dignissimus 5. Dignitate accumulatus 49. Corona aurea 181. Corpus alienum ponere 58. Credims (credimus) 49. Credimus grandi cumulo repleri numerum nostrum, si eum nobis patronum cooptemus 49. Curator aedium sacrarum et operum 53. Cum qua vixit etc. 13. Curia 44. Discipulus 19. Dispensator rationis privatae 4"». Dompnas 18. Donis donatus 184. Donis militaribus donatus 247. Dorsum (deorsum) T. 9. 20. Duumviri 59. Egregiam ad omnes homines mansuetudinem 158. Ejus ductu auspiciisque 127. Episcopus (visitatore, inspettore, eco.) Niciensium 157. Epulari 162. Eques 21. Eus quei (eousque) T. 29. Ex Senati consulto T. 4. Ex visu laetus 115. Ex voto 24. 131. 296. Ex voto suscepto pro salute Imp. Neronis etc. 59. 40. Faenisicium T. 57. Fasces 49. Fecerunt sibi et suis posterisque eorum 12. Fecit 8. Fecit heres 155. Fecit sibi et suis posterisque eorum 112. Feliciter 49. Femina rarissima 13. INDICI ( 792 ) Femina sanctissima 198. Fieri curavit 10 i, Filia piissima 95. Filius 8. 10. 21. Fineis T. 6. Fineis facere terminosque statui juserunt T. i. Finis (fines), T. 13. Fiscus 50. Flamen 21. Fontei T. 6. Forum lapide quadrato stravit 182. Fructi sunt eruntque T. 56. Fruimino T. 52. Frumenti'pars vicensuma T. 27. G Gener 108. Gentes Alpinae omnes quae a mari supero ad inferum pertinebant sub imperium Populi R. redactae sunt 127. Hasta pura 184. Heredem sequi licet T. 5-6. Heredes posuerunt 123. Hic jacet corpus etc. 239. Gradum dare 61 Gratis facere 74. II Hic situs est 169. Hieronica 19. Homo simplicis vitae 49. Honore fascium repletus 49. Ibei T. U. 15. 17. 18. 19. Ibi termina duo stant T. 8. Ibi terminus stat. T. 10. 11. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 53. Id(ibus) Aprilis 45. Immatura morte subtracto 143. Imperio (ex) 2. In aetera solutus 97. In annos singolos T. 28. Incolis inquilinisque etc. 237. Inde flovio suso vorsum in flovium Lemurim. T. 7. » In frontem pedes xx in agrum p. xxv. 205. Infumus T. 14. 20. Iniouria T. 45. Iniquom T. 45. In poplicum T. 25. 27. 55. In re praesente cognoverunt T. 3. Instituere 19. Intra consaeptum maceria locus I. Invi tei dare (vectigal) uei debento T. 56. Inviteis eis. T. 40. louserunt T. 4. Juserunt 5. Is ager vectigal nei siet T. 6. Is eum agrum nei habeto nive fruimino T. 52. lugo recto T. 15. 16. 17. J8. 19. 20. 21. ( 793 ) INDICI K K(alendis) Januaris secundis T. 35. Lapis quadratus 182. Lararium 52. Legio vi Victrix 59. Legio xxn Rapax 59. Legio xxn Primigenia 39. Legio xxn Primigenia, pia, fidelis 156. Liberti 5. io. Libertis liberlabusque posterisque eorum 244. Libert(us) i 6. Ligna materiamve sumant utantur que T. 34-55. Loci incolae erexerunt 244. Locus Deis Manibus consacratus I Maceria 1. Maceriam reficere 61. Magister puerorum 116. Malent T. -40. Maritus 4. Materia T. 54. Materiarius 17. Memoriae Felicis.... 58. Memoriae ergo 240. Natus ultimus gentis suae 55. Ne ampliorem modum pratorum habeant quam proxuma aestate habuerunt fructique sunt T. 41-42. Neminem timuimus 245. Nepos 91. Miles 50. Milites leg(ionis) ejusdem heredes posuerunt 155. Mirae erga maritum amoris atque castitatis faeminae 151. Mora non fiat T. 56. 57. Municeps 55. Municipium 55. Munus Laribus 30. Ni quis possideto T. 30. Ni quis prohibeto nive quis vim facito T. 54.‘ Nomine suo 119. Numinis ipsius devota (plebs) 91. INDICI ( 794 ) o Oh cujus dedicationem -137. Ob eximiam praesidiatus ejus integritatem 138. Ob honorem memoriamque etc. 149. Ob merita ejus li4. Ob pacem inter Ligures el Tuschos de finibus contendentes compositam 21Ô. OJeum -410. Optio ad ordinem Centurionis 130. Ordo 22. Pantomimus 19. Pater 21. 183. Patri pio patri omnium bonorum 2 io. Patronus o. 38. Patronus coloniarum municipiorum 22. Pecunia sua fecit 182. Pecus pascere T. 33. Pequnia T. 25. Permissu patroni 103. Pientissimus 8. Plebs urbana 93. Pleps urbana 184. Poni curavit 212. Pontifex 21. Populo omni oleum 140. Posedet T. 28. Posedeit 28. Posident 12. 38. Posidere fruique videtur oportere T. 24. Posit (posuit) 40. Posuit ob merita ejus 144. Praesidiatus 158. Prata immittere defendere sicare T. 41. Prata quae fuerunt proxuma faeni-sicei T. 37. Primo quoque die T. 45. Promisce 137. Pro municipii incolumitate so/ici-tus 93. Pronepos 91. Pro portione dent T. 29. Pro salute imperatorum etc. 45. Pro statu civitatis 4-4. Proxumus T. 37. 42. Puella 84. Puxis eborea 141. Qua fineis fierent dixserunt T. 3. Qua lege agrum possiderent T. 3. Quae vixi in connubio annis xi etc. 08. Quei T. 17. 18. Quo setius eam pequniam accipiant T. 27. t Quod aquae usum vetustate Japsum requisitupi ac repertum saeculi felicitale cursui pristino reddiderit X 38. Quod se facturos receperunt 102. ( 705 ) INDICI fiî Ratio privata i2">. Recta regione T. 8-0. 12. Reliquiae ejus conditae sunt 162. Reliquit filios et nepotes 79. «r Sacrificium facerent an. fare (farre) et libo 4 62. (In quell’ au. o si volle esprimere la ricorrenza annuale o che il farro fosse di quél- V annata). Saeculi felicitas 158. Salubri relationi magistrorum nostro-rum consentiri 49. Sarcofagum (sic) 5. Scriba 47. 185. Securi viximus 245. Sei quis in vinculis ob eas res est T. 45. Seiquoi (si cui) T. 44. Senatus 22. Sibi 21. Tabernari Salinienscs posuerunt 159. Tabulamque aeneam hujus decreti nostra scriptura adfigi praecipiat ubinam j usserit 49. Templum dicare 212. Restituere 59. Rivo recto T. 10. Rivoni T. 10. Rosas deducere 162. Sibi et suis 89. Sine ulla quaer. (querela) 13. Sine ulla reprensione vitae 75-Singularis legionis \ 55. Si quis voluerit corpus alienum ponere 58. Solvei mittei libérique (liberarique) Genuenses videtur oportere T. 4 5. Solum 64. Sponsa 46. Statuam decernere 162. Statuam posuit. Sursum T. 10. 16. 17. 18. 50. 21. Sursuorsum T. 14. Sursumvorsum 15. Suso vorsum T. 7. Susum T. 7. 8. 15. Termina duo T. 8. Terminis ad lMacram positis 240. Tesserarius 50. Testem futurum in aevo 49. Tu qui legisti nomina nostra vale 183. INDICI ( 796 ) v Ube (ubi) T. 59. 40. -Ube vellet ponerit (poneret) 59. Ubei T. 4. Vectigal T. 6. 24. 29. 55. 50. Vectigal a viatoribus exigere 257. Vestiarius 202. Vexillum 184. Viam Juliam Augustam quae vetustatem interciderat sua pecunia restituit 218. 221. 225. Vini pars sexta T. 27. Vir integerrimus 240. Viro innocenti 246. Vivens posuit 21. Vivi fecerunt 19-2. Vivi fecerrunl (sic) 172. Vivos (vivus) fecit 181. Vivus fecit sibi 164. Vixsit 92. Univiria 15. Votium (votivum) 49. Voto compos 59. 4(L Voto suscepto pro salute ejus 32. Votum solverunt 195. Urbanus 20. Urgentis annonae sinceram praebitionem ac munificentiam 138. Utei T. 55. Uxor 11. 21. 185. ( 797 ) INDICI ESPRESSIONI Amico benemerenti fecit 141. Amico incomparabili 6. Bene merentibus fecit 6. Benemerenti et sibi posterisque eorum 28. Collibertae carissimae fecerunt 80. Con jugi benemerenti 77. Con jugi carissimae 154. Conjugi carissimae et castissimae 13. Conjugi incomparabili 229. Conjugi incomparabili cum qua vixi sine ulla reprensione vitae annis xxx. 75. Conjugi optime bene merenti 23. Conjugi suae karissimae 26. Conjugi suo bene merenti 78. Conjux piissimus bene merenti fecit 68. Dulcissimo fecit 143. Fecit Apertius Felix conjugi simplicissimae benemerenti 94. Fieri curavit Bonosa sorori dulcissimae 10 i. D’ AFFETTO Filia patri pieniissimo 70. Filia piissima 98. Filio carissimo fecit 456. Filio pieniissimo bene merenti fecit 8. Filio pieniissimo parentes infelicis- mi 126. Fratri piissimo fecit 3. -Fratri suo diarissimo 160. Homini dignissimo uxor et gener 108. Marito opt. benemerenti fecit 247. Mater filiae piissima 147. Maler filio optimo 402. Mirae erga maritum amoris atque castitatis faeminae 151. Parent(es) filio pieniissimo 125. Patri dulcissimo fecit 17i. Patrono dignissimo 5. Posuit ob merita ejus 166. Salve 81. Uxori karissimae i. INDICI ( 798 ) abbreviazioni e sigle \ AB • N Abnepos 40. ADLEC • Adlectiis 2-2. AED ■ Aedilis 100. AQYENS • Aquensis 22. B B • M • Benemerenti 8. B - M • F • Benemerenti fecit 75. B • M • F • S • P • S • Beneme- AVG*LIB*Augusti libertus5. 19.454. AVG • C • LIB • Augusti Caesaris libertus 7. AVR • Aurelius 5. remi fecit . sibi posterisque suis 105. BE • Beneficiarius 29. 0 • L • Caiae libertus 17. CAM Camilia (tribù) 22. > Centurio 20. 155. 454. > FR • Centurio frumentariorum 45. CERIAL • Cerialis o Cerealis 22. CO • 1 • NAVT • Cohortis oppure Collegii i nautarum? 128. 129. 149. 150. COH • LIG • Cohortis Ligurum 164. COHOR • LIGY • Cohorlis Ligurum cJ 164. 165. 166. 167. COH • H • LIG • Cohortis secundae Limrum 168. o CO ■ f • VR • Cohortis primae urbanae 29. Si veda V illustrazione, ove in luogo di VR è notata la variante di P • V, le quali sigle apposte alla prima coorte urbana significano pia vindex. Si noti che nella detta illustrazione è sfuggilo victricis invece di vindicis. CONI • Conjugi 13. COLL • N • Collegium nostrum 49. COMMEN • ALP • MARIT • A commentariis Alpium Maritimarum? 151. ( 799 ) INDICI COS * Consul 22. COS • 111 Consul lertio 43. COS • IV Consul quarto 40. COS • V Consul quinio 42. DAC • Dacicus 22. DEC • Decuria 21. DEC • Decurio 21. 123. DERT • Der tone 21. 1) • Domo 122. D • D • Donum o dono dedit, dat, dicat, dedicat, dedicavit 32.42. 50; oppure decreto decuriorum o devoti 197. D • D • D • Donavit dedicavit, oppure dono dederunt dcdicaverunt 204. EP • Epulum 140. FAL • Faierina tribù 90. 146. F • C • Faciendum curavit o curaverunt 104. 186. FEC • Fecit 11. FECER • Fecerunt 10. FERET • Feretrum,jpe?' tumulum? 151. GENVENS • Genuensis 22. H • V • S • L • M Herculi o Hygiae votum solvit libens merito 37. COS • Consulibus T. 3. 29. 37. C° S c Cos Consulibus 4S. C • SPL cum splendore 49. CVRANT curante 433- D • L • D • iJonum ovvero dono libens dedit 51. D • M • Dis Manibus 3. 5. 6. 7. 8. 13. 14. 28 e molte altre di seguito. « D • M • S • Dis Manibus sacrum 95. D • S • De suo 128. D • S • P • De sua pecunia 74. II VIR Duumvir 60. II VIR ITER Duumviri iterum 54. II VIR IV Duumvir quarto 39. 40. C t | EQ • R • Eques Romanus 86. 133. 151. F • I • D • P • S • Fieri jussil de pecunia sua? 198. F • lilia 12. F • Fortunae o Felicitati 35. FLAM • Flamen 21. FR • Frumentarius 43. 129. G | GERM • Germanicus 42. II II • F • Heredes fecerunt 170. INDICI ( 800 ) H • F • G Heredfes faciendum curaverunt 150. H • E • T Hic est tumulatus, o meglio heres ex testamento 1.49. j HE- T • F • Meres ex testamento fedi 108. USE- Hic situs est 170. HONO • PVBL • Honore publico T. 45 1 • G • Ita censuerunt -49. I O • M * Iovi opiimo maximo 45. IMP • V • COS • VI. Imperator quinto • Consul sexto 58. IMP • XI • Imperator undecimo 40. IMP • XIV Imperator decimo quarto 127. IT • Iterum T. 45. K • SEXTIL • Kalemlis Sextilis o Sextilibus T. 28. LAR • Lararium 55. LAYR • LAVIN . Laurens Lavinas, (sacerdozio) 90. LEG • Legati T. 46. LEG • II • AVG • Legio secunda Augusta 155. LEG • II • ITAL • P • F • Legio secunda Italica pia fidelis 45. LEG • III • ITALICA • Legio tertia Italica 455. 454. LEG • VII • G • F • Legio septima gemina felix 155. o LI • Liberabuntur ? T. 45. L ■ M • F • Libens merito fecit 6. L • M • P • M • Libens merito post mortem? 6*9. L • D ■ 1) ■ D • Locas datas decreto decurionum 31. 70. 152. 157. L • F • Lucii filias ii ed altri. L F L • N L - PRON • Lucii filius Lucii nepos Lucii pronepos 495. L • L • Lucii libertus e liberta 9. J»I M • Magister 446. M • F • Marci filius 50. * MMA • Memoriae aeternae? 454. M • CHOOR • VIII • P • PR • Miles cohortis octavae praetoriae 455. MIL • CHOR • X • URB • Miles cohortis decimae urbanae 20. MIL • LEG • VII • G F • Miles legioni s septimae geminae felicis 423. M1L • DUPL1C • Miles duplicarius 129. ( 801 ) INDICI MIL • FRüM • LEO • II • AUG • Miles frumentarius Legionis Augustae secundae 135. N • Nepos 40. 41. NEP • Nepos 146. N • N • Noster numerus 49. P • G • Patronus Coloniae 39. 40. PRAEF • COH • PRAET • Praefectus cohortis praetoriae 22. PRAEF • FABR • Praefectus fabrum 21. 59. 40. PRAEF • PROLEGATO • Praefectus pro legato 39. 40. PRAEP • Q • Praefectus quinquennalis 1Q6. PRAEP • P • PEDIS1C • Praepositus puerorum pedisicorum (pedisequorum) o. Q • V • A • Quae vixit annos etc. 115. Q Ti VIR • QQ • Quaestori duumviro quinquennali 157. IIII * V • I • D • Qualuorvir juri di-cundo 21. 92. Q • Qui 22. SAG • FA • Sacris i a ei undis 191. S • A • o meglio SAC • Sacrum 24. MA- XVII • VA- XXXV • Militavit annos septem et decem, vixit annos quinque et triginta 122. N • !> • corretto in N • T • M • Numini tutelari municipii 24. PLEB • Plebis 22. P • M • Plus minus 240. P • M • Pontifex maximus 40. PONT • Pontifex 31. P • Posuerunt 143. PROC • AVGG • NN • Procurator Augustorum nostrorum 25. o PRO N Pronepos 40. P • S • D • D Pro salute domus divinae 153. P • M • V • C • P FIL • Publio Mucio Publii filio 93. QiV • VIR • MASS1L • Quinti nepoti viro Massiliensi 157. Q • V • F • S • E • Quod verba facta sunt esse etc. 49. QUODANN • IN • PERPET • Quo-dannis, cioè quotannis in perpetuum 162. SAL • limi • VIR • Saliniensium sevir 131. 51 INDICI ( 80i ) SELEC • Selectus 21. S P • Q • R • Senatus Populusque Roman us 157. VI • VIR • ÀVG • Seviri Augustales 137. limi Sevir 131. SEX • F • SEX • N • SEX • PRO • N. T 0 • 0aya>v âavôvroç. Defunctus, defuncti 48. T • F • Titi filius 3. T • F • I • Titulum fieri jussit, o jus-serunt 140 1-18. 200. T • RI • POT • Tribunicia potestate 40. 42. 43. TRIB • POTES • XVIII • Tribunicia potestate decimo octavo 127. TR • MIL • LEG • VI • VICTRICIS • v VERCEL • Vercellae 21. VA* Vivat Amor 84. VIC • N • CCCC • Victoriatos numos quadringentos T. 25. VIC • CVN • Forse CVR • Vici curatores 145. V • F • Vivens fecit 72. 89. V • E • Vir egregius 133. V • F • Viventi fecit 202. Sexti filius, Sexti nepos, Sexti pronepos 52. SINGULAR • LEG • EiYSl) • Singularis Legionis ejusdem 135. STAT1EL • Statiellensis 22. SVSCIPE • DIGNET • Suscipere dignetur 49. Tribunus militum Legionis sextae victricis 30. 40. TR • MIL • LEG • XXII PRIMIG • Tribunus militum Legio^jis xxn primogeniae 50. 40. Jll • VIR • NAVAL • 25. Da correggersi. V. Ï illustrazione. III • VIR • R • C ’ Triumvir Reipu-blicae constituendae 58. TURIC • Tubicen per tibicen 149. \ V • PO ■ Vivens posuit 21. VA- XVIIII • M • X • D • XIX • Vixit annos... menses... dies... 125. V • A • L • I • Votum animo libens implevit? 88. V • S • L • M • Votum solvit libens merito 33. 53. 180. V * S • L • S • Votum solvit libens S ? 34. ( 803 ) ADDIZIONE DELLE ISCRIZIONI SUI TERMINI STABILITI DAGLI ARBITRI ROMANI PER L’AGRO VETURIO ADDIZIONE DEL CANONICO GRASSI ALLA SUA TRATTAZIONE SULL’ ISCRIZIONE DI PORCEVERA Consta dagli scrittori gromatici che i termini, specialmente di confini che riferivansi a Comunità, erano muniti d epigiafc indicativa del tratto di limite, che dall uno all altio tonnine prossimo dovevasi percorrere. Possiamo adunque, sotto una qualche direzione dei citati scrittori , dal testo della nostra Tavola indovinare sottosopra quali potevan esserne le rispetti e iscrizioni, che il Mensore vi fece inscrivere, c clic in un colla Mappa del luogo portò seco in copia a Roma, pei senile documento e di note alla compilazione della Sentenza. Diamone quindi per ora quelle dei cippi dell agro piivato. iscrizioni dovevan essere, al solito, bie\issime, accennan solo alle cose di fatto. In quanto alle noime tei minali men.o , supponevansi abbastanza note, quando segnatamente d’ agro arcitinio, cioè non diviso e limitato per linee matematiche , ma per confini naturali di gioghi e d acque. ADDI ZI ONE ( 804 ) _ I. CIPPO n • LEMVR • AD • CAEPTIEM • PROPT ' v (Hinc) recto (fluvio) Lemuri ad Caeptiernctm pi°plei ( uun- II. CIPPO AD • PROXVM • TRANS • V • (Hinc) ad proximum (terminum) trans viam. III. CIPPO R • YINDYPAL • AD • VINELASC * INFVMVM (Hinc) recto (rivo) Vindupale ad (rivum) I inelascan infimum. IV. CIPPO R • R • S • AD * V • POSTVMIAM (Hinc) recto (eodem) rivo sursum ad viam Postumiam. V. CIPPO R • V • S • AD • T • TRANS ■ V • (Hinc) recta via sursum ad terminum trans (eamdem) vian . VI. CIPPO R • V • S • AD • FONTEM • IN • MANICEL • R•Q • R • AD • FLOV • EDEM (Hinc) recta via sursum ctd fontem in Manicelo, i c cloque rivo ad fluvium Edem. del volume terzo degli atti DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ( 805 ) INDICE’ LUME TERZO DEGLI DELLA hlenco degli Ufficiali, che ressero la Società e le Sezioni di essa negli anni 1862-1864........v Sodi Effettivi..............» xvn Sodi Onorarli..............}> xxv Sodi corrispondenti.............w xx,x Necrologia...............» xxxv Doni fatti alla. Società dal I giugno 1862 al 15 novembre 1864 ..............* XL1H Rendiconto dei lavori fatti dalla Società negli anni accademici 1862-1864, del Segretario Generale cav. L. T. Belgrano...............» xl Iscrizioni Romane della Liguria raccolte ed illustrate dal Socio can. prof. Angelo Sanguinati.......w CXLV Prefazione...............* CXLV11 Genova................* ^ Appendice a Genova............w ^ INDICE DEL VOLUMI! ( 806 ) Riviera Orientale..... 5. Croce di Teriasca . • • • * • • * S. Bartolommco di Bozzonengo . , S. Margherita Rovereto . Luni .... Riviera Occidentale. .... Cornigliano . . . Savona Bcrzezzi . . . Albcnga . . . Arma .... V en timi glia . Mcntone . Roccabruna . . . . • Monaco . . . Turbia..... Cernendo . . . ........ Nizza .... Settentrione....... Libarna........ Dei Cippi Migliari e delle Strade Romane in Liguria La Liguria della Tavola Pciilingci lana...... Segmenti della Tavola anzidetta che comprendono la Liguria......... . fra le pag. 328 e ( 807 ; INDICE DHL VOLUMI: Bronzo di Porcevera rappresentalo al quarto della sua grandezza.........fra le pag. 550 e Pag. 557 Della Sentenza inscritta nella Tavola di Porcevera. Trattazione del Socio Canonico Luigi Grassi. « 391 Al Chiarissimo Canonico Angelo Sanguineti (Preambolo epistolare'...............» 595 Introduzione............ ...» 405 Tavola rappresentativa del Bronzo di Porcevera, ridotto alla proporzionale superficie di poco più del quarto'del-i originale, imitala minutissimamente secondo la possibilità della combinazione dei tipi mobili, fra le pag. 410 e » 411 Osservazioni sul Bronzo, rispetto all incisione dell' Epigrafe ed ali accertamento della lezione qui ripubblicata; e Note a dedurne la retta intelligenza......* 1V1 Sentenza de’ Minucii sulla controversia tra i Connati e i Langesi Veturii, ridotta alle condizioni ortografiche comuni ................»499 Sentenza de Minucii volgarizzata........M Appendice. I. Alcune storiche, politiche, critiche rilevanze » 517 li. Rilievi giuridici........» 519 IH. Dati ed argomenti di topica applicazione dell' ambito dei confini......” Mappa topografica dell’ alta Porcevera, indicativa dell’ applicazione degli antichi nomi della Tavola dell' agro privato dei Langesi Veturii, e di parte del pubblico alle attuali condizioni, fra le pag. 520 e » 521 IV. Rimole Liguri antichità......” *>^4 Sulla Tavola di Bronzo della Polcevera, e sul modo di studiare le origini Ligustiche. Lettere tre al Canonico Professore Angiolo Sangumcli del Socio Cav. Avv. Coi- • » 5C)9 ncho Desimoni............. Lettera I. Sulla questione topografica. :.....* 5^1 INDIGIS DEL VOLUME ( 808 ) Lettera Ï. Carta comparativa della Valle eli Polcevera antica e moderna, per la dichiarazione della Tavola di bronzo fra le pag• £>30 c Pag. 551 li. Sulla questione sociale........w III. Sulla questione filologica.......w ^)ò,} Additamenti del Socio Canonico Prof. Angelo Sanguine ti. » /45 I. Iscrizione Latina del Tortonese ....•• • ,} ^47 II. Iscrizione Greca, posseduta dal Barone Baratta, in Rapallo ........* / ^ III. Iscrizione Greca esistente presso il Coni. Varili in Genova................» 755 IV. Su varii oggetti d' antichità scavali in Tortona, Cenni 7S7 del Socio Cav. Luigi Tommaso Belgrano w . INDICI DELLE PAROLE DISTRIBUITE PER MATERIA Divinità................w Personaggi appartenenti a famiglie imperiali disposti in ordine cronoloqico............» 76J » 771 Nomi di uomini .............w Nomi di femine.............., » 785 Dignità, gradi e titoli . . ,........ Indice Geografico . . . .........* w ^ Indice di Latinità..........■ • ^ Espressioni d' affetto .....................^ Abbreviazioni e Sigle............ Addizione del Socio Canonico Grassi alla sua Trattazione 805 sull* Iscrizione di Porcevera: Delle iscrizioni sui termini » OPERE DELLE QUALI LA SOCIETÀ HA DELIBERATA LA PUBBLICAZIONE --JVVVX/X/VVVVv^-' Volume iv, fascicolo i, contenente il Rendiconto dei lavori fatti dalla Società nell’anno accademico 1864-1865, del Segretario Generale cav. L. T. Belgrano; e l’Illustrazione storico-artistica del Palazzo di Andrea D’Oria a Fassolo in Genova, compilata da una Commissione eletta dalla Società e dall’ Accademia Ligustica ; con incisioni in rame in foglio grande. Voi. ii, partei, contenente l’Illustrazione del Registro della Curia Arcivescovile di Genova, del socio cav. L. T. Belgrano. Delle opere di Matteo Civitali in Genova, Commentario del socio prof. coni. Santo Varni. Delle opere di Nicolò Da Corte, Gian Giacomo e Guglielmo Della Porta scultori, Memoria dello stesso. Della vita privata dei genovesi, Dissertazione del socio cav. L. T. Belgrano. Documenti sulle relazioni commerciali c politiche di Genova coll’ Oriente, raccolti ed illustrati dal socio cav. avv. Cornelio Desimoni. Carte idrografiche liguri del medio evo, raccolte ed illustrate dallo stesso. LAVORI AI QUALI SI ATTENDE DALLA SOCIETÀ Cartario e Regesto di documenti genovesi, preceduto da una raccolta d’estratti di antichi geografi e storici sulla Liguria. Iscrizioni ed altre antichità dei tempi cristiani. Epigrafia numismatica ligure ; con memorie e documenti relativi alla Zecca di Genova. Bibliografia storica ligure. CORREZIONI E» AGGIUNTE ALLA RACCOLTA DELLE ISCRIZIONI Ne,U prefazione alla „.Slra Bacco,,a abtó,„,o conosce, che, lungi dal credere d’aver in essa raggiunto Y apice della perfezione in un lavoro di questo genere, confidavamo invece nella cortesia de* nostri lettori e nel loro zelo per la scienza, che se ad alcuno venisse fatto di rilevare qualche inesattezza nelle epigrafi e nei nostri giudizii, o potesse suggerircene alcuna che fosse sfuggita alle nostre ricerche, noi avremmo profittato con riconoscenza delle loro osservazioni pubblicando un supplemento di correzioni e di aggiunte. Alcuni insigni personaggi e qualche nostro benevolo e insieme cultore di antichità, hanno tenuto il nostro invito e ci hanno comunicato i loro appunti, dietro ai quali noi siam qui a liberare la nostra parola. Fra i nostri critici primeggia Y insigne Mons. Celestino Cavedoni, in cui la morte ci rapi, non ha mollo, il più autorevole Archeologo e una delle maggiori illustrazioni italiane, il quale CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 4 ) ALLE ISCRIZIONI benché maturo d’ età, pur fresco e vegeto coni era di senno e d’idee, prometteva ancora larghi e preziosi frutti alla scienza, se più gli fosse bastala la vita. Un articolo che si pubblicava negli Opuscoli Religiosi ecc. di Modena, fascicolo di gennaio e febbraio 4866, fu V ultimo scritto che usciva della sua penna, ed era appunto quello in cui avea passato a rassegna le ìscri zioni della nostra Raccolta. À lui debbo singolarmente la ret tificazione di alcuni abbagli che ho preso, come ingenuamente noterò a suo luogo. Che -se qualche espressione da lui usata apparisse alquanto acerba, ciò vuoisi attribuire alla se\erita del suo carattere e alla qualità di censore che era avvezzo ad assumere, per cui si era formato uno stile piuttosto arido e ri ciso, che non risparmiava nemmeno verso gli uomini più prò fondi, se gli parea che in alcuna cosa non fossero nel 'veio. Forse a mio riguardo ci entrò per qualche cosa 1 averlo aper tamente contraddetto in un punto di erudizione greca, sul quaje amò meglio passar sopra che contrastare o darmi ragione. al contrario non solo mi confesso vinto in parecchie cose, ma gli professo la maggior gratitudine di avermele fatte conoscere. tanto più che questa stessa sua severità è per me un assicu razione che tutto il resto può reggere alla critica meno in u gente , e così mi sento rinfrancato da una non lieve trepi dazione. Or dunque premesse alcune correzioni di sviste tipografiche, passeremo a rassegna, secondo il numero progressivo ce e epigrafi, le osservazioni che mi furono porte non solo a Mons. Cavedoni, ma da altri eruditi ancora, i quali ebbero la gentilezza d’inviarmele direttamente o per mezzo del Se gretario Generale: il che quanto all’effetto torna lo stesso. Soltanto per risparmio di spazio lascerò ( quando non si tratti di cosa di molto rilievo) qualche ampliazione di dotti ina che Mons. Cavedoni va qua e là suggerendo. CORREZIONI ICI) AGGIUNTE ( 5 ) ALLE ISCRIZIONI ERRATA CORRIGE Pag. CL linea 15 Fulvio Orsini Andrea Fulvio V 6. » 24 nomi rami » 34. » 16 1733 1833 h 45. » 24 piae victricis piae vindicis » 90. » 19 quello quelle » 90. » 28 possono possano s 92. » lo compii alo compilalo » 96. » \ 1 Ritschel Ritschl » 99. n 38 ab ob » 108. Iscr. n.° 55 L • PETRINIANO L • F • PETRINIANO » 418 linea o dello dolto » 243. » 32 lardisi avvide .tardi si avvide » 424. » 21 orientale occidente » 440. i» 28 necessità necessita )» 776. (Indice) Plaucus Plancus N. l i. Mons. Cavedoni dice che « Balbus fa cognome degli » Antonii; onde M. Antonius Hilarus pare figlio di un « M. Antonius Balbus ». Appunto perchè Balbus è cognome, non può usurparsi a significare la figliazione, la quale per r uso generalissimo praticato dai romani e fondato sulla ragione, si deduce dal prenome, ossia nome personale del padre. Tutto al più si potrebbe dire (benché cosa inusitata) che il terzo nome fosse stato usurpato a questo uffizio, quando fosse nome diacritico della persona, ma non mai nella qualità di cognome. Perciò intorno a questo io conservo la mia opinione. N. i5. In questo frammento dove é RATV propone di leggere ARBITRAIT ; giacché questa clausola è frequentissima negli antichi epitafii. Sia. N. 16. AGNIS ET PIETAS ET NO ... gli sembrano nomi proprii di liberti di Giocondo scritti in caratteri minori sia per modestia, sia per altra ragione qualunque. Può benissimo essere. CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 6 ) ALLE ISCRIZIONI N. 17. \uolsi accettare senza restrizione T osservazione sul 3, che quantunque significhi CAIA come C significa CAIVS, pure queste sigle si usurpano anche ad indicare semplicemente uomo o donna. Per questa arrendevolezza del 3 bisogna desumere il nome della padrona da quello del servo e leggere CVR-TIÀE LIBERTVS. Lo stesso si applichi al n. 101. N. 20. Il Kellerman lesse di più nella sesta riga VIXIT. AN. . . I. . . N. 25. Osserva il Ch. Cavedoni che questa epigrafe riportata dall Orelli é ripudiata come spuria dall’ Henzen. Né io ci attaccavo grande importanza : anzi avevo rispinto 1’ interpretazione dell Orelli che la faceva divenir ligure. Ed io V abbandono. N. 26. Su questa iscrizione e sulle tre seguenti il nostro bravo socio Sac. Marcello Remondini ha fatto parecchie utili osservazioni che ha trasmesse al Segretario Generale insieme ai disegni,, da lui stesso con molta abilità eseguiti, delle urne cinerarie, su cui quelle iscrizioni sono incise. V' è la sua scala a lar giudizio della grandezza e delle proporzioni con cui le parti si rispondono fra loro. Il quaderno che contiene i disegni e le osservazioni é dedicato alla Società : di che a nome di questa gli rendo pubbliche grazie, mentre ne delibo ciò che al mio scopo può avere maggiore importanza. E riguardo a questa prima, comincia col determinare più esattamente il luogo dove sorge la chiesuola di S. Croce, dicendo che si trova sulla cima d' un monte nel territorio della Pieve di Sori, la qual chiesa le sta a mezzodì, mentre Te-riasca le riesce a tramontana. Dopo alcuni altri particolari sulle dimensioni deir urna, della tavola e delle lettere, ci assicura che quell’ N ridondante in CONNIVGI non esiste affatto. Egli avea ritratto l’epigrafe dall"originale in altri tempi. Noi dubbiosi tra la lezione d’ una copia che avevamo alle mani, ove è CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 7 ) ALLE ISCRIZIONI doppia e quella del sig. Enrico Carrega e dell'Ab. Zolesi che la danno semplice, eravamo ricorsi per lettera ai Parroco di Teriasca da cui credevamo che dipendesse quella chiesuola, e questi ci confermò 1' esistenza delle due NN. Ora 1’ Ab. Re-inondini ci fa sapere che egli , trovandola semplice nel suo apografo, andò espressamente a rivedere il monumento per chiarirsi se aveva avuto le traveggole quando la copiò la prima volta. Questa gita gli fruttò di venire in cognizione che la persona pregata di andar a consultare il marmo si era contentata di consultare un suo manuscritto (e forse nemmeno questo) e si era così cavata da ogni briga e disturbo. Parrà forse che un’ N di più o di meno non richiedesse tante parole, e pare, a dir vero, anche a noi ; ma non abbiamo voluto passar sotto silenzio questo fatto per rendere a ciascheduno ciò che gli tocca. N. 27. Il sig. Ab. Remondini ne ristabilisce la lezione in questo modo: DM HATERIAEQF PARATAE Afferma egli che 1' ultima lettera della seconda riga è veramente F, di cui si sentiva il bisogno, e che per conseguenza non è I’ R di REPARATAE , il qual nome dovrà per conseguenza contentarsi d’ una sillaba di meno. Rettifica anche la O descrizione del basso rilievo, trovando, in qualche cosa, meno esatta quella del Prof. Alizeri. Ai suoi appunti e al suo disegno rimando chi fosse vago di saperne più oltre. N. 28. Siccome pel disegno di quest’ urna io mi riferiva a quello pubblicato dal Prof. Alizeri nei Monumenti Sepolcrali della Liguria ; egli lo appunta di poca esattezza e ne fa rilevare i difetti. Osserva ancora che il monumento non è prò- CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 8 ) ALIÆ ISCRIZIONI priamente in chiesa, come si potrebbe dedurre dalle nostre parole ; ma nel vestibolo della Canonica. N. 29. Il sig. Remondini osserva che la lezione presa dal Giornale Ligustico è inesatta, ed approva quella che ci siamo procurati dall’Arciprete del luogo, il quale ha trattato da uomo onesto e cortese. Qui Mons. Cavedoni rileva con ragione una svista che mi occorse proprio materialmente nello scrivere, cioè di aver interpretato le sigle PV piae victricis in luogo di piae vindicis, titolo dato alla prima coorte. Me ne avvidi nel compilare V indice e in esso lo notai, come si può vedere alla pag. 798 air abbreviazione CO • I • YR. Ma il dotto critico non era certamente obbligato a percorrere l'indice. Eppure cita due volte anche questo; ma^allora non si trattava di giustificarmi. N. 30. Al desiderio che esprimevo di veder registrata nei Lessici la voce compitalis in significato di Sacerdote dei Lari, dice che ha di recente soddisfatto il dotto De-vit. N. 32. Riguardo a questa l’illustre Autore della collezione Lunense mi scrive che nella ristampa della sua opera fatta in Massa nel 57 (che per disgrazia non mi venne fatto di vedere) egli ha abbandonato Y idea che Phrixus Helle fossero un7 allusione alla nota favola per qualche vicenda del soggetto del-1 iscrizione , e che invece crede indicarsi un luogo del Peloponneso, cioè la Frisso Ellenica per discernerla da quella del-1 Asia Minore. Mons. Cavedoni, che probabilmente non ha veduto questo nuovo rilievo del Cav. Promis, propone di riconoscere in quei due nomi un servo ed un’ ancella di Giusta che si associano per quel voto al liberto Cleanto. N. 33. Dove io propongo di supplire libertus , Mons. Cavedoni afferma che mancando questa parola, il soggetto si può riguardare come servus. N. 34. Lo stesso spiega V • S-L- S per votum susceptam libens solvit. Ottimamente. CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 9 ) ALLE ISCRIZIONI N. 36. In questo par che ridondi un L che io credeva sfuggito allo scalpellino per errore. Il dotto critico propone di spiegarlo per libertus , la qual parola quando é ripetuta significa liberto di liberto , e leggerebbe: M • HOTsORIYS M • L • PHILODAmits Libertus Votum Solvit Libens Merito. N. 37. Ho detto che Memnon più regolarmente si direbbe che Memno. Non ho inteso di erigere questa osservazione a dogma generale dei nomi greci in on che passano alla lingua latina. Chi non sa che Plato e Strabo sono così adoperati ? Ma certi nomi, specialmente mitologici , di uso piuttosto raro, come è quello di cui parliamo , e come sarebbero per esempio Hyperion, Alcon, Alectryon ec. non saprei se si trovassero usati senza 1’ N. L’ Amphio citato dall’ illustre Critico non serve, perchè in buone edizioni di Cicerone si legge Ampldon: il che egli non avrà certamente ignorato. Si vegga per es. quella di Lipsia curata dal Nobbe. N. 40. Credo importante r osservazione che egli fa sul nome di SAVFETO e ne riferisco le parole : « L’erronea scrittura SAVFETO , invece di SAVFEIO, nel gentilizio del primo de' duumviri, vuoisi ripetere da un abbaglio dell’antico incisore, che scorse coll’ occhio alla desinenza del susseguente cognome VEGETO. Del resto, il trovare un L. Saufeio in Luni mi fa sospettare, che di là fosse orionda la gente Saufeia; giacché nelle monete di bronzo di L. Saufeio ricorre costante il simbolo della luna crescente, che d’altronde finora non venne spiegato ». N. 42. Ripeto che il nono anno della Podestà Tribunizia di Trajano corrisponde all’anno 105 dall’E. V. e che quest’imperatore due anni innanzi, cioè nel 103, era stato console la quinta volta. Monsig. Cavedoni lo vuol Console nel 104. So che in ragione di qualche moneta (forse spuria o errata) v’ebbe chi pose questo quinto Consolato neri04; ma C0IIREZI0N1 ED AGGIUNTE ( '10 ) alle iscrizioni questa è un’ idea abbandonata e tutti convengono nel 103. Al postutto avrebbe dovuto avvertire eh’ egli si allontana a a dottrina comunemente seguita. Ma se egli è padrone di pensar come vuole, non gli consento che mi faccia dire che io iiman o quel consolato due anni innanzi al 104. Parlando dell anno IX della podestà tribunizia di Trajano, che cade nel 10o, diss che due anni innanzi era stato Console la quinta volta, il che ci porta al 103, non al 102, come mi fa dire Monsignore. Questa è stata in lui una distrazione, la quale mi dà diritto di rispingere la nota, che m'inflige, di disattenzione. Gli do poi ragione di maggiore esattezza dove toglie a Sa bina, moglie dell’Imp. Adriano, il nome di Giulia. Non era soggetto di mia illustrazione, ma mi venne nominata acciden talmente, e le diedi i nomi che non il solo Golzio, ma i Muratori, il Mionnet ed altri eruditi le dànno. Sta peiò vero che nè Sparziano, nè i marmi, nè le monete licenziano questa giunta. N. 43. Dal riscontro della precedente e di una base sco perta in Modena egli argomenta che Y ultima riga mancante portasse Decreto Decurionum. N. 48. Nella seconda riga propone di leggere VILicus dove il Sig. Promis legge Villius o Villonius, dove il Repetti opi nava doversi riformare Y L in C e legger VIC. Il Cavedoni si appoggia sul riscontro di un’ altra epigrafe che riporteremo nelle aggiunte. E un vilicus Y abbiamo anche nelle nostie al N. 30. N. 49. Per questa io presi le mosse dalla pubblicazione fattane pel eh. Orioli, da cui Y avea pur tolta il Sig. Promis. Monsig. Cavedoni mi avverte essere stata felicemente rinte grata dal Prof. Girolamo Bianconi (An. dell Inst. Archeol. 1846) col sussidio di un frammento scoperto posteriormente all’ edizione deir Orioli. In Genova non si trovano questi Ari- CORREZIONI ED AGGIUNTE (il) ALLE ISCRIZIONI nali e perciò non potendo riprodurre per intiero 1’ iscrizione, riporterò le prime otto righe dal medesimo Cavedoni, il quale ci assicura che le rimanenti non variano di mollo. Se la potessi dare intiera secondo la lezione del Prof. Bianconi, lo farei volentieri ; ma bisogna che mi contenti di quel tanto che si compiacque di riportarne il eh. Cavedoni. Onde se era a dolere, com’ egli si esprime, che mi sfuggisse la detta edizione, i dolenti si potranno in parte consolare di questo poco. Imperatoribus Publio Licinio Valeriano Augusto tertium et Gallieno Augusto iterum consulibus.... Februarias. In collegio suo cum frequens convenisset numerus Centonariorum, ibique referentibus Quinto Mirone et Flavio Festo juniore magistris ; quod verba facta sunt\ esse opportunum in perpetuum collegio nostro si eos patronos nobis cooptemus homines illustres praeditos bona vita, maxima fide, mansuetudine plenos: ergo cum sit Lucius Cotius Proculus vir splendidus cumulatus patricio splendore civitatis nostrae Lunensis, homo simplicis vitae, ecc. La Lezione mansuetudine plenos (aggiunge Monsignore) che riesci una delle più astruse, devesi al eh. Frati, e confermasi pel riscontro del n. 138 delle Iscrizioni Liguri ove leggesi T encomio: ob egregiam ejus ad omnes homines MANSVETV-DINEM. Così consta ora che Luni, oltre i Collegi Dendrophororum et Fabrum Tignariorum, ebbe eziandio quello de' Centonarii. N. 55. II ch. Cavedoni osserva con ragione mancare in questa un’ F dopo Y L, come non ho mancato di notare nel-1’ Errata. CORREZIONI ED AGGIUNTE (12) ALLE ISCRIZIONI N. 58. Il medesimo espone il sospetto che questa possa essere cristiana, essendosi forse perduto nella prima linea un BONAE o LAVDABILI o cosa simile da aggiungersi a MEMORIAE. Riguardo alla multa in solidos quinquaginta io sulla dottrina del Du Gange e dello Scaligero avevo detto che la voce solidits presa in questo senso non era invalsa prima dei tempi di Diocleziano ; ma egli afferma trovarsi in Apuleio (Metam. IX cf. Eckhel Vili p. 5H). Consente però la presente iscrizione accennare a’ tempi Costantiniani ed anche posteriori. N. 87. Io ho detto che probabilmente invece di Ilevìetci si dovea leggere Hevretiae. Il Ch. Cavedoni dice- « Bene sta il cognome feminile HEVRETEI composizione greca in terzo caso dal retto ‘EXPETIS ‘Evperéi e vale inventrice ». No, Monsignore, questa volta non posso consentire con voi. In primo luogo è mal detto che questa sia una parola composta, pei che evptrea dall’ obsoleto evpéco è radice semplicissima e nulla assu mono per comporsi a nuova foggia i nomi che se ne figliano, come tfpemç invenzione, styerk inventore svperis e sùperi* 'inventrice e parecchi altri. In secondo luogo poi il terzo caso di svpsTtç (àoç è EvpEuSi non svpETsi. Anzi questa parola non si ded neppur dal maschile, perché evpsrnç essendo della prima deeli nazione fa sùperov al genitivo e al-dativo per conseguenza fa eùpsTri. Questi elementi grammaticali provano 1 incongruenza di queir Hevretei e la debolezza della sua difesa. N. 90. lo dissi che dai tempi degli Antonini in poi negli Scrittori non si fa più menzione di Laurento: egli dice che nelle Lapidi si ricorda come distinto dai Laurenti Lavinati per lo meno fin sotto Severo e Caracalla. Possono essere \eie entrambe le proposizioni. L’esempio però che adduce (Orci. 6521) dove si legge CVr. LAVRENTIVM VICO AVGVSTINO-RVM; non mi offre un Laurento schietto. Ma lascio la cosa cosi. CORREZIONI ED AGGIUNTE (43) ALLE ISCRIZIONI N. 91. Qui devo dar piena ragione a Monsig. Cavedoni e adottare la lezione di SEVERI in luogo di VERI, ascrivendo r epigrafe a Caracalla anziché a Comodo. Questi non fu figlio di L. Vero ma del fratello di lui, Marco Aurelio, il quale ebbe pure il nome di Vero. E questa confusione di nomi fu forse causa dell’ equivoco, che ora ritratto e correggo. N. 92. Alla quinta linea ottimamente suggerisce di supplire mi vir: così le due sigle A • P avrebbero la loro spiegazione in Aediticia Potestate. N. 98. Avendo io proposto di separare la prima lettera di G\OLTIDIVS prendendola come sigla di prenome e di leggere in essa o Caius o piuttosto Lucius in vista del prenome del Patrono ; egli preferisce il primo o voglia dirsi Gaius , che torna lo stesso. N. 101. Secondo il rilievo da lui fatto al N. 17 qui invece di leggere Betutiae Caiae libertae, leggeremo Betutiae Betu-tiae libertae. N. 103. Quel Sintichen, che variamente é scritto e solo correttamente nel Marini che ha Syntyche, non dispiace al eh. Cavedoni,- supponendosi un I di più o logorato dall’antichità, o rappresentato nell’ ultima asta dell’ N alquanto prolungata. Adduce un esempio di epitafìo bilingue , ove al greco corrisponde in latino Sopheni (C. I. Gr. 3738). A dir vero considerando la mano per cui é passata 1’ epigrafe, che è del Cottalasso, e i due I sostituiti agi’Y che guastano l’etimologia della parola, non posso nutrire gran fiducia per questo dativo che il sottile critico vorrebbe rilevarci. N. 103. Vedi osservazione al N. 33. N. 109. Siccome nel nome errato di ELEMES io dicevo doversi riconoscere o Clemens o meglio Itennes, il eh. Cave-doni si dichiara per Clemes senza N, che ricorre frequentissimo in questa forma. CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 14 ) ALMO ISCRIZIONI N. 114. In questa epigrafe, ove è G • OCCIVS * C • l • L PHILOMVSVS, queir Idi mezzo m’impacciava un poco e supposi esservi stato introdotto dall’ ignoranza. Monsignore propone di riconoscerlo per L e di leggere Caius Occius Cari Lucii libertus etc. giacché non è raro l'incontrarsi in liberti di due patroni, che in prima furono condomini di quel dato servo. Il partito è ingegnoso. N. 117. Dove si leççe indicata la tribù coll'abbreviazione O 0 PYB. afferma esservi PVBL. secondo il Kellerman che riscontrò 1’ originale di quel latercolo. N. 120. APOLLIN • V • S • M • C • ANTON. Quelle due sigle che precedono il nome gentile , mi erano riuscite indigeste ; ma in mano al peritissimo Archeologo hanno trovato una probabilissima soluzione, e che rialza magnificamente la preziosità di questa epigrafe. Egli adunque propone di leggere: APOLLINE Xotum Solverunt Marcus Caius ANTONn. 11 fratello di Marco il Triumviro era appunto di prenome Caio. N. 130. Aggiunge la spiegazione di PR • LEG • XX • V • V da me omessa e dietro all' Henzen legge Praefectus legionis XX Valeriae Victricis. Dice pure che altri spiegarono quelle sigle per Valens Victrix, ma a torto. N. 131. In questa 1' Henzen dietro il Millin (t. 3 pag. 169 n. 2066 ) appone alla lezione Orelliana la correzione di VJN-TIO dove è VINCIO, di RYFINIVS FELIX dove é RVFINVS FEL, ed aggiunge in fine la sigla S che vale Soluto. N. 134. Quel P che mi riusciva duro a interpretare, probabilmente, secondo Monsig. Cavedoni, vale Patrono. N. 135 e 136. Al dubbio che ho emesso sulla tribù a cui doveva essere ascritta Cemenelo, Monsignore risponde francamente esser la Claudia non la Quinna e lo prova con un latercolo che produrremo nelle Aggiunte. E se al N. 132 un Lauro Decurione dei Cemenelesi si dice della tribù q\\\ivn(i9 CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 15 ) ALLE ISCRIZIONI ciò vuol dir soltanto, egli dice, che quel Lauro era DECVRIO ADLECTYS NOMINE 1NCOLATVS o per altro titolo, e poteva esser nativo d’ una città ascritta alla tribù Quirina. N. 137. Riguardo a questa riporto le parole di Mons. Cavedoni: giacché ci costa lo ossei>vavo che vi sono due nominativi e che v e 11110 P0Ile ^ monumento all’ altro, ragion voleva che r v °iSSe ^OSto *n imo caso e V altro in terzo. Il eh. ^lltlCO dlCP riiû OA 1* * • • i . _ "e * iscrizione era posta sotto la statua o il busto di Promìn ; • ^ > i casi vanno bene così. Ma che un soldato P o un busto o una statua ad un altro soldato, mi par più no ancora che i due nominativi. Con più ragione il sig. aro romis mi fa notare che questa e quella del N. \66 sono una cosa sola. Ad onta di qualche variante, e della di-sa imposizione delle righe, non se ne può disconoscere ntità. La diversità dei fonti e dei tempi in cui a quelli ^ insi, mi fu causa dell’ abbaglio che il cortese e sagace osservatore mi fa rilevare e di che sinceramente lo ringrazio. . 145. Dove é VIG • CVN il Zaccaria propone di mutar in R e leggere Vici Curatores : il Cavedoni mi par che "t®glÌ0 * indovini non mutando nulla e leggendo VI Cani CVNcti Posuerunt. IV 146. Le sigle T-F I valgano, egli 'dice Testamento lussit o lusserunt. Io avevo detto Titulum ecc. N- 155. Monsig. Cavedoni propone questa lettura: Caio ANTESTIO VELOCI CAITVNIAE AV? Filiae CORNELIAI (ae) Lucio ANTESTIO VEIO ANTESTIA Caii Filici POLLA ■ ARENTIBVS ET FRATRI. E veramente, dalla seconda riga infuori, che mi aveva disgustato, il resto ora corre regolarmente. N- '157. Qui il Cavedoni corregge il QN VIR del Gioffredo e del Muratori in Q • II - VIR cioè Quinquennali II VIRo non g à Quinti N epoti. Cosi quel MASSIL lo compie in MASSI Lût CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 17 ) ALLE ISCRIZIONI anziché in MASSIL?‘e/m e mi corregge anche nell’indice, ove avevo seguitato Y interpretazione del Muratori. N. 4 61. Dove è N • F propone Numerii F ilio, e dove é V • PITO leggerebbe CVPITO. Così le sigle laterali P M interpreta ottimamente per P iis Manibus. Il resto poi lo abbandona aneli’ egli perchè è troppo rovinato. N. 4 74. Io avevo detto che non so che cosa si nasconda sotto quel RVT applicato alla Legione XIV. Il eh. Cavedoni per analogia della Legione IV detta Sorana, deir Vili detta Mutinensis, della seconda detta Sabina, argomenta che possa esser pur questo un nome geografico e spiegarsi per RVTe/ia o RVTu£a ecc. N. 4 72. Qui il mio censore si maraviglia come io abbia potuto leggere Viaticus invece VLATIVS; ma io ho maggior motivo di maravigliarmi eh’ egli ci abbia trovato ciò che non ci è. Per render fedelmente ciò che è nel Durante, ho dato AMILIA invece di AEMILIA, e SBI e FECERRVNT, e cosi parimente VIATIVS, quantunque dal medesimo nome ripetuto più giù si riconosce che invece di queir I abbia a leggersi L; ma quel C, che farebbe Viaticus, glielo avrà forse fatto vedere il desiderio di cogliermi in fallo, ma non esiste realmente. N. 4 77. L’Archeologo Modenese con un colpo di mano maestra racconcia questa epigrafe a perfezione. L' E , che è messa a modo di sigla si unisce col nome precedente e si avrà METTIAE FVSCINAE. Quella sillaba PI gli pare la prima di pientissimae ripetuta per disattenzione. N. 4 79. Monsig. Cavedoni dice in modo assoluto che le sigle HRM apposte alla Legione XXII voglionsi rimutare in PRIMigeniae. Rinunzio alla mia interpretazione, che quantunque non abbia bisogno di cambiar lettere, non viene così naturale come questa. Aggiunge che le altre VC sono da spiegare CORltEZiONI ED AGGIUNTE ( 18 ) ALLE ISCRIZIONI T oto Conceperat. Si noli che le altre abbreviazioni sono distinte coi punti: qui non essendovi nulla, ne ho preso occasione di supporre che quello che apparisce per C fosse l'avanzo di un 0 e lessi vovercu. Qui torna lo stesso e vi é libertà. Meno male che non ha avuto nulla a ridire sulle altre medicature di questa iscrizione. N. 181. Osserva egli non esser questa una lapide ma un sarcofago che al declinare del secolo scorso andò pur troppo perduto, absorto dalle acque del Po. ^ N. 182. Avevo detto che M. Atilio Bradua console nel- 1 anno 185 (E. V.) fu console la seconda volta nel \ 91. Monsig. Cavedoni citando i Fasti Consolari del Borghesi, attribuisce il consolato del 191 a un M. Valerio Bradua. Il Muratori negli Annali nomina questo secondo col semplice nome di Bradua, come è anche nominato in tutte le lapidi che di lui ho vedute. Qui non si trova V opera del Borghesi; ma ho credulo poter riposare su Cesare Cantù, che come in tutti gli altri rami si é valso delle opere più recenti, così ho supposto che per la- cronologia avesse anche sfruttato i Fasti del Borghesi. Ora siccome egli all' anno 4 91 nota, insieme con Cassio Aproniano, M. Atilio Bradua //, e giusto che almeno divida meco il rimprovero delT abbaglio che il Severo Censore mi appicca. IN. 186. Il frammento sotto questo numero lo pubblicai come comunicatomi dall'Ab. Capurro, credendolo inedito. Il C. Costantino Ferrari da Serravalle mi fa osservare che già era stato stampato dal Bottazzi nelle sue Antichità di Tortona, come infatti riconobbi. Appresi pure in essa opera che questo non è altro che un piccolo frammento e V ultima parte di lunga iscrizione scolpita sopra un sarcofago, che dall ignoranza venne fatto in pezzi. Ora queste parole, che come iscrizione intiera non avrebbero avuto senso, come frammento, si CORREZIONI ED AGGIUNTE (19) ALLE ISCRIZIONI capisce che doveano prender lume da ciò che manca superiormente e forse anche lateralmente. Ciò non ci spinge molto innanzi nell’ intelligenza dell' epigrafe, ma ci fa conoscere che non si ha a chiamar ridicola, come sembrerebbe. N. 4 87. Sotto questo numero ho riportato prima poche parole di una lapide che mi erano state comunicate dall’ Ab. Capurro, e poi una lunga iscrizione, ma tutta pregiudicata, inviatami dal predetto Sig. C. Ferrari, la quale coincideva al principio colle poche parole dell’ altra. Io esposi l’incertezza in cui mi teneva questa identità dei primi nomi e questa diversità di lunghezza. Opportunamente lo stesso C. Ferrari con sua lettera mi avverti 1’ originale essere stato trasportato a Genova e trovarsi alle mani del Com. Yarni. Questo avviso mi porse occasione di vedere il monumento coi miei occhi, profittando dell’ usata gentilezza del possessore, e benché lo stato della scrittura non sia il migliore, mi par di averla dici-ferata, per forma che ora è un’ altra cosa e perciò la darò nelle giunte. Così si potrà fare il confronto con quella pubblicata nella Raccolta. N. 189. Riguardo a questi due soldati di Libarna, io messomi dietro al Muratori, non potei darne che il semplice cognome. Monsig. Cavedoni col sussidio del Kellermann, di cui noi manchiamo, mi somministra i prenomi e i nomi degli stessi, che sono così : T • BILLIENVS DEXTER LIBARNA T • VETVLE1VS PRIMVS LIBARNA Seguendo lo stesso Muratori riportai il latercolo all’ Imp. Settimio Severo; ma Monsignore colla scorta dello stesso dotto Tedesco, che aderì al Marini, mi fa osservare doversi riferire ai tempi di Adriano. Questi vi è notato col semplice titolo di CORREZIONI EH AGGIUNTE ( 20 ) AM.n ISCRIZIONI " --- --- t Imperatore, mentre l'altro Console indicato col solo cognome di Severo II, è L. Catilio. Io mi inchino a tanta autorità; ma nella privazione in cui siamo dei Fasti Consolari del Borghesi, noi non troviamo altro Consolato di Catilio Severo che all'anno (E. V.) che è quello che tenne con T. Aurelio Fulvo, *olto il qual nome sì conosceva allora quel personaggio che poi fu Antonino Pio. Adriano era stato Console la terza volta 1' anno innanzi. N. 191. Il famoso latinista Diego Vitrioli mi comunica alcune sue osservazioni, dalle quali, come pure da bellissimi componimenti epigrafici, che vennero testé a mia cognizione, rile\o lui essere non solo valentissimo, come ognun sa, nella poesia latina, ma anche felicissimo cultore di questo ramo di letteratura Archeologica. A proposito del quarto fra i meschini frammenti che ho raccolti sotto questo numero, egli mi fa osservare che quell7 AMPLIATI non si può esclusivamente applicare ad ampliazione di edificio o privilegio, ma potersi anche prendere per cognome di persona, come se ne ha esempio in lapide Pompejana. L'osservazione mi par giusta. N. 197. Fra i varii Imperatori che portarono il nome di Marco Aurelio mi sfuggì dagli occhi e dalla memoria Claudio II il Gotico, a cui convengono, come osserva Monsignor Cave-doni, i titoli di questa epigrafe. A cominciare dal Marco Aurelio, propriamente detto, portò questo nome suo figlio Comodo, lo portarono, a brevi intervalli e Caracalla ed Elagabalo, ed Alessandro Severo. Poi par che passasse di moda; ed io intento alla serie di questi principi dissi che a niuno di essi competeva il nome di Claudio. Fu mio errore il non avvertire che, scorsi più di trentanni, Claudio il Gotico ristorò questo nome, e che perciò in lui realmente si trovano riuniti entrambi: la quale associazione non era possibile trovare nella serie antecedente. Io ringrazio il dottissimo Critico d' avermi avvertito CORREZIONI ED AGGIUNTE (2! ) ALLE ISCRIZIONI deir errore, di cui io mi fo un dovere d’avvertire chiunque volgerà gli occhi su questa Collezione. I monumenti di questo Imperatore sono rarissimi, osserva Monsignore, e perciò questa epigrafe torna vie più pregevole. Egli la riproduce colle correzioni da me proposte, tranne quella di sostituire ANTONINO a CLAVDIO, nel che consisteva appunto 1’ equivoco in cui avevo urtato. D. D. cioè Decreto Decurionum, gli suggerisce 1’ idea che questo monumento gli fosse dedicato dai Decurioni di Tortona per aver salvato 1’ Italia dagli Alamanni attirativi sul principio del suo impero dal suo avversario Aureolo. N. 200. A questo luogo io dissi che da alcuni pochi monumenti si ritrae che 1' Augusta Taurinorum era ascritta alla tribù Stellatiìia. Il Si". Carlo Promis mi accerta che ciò ri- ^ 4 sulta da 30 lapidi almeno. Si vede che la povertà non era nei monumenti, ma nella mia cognizione. Al capitolo intitolato Strade Romane e cippi migliari Monsig. Cavedoni fa pure un’ osservazione. Ed ecco ciò che gliene offre motivo. Un cippo trovalo presso Verona ha il nome di S. Postumio Albino figlio e nipote di Spurio. Si muove naturalmente la quistione se questi fu primo autore della strada che sotto il nome di Postumia moveva da Genova, oppure se fu semplice continuatore deir opera da alcun de’ suoi maggiori intavolata. Il Borghesi sta per la prima opinione, il nostro Serra, pur lodando il Borghesi, la tiene più antica. Io per le ragioni che accenno, mostro di propendere pel giudizio del March. Serra. Monsig. Cavedoni dice che io tento d’infirmare la sentenza del Borghesi, che è come provarsi a strappar la clava di mano ad’ Ercole. A me, per dire il vero, non sembra che ci sia questo casus belli, né mi par che valesse la pena di spenderci una frase tanto eroica. In questo stesso capitolo gli occorreva di dare un cenno della sua interpretazione da me censurata del passo Strabo- CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 22 ) ALLE ISCRIZIONI niano sulla via Emilia. Nella sua lealtà stimò di non contrad- ÌY 9ig'°ra* <^Si'otto sua dignità il darmi ragione, lu, * °ndatò sull iscrizione OrelJiana 838, avevo attri- 220 p^99/° Clf^>0 " COme ^ a^tr* c°mpagni, ai numeri 215, wa ri n l ^ ^nton*no ^0- Tardi mi avvidi che V Iienzen ‘ 0 a.a COme sPur*a queir iscrizione, e perciò, rimane non .e“eZ1°ne Ia re§ola > che il doppio titolo di Pius Felix voglionoTfLiLTTll'0 Pnma r COm0d°' °UeStÌ C'PPÌ a<3unque N 281 n 1Ulper° CaracaIJa o di Elagabalo, p . , Promis e Vitrioli privatamente e da Mon- auplh Ve °ni nel ,UOg° tante volte citat0> fu rilevato che in nomJ PmLVmV* ^ '.VMINA S‘ vedeva chiaramente il / ’ conie S1 troya usato invece di Philumena. Plico * p a!? S* ePa traversata di medicare quel guasto per ovvioTn n°n m' laSCÌÒ Vedere Uno sci°gliment0 così p ì-,. atura^e? in cui sono concorsi simultaneamente quegli . nZa C^ie * uno sapesse deir altro. Da ciò risulta che q a epigrafe, che io avevo rilegata fra le quisquiglie, nella gliori ^106 kre^,ta’ Pu° comparire in compagnia delle mi- 32. Questa io avevo rimandata alle Quisquilie perché ~ (lal Ganduci° mi offendeva a prima vista con un . 1 0ve occorreva il nome gentile, oltre alcune altre cose che prese separatamente in un’ epigrafe sincera è SOn° n°uai^are come eccezioni; ma messe insieme dove ° n dl dubbio, concorrono a darle il tracollo. Ma I ^ a era di conoscenza del eh. Cavedoni, siccome modenese è, e ne rivendica 1 onore, presentandola però in assetto mo to pm regolare di quella del Ganducio. Infatti a quel FA-trovo sostituito un FANNIO, invece del disteso FILIO Prende il suo. posto la sigla normale F che erano le cose Principali che mi urtavano, lo disapprovavo anche PRIM C0HHE7I0NI liD AGGIUNTE ( 23 ) ALLE ISCRIZIONI mae) in luogo della sigla numerica I. Questa il Cavedoni non me la mena buona, perché lo scrivere PR • PRI • PRIM é uso più antico deir I. Questo io non nego, ma osservo che col-T andar del tempo queste abbreviazioni servirono ad indicare il titolo di primigenia che assunsero parecchie legioni, e che quella di PR posposta a coorte significa praetoria. Qui abbiamo PRIM, che, trattandosi di coorte, non può fare equivoco; tuttavia par che nell’ uso si evitasse questa abbreviazione adoperandosi la sigla numerica oppure qualche rara volta tutta la parola distesa. 11 Cavedoni poi spiega PATII • COL per patrono coloniae anziché collegii e può aver ragione; ma me ne dissuadeva la collocazione di quel titolo tanto importante in mezzo ad altri di gran lunga inferiori. Additamenti N. II. Intorno a ques'a iscrizione Greca ecco ciò che devo aggiungere per illuminare quel che ne dico io e quel che il ch. Cavedoni. Desiderando io di unir questa all’ altra Greca che abbiamo , per aggiungerle entrambe alla Raccolta delle Latine, nò avendola mai avuta, pregai il mio amico Don Gius. Olivieri Ribliotecario della città, di rivolgersi al Barone Baratta, con cui è in relazione, onde si compiacesse di mandargliene copia. La risposta di quel Signore fu che r avea mandata al Sig. Gio. Batta Passano con ogni opportuno schiarimento, che a quest' ultimo si rivolgesse chi voleva averne notizia. Infatti il Sig. Passano già da tempo Y aveva avuta e trasmessa a Monsig. Cavedoni affinchè Y illustrasse, avendo intenzione di pubblicarla insieme ad altre iscrizioni Latine. Era naturale che il Sig. Passano con questo suo disegno non mi comunicasse l’illustrazione dell’ insigne Archeologo Modenese nè io avrei voluto; ma credette di non lasciarmi nemmeno vedere la nuda e semplice iscrizione. Fortunatamente il Can. Grassi si trovò averne alle mani un esemplare, che gli era stato comunicalo dal Sig. Passano, quando forse non pen- CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 2'l' ) ALLE ISCRIZIONI sava ancora di rivolgersi al Cavedoni. L'ho trovato sciitto con molta accuratezza, per forma che le inesattezze che vi sono, si riconosce doversi attribuire all’ originale, e vi e una nota del Sig. Passano, che poi riporterò, che ci assicuia di questo. Io non saprei indicarne la ragione ; ma il folto è che quella pubblicazione promessa dal Sig. Passano, non ebbe luogo, e perciò io potei dire che 1’ illustrazione di Monsignor Cavedoni era ancora inedita. Ma questi nelle osservazioni che fece alla nostra Raccolta, parlando di questa iscrizione, disse che era stata fin dal 63 pubblicata (a sua insaputa) nel Bullettino dell’ Instituto di corrispondenza archeologica. I fascicoli di questo Bullettino, che si ricevono nella Biblioteca Civica, eiano da qualche anno in ritardo e giunsero qualche tempo dopo del periodico Modenese, e fu soltanto allora che potemmo leggere la desiderata illustrazione. Intorno al merito della quale oserò dire che non mi pane • 1 a 1 all’altezza del valore di un tanto Archeologo, e che si occupa uè basso rilievo piuttosto che dell’epigrafe. Né prende egli 1 iscrizione qual è, ma se l’accomoda a suo grado, e dice che avendo rappresentato al Sig. Passano che invece di MAN0X2 e TTNN ci doveva essere MAN0T2 e TTNH, questi gli rispose che aveva tutta la ragione. Ma ciò che si trova nei monumenti non è sempre quello che ci dovrebb’essere, e quanto al secondo di questi due vocaboli io ho una testimonianza, contraria a tal correzione, che il Sig. Passano non vorrà ricusare e che farebbe stupire Monsig. Cavedoni se fosse ancora fra noi. « L’ultima lettera è veramente un Ny, come la penultima, ed averla altri scambiata in Età per errore ». Queste sono le precise parole scritte di mano del Sig. Passano nell' apografo da lui dato al Can. Grassi. E ognun vede che questo mi dà diritto di rifiutare anche 1’ altra correzione. Quanto alla lezione che propongo io, Monsig. Cavedoni trova che MAN OS o%oi CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 25 ) ALLE ISCRIZIONI farebbe mala comparsa in quel bassorilievo Greco assai elegante. Prima di pronunziare una sentenza cosi assoluta in materia di lingue, tanto più trattandosi di nomi proprii, credo che convenga pensarci due volte. Questa inflessione non è forse al tutto conforme all’ indole della lingua ? Ma ogni principiante sa che i nomi imparisillabi terminati in e s nei casi obliqui si risolvono quali in uno, quali in altro degli elementi labiali ti-, /3,

    \oyo$, da owovi/%o$» Abbiamo nominativi in £ e casi obliqui con % all' incremento: mi par che questo basti a far vedere che il mio MAN0X02 non ha nulla di contrario all' indole della lingua. Io ritengo che lo stato dell’ incisione sia come Y ho dato io, cioè come proviene dal Sig. Passano, non come se lo ha accomodato il mio critico, e perciò o col-T aggiunto dell’ o o col cambiare x in r, in qualche modo insomma vuol essere corretto. Chi potrebbe togliere ogni dubbio sulla condizione di quella parola sarebbe il possessore del monumento; ma dopo quella risposta da me accennata più sopra, io non mi sento di tentarne un’ altra volta la cortesia. Ammettendo poi il genitivo in ov$ del Cavedoni (che sarebbe contratto da sog) si verrebbe ad avere la ripetizione del medesimo nome Mane, che a così poca distanza non sembrerebbe molto epigrafica. Dico Mane e non Manete, come par che indistintamente 1’ usurpi il Cavedoni, perchè ammettendo la detta desinenza, quel nome sarebbe pareggiato alla declinazione di Demostene. N. III. Riguardo a questa, poco ha da dir Monsignore, nè tutto quello che dice era necessario. Dice che questa già era stata pubblicata dal P. Spotorno: ed io pure l’avevo detto, anzi gli avevo dato l’onore di aver rilevato che in $aaEPNa si dovea riconoscere la tribù Falerina. Io arrecando un’altra epigrafe d’un Marco, figlio di Lucio della stessa gente Audi a. CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 26 ) ALLE ISCRIZIONI dissi che i soggetti di queste due lapidi potevano forse essere appunto padre e figlio. 11 mio Censore trova più verosimile che fossero fratelli e che il primo prendesse il prenome del padre Lucio e 1’ altro quello di Marco. Nè io lo voglio contraddire: ne disponga pure come meglio gli pare. Infine Monsig. Cavedoni dopo aver detto che gli resterebbe a far parola della celebre Tavola di Polcevera, conchiude : « ma poco o nulla posso dire in cotal materia dopo il molto che scrissero tanti dotti d’Italia e fuori, segnatamele i due Prussiani, profondi legali, RudorfT e Mommsen ». Ma quali sono, per amor del cielo, i tanti dotti d’Italia che ne hanno scritto quel molto, ch’egli dice? L’Ab. 0 dorico non credette di pubblicare la sua dissertazione e fece bene, io credo, perchè quantunque vi si riconosca l’uomo profondamente erudito; pure dovè conoscere egli stesso di non esser riuscito nella prova. Né meglio vi riuscì il March. Serra, il quale nella sua dissertazione pubblicata per le stampe invocò il sussidio di molta erudizione, ma lasciò libero il campo ad altri di entrarvi con più fortuna. I due insigni giurisperiti Prussiani arrecarono qualche lume dal lato legale, ma non dissero tutto quello che si poteva ancora dire, e poco o nulla affatto toccarono della parte topografica, che era (almeno per noi) la più importante e a cui illuminare è specialmente destinato questo monumento. Così nulla trattarono della parte linguistica. Or che dovea fare l’illustre Archeologo di Modena? Leggere attentamente i lavori dei miei due Colleglli, entrare nella quistione con quella profondità con cui essi la trattarono e poi pronunziare (secondo che gli fosse paruto) o che si erano ingannati nei loro giù dizii, o che aveano copiato quei dotti Tedeschi, o che a\eano pur detto qualche cosa di buono. Ma ad ingolfarsi in quel mare non gli bastò il coraggio e forse presentiva il suo non lontano disfacimento, e cosi venne ad una conclusione non al CORREZIONI ED AUGIUNTE ( 27 ) ALLE ISCRIZIONI lutto degna del suo senno e della sua fama. Delle tre bellissime lettere deli’Avv. Cav. Desimoni non fa nemmeno cenno. Fa qualche appunto su qualche piccola cosa spigolata dalla dotta dissertazione del Can. Grassi e niente più. Così doveva sapere che il Rudoriï lavorò sul testo del Serra, che è tut-t' altro che esatto in ogni sua parte: il fac-simile del Ritschl benché molto si avvicini alla perfezione, neppur esso la raggiunge. Il metodo da noi tenuto, sulla proposta del Can. Grassi , fu di ritrarre il monumento per fotografìa e di riprodurlo poi litograficamente. In questo modo gli eruditi che amassero farci sopra qualche studio, possono essere sicuri di aver dinanzi agli occhi un esemplare che si può dire veramente identico all’ originale. Di questo neppur fé’ cenno Monsignore. In somma meglio avrebbe fatto a lacerne al tulio che a parlarne come ne ha parlalo. Rettificate di buon grado, per amor di verità, le mende che mi erano sfuggile sopra alcuni punti, ed esposte le ragioni che sopra altri mi faceano credere di non aver torto; nn rimane ancora a dare alcune iscrizioni, che vennero a mia cognizione dopo pubblicata la nostra Raccolta. Siccome é utile che tutte sieno numerate, richiamerò queste poche, che aggiungo , alla numerazione generale, comprendendovi anche quelle tre che ho date alla fine del volume sotto il titolo di Additamenti. Così andremo innanzi di mano in mano che ci verrà fatto di dare ai nostri Socii qualche cosa di nuovo in questo genere. E nuovi acquisti avremmo ragione di sperare da che il territorio Ligure vanta non una ma due Pompei in Luni e Libarna, per non parlare di Cernendo, a cui 1 Italia ha dato un perpetuo addio. Or se a quelle due sepolte citta si rivolgessero, come a Pompei, le cure del Governo, avremmo forse dei risultati importantissimi per la scienza archeologica. Se esso non può finora rivolgere a questo scopo le sue viste CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 28 ) ALLE ISCRIZIONI e le sue sollecitudini, è almeno da desiderare, che , finché spuntino giorni più propizii, provvegga ad impedire che vi si facciano ricerche da persone o curiose di antichità o avide di guadagno : donde ne viene uno sperpero irreparabile degli oggetti, che quando fossero raccolti di pubblica autorità, si conserverebbero riuniti con quella utilità della scienza che non fa mestieri di dimostrare. Questo sentimento espressi in seno alla Società, onde per quei mezzi che le è dato di praticare, si adoperasse a questo fine , e con questo credo che collimi il voto di quanti sono amanti degli archeologici studi. 250. D 31 VE ITI HERMADIO NIS OVI VIXIT ANNOS XVI ■X/ MENSES III ET HERMIO NIS QVAE VIXIT ANNOS XVI ET HERMETIS qui VIXIT ANN VII QVORVM LAROR HVMANITA TIS • ET STATVS AETATIS IN MATRIM SVMM • ABREPTVS EST HVNC TITVLVM ALRIA APHRODISIA MATER p,,fi PIENTISC ima posuit. Nelle note precedenti ritornando sul n.0/l87 dissi che dietro 1 indicazione datami dal Cari. Ferrari , ebbi la soddisfazione di leggere sulla pietra originale (posseduta attualmente dal Coni. Varai) l’epigrafe, che non avevo polulo dare nel Corpo CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 29 ) ALLE ISCRIZIONI delle Iscrizioni se non guasta affatto e da non poterne cavar nulla. Se si confronti la condizione, in cui avevo dovuto darla, col suo stato presente, apparirà come cosa nuova e da collocarsi per questa ragione nelle Aggiunte. La scrittura dalla metà in giù diviene più piccola di quella delle righe superiori ed é alquanto difficile a leggersi. I caratteri accusano un’ epoca già molto avanzata. Nè diversamente vuoisi giudicar dello stile , che lascia il lettore nell’ incertezza d'aver afferrato il senso di quel tratto : Quorum labor humanitatis et status aetatis in matrimonio summo abreptus est. Quel labor humanitatis vuol forse significare i travagli, a cui la povera umanità va soggetta, e che finiscono colla morte? o quelle sollecitudini affannose, di cui i figliuoli sono causa alle madri, a cui prematura morte pon fine? Meno oscuro è quello status aetatis, benché ozioso e messo soltanto per contrabbilanciare il labor humanitatis. Ma quel in matrimonio summo non saprei come interpretarlo se non nel fiorire del matrimonio ; quando cioè i due conjugi erano nel bello deir età e godevano in quei cari figliuoli il frutto dei loro affetti. Infatti morirono tutli in freschissima età, non avendo il maggiore oltrepassati i sedici anni. La lezione sottosopra non è dubbiosa ; ma il secondo t di vêtu ha la linea trasversale così piccola che a prima vista si leggerebbe piuttosto vetii , ma chi ben vi guarda ve la scorge e perciò i due i del genitivo si vogliono riguardare come contratti in uno : cosa d’ uso frequentissimo. Dove ho sostituito qui ci è più spazio che non si richiederebbe a contenere un monosillabo; ma la pietra dovea essere guasta originariamente; e T incisore fu obbligato a lasciare un vuoto. Infatti ora vi si vede una cavità che, più piccola da principio, dovette col tempo allargarsi per lo sgretolarsi della pietra arenaria e così perdersi il qui. L’ a iniziale di aetatis é formato da due aste presso a poco parallele , I' una più breve dell’ altra e unite nella parte CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 30 ) ALLE ISCRIZIONI periore da. un obliqua che quasi sfugge allo sguardo. Le due m i summo sono cosi congiunte fra loro che 1' ultima asta ? sene Per prima alla seconda: il che-è molto usato rin ^ai0'a (^0P° mater è guasta nella parte infe- • ^ 6 6 etteie > llìa nii par che vi si possa leggere con J. . . PIIb’ con c^ìe fautore, che si dilettava un po’ di ri ì ^re contraPPosto a puntissima. Il posuit manca °\eSSendo 10t{a a (luel punto la pietra ; però qui do-erminar 1 iscrizione. Fa meraviglia come non si veda far menzione del padre né vivo nè morto. 251. M AVRELIVS • CLA • M • F PATERNVS ■ CEMEN MonsiDnoi Cavedoni a confermare che la tribù , a cui era , I,üa Cemenel°, era la Claudia ; arreca questo latercolo a e eimann (vig. n. 403. 42). Questo è un regalo per la ezione Cemenelense e noi ne profittiamo di buon grado a registrarlo, giacché in vano si cercherebbe nelle biblioteche u citato autore. 252. MENTI BONAE SACRVM FELIX VILICVS POS VIT Monsignor Cavedoni mi richiama al Bullettino Archeologico , ove riportò questa bella e semplice iscrizione scolpita sopra un'ara quadrata di foime parimente semplici e belle, dalle quali, come a buon gusto delle lettere , egli argomenta potersi assegnare ai migliori tempi dell’impero; quantunque il culto della Mente CORREZIONI ED AGGIUNTE (31 ) ALLE ISCRIZIONI Buona prendesse incremento più lardi e specialmente a’ tempi di Settimio Severo. Egli vi trova riscontro nella medaglia di Pertinace colla scritta menti laudandae attorno al tipo di una donna stante con corona nella destra e con asta pura nella sinistra. Questo monumento , che fu collocato nel locale della R. Accademia di Belle Arti a Carrara, era stato trovato in una delle cave di marmo Lunense di Colonnata , ove pure nel 1830 fu scoperta T iscrizione che abbiamo dato al n.° 48. Ritornando noi su questa, dietro le osservazioni di Monsignore, abbiamo detto che egli illuminando r una coir altra interpretò T abbreviazione vil per vilicus. Queste notizie egli somministrava per lettera al famoso Guglielmo Henzen, il quale la pubblicò nel Bullettino 1859, p. 85. * • • • * * t ' * • „ , \ 153. M D eT • QVIETI • AETERNAe PRIMITIVI ANIMAe oPTIMAE QVI • VIXIT aNN • XXV • M • Vili D I qX 1 SEPELLITVS • EST • Lu NAE • PISAE • IN TVSCIa aD FLVMEN MACRA • C• aPHRODISIVS • UllII V auG LVGVD • ALVMN mO RARISSIMO ET • SI16* Vlws • FECIT SVB • ASCIA • DEDICAVIT. Roissieu N. 10, pag. 186. CORREZIONI edaggiunte ( 32 ) ALLE ISCRIZIONI Questa non é nostra , appartenendo all' Epigrafia Lionese ; la riportiamo perchè nomina un nostro paese e lo nomina in un modo alquanto curioso. La riporta l’Henzen (5121) dal Boissieu, senza aggiungervi osservazione alcuna ; anzi nel catalogo dei fonti a cui attinse , avverte di non aver veduto il libi o* Questa sorte fu data a noi per la cortesia del Senatore Avv. Caveri, nostro Socio che di recente ne fece acquisto ed è sempre largo alla Società del suo bibliografico tesoro. Questa Raccolta è intitolata : Inscriptions Antiques de Lyon reproduites d après les monuments, ou récuellies dans les Auteurs par Alph. De Boissieu. Louis Perrin imprimeur à Lyon. MD CC CX VI-MD C C GLI V. È un magnifico volume in foglio, in cui 1 accuratezza e Y erudizione del valoroso Collettore ed Illustratore gareggia col lusso e lo splendor deH'edizioae. In esso i monumenti, risparmiati dal tempo, sono tutti riprodotti dal vero in fine incisione : gli altri sono riferiti quanto alle parole secondo che gli venne fatto di rinvenirli negli Autori, rappresentandoli in caratteri che imitano quelli dell' antico scalpello. Ora per tornare all’iscrizione, di cui ci occupiamo, essa ci presenta il nome della città di Luna associato a quello di Pisa, e siccome sono entrambi in genitivo, rimane il dubbio se 1 epigrafista abbia inteso d’incorporare un nome con Y altro e dire Luna Pisa, come mostra di credere THenzen nel- 1 indice, oppure Luna di Pisa, come noi diciamo Reggio di Modena : precauzione che non vediamo quanto fosse necessaria, da che non sappiamo che vi fosse altra terra, se non in Africa, chiamata Luna. E questa giunta riusciva anche superflua in ragione di altri due particolari che ne determinano la posizione, specialmente il secondo , cioè : in Tuscia e ad flumen Macra. Né dee far maraviglia che una terra posta a confine tra due provincie si ascriva CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 33 ) ALLE ISCRIZIONI talora a quella a cui non appartiene. Cosi Orazio ebbe a dire di sè stesso: .... Lucanus an Appulus anceps, Nam Venusinus arat finem sub utrumque colonus (Sat. I lib. II)* Potrebbe aneli’ essere che Y aggiunta di Tuscia fosse sembrata uo opportuna per distinguere questa Pisa da quella del Peloponneso ; quantunque la Greca si usi in singolare, mentre non saprei se, da questo esempio infuori, la nostra si trovi usata altro che in plurale. Vi è poi Y arcaico sepellitus in luogo di sepultus, mentre è tuti’altro che arcaica riscrizione, come si rileva dalla qualità di Seviro Augustale, che è il dedicante. Alcune piccole incongruenze di tal fatta potrebbero benissimo far nascere qualche sospetto sull’ autenticità d’ un’ iscrizione qualunque, ma ciò non si può ammettere in quanto a questa, perchè il monumento esiste tuttora e nell’ opera si vede fedelmente rappresentato nel suo stato attuale. Il Boissieu a compimento di tvsci aggiunge un a e indica così il paese: 1’ Henzen vi suppone un is ed accenna invece al popolo; ma riescono entrambi allo stesso. L/ autore infine tratta in tutta la sua estensione la quistione archeologica di ciò che importa quel sub ascia che si legge in tanti marmi e in questo pure. Ma siccome ciò ci porterebbe troppo per le lunghe, nè d’ altra parte si tratta di monumento nostro, perciò noi rimandiamo al Boissieu chi desidera sapere ciò che ne fu detto e quel eh' egli ne pensa. 154. P • VLATT • P • F • CALPVRNIA CF. VXSOR Questa iscrizione ci fu trasmessa dal coltissimo nostro Socio il Sig. Avv. Avignone, il quale ci fa sapere essere stata ria- CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 34 ) ALLE ISCRIZIONI venuta presso Strevi, territorio degli antichi Stazielli, non lungi dalla probabile traccia della via Emilia. La sua recente scoperta ci dà diritto di credere che sia inedita, e sotto questo aspetto, secondo il metodo da noi adottato , le diamo luogo nella nostra raccolta. La semplicità (che è il pregio maggiore di questa epigrafe) è spinta a tal grado, che si riduce ai semplici nomi di due soggetti ed una parola che ci fa conoscere essere stati marito e moglie. LETTERA SOPRA I ISCRIZIONI ROMANE DELLA LIGURIA E SPECIALMENTE SU DI ALCUNE LAPIDI TORTONESI E CHERASCHESI Diamo qui luogo ad una lettera scritta dal Cav. Gio. Francesco Muratori alT illustre suo amico il Cav. Prof. Ingegnere Carlo Promis cotanto della scienza epigrafica benemerito e alla cui dottrina e gentilezza noi pofessiamo tanta stima e riconoscenza. Questa lettera che ci fu gentilmente comunicata dair Autore, versa specialmente sopra alcune lapidi Torto-nesi che abbiamo aggiunto alle Liguri per le ragioni dette a suo luogo. Anziché cavarne semplicemente le deduzioni, riferiamo per disteso le sue parole per corrispondere alla cortesia con cui egli ce le ha abbandonate. Discorre, come si vedrà, di alcune epigrafi che il nostro socio Signor Wolf cavò da un manuscritto già appartenente al fu Conte Carnevale. Fu nostro intendimento di salvarle e farle conoscere se fossero state inedite , o di provocare le osservazioni degl’ intelligenti ( di cui abbiam rilevato esservi gran bisogno ) quando fossero già note. Ora si é verificato appunto questo secondo caso ed ha risposto al nostro appello r erudi- CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 38 ) ALLE ISCRIZIONI zione del Cav. Muratori , il quale avendo in modo speciale rivolte le sue ricerche archeologiche verso quel territorio, parla da maestro su tal materia. Da questo può ognuno rilevare che 1’ invito da noi fatto agli eruditi di fornirci le loro osservazioni non era una parola di cerimonia vuota di senso. Chiar.mo Sig. Professore Un lavoro sopra iscrizioni latine , al tempo che corre , è una vera rarità, ed è taf opera che altri può solo intraprendere per T amore che porti alla scienza ed alle venerande reliquie deir antica civiltà italiana. È certo che per acquistare averi, onori e la gloriuzza dei coetanei questa non è la via. Di tale natura è questo bel volume, testé pubblicato in Genova per la Società di Storia Patria. Si accolgono in un solo corpo le epigrafi latine trovate nel Genovesato , o che ad esso si riferiscono , sussistano esse sui marmi e sui bronzi originali, o sopravvivano solamente nelle altre raccolte. Mentre la repubblica letteraria applaudisce al valente Raccoglitore, non é mio proposito commendare un lavoro che è per sé stesso lodevole. Sarebbe pedanteria e facile ostentazione di comunale dottrina. L’ Abbate Sanguineti, che ho la fortuna di aver conosciuto non solo pe? suoi scritti, ma anche per rela zioni personali, non abbisogna di volgari encomii , e col suo nuovo libro ha richiamato 1’ attenzione degli eruditi sopra i monumenti che presso di noi lascia una delle più nobili tra le nazioni dell'antica Italia, procacciando di salvarne le memorie vetuste, che pur tuttodi si vanno dileguando, ingiuria del tempo , e trascuranza degli uomini. Mi tratterrò piuttosto con V. S. intorno ad alcuni difetti che mi parve di trovare nella raccolta, non per torre pregio all’ opera , contra cui per altro verso non sarebbe autorevole CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 39 ) ALLE ISCRIZIONI la mia voce , ma piuttosto per dimostrarle che V ho letta con qualche attenzione, e per secondare il desiderio dell’ autore stesso, il quale (pag. clxi) , a nome anche della benemerita Società, dichiara che saranno accolte con riconoscenza cosi le aggiunte , come le emendazioni che altri volesse proporre. Valgano anche queste povere mie linee a rimediare per parte mia alla negligenza con cui ai tempi nostri si riguardano 1 nuovi buoni libri, che sono trascurati dal comune, che si affretta a leggere gli scritti efimeri. Rispetto alle aggiunte dirò soltanto che il Sanguineti, invece di domandar venia, come la dimanda sempre che egli esca alquanto fuori del moderno Genovesato, stando contento a registrarne le epigrafi che lo concernono, avrebbe dovuto anzi abbracciare tutte quelle che appartenevano all" antica Liguria , se non all’ antichissima , vuoi nel senso largo , vuoi stretto. A questo modo , a questo solo modo , secondo me , avrebbe adempito quello che il suo libro promette. Così operando oltrecchè il libro avrebbe risposto appuntino al titolo , si sarebbe meglio provveduto alla storia monumentale della vastissima nazione dei Liguri, che per tanto tempo combattè per la propria libertà e indipendenza. Vero è bene che parecchie delle nazioni liguri formavano piccole ed appena conosciute popolazioni, come erano gli Apuani, i Tegulii, i Garuli , i Lapicini ed altri in buon dato ; ma nella Liguria mediterranea erano tra il Po ed il Tanaro i Vagienni, e tra questo fiume e Y Orba gli Stazielli. Ed entrambi questi popoli hanno iscrizioni latine che rammentano l’antica civiltà (!). (’) Siccome noi ci eravamo proposti di riunire insieme le inscrizioni di quell’an-tjco territorio Ligure a cui presso a poco corrisponde il nostro Genovesato; abbiamo perciò dovuto mantenerci entro quei confini o chiederne scusa quando talora qualche particolar motivo ci consigliava a oltrepassarli. Il disegno che propone il eh. sig. Muratori, è certamente più grandioso; ma quando pure il suo consiglio CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 40 ) ALLE ISCRIZIONI OncT è che non solamente avrei dato venia al Sanguineti per T estendersi che fece a Tortona e a Libarna e a Novi , e per essere entrato in quel dei Cemenelli, degi’ Intemelii e degli Albingauni, ma gli avrei fatto piena facoltà di spaziare liberamente , come nel fatto suo, per tutta l’antica Liguria. So bene che un raccoglitore può pretendere che Y opera sua si giudichi dal modo con cui fu ideata ed eseguita ; ma so ancora che la critica può elevarsi più alto e chiedergli anche conto di essersi allargato o ristretto nell' orditura della tela. E questo é in generale il mio parere intorno alle aggiunte. Per ciò che spetta alle mende , vere o pretese, comincierò dal richiamare 1' attenzione di V. S. sopra alcune epigrafi di Tortona. Il chiarissimo Raccoglitore registrò parecchie iscrizioni dertonensi, comunicategli dal Sig. A. Wolf, il quale a suo turno le ha tolte da non so quale manoscritto del compianto mio amico avvocato e Conte Giacomo Carnevale , patrizio tor-tonese , e distinto magistrato. Andiamo adunque di botto alla pag. 256, dov' è stampato : DIANAE SACR M • FLACCVS • Q • VALERI • VIVIR • AVG • BAGIENNORVM EX • VOTO. Soggiunge qui il Sanguineti, che fu tolta dal Ms. del Carnevale , nel quale manoscritto secondo il Wolf, sta sciitto. ci fosse pervenuto in tempo, non saremmo usciti del nostro modesto proposito, pen sando che, prima di metter mano a più estese raccolte , è bene che sorgano in ogni paese raccoglitori parziali , che rivolgano con affetto le loro ricerche verso il loro luogo nativo. Questi nelle cose di casa loro ci vedono sempre meglio che gli estranei. Del resto quanto agli Stazielli giù abbiamo la collezione del Biorci, e per ciò che riguarda i Vagienni Io stesso mio gentil Censore ha già in pronto il suo lavoro, che sarà degno di lui, a giudicarne da quel tanto che ha già pubbli cato sulla Storia e il silo di Augusta, dove appunto promette la raccolta epigrafica che appartiene a quel popolo antico. CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 41 ) ALLE ISCRIZIONI Essere stata scoperta sul declinare del secolo XVI presso Torre dei Ratti, cioè fuori del paese, ove esisteva una chiesa di S. Marziano. Da quello poi che vi narra alla pag. clxx, ed alle pag. 252 e 253 è un’ iscrizione inedita. Or bene , se s' intende solo di affermare che è inedito questo sconcio io lo concedo facilmente; ma se si voglia parlai e d' un' iscrizione seria, a me pare men vera 1’ una e 1 altra asserzione , avendo forti e concludenti motivi di credere che non sia stata trovata a Tortona o nelle sue adiacenze , e che punto non sia inedita. Da quello che sto per dire spero di trasfondere in V. S. questa mia convinzione. Per motivi che Ella può facilmente immaginare , niuno più di me bramerebbe che quest’ epigrafe fosse autentica e poggiasse sopra autorità irrefragabile, e che potesse verificarsi sul marmo originale. Sarebbe un prezioso documento dei miei antichi Vagienni. Ma è tale strambo accozzamento di parole e tale garbuglio che basta per se stesso a smentirsi ; ed anziché guasto per imperizia di quadratario o scrittore, è opera di qualche ignorante impostore , o almen che sia una sciocca copia di qualche altra epigrafe. Lo stesso Sanguineti notò 1 iscrizione essere irregolare nella disposizione dei nomi , ed a me pare che lo sia pure nella divisione delle linee, non essendo punto punto probabile che potesse avere la seconda linea cosi lunga un’ iscrizione da porsi sulla base, come é probabile, di una statua di Diana. È da maravigliare più che il Chiarissimo Raccoglitore abbia tentato di emendarla, addossandone, quel 0 che è peggio , la colpa al buon Conte Carnevale , come se avesse , così alla grossa sbagliato nel copiarla. Epigiafi di tal fatta non si emendano , ma si buttano al fuoco. Non ha colpa il Carnevale , nè il Wolf, nè il Sanguineti, ma sì qualche impostore che la diede ad intendere loro , pervertendo 1 ordine delle parole di qualche iscrizione, cangiando il luogo dove CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 42 ) ALLE ISCRIZIONI fu trovata e dandola per cosa nuova. Così la penso. Ed ecco come. Nel Piem. Cispadano del Durandi, pag. \77 trovo la seguente : DIANAE • SACR M . VALE RI VS • Q • VALERI • FLACCI • F VIVIR . AVG • BAGIENNORVM EX VOTO Non trova Ella, Signor mio che questa del Durandi si possa chiamare la madre di quella del Wolf, stampata 91 anni dopo ? Ove si eccettui lo spostamento dei nomi, incomportabile nella figlia, non è identica? E chi guarda sottilmente non trova egli evidenti le traccie della frode neir avere cangiato il Mugliano del Durandi, nel Marziano del Wolf? Saviamente , e con avvedutezza il Sanguineti proponeva di emendare la supposta iscrizione tortonese presso a poco nel modo con cui è stampala dal Durandi quella di Magliano. Non entrerò qui mallevadore che il Durandi non sia anch' egli stato bersaglio di qualche falsario riguardo all’ iscrizione di Magliano. Ognun sa come egli a sua volta fu ingannato a più riprese, e forse più di tutti dal Meyranesio , che pare si fosse tolta 1 incom benza di seminare d’ iscrizioni false questa parte d Italia. Un’ altra coesistenza di due lapidi identiche si trova puic in questa Raccolta, a pag. 259 n.° 200. Eccola : C • ANNIVS • C • F CAM • CELER AVG T * F I • SIBI • ET FILIAE • ET • PRISCAE MATER CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 43 ) ALLE ISCRIZIONI Secondo il Ms. questa sarebbe stata rinvenuta nel 1587 in fondo appartenente alla chiesa parrocchiale di Fregarolo, presso Novi. Premetto che questa magra notizia del luogo indeterminato in cui venne trovata , non fa caldo nè freddo a provare T esistenza di una Lapida ; e queste sono appunto le notizie che ci danno i Lapidarii del secolo passato ; chissà quanti fondi apparterranno a quella parrocchia? Ma questo è un nonnulla. Volete conoscere 1’ origine di questa epigrafe? Cercatela nel Zaccaria che da buon tempo la stampò. Cercatela nel Durandi, Piem. Cisp. an. p. 4 94 dove la troverete con le medesime linee , coi medesimi nomi e coi medesimi errori con cui è prodotta dal Wolf. La sola differenza è nell’ ultima parola che il Sanguineti scrive Maler, mentre il Durandi ha Mairi, appunto come voleva, correggere il Sanguineti. Chi non direbbe che il compilatore di quella raccolta manuscritta 1’ abbia copiata dal Durandi, eccelto che si voglia immaginare il caso di due copia^ tori d’iscrizioni che trascrivendone una in un paese, e T altra in un altro si accordino nel commettere le stesse storpiature? Comunque sia il Durandi la diede talmente scorretta che non c’ è verso di raccapezzarne il senso, ed è pure indecifrabile come la trovò nel Ms. il Wolf. E di vero non è egli strano che , secondo la lezione del Durandi e del Sanguineti il nostro Caio Annio Celere il quale insieme al suo aggiunge il nome di sua madre Prisca , con la quale condivide il monumento sepolcrale , sdimentichi poi affatto il nome di una sua pretesa figlia? Per fortuna abbiamo buono in mano per accomodare in ogni sua parte questa iscrizione; e possiamo affermare che forse il povero Annio non aveva figlia, o se pur ne aveva non avea ancor pensato di morire, e mangiava e dormiva e vestiva panni; che la parola FILIÀE non è deir iscrizione, ma è roba del Durandi ; che l’epigrafe esiste pur ora sul suo marmo originale in Dogliani, sulla parete esterna della chiesa di S. Quirico. Eccola : CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 44 ) ALLE ISCIlIZWNr C • ANNIVS • C • F CAM • CELER AVG • T F I • SIBI • ET ' VILLIAE L -F PRISCAE MATRI E così abbiamo : Caius Annius Cari Filius ( ex Tribu) Camilia, Celer Augustalis Testamento Fieri Iussit Sibi Et Villiae Lucii Filiae Priscae Matri. D’onde il senso limpidissimo : Caio Ànnio Celere , figliuolo di Caio , della Tribù Ca-milia (a cui apparteneva la maggior parte dei Vagienni) Augustale fece fare per testamento per sè e per sua madre Villia Prisca, figlia di Lucio (Villio ; perciò il nostro Celere era della famiglia ossia gente Annia e sua madre della Villia). Dopo ciò credo che V. S. avrà veduto da qual parte sia la verità su questa faccenda. Nondimeno perché non mi si possa dare alcuna colpa da chi per avventura visitasse questa lapida nella Chiesa di S. Quirico, e la trovasse alquanto cangiata y conterò una breve storia. Nel 1854, poco dopo che io avessi un nuovo apografo di questa iscrizione, un geometra di quel paese , incaricato di tiar fuon dalla Chiesa di S. Quirico questa lapida, la quale serviva pila dell’ acqua santa, la fece collocare nella paiete esterna 7 dove si trova al presente. Il buon uomo credette che m man casse il verbo, forse perchè era più valente nell estrarre radici cubiche che non nel rintracciare i verbi. Però fece seri vere per sesta riga un suo sonoro praeparavit. Io procurai che fosse da un mio amico ammonito che non occorreva giunta di sorta tra perchè, trattandosi di monumenti antichi, non bi sogna di proprio senno aggiungere nè levare checchessia, e perchè ad ogni modo il verbo essendoci, si guastava 1 epigiafe CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 45 ) ALLE ISCRIZIONI mettendone un altro ; guardasse bone che il T • F • I • della della terza linea significavano Testamento Fieri Iussit, o Titulum heri Iussit. Ma le mie ammonizioni non persuasero il valente geometra, e non credette di secondarmi, affermando •avere ciò fatto all' appoggio di buone ragioni. Qui poi è il caso che una scoperta lascia Y addentellalo ad un altra. Ho impugnato Y esistenza delle memorate lapidi nei luoghi indicati dal Wolf. Debbo pure dubitare dell’ iscrizione che è alla pag. 258, n.° 198 della stessa Raccolta, che la registra come trovata ai tempi di Monsignor Settala in uno scavo fatto a Profìgà presso a Monte Marsino. Siccome non é dimostrata né tampoco accennata 1’ esistenza della Lapide né a Profìgà nè altrove, é da credere che questo ritrovamento sia una favola del detto quaderno. Avviserei piuttosto che questa non sia altro che una contraffazione di una lapida veramente scoperta scavando tra le rovine non di Marsino , ma dell antico Manzano , che ora è visibile in Cherasco, infissa sopra la porta maggiore di S. Pietro ; già pubblicata dal Pingone n.° 413, e dal Guichenon , Hist. Mais, de Sav. I, p. 55, il quale per altro errò credendo che sia stata trasportata a Torino , e stampata pure dal Durandi, op. cit. p. 196. La riporta pure il Chiar. Sig. Cav. Adorani nel suo ms. delle iscrizioni Caraschesi, gentilmente comunicatomi. Risulta da esso ms. che 1’ iscrizione ha cornice quadrangolare e spaziosa, sostenuta da due genii alati; di marmo bianco, bellissimo ed assai lungo Porrò qui di rincontro tanto la pretesa epigrafe di Profìgà, quanto la vera di Cherasco , e poi farò alcune brevi osservazioni per comprovare il mio parere. A questo modo il discreto lettore potrà di per sé stesso giudicare come sia, non oserò già dire falsa quella di Profìgà, ma verosimigliante il mio sospetto sulla veracità del ms. Carnevale. D . M D . M MVCIÀE • Q • F • M • SABINAE ACVTIAE • Q • F • SABINAE FEMINAE • SANCTISSIMAE FEMINAE • SANCTISSIMAE Q VE ASIS • PHOBROLONI Q VEQVASIVS • FORTVNATVS F I • D • P • S F • I D P * S Chiunque abbia fior di perizia lapidaria conosce immanti-nenti che P iscrizione di Cherasco presenta un senso limpidissimo ed un’ interpretazione ovvia , facilissima e tutta affatto consentanea alla semplicità ed eleganza delle epigrafi latine. Abbiamo qui un Quinto Vequasio Fortunato che ordinò si facesse della sua propria pecunia un arricordo agli Dei Mani di Acuzia Sabina , figliuola di Quinto (Acuzio), femina santissima. Laddove quella di Profìgà non può correre nolla seconda linea per quella certa sigla M che dal medesimo Professore Sanguineti saviamente viene dichiarata erronea per colpa del copiatore , e resta monca e sgrammaticata nella quarta riga ap punto perchè il nome di chi fece P epigrafe è incornpito , e presenta una terminazione in SIS che a ragione dà fastidio al Sig. Prof. Sanguineti siccome quella che difficilmente (si po trebbe anzi dire impossibilmente) si dovrebbe dire terminazione latina di un nome proprio. Anche la terminazione del cognome Pliobroloni, che , secondo lo stesso Sanguineti , potrebbe es sere di un dativo della terza , o di un genitivo della seconda declinazione (vedremo fra breve che è un dativo), mal poti ebbe qui aver luogo, occorrendo aver bisogno di un nominatno per dinotare il soggetto che pose P iscrizione. In quanto al nome VE • • • ASIS il Sig. 'Prof. Sanguineti s’ accorderà facilmente con me nel supplirlo con il VEQVASPVS delP iscrizione Cheraschese ; poiché abbiamo anche un’ altra iscrizione di CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 47 ) ALLE ISCRIZIONI Cherasco la quale dice appunto di un Quinto A eiquasio Op tato (1). La difficoltà maggiore consiste certamente nella diversità del T ultima parola della quarta Linea. Come mai PIIOBROLONI e FORTVNATVS si poterono tra di loro scambiare dal copiatore ? Spero di sciogliere anche questa difficoltà. Ritengasi che il Phobroloni sta qui a disagio e contro le regole della logie e della grammatica; che il cognome fortunatus è servile, al pari dell’ Optatus dell’ or citata Lapida , e che perciò tanto il For lunatus che Y Optatus come cognomi possono stare co nome di Vequasius, o Veiquasius, o Vesquasius, come stampò in alcun luogo il Durandi. Ritengasi ancora che tanto il broloni, quanto il Fortunatus hanno un numero medesim lettere. Sappiasi che nella facciata della Chiesa di S. Pietro Cherasco , dove si trova Y iscrizione nostia , e poco sopr legge pure Y iscrizione seguente : V • F M • CASSIVS • T • F • TENAX T • CASSIO • MAXIMO • PATRI MYCIAE • P • F • POLLAE • MATRI CASSIAE • ALIDI • VXORI ET • M • DIDIO MF- PHOBROLONI AVG...... AMICO OPTIMO. (*) È sotto i portici dell’ università di Torino. Eccola : V • P sic Q . VEIQVASIVS Q . OPTATVS SACRORYM . CYLTOR CORREZIONI ED AGGIUNTE ( 48 ) ALLE ISCRIZIONI Ciò posto supponiamo che il fu Conte Avv. Giacomo Carnevale , dilettante di antichità, varcata già la sessantina , capitato in Cherasco , dove di recente avea contratto vincoli di parentela , siasi soffermato innanzi alla memorata Chiesa di S. Pietro , ed alzati gli occhi sulla facciata vi abbia letto e forse anche trascritto 1’ epigrafe di Marco Cassio Tenace, ora riferita. Pongasi ancora che dopo aver letta e forse scritta abbassando un po’ gli occhi sulla medesima parete abbia letto e trascritto l’epigrafe di Quinto Vequasio Fortunato. Non potrebbe egli essere avvenuto che il buon Conte , fresco della lettura dell’ epigrafe di Marco Cassio Tenace , trasportasse per somiglianza di voce il MVCIAE nel luogo di ACVTIAE , ed il PHOBROLONI in vece del FORTVNATVS? Per me confesso ingenuamente che tengo queir ipotesi migliore che 1’ assurdità d’ un’ iscrizione fatta a Cherasco ( dove esiste ancora) e ripetuta a Profìgà (dove credo che non esista). Comunque sia é prudente consiglio non tener per vera la lapida di Profìgà se non venga dimostrato che la lapida esista , o provato con autorità più grave che non é il Ms. del C. Carnevale. Ma è tempo che io ponga termine a queste già troppo lunghe ciancie, riservandomi di parlare ancora di questa Raccolta, ove me ne venga il destro, e mel permettano le mie occupazioni. Sono di cuore Suo Amico Giovanni F. Muratori. Torino 5 Dicembre 1865.