ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XLVII GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMXV . " V . Γ v-:,λ; :·’«. ·:· ^■{ ΐ·' - > ■ - ν- . -·... λ κ&η ■ \ - ■ .. * . ■ - .·· Γ · ÌT» ■?>- '.Λ-'' V · ■ ■ V . • Ì ν ■ - ' V' >■: ·■: \ί· ■■ . - · " . / * ;·;·■·* ■·:■/; · 1 I 1 I * . . • > » , "V. IP* • ; ' Αν/: * ■ ' · . . ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XLVII GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMXV Proprietà’ Letteraria della Società Ligure di Storia Patria in Genova Genova, Tipografia Nazionale, 191?» Emilio Pandiani > - VITA PRIVATA GENOVESE NEL RINASCIMENTO ' . w-, -, ' ■ ' · te : '' ■ ■ · . . V. . , , - ■ ■ ’ J A Genova superbamente bella /7/ lettore., L disegno di quest’opera ebbe origine dagli studi da me impresi negli anni 1906, 1901, 1908 per conoscere la vita del notaio e cancelliere Antonio Gallo di cui preparavo la ripubblicazione dei Commentari nella nuova edizione dei Rerum Italicarum scriptores, curata da Vittorio Fiorini. Lessi allora due suoi grossi registri di spese private, conservati nell Archivio di Stato di Genova, e, dallo studio di quelle aride note di spese, trassi una piccola monografia sulla « Vita privata di Antonio Gallo » che pubblicai nell'Archivio muratoriano (N. 14), e raccolsi nello stesso tempo un largo corredo di cognizioni sulla vita famigliare del Rinascimento. 12 Avendo poi trovato fra le carte dell' illustre storico genovese Marcello Staglieno, cedute alla sua morte alla Società Ligure di Storia Patria, molti e ricchi inventari della seconda metà del secolo XVy unii questi ad altri documenti da me ricopiati nello stesse Archivio genovese e, con lo studio di essi e con Vaiuto e il conforto di opere italiane e straniere sullo stesso argomento, ho tentato qui di descrivere la vita privata genovese nel Rinascimento. Nella mia opera mi sono imposto rigorosamente i limiti dell'epoca accennata e non ne sono uscito che per qualche breve digressione, per qualche raffronto con età vicine. 5’intende che ho avuto sempre dinansi gli occhi l'opera bellissima di Luigi Tomaso Belgrano sulla Vita Privata dei Genovesi/ ma il lettore potrà presto scorgere come io segua una via diversa da quella del Belgrano. Egli ha raccolto per ciascun argomento una copiosa serie di notizie riguardanti ogni secolo, e si è soffermato soltanto su quelle più curiose e più interessanti ; io invece tento di dare di un'epoca tutte le notizie, anche le più umili. E mentre l'opera del Belgrano è notevole per la estensione e la ricchezza di dati, la mia, pur attenendosi a proporzioni più modeste, vuol essere più completa e più precisa. Diversità d'intenti dovuta a diversità di scuola. Il Belgrano segue l'indirizzo dei tempi suoi; ricerca Γ 13 nelle età passate il lato caratteristico, il particolare brillante e specialmente si ferma sulla ricchezza e sul lusso della vita signorile, io seguo la scuola che si può dire iniziata in Italia da Carlo Merkel e proseguita da tanti valorosi ingegni, la quale tende ad approfondire la ricerca su ciascun oggetto degli inventarii, a spiegarlo, a dirne la foggia e l’uso, a seguirne le modificazioni negli anni, a dare insomma una nozione compiuta della vita nell’epoca presa a studiare. Rispetto alle fonti di cui mi sono valso per il mio lavoro, il lettore troverà che nel primo capitolo, discorrendo delle condizioni politiche e sociali di Genova nel Rinascimento, ho compulsato tutte le opere che trattano direttamente o indirettamente dell’argomento e mi sono gio jatc in special modo, delle notizie sull’epoca, sparse nelle varie opere dei nostri Atti. Per il secondo, il terzo e il quarto capitolo, che vertono sui commerci genovesi e sulla vita privata genovese, fonti principali sono state gl’inventari ed i registri di A. Gallo. Ebbi cura di confrontare ogni voce con quelle di inventari genovesi già editi e di altre città italiane ed ho ricorso a dizionari e glossari italiani francesi e genovesi che potessero venirmi in aiuto per spiegare suppellettili e foggie di vestiti. Per il quinto capitolo che tratta degli usi e dei costumi del popolo ge-novese, ho messo a profitto molte accurate monografie recenti, ed ho raccolto notizie da ognuna, passando dallo studio sulle feste e i giuochi dei genovesi del Belgrano alla « memoria sulla donna nella vita genovese dello Staglialo ; dalla commedia «Il Barro » del Foglietta al volume sulle monache in Genova del Rosi; dagli articoli del Neri su Torhmasina Spinola e sul Redoglio a quelli del Cervetto sul Natale e sul Carnevale genovese e vi ho aggiunto anche qualche cosa di mio, traen-dola dallo statuto dei padri del Comune e dalle mie ricerche nell'Archivio di Stato di Genova. * * * Ho già accennato che alcuni degli inventam qui stampati furono copiati dallo Staglieno e che da essi attinsi parecchie importanti notizie ; ma devo aggiungere che, essendo in questi ultimi quattro anni lontano da Genova per i doveri del mio insegnamento, io potei studiare questi documenti soltanto sulla copia dello Staglieno e mi f idai della esattezza della trascrizione, poiché conoscevo lo Staglieno, uomo scrupoloso e praticissimo nella lettura di carte d’archivio. Tuttavia, prima di licenziare alle stampe gli inventari, credetti mio dovere di consultarne gli originali nell’Archivio di stato di Genova e, con dolorosa sorpresa, dovetti notare che qualche voce era stata male in-tepretata. Ora gl’inventari escono al pubblico perfettamente corretti mentre il testo contiene cita- 15 stoni e spie gasioni di voci scorrette e, a volta, del tutto modificate. Vi ho posto rimedio con il Glossano, indicando la voce errata e rimandando alla corretta. Prego perciò tutti coloro che leggeranno la mia opera di consultare il Glossario prima di dare il loro giudizio. Ricordo al lettore che, per economia del libro, non ho pubblicato tutti gli inventari da me spogliati: ho dato alle stampe soltanto i più importanti e così pure le pagine o le note di spese che maggiormente interessano nei due registri del Gallo : perciò alcune voci citate nel corso dell’opera non si troveranno nei documenti resi di pubblica ragione, ma, per fortuna, sono rarissime. Nel Glossario ho raccolto tutte le voci citate nel testo e nei documenti Ho illustrato quelle che non avevano alcuna spiegazione nel testo ed ho quasi sempre aggiunto notizie supplementari alle voci già spiegate nel corso dell'opera. 7Γ * * Giunto alfine del mio lavoro compio il gradito dovere di ringraziare la Società Ligure di Storia Patria della cortese ospitalità che ancora una volta volle offrire ai miei studii nei suoi Atti. All’egregio Presidènte, marchese Cesare Imperiale dei Principi di S. Angelo, ed ai membri dèi Consiglio Direttivo che approvarono il disegno del mio lavoro e mi dettero saldo appoggio della loro autorità durante la stampa di esso, i miei più vivi ringraziamenti. Un ultimo ma fervidissimo cenno^ grazie rivolgo all Ufficio di Storia ed Arte del nostro Mu-nicipio, ed in ispeciale modo all’Assessore Angelo Nattini che accettò di far ornare l’opera mia con illustrazioni tanto opportune per essa ed all’amico Orlando Grosso che si incaricò di compiere la ricerca di esse e la loro disposizione nell’opera. Emilio Pandiani. CAPITOLO I. GENOVA NEL RINASCIMENTO % Capitolo I. GENOVA NEL RINASCIMENTO Aspetto della città - Carattere degli abitanti e vicende cittadine - Umanesimo - Perdita delle colonie - Crisi del commercio. --*-- erso la fine del secolo XV e gli inizi del XVI Genova doveva apparire, a chi vi giungeva navigando lungo l’incantevole riviera, o a chi dalla valle della Polce-vera, tutta verde e sparsa di ville, svoltava il capo del Faro, come uno spettacolo indimenticabile. La Superba era forse più bella allora che ai dì nostri, poiché non la velava il fumo di cento camini, nè ingombravano gran parte del suo bel seno le larghe calate, occupate da rozzi capannoni ; era tutta racchiusa nella vecchia cinta di mura, incoronata da una più densa selva di olivi che oggi non sia, baciata dal mare più libero, più azzurro, più vicino. Essa appariva difesa in basso dalla mobile selva degli alberi di navi, 20 GENOVA NEL RINASCIMENTO in alto da una selva più salda e più fiera di torri altissime rosseggianti di mattoni, o nere di pietre bugnate, vigilanti sopra una larga distesa di tetti grigi di lavagna, che dal mare salivano sulla collina e s’arrestavano sotto la gran mole del Castelletto, ciclope torvo e minaccioso dinanzi al suo gregge. La città che prima del mille era tutta raccolta intorno alla collina del Castello, vecchio nucleo di abitazioni, rammemoranti popoli etruschi e dominatori romani, si era ampliata- poi verso ponente lungo la riva del seno lunato, lungo il suo mare, la sorgente più grande della sua vita. Gli Appennini impervi' lasciavano aperto un solo e neppure facile valico attraverso le loro aspre giogaie. E sul mare e per quel valico, la rude forte e antica razza ligure aveva fondata la sua fortuna e la città si era andata man mano ampliando. Le vecchie mura dell’epoca del Barbarossa non l’avevano più potuta contenere ed altre nei secoli XIII e XIV avevano incorporato quei borghi che sino allora erano rimasti fuori delle porte della città. Sul mare si era spinta la grande opera del molo e un dopo l’altro si erano costruiti i moli minori per lo scarico delle mercanzie ; sulla riva s’erano venuti allineando magnifici palagi con alti ed ampi portici, sotto i quali ferveva il commercio. Dietro ai grandi palazzi fronteggianti la marina, correva una via che si estendeva da un capo all’ altro della città. An-ch’essa era splendida per vasti e sontuosi edifici e da essa si apriva una serie di piccole viuzze, esse pure fiancheggiate da alti palazzi, che salivano verso la collina, adattandosi alle sinuosità del terreno e spezzandosi in una serie di chiassuoli e di piazzette, ASPETTO DELLA CITTÀ 21 sulle quali ergevasi spesso il superbo edificio di un patrizio e la facciata di qualche piccola chiesa nella massiccia architettura romanica, o di grandi chiese gOtiche, come il vecchio tempio di S. Lorenzo e S. Maria di Castello e S. Francesco e S. Domenico, che accoglievano nelle loro ampie navate i fedeli. La città era allora in un periodo di trasformazione, come richiedeva la nuova arte del Rinascimento. I palazzi conservavano bensì l’imponenza e la severità delle linee gotiche, ma venivano aggraziandosi cogli eleganti portali di marmo nero di Promontorio, adorni di medaglioni d’imperatori romani, superati ben presto dai portali di marmo bianco di Carrara con le candelabre tutte intrecci di foglie e di fiori e gli architravi ritraenti scene mitologiche, ma in maggior numero l’immagine di S. Giorgio che uccide il drago (*). Gli artieri avevano ancora le loro contrade ove erano le botteghe della loro arte: i macellai a So-siglia, gli orefici presso la piazza dei Banchi, gli scudai e gl’indoratori presso S. Lorenzo; gli alabardieri a S. Maria di Castello, i tintori nel borgo di S. Stefano, i lanaiuoli in un borgo che da loro prendeva il nome. Le vie presso il mare erano continuamente affollate da gente affaccendata. Era una folla cosmopolita che dal viso e più ancora dagli abiti di fogge strane indicava di provenire da lontane regioni e si soffermava dinanzi alle bot- (i) L. A. Cervetto — I Gaggini da Bissone, Milano Hoepli 1903; Urlando Grosso — Il San Giorgio dei Genovesi, Genova Libr. editrice moderna 1914. 22 GENOVA NEL RINASCIMENTO teghe di panni, di sete, di gioielli, per contrattare o proporre acquisti, e fra essa passava il marinaio col viso adusto dal sole e dalla brezza marina, che attendeva l’ingaggio su qualche nave che si recasse in levante, e il calafato che si recava all’arsenale per riparare o costrurre le navi, il bastagio agli scali delle merci, il commerciante alle volte o botteghe aperte sotto Ripa, il notaro alle case ove era chiamato per stendere contratti, il cancelliere al Palazzo per il disbrigo delle varie funzioni dello stato, per vergare lettere agli ufficiali delle Riviere, mandare ordini e consigli ai mercanti genovesi sparsi per tutta l’Europa. Presso al vecchio molo maestri d’ascia, velai, fabbri, bottai, fabbricanti d’ancore, di remi, di pu-leggie facevano echeggiare l’aria del loro continuo martellare. Ardevano le fucine dei Gioardo, fonditori di metalli Pa&' 1 ^ e segg. (3) Nicolò Giuliani, Notizie sulla tipografia Ligure sino a tutto il sec. X-VI; Marcello Staglieno, Sui primordi dell’arte della stampa in Genova, Atti Soc. Lig. Stor.Pat., Voi. IX. (3) G. Μ. JBriquet, Le papiers des archives de Genes et leurs fi 1 granes, Atti Soc. Lig. St. Pat. Voi. XIX. COLONIE GENOVESI 31 incisa la sentenza di consoli romani su alcune controversie tra contermini della valle stessa, rimunerando generosamente il maestro che ne aveva dato avviso e ordinando che la tavola di bronzo fosse conservata gelosamente fra le cose più care della città (*). Tutto ciò è segno di civiltà e di progresso; ma la vera vita della città era nelle sue industrie, nei suoi commerci e in questi Genova aveva tradizioni gloriosissime, tradizioni che le avevano valso la fama e la potenza di una delle prime città d’Europa in tutto il medio evo. Le crociate 1’ avevano trovata pronta ad approfittare del nuovo stato di cose per allargare con magnifico slancio i suoi traffici. Per secoli essa aveva regnato insieme con Venezia sui mari del Levante. Essa ne aveva solcato in tutte le direzioni le onde colle sue galee e ne aveva pervaso le coste co’ suoi uomini, fondando una colonia in ogni porto. Il nome genovese era e lo è tuttora in tutto il Mediterraneo sinonimo di alacrità e di spirito di iniziativa. Le tradizioni locali di molti paesi del-l’Oriente attribuiscono ai genovesi piantagioni di olivi e costruzioni di fortezze e di fondachi che se per alcune di esse si dimostrano false al lume della storia, denotano pur sempre l’ammirazione che i popoli orientali ebbero per il genovese. Esso, non pago di dominare sul mare, spinge i suoi traffici nelle più remote regioni, nella Persia, nell’india, nella Cina e giunge persino a trasportare per terra le sue navi per (i) A. Sanguineti, Seconda appendice alle iscrizioni romane ecc., Atti Soc. Lig. St. Pat. Voi. XI. 32 GENOVA NEL RINASCIMENTO immetterle nel mar Caspio ed organizzarvi un servizio di navigazione. Se il dominio delle isole e delle coste del mar Egeo è sempre diviso coi veneziani, le coste del mar Nero sono invece quasi esclusivo possesso dei genovesi; il commercio è tutto nelle loro mani e qualche volta essi sono riusciti ad affamare Costantinopoli, impedendo il trasporto di cereali e di pesci salati, necessarii alla città. Samastro, Sinope e Trebisonda sulle coste settentrionali dell’Asia minore, Batum e Sebastopoli nella Mingrelia, Copa e Toma nel mar d’Azof, formano un diadema di ricche colonie intorno a quella penisola di Gazaria o di Crimea che dalla fine del secolo XIII è il centro dei commerci genovesi nel mar Nero e dal 1365 è in pieno dominio della repubblica colla sua capitale Caffa, la quale ha steso il suo dominio sulle vicine città di Soldaia e di Cembalo. Ancora \erso la metà del sec. XV l’inesausta attività genovese ha aggiunto nuovi possessi nel Ponto ; i Ghisolfi hanno occupata Matrega, sullo stretto tra il mai Nero e il mare d’Azof, i De Marini Batiarium (Bachtar) su quest’ultimo mare, i Senarega Castrum Ilicis a a foce del Dnieper. Ma ormai il destino che regge, oltre la vita degli uomini, quella dei popoli, vuole che altri i vinca nei commerci, che le loro belle colonie ca dano sotto altri dominatori. L’Europa ha visto con sdegno e con terrore a vanzarsi per l’Asia minore della potenza dei Ture 1. I genovesi, subito dopo la conquista di Costanti nopoli, si accorgono che il nuovo signore vuole avere l’impero assoluto nei suoi domini. Pera non è più Galee - Particolare di una veduta di Genova eseguita nel 1597 da C. Grassi, PERDITA DELLE COLONIE 33 colonia privilegiata, indipendente ; essa discende al grado di un semplice villaggio turco, amministrato da un emissario del Sultano. Essa non domina più lo sbocco nel mar Nero. I cannoni turchi sono ormai puntati sullo stretto e bisogna venire a patti prima di tentare la traversata. Caffa, tutte le colonie genovesi del Ponto, sono alla mercè del nuovo padrone del Bosforo. La base sulla quale poggiava tutto l’edificio della potenza genovese nel mar Nero è stata scalzata. Presto appaiono le crepe nell’ edificio ; Sebastopoli viene assalita e presa dagli Abkasi (1455) e i o-enovesi sono fatti schiavi; Castrum Ilicis viene O 7 occupata a tradimento dai Tartari (1455), Caffa, ceduta nell’anno stesso della caduta di Costantinopoli al Banco di S. Giorgio, nella speranza che questo potente organismo finanziario le sapesse infondere nuova vita, non può avere che a sbalzi gli aiuti della madre patria attraverso alla via pericolosa del Bosforo ; essa vede sempre più avvicinarsi il momento della sua rovina ; rafforza disperatamente le sue mura, raccoglie viveri per l’estrema difesa, ma quando nel 1475 la imponente flotta turca si presenta dinanzi alla città, la disperazione invade gli animi e dopo una breve resistenza Caffa si arrende e il Ponto cessa di essere un lago genovese. Anche l’Egeo è ormai caduto quasi compieta-mente in possesso del feroce e barbaro mussulmano. I Gattilusio, principi di Lesbo, perdono (1455) le isole di Lemno e di Thasos ed il possesso della Vecchia Focea nell’Asia minore, e nello stesso anno la Nuova Focea è presa dai turchi, che vendono schiavi i ge- 34 GENOVA NEL RINASCIMENTO novesi. L’anno dopo (1456) il ramo cadetto dei Gat-tilusio perde Aenos, Imbros, Samotracia. Nel 1462 anche Lesbo è occupata, e l’ultimo dei Gattilusio viene strangolato a Costantinopoli. La maona di Cipro, società genovese che possedeva da un secolo (1373) la importante città di Famagosta ed aveva il monopolio del commercio dell’isola, vede la città occupata da Giacomo II, un bastardo dei Lusignano, e la egemonia genovese sull’isola passa poco dopo in mano dei Veneziani (1489). Rimane solo nell’Egeo il dominio genovese dell’isola di Chio ; la sua potente maona si adatta a pagare tributi sempre più onerosi al Sultano e per tutto il secolo XV può occuparsi con una relativa libertà della cultura del mastice e dei frutti del mezzogiorno. Ceduta ai Giustiniani, può resistere ancora per quasi tutto il secolo XVI finché una improvvisa crisi le impedirà di pagare il tributo ai Turchi ed essi coglieranno questa occasione per impadronirsene definitivamente (1566). Nella seconda metà del sec. XV può dirsi che il commercio genovese subisca un grave tracollo per la perdita delle colonie, ma non che sia completamente rovinato poiché, malgrado le angherie dei nuovi signori di Bisanzio e la rapacità dei Sultani d’Egitto, il commerciante genovese continua a importare neH’Oriente vino ed olio, frumento ed orzo, panni e tele, stagno e coralli e ad esportare dai porti del-l’Asia minore e dell’ Egitto pepe, zucchero, indaco, zenzero, cotone greggio e filato, lane, pelli, cuoi e stoffe, come la seta, i boccacini, i camellotti, i ca-mocati, i broccati d’oro, ecc. Ma sopraggiunge una nuova e più grave rovina. CRISI NEL COMMERCIO 35 La scoperta della via marittima alle Indie, fatta dai Portoghesi nel 1498, porta uno sconvolgimento completo nel commercio del Levante. Tutte le droghe di cui si faceva tanto consumo in quei secoli possono ormai acquistarsi sul luogo d’origine ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello dei mercati d’Egitto, di Siria, dell’Asia minore. Ancora nel 1498 vi sono ad Alessandria d’Egitto tali provviste di spezie che alle galere venete mancai! denaro per comprare tutto ciò che viene messo in vendita, ma appena i Portoghesi incominciano a fare grandi acquisti di pepe sul luogo di produzione, la penuria di questo articolo si fa sentire sui mercati dell’ Egitto e della Siria. Nel 1502 le galere di Beyrout non portano a Venezia che quattro balle di pepe; negli anni seguenti le galere venete debbono spesso lasciare l’E-gitto e la Siria con mezzo carico e risolversi talvolta a tornare a Venezia senza una sola balla di spezie (*). In breve il commercio delle spezie, così lucroso per le repubbliche marinare italiane, passa ai Portoghesi: Genova e Venezia per le continue lotte contro i lurchi non possono disporre di grandi flotte per fare loro concorrenza. L’antico predominio commerciale e marittimo è tramontato per sempre. (i) Per tutte le notizie rispetto all’Oriente vedi A. Vigna, Codice diplomatico delle colonie Tauro Liguri durante la signoria dell’Ufficio di S. Giorgio (I453-H75) in Atti Soc. Lig. St. Pat. Voi. VI e VII; Marengo, Manfroni, Pessagno, Il Banco di S. Giorgio, Donath, Genova 191 ij G.Heyd, Storia del commercio del Levante nel medio-evo in Biblioteca dell’Economista, Serie V, Voi. X, Torino, Unione tip. ed. torinese 1913. 36 GENOVA NEL RINASCIMENTO Sarebbe tuttavia assurdo, o almeno ingenuo, pensare che Genova, avvezza da secoli al traffico e spinta per forza di postura alla navigazione, abbia perduto d’un tratto ogni vincolo col suo passato, rinnegata l’unica via del suo sostentamento. Il mare è sempre il grande elemento di vita per il ligure, i cantieri si allineano ancora numerosi presso la città e lungo la riviera; una maestianza ben istruita e piena di slancio, esce dal popolo della Superba. Non sono dimenticate le tradizioni delle famiglie dei Da Noli e dei Maggiolo, abilissimi nel disegnare carte nautiche, chè anzi Agostino da Noli e Vesconti Maggiolo ottengono in questi tempi speciali compensi dal Comune ; il genovese sa usare da maestro la bussola, il sestante, l’astrolabio e il mar-telogio. Esso è noto al mondo per la sua perizia nautica, e pone a profitto di altri la sua antica pratica ma rinara. Le menti migliori, le più valide braccia servono d’ora innanzi ai re di Francia e di Spagna, e e nova diviene la provveditrice di galee, di marinai, di capitani per le lotte di predominio fra i due gran 1 e giovani Stati. Il suo commercio, pur non abban o donando completamente gli scali del Levante, si vo ge di preferenza a quelli di Ponente ove fioriscono an cora i traffici con gli Stati cristiani del Mediterra neo e colla lontana Inghilterra. Non è nostro intendimento di occuparci per ora della vita politica di Genova in questo periodo, perchè sarà oggetto di un altro nostro studio; vogliamo invece fare una breve esposizione della vita privata di questo stesso periodo, che ci è dato di ricostruire su due grossi registri di conti del notaio Antonio CRISI NEL COMMERCIO 37 Gallo, cronista della fine del secolo XV, e sopra inventari contemporanei. Formeranno prima argomento della nostra trattazione i commerci genovesi : discorreremo poi delle case e del loro mobilio, delle vesti e dei gioielli e infine dei costumi e delle usanze. CAPITOLO II. COMMERCI GENOVESI -*-- ' » p ■ ", ( ■ ■ ' < _ , ( ,r > ·ι>· » _ - _ __ Capitolo II. COMMERCI GENOVESI Panni- Cotoni - Pelli - Tappeti - Mastice - Allumi - Grani Messi di comunicazione. -----A--- ον abbiamo la pretesa di svolgere in questo capitolo la storia completa del commercio ligure nell’epoca da noi studiata, chè richiederebbe, come ognuno può comprendere, una trattazione ampissima e uscirebbe dai limiti e dall’argomento che ci siamo proposti. Vogliamo soltanto accennare ad alcuni traffici, sui quali possiamo dare qualche utile ragguaglio ricavandolo dalle carte di due registri di conti (l) (i) Archivio di stato di Genova; mss. 711, 750, in foglio, legati in peigamena. L ms. yn ha questo titolo: Cartularium rationum privatarum mei Antonii Galli cancellarii magnifici offici) Sancti Georgii. 11 ms. 750 ha sulla faccia superiore della legatura l’anno MCCCCLXXXXI. Sulla pagina di guardia mani moderne scrissero: « Antonii Galli,' 1491 » (Private provenienti dai registri e carte sparse di S. Giorgio). 42 COMMERCI GENOVESI del notaio e cronista Antonio Gallo che fu commerciante attivissimo ed è un vivido esempio dei genovesi di quei tempi, non come jora specializzati in un solo ramo di affari, ma dediti ar più vari e molteplici. Studieremo prima alcuni dei commerci coll’ 0-riente, accenneremo poi a quelli coll’Occidente. — Guglielmo Heyd nella sua Storia del commercio del Levante nel medio evo (p. 1245), pone tra i principali articoli di scambio dell’ Oriente con l’Occidente quello dei tessuti ed afferma in tesi generale (pur facendo qualche riserva per numerose eccezioni) che quel commercio dava luogo a due correnti in senso inverso, l’una da Oriente in Occidente per i tessuti di seta e di cotone, 1’ altra da Occidente in Oriente per i tessuti di lana e di lino. Genova era tra gli stati principali che esercitavano questo traffico ed i panni genovesi erano già noti e pregiati fin dall’alto medio evo, come dimostra il Belgrano nella sua Vita privata dei Genovesi. Noi possiamo, come già dicemmo, completare queste notizie, raccogliendo una gran copia e varietà di panni trafficati in Genova. Ipannilani genovesi sono dei più vari e vaghi colori: bianco, bianco scarlatto, azzurro, giallo, mischio (cioè grigio), ora più scuro, ora più chiaro; nero, paonazzo, persegorio (simile al fiore del pesco? Cfr. Pegolotti, panni per sichini), peldileone (fulvo), roano, rosa e rosa secca, verde, vermiglio; ma accanto ad essi Genova commerciava anche panni di Firenze, di colore nero, azzurro, paonazzo, peldileone ; panni di Firenzuola, di Mantova, verdi e paonazzi, e di Perpignano, e con essi imitazioni genovesi « more Florenzolarum, Mantuanarum, Per- 43 pinianarum, Florentiarum » e queste ultime, tinte in grana, paonazza e scarlatta (!). Una varietà di questi panni erano gli stameti di Genova, di Piacenza, di Vigeino {Vigevano?) detti anche Lombardi. Gli stameti erano tessuti leggeri fatti di stame, la parte più fine, più lunga e più consistente della lana; il Cecchetti ( Vesti Veneziane 1300 - pag. 11) nomina gli « stametos sive pannos tute lane de Verona » e ricorda pure gli stamforti che crede derivino da stami forti, mentre il Gay (Glossaire) opina derivino dalla città inglese di Stanfort nel Lincolnshire ; uno stamforte nigro è ricordato dal Mazzi {Doc. medioevali p. 3) per una guarnacia. Un’ altra specialità di panno, di cui non sappiamo dar notizia, era quello di Garbo. A Chio, che era rimasta in potere di Genova, si faceva la permuta di questi panni con quelli orientali, dei quali i più noti erano il boccasino, il cla-melloto o cameloto ed il camocato. Il boccasino, secondo il Ducange, era un panno di cotone o di lino; I’Heyd {op. cit. p. 1254) afferma che era tela di lino, a cui gli Egiziani sapevano dare tale finezza e lucentezza da po- (i) La grana dice il Ducange, è una bacca che dà il colore scarlatto, ma il Merkel (3 corredi del 4°°) dimostrò che la grana si usava a preparare non solo lo scarlatto, ma il morello e il paonazzo. Il Gay (Glossane) afferma che lo scarlatto indicava la tinta viva di ogni colore e vediamo infatti poche linee più sopra il bianco scarlatto. Solo dopo Colbert, aggiunge il Gay, lo scarlatto divenne colore di un rosso brillante a base di giallo. Ma troviamo anche prima (1558) quattro vesti di scarlatto inviate a Costantinopoli (Manfroni, Relazioni fra Genova, l’impero bizantino e i Turchi). Atti Soc. Lig. St. Pat. Voi. XXVIII pag. 820). Rispetto ai colori che poteva dare la grana aggiungiamo a quelli del Merkel, il vermiglio che troviamo in un « zentonini de grana vermilii ». 44 COMMERCI GENOVESI tersi scambiare per seta; il Gay (Glossaire) dice che era tela di cotone feltrato, del genere dei fustagni e ci spiega pure la voce boccasino bai-rami, che riscontrasi nelle note genovesi, citando un passo di L. De Barthème (LAfrique de Tempovai): Tous les ans (à Benghalla) on lève plus de 50 na-vire de draps de soye et coton qu’ il appellent en leur langue Bairami, mamone, lizari, ciantari, douzar et sinabeffi. — I nostri boccasini sono bianchi, neri gialli, e uno di essi viene da Damasco. Il camelloto era stoffa con peli lunghi del genere della felpa, tessuto nell’ Asia orientale col pelo di cammello, nell’occidentale (Asia minore) col pelo di capra. I nostri camelloti sono spesso detti di Angora, cioè fatti col pelo delle capre di Angora, che può rivaleggiare, per finezza, con la seta più bella e sono di due qualità: fini o forti. Si trovava in tutti i mercati d’ Oriente ; ma il centro della fabbricazione era Cipro, colle due città di Famagosta e di Nicosia (Heyd, op. cit., p. 1255-56). Il Gay (Glossane) dice che nel secolo XV i veneziani facevano camelloti di seta, riproducenti con vantaggio l’aspetto lustro del tipo. In Genova era proibito alle fantesche e alle schiave di portar seta « comprehenso lo ihameloto, lo quale se intende esser seta » (Arch. St. di Genova. - Diversorum filza 65, anno 1504); difatti negli inventari è ricordata una gonna « clamelloti albi acamocati », cioè di camelloto lavorato in modo da sembrare camocato che era, come vedremo, stoffa di seta. Una specie di camelloto, più fine, era il zarza-cano, di cui, dopo molte ricerche, siamo riusciti ad avere notizia nel Gay (Glossaire). Sotto la voce CAMELLOTI E CAMOCATI 45 Camelot si legge un « excerpto » dal Dict. etymol. di I. Bourdelot : Il se fait des étoffes du poil de petis (sic) boucs qui sont en l’Anatolie: iis appellent le plus molle zarzacan, le second mocajar, d’òn je crois qu’ il fault tirer nostre moucajar par corruption de mot et du troisième qui est la bourre ils font le camelot. Un’altra specie di panni, non ricordata da altri autori, è quella dei marorchini che non crediamo debba confondersi coi marocchini citati dall’ Heyd {pp. cit., passim) che sembrano oggetti di pelle. A Chio si acquista inoltre la seta, la quale è ravvolta in accie {acie), o in matasse (masseti) e viene confezionata in fardelli, mentre le pezze di panni sono raccolte in balle. La seta detta stravai, dal nome della famosa città di Asterabad {Strava) presso all’angolo sud-est del mar Caspio, era portata a Genova per esservi tessuta, giacché l’arte di tessere la seta era qui già nota da secoli ed aveva tale importanza che Antoniotto Adorno nel 1523 poteva scrivere ai maonesi di Scio : « L’arte della seta non che l’occhio destro è l’anima della nostra città. » Il Belgrano {Vita priv. dei Genovesi p. 214-15), anzi giunge a dire che « l’elevazione di Paolo da Novi alla suprema dignità dogale (1507), meglio che un avvenimento isolato, od un mero frutto di incomposti tumulti di popolo, vuol essere considerata come la esplicazione della potenza, cui era pervenuta quella industria fra noi ». Una delle stoffe seriche più ricche era il camocato, che fabbricavasi dapprima in China, indi col nome di Kamka fu introdotto in Persia, in Arabia, in Cipro, (Heyd - op. cit. p. 1249); più tardi fu lavorata anche in Italia, specialmente a 46 COMMERCI GENOVESI Lucca e a Genova stessa, ove troviamo determinate collo statuto dell’arte della seta (1432), le mercedi agli operai per ogni braccio di camocato (Belgrano op. cit. p. 201). Il camocato era spesso tessuto a disegni ed era detto allora damascato, dal damaschino pure tessuto a disegni, e talvolta era a colori cangianti (Gay, Glossaire). Abbiamo già accennato esservi pure der panni di lana acamocati (clamelloti acamocati), ma tro-vansi anche dei camocati yechini, forse di colore d’oro di zecchino, dei camocati apignolati, o a piccoli rilievi come pignoli e ve ne sono di bianchi, morelli, cremisi, verdi, viola (violati), celesti. Molto simili ai camocati sono i broccati, stoffe pesanti di seta, nelle quali erano intessuti disegni di rami, foglie, animali e divise. Vi sono esemplari di broccati di raso cremisi, di broccati morelli, di broccati celesti « de argento », cioè intessuti d’ argento; ma non troviamo nei nostri inventari i ricchissimi broccati ricci sopraricci, forse troppo costosi per famiglie borghesi, come quelle che noi studiamo. Codesti broccati erano tessuti a trama doppia del riccio avente il pelo non tagliato in modo che il filo d’oro « ergendosi sul piano del-« l’ordito formava piccoli anelli e virgole d’ oro « risplendenti ora sì ora no, come fanno le lucciole ».. (L. A. Gandini in Luzio e Renier, Mantova e Urbino p. 297). Di essi ho voluto far cenno perchè il Luzio e il Renier {Lusso d’isabella d’Este marchesa di Mantova, Nuova Antologia, 1896, 1 giugno, p. 451) ricordano un broccato che presenta un certo interesse per Genova e per il momento di cui trattiamo.. Infatti si narra che Isabella fu nel 1492 condotta dal BROCCATI 47 Moro a scegliere una stoffa preziosa da un mercante di Milano e scelse « uno rizo sopra rizo d’oro cum qualche argento, lavorato ad una sua divisa che si dimanda el fanale, zoè el porto de Genua, che sono due torre cum uno breve che dice: Tal trabajo m’es piacer por tal thesauro no perder (') - (I due autori corressero in tal modo il motto che nel documento suona così : « Tal trabalio mes plases por tal thesauros non perder » ). Questa impresa è riprodotta in due illustrazioni dal Malaguzzi Valeri: La corte di Lodovico il Moro (Voi. 1, pag. 365, p. 460); nella prima sono effigiate due alte torri rotonde costruite con grosse pietre rettangolari e la architettura arieggia a quella della Lanterna o faro di Genova come doveva essere in quei tempi e come appare nell’opera del Podestà (Il porto di Genova, p. 305); fra le due torri si apre una profonda insenatura che vorrebbe rappresentare il porto ; un nastro a svolazzi contiene la scritta dell’impresa; nell’ altra illustrazione l’impresa è portata da un sopra uno scudo e qui le due torri sono quadrate come la torre della Lanterna, ma la rassomiglianza con essa è molto minore. Tale impresa doveva essere pure raffigurata su una ga-morra che indossava Beatrice Sforza, nel suo solenne ingresso in Ferrara nell’anno 1493, gamorra di « tabbi (2) cremezino rachamata al porto del fanale et supra (1) Quella stoffa, dicono i sullodati autori, costava 40 ducati il braccio, cioè 440 delle nostre lire e tenendo conto che il denaro aveva allora un valore quasi quintuplo di quello che ha oggi, potremmo calcolare quel broccato a circa 2000 lire il braccio. (2) Questo tabbi era probabilmente un pesante raso rigato che in arabo ha nome Attabi. — Heyd, Comm. Lev., p. 1257. 48 COMMERCI GENOVESI le maniche teniva due torre per cadauna et due altre nel pecto et due de dreto » (Luzio-Renier, Relazioni d’isabella con Lodovico e Beatrice Sforza, Milano, 1890, p. 78). Un’altra stoffa di seta era il velluto. I genovesi ne fabbricavano di molto belli e di molte varietà, a un pelo, a due, a tre peli, ma intorno ad essi è meglio leggere le notizie del Belgrano nella sua Vita Privata dei Genovesi. Ricorderò tuttavia un fatto poco noto a chi non sia dell’arte, e cioè che il velluto di seta più fino, che si usa ad esempio per i baveri dei cappotti è tutt’ ora fabbricato unb camente a Zoagli e nei dintorni, nella Riviera di Levante. Meno ricchi ma più in uso erano il taffetà, il zendato e il zentonino, stoffe di seta leggiera, morbida, non operata che adopravansi spesso come fodera di vesti più ricche. Il zendato (cendato) era tinto a varii colori ma generalmente di rosso, cosicché ta volta il nome della stoffa ne designò il coloie. a sec. XIV al XVI servì come sinonimo di astuccio, perchè gli argenti e gli ori delle chiese erano protetti da custodie fatte di zendado (Gay, Glossaire). 1 adoperava anche per cortine, federe e vesti d estate (Pardi, Supp. estense, p. 133) e ve n’era una varietà detta di rinforzato (Giulini, invent. Drusiana, p. 196). Il zetani o zetonino o zentunino era stoffa più leggiera del taffetà; come il zendato, era di seta cruda, o anche di borra di seta, ma poteva essere vellutato o rasato (piano) e questo corrispondeva al raso moderno (Heyd, op. cit., p. 1252-3, Merkel, 3 corredi 400, p. 68-71, Pardi, Supp. Est. p. 134). I Pm2Z61'TJl S,aiTlTT6;0··· ■VÌlhRTJZO Ι/ΗΦ,ΒΗ OORIJ^ -secxilt , H.6SlRaR(" ..... PANNI COMUNI 49 Abbiamo parlato sinora dei panni commerciati in Oriente o aventi origine da esso ; ma non dobbiamo tacere che un’altra regione, l’Inghilterra, offriva a Genova panni di molto valore e di varie tinte: di albo scharlato, cioè bianco vivo ; di biavo, cioè bluastro; di gamelino, cioè fulvo; di lanezio, forse biancastro; di mischio chiaro, cioè grigio tendente al chiaro; di paonazzo (fra azzurro e rosso), di rosa; alcuni di essi erano detti stricti, altri stricti de statuto, altri vastoni ; dall’Inghilterra sembra si importassero pure pelli e oggetti di stagno di cui parleremo più innanzi. È bene avvertire che di certi panni non esisteva alcun commercio colle regioni più lontane, forse perchè il loro prezzo modesto non compensava la spesa del trasporto ; usavansi però in Genova per le vesti e le masserizie e v’era la « bambaxina » stoffa di cotone probabilmente simile a quella detta « cotonina » che serviva in modo speciale per fodere ; troviamo anche toghe, gonne, o giornee fatte di « bambaxina » « cum pilo » o « sine pillo » o « atagii ». — Un’altra stoffa di poco prezzo era il « blancheto » o « blajheta » che doveva essere la nostra « bian-chetta» panno di lana per fodere di giubboni, per camiciole e per maniche ; il « biado » e la « butanea » che trovansi raramente e servivano per bialdi, gonne, diploidi ; il « borraxino » panno grosso di canapa (Il Fanfani ha un esempio tratto da gabelle del sec. XV : « Boraccio hover chanovaccio » ) ; il « bordo » detto oggi bordato, tela a righe di due colori, del quale dice il Mazzi (Casa senese, n. 105) si facevano di solito i materassi, mentre noi ne troviamo fatti due copertori o coperte per i letti ; la « bruneta » drappo 50 COMMERCI GENOVESI fine come i merinos che prendeva il nome dalla sua tinta violacea quasi nera (Gay, Glossaire), il «ga-melo » o « gamelino > così chiamato dal colore del camello e fabbricato forse originariamente del pelo di esso, che era panno a doppia faccia di lana fina morbida e leggiera, raramente tinta, il cui colore variava dal grigio chiaro fino al bruno (Gay, Glossati'e). Una stoffa non accennata nei nostri documenti e che tessevasi certamente a Genova, era il bucaramo o bucherarne (*), che il vocabolario della Crusca dice essere « sorta di tela per lo più di bambagia, sottile e di pregio » e crede che il nome derivi « forse da bucherare, quasi panno bucherato, perchè rado » ; mentre il Gay afferma che esso prende il nome dalla città tartara Bucara e corrisponde al classico bisso, ed è tessuto di lino fino e leggero, lucente come la «battista». Durante tutto il secolo XIV importasi dall’ Asia e da Cipro ed è stoffa preziosa; ma i suoi usi diversi indicano che essa comincia a perdere la sua finezza primitiva, avvicinandosi ai « piqués » di cotoni moderni, tanto è vero che nel sec. XV cambia natura e non si adopera che nelle fodere. I fustagni (2), altri panni di minor pregio, erano di cotone e servivano specialmente a foderare vesti ; (1) Lo ricorda il Merkel, Tre corredi del 400, p. 90-92 traendolo daH’inventario del tesoro della chiesa ordinato da Clemente V. che trovasi in « Regesti Clementis papae V editi cura et studio monachorum ordinis S. Benedicti, Roma, tip. Vaticana, 1892, Tomo I, p. 4^4· (2) E. Motta, Per la storia dell’arte dei fustagni nel sec. XIV, in Arch. Stor. Lomb. serie 2., XVII anno 1890, fase. 1 p. 145. PANNI E SETE COMUNI 51 eranvi però anche dei fustagni argentati per altri usi, per bialdi e giornee. Raramente si incontra il « dobleto » tela di Francia fatta di lino e bambagia (Fanfani, Vocabolario); il quale dai nostri esempi pare servisse per copriletti ; e più di rado il panno « clarixie » che parrebbe dell’ordine monastico delle clarisse ; e il « mosterile » che potrebbe essere voce sinonima di « monachino » (provenzale mostier = monastero); il monachino era di lana, tessuto un tempo da certi monaci per le loro cocolle e poi adottato anche dai frati francescani; dicevasi monachino e per la qualità del panno e per il colore di un bruno rossastro cupo, sebbene si trovi spesso ricordato col color nero e particolarmente col perso, avente pure del rosso. (Merkel, Beni famiglia Pucci, p. 35 n. 4). Un ultimo pannolano leggero, la « saia », fu in uso a Genova per gonne, toghe, giubboni e roboni; era di vario colore, bianco, pel di leone, paonazzo. Nel campo delle sete tenevano un posto secondario il « fioreto » e la « firozella », filaticci formati di seta tolta ai bozzoli sfarfallati, dai quali non si può più tirare la seta, ma solo cardarla per opera dello stracciaiolo. Non è ben chiaro il divario tra fioreto e firozella: Il fioreto sembra la borra di seta già filata ma da tessere, la firozella è certamente il tessuto fatto di quella seta. Ponendo fine alle notizie rispetto ai panni, non possiamo passare sotto silenzio alcune voci rife-rentisi a speciali operazioni a cui i panni stessi erano assoggettati prima di essere posti in commercio. Fra le spese del Gallo trovasi il conto di certi panni vecchi refullati ; eraho dunque stati mandati di nuovo 52 COMMERCI GENOVESI al follone, o gualchiera, macchina colla quale, mediante acqua, argilla, sapone e coll’aiuto di molte battute, si soda il pannolano, lo si rende cioè più unito e compatto. Il panno così sodato veniva garzato e cioè si sottoponeva all’ azione dei garzi, cardi selvatici con spine lunghe e acutissime colle quali si cavava fuori il pelo del panno e gli si dava una direzione, affinchè il tessuto rimanesse ben coperto. (Carena, Vocabolario). Il Gay riferisce un passo di J. De Garlande del 1225 nel quale si descrivono mirabilmente queste due operazioni: «Fullones nudi et sufflantes fullant « pannos laneos et pilosos in alveo concavo in quo « argilla est et acqua calida. Post hoc desiccant « pannos lotos contra solem in aere sereno quos po-« stea ipsi radunt cum cardonibus multis et asperis « ut sint vendibiliores ». La garzatura preludeva alla cimatura, colla quale si levava la cima e scemava il filo al pannolano, tagliandolo colle forbici (Crusca, Dizionario). Troviamo infatti nei registri del Gallo la spesa « prò acimaturis de pex. II paonaciis florensolis » e nei « Conti dell’ambasciata al Can di Persia (Desi-moni p. 593) > la spesa « prò tondura panni, tonsura caligarum » etc. Il panno veniva poi dato « ad chilendrandum » (Monticolo, Capii. Arti Venez., voi. 1, Tintori), allo strettoio per appianare (prò aplanatuns) e dare il lustro alla stoffa ; la quale piegata e ripiegata veniva appuntata (prò apontaturis) con spago, special-mente nelle cimosse o vivagni, onde nel trasporto e nei viaggi le ripiegature non venissero allargate e disfatte. COMMERCI CON CHIO 53 Le pezze di panno erano poi acconciate in balle dal « limatore » o imballatore che le involgeva in canabacio (canovaccio, panno di canapa grosso e ruvido) e le assicurava con corde. Passiamo ora in rapida rassegna gli altri commerci genovesi in Levante, i quali, dopo la caduta delle colonie del Ponto e dell’ Egeo in mano dei Turchi, si erano ormai ristretti quasi unicamente all’isola di Chio sulla quale sventolava ancora la bandiera di San Giorgio. Da Chio e da Focea veniva il cotone che si tesseva a Genova. A Chio si acquistavano pelli di montone (:montonine), vendute poi a Genova ai lanaioli, ai conciatori, ai pellicciai. I famosi tappeti orientali, già da secoli conosciuti ed apprezzati nell’Occidente, erano comperati a Chio e diffusi in tutta Europa ; appunto in quell’isola nel 1492 Antonio Gallo ne acquistò cinquanta « de tribus rotis» di cui quaranta spedì a Londra, per barattarli con panni inglesi «stricti de statuto». Florido era ancora il commercio del mastice, resina che si distilla dal tronco e dai rami di una varietà del Pistacia Lentiscus L., coltivata unicamente nell’isola di Chio, che perciò appunto è chiamata in Levante « isola del mastice ». I grumi di questa resina sono adoperati per fumigazioni aromatiche, o nella composizione di certe vernici; i medici antichi le attribuivano virtù curative. Il maggiorcon-sumo di questa resina era in Oriente; solo un terzo si importava in Occidente. Dalle miniere della Vecchia e della Nuova Focea {Foglie) i genovesi avevano tratto per due secoli (1275-1455) una ricca fonte di guadagni col traffico 54 COMMERCI GENOVESI dell’ allume, agente indispensabile per fissare i colori sulle stoffe e renderle più vivaci e più lucenti ('). Esso non serviva soltanto ai tintori ma agli al-luminatori, ai pittori, agli indoratori ed ai conciatori di pelli. Fu quindi assai grave il contraccolpo che subirono queste arti quando i Turchi diventarono padroni delle miniere di allume dell’Asia minore. A riparare tanta iattura volle il caso che un padovano, Giovanni De Castro, fuggito da Costantinopoli ove tingeva panni, scoprisse nel 1462 a Tolfa, presso Civitavecchia, un giacimento d’allume di qualità superiore del venti per cento a quello d’Oriente (Heyd. op. cit. p. 1128-1134). Formatasi una prima società, composta dei mercanti genovesi Eliano Spinola, Lodisio Centurioni, Baldassarre Giustiniani, venne nominato « maestro principale della miniera » Biagio di Centurione Spinola, il più sicuro ed esperto conoscitore e lavoratore dell’ allume in quei tempi. Indi se ne formò un’ altra con Filippo e Federico Centurioni e Brancaleone d’Oria, affidando a Biagio Spinola la direzione e la sorveglianza della impresa, mentre un altro genovese, Meliaduse Cicala, che fu poi potentissimo banchiere in Roma sotto Sisto IV, trafficava l’allume papale in Inghilterra. (G. Zippel - L'allume di Tolfa e il suo commercio p. 17-20, 44). Subentrò poi la più potente associazione commerciale che vantasse in quel tempo l’Italia, la compagnia dei Medici di Firenze, alla quale verso (i) Mei 1500 il regio Governatore di Genova, Filippo di Cleves, prescriveva che la seta non potesse tingersi di chermisino « nisi cum alumine roche puro et nitido et non cum alia mistura» (Belgrano, Vita priv. gen., p. 205). l’allume di tolfa 55 la fine del 1474 Sisto IV fu costretto ad abbandonare tutta la merce “ venduta e non venduta. ” Lo Zippel {op. cit. p. 410) crede che questa onerosa dedizione non sia l’ultima delle cause del fiero contrasto fra il battagliero pontefice e la repubblica dominata dai Medici, che ebbe il suo clamoroso epilogo nella congiura dei Pazzi. Dopo la congiura il Papa, per togliere ogni apparenza di complicità coi Pazzi, tolse loro l’amministrazione “ della crociata ” dalla quale dipendevano le miniere di Tolfa e la affidò (giugno 1478) a una società genovese intitolata a Visconte Cicala e Domenico Centurione. Crediamo inopportuno seguire le varie vicende di questa impresa; basterà soltanto ricordare che dal 1478 al 1488 i Centurione e i d’Oria ebbero l’appalto di queste allumiere e che, dopo loro, presero saltuariamente parte a questo commercio Nicolò e Paolo Gentile e Gherardo Usodimare (Zippel op. cit. p. 412-415). Insieme cogli allumi si caricava sulle navi una stadera controllata, involtata e sigillata per garanzia della pesatura nei luoghi di scarico della merce (p. 446 η. 1) e per questa operazione appunto il notaio A. Gallo faceva fede nel 1506 che gli allumi ricevuti in Genova « per q. Lazarum de Auria et socios tum appaltatores aluminum camere aposto-lice... ab anno 1478 de mense Augusti citra usque ad annum 1488 » erano stati pesati « per ponderatores dugane sive pontis et comerchiorum ad pondus iustum et aiferatum cum cantali Janue » (Not. Ant. Pastorino, filza 25) ; ed è non inutile osservare che molti sacchi di questo allume furono portati e venduti a Chio, proprio alle porte delle miniere di Focea. Ciò prova che ragioni di inimicizia e di prezzo 56 COMMERCI GENOVESI impedivano agli abitanti dell’ isola di approvigionarsi di allume a Focea e li costringevano a importarlo dall’ Italia. Dei commerci con gli altri paesi del Mediterraneo il più lucroso era quello del grano che, se è attivo ai dì nostri, fu attivissimo in quei tempi tormentati da frequenti carestie. Una di tali crisi colpì Genova nel 1477 ed il governo, non sapendo in qual modo provvedervi, dovette proibire l’esportazione del grano e concedere salvocondotti a chi ne importasse in città, mandare ordini agli ufficiali delle Riviere di spedire a Genova quanto frumento, fichi, castagne, legumi potessero; decretare che i naviganti genovesi intercettassero e portassero a Genova tutto il grano che trovassero su navi amiche e nemiche, inviare lettere al podestà e ai maonesi di Chio, ai massari e mercanti genovesi di Londra, di Burges e anche al Re di Tunisi per tale incetta (A. Gallo, Commentari, p. 38, η. 1; 53, n. 3). S’importò grano e farina saxeta e tozella dalla Sicilia, dalla Corsica, dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Provenza, dalla Barbaria, dalle Fiandre. Al grande commercio del grano seguiva quello dell’orzo, dell’olio, del vino, del tonno salato, o tonnina, che si traeva specialmente dalla Spagna e infine, tutto particolare dei genovesi, il commercio e l’industria dei coralli. Abbiamo finora discorso dei traffici e dei commerci, ma non facemmo mai parola dei mezzi di trasporto : ora è bene ricordare che le merci dirette all’interno erano portate da muli in balle ben assicurate, o nei così detti « zerbini » specie di sacchi, intessuti di sparto che si collocano sulla schiena MEZZI DI COMUNICAZIONE 57 delle bestie a guisa di bisaccie. (Podestà, Porto di Genova, p. 434); quelle che erano dirette alle Riviere o alle regioni più lontane, per mezzo di navi. Per le navigazioni di breve durata servivano i « lembi » piccole navi a vela del tipo dei moderni trabaccoli: per le navigazioni più lunghe, il prototipo delle navi era la galea, la quale per secoli non mutò quasi affatto le sue dimensioni e la sua forma. Lunga circa quaranta metri, larga nella parte centrale da quattro a cinque metri, colla chiglia e la coperta di rovere ed il fasciame di pino, la galea aveva due alberi alti da undici a diciotto metri, sui quali s’inna,lzavano le antenne da diciassette a ventisei metri di lunghezza, sorreggenti le grandi vele latine. Il lungo e aguzzo sperone che sporgeva dalla prora minacciava l’arrembaggio alle navi nemiche. Alla sua base, sul breve castello di prora erano disposti i mangani per lanciare dardi, pietre, oggetti incendiari. Sui banchi di voga più di cento vogatori erano pronti a chinarsi sui remi, quando vi fosse calma di vento, o si minacciasse un attacco ; per difenderli e ad offendere si schieravano sui bordi della galea gli uomini d’arme, muniti di grande scudo, detto pavese, formando la pavesata, salda ed elegante barriera sulla quale spiccavano le varie insegne. Dal castello di poppa il patrono (capitano) dirigeva la nave e il nocchiero, o comito, regolava la voga o la manovra delle vele. (E. A. De Albertis, Costrus, navali ai tempi di C. Colombo, p. 26-28). Questo il primo tipo di nave che serviva ai commerci e alle battaglie. Nei secoli XIV e XV si incominciò a costruirne di due specie: sottili per la 58 COMMERCI GENOVESI battaglia e grosse pel carico, ai mangani vennero di mano in mano sostituite le artiglierie; alla pavesata tavolati disposti così da lasciar libere le scalmiere. La galea grossa, o di mercato, meno lunga e più larga delle galee sottili, più alta di sponde, munita di alberi con tre vele, con circa 120 rematori e alcuni marinari per la manovra di esse, solcò i mari del Levante, delle Fiandre e dell’Inghilterra. Colle galee andarono i grossi legni esclusivamente muniti di vele; gli usceri (uxeri), navi da carico per eccellenza, così chiamate per certi usci o portelli aperti nei fianchi ed a poppa per l’imbarco dei cavalli; le cocche (caucae) « navi gran-« dissime con mirifici castelli e torri e istrumenti « bellici e ingegni (di guerra) e grande moltitudine « di armati e tali da resistere a ben dieci galee ». Alcune avevano tre ponti, tre o quattro alberi altissimi, forniti di gabbie, dalle quali gettavansi proiettili sul nemico; i castelli costruiti sul ponte erano assai ampi e alti fino a sei o sette metri con armamenti formidabili. Oltre alle navi grosse, veri giganti del mare, i genovesi usavano uno svariatissimo numero di altre navi a vela, cocche con un solo castello a poppa, navi senza castello, panzoni dai fianchi molto tondeggianti, buci, salandre-navi, brigantini. Quando fu necessario armare le navi di cannoni si cominciò a collocarne sulla prora uno di caccia, detto cannone di corsia, poi gli furono posti ai fianchi altri pezzi di mezzana grandezza (moiane, moyennes), infine alcuni pezzi leggeri come falconetti e fucili da spalla furono disposti qua e là GALEE, USCERI, COCCHE, BASTARDE 59 a bordo; ma la galea leggera, dall’equilibrio instabile, non era adatta a sostenere questo peso e perciò se ne dovettero costruire di più robuste, più alte e relativamente più larghe, che, rassomigliando alle galee da mercato del secolo precedente, furono dette bastarde. Infine, per usare maggior numero di artiglierie e con maggiore efficacia si costrusse la caracca, nave grossa dai fianchi rotondi, con due o tre alberi, con grossi pezzi d’artiglieria entro i due castelli di prora e di poppa e spesso alcuni leggeri sulle gabbie e sui fianchi della nave. Più tardi la caracca divenne lunga, sottile come una fregata, ospitò le artiglierie sui fianchi in batteria, dopo che sparvero quei colossali castelli poppieri che le davano l’aspetto d’una fortezza. Riguardo all’equipaggio delle navi basterà qui ricordarne uno del 1476 (Archivio di Stato di Genova, Diversorum, filza 37) il quale ci dà una esatta nozione delle varie persone che lo componevano e delle loro mansioni. In esso troviamo il patrono o capitano della nave, il nocchiero e lo scrivano col loro rispettivo sostituto, che erano come consiglieri e aiutanti, oggi diremmo secondi del capitano, Vinsegnator, costruttore di ingegni o di macchine guerresche che doveva avere le mansioni di meccanico ed armaiolo, il tornator, maneggiatore di balestre a torno, il maestro d’ascia ed il calafato che dovevano occuparsi delle riparazioni della nave, il barbiere che era anche cerusico o chirurgo, il balestriere per le balestre, il bottaio per la custodia dell’acqua, due bombardieri, tre bombardieri-timonieri, il timoniere, il cameriere, il siniscalco, il servo del patrono, il cuoco, venti marinai, tre mozzi, i famuli o garzoni del bottaio, del mae- 60 COMMERCI GENOVESI stro d’ascia, del barbiere, del calafato, venticinque famuli di bordo e quattro scanaglili. La nave era munita di ventun bombarde coi pezzi di ricambio, sette barili di polvere, sei balestre a tomo con relative girelle e pezzi di ricambio, verrettoni (grosse freccie che lanciavansi colla balestra) corazze, lance, partigiane, dardi, etc. f1). Tale era l’equipaggio e l’armamento di una nave a vela nel tempo di cui trattiamo. Le navi a remi invece avevano, oltre gli ufficiali suddetti, la ciurma per il servizio di voga, nella quale avveniva proprio in questo periodo un profondo mutamento. Mentre fino alla metà del sec. XV i rematori erano tutti uomini liberi, ora essi venivano gradatamente sostituiti dai forzati o dagli schiavi, che incatenati ai banchi, erano comandati dall’ aguzzino munito di frusta per scuotere i .pigri e di fischietto per segnare il tempo. Terribile era la condizione di questi miseri vogatori e di essa fa un assai triste racconto il Marteilhe nelle sue « Mémoires d’un pvotestant » riassunte da G. Pessagno nel suo bel lavoro sulle « Navi » in appendice al Porto di Genova di F. Podestà. Su queste navi e su questi mari iniziarono la loro carriera quei forti navigatori noti a tutto il mondo per la loro perizia, ricercati dall’Inghilterra, dalla Francia, dal Portogallo per il loro forte « obrar » (operare). Su esse si formavano quegli arditi scopritori di nuove terre che dai fratelli Vivaldi, primi (i) Per le bombarde e le balestre a torno ved il « Glossario delie voci militari che si riscontrano nell’inventario fieschino del 1532 di Angelo Angelucci » Atti Soc. Lig. St. Pat., X, 773. NAVIGATORI GENOVESI 61 ira gli audaci che tentarono nei secoli più remoti (1291) il periplo dell’Affrica giungono sino alla coorte dei precursori, dei seguaci, dei continuatori di Cristoforo Colombo, il più grande, il più celebre dei navigatori liguri. Non parliamo di lui che sovra gli altri come aquila vola, ma accenniamo ai grandi suoi coetanei e concittadini che in questa epoca si copersero di gloria. Ecco, dice il Manfroni, Antoniotto Usodimare che nel 1455 giunse alle foci del Gambia; Antonio e Bartolomeo da Noli scopritori o riscopritori, come altri volle, delle isole del Capo Verde (1460) e finalmente Giovanni Caboto che altri volle veneziano o chioggiotto ma che indubbiamente appartenne a famiglia genovese e il savonese Pancaldo é altri pure assai noti se non per importanti scoperte, per aver partecipato a imprese coloniali, a viaggi, a spedizioni in terre lontane (*). (i) Le notizie sulla marina ligure furono tratte dallo studio del Prof. Camillo Manfroni sugli: Ordinamenti navali di Genova, nell’opera già citata: Il Banco di San Giorgio. CAPITOLO III. LA CASA GENOVESE . ' . i i Capitolo III. LA CASA GENOVESE Esterno — Interno: la caminata, la camera, il bagno, la cucina e le loro suppellettili. --*- ite superbe » cantavano i francesi nel 1507 fieri di avere ripresa Genova dopo esserne stati espulsi per i tumulti popolari durati tutto un anno. < Superba Genova te ho guadagnato con l’arme in mano » esclamava con orgoglio Luigi XII entrando in città (*). Superba, perchè? Accennammo già che i suoi abitanti avevano fama di essere superbi e, forse, più che superbi essi avevano quel fare brusco e imperioso appreso dalla necessità di mantenere la (i) E. Pandiani, Un anno di storia genovese (giugno 1506-1507) in Atti Soc. Lig. St. Pat. Voi. XXXVII; Il riacquisto di Genova nel 1507 per Luigi XII nelle lettere e nei poemi del tempo in Miscellanea in onore di A. Manno, 1912. 66 LA CASA GENOVESE disciplina a bordo delle navi, ma l’appellativo di « Superba » a Genova fu senza dubbio un termine ammirativo per la sua bellezza : bellezza naturale dei pittoreschi dintorni, bellezza artistica dei suoi palazzi e delle sue ville magnifiche. Dal Petrarca al Filelfo è tutto un coro di ammirazione per gli splendidi edifici genovesi. Il Piccolomini, l’Astesano, il D’Auton, Benedetto Da Porto, Gian Maria Cattaneo (J) tessono e ritessono lodi dei palazzi genovesi degni tutti di essere dimore di re, imponenti per le loro linee severe e maestose, per gli artistici portali, le ampie finestre, gli spaziosi vestiboli, le larghe scalee, gli ornati, le scolture, gli affreschi che abbellivano ogni parte della casa. Tali palazzi erano numerosissimi e alla loro esterna imponenza corrispondeva nell’interno lo splendore delle vaste sale adorne di arredi e di mobili elegantissimi, popolate di uomini e di dame in ricchissime vesti. Degno complemento delle abitazioni dei patrizi erano i porticati e le logge che servivano come luogo di spasso e di convegno per gli abitanti delle case vicine, legati quasi sempre tra loro da vincoli di interesse o di parentela essendo le famiglie nobili raccolte a gruppi in vari punti della città. Non è tuttavia nostro intendimento di parlare delle case dei nobili, perchè di esse ha già trattato ampiamente il Belgrano nella sua Vita privata dei Genovesi ; vogliamo invece studiare la casa della (i) Enea Silvio Piccolomini, op. cit.; Αντονϊο Astesano, Ref-Ital. Script. XIV ; Jean cTAuton, Chroniques publièes par P. L. Jacob (La Croix) Paris; Benedetto da Porto, La venuta di Luigi XII a Genova nel MDII descritta da B. d. P. nuovamente edita per cura di A. Neri, Atti Soc. Lig. St. Pat. Voi. XIII; G. Maria Cataneo, Genua in Atti cit. XXIV. PALAZZI PATRIZI E CASE BORGHESI 67 media borghesia, la quale può darci un’ idea più esatta della vita privata della maggior parte dei cittadini genovesi. Alle antiche casupole dei secoli XII e XIII costruite in gran parte di legno si erano venute sostituendo nei secoli XIV e XV case più solide, tutte in muratura. Aumentando la popolazione, i meno abbienti erano usciti dalla cerchia antica di mura del secolo XII e le modeste casette disposte sui lati delle vie fuori delle vecchie porte di S. Andrea e dei Vacca avevano ancora il sorriso del sole e dei giardini attigui; ma crescendo sempre più il numero degli abitanti, i giardini furono mutati in cortili, le case alzate un piano sull’altro fino a cinque o sei palchi in modo da togliere la luce alle strade, i borghi finirono per essere incorporati alla città con una seconda cinta di mura (sec. XIV). Le case genovesi erano comunemente costrutte in pietra squadrata o bugnata fino al secondo piano, quindi di mattoni sino al tetto, poiché le cave di pietra, prima della invenzione della polvere, furono troppo costose (Belgrano op. cit. p. 7). All’esterno si presentavano con una architettura quasi identica. A pianterreno v’ era la bottega o volta (detta così dal soffitto girato a volta) e, accanto, la porta d’ingresso ai piani superiori; sulla facciata, superiormente al piano terreno, una fila di archetti rotondi, a sesto acuto, a trifoglio, impostati su piccole mensole di pietra, si avanzava per 15, 20 cm. dal muro sottostante e tale sporgenza del muro si manteneva sino al tetto in modo che la parte inferiore della casa rimaneva posta indietro dal fronte superiore della facciata. Lo Staglieno 68 LA CASA GENOVESE (Casa di Colombo p. 160J crede che si usasse tale sistema di costruzione perchè chi stava alla finestra potesse godere della prospettiva della strada senza che lo sguardo fosse impedito dalle cornici inferiori e particolarmente da quei tavolati fissi o posticci che si mettevano sopra le porte e le botteghe per difenderle dalla pioggia, ma noi crediamo piuttosto che la parte inferiore della casa fosse costruita più in dentro per lasciare qualche ampiezza alle strade già tanto strette, mentre la parte superiore sporgeva innanzi per godere maggior spazio nell’interno della casa. Gli archetti erano spesso coronati da una cornicela o da un cordone che qualche volta era posto a filo della apertura delle finestre. Queste erano soltanto due o tre per piano e potevano essere qua^ drate, o a sesto acuto, o ad arco rotondo, bifore o trifore con svelte colonnine di marmo non più grosse di un braccio, reggenti due o più archetti rotondi che riempivano il vuoto dell’ arco grande. Dapprima si chiudevano con le sole imposte di legno nel mezzo delle quali v’era un piccolo foro a rombo, a cuore, a trifoglio per dare un po’ di luce alla stanza, poi si usarono le impannate formate da telai sui quali era stesa tela bianca e sottile inoliata o incerata, qualche volta dipinta con ornamenti e figure. Se già nel 1368 erano state poste nel palazzo di S. Tomaso « fenestre tre vedri > (Belgrano op. cit. p. 50) non è a credere che l’uso di essi si fosse presto introdotto nelle case borghesi, poiché il Pira (Storia d! Oneglia. voi. I, p. 70) ricorda che ancora verso la prima metà del secolo XVIII il maggior numero delle case di Oneglia avevano finestre chiuse con tela detta stamigna. ESTERNO DELLA CASA 69 Nelle case più antiche dai due lati del muro presso la finestra sporgevano due bracci di ferro terminanti con un anello, o con una specie di giglio. Il Belgrano (op. cit. p. 8) crede che servissero per adagiarvi i lunghi remi, allorché le navi « entravano in riposo »; io credo piuttosto a quanto egli stesso aggiunge in nota, che cioè fra gli uni e gli altri si stendessero sbarre per appendervi panni o forse anche degli assi per porvi dei vasi di fiori, dei quali il nostro popolo fu ed è sempre vaghissimo. Tutte le case avevano un tetto poco spiovente, sul quale erano larghe tavole di lavagna e se Fuso attuale genovese è una continuazione del passato, v’ erano sul tetto graziose terrazze con pergole e vasi di fiori. La porta era quadrata e mentre nelle grandi case patrizie era ornata di un elegantissimo « portale », nelle case popolari aveva spesso sull’architrave una piccola finestra bassa e larga, munita di inferriata, che dava luce ad un breve andito, dal quale partiva una stretta e ripida scala con alti gradini, che generalmente correva tutta diritta sino al secondo piano. Non abbiamo notizie precise sulla disposizione delle stanze, ma poiché nei nostri inventari si parla sempre di camere superiori, di camere « de alto » o « de basso » si può arguire che ogni famiglia avesse le sue stanze divise in due o tre piani, ciò che è pure facile dedurre dall’ aspetto delle case di quei tempi alte e strette che vediamo tuttora in molte vie della città. Basti ricordare che la casa di Domenico Colombo è larga appena m. 3.60 ! (Staglieno, Casa di Colombo, p. 163). Quasi sempre la caminata, o sala da pranzo, è 70 LA CASA GENOVESE al primo piano ; la camera da letto è al piano superiore e più in alto qualche cameretta per i servi e le schiave. La cucina, di regola, è sopra la carni-nata, raramente accanto ad essa. Non si hanno più di due o tre camere per piano. Mentre il pianterreno ha il soffitto girato a volta, i piani superiori hanno il palco costrutto a travicelli spesso adorni di liste d’oro o di vivaci colori. Nel centro del trave maggiore sfolgora la pittura del mistico agnello o una orifiamma col nome di Cristo nel mezzo. Anche le pareti sono dipinte con fregi monocromi d’oro, con intrecci rabescati a varie tinte con simboli religiosi, e nelle case patrizie con stemmi ed imprese. Il pavimento è spesso formato di quadrelli di maiolica colorati e inverniciati, detti lag-gioni, con stemmi, insegne, composizioni ornamentali (Belgrano, op. cit., p. 39, 41 segg.). La caminata, dicemmo, era la sala dove la famiglia si raccoglieva, per desinare, dove le donne attendevano ai loro lavori, dove si ricevevano le visite e gli ospiti. Essa era la camera più grande della casa, ampia, sfogata e quasi sempre larga come il fabbricato stesso. Pare fosse chiamata così dal camino che in epoche precedenti trovavasi soltanto in questa stanza. Molto probabilmente nelle case dei poveri caminata e cucina erano tutt’ uno ; ma presso la borghesia il camino di questa stanza serviva soltanto a riscaldarla ed infatti non troviamo mai nella caminata enunciati quegli utensili che servono a cuocere vivande, e 'una novella del Sacchetti ci dimostra come eccezione il fatto di messer Folchi che per curare meglio una schidionata di tordi se la LA CAMINATA 71 portò a cuocere al fuoco della sala (novella 130). Disposte in bell’ordine attorno le pareti sono casse, banche, bancali tutti mobili di legno, bassi, rettangolari, più lunghi che larghi, sorretti da quattro peducci, spesso dipinti, o intarsiati, chiusi con una 0 due serrature. Servono essi per riporvi le tovaglie 1 tovaglioli, le stoviglie per la tavola, spesso anche le vesti della famiglia, e servono pure per sedervici sopra, quando non bastino gli scanni e le catedre che del resto non sono mai in gran numero. Gli scanni (scameliniscagne ti, schabella) sono stretti sedili di forma quadrata, meno spesso rotonda, che poggiano su quattro gambe leggermente divaricate dal sedile verso l’esterno per dare maggior base allo sgabello. Per il solp capo della famiglia, per la padrona di casa, o per qualche altra persona di conto vi sono le catedre (catedre, catrede) le quali, al contrario degli scanni, hanno la spalliera ed un largo sedile, e sono di legno di cipresso lavorate a intaglio o ad intarsio (intertaiate e intarsiate); a volte il fondo è impagliato (cum cordis erba-rum); se devono servire per la domina sono accompagnate dallo stamelino, o predellino per poggiarvi i piedi. A volte sono desnodate cioè pieghevoli. Il Mazzi (Casa di Tura n. 750) cita seggiole di Genova e seggiole « che si scommettono ». Queste ultime, secondo il Gay, erano quasi sempre a forma di X e si movevano sur un asse posto alla loro giunzione. Le sedie per la tavola dette a tenaglia avevano il davanti del seggio che si avvicinava alla spalliera. Queste seggiole « desnodate » dovevano essere fin d’allora molto in uso sulle navi perchè, ripiegate, tengono meno posto e si possono 72 LA CASA GENOVESE portare più facilmente ove si voglia, e distese offrono una base larga e sicura. Nel ritratto di Andrea D’Oria, esistente nel suo palazzo a Genova, il grande Genovese è seduto su una catedra che ha una larga ed alta spalliera di stoffa tesa su due aste di legno, come dovevano essere quelle delle « catedre desnodate », ma i due braccioli appaiono fissi al corpo della sedia e noi crediamo di conoscere in esso un nuovo tipo di cadreghe delle quali si parla in una lettera citata dal M. Valeri {Corte di Lud. il Moro p. 83): «ne fano etiam de questa sorte cum lo appoggio de drieto non de legname ma de corio che consente a la schina, come fano le scheranne snodate ». Le altre « scaranne » fisse, citate in questa lettera erano imbottite di borra e coperte di cuoio coi sedili ornati di larghe balzane e frange di cuoio, Nel palazzo dei Fieschi invece (Manno, inv. Fieschi, p. 727). v’erano delle ricche cadree di velluto verde, rosso, morello con frange d’oro e di seta. ^ Gli sgabelli e le catedre erano spesso adorni di eleganti cuscini (ovegerii seu seti) di drappo ver e o vermiglio, o di cuoio tinto in vermiglio, con im pressa talora l’arma della casa. Una sola \olta trovo un lectum corei duplum, forse una sedia a sdraio, come la « seggiola da dormire, in quoio rosso » che ricorda il Mazzi (op. cit. n. 750), mentre altrove è elencato un « corium magnum » che suppongo fosse un cuscino di cuoio da porsi su qualche cassa o bancale. Dicemmo che la caminata serviva anche per stanza da lavoro alle donne, perciò troviamo qualche volta il bindolo (guindalo) per dipanare matasse o SEDIE E TAVOLE 73 la madia (meisera) per fare il pane, di cui parleremo diffusamente in appresso negli oggetti di cucina e la capsieta prò domina, probabilmente la cassetta del corredo, o una specie di ripostiglio per quelle cosuccie che servono per cucire, rimendare etc. La tavola non era ancora un mobile di lusso. Essa è composta semplicemente di un tavolato di cipresso o di castagno, il quale poggia su due o più trespoli (tripodes, trespi) che sono, dice la Crusca, arnesi di tre piedi, uno dall’ un capo e due dall’ altro, sopra i quali si posano le mense. Probabilmente queste tavole così facilmente smontabili erano poste in un canto se non v’ era bisogno di esse e si seguiva ancora l’uso del sec. XIV di porre la tavola (Sacchetti, novella 87) solo quando era giunta l’ora del desinare. Ancora nel sec. XVI si conservano queste tavole così semplici e neirinventario fieschino del 1532 che pure contiene scamelini e scagni intarsiati, la tavola « da manzare > si mantiene rozza e disadorna. Ma già nel castello di Montoggio troviamo una « tavola inchiodata sul trespo » e qua e là per le stanze del palazzo dei Fieschi si incontrano alcune tavole che hanno la loro « cantera > o cassetto (tavola con la sua cantera) ed in altre il cassetto deve occupare tutto il quadrato sottostante alla tavola perchè troviamo una « tavola de noxe fatta a cantera » una tavoleta quadra « facta a cantera » ed uno « scagneto intarsiato facto a cantera » che è probabilmente un tavolo scrittoio. Si accenna dunque alla modificazione del tavolo in mobile più complesso e più adorno. La tavola poteva essere quadra (tabula longa) 74 LA CASA GENOVESE oppure rotonda (tabula seu mensa rotunda) e rotondo doveva essere il desco {discum), altro nome del tavolo, ed il deschetto ( che pareggiano per eleganza di linee e leggiadria di ornati le coppe e le patere romane. Talora scorgesi in un canto umile e rassegnata a ricevere ogni insulto, una sputacchiera nobilitata dall’argento di cui è composta 76 LA CASA GENOVESE (spuaiarotus argenti). Dal palco pende sulla tavola una lumiera di legno intagliato, o di otttone (Mazzi, Casa. n. 436) o più spesso di bronzo di Damasco ( (strizzalimoni o meglio « romajolo da limoni » ). Questi piccoli oggetti d’uso sono accompagnati da oggetti di parata come: tazze d’argento (tacia argenti) coppe indorate col loro coperchio (cupa argenti deaurati coperta), conche damaschine (concha damaschina), confettiere d’argento (confecteria argenti) a forma di grandi e larghe coppe, e barche di madreperla (barca una nachare) che per il nome e per la materia sono da porsi accanto alle navi, descritte ampiamente dal Viollet le Due ed ai vascelli ARGENTERIE DELLA TAVOLA E DELLA CREDENZA 79 d’argento, di calcedonio o di madreperla, registrati dal Pardi (Supp. Est. p. 75) che posavano su rotelle e forse contenevano profumi. Tali ricchi vasi non erano posti sulla tavola chè sarebbero stati di troppo ingombro, ma si allineavano perchè facessero bella mostra su qualche cassa-panca coperta da una larga tovaglia e, se ne avanzavano, su una assicella posta immediatamente al disopra. Nelle case ricche però l’argenteria era collocata sur un mobile speciale detto « credenza » ed anche « abaco » e si poneva molto impegno nell’averla provvista di vasi bellissimi (M. Valeri, Corte di Lud. il Moro p. 84 e 337). Un bell’esemplare di credenza adorna di vasi è dato nella illustrazione del Gennaio del Breviario Grimani, mentre nell’inventario del palazzo dei Fieschi (Manno, passim) v’è spesso menzione di tale mobile come ad es. « una tauleta per la credenza cum li trespedi », « la credenza grande intagliata col suo sottopede » e una « rosa » della stessa, e altrove altre credenze e una « capsia per tenere le robe de la credenza ». Sulla tavola sono disposti i cucchiai d’ argento e un paio di coltelli che dovevano servire unicamente da trinciante, poiché se ne trovano sempre soltanto due custoditi nella loro guaina (gladii duo prò mensa cum sua vagina, culteleria cum duobus cultelis prò tabula). Queste coltelliere che si custodivano di solito nei capsoni (Galli, Casa pavese, p. 158) erano talora adorne di delicati ceselli (Gay Glossaire) e facevano parte del servizio di argenteria come le due « cortelerie fornite cum duj salini e sei chugiali d’argento per achadauna „ dell’inventario di Drusiana (Giulini, p. 193). 80 LA CASA GENOVESE Una sola volta troviamo una furcella prò rostis che deve essere il nostro forchettone a due punte per tener fisso l’arrosto mentre si taglia. Delle nostre forchette comuni non si fa cenno, e credo che le due fulchete che il Baglietto (L’uso d.forchetta in Savona sul principio del 400) ha trovato in un inventario della fine del trecento non siano forchette per i commensali ma piuttosto forchettoni, chè del resto potremmo trovare anche prima del trecento, nei conti dell’ambasciata al Chan di Persia nel 1292 (Atti Soc. Lig. St. pat. XIII p. 640) «due forcette » per il signore. Del resto il Lisini (La forchetta da tavola, Siena, 1911) ha ormai dimostrato che se la forchetta, pur diversa di forma dalla nostra, era già nota agli antichi col nome di ligula, non fu tuttavia usata nel medio-evo che come una preziosità col nome di imbroccatolo, brocchetta, piccone, pirone, e servì comunemente per tenere fermo i pezzi di carne da scalcare o reggere i cibi troppo caldi e solo verso il 1600 divenne di uso comune. Lungo i lati della tavola sono disposti a debita distanza l’uno dall’altro i tondi di stagno chiamati taglieri (tageri, taieri) per i commensali. Un secolo prima si chiamavano ancora alla latina incisori e forse erano allora, come nel secolo XIII, formati di grosse fette di pane duro sulle quali si ponevano gli antipasti, le carni e le verdure, mentre le sostanze liquide si sorbivano dalle scodelle. L’uso di questi tondi di pane non era ancora scomparso nel sec. XV, poiché in un convito offerto ad Innsbruck alla Regina dei Romani dai Duchi d’Austria (29 dicembre 1493), dopo la lunga e cu- FORCHETTE E TAGLIERI 81 riosa lista dei diciannove « piatelli » cioè portate che componevano il pranzo, si ricorda che il « vino « è stato vernaza bianco et vermiglio, pane optimo « bianco, li taglieri de pane negro tagliato in « quadrati, mutati per ogni imbandisone» (A. Ceruti Corredo nuziale di Bianca M. Sforza etc. p. 74). È curioso avvertire che nel sec. XIV eravi ancora l’uso, non solo, ma il dovere di mangiare in due in un piatto, tanto che gli statuti del Comune di Siena del 1343, oltre porre un freno al lusso negli sponsali e proibire che nel pranzo di nozze si diano più di tre vivande, ingiungono che non si mangi da solo in un piatto. « Et tunc detur inci-« sorium inter duos et non uni tantum, nisi esset « in convivio inter discumbentes numerus dispar « in quo casu liceat dispari apponi incisorium » (E. Casanova, Donna senese nel 1400 pag. 62 e segg). Graziosa 1’ ultima concessione ! Ma se doveva essere piacevole dividere il cibo col commensale più prossimo, specialmente quando era una bella dama, non doveva esserlo altrettanto quando si era vicini ad un gran divoratore, come capitò a Volpe degli Alto viti che « essendo a tagliere » con un pratese mentre spartiva una testicciuola di capretto e ne aveva messo un occhio sul tagliere « il Pratese senza « aspettar altro, subito lo piglia e manucaselo. E il «Volpe pone in sul tagliere l’altro; e come fu in «sul tagliere e quelli fa il somigliante. Quando il «Volpe vede questo, pon giuso il coltello, e voltosi « verso costui, alzando le mani agli occhi, e sciar-« patili (spalancatili) fu tutt’uno, dicendo al Pratese : « Deh mangiati anco questi per lo mio amore ». 82 LA CASA GENOVESE (F. Sacchetti - novella CVII; vedasi pure su lo stesso argomento la novella CXXIV). Del resto se la legge senese già citata proibiva di mangiare da solo in un incisorio, ciò lascia supporre che si stesse introducendo Γ uso del tondo per ogni convitato ed è certo che un secolo dopo, tale abitudine fosse generale, poiché in tutte le « cene » degli apostoli dipinte nel Rinascimento vediamo che ogni persona ha dinanzi a sè il proprio tondo. Probabilmente i taglieri prima di essere di stagno furono di legno, poiché il nome latino * incisorio » rimase ai taglieri di legno che si usavano in cucina. Fino al secolo XIV non si fece distinzione di nome fra i tondi e i piatti sui quali si portano le vivande in tavola; infatti lo statuto di Siena del 1343 chiama « incisoria » e il piatto della portata e i tondi dei commensali. Così pure il Sacchetti nella novella 183 * parla di un Ottaviani che « invitò certi suoi vicini gentiluomeni e fece uno mangiare di quattro taglieri (cioè portate) bellissimo ». Invece alla fine del sec. XV si distinguono già i taglieri dai piatti delle vivande. (Prati, prateli,pra-taletti, platelia, piatirne) ai quali è sempre aggiunto l’aggettivo « magni » e sono specificati per la carne, o per l’insalata, essendo forse più o meno larghi, più o meno concava, secondo il loro vario officio. Essi sono, come dicemmo, tutti di stagno « laborato in Janua» o «in Anglia » mentre nella casa senese del 1450 troviamo piattelli di maiolica e scodelle di maiolica « co' V orlo largo » che sono forse le nostre scodele per la minestra (Mazzi, op. cit., n. 116-126). Alcuni pratelli hanno pure il coperchio. Troviamo inoltre i giare ti che inventari di altre PIATTI^ GLARETI, SANAVERII 83 regioni chiamano gradalecti, gradellini, o grade-xelle Questo nome proviene dal basso latino gradale che significa piatto, bacino, vaso, e da esso deriva anche il famoso San Graal, o sacro catino, che si conserva nel tesoro della chiesa di S. Lorenzo a Genova e si crede abbia servito a Gesù Cristo per celebrare la cena degli 'azimi ; a Genova nei primi del sec. XVI era appunto chiamato la Santa Schella o Scodella. Secondo il Galli {op. cit. p. 18) i gradalecti erano vasetti o piccoli nappi di peltro che si usavano come bicchieri; lo Staifetti invece {Inventario di Pietrasanta, p. 43) opina fossero scodelle fonde ed a me pare la migliore interpretazione, poiché credo che, come bicchieri, si usassero i sanaveri. Il maggior numero dei sanaveri è di stagno; alcuni sono di stagno «laborato in Anglia», tre di « terra de Valentia » e cioè di terracotta o maiolica. È pur vero che la voce sanaveri farebbe credere a oggetti per contenere senape, poiché nel banchetto offerto dai Duchi d’Austria a Bianca M. Sforza (1493) alla quattordicesima portata si presentano coi capponi, le pernici e altra carne « piatelli duy de sapore, uno morello che era gelatina, l’altro beratino de senavera (Ceruti, op. cit. p. 74) ma noi troviamo sempre nei nostri inventari una o più dozzine di san averii e ciò ci indurebbe a dubitare che si avesse tale abbondanza di senapiere. D’altra parte nei conti dell’ ambasciata al Chan di Persia (p. 592) noi troviamo uniti insieme <12 disci, 12 salserie e 6 piatelli argenti » e questo grande numero di salsiere permetterebbe di credere che anche i sanaveri fossero senapiere e che forse se ne usasse una per ciascun com- 84 LA CASA GENOVESE 1- mensale. V’ è però chi mi dice c e a Riomaggiore nella Rivieva di Levante « senavea » indichi un recipiente di terra simile alla conca per attingere acqua e ciò collimerebbe colla mia prima interpretazione. Vi sono infine i quadreti e i reandini\ essi pure di stagno e adibiti secondo l’opinione più diffusa, come sotto coppe (Mazzi op. cit. n. 47; Pardi Supp. Est., p. 67). Esaminando le illustrazioni già citate nell’opera del Malaguzzi Valeri si può osservare che i piatti e i bicchieri erano portati dai donzelli su larghe tafferie senza orli. Nella famosa Cena di Leonardo i piatti posti dinanzi ad ogni commensale sono più piccoli dei nostri ma l’orlo è più largo mentre la parte cupa è più stretta, più fonda e fatta a cono tronco rovesciato. Il piatto della portata è, s’intende, più grande dei piattelli ma è sferico come essi. I bicchieri sono di vetro, più capaci dei nostri, quasi cilindrici essendo la base di poco più stretta della bocca. Qua e là sono sulla tavola oggetti di vetro a forma di sfera poggiante su largo e basso piede che probabilmente sono le saliere. La camera cubiculare che viene sempre indicata col solo nome « camera » è forse più interessante della caminata per le sue masserizie ed i suoi arredi, e affinchè si abbia una idea complessiva di essa prima di studiarne i vari mobili, leggiamo la descrizione di una ricca camera da letto del secolo XVI quale ci viene fatta da Matteo Bandello in una delle sue graziose novelle. « Camera ricchissimamente apparata dentro a LA CAMERA DA LETTO 85 « cui era un letto che sarebbe stato onorevole per « ogni gran signore. V’ erano quattro materassi di « bambagio con le lenzuola sottilissime tutte trapunte « di seta e d’oro. La coperta era di raso cremisino « tutta ricamata di fili d’oro, con le frangie d’ogni « intorno di seta cremisina meschiata riccamente « con fila d’oro. V’erano quattro origlieri lavorati « meravigliosamente. Le cortine di tocca d’oro cre-« misine di preziose liste vergate, circondavano il « ricco letto. La camera, in luogo d’arazzi, era di « velluto cremisino maestrevolmente ricamato tutta « vestita, nel mezzo della quale v’era una conde-« cente tavola coperta d’un tappeto di seta, ed era « alessandrino. Vi si vedevano poi otto forzieri fatti « d’intaglio, molto belli, posti intorno alla camera. « V’erano anco quattro cattedre di velluto cremi-« sino ed alcuni quadri di man di mastro Lionardo « Vinci, il luogo mirabilmente adornavano____ La « camera era profumata di legno aloè, d’augelletti « cipriani, di temperati muschi e di altri odori » (Matteo Bandello, Novelle, P^rte I.a nov. Ili; vi è pure un’altra bella descrizione d’una camera nella Parte IV nov. XXVI). Vediamo ora i mobili della camera genovese e diamo prima uno sguardo a quelli disposti lungo le pareti. Essi hanno la forma di casse più o meno grandi, più o meno ricche. Le casse grandi o cassoni (capsia magna, capsionum, casionum) sono di legno comune o di noce o di cipresso {supressi) e sono fasciate di cuoio oppure dipinte o intarsiate, e munite di ferramenti per renderle più forti e di chiavi per chiuderle. Esse contengono le vesti, gli argenti, le telerie 86 LA CASA GENOVESE più ricche e talvolta le armi, per le quali tuttavia v'è spesso un apposito armarium, mobile di legno che in un nostro esempio troviamo coperto di fustagno nero. Due casse sono dette « capsie magne prò navigando » e dovevano custodire il corredo di qualche marinaio o di chi andasse spesso per mare ed erano certo più solide, più semplici e meno ingOmbranti delle altre. Affini ai cassoni sono i cofani (coffana), generalmente due per camera, aventi lo stesso ufficio dei cassoni ma più eleganti, spesso dipinti, intarsiati o indorati. I più ricchi erano intagliati con molta finezza ed avevano spesso effigiato sulla fronte lo stemma della famiglia retto da putti o cinto da una corona di rose, o difeso da grifi o altre figurazioni simboliche; a volte v’erano scolpite scene mitologiche, caccie, trionfi, ecc. ecc. (Belgrano Vita priv. gen. p. 86 ; Merkel, 3 corredi milanesi). Gli abiti di uso quotidiano ed i cappucci per difendersi dalle intemperie sono appesi alla capusera o capuseria che in Toscana ha nome «cappucciaio » (Mazzi, op. cit. 15) e a Pavia « r astella » o « ra-stelo » (Galli, op. cit. p. 175). Questi attaccapanni potevano essere rozzi, con quattro cavicchie ed infitti al muro, ovvero intarsiati e uniti ad una sedia (Mazzi, ibid., n. 716-758, 392). Un bellissimo esemplare di cappucciaio è conservato in una sala del palazzo comunale di Siena. Nell’atto di consegna del provveditore del monte dei Paschi al sindaco di Siena, leggesi la seguente descrizione : mobile in legno intarsiato, in forma di residenza, con piano da aprirsi, con spalliera del pari intarsiata e con pioli torniti per appendervi COFANI E CAPPUCCIAI 87 abiti e cappelli, giudicato del sec. XV e in antico denominato cappucciaio...... fornito di guanciale foderato di tela rossastra. {Arte antica senese, voi. II p. 585 - 86). Una delle nostre capucerie è appunto intarsiata cum sua tela pinta e quest’ultima ricorda il « rastellus a camera cum sua copertura parva, depictus cum sancto cristoforo in medio » (Galli, ibid.) e un cappucciaio senese « col segno di casa » (Mazzi, ibid., n. 758). Il Galli crede che la « copertura » servisse ad avvolgere gli abiti e può essere vero, ma si può osservare che la copertura è detta parva, dunque non ampia tanto da coprire gli abiti; potrebbe invece essere una tela posta per ornare l’attaccapanni e sebbene il «depictus» si riferisca grammaticalmente al rastello, non sarebbe strano per gli inventari dell’età di mezzo, si riferisse invece alla tela, come la nostra « tela pinta ». Il santo effigiato nel « rastello » era secondo la credenza popolare il protettore dei viaggiatori e stava bene presso gli abiti ed i cappucci. Ricorderemo infine che nei nostri inventari si trova anche un copri capusorium bocasini prò estate, cioè una fodera colla quale si proteggeva questo mobile e forse anche i cappucci nel tempo in cui la famiglia andava in campagna. Nella camera da letto trovansi di rado le banche o le catedre, servendo da sedile i bancali che non debbono confondersi coi pancali toscani (Mazzi, Casa senese n. 322) nè coi bancali ferraresi (Pardi Supp. Est. p. 113) che erano panni coi quali si copriva il sedile delle panche e delle casse-panche; qui sono invece le cassepanche stesse, basse, larghe, lunghe come quelle di cui parla il Galli {op. 88 LA CASA GENOVESE cit. p. 22-23) e, credo, senza spalliera come i bancali attorno al letto. I bancali sono spesso adorni di lavori di intarsio e qualche volta la cassa non fa parte del sedile poiché abbiamo bancale uno lungo cum sua sub-banca ; vi sono pure dei bancali più piccoli detti bancalletti o bancareti che a volte sono vicini al letto, a volte no, e bancali o bancareti con due serrature (clavature). Non è infrequente che sulle casse e sui bancali vi siano le bancherie corrispondenti ai pancali toscani ed ai bancali ferraresi di cui feci cenno testé e sono di tapexaria, cioè di drappo forte simile agli arazzi, o de flandria, cioè di tappezzeria di Fiandra. Una speciale menzione merita la capsia a scriptis or grande, or piccola detta anche «scagnetus sive capsietina pro scriptis » che corrisponde al nostro tavolo scrittoio ; forse la « capsietina » conteneva le carte scritte e la sua tavola superiore o coperchio serviva da tavolo scrittoio. Nel palazzo dei Fieschi (Manno, inv. Fieschi p. 739) v’era « uno scagneto coperto de veluto rosso da scrivere » il quale aveva pure « un calamaro quadro fornito cum un temperatore col manegho de argento, tesauriete dorate >► che ci ricorda il « penarolo fornito dargento per scrivere » del corredo di Drusiana (Giulini, op. cit. p. 194). Nel centro della stanza v’ era spesso anche un tavolo rotondo (disco rotundo) coperto da un tappeto. Sul tavolo e sugli altri mobili facevano bella mostra i cofanetti o cassettine di avorio ( « intagiato > « dorato »· « da pavone » e qualche volta « retrato » cioè posto in un’alcova o camerino appartato. (Manno, Inv. Fieschi). Pare inoltre che si diffonda più che nel sec. XV l’uso del « cariolo » o « carriola », piccolo letto munito di rotelle che si riponeva di giorno sotto al letto maggiore e si traeva fuori la sera perchè vi riposassero fanti o servi per tenere compagnia al signore durante la notte. — Affine ad esso è il let-tuccio, il quale, pur avendo all’ incirca la forma del « cariolo » doveva stare assai probabilmente vicino, non sotto al letto. Un « lectuchio intersiato et intagliato » nella casa dei Fieschi (Manno, op. cit. p. 728) indica chiaramente di essere mobile che poteva apparire anche di giorno. Anche il Bandello in alcune sue novelle ci parla di lettucci sui quali alcuno soleva far la siesta dopo desinare e ne abbiamo esempi anche più antichi nel lettuccio da sedere del Boccaccio e del Firenzuola. Era insomma una specie del nostro divano o canapè ed osserva giustamente 92 LA CASA GENOVESE il Carena (Vocabolario p. 137) che questa appellazione si è conservata e vive tuttora nella locuzione famigliarissima : « alternare tra il letto e il lettuccio » per dire di un malato che va tramutandosi dal canapè al letto e da questo a quello. Passando ora a discorrere degli arredi del letto dobbiamo prima studiare le strapunte e la culcere o culcidra. La strapunta o materasso non ha quasi mai Tindicazione della materia di cui è imbottita ; solamente in due esempi troviamo una « strapunta lane » e « serta lana da strapointa » e se ciò ci assicura che v’erano materassi ripieni di lana, ci fa anche dubitare che quelli senza alcuna determinazione fossero imbottiti di crine o di « bambascia » come più frequentemente si trovano nelle altre regioni italiane. La vesta o fodera del materasso è di burdo o di canavaccio; il nome di strapunta deriva certamente dal fatto che esso è trapuntato a punti di spago per rendere più uniforme lo strato della lana o del cotone. Nei letti più poveri v’è una strapunta sola, ma in generale ve ne sono due e talvolta persino tre. Sui materassi è posta la coltrice (culcere, culcidra) ripiena di piume. Qualche volta si incontra una culcer alba cum undis o una culcer de bastis largis e se il notaro non commise un « lapsus calami » confondendo la « culcer » colla « culter » di cui parleremo più innanzi, si può arguire che esistessero dei coltroni o coperte imbottite di piume ed allora esse non si accompagnavano ai materassi, ma si ponevano sui lenzuoli e scendevano'; a coprirei fianchi del letto. Non ci è mai detto il tessuto che MATERASSI E COLTRICI 93 serviva da eritema o guscio della culcere ; è probabile fosse di tela o di canapa. S’intende che nei letti dei servi o delle schiave non si fa mai cenno della coltrice parendo più che sufficiente uno o al massimo due materassi. Riassumendo: due materassi e la coltrice formano lo strato del letto nella seconda metà del sec. XV; ma nella prima metà del secolo successivo si notano già differenze abbastanza rilevanti. I materassi non posano più direttamente sul fondo della lettiera, ma vi è interposto il saccone, specie di tasca di tela, lunga e larga quanto il letto e ripiena di paglia. Il saccone ha il guscio di canevaccio, sostituito nei letti più ricchi dal bordo. Sopra il saccone stanno due o tre strapunte la cui fodera è comunemente di una tela bianca che prende per antonomasia il nome di entema cioè fodera ; a volte sono di bordo, raramente di bambagina. Nel castello di Montoggio ve ne sono anche di più modesti colla fodera di canevaccio. Nei materassi signorili invece il guscio è formato di due stoffe diverse. La più ricca copre la parte superiore del materasso, la meno ricca serve per la inferiore. — Così abbiamo strapunte « de bordo et canavaso sotto », « de borgatello mezo et mezo de bordo » oppure si abbrevia la frase dicendo « di borcatela et bordo » ma si indica sempre lo stesso fatto. A volte il materasso inferiore è di entema bianca, quello superiore di broccatella e bordo. Tutto ciò si spiega col fatto che, non essendovi più i bancali intorno al letto, queste masserizie erano più visibili di quanto lo fossero prima ed occorreva curare maggiormente la parte del materasso che era più in vista. 04 LA CASA GENOVESE L’uso della coltrice di piuma è quasi totalmente scomparso; se esso doveva essere utile per tenere caldo nell’inverno, doveva pure presentare degli svantaggi per la materia facilmente deteriorabile e si era forse riconosciuto più igienico il riscaldamento generale della camera coi caminetti che si trovano ormai in ogni stanza. Ritorniamo agli arredi del letto; sui materassi e la coltrice sono distesi i lenzuoli (lentiamina, tensori, linnisoli, lenzoli) di tre, quattro, cinque teli, secondo l’ampiezza del letto e di tela di lino o talora anche di tela nigra che non sappiamo spiegare, a meno volesse intendersi di tela grezza, sebbene si trovi anche l’esempio isolato di un lenzuolo di filo celeste; per la servitù sono di tela di stoppa o di canapa (tela stupe et canapis pro familia, t. prò famulo, t. prò masnata). Si hanno anche lenzuoli di « panno albo » e di « lana bianca o rossa » ma crediamo che così si indicassero quelle coperte di lana dal pelo lunghetto, folto, accotonato che nasconde interamente le fila del tessuto e che in Piemonte si chiamano « catalogne ». Insomma dovevano essere poco dissimili dal copertorium e talora farne le veci. Nel secolo XIV in Toscana intendevasi per « copertoio * la coperta o le coperte che erano sul letto e servivano per ricoprirsi. Infatti la donna di Mauro pescatore essendo afferrata da un granchio fra le coltri « manda il copertoio giù » ; poi essendo accorsa gente « tirava il copertoio in su » mentre il marito gridava perchè « affogava sotto il copertoio » (Sacchetti, novella CCVII1) e certi giovani fiorentini alloggiando presso Curradino Gianfigliazzi dor- LENZUOLI, COPERTOI, COLTRI 95 mono « in uno letticciuolo che aveva una coltricetta cattiva che parea piena di gomitoli e di penna d’istrice, con uno copertoio tutto stampanato e con ogni altra cosa da fare penitenza > (Sacchetti, novella CCX). A Genova il copertorium, secondo il mio parere, veniva subito dopo le lenzuola; era di bordo di Alessandria e talvolta foderato di « tela nigra » raramente di tela gialla o di altri colori. Le fanti ed i servi avevano questa unica coperta sul letto. I padroni stendevano su essa la coltre (cultris), coperta leggera e sottile quasi sempre bianca che poteva essere più o meno ricca. V’ erano le modeste cultres albe de bastis largis cioè, come spiega il Pardi (·Supp. Est. p. 15) coll’ orlo alto ma ve ne erano anche delle più fine dette cultres albe subtiles che avevano il tessuto lavorato « ad undas > cioè a marezzo, « ad amandolletas » a mandorle, « ad pome-letos » a piccoli bottoni, « ad raviollos » a forma di ravioli, famosa vivanda genovese che ha l’aspetto di piccoli quadretti. — Come dicemmo esse erano comunemente bianche ed è probabile fossero di cotone ; ve ne sono però anche di bocaccino bianco lavorato anch’esso < a pomeleti » ecc. ecc., di dimitto (teleria di bambagia, Belgrano Vita priv. p. 232) giallo o vermiglio, altre colorate di cremisi o bordate di celeste, altre più fini di seta come taffetà cremisi e bianco, zendato giallo, camocato apignolato « cum spondis cedani (zendato) viridis ». La coltre insomma copriva e compiva il corredo del letto nelle famiglie della media borghesia, ma in alcune famiglie si soleva sostituire ad essa o sovrapporvi una coperta più ricca che alla sera veniva tolta o ripiegata a piè del letto. 96 LA CASA GENOVESE __ Era il copriletto ( è spesso di contorno al cielo o baldacchino, ma quando è < da basso » non sappiamo ove sia collocato. A mio parere esso doveva allora servire come tornaletto : essere cioè quella larga lista di stoffa la quale, agganciata intorno al saccone, pende quasi sino a terra e serve a ornare il letto e nascondere il vano sotto di esso. Un bell’esemplare di < tornaletto >► è riprodotto nell’ultimo scomparto a destra di un polittico di autore ignoto, di scuola lombarda del sec. XV, rappresentante S. Nicola da Tolentino, che conservasi nella sala quinta del museo di palazzo Bianco a Genova. Questo tornaletto è anche interessante perchè porta disegnate varie « imprese >► degli Sforza. Interpreterei pure come tornaletto il «claronum* ricordato più volte in un nostro inventario che è un oggetto collocato « circa lectum », ed è di sargia vermiglia foderata di canavaccio, o di tappezzeria, ora «listatimi cum certis laboreris» ora di tela dipinta, o di tela celeste col disegno dell’arme della casa. Un cortinaggio poco in uso a Genova è il mo-scheto. Il Manno (Inv. Fieschi, p. 768) crede fosse un ALTRI CORTINAGGI sopraccielo od un zanzariere; il Verga {Leggi Milanesi p. 62) lo stima un cortinaggio di stoffe preziose che non chiudesse completamente il letto, ma scendesse dall’ una e dall’altra parte a compiere il padiglione; il Valeri {Corte di Lud. il Moro, p. 89) opina fosse molto simile allo « Sparavero », arredo più in uso del baldacchino in Lombardia, quasi sempre di tela di lino, ora ricamato, ora ornato di liste d’oro e d’argento e consistente in lunghe cortine scendenti da un cappelletto ornato di frange e di pomo dorato appeso al soffitto. Anche a Genova (Manno, inv. cit., passim) si trovano « moscheti » col « ca-pelleto de tella d’ oro recamato de veluto negro » o « cum le sue franze bianche et morelle » ed un « faorcheto {spari iero) de saya col suo capelleto et franze » ma sono meno numerosi dei baldacchini e mentre in Lombardia queste cortine erano appese al soffitto con funi di seta, a Genova pare si usassero eleganti sostegni di legno se male non interpretiamo l’uso di «un legno dorato col melagrano del cello de veluto verde » e « un legno da moscheto con l’arma fiesca » {inv. Fieschi, p. 720, 727). Non possiamo però dire con certezza che cosa fosse il copripertica di meizaro (tessuto a fiorami) di lana, di seta verde, di bocasino, di damasco dipinto e perfino moresco, eccetto che, scomponendo la parola, non si supponga che esso fosse un panno che copriva la pertica o l’asta che sosteneva il baldacchino o il padiglione. Intorno al letto è spesso una boa o boi da che ora è detta «pilosa» ora «scacata» cioè disegnata a scacchi e talvolta porta pure impresse le armi della famiglia. Dopo lunghe ricerche siamo venuti a sapere dal 100 LA CASA GENOVESE Podestà {Porto dì Genova, p. 391 e 434 n. 7) che con tal nome si indicava una specie di stuoia di canapa che si usava per l’imbarco e lo sbarco delle zavorre nel porto. In casa invece essa doveva servire molto verisimilmente come tappeto e la troviamo infatti anche nella caminata e nella cucina. Molto simile, ad essa doveva essere la tapeta o tapeyda che era distesa in terra mentre il tapeto o tapeydo si collocava sui tavoli. Questa differenza di uso che non appare molto evidente nei nostri inventari si scorge invece molto chiaramente nell Inventario Fieschi ove troviamo « una tapeyda grande pelosa da mettere in terra » mentre si distingue da essa il « tapeydo grandissimo per la taula de la gran sala » ed altri < tapeydi da tavola » che sono accompagnati da « coperte sei de drappo turchino da consigli (consigli) cum l'arme in mezzo » le quali oltre a coprire la parte superiore del tavolo dovevano scendere dai lati tino a terra. Qualche volta s’incontrano i sospitalia che secondo il Rossi (Glossario) erano casse o armadi da riporvi scritture, e v’è pure il tanono, braciere di rame, o di ferro, per riscaldare la stanza, mentre per riscaldare le lenzuola v’è lo scadaleto co’ so coverchio che nelle case signorili è spesso d’argento (Ceruti, Corredo Bianca M. Sforza, Bandello novella XXVI della Parte IV) Un’altro arnese per il letto è lo « zan-cayrolium rami pro lecto » al quale corrisponde in altro inventario uno sciancororius rami, che potrebbe essere il trabiccolo entro cui si mette il fuoco per riscaldare il letto, oppure una cassettina di rame da porvi acqua calda per scaldare i piedi. Sopra il letto erano appese le sacre imagini, TAPPETI, SCALDALETTO MAESTÀ 101 chiamate col nome generico di maestà (maiestas). Il Belgrano ( Vita pviv. gen., p. 89 e segg.) ne dà bellissimi esempi. Noi ne troviamo dipinte su legno, e figurate, o racchiuse, in argento. Una di esse è « cum toaiolla » difesa forse da una piccola tendina, come la « madonna in tavolecta quadra co’ la ten-duccia » che trovasi nella casa senese (Mazzi, Casa senese n. 17). Alcune di queste immagini erano anche collocate altrove. Così su qualche mobile doveva vedersi una « maiestas cum pvesepio » che ci ricorda il presepio dipinto su tavola appartenente a S. Caterina Fieschi Cervetto, S. Caterina, (p. 59), e una « maiestas de jocio (coccio) posita intra murum » che ci fa sovvenire della Madonna senese posta « in una impe-schiatella » armadietto ricavato nella grossezza del muro con sportello di legno tenuto chiuso da un paletto chiamato a Siena pestio o peschio (Mazzi, op. cit., n. 237). Presso alle sacre immagini v’è la piletta per l’acqua benedetta (baiolum, bogloleto pro aqua benedicta) che può essere d’argento o di ottone, e forse anche qualche « candellabrum parvum » che ricorda la lampanetta d’ottone senese (Mazzi ibid., n. 18). In luogo del nostro comodino v’ è la banchetti per-forata, o pertuzata poco dissimile della moderna seggetta; le « spregiate crete » erano in una cassetta di legno sotto al sedile il quale serviva di coperchio. La casa di Tura (Mazzi, n. 750) aveva una « predella grande di legno bucarata » e l’amico di Cangrande della Scala uno « schanum magnum foratum a necesso ». (Cipolla p. 40). Poco più tardi a Genova venne chiamata bancheta per la bassa camera (Manno. Inv. Fieschip. 799). Credo di ricono- 102 LA CASA GENOVESE scere le « spregiate crete » in alcuni « cantareti » che s’incontrano qua e là nei nostri inventari. — E’ vero che nel genovese moderno « cantia » o « cantieta » indica cassetta o cassettino, e che già nel genovese del sec. XVI si trova la cantera col significato di cassetta ma è pur vero che nei nostri inventari un tale mobile si sarebbe designato col nome di « capsieta » o < capsietina », inoltre il nome qui è di genere maschile e si avvicina quindi assai al latino «cantharus» che tra gli altri significati ha quello di vaso stercorario e cantero è detto in toscano quel vaso assai cupo, cilindrico o leggermente conico, a fondo alquanto minore della bocca, che densi nella seggetta pei bisogni corporali. Nelle grandi case il lusso scendeva sino a questi oggetti di uso così intimo e troviamo pitali d'argento nel corredo nuziale di Bianca M. Sforza (Ceruti op. cit.) e negli oggetti appartenenti a Emanuele Filiberto di Savoia (Vaccarone, Em. Filib. alla Corte di Carlo V, p. 303). L’opinione che nei secoli da noi più lontani si curasse poco la pulizia personale è affatto erronea, perchè le cronache medioevali accennano spesso a pubblici bagni, e nelle colonie genovesi in Oriente li troviamo sempre accanto alla loggia, alla chiesa, ai forni, e stabilimenti balneari esistettero a Genova in ogni tempo (Staglieno, Borgo S. Stefano, p. 7). Dirò anzi che la pulizia era curata in Italia più che altrove; ne abbiamo una prova indiretta nelle parole di Guido Postumo che nel 1511 scriveva da Vienna sul Rodano a Isabella d’Este : « È ben vero che le donne « qui sono un poco sporche cum un pochetto di ro-« gna alle mane et cum qualche altra compositione di IL BAGNO 103 « spurcitia, ma hanno belli volti, belle carne « ecc. ed il Grossino (1516): » Comunamente tutte le dame francese sono belle di molto ma.... hanno le man sporche e piene di rogna (Luzio-Renier, Lusso d’isabella d’Este, p. 468-469). In molte case genovesi v’era la camera del bagno e se gli inventari da noi studiati non accennano a un locale apposito, hanno tuttavia varie voci di mobili e masserizie per il bagno. — Il Gay afferma che le tinozze per il bagno erano quasi sempre di doghe di legno cerchiate. Nei nostri inventari è annoverato un bacile a balneo, ma è accompagnato dalla stagnaria, che somiglia alla nostra brocca e perciò crediamo fosse un piccolo recipiente per lavarsi i piedi. Troviamo invece un calderonum rami cum sua tromba pro balneo che ha il suo compagno in « uno caldaro da bagno con la tromba » esistente nella casa Fieschi (p. 747) e potrebbe essere la vasca stessa, ma forse meglio un \^aso per riscaldare l’acqua che poi con una tromba o tubo si versava nella tinozza. E se di questa non v’è cenno, trovansi però i lini e gli arredi che servivano al bagno : c5 uno o due lenzuoli, una coltrice di piuma, che non doveva essere molto grande perchè ha spesso il diminutivo di culcidia o culcer età ; talvolta v’era pure un cossinetum piume parvum ; poi una piccola coltre ( ed il Manno spiega arbio come abbeveratoio ed il Rossi {Glossario) lo approva dicendo che la voce argio con tale significato è viva ancora nel nostro dialetto, ma qui l’argio, sia per gli oggetti ai quali è accompagnato, sia per la materia di cui è composto, non sembra poter avere tale significato eccetto che dal concetto di truogolo per l’acqua sia passato a quello di recipiente della leccarda di cui già parlammo. Avanzo una seconda ipotesi. Il Cipolla {Amico di Cangrande, p. 40 voce reabium ferri) dice che nel-1’ odierno veronese rustico si conserva la parola rabio per indicare uno strumento percavare la brace dal forno. Da rabio è facile la mutazione in arbio e argio ; però la materia (rame) del nostro argio mi rende dubbioso che si usasse a tale scopo. II rabio SUPPELLETTILI DEL FOCOLARE 111 veronese si identifica invece più sicuramente in un fervo prò traendo foco che troviamo in un altro nostro inventario ed ambedue debbono ravvisarsi nel tirabrace toscano, ferro ricurvo con lungo manico per cavar la brace dal forno, o anche dal fuoco. Al lieto governo del focolare servono le molle e la paletta (motte e par età prò fuoco) che una sola volta nell’inventario della cucina del Palazzo Ducale è chiamata « brenacium pro trahenda braxia * e un boueto de foco che con qualche esitazione spiegherei come un bofeto, o soffietto. Un altro oggetto che, pur non appartendo al focolare, stava alla sua dipendenza, era uno scertna-rio de Ugno, che è certamente uno schermaglio, una specie di para fuoco di legno, che si poneva ■tra la persona e il fuoco per difendersi dal troppo ardore. Nelle suppellettili estensi si trova lo scremato da fuogo formato da assi sostenute da ceppi di rovere su cui stavano inchiodate (Pardi, Supp. est. p. 15, 53). Di fronte al focolare, sorge maestosa la regina della cucina, la buona madia che il fornaio toscano chiama più volentieri mastra e il genovese moderno meizia (:meizera, ménsera seu mastria, mastra prò panificando, mastra prò pane, mastra cum suis sea-tiis et crivellibus) cassa rettangolare per lo più di castagno, i cui lati vanno di solito diminuendo di larghezza verso il fondo a guisa di piramide tronca capovolta e sorretta da quattro robusti piedi. Talvolta la madia è divisa in scomparti, uno serve per i crivelli e i setacci, nell’ altro si intride la farina, si fa e si mena la pasta per farne il pane. Il crivello o vaglio è, come tutti sanno, un largo staccio col fondo di pelle tutta bucherellata che serve 112 LA CASA GENOVESE per mondare grano o biade da cattive semenze o altra mondiglia. In uno dei nostri inventari troviamo ser-tulii tres, voce che con tutta probabilità deriva dal latino cerniculum, e secondo il Porcellini {Lexicon) significa il crivello. L’opera del vaglio è richiesta prima che il grano si porti al mulino. Quando torna, la farina viene abburattata in stacci fatti di crine di cavallo (ciacium pili) per separare la farina dalla crusca, e quindi da stacci più fini di seta {ciacium septe pro bugatando farinam) coi quali si ottiene il fior di farina. Il notaio Gallo aveva invece un buratto che era forse a foggia di sacchetto di stamigna poiché egli abburattava la farina entro una « vegete » o botte. Quando si vuol fare la pasta si solleva o si toglie il coperchio dall’arca, che ora è arcuato e convesso, ora è foggiato a tavola pei dividere la pasta in pani. Il Galli anzi fa notare {op. cit. pag. 161) che questa tavola è chiamata mensa o mexa pro faciendo panem, detta ancor oggi mesa, mentre il vaso della madia è chiamato mastra ab impastando (dialetto moderno pavese: marna). Noi però troveremo anche ben distinte dalla madia, delle tabule pro facere panem. La farina si intride con acqua, si impasta nella madia, aggiungendovi il lievito e si lascia fermentare per qualche tempo, poi si colloca su tavole pei dividerla in pani (tabule 4 profacere panem) che si coprono con coperte di lana, affichè sia aiutata o almeno non interrotta la fermentazione {copertorii duo prò pane) ; trovasi ancora alla dipendenza della madia una resteirana ferri prò meizera che è probabilmente un raschiatoio o raspa per rastiar la madia e tagliare la pasta. Armatura di torneo dei d’Oria. Celata, corazza, bracciali, guanti. Secolo XVI Museo Civico - Palazzo Bianco. __ _ LA CASA GENOVESE 113 Oltre alla madia sonvi madiette di pino (mastrelle de pino) contenenti cereali, farina e forse anche pane, a meno che non si vogliano credere mastelli per fare il bucato. Accanto ad esse vi sono i recipienti di legno per misurare granaglie o liquidi: alcuni contengonò una quarta parte della misura principale e si dicono perciò quartari o quarte ligni pro mensurando. Anche il Pardi registra una quarta ferrata e cioè di legno con cerchi di ferro {Supp. Est. p. 52) ; vi è la mina o mezzo staio che « diametralmente alla bocca ha una traversa di ferro per tirarvi la rasiera, quando la misura deve essere rasa, cioè senza il colmo» (Staffetti Inv. Pietrasanta p. 60) e che noi troviamo col titolo di mina de rasso. Altro strumento di misura è la bilancia che viene così descritta: par unum bilanciarum cum suo bilato, in cui credo che si sia voluto distinguere i due piattelli (bis-lanx) dal giogo, che, avendo due bracci uguali, potrebbe dare origine alla forma bis-latus come in italiano « bilaterale ». Poi la stadera, chiamata anche cantale cum romano. Il cantaro fu originariamente unità di misura, ma passò poi a significare la stadera; e il peso di confronto infilato all’ asta della stadera si chiama romano, perchè anticamente aveva la forma di un busto d’imperatore romano. In una novella del Sacchetti (nov. LXVII) un manovale che ha udito il padrone parlare degli antichi Romani esclama ingenuamente : È dice non so che di Romani : forse da stadera ». Ritornando agli oggetti di cucina, è da ricordarsi pure il mortaio che può essere di pietra, o di bronzo, col suo pestello {mortale cum pistello). Una \^olta sola troviamo il mortaio col pestello et contratayralia} 114 STRUMENTI DI MISURA ED ALTRI UTENSILI parola nuova che tento spiegare modificandola in controtaglievia (?), per tagliuzzare carne ossia la mezzaluna (?). Il mortaio ha un potente ausilio nella grattugia (,gratairolia, gratavola, gvatevola. Nell’ inv. Fie-schi : gvatavinà) che è sempre di ferro e nei coltellacci di cucina (,gladii pvo cochina), che negli inventari sono sempre distinti da quelli più fini per la mensa. La carne e le verdure sono tritate sulla taffaria (tofania ligni), o su gli « incisori » (incisoria) e i taglieri (tagevi) di legno che erano anch’essi specie di taffarie. Sembra che gli incisori si usassero più in cucina che a tavola e fossero quadri oltie che rotondi (Staffetti Inv. Pietvasanta p. 49). Il Bei-grano ci dà una chiara idea dei taglieri che servivano per la mensa dicendo che le vivande erano tagliate su pani rotondi e schiacciati sovrapposti a un disco o ad un quadrato di legno o di argento chiamato propriamente tagliere (Vita pviv. p. 167). In alcune cucine si trovano utensili meno frequenti come un tvenchevio stagni che è forse una lamina di stagno su cui si trinciavano le carni, un vasco pvo insilarne de vame che doveva essei e un recipiente da porvi carne trita per far salsic-cie (latino insicia - insicium) ; (alla corte di Ferrara trovasi una catinella di rame con due manichi da governare carni ; Pardi - Supp. Est. p. 27) ; un ca-vagnum cum copevchio, canestro intessuto per lo più di vimini, una paneva magna cioè un paniere o una cassa per riporvi il pane (Staffetti, op. cit. p. 59) quantunque si trovi anche un panevius magnus pvo evbis; una stia per galline e capponi (gagia ma- LA CASA GENOVESE 115 gna de gallinis) e una gabbia grande per tenervi uccelli (gagia magna de oxelli) ; una scala di legno e infine il gindalo cum sua caxeta et sua tvapa cioè il bindolo o arcolario per dipanare matasse. La « caxeta » serve di base al bindolo, e vi si pongono le matasse da dipanare, o i gomitoli di filo dipanato. Da essa si eleva verticalmente una bacchetta di ferro (tvapa de fevvo de gindavo) al sommo della quale viene innestata una canna che ha infissi e disposti a raggera i bastoncini sui quali si adatta la matassa. Nella cucina del palazzo ducale noi troviamo ancora sebri duo magni pvo equis, cioè due mastelli per dare acqua, o crusca, o biada ai cavalli e fuvche due pvo stabula, forche per il fieno e per la paglia nelle stalle, dai quali oggetti si può inferire che la cucina del palazzo ducale fosse attigua alle stalle. Un’ occhiata alla caneva ed abbiamo finito ; la caneva o perni è la dispensa o piccolo stambugio nel quale si ripongono le grasce, il vino, l’olio, le provviste insomma, che ogni famiglia tiene di scorta nella casa. Occupano il primo posto i vasi vinari di maggiori proporzioni cioè le vegete o botti. Lo Staffetti {Inv. Pietrasanta, p. 14, 20) ci dice che la loro capacità era data a barili e la misura media da 15 a 20 barili; v’erano poi le vegetes nostrate e le napoletane, le quali ultime avevano le doghe più sottili e i lameroni di ferro più grossi delle nostrane, e il fondo tutto d’ un pezzo, mentre nelle nostrane è diviso in tre parti. Nei nostri inventari vi sono pure vegete a farina che probabilmente erano aperte da un capo ; nei carto- 116 LA CANEVA I ■ l lari del Gallo trovasi una vegete ad buratandum per burattarvi la farina. Oltre le vegete, ci sono vasselli e barili per il vino e qualche bariloto a mosco chocto, cioè di vin cotto o mostarda, e carrate Ili, botticelle lunghe e strette usate per lo più per riporvi il vino scelto (Pardi, Supp. Est., p. 40), talora anche aceto, olio e tonnina. La misura del vino è data dalla metreta che a Genova corrisponde a due barili, pari a Litri 159. Per Faceto, l’olio e la farina erano più in uso le giare (iarra, ihara, idna) simili ai coppi, orci o ziri toscani, vasi di terra invetriati, grandi, panciuti e con ampia bocca. Alcune giarre sono dette de Valentia, altre sono di colore verde, e con esse si trova il torteirolo o imbuto che nella cucina ducale è detto imbutum magnum rami. Accanto alle giare vi sono le burnee, recipienti cilindrici di terra e le mesene (mezzine? vasi di terra cotta) per tenervi la carne salata. CAPITOLO IV. LE VESTI ——+-- Capitolo IV. LE VESTI Panni di gamba — Abiti delle donne e degli uomini Acconciature del capo — Gioielli — Leggi suntuarie. --*- L popolo genovese fu sempre ammirato per la ricchezza e lo sfarzo delle vesti. Il Boccaccio (giornata 1 .a nov. Vili) notava già che i genovesi usi sono di nobilmente vestire ; il Sacchetti (novella CXLIV) diceva che erano molto puliti e pieni di moscado, (profumati di muschio?) e prima di essi un poeta anonimo genovese (Rime genovesi Arch. glott. it., Voi. X p. Ili) celebrava il lusso dei suoi concittadini dicendo che Pe ben vestir, de bello asneise Cascaun par un marcheise. Lor camairere e lor scuer paren pur done e cavaler, e le done si ben ornae paren reine in veritae, si {omie de gran vestir che no se po contar ne dir. 120 LE VESTI E dopo costoro l’Astesano {op. cit.) ripeteva in versi sonori Γ ammirazione per la ricchezza delle vesti genovesi, e il Piccolomini {op. cit.), a lui contemporaneo, aggiungeva che le dame genovesi « U-« tuntur vestibus sumptuosis, argento auroque gra-« vibus ac lapide precioso smarag'dis sive adamanti-« bus digitos impediunt, quibus universa Persis « atque India geritur » e ancora un secolo dopo nel 1536 il « grave storico Paolo Partenopeo » levando la voce contro l’immoderato lusso delle donne poteva dire : « Quum per universum fere orbem de voluptate « et luxu agitur, protinus in medium proferuntui « delitiae et luxus genuensium, utpoque eorum « quibus in voluptatum palestra primae deferruntur » (cit. in Belgrano Vita pviv. p. 264). Da queste notizie vaghe e generiche passiamo ad altre più precise sulle vesti genovesi nell epoca da noi studiata. Giovanni Ridolfì fiorentino descrivendo un viaggio fatto nel settembre 1480 da Milano a Genova ci lasciò scritto che le donne genovesi « comunemente portano guarnegli bianchi et « cingonsi in su le poppe con collari alti.... et i fian-« chi grossi et senza pianelle o basse basse ; scai -«pette rosse, calze nere, le gamurre corte una « spanna, più lunghe dinnanzi che di dietro in modo « che paiono scregniute ; mai si portano assai gioie « et gli uomini vanno quasi tutti vestiti di nero o « di bigi forestieri, tutti zuconi et collari a doccioni « et ciope a mezza gamba piegate o catelani pui « lunghi. » (Giornate Ligustico, Anno XVII (1890), p. 235). Jean d’Auton (Chvoniques, IV, 19) descrivendo l’ingresso di Luigi XII in Genova nel 1502 dice che DESCRIZIONI DI VESTI GENOVESI 121 quasi tutte le donne vestivano di drappo di seta bianca o di fine tela bianca, le vesti erano corte giungendo soltanto sino a mezza gamba, avevano la cintura sotto le ascelle e dietro all’altezza delle spalle avevano un feltro che ingrossava loro la schiena. Sul collo e dietro il capo avevano un piccolo cerchio di tela imbottito e i biondi capelli intrecciati tutto attorno a foggia di diadema. Intorno alla fronte scoperta portavano lavori di oreficeria (simili forse alle lenze lombarde) e ricche pietre e al collo grosse catene d’oro e gioielli di incomparabile ricchezza. Anche le bianche mani erano piene di diamanti, rubini, zaffiri. Le braccia, vestite di larghe maniche di camicie di tela d’Olanda, avevano braccialetti d’ oro e pietre fine ; le calze bianche o rosse e ben tirate e scarpe dello stesso colore. Il Vecellio (Habiti antichi e moderni p. 206) dice che l’abito antico delle donne di Genova (forse di poco anteriore all’epoca da noi studiata poiché egli pubblicò la sua opera nel 1590) era « che portavano due vesti, una delle quali era corta fino alle ginocchia, aperta dai fianchi, cinta sotto il petto; l’altra era più lunga, senza busto, di seta listata di velluto di diversi colori. Usavano ancora alcune un grembiale davanti del medesimo o di tela sottile con altre strisele simili. Le maniche delle vesti erano molto larghe et crespe fino al gomito, ma da quello in giù fino alla mano erano strette ed aperte, dove pendevano le maniche della camicia, che per essere tanto larghe facevano alcune crespe. Portavano i capelli giù per le spalle, ma pure alquanto involti et legati che del tutto non cascavano alla distesa, et in mano un cappello per difendersi così alle volte 122 LE VESTI dal sole come anco dalla pioggia ; gli pendeva una borsa dalla cintura assai larga, entro la quale portavano denari da spendere con alcune cosette molto necessarie alle donne, cioè bussoletti da achi et detali, seta et quello suole far spesso alla cura delle case loro. Si scopre la gamba per essere la veste più succinta che non usano ai nostri tempi, la quale era coperta di calze di panno fino di colore e le scarpe erano di poca coperta, appuntite, quasi simili a quelle di Turchi, che usano al presente, così di diversi colori». Rispetto alle vesti portate dalle nobili e dalle plebee genovesi, verso la fine del sec. XVI, il Vecellio ha due lunghe descrizioni che riassumiamo. Le dame genovesi alla fine del secolo XVI portavano sul capo un velo di seta trasparente di color giallo vergato d’oro che appuntavano sul capo e lasciavano cadere poi sciolto dietro le spalle ; le plebee avevano lo stesso ornamento, non però di velo, ma di tessuto di seta e di vario colore; esso copriva tutta la testa terminando in punta sulla fronte e non scendeva sciolto dalle spalle ma le copriva e veniva ad appuntarsi sul petto. Riconosciamo in esso il tradizionale me zzavo genovese mentovato nei nostri inventari (;meisarum damaschi vecamatum septe). Esso era già usato nei tempi più antichi e rimase di moda sino alla prima metà del sec. XIX. Era generalmente di tela indiana bianca sulla quale erano stampati disegni di alberi frondosi, di fiori, frutti, uccelli, ecc. con vivaci colori. Il Rezasco (Giovn. Ligust., a. XVII, p. 192) afferma che nel sec. XV. si incominciò a portare in chiesa un velo bianco disteso sul capo e ABITI DI DAME E DI PLEBEE 123 sulle spalle che si diceva pezzotto mentre il mez-zaro era destinato per il passeggio. Negli ultimi tempi fu riserbato alle popolane. L’abito era composto del busto o giubbone che si serrava alla vita e della veste che scendeva dalla cintola ai piedi. Le dame portavano il busto o giubbone di seta bianca o di tela finissima intessuta di oro e listata con passamani (nastri) e trine di seta e d’oro; le maniche erano fesse per il lungo dal lato interno ma le aperture erano legate con cordelline d’oro e di seta; dal giro del collo e forse anche dalle maniche spuntavano le lattughe (guarnizioni insaldate e piegolinate) della camicia alte e molto ben fatte, le vesti erano corte con falde di seta di diversi colori e ricamate d’oro. Sull’ abito veniva indossato un manto o sbernia di seta di diverso colore delle vesti, che scendeva sino all’ orlo della gonna. Le plebee portavano abiti della stessa foggia ma non avevano il manto o sbernia, sicché era più visibile il giubbone con la abbottonatura di seta diversa « et la pancetta attillata che si trova esso giubbone avere ». Dame e plebee, a differenza delle altre città italiane, calzavano pianelle non troppo alte (non più alte di quattro dita, dice il Vecellio) e portavano alla cintura una borsa « et un gusellaro da loro cosi detto » (g'usellaro : dal genovese gugia, gugetta) cioè un agoraio. Ma un altro gentile ornamento esse solevano portare; lasciamolo dire al Vecellio: «Et perchè a Genova vi è sempre continua primavera, pertanto le donne sempre sogliono portare di fiori odoriferi tanto in mano quanto al petto et in capo». Abbiamo così passato in esame le varie descrizioni del costume genovese nell’ epoca da noi stu- 124 LE VESTI diata, ma non dobbiamo credere che tutte le genovesi si vestissero nella stessa foggia. Essa non solo mutava col tempo come fanno fede le diverse descrizioni di costumi genovesi, ma era variabile anche nella stessa epoca, come appare dalle numerose vesti elencate negli inventari. In paesi lontani da grandi centri è possibile seguire un medesimo costume, ma nelle grandi città, allora come ora, le relazioni continue con gente di nazioni diverse e la sproporzione di ricchezza fra le varie classi cittadine, portavano necessariamente ad una grande varietà di vestire. Se ogni città aveva in origine un costume suo proprio dovuto alla condizione-del suolo, della temperatura, dei raccolti, del gusto degli abitanti, esso dove\^a modificarsi col variare dell’età. Rimangono è vero dei punti fissi, delle abitudini costanti; così noi osserviamo che era tradizionale in Genova 1’ acconciatura del capo, la brevità della gonna, la poca altezza delle pianelle, la preferenza del colore bianco nell’abito femminile; ma accanto alla foggia tradizionale che doveva certo essere seguita dal popolo minuto e della magra borghesia esistevano le foggie mutevoli dei più abbienti. Sembra che fino alla fine del sec. XIII si fosse mantenuto in Italia il costume paesano, ma nel sec. XIV le cose erano già mutate profondamente ; ricordiamo di sfuggita la famosa invettiva di Dante contro le donne fiorentine (Paradiso XV, v. 97) ma è bene rileggere le parole del Sacchetti (nov. CLXXVIII) che deplorano la mutabilità della moda ai suoi tempi. Dice il Sacchetti: « i Genovesi non avevano mai mutate le loro fogge, i Veneziani mai, nè i Catalani mutavano le loro e così medesimamente le loro MUTABILITÀ DFXLA MODA 125 donne; oggi mi pare che tutto il mondo è unito ad avere poca fermezza; perocché gli uomini e dfcnne Fiorentini, Genovesi, Vinigiani, Catelani e tutta cristianità vanno a un modo, non conoscendosi l’uno dall’altro. E volesse Dio che vi stessero su fermi, ma egli è tutto il contrario ; chè se uno arzagogo apparisse con una nuova foggia, tutto il mondo la piglia. Si che per tutto il mondo e spezialmente Italia è mutabile e corrente a pigliare le nuove fogge ». Del resto abbiamo numerosi accenni della instabilità della moda in autori del sec. XIV e XV, dalle ironiche parole dell’anonimo autore di una Storia Romana e della vita di Cola di Rienzo (Muratori. Antiq. Ital., III, 308), alle prediche di S. Bernardino da Siena e di Gerolamo Savonarola tuonanti contro il lusso e la variabilità del costume. Non parliamo poi dei secoli successivi! Esamineremo più innanzi le leggi suntuarie che tentarono inutilmente di frenare tanto vano dispendio, ma ritornando al nostro assunto, è tempo ormai di passare all’esame delle varie parti dell’abito maschile e femminile in Genova. 11 più intimo degli indumenti era, come oggi, la camicia, la quale, dice il Merkel (Come vest. gli uomini d. Decam.) si usò assai prima e assai più di quel che si creda in generale. Lo stesso illustre autore ricorda che gli operai e i contadini del medio evo avevano l’uso di andarsene in camicia e noi ricordiamo che nelle pitture del giugno e del luglio del Breviario Grimani {Bibl. Marciana), ve-donsi contadini vestiti della sola camicia falciare le messi. L’andare in camicia anche sul fine del Quattrocento era così poco strano che Cristoforo Colombo, 126 LE VESTI allorché ritornò dal suo primo viaggio oltre l’oceano, fece voto di andare in pellegrinaggio in camicia a S. Maria della Cinta a Uelva(1). Non è ancora ben certo se nel medio evo si usasse la camicia di notte. Il Gay (Glossaire) afferma che in tale epoca era una eccezione e che vi sono prove innumerevoli per affermare che v’era l'abitudine di dormire nudi; e sostiene ciò anche contro le parole di Isidoro di Siviglia (Ong- 1> 19, c. 22) che nel 610 diceva: « Camisias vocamus quod in his dormimus in camis, id est in stratis nostris » e che Baldo di Genova nel 1286 ricopiò dicendo : « Camisia dicitur a cama quia in ea dormimus in camis id est in lectis nostris vel stratis » (Catholicon). Lasciamo da parte l’etimologia che lo Scherillo, (L’uso d. camicia nei sec. XIV e XV, p. 321) trova giustamente inaccettabile, ma osserviamo che se ai tempi del Baldo si fosse usato dormire nudi, egli, pure copiando dal vecchio Isidoro, non avrebbe trascritto cosa contraria alla verità. Certamente, anche studiando le novelle del Boccaccio e del Sacchetti (come fece già lo Scherillo, op. cit) non si riesce ad afferrare la verità, perchè ora un episodio concorre ad avvalorare una supposizione, ora un altro serve all’idea opposta. Non v’è dubbio però che nel sec. XV le camicie da notte fossero già in uso e sappiamo persino (i) Ved. il suo « Giornale di bordo t> nella Raccolta di documenti e studi pubblicati dalla R. Commissione Colombiana. Roma, Forzani. 1892, I, 115. LA CAMICIA 127 che avevano il dolcissimo nome di guavdachore (Gandini, Isabella, Beatrice ecc.) Ne vediamo pure un bell’esemplare nel polittico di autore ignoto del sec. XV citato a p. 98. Nel Quattrocento l’uso della biancheria crebbe rapidamente. Drusiana ad esempio portava nel suo corredo ben quaranta camicie di tela di Reno (Giu-LINI, op. cit., p. 193) e quattordici ne troviamo in uno de nostri inventari. In altri troviamo accenni a due diverse parti delia camicia : il busto e le falde. Le camicie delle donne erano, anche nell’epoca di cui trattiamo, oggetto di gran lusso poiché erano spesso adorne di ricami di oro e di seta al col- lo, al petto, alle maniche. Il Verga (Leggi Milanesi, p. 26, 27) ricorda che ad una festa data da G. G. Trivulzio in onore di Luigi XII v’erano damigelle vestite di broccato d’ oro e camisie sottilissime lavorate con perle e recami d’oro ». — Nel corredo di Paola Gonzaga si annoverano camicie « con li pecti facti alla napoli-tana, con le cusidure di seta nigra » oppure « con el busto facto a la castigliana e li lavori facti a groppo » altre « con li franzi alla napoletana d’oro et de seta verde ». — In quello di Bianca M. Sforza v’era una « camisia cun manicis latis usque ad terram cum ornamentis factis ad nexus ex auro et serico viridi >. A volte, dice li Gay (Glossaire), si dava il nome di camicia ad una tunica di seta, drappo o altra stoffa tutto affatto distinta dalla vera camicia. E ciò non ci deve meravigliare se pensiamo che anche noi diamo il nome di camicetta ad una parte dell’abito che è affatto diversa dalla camicia. Doveva essere appunto simile alla nostra ca- 128 LE VESTI micetta la camexola che il Gay spiega essere una corta casacca con maniche portata sulla camicia. Quelle dei nostri inventari sono di bianchetto o di panno bianco e parrebbero sottovesti. Dopo la camicia vengono i « panni di gamba » cioè le mutande, le brache e le calze. Negli inventarii genovesi le mutande sono elencate assai raramente e sappiamo solo che sono di tela di lino. Per quel che io sappia nessuno degli studiosi del costume ci dà notizie precise di questo modesto indumento ed a me sembra di averne trovato qualche esemplare nei famosi dipinti del Camposanto di Pisa, ove ho notato alcune figure di muratori che, forse per essere più sciolti durante il la\*oro, hanno le brache o calcee slegate dal farsetto. Sotto ad esse appaiono delle specie di mutande che direi quasi embrionali, cortissime, abbracciaci solo la parte superiore della coscia e molto aderenti al corpo, rassomiglianti, per spiegarci meglio, alle nostre mutandine di bagno. Lo stesso tipo di mutanda può osservarsi nelle pitture dell’ospedale di S. Maria della Scala a Siena là dove un infermo è visitato da un dottore. Mi si può osservare che quelle che a me sembrano mutande siano i lembi della camicia ^ raccolti intorno al bacino per un naturale senso di pudore ma credo di non essere in errore. Le brache dice il Merkel {op. cit. p. 24 e segg.) ai tempi del Sacchetti si usavano assai strette, mentre precedentemente la moda le aveva volute molto larghe; pare tuttavia che molti le risparmiassero e ciò era possibile perchè la veste superiore era lunga sino a terra, ma l’omissione che nel Trecento e nel I PANNI DI GAMBA 129 Quattrocento dipendeva da trascuratezza, più tardi fu dettata dalle foggie straniere per le quali l’abito si raccorciò iino alla vita, mentre le gambe furono in tutto o in parte coperte dalle calze che giunsero ad allacciarsi al farsetto, il quale rassomigliava al nostro panciotto. Fu quest’ultima moda che prevalse nella seconda metà del secolo XV e nel secolo XVI. Queste calze, dice il Mazzi, (Casa senese) vestivano il piede e tutta la gamba fino alla cintura e potevano essere l’una d’un colore, l’altra d’un altro ed essere (Merkel op. cit.) dimezzate o attraversate di vari colori. Negli Statuti Eugubini poi si vieta di mettere « nelli cossali delle calze bombasio o feltro per gonfiarle nè meno ponervi oro o argento nè ricami, trine, frangiette, ma solo un’imbottitura di qua e di là del taglio > (Bollett. R. deput. st. pat. Umbria, II, 297). Le calze sono sempre di panno o di tela, pur tuttavia 1’ opinione che non vi fossero ancora calze di maglia perchè tale arte non si conobbe che assai più tardi, mi pare poco credibile. Infatti il Mazzi, a proposito di un paio di guanti, «facti ad aco» ricorda {op. cit. n. 179 in nota) un passo del Fortini (nov. I. 165) nel quale si descrive come era vestita una giovane donna : « in gamba un paio di calze di seta bianca, fatte a aco, quali il marito da Vinegia portate le aveva, tirate e distese » Nella Reggia (pp. 130, 228, 229) sono ad aco calze e calzette di vari colori e anche d’oro e di seta. Potrebbe anche credersi che questi indumenti fossero ricamati, ma quando noi troviamo nell’ inventario dei beni di Paola Gonzaga (E. Motta - Nozse princ. nel 400) < una guggia d’argento per fare 130 LE VESTI maglia > ci sembra che la nostra opinione sia bene avvalorata. Piuttosto è da credere che l’arte fosse ancora poco diffusa e che coteste calze fossero portate soltanto dalle donne. A proposito ricorderemo Γ uso di eleganti giarrettiere, come quelle accennate nell’inv. di Drusiana che ha «payra sei de corredini de calze forniti de argento detti altrove « Tessuti forniti dargento per ligare le calze » (p. 194, 200). Le calze erano spesso munite di suole in modo da rendere inutili le scarpe e perciò qualche volta i due vocaboli caliga e calcea sono usati piomi-scuamente per indicare il panno di gamba e la scarpa, ma è bene chiarire che la calcea indica propriamente il panno di gamba e la caliga lo stivaletto o scarpa. Le « calige » erano generalmente di panno di Perpignano. Nel Quattrocento si usavano colla punta acuta e lunga, ma nel 1495 i cortigiani ferraresi portavano « scarpe alla francese, « larghe dinanti in la punta del piede che li intra « rebbe uno pede di bove» (Diario ben arese, RR. II. SS. XXIV). Le donne avevano calze e calzette di seta, di panno scarlatto, talvolta lavoiato con ricami e portavano le pianelle o zoccoli adorni di broccato d’oro, di velluto cremisino e scarlatto (Motta - Ippol. Sforza p. 81) e con tacchi, che a Genova, come vedemmo, non erano molto alti, ma in altre parti d’Italia giungevano all altezza di un paio di palmi, (Molmenti - Storia di Venezia nella vita privata, II, 418). Anche gli uomini portavano le pianelle, certo meno incomode e meno ricche di quelle femminili. Nei conti di A. Gallo troviamo l’acquisto di «pianelle prò me >► e negli affreschi del Pinturicchio ABITI IN USO A GENOVA 131 nella biblioteca dei Piccolomini, attigua alla cattedrale di Siena, vediamo ai piedi dell’imperatore Federico III un paio di leggere e semplici pianelle, poste sotto le splendide calige per difenderle dal fango della via. Passiamo ora alle vesti. Intorno ad esse avrei voluto intrattenermi a lungo, ricostruirle quasi direi idealmente, ma debbo purtroppo confessare che sono riuscito soltanto a raccogliere pochi dati per distinguere un abito dall’ altro e la descrizione di essi è riuscita, mio malgrado, così disadorna che, credo, potrà interessare soltanto gli studiosi della materia. Unico dato sicuro, tratto dalle mie ricerche, si è che a Genova nel primo Rinascimento le vesti più in uso erano la gonna, la gonnella il bialdo, la giornea, la diploide, la uppa, e che sopra queste potevano stare la ucca, il mantello, la toga, la guarnacca, la gamorra; che la turca, la schiavina, la gavardina erano vesti meno usate e che sullo scorcio del Quattrocento e nei primi anni del Cinquecento erano in uso la roba o veste e la sottana per le donne; il robbone e il giubbone per gli uomini a cui si sovrapponeva la sbergna o la cappa. Rispetto alle varie qualità delle stoffe vedansi le poche notizie da me raccolte nel cap. II di questa opera. La gonna (gona, gonna) che tra le vesti genovesi è quella che si incontra più frequentemente, era abito comune all’ uomo e alla donna, s’indossava sulla camicia e soleva essere foderata di pelli. Il Gay dice che giungeva fino a mezza gamba, ed aveva maniche di varia lunghezza. Il Merkel (Come vest. gli noni. d. Decani, p. 38) afferma che era 132 LE VESTI lunga, serrata ai fianchi da una correggia e portata da ogni condizione di persone. I poveri avevano questo unico abito e, se non faceva gran freddo o non pioveva, potevano far di meno del mantello che per i cittadini era obbligatorio, poiché il comparire in pubblico senza il mantello di panno o di seta era segno di umiliazione o di trascuratezza. Gl’inventari genovesi annoverano molte gonne di panni e di colori diversi. Il colore più in uso nell' età che noi studiamo era quello della rosa secca, poi veniva il rosso con tutte le sue gradazioni, vermiglio, scarlatto, cremisi, paonazzo; indi il mischio, una specie di grigio tendente al bianco, il roano o rossastro; il bianco, il nero, l’azzurro, il biavo o bluastro, il pel di leone o fulvo, il verde. La qualita del panno è indicata di rado, forse perchè le vesti erano fatte nella grande maggioranza di panni comuni ; talvolta però troviamo indicati il camocato, il clamelloto acamocato, il bialdo, il gamelino, la brunetta, il velluto e anche la saia, il bocasino, la bu-tanea, la bambasina; d’estate si usavano sfoderate {simpla estiva) o foderate di seta leggiera, di tela di vario colore o di cotonina ; d’inverno erano foderate di pelli di martore, di volpi, di lupi cervieri o di vai; queste fodere erano talvolta composte di una parte sola della pelle, come di gole di martore, di gambe di lupi, di ventri di vai, di dossi o schiene, e spesso, nella parte più visibile, di perfili o listerelle di animali più ricercati, come di contradusi (?) e di deci (?). Le maniche erano una parte assai importante dell’abito perchè stavano da sè e differivano per la qualità del panno e anche per il colore. Grandissima ne era la varietà. Vi erano maniche aperte più o GONNA, GONNELLA, BIALDO 133 meno larghe e lunghe di broccato d’oro o d’argento, di seta o di velluto, guarnite di magliette d’oro e d’argento, ornate di ricami lussuosi e di gemme. Da esse usciva spesso una seconda manica stretta al braccio e adorna essa pure di nastri d’oro e d’argento. In certi abiti si usava soltanto la manica stretta: a Genova, per esempio, v’erano gonne con le maniche strette e gonne con le maniche larghe. Negli inventari vi è un solo cenno di una gonna « cum manicis a rete foderatis camocati cremisi » e un bialdo con maniche di velluto cremisi e un altro con manichette di camocato morello. La gonnella e la gonnelletta, non erano dissimili dalla gonna, ma un po’ più corte. In un solo caso si parla nei nostri inventari di una « goneleta a medio alba prò domina » e forse qui si accenna ad una sottanella da porsi sotto la gonna. Negli altri esempi sono di panni modesti e con modeste pel-liccie e ciò ci permette di credere che fossero per fanciulli e fanciulle come afferma il Mazzi (Casa senese, 265 e 302); il panno è per lo più di color vermiglio, raramente verde, bianco, rosa, nero e la pelliccia bianca o verde. Una sola gonnella è con maniche di camocato vermiglio. Il bialdo fu, in tutto il medio-evo, abito comune ad uomini e a donne. La borghesia lo portava sulla camicia ; il Gay però osserva che le dame usavano porre una tunica intermedia. Era lungo sino ai piedi, allacciato ai lati, chiuso sul petto da un fermaglio e stretto alla vita da una cintura. Il bialdo maschile era fenduto all’altezza delle gambe ed aveva la cintura e le maniche più strette del femminile. Dai nostri inventarii appare fatto di un panno detto 134 LE VESTI bialdo dal quale prendeva nome l’abito stesso; ma si trova pure di clamelloto, di seta e di fustagno; col busto, cioè una specie di pettorina, e maniche o manichette di altra stoffa. Una volta sola si accenna al cent urino di panno cremisi. La giornea (ionica, iornia, gornia, gornea, giornea) aveva la foggia di una casacca, abitualmente senza cintura, ed era molto in uso nel secolo XV e promiscuamente portata da uomini e donne di ogni condizione. Dapprima fu senza maniche, poi con maniche corte, indi lunghe tino al pugno (ViOLLET Le Due Dici. niob. IV, 5) ; il Du Cange afferma che era abito militare e il Mazzi, (Casa senese n. o45) conferma questa notizia citando San Bernardino che, nelle sue prediche, sosteneva che il mercante, indossando la giornea, portava un abito non adatto a lui, poiché era da soldato e parla pure di giornee « infrappate a’ mbratti » portate dalle dame. Le giornee senesi erano orlate di frangette o frappe e ricche giornee con frange e « a divisa » sono ricordate nei Beni della famiglia Pucci (Merkkl p. 40 e segg.). Il petto era qualche volta ricamato (Mazzi, op. cit., Giulini, inv. Drusiana). Le giornee genovesi erano generalmente di colore nero e potevano essere di seta, di camocato, di velluto, di camelloto, oppure di bambagia, di bocasino, di fustagno. La diploide, (deprovide, deproidc} diploes, diplcs, dupes) che serviva pure per uomini e per donne, era ordinariamente di tela, con maniche o senza, e talora sostituiva la camicia, talvolta era usata come giubba dalla gente del popolo. Ciò scrive li Gay alla voce « Doublet », mentre il Ducange la specifica come sopravveste foderata. Noi la troviamo GIORNEA, DIPLOIDE, OPPA 135 tagliata in panni bianchi, vermigli, cremisi, oppure nel biado, nel bocasino, nel taffetà verde, o nei velluto nero: una volta è di gamelino « cum pitoco » ; in un solo caso la diploide è detta « duplex prò homine ». La oppa o uppa, (upa, uppa, oppa), abito an-ch’esso comune a uomini e a donne, era usato per cerimonia o per grandi avvenimenti. Secondo il Viollet Le Due (Dici, mob., Ili, 462) incominciò a portarsi in Francia verso il 1350. Come veste virile era un ampio soprabito, ornato di ricami e passa-manterie, foderato di pelliccie e fornito di cappuccio (che si metteva solo per le intemperie). Era aperto davanti e ai lati fino alle anche; il colletto serrava esattamente il collo ed era abbottonato sul davanti; le maniche amplissime coprivano le mani. Ai tempi di Carlo VI fu stretto alla vita da una ricca cintura. La oppa femminile era, sullo scorcio del Trecento, ampia, aperta dinanzi, foderata di pellicce, ricchissima di guarnizioni, ora senza cintura e stretta alla persona e scollata, ora con cintura e colletto, ma sempre con uno strascico tanto lungo, che doveva essere sorretto da una domestica; anche le maniche non la cedevano in ampiezza. Verso il 1450, all'opelanda femminile successe la soca, aperta completamente davanti e sparata ai lati in modo che, per l’apertura, si potessero far passare le braccia e la soca fu l'ultima trasformazione dell’opelanda. Il Merkel (3 corredi 400, p. 50) aggiunge che verso il 1420 le opelande erano in gran voga in Lombardia e il non trovarle più nominate in due corredi del 1488 e del 1492, i quali elencano invece le soche e il vestito, fa credere che le oppe non si usassero più. Questa limitazione 136 LE VESTI del Merkel non può essere accettata integralmente per la moda genovese, poiché noi vediamo ancora nel 1492 la nuora del cronista Antonio Gallo vestire una oppa per le sue nozze, ma è certo che agli inizi del secolo XVI la roba o veste sostituì la opelanda. Le oppe da noi studiate sono spessissimo di colore rosato, cremisi, nero e di stofte di gran prezzo come velluto, camocato, bocasino, camelloto. Dalle vesti che fin qui abbiamo preso in esame passiamo a discorrere delle sopravvesti che si solevano indossare uscendo di casa. E innanzi tutto parliamo della ucca (ucha) che i notari talvolta chiamano latinamente clamis e che era una specie di lungo cappotto, tagliato in panni tini, come il camocato, il clamelloto, il mischio, il bialdo e con colori nobili: la rosa secca, il cremisi, il nero e il verde, ornato di sottili liste di pelli e d’inverno foderato di pelliccie. D'estate era foderato di bocasino o di taffettà, o anche senza fodera (simplis). In un solo caso si parla di una ucca di panno nero prò aqua e ciò vorrebbe significare che poteva servire per difendersi dalla pioggia. Questo abito doveva essere simile alla « Houce » « Houche », < Housse » francese che è una loggia di mantello o cappa (Du Cange) e si trova a Siena mutato nel maschile «ucco» o lucco» (Mazzi, Casa senese, n. 307, 621) e in «auch» o «aucho» a Ferrara (Pardi, Supp. est., 118). Rarissimo incontrasi negli inventari genovesi il mantello che trovasi invece così di frequente nella valle padana (De Mussis, Gran. Piacentina). Forse il clima più dolce non lo rendeva necessario. Il Varchi descrivendo i costumi del 1527 disse UCCA, TOGA, GUARNACCA 137 che era « una veste lunga per il più insino al collo del piede, di colore ordinariamente nero, ancoraché i ricchi e nobili lo portino e massimamente i medici di rosato o di pagonazzo, e aperta solamente dinanzi e increspata da capo e s’affibbia con gangheri (al collo) come i luechi, nè si porta da chi ha il modo a farsi il lucco, se non di verno.....può chiunque vuole portare qual s’è l’uno di questi due abiti..... non può già nessuno andar in consiglio senza l’uno o l’altro di loro » (,Storia Fiorentina IX, 84). Un altro soprabito molto simile alla ucca era la toga, che il Belgrano afferma essere veste molto antica e che non venne abbandonata prima della metà del sec. XVI ( Vita priv. gen., p. 230). Doveva essere abito di gran lusso ancora alla fine del Quattrocento, poiché nei registri del notaio Antonit) Gallo è ricordata una toga di rozea della cognata Mariola di Giogo e una di azzurro ed una di paonazzo di Londra, di gran prezzo, della sua seconda moglie, Damianina, mentre sua nuora ne aveva di bocasino, di bombagino, o di saia, cioè di minor costo, forse perchè incominciavano ad essere in disuso. Un’altra sopravveste antica è la guarnacca {goar-nacia), della quale non fanno alcuna menzione gl’in-ventarii da me studiati, mentre i registri del Gallo, contemporanei ad essi, parlano anche delle pelli agnine che servivano a foderarla. Dagli studi del Viollet le Due, del Gay e del Merkel sappiamo che era un ampio mantello foderato di pelliccia, tagliato davanti ed ai lati con maniche a pellegrina, colletto e cappuccio. Nel Trecento e forse anche dopo discese assai sotto la cintura; più tardi, nel Cinquecento, si accorciò e divenne di uso modestissimo. Infatti noi 138 LE VESTI 10 troviamo usato a Milano come abito di lavoro dei macellai (« con la guarnaccia indosso bianca come è costume dei nostri beccai, svenava un vitello » Bandello, Parte III noi'. 60). I registri del Gallo ricordano anche un altro soprabito, la gamorra, che in Lombardia è chiamata camora o camorra, in Toscana camurra e a Genova, nel sec. XVI, chiamami (frane, chamarre). Era l’abito più comunemente usato dalle donne milanesi ed il capo di vestiario più di frequente nominato da Isabella d’Este. Il Luzio ed il Renier (Lusso d ha-bella, p. 457) affermano che la gamorra, detta anche zippa, aveva a volte il significato di semplice gonna, ma più spesso comprendeva la gonna ed il corpo, escluse però le maniche che solo col procedere del Cinquecento divennero uguali nella stoffa al vestito. 11 Valeri (Corte di Lud. il Moro, p. 225) aggiunge che era ornata di nastri, di frangie, di cordoni d’oro e d’argento. Le maniche, erano di stofta non di rado più ricca della veste. Erano insomma vesti assai ricche ed eleganti. Tra gli abiti di Drusiana Sforza v’erano gamorre di broccato d’oro e d’argento di zetonino raso o avellutato e di cendale (zendato) (Giulini, op. cit., p. 209). Dagli scritti del Mazzi (Casa senese) e del Merkel (Beni della famiglia Puccit) impariamo che erano per lo più di panno rosato con maniche di velluto e di seta e bottoni d’argento. Si trovano anche gamorre di colore bigio, verde o turchino, ma si preferisce il rosso in tutte le sue gradazioni. Infatti una gamorra di Batina di Lerici era di saia paonazza e zentonino di grana vermiglio, foderata di tela vermiglia con ornamenti di liste e cordelle GAMORRA, TURCA, GAVARDINA 139 e aveva una « trena argenti et septe > alla « scolatura » o « colario » della gamorra. I nostri inventari hanno altri nomi di vesti meno usate, come la turca, la schiavina e la gavardina. II Valeri (Corte di Lud. il Moro p. 227) spiega che le turche erano sopravvesti ampie che si chiudevano dinanzi con fermaglietti e cordoni e, da vari luoghi della sua opera, possiamo dedurre che erano molto usate alla corte di Milano poiché il Moro donava frequentemente tali vesti a coloro cui voleva fare onore. Era abito assai ricco, di broccato d’oro o d’argento, di velluto o di raso cremisi, foderato di zibellini, di lupi cervieri, di dossi, secondo la maggiore o minor ricchezza della veste. Nel 1487 il Moro, ricevendo una ambasceria genovese che gli veniva ad offrire il dominio di Genova « fece cavalero Iohanne de Oria.....al quale el fece vestire li coram omnibus una turcha de drappo d’oro et messili al collo una cadena de ducati 500 » (p. 344, 427). La schiavina era, secondo il Gay, di lana grossolana (nei nostri documenti la schiavina è detta pi/losa), con maniche larghe e corte e col cappuccio. Sebbene fosse abito speciale dei pellegrini, serviva anche comunemente di mantello per la pioggia, arrivava fino ai ginocchi ed era tagliata ai lati e a volte davanti. La gavardina che s'incontra soltanto due volte negli inventari e che, secondo il Gay, tutti portavano sullo scorcio del secolo XV, era originaria dalla Spagna, fatta di drappo o di cuoio (qui è di butanea bianca o di panno nero) con larghe maniche e cappuccio. Il Vecellio (op, cit. p. 54) dice che nel secolo XV i giovani portavano una veste corta o gavar- 140 LE VESTI dina che s’allacciava dinanzi con certi nastri « et ha-vevano le maniche alquanto più aperte et con due faldette divise a due colori coprivano alquanto la parte di dietro ». Anche il M. Valeri parla di gavar-dine come di abiti eleganti. Rimangono ancora ad esaminare alcune fogge di vestire che appaiono già sullo scorcio del secolo XV e si diffondono nel secolo successivo. La prima e più importante è la roba, che nel sec. XIII indicava in Toscana il complesso degli abiti portati da una donna « robba, scilicet gonnel-lam, guamachiam et mantellum > (Mazzi, Leggi suntuarie senesi del sec. XIII p· 136); ma perse col tempo il suo valore collettivo e nel sec. XV e XVI la roba o veste indicò un solo vestito, anzi il vestito per eccellenza, l'abito di lusso che sostituì la oppa per le grandi occasioni. Già nel corredo di Drusiana Sforza del 1463 gli abiti più ricchi sono i vestiti. Uno di essi, del valore di ducati trecento trenta, era di broccato d’oro morello riccio « cum le maniche ad guarnazon foderate di broccato d'argento in damaschino cremisi. Le maniche a guamazzone dovevano essere assai larghe e lunghe ma v’erano anche vestiti con maniche strette, « schia-pate suso lo brazo », « da buttar fora lo brazo ». Il busto era spesso ricamato ad imprese e il Valeri (op. cit. p. 225) aggiunge che si ornavano di galloni (fornimenti fatti a tellare, cioè a telaio, parola che il Merkel non seppe interpretare) e di tarnete cioè di trine d’oro e d’argento, e talvolta persino ai gioielli. A Genova troviamo la roba portata da uomini e donne ; la roba femminile è quasi sempre di velluto ROBA, SOTTANA, COLLETTO 141 o di damasco cremisi ed è fornita di brioni e di mane-geti o maneseli. Da vaghe indicazioni delle leggi suntuarie di quel tempo stimerei che i brioni fossero spalline rigonfie poste all’attacco della manica colla spalla; i maneselli invece erano alti e ricchi polsini che si sovrapponevano alle maniche e giungevano a volte sin presso al gomito. Questi ultimi potevano essere mutati a piacere; così mentre nel secolo XV ogni corredo femminile aveva una larga provvista di maniche, nel secolo XVI, essendo queste ormai unite all’abito, si mutavano soltanto i maniseli, i quali alle volte erano della stessa stoffa del petto o busto. La roba maschile è di raso, velluto, camocato, taffetà, con fodera di seta o di pelli e manca dei brioni e dei maneseli ma in compenso è ornata di bande, frape, liste, orli di velluto. Il colore predominante è il nero forse perchè si sentiva già l’influsso della moda di Spagna. Oltre alla roba era molto in favore la sottana derivata certamente dalla gonna; è bene ricordare che con tale nome non si indicava come oggi la parte dell’abito che va dalla cintura ai piedi, ma un abito completo, poiché la sottana aveva le sue maniche ed i brioni e i manegheti come la roba; qualche volta però era « senza manega ». Un accessorio dell’ abbigliamento era il colletto (icolieto) di velluto o di raso, foderato di ricche pel-liccie. Esso non doveva cingere soltanto il collo ma scendere a coprire le spalle, poiché fra i colleti di Sini-baldo Fieschi ne troviamo uno di velluto nero < senza maneghe »; il collaretto (colaretus) invece, usato specialmente dalle donne, doveva rassomigliare al 142 LE VESTI nostro colletto ed essere un surrogato delle lattu-ghette della camicia. Esso dapprima fu aperto dinanzi per lasciar libera la gola e Γ apice del seno, poi si serrò tutto intorno al collo in una serie di pie-goline che formavano un vero e proprio collare, seguendo in ciò l'usanza spagnola. Di simili collari e collaretti si possono vedere molti esempi nelle statue e nei quadri che rappresentano Santa Caterina Fie-schi-Adorno. (L. A. Cervetto - 5. Caterina Fie-sc/ii). Le dame ponevano sulla roba la sbergna, della quale già leggemmo la descrizione nel Vecellio. Essa deriva da Hibernia (Irlanda) e significò dapprima una stoffa lanosa e vellosa che si fabbricava in Irlanda, poi, con passaggio ideologico comune, i mantelli che con quella stoffa si usava di fai e. (Diiìz Etym. Wórterb. p. 49). Vi erano sbernie foderate di seta per l’estate ed altre foderate di pelliccia per l’inverno. Il Luzio ed il Renier (.Isabella d'Este ρ. 455 - 456) ci danno qualche notizia su alcune albemie d’isabella che erano di raso cremisi foderate di zibellino oppure di gatti di Spagna e concludono affermando che era un manto ampio e lungo, fissato sulle spalle, che si poteva, volendo, gettare attorno al collo, ovvero adagiare sul braccio. Oltre agli abiti di foggia comune a quella delle donne, gli uomini ne ebbero due loro proprii, il giubbone e il robbone. Il giubbone (iuponus, suppone) derivò dalla zupa o farsetto, che il Merkel (Come vest. gli uomini d. Dee am. p. 16) afferma essere simile al nostro panciotto. Era dunque un abito attillato, serrato al corpo in modo da delinearne le forme e giungeva SBERGNA, GIUBBONE, ROBONE 143 sino alla cintura. I giupponi mentovati negli inventarii sono di zentonino nero, o di panno paonazzo o mischio ; quelli del notaio Gallo sono di saia foderata di tela nera e anche di fustagno. Dai suoi conti ricaviamo che il giubbone aveva maniche e manicelle e collare e poteva essere ornato di trella, cioè trina. Il robone doveva essere un lungo mantello con lunghe e larghe maniche, ornato di pelliccie e doveva usarsi come abito di cerimonia, poiché ne vediamo conservato il nome per gli abiti dei dogi e dei senatori nei secoli successivi. Ma per avere una esatta conoscenza del costume maschile genovese alla fine del sec. XV sarà bene che noi osserviamo le statue innalzate in quell’ epoca agli uomini benemeriti del Banco di S. Giorgio e che si conservano nello stesso palazzo che ora è sede del Consorzio autonomo del Porto. Esaminandone i vari abbigliamenti potremo seguire il vario mutarsi della moda di questo tempo. Ecco la statua di Francesco Vivaldi, il famoso inventore del sistema del multiplo, eseguita da Michele d’Aria nel 1466. Il Vivaldi è rappresentato in una lunga e ampia veste che scende con belle pieghe dalle spalle ai piedi. Il collo è chiuso in un colletto alto e diritto unito al resto dell' abito, le maniche ampie e cadenti a borsa dairavambracio, finiscono strette al polso. Una lunga e fitta bottoniera, simile alla veste dei nostri sacerdoti, chiude l’abito dal collo ai piedi. Un cappuccio di panno a cocuzzolo sferico, basso in guisa da essere quasi aderente ai capelli, molle in modo da fare alcune pieghe, finisce sulla fronte con una larga fascia, mentre lascia cadere sulla nuca un largo panno quadrato, che giunge quasi sul collo. Seguono ero- 144 LE VESTI nològicamente le statue di Luciano Spinola e Domenico Pastore, scolpite da Michele d’Aria fra il 1473 e il 1475. Mentre il capo è coperto dallo stesso cappuccio del Vivaldi, l’abito ha acquistato una maggiore ricercatezza. È anch’esso a forma di una gran cappa lunga tino al malleolo dei piedi, ma sul petto si arriccia in una serie di piegoni (da 10 a 15) rigonfi, a foggia di cannelloni o doccioni, che partono accostati l’un presso l’altro dal sommo del petto e finiscono allargandosi liberamente al fondo; le maniche sono larghe in modo da formare ricche pieghe e scendono a borsa sotto Γ avambraccio stringendosi ai polsi. La statua di Luciano Grimaldo, opera di A. Tamagnino della Porta (1479), ha rispetto all’abito molti punti di somiglianza coi due precedenti ma i piegoni non sono più soltanto sul petto, hanno invaso anche i lati e probabilmente anche le spalle e continuano fìtti rigonfi e serrati sino all’orlo dell’abito. È cresciuta l’ampiezza delle maniche che lasciano scorgere il polsino della camicia. Alla cintura una correggia avvicina ma non stringe l’abito al corpo. Il berretto è alto e cilindrico senza pieghe od ornamenti. La falda di esso è ripiegata e aderente all’esterno del berretto. La statua di Ambrogio di Negro, scolpita da Michele d’Aria nel 1490, non ha nell’abito differenze • sostanziali da quella precedente, ma la correggia stringe maggiormente la vita, dando all'abito un aspetto più elegante. Il berretto è rotondo ed alto con una leggera prominenza a forma di cimiero mentre ai lati la tesa è appena accennata da due stretti orli. Esso si posa soltanto sul sommo della testa e non nasconde la folta capigliatura che scende Statua di Luciano Grimaldo scolpita da A. Della Porta il Tamagnino, nel 1479. Palazzo di S. Giorgio, Genova. Statua di Ambrogio di Negro scolpita da Michele d’Aria nel 1490 Palazzo San Giorgio. Genova. Statua di Francesco Lomellino scolpita da Pace Gaggini nel 1509 Palazzo S. Giorgio. Genova. ABBIGLIAMENTI MASCHILI - CAPPUCCI 145 in artistiche ondulazioni dalle tempie alla base del collo. Si vede che siamo in pieno Rinascimento ! Colla statua di Francesco Lomellino, si ritorna alla moda di circa mezzo secolo prima. L’abito è molto ampio e lungo, le pieghe non sono più artificiosamente serrate e scendono liberamente dalle spalle ai piedi. Le maniche sono tanto ampie che pendono dall’avambraccio sino a metà della gamba. Il berretto è cilindrico, basso, senza ornamenti, la falda è ripiegata e aderente alla faccia esterna di esso. Nella descrizione di queste statue abbiamo notato diverse acconciature del capo. Nelle prime si riconoscono facilmente i cappucci che erano di uso antichissimo a Genova e in tutta l’Italia. La loro foggia dovette secondo i tempi variare assai nei particolari, ma le parti essenziali furono certo sempre quelle che il Varchi (Storia IX, 85) ci insegna, e cioè il mazzocchio o parte centrale, la foggia corrispondente alla tesa, ed il becchetto che era una striscia doppia del medesimo panno « che va infìno in terra e si ripiega in sulla spalla destra e bene spesso s’avvolge al collo e da coloro che vogliono essere più destri e spediti intorno alla testa » e questa ultima parrebbe la forma prescelta dai genovesi. Del « becho longo quasi usque in terram » parla anche il De Mussis (RR. II. SS. XVI col. 581) e sembra che da questo derivi anche la veha o vihia che troviamo qualche volta nei nostri inventari, poiché il Du Cange spiega la voce vecha come derivata da becha e offre esempi dai quali essa appare come una foggia di cappuccio e la Crusca la spiega come derivante dal latino vitta. 146 ACCONCIATURE DEL CAPO Oltre ai cappucci abbiamo potuto vedere qualche esempio di berrette nelle statue più recenti del Banco di S. Giorgio. Le più comuni erano di panno rosso o nero, le signorili di velluto nero o cremisi, di raso verde o nero ed erano adorne di ricche fibbie o artistiche medaglie che servivano anche per © fermare piume e pennacchi. Una berretta di Sinibaldo Fieschi aveva sette paia e mezzo di bogini (ardiglioni) «et una medaglia inscripta arctius». (Manno inv. Fieschi p. 736) e tra i beni della famiglia Pucci (Merkel, p. 37) vi erano berrette « fornite d’ariento » e di perle. Altro copricapo, usato specialmente d’estate, era il cappello che, a differenza del cappuccio e della berretta, doveva avere la tesa larga per pioteg-gere dal sole. Ve ne erano di cuoio, di beveio o castore, di panno d’oro, di lana ed anche di paglia foderata di seta (Belgrano Vita pnv. gen. p. 225). Il Gandini ( Viaggi, Cavalli d. Estensi, p. o9) ricorda un cappello di paglia « con pene di paone chuperto de cendale crimisino adornato di frange et cordoni de oro et seda ». Il Merkel (Beni famiglia Pucci p. 43) ha un « chapello di velluto chermisi da donna » ed il Mazzatinti (Leggi eugu bine) cita l’ordine che nessuna donna porti il cappello in città; solo se esca dalla città potrà por tare « caputium, capellum, seu beretinam in capite » senza oro, argento o smalti. Benedetto da Porto, descrivendo l’ingresso di Luigi XII in Genova nell’agosto 1502, osserva che le donne avevano sospeso all’omero destro un largo cappello di feltro e nell’inventario Fieschi (Manno p. 736,748) si trovano cappelli di velluto nero ricamati BERRETTE, CAPPELLI, BERNUZI « de orleti de seyda », « un capello de lana bianco > ed uno « de lana al albaneize » che dovevano servire a difendere dalla pioggia, poiché gli ombrelli, pur essendo già in uso presso alcuni signori di Spagna e d’ Italia nel secolo XVI (Belgrano - Vita priv. gen., p. 227 n.), non si diffusero che più tardi. Il Belgrano (loc. cit.) dice che contro le intemperie si usavano i cabani o gabbani e le gausape e noi aggiungeremo un bernuzo da acqua (inv. Fieschi p. 718) che deriva certamente dalla bernuche francese, mantello femminile senza cappuccio, che si posava sul capo o era affibbiato alla spalla sinistra (Gay - Glossane). Oltre a codesti copri-capi usati da uomini e da donne, dobbiamo passare in rassegna le acconciature femminili che non sono poche, nè di poca importanza. Abbiamo già visto che le genovesi avevano adottato un velo o un tessuto di seta, detto mezzaro, per coprirsi il capo e infatti troviamo nei nostri inventari toagiole e toagiolete prò capite di seta o di tela finissima di Bruges e veli trapunti di perle, ma accanto a questa foggia tradizionale ve ne erano molte altre più ricche ed eleganti. Un quadro di Ludovico Brea (il Paradiso) in S. Maria di Castello a Genova, ci offre una ac-colta di figure femminili con le più vaghe acconciature del capo. Alcune hanno il serio e modesto mezzaro che ricopre tutto il capo e scende sulle spalle e sul petto, ma la maggior parte ha i capelli acconciati più artisticamente. Ve ne sono che hanno il capo fasciato di strisce di tela, le quali lasciano scorgere una breve lista di capelli sulla fronte e sono probabilmente le binde de Brugiis dei nostri ' . Ί -> ·■ 148 ACCONCIATURE FEMMINILI inventari; altre hanno i capelli serrati alla nuca da un nastro o raccolti intorno al capo da una elegante corona e ci rammentano che persino le leggi suntuarie permettevano i « serti sive ut dicitur strutioni » di velluto o di broccato; qualche iigura porta i capelli racchiusi in una artistica reticella, ma le più eleganti hannov graziose cuffie che incorniciano il viso e lo rendono più leggiadro. Soltanto una giovane donna ha la lunga treccia cadente dietro le spalle, ma non ha inserto in essa quella < coacia de perlìs », nastro intesto di perle, che era un ornamento ricordato dalle leggi suntuarie e assai usato dalle dame dell’ Italia settentrionale. Nessuna reca la strana acconciatura ricordata in una legge suntuaria savonese delle « cornua et velia » cioè di corna, probabilmente di tela, dalle quali pendeva un velo. Questa usanza, di importazione francese, durò forse poco in Liguria, mentre alla corte di Milano dovette avere molta fortuna perchè nel corredo di Drusiana Sforza del 1463 troviamo < payra due de comete da testa, luno doro et laltro dargento cum la rete suso », « uno velo da corne de tella de chambra profilato (listato) doro cum tremolante et frapato », « rete una de perle da portare in testa cum duy schudazoli da coprire le corne in tuto perle 940 » (Giulini - op. cit. p. 197 198) e molti anni più tardi, nel 1492, ad una festa per « torre el majo > le duchesse « havevano conza la testa ala francese, vidilicet con il corno in capo con li villi longhi de seda, li loro corni erano guarniti de bellissime perle tramezate con molte zoglie de diamantini, de robini, de smiraldi et altre dignissime prede che era una cosa molto sum- 149 ptuosa et richa » (Valeri, Corte di Lud. il Moro, p. 640.) Dalle acconciature siamo insensibilmente passati ai gioielli che erano tanta parte di esse. Sappiamo già dalle descrizioni dei contemporanei quanto le genovesi amassero i gioielli e sarebbe vano tentare di raccogliere qui la loro grande varietà. Ricorderemo soltanto che le perle erano uno dei maggiori e più pregiati ornamenti ed erano sparse per le coacie delle quali dicemmo già l’uso, oppure raccolte in ter suole per ornare il capo, o disseminate sui veli per il capo e sulle cuffie d’oro e d’argento, o incastonate nei gioielli che ornavano le tempie, il collo, il seno delle dame, e disposte in gregeti (file), in gropi (nodi), in cavegerie (collane ?), sui collari e sulle manicelle (polsini) e persino sulle vesti. Non parliamo del numero stragrande di esse che troviamo negli inventari principeschi, ma ricordiamo che un borghese, come il cronista Antonio Gallo, contava nei suoi forzieri ventidue perle di diversi carati, cinque del valore di lire quindici, centosessantasei di lire tren-tasette e dugentonovanta di lire sessantatre. Il monile più diffuso era la collana o catenella d’oro (► cioè con la immagine di S. Cristoforo, che già dicemmo essere il protettore dei viaggiatori. A foggia di anello doveva essere spesso il sigillo che troviamo talvolta adorno di costete (scaglie) di diamante oppure di calcedonie. Ma l’ornamento che nella seconda metà del Quattrocento indicò il grado di ricchezza e di eleganza di un genovese fu la cintura, detta spesso CORRIGIA E CLAVACORIO 151 in latino corrigia o corrigium e più frequentemente, per le donne, clavacorium o strenzicorium. Benvenuto Cellini ( Vita 1,58) ci spiega cosa fosse il chiavacuore : « Feci in questo tempo un chiavacuore d’argento.... questo si era una cintura di tre dita larga, che alle spose novelle si usava di fare ed era di mezzo rilievo con qualche figuretta ancora tonda infra esso ». Così la corrigia come il clavacorio si componevano del cinto o cinghia, delle spranghe che erano barrette metalliche poste a intervalli verticalmente sulla larghezza della cintura per mantenerne la rigidità, e delle mape o borchie che servivano a serrare la corrigia. In un solo caso troviamo due strenete o strevete per un chiavacuore e crediamo siano due piccole staffe per agganciarlo. Le mappe e le spranghe erano spesso d’argento o inargentate o indorate ; il cinto poteva essere di cuoio, di seta, di velluto tinto in rosso, in bianco, in peldileone, « picato argenti » cioè picchiettato d’argento, oppure ternato argenti cioè adorno d’argento in filigrana, oppure tutto d’argento e persino tutto indorato, con perle e pietre preziose. V’erano corrigie di Napoli e altre di Barcellona che non sappiamo in che differissero da quelle di Genova, e v’erano infine i clavacori cum omnibus suis fulcimentis, cioè con tutti quegli og-gettini d’argento o indorati che le dame genovesi solevano appendere alle cinture e cioè le cesoie (tezoirete o forfixe) custodite spesso in una elegante vagina, l’agoraio (agogiairolo) a forma di libretto contente piccoli pezzi di stoffa ai quali erano appuntati gli aghi e che una volta troviamo anche fornito di alcuni sonagliuzzi (.sonagini), i col- BORSA 0 BORSOTO teliucci chiusi in una guaina (.guoagina gladio-rum), il cordone per le chiavi (cordonus procla-vibus) la filza dei signi pater nostrorum e qualche volta anche il pomo muscato che era probabilmente una fialetta contenente profumo di muschio. Il Cec-chetti (Vita d. Veneziani nel 1300, p. 98 n.) cita « unam bursam de oraria cum clavibus et nucibus muscatis intus» e queste v’erano forse per profumare gli oggetti in essa contenuti, mentre il nostro pomo doveva rassomigliare ai profumatoi conservati nel Museo nazionale di Firenze che sono a foggia di sfera con artistici trafori. Pare che a Genova ^si facesse grande consumo di muschio poiché, oltre all’accenno del Sacchetti, già citato all’ inizio di questo capitolo, anche San Bernardino rimproverava alle genovesi l’uso soverchio del muschio nei capelli (cit. in Belgrano, Vita priv. gen. p. 334). Oltre a questi ninnoli leggemmo nel Vecellio che le dame solevano portare appesa alla cintura la borsa o borsoto alla quale tuttavia non pare dessero quella importanza che aveva presso le dame della valle padana, forse perchè ponevano ogni ricercatezza nelle minuterie già descritte. Con ciò non vogliamo dire che le borse genovesi fossero modeste, e basterà ricordare che nel corredo di Drusiana Sforza (op. cit. p. 201) fra le ottanta bellissime borse fatte « a la ferrarexe, a la inglese, a la parexina » v’era pure « borso uno de zettonino raxo cremexile strapontato doro ala gienovese » al quale, forse per puro caso, corrisponde per la stoffa e pei il colore l’unico « borsetus » dei nostri inventari. Tra il borso, il borsetus e la borsa v’era probabil- OGGETTI DI TOELETTA 153 mente qualche divario, ma non sapremmo dire se consistesse nella minore o maggiore capacità o in qualche altro particolare. Tali borse servivano alle donne per riporvi il denaro, la collana delle preghiere, gli oggettini di toeletta, e ve n’erano anche di speciali per custodire il libro degli offici in chiesa, come « una borsa de veluto neigro de officio cum li Evangelii dentro » elencata nell’ inv. Fieschi (p. 738). Gli uomini portavano la scarcela o scarsella di cuoio o di velluto. Ancora poche parole sugli oggetti di toeletta ed avremo finito. Per essi veramente desidereremmo maggiori notizie dagli inventari, ma, forse perchè erano oggetti di poco valore, venivano raramente elencati. L’oggetto più necessario pei la toeletta è certamente lo specchio (speculum rotundum magnum), il quale tuttavia non si trova tanto frequentemente come si potrebbe immaginare; seguono i pettini di avorio (petene anofanti, di elefante) ai quali dovevano accompagnarsi le brustie cioè le spazzole. In verità noi non troviamo nei nostri inventari che qualche brustia pro petenando linum, ma nel corredo di Drusiana (p. 200) vi sono, accanto ai pettini, due «brustie una a la fiorentina et l’altra a-la vinitiana » che sono assai probabilmente le spazzole. V’è poi qualche spillo (pointarolo) e qualche spillone di avorio (ponsonus anofanti) ed in qualche casset-tina di avorio (capsietina anofanti) si trovano raccolti pezzi di sapone del quale è inutile qui ricordare l’origine savonese, qualche scatola di mastice che doveva servire per profumo, come la busuleta sebeti cioè di zibetto che ha pure acutissimo odore, i - ' - , ' ■ - ·■ ' . , 1 , . · ■· 154 ORNAMENTI FEMMINILI il cietum argenti pro medicinis, e la busolina triache, cioè teriaca, famosissima panacea nata sotto Nerone e giunta tino alla Rivoluzione per morire ai nostri giorni, che era composta di sessanta sostanze e calmava i dolori, preservava dalla peste, leniva le coliche, faceva scomparire le cefalee; e infine qualche piccolo pane di zucchero e qualche marzapane. In altre cassettine d’avorio o di cipresso (capsietina supresi) si raccoglievano tutte le mercerie ed i gingilli che servono ad ornare la donna : cordoni di seta argentea e nastri con fibbie d’ argento (frexetum cani duobus ferretis argenti); nastri di velluto bordati di perle, da porre sui capelli (strigionum veluti cremexi bordatum perlaruni) e guanti di velluto detti mofole (par unum moforarum veluti clemexi) ed in qualche piccolo paniere di maiolica (panereta de malicha) gli aghi (masetus acum), il ditale (diale), le forbici (tezoirete), gli anelletti d’argento per gli abiti (aneleti argenti, aneleti prò gamorra) e qualche volta un marcheto parvo che era il marchio o sigillo con cui si segnavano le cose di casa. E porremo qui accanto ad esso quattro mete che secondo il dialetto moderno genovese sarebbero ro-telline dentate colle quali si staccano dalla sfoglia i quadratini dei ravioli; ma, dato il luogo in cui si trovano inventariate, avanzerei la supposizione che fossero piuttosto oggetti femminili, forse collari rotondi di tela increspata, simili nell’aspetto esteriore alle rotelline suddette. Abbiamo qua e là accennato alle leggi suntuarie poiché in quei tempi tanto diversi dal nostro sentire e dall’ operare moderno, il magistrato credeva non LEGGI SUNTUARIE 155 inopportuno occuparsi della moda femminile e opporsi con le leggi al lusso eccessivo delle vesti e dei gioielli, ma l’esito di tali misure era sempre vano. Si ricordi l’arguta novella del Sacchetti (nov. 137) che prova con quale accortezza le donne sapessero sfuggire ai rigori della legge. Pur tuttavia come in altre città d’Italia, così in Genova tra il secolo XV e il XVIII, uscirono leggi proibenti lo sfarzo e la pompa femminile e ci pare convenevole l’esporre in sunto il contenuto di quelle promulgate nel tempo di cui ci occupiamo, perchè gli studiosi della storia del costume potranno cogliere in esse notizie assai utili, le quali fossero state inavvertitamente o volontariamente tralasciate nel corso dell’ o-pera. Una parte delle leggi fu già edita dal Bei-grano nella sua Vita privata dei Genovesi, e da Agostino Bruno negli Atti della Società Storica Savonese (I., 527); la legge del 1506 viene per la prima volta qui pubblicata. La prima legge da noi studiata è del 1449 ed è veramente draconiana. In essa si proibiva che le vesti di velluto fossero di colore rosso o violaceo, che sotto la toga si portasse una uppa di velluto, che si usasse il broccato per gli abiti, concedendolo però in sertis sive ut dicitur strutionis da porsi in capite; proibito l’uso dei cappucci, velut cultum peregrinum multum impense ac par pudoris habentem ; proibiti gli zibellini nella fodera delle maniche, proibite le bordature agli abiti di seta, ma permesse a quelli di lana e di cotone, purché non vi fossero poste perle o gemme. Era tuttavia concesso di portare quelle già fatte, anche se fossero contro la legge. 156 LEGGI SUNTUARIE Rispetto allo strascico delle vesti il legislatore permetteva che fosse lungo un palmo, se le maniche erano strette, < etiam si mulier coturnos velut vulgo loquimur planellas gerat > ma se le maniche erano larghe ne concedeva soltanto mezzo; alle serve, quattro dita, senza alcun ornamento serico: vietate assolutamente le catene, le catenelle, le spille e i braccialetti di qualsiasi metallo, le collane di pater-noster, composte di gemme o di perle legate in oro; permesse invece quelle d’argento bianco o indorato e le cinture e le reticelle per i capelli che fossero senza gemme o perle ; permessi il « monile seu fermagium », il « nodum colli », i « pomella collarii », gli anelli, di cui quattro soli potevano essere adorni di gemme, degli altri un numero indefinito e concesso per ultimo Γ uso delle perle per ornarsi il capo a chi le avesse preferite al monile o fermaglio. Prima di passare alle leggi suntuarie del secolo XVI esaminiamo ancora due leggi uscite in Savona nel sec. XV e che ci paiono interessanti per alcuni confronti con quelle genovesi. Già nel 1430 una legge aveva proibito alle donne savonesi di portare cinture d’argento del valore superiore a 12 ducati, nè coltelli col manico o la guaina di argento massiccio, e neppure maniche aperte foderate di pelli, eccetto per due vesti e purché le pelli fossero solo di dorsi e di ventri, si era ordinato pure che le gonne fossero di fustagno e senza frappe, che lo strascico delle vesti non fosse più lungo del terzo di un palmo, nè si usasse più di una determinata quantità di stoffa per le vesti. Anche per le vesti maschili si era posto il divieto di portare toghe o vesti con maniche aperte foderate LEGGI SUNTUARIE 157 di pelli ed alle schiave si era proibito recisamente di portare argento, e cappucci, e maniche larghe. Ma nel 1452 usciva in Savona una nuova legge suntuaria assai più importante. Essa era mossa principalmente dallo scopo di proibire alle donne certe « bordaturas quas appellant grandines seu corrus-cationes et lepras » che erano forse composte di giavazzi, lustrini o conterie di vetro passate in un filo, ma nello stesso tempo prendeva l’occasione di vietare « togam seu gonam, iorneam, upam vel vestem cuiusvis generis de panno cete cremexi cum pilo (cioè di velluto) nec de aliquo borcato » e di proibire qualunque bordatura eccetto per le fanciulle che potevano portare « bordaturas factas ad litteras (cioè a foggia di lettere dell’alfabeto) ramos vel folias et non aliter ». Rispetto alla acconciatura del capo erano proibite « cornua, vella nec aliqua caputhea nisi solum capu-thea de panno lane > mentre era permesso lo « stru-glonum» di velluto, anche se fosse broccato, e le « coacias (le coasse lombarde) vel gherghetos de perlis et unum fermagium ». Alle mani non più di sei anelli. Non era lecito possedere più di una gonna o di una g'iornea di seta, nè potevano essere, come si era già detto, di velluto cremisi. Però chi possedeva soltanto la giornea di seta poteva anche portare una < upam camocati cremexi sine pilo ». Chi invece possedesse una giornea o una gonna di panno di rosea non poteva avere altre vesti di seta. Era pure proibito di portare sulle maniche lunghe o grandi della gonna, fodere di pelli di martora o di zibellino o di velluto cremisi o di broccato, e di avere sulle 158 LEGGI SUNTUARIE giornee o sulle maniche strette delle gonne « feno-gestos (balzane) neque monstras (ritagli) vel aliter de aliquo brocato cremexi ». Dalle maniche passiamo agli strascichi : è vietato di portare coda « reptentem per terram » più lunga di un palmo ; tuttavia le gonne di rosea o di seta possono averne mezzo palmo di più; se poi non si possiedano gonne di rosea o di seta, e la gonna « principaliorem » (più elegante) sia di « panno albo, vel nigro, vel de rozasica, aut de biavo vel viridi » si permette pure ad essa il palmo e mezzo di coda. Anche alle giornee di seta era fatta la stessa concessione. Colle serve e coi servi la legge diveniva ancor più arcigna : niente oro, niente argento, niente perle, niente seta, neppure lo struglione, neppure i « subtu-lares (scarpe) rubei » o di « soato (cuoio morbido) albo » niente code alle vesti, nè seta, nè pelliccie alle maniche, e se i padroni non volessero pagare le multe per le loro schiave, fossero punite « verberibus vigin- tiquinque ». Ma è tempo ormai di tornare alle leggi genovesi e precisamente a quelle del secolo XVI. Una legge suntuaria sancita in Genova il 25 febbraio 1506 vietava l’uso di braccialetti d’oro e d’argento anche in forma di catenelle; permetteva soltanto una catenella d’oro al collo, un pomum o fermaglio con quattro perle, e quattro anelli, fra i quali doveva essere compreso 1’ « anulus rotundus » senza alcuna pietra preziosa. Alle vergini minori di tredici anni, si concedeva una catenetta, il chiavacuore guarnito e la correggia; ma non potevano portare maniche di broccato d’oro o d’argento, concesse invece LEGGI SUNTUARIE 159 alle donne di maggiore età, purché il broccato non fosse riccio. Inoltre nelle vesti fatte a foggia di ma-nicarette, o di maniche di uchia, non si poteva porre più di settanta palmi di panno serico, misura che doveva usarsi anche nelle vesti di lana. Per quelle di altra foggia, erano stabilite misure diverse, secondo fossero di seta, di panno di Firenze, di saia, di zarzacano, di boccasino. Tutte le maniche, eccetto quelle di panno saione e quelle di uchia o i manicaretti, o i menaressi, non potevano essere più larghe di cinque palmi. E poiché la moda, come già accennammo, esigeva che su queste maniche se ne ponessero altre di seta o di broccato o di clamelloto, la legge stabiliva che non fossero più larghe di sei palmi ; per le gonnellette di lana e le gonnelle di mezzo, prescriveva che non potessero avere sui busti (noi diremo ora: la vita), o in altra parte, alcun ornamento d’oro o di seta, soltanto listerelle di pellicceria o di seta non eccedenti un quarto di palmo. Non era lecito farsi busti di panno diverso da quello della gonna o della gonnella. I brioni delle gonnelle dovevano essere piani, secondo il vecchio uso, non a botticelle (forse rigonfi) e nelle manichette delle stesse gonnelle non si poteva porre più di due palmi di seta e di clameloto. Quindi le gonnelle o gonnellette già fatte che avessero pettorali (noi diremmo pettorine o false camiciette), o altri lavori d’ oro o di seta, o brioni a botticella, dovevano essere ridotti, come prescriveva la legge. Anche nei tempi di cui stiamo discorrendo pare che il fruscio di una gonna di seta fosse grato alle signore e forse più agli uomini, perchè i rigidi cen- 160 LEGGI SUNTUARIE sori intervenivano con la proibizione di portare sotto le vesti di lana, la gonna, o la gonnella, o il bialdo o la uppa di seta e così pure proibivano di foderare le vesti di lana con pelliccie e quelle di seta con altro panno serico che non fosse il taffettà, di ornare d’oro o d’ argento filato le camicie e le loro manichette (probabilmente i polsi). E poiché non era ignoto ai legislatori che le donne sono instabili nella foggia dei loro vestiti, tanto da variarla quasi ogni anno, sancivano — cosa veramente incredibile che non si potesse più mutar foggia di vestito! e chi avesse vesti che non fossero secondo le prescrizioni, le accomodasse entro quindici giorni. Per fortuna delle signore, subito dopo si apre uno sportello alla trasgressione della legge. Infatti il legislatore, benché trovi di che osservare sulle vesti muliebri troppo corte et distantia a terra contra honestatem muliebrem, considerando che con l’ingiunzione di smetterle si procurerebbe magnum incomodum et quasi imposibile (s’intenda ai mariti ed ai padri di famiglia), permette che siano portate come sono, ma per il futuro decreta che nessuna donna, sposa o non sposa, o fidanzata, possa farsi alcun vestito che sia alto da terra più di mezzo palmo. Una nuova legge suntuaria nel 1512 volle ancora una volta frenare l’abuso dei gioielli e delle vesti, restringendo il numero di esse e dei palmi di panno usate per le medesime. Ogni donna non potrà avere più di tre robe di seta « zoè doe ihachete e una de sopra » ed una sola potrà essere di cremesi. D’estate è concessa una giacchetta di taffettà purché non sia di cremisi; non si potranno avere più di tre robe di drappo tra robe e giornee, e' non saranno di colore Tomba di mercante genovese. Scultura del sec. XV. Museo Civico. Palazzo Bianco. ~Tomba di senatore genovese. Scultura della prima metà del sec. XVI. Museo Civico. Palazzo Bianco. LEGGI SUNTUARIE 161 paonazzo, nè scarlatto ; e poiché erano venute di moda le fardigie (faldiglie, guardinfanti), era vietato che all’ orlo della veste fossero larghe più di nove palmi; si ordinava inoltre che tutte le donne « debeno de chi avanti andare cum lo pecto coperto et similementi le spale, ita che vengano a coprire le doe osse davanti de la gora e la copertura del dicto pecto e spale sia de lo rebusto de sue iachete o veste, o de uno coleto de septa, pur che non sia de cremexi o de drapo, o saia, o de tella de Olanda e non de altra qual si voglia cossa, poiché cossi se conviene a la honestà muliebre » ; che le maniche infine non dovessero essere aperte « excepto la parte dove essie la mano » e non potessero in modo alcuno « mostrare la camixa o maniche de quella » si vietava di portar « maniche, brioni ni manexelli » di due colori e che le camicie e le loro maniche fossero di tela di Cambrai o di altra stoffa più sottile, e che sulle maniche, sui « colareti e ma-nexeleti » vi fossero lavori d’oro o d’argento. Era proibito di portare reti, cuffie, bottoni d’ oro o d’argento, vestiti, maniche « o altra cossa chi sia de borcato de oro e de argento ». Naturalmente anche qui si ordina « che de cetero non si possia più fare fogia alcuna ni garibo novo de vestire de che qualità e nome se sia o se potesse comprehendere ». Anche a Savona una legge suntuaria del 1531 ordinava di coprire il petto e di portare strascichi corti, di non « bandare le vesti di frappe alcune di seta » ma soltanto di « doe liste o orli di seta o di panno »; proibiva inoltre ogni vestito serico, ma concedeva « scosali et manexelli et maneghete di seta » e colletti della stessa stoffa che non fossero 162 LEGGI SUNTUARIE di tinta rossa, nè foderati di zibellini o lupi cerveri; concedeva pure i collaretti ricamati che non fossero lavorati d’oro o d’argento, nè di seta cremisi o rossa e « stian dicti collaretti ben alti e serrati davanti come l’honestà ricerca ». Rispetto ai gioielli le proibizioni erano all’incirca conformi alle leggi precedenti, e possiamo perciò tralasciarle, mentre è curioso ricordare che alle schiave fu proibito di portare scarpe di somaco (cuoio concio colle foglie del somacco) con colori diversi dal bianco, nero o rosso, colla minaccia che « se non harano da pag-ar denari, li sarà dato patte cinquanta. Et oltre saranno poste alla berlina ogni volta che contrafaranno ». Quale impressione ci lascia questo ansimare affannoso del giurista dietro alla moda femminile ? Confessiamo che questo esigere che le vesti siano ora più corte ora più lunghe di quanto impone la moda, questo fissare il numero delle vesti e misurare i palmi necessari ad un abito o ad un paio di maniche e concedere lo strascico a seconda dell ampiezza delle maniche o della foggia del vestito, questo badare se la stoffa sia di colore rosso o violaceo, se di lana o di seta, di velluto o di broccato ; se la pelliccia sia di zibellino o di capretto, se i gioielli ed il loro numero siano conformi alle leggi, questo voler stilizzare la moda femminile, genera in noi un senso di commiserazione e quasi di irriverenza verso i legislatori. Speravano essi che, proibendo il lusso eccessivo, avrebbero posto una remora allo scadimento dei costumi ? Una età corrotta non si emenda con una legge ma con il lento evolversi delle coscienze, CONSIDERAZIONI SULLE LEGGI SUNTUARIE 163 forse il legislatore di quei tempi, non mirava neppure tanto in alto e pensava soltanto di restringere le spese voluttuarie nel momento in cui la gran crisi del commercio italiano era già palese e le entrate diminuivano mentre le spese si facevano più forti per l’avvilimento dell’oro; ma come imporre di non mutare più la foggia delle vesti e costringere la vanità femminile ad un abito uniforme, quando è innato nella donna il desiderio di cangiare foggia di vestito per rinnovellare quasi la sua bellezza, per attirare l’attenzione dell’uomo ed anche per destare l’invidia delle sue consorelle? A noi pare che la legge suntuaria, pur volendo il bene del cittadino, andasse contro il più semplice dei diritti, quello cioè di disporre delle proprie sostanze come ad ognuno talentasse. La storia ci ha insegnato che l’effetto di tali misure restrittive fu nullo e per ciò noi tardi nepoti, pur rispettando le buone intenzioni di quegli antichi magistrati, possiamo trarne il facile giudizio della inutilità di erogarle. CAPITOLO V. COSTUMI E USANZE Il costume a Genova nel Rinascimento — Feste pubbliche e private — Vita domestica — Notizie varie -+-- omini rudi, energici, fieri, dediti alla vita del mare e a quella dei commerci ebbe Genova, ma le sue donne belle, gentili e oneste seppero rendere dolce la casa. Qui il sentimento domestico allignò più che altrove soave e puro; l’uomo fu devoto alla sua donna e la donna non ebbe chi la pareggiasse nell’amore coniugale. In poesie, in novelle, in commedie essa è sempre celebrata come rigida custode dell’ onore famigliare. Dal famoso contrasto di Rambaldo di Vaqueiras, che ricorda le ferme ripulse di una dama genovese alle ardite proposte di lui, si passa alle lodi che un Lomellini tributa alla propria moglie in una novella 168 COSTUMI E USANZE del Boccaccio (Decameron, gior. II nov. IX), e si giunge ad un’ altra del Bandello (parte II nov. XXVI) nella quale una bella popolana genovese resiste alle lusinghe del nobile Luchino Vivaldi ma poi, per soccorrere i suoi bambini affamati dalla carestia, vince una grave lotta con la sua coscienza e va ad offrirsi al Vivaldi, il quale commosso la aiuta e la rimanda intatta. Questa novella e la « lacrimosa istoria di due amanti genovesi» di Giambattista da Udine, altro nobile esempio di fedeltà coniugale, diedero argomento al grande Lope de Vega per un dramma intitolato « El ginovés liberal » (il genovese generoso) nel quale sono abilmente intrecciate la storia amorosa e la sollevazione popolare genovese del 1507 (A. Restori Genova nel teatro classico di Spagna p. 24). I severi costumi però non impedivano alle donne di essere cortesi e gentili; il Bandello infatti (.Novelle Parte II, nov. XXXVIII) parlando di una Claudia, figlia naturale di Sinibaldo Fieschi, dice che era « avvezza a quella onesta libertà e leggiadro praticare che in Genova usano le donne maritate e le giovani da marito » e « viveva molto lietamente ed usava con tutti una dimestichezza affabile e piacevole » ed il Vecellio, (.Habiti loc. cit.) scrive « le genovesi furono sempre affabili, cortesi nel conversare famigliarmente senza rispetto et conservasi anco qualche cosa della loro antichità sino al presente con molta honestà » e, poco dopo, fa loro questo elogio: « queste sono le più affabili et piacevoli donne nel conversare di tutta Italia poiché nego-ciano pubblicamente con tanta prattica et amorevo- NOTIZIE DI CONTEMPORANEI 169 lezza che par che siano sorelle di tutti quelli con i quali negociano traffichi o mercantie ; loro vanno a comperare et vendere senza troppa riputatione tenendosi più honorate quelle che con maggior vantaggio comprano o vendono et perciò sono scaltrite et astute ». Non tutte le voci però sono concordi; uomini autorevolissimi ci parlano in modo molto diverso dei costumi genovesi del Rinascimento; pare che un vento di leggerezza aleggiasse su questo popolo nel momento appunto in cui, per le mutate condizioni del Mediterraneo, stava per scoccare l’ora della sua decadenza commerciale. Ma se si pensa che tutta Italia era allora pervasa da una sete inesausta di godimenti, di lusso, di vita libera e spensierata, si comprenderà come Genova sentisse l’influsso dell’ambiente. Enea Silvio Piccolomini che fu a Genova nel 1431, scrivendo ad un amico le sue impressioni sulla città, dopo aver lodata la bellezza delle donne, dice esplicitamente che in casa comandavano più le mogli dei mariti e che i mariti andavano in cerca di amori adulteri, non badando che lo stesso accadeva delle mogli; così avveniva che nelle vie affollate, fra gli uomini che trattavano affari, si vedevano qua e là coppie amorose. « Hinc mares inde feminas invicem colloquentes..... quibus facile cognoscas concordes inter se se fore; alios vero sursum deorsumque ire et reverti brevi spatio repetito; hos canere submissa voce, illos quasi amaritudine captos suspira promere » e via di questo passo. Persino i fanciulli, esclama il futuro Papa, imparano presto ad amoreggiare e conclude che se Venere ritornasse al mondo non sceglierebbe a sua dimora nè Cipro, nè il Citerone, 170 COSTUMI E USANZE nè il bosco Idalio, bensì Genova, che il buon umanista aveva già proclamata il paradiso delle donne, il paradiso delle delizie. Potrebbe credersi che il Piccolomini volesse caricare un po’ le tinte nel suo bel latino classicheggiante ma pare di no, perchè un suo contemporaneo, Γ Astesano, che fu qualche tempo a Genova, ne tratteggia allo stesso modo i costumi e scende anzi a particolari interessanti circa agli amori delle fanciulle, le quali secondo il Vecellio (.Hdbiti) andavano ove loro piaceva « et si lasciano vedere per tutto et vanno due o tre in compagnia dandosi mano 1 una con l’altra », ma ciò era forse lecito alle fanciulle del popolo o forse era stato riferito inesattamente allo scrittore lontano da Genova, mentre 1 Astesano ed il genovese Paolo Foglietta sono concordi nel-Γ affermare che le fanciulle erano tenute molto ritirate e se uscivano dovevano coprirsi il volto con un velo, perchè non fossero vedute ; se andavano in chiesa stavano in un luogo appartato per sfuggire gli sguardi indiscreti degli uomini ; se poi erano costrette a rimanere chiuse in casa, si vendicavano stando alla finestra, occhieggiando i passanti e gettando loro fiori e frutta e talvolta, specialmente in villa, accogliendo di nascosto dai lucernai qualche focoso amante. Escluse dalle conversazioni degli uomini, esse si rifacevano ciarlando fra loro e narrando i loro amori, o leggendo il Decameron, il Petrarca, l'Ariosto e perfino le frottole, i sonetti e le canzoni del Foglietta, nelle quali ogni detto nasconde un doppio senso. Michele Rosi, pubblicando nei nostri Atti (voi. XXV fase. II) una commedia di Paolo Foglietta (il Barro) scritta intorno all’anno 1583, ha tratto NOTIZIE DI CONTEMPORANEI 171 dalla commedia preziose notizie sul costume della donna genovese di quel tempo e di esse diamo qui un riassunto: Le donne genovesi incominciano al mattino a imbellettarsi con ogni cura; si vestono riccamente mutando abiti ogni giorno ed escono di casa talvolta assise in sedia, più spesso calzando zoccoli cosi alti che, per non cadere, si fanno sorreggere da servitori. Tutte profumate, si recano in chiesa e vedono la messa, non la sentono, perchè troppo intente a ciarlare fra loro, o ad udire le appa-sionate parole degli spasimanti. Per lo stesso motivo gironzolano per le vie e assai tardi fanno ritorno alla loro casa, dove hanno lasciato le figlie sotto la custodia delle serventi. Nel pomeriggio stanno sulla porta a cicalare con tutti; la sera vanno alle veglie, che continuano anche in quaresima, e invece di esercitarsi nei lavori donneschi, sprecano i denari allegramente nei giochi delle carte e dei dadi, mentre odono parole d’amore che gli uomini sussurrano alle orecchie delle giovani e delle vecchie. Per tutto ciò, e in special modo per le vesti e gli ornamenti, le spese sono molte e se i padri o i mariti non possono o non vogliono pagare, esse « vendono la pudicitia loro ». Questa libertà di costumi era, come si è detto, di tutta Italia non di Genova soltanto e del resto, conveniamone, la vita doveva scorrere allora più piacevole, più gaia, più spensierata, che ai nostri tempi. La comunità più ristretta, le vie più anguste, le piazze meno spaziose, davano alla città un aspetto più intimo, più raccolto. Le vecchie vie di Genova che paiono aprirsi a 172 COSTUMI E USANZE stento il varco fra le case, che sembrano quasi una lenta opera di erosione naturale nel massiccio di pietra della Superba, erano ancora allietate da brevi giardini e dalle ampie arcate delle logge a terreno, i vicolucci contorti che sboccano sotto i portici della Ripa, erano ancora rallegrati dai riflessi del mare poco lungi scintillante. Esse conservavano come tuttora vecchi nomi campestri: il canneto, il campetto, le vigne, gli orti, il fossatello, i prati, l’oliva, il fico; ricordavano i nomi dei primi abitatori: gli Embriaci, i Basadonne, i Vegetti, i Doria, i Giustiniani; recavano i nomi delle loro arti : i sellai, gli scutai, gl’ indoratori, gli orefici, i notari; o delle vecchie chiese: San Donato, San Siro, San Luca, San Giorgio. Per quelle anguste vie, fiancheggiate prima da case basse massiccie, chiuse come fortezze, con i piani superiori di legno e il tetto di paglia tanto facile a incendersi che il Cintraco doveva ancora nel secolo XII quando imperversasse l’aquilone, « ire per civitatem et per castrum et per burgum admonendo (cives) ut bene caveant ignem », per quelle vie divenute poi magnifiche per imponenti palagi con altissime torri, ampie finestre, grandi porte, illeggiadrite ora dai « portali » del Rinascimento, passavano da secoli i baldi marinai, i gravi uomini di commercio e di governo, le giovani popolane e le dame superbe. Era una folla assai più varia di aspetto e di fogge di vestire che non ai dì nostri, la quale talora si fermava a udire le lunghe tiritere dei cantori ambulanti, o le chiacchere dei ciarlatani che spacciavano al pubblico i loro meravigliosi specifici CIARLATANI E CANTORI 173 con lazzi e con grida così forti che « obtundant audientium aures et magno impedimento sint ne-gociis exequendis cum damno etiam non mediocri inopis vulgi facile credentis fallaciis » e poiché non bastava loro «suas fallacias exercere diebus festis et fabulas suas decantare, sed diebus etiam professis et negociosis obsidere illos platee banco-rum et obstrepere aures civium qui in ea negocia-tionibus causa deambulant » il governo proibiva nel 1512 simili impacci nei giorni feriali. Come ci appare viva dinanzi agli occhi questa scena della Piazza di Banchi, gremita di gente seria che parla e discute di affari ed è turbata a un tratto dai canti, dai suoni di tromba di questi jar-latani come li chiama il documento! Eppure quest’uso non è del tutto scomparso, e qualche volta nelle sere di primavera e di estate noi ci siamo soffermati a gustare la musica facile e melodiosa di alcuni suonatori ambulanti su quella piazza che ci rammenta tanti illustri antenati, tanti avvenimenti lieti e tristi della gloriosa Repubblica. Ma spesso le canzoni erano assai salaci ed allora la signoria le proibiva; nel 1522 ad esempio essa emanava una grida contro « quella maledetta can-sone de Baiandone, quale.... contamina la mente non solo de seculari, ma de religiosi cossi homini come done che la odeno » e minacciava la pena di dieci ducati d’oro da commutarsi nella fustigazione e nella corda per chi non potesse pagarli « e se saranno putti.... li saranno date tante patte che forse si chiuderano li orecchi in apresso quando oldirano da altri tale cansone (Belgrano, Feste e giochi dei genovesi pag. 420). 174 COSTUMI E USANZE Tali erano gli spassi del popolo minuto, ma quelli della borghesia e della nobiltà non erano molto più elevati. Anch’essa soleva sollazzarsi per le vie della città e qualche \^olta a danno dei passanti. Pare fosse frequente la burla di tendere cordicelle attraverso le anguste vie della vecchia città per farvi inceppare e cadere ruzzoloni chi, attratto dal cicaleccio, dai sorrisi, dalla bellezza delle donne riunite sotto i portici o le logge, volgesse lo sguardo a mirarle. Alle frequenti cadute degli incauti, ai loro traballamenti per tenersi ritti seguivano le risa argentine delle liete brigate ed il giochetto che parrebbe la moda di un mese o di una stagione è invece ricordato dal Piccolomini nel 1431 e dal Bei-grano nel secolo XVII ( Vita pviv. gen. p. 466). Avverte però il Piccolomini che, se le dame si accorgevano che chi passava era un forestiere, lo avvertivano dei lacci tesi e lo ammonivano garbatamente di non guardare le signore, ma piuttosto ove mettesse i piedi. Ancora nel secolo XV le famiglie patrizie si raccoglievano, nelle tepide sere di primavera e di estate, sotto le grandi logge a terreno passando il tempo in lieti conversari, in giochi e scherzi agli amici, ma poiché le tenebre del luogo favorivano certe scappatelle giovanili, il patrio governo nel 1442 e più tardi nel 1449 dette ordine che di notte non si tenessero nelle logge nè convegni di liete brigate, nè amorose conversazioni; permetteva soltanto che nei loro portici vegliassero al lume di una lucerna le povere filatrici che attendevano alla loro arte. (Belgrano op. cit., p. 448 e 502). Quale contrasto tra questi due ordini e quale ammonimento per la borghesia frivola e spendereccia ! GIOCHI E VEGLIE 175 Come a Venezia fu famosa la compagnia della Calza, così a Genova nei primordi del secolo XVI ebbe nome la compagnia « de l’aguo », perchè portavano al fianco « un pugnale longo de doi palmi in circa fatto a modo d’uno ago; se li havevano fatto condure da Milano; in lo manico havevano uno motto che diceva: castiga villani ». Compagnia non dissimile da altre che si formarono in seguito, come accenna il Belgrano (op. cit. p. 466) composte di giovani scapati, prepotenti che gettavano sui passanti uova fradicie, arancie ed altro e non ammettevano proteste; che perpetravano ratti, commettevano adulterii i quali, pur troppo, rimanevano quasi sempre impuniti se compiuti da chi appartenesse alle nobiltà (Belgrano op. cit. p. 422 -426). Tale era l’andazzo dei tempi! Col giorno di Natale, i Genovesi, nei tempi più antichi, incominciavano l’anno e in segno di giubilo adornavano le porte delle loro abitazioni con grossi rami di alloro, lontano ricordo, come accenna il Cervetto (.Natale e Capodanno a Genova) di usi romani (1). Nella stessa ricorrenza si usava offrire alla Signoria un grosso tronco di lauro, detto il confuoco che veniva bruciato dinanzi al palazzo del governo. Quest’albero destinato al fuoco significava agli uomini del Medio Evo che Cristo volle nascere in terra per distruggere le superstizioni dei gentili e perciò (i) Le notizie sul Natale, il Capodanno e il Carne\rale furono in gran parte tratte dalle due opere di L. A. Cervetto: Il Natale e il Capodanno a Genova e II Carnevale Genovese attraverso i secoli. 170 COSTUMI E USANZE il popolo teneva il tronco bruciato come cosa sacra e gareggiava nel procurarsi gli spenti tizzoni che serbava poi gelosamente attribuendo loro speciali virtù; era tale l’avidità di avere codesti carboni che, a prevenire gravi inconvenienti, il Comune dovette affidare al Cintraco l’incarico di distribuirli in equa misura fra i cittadini (an. 1491). Spettava all’Abbate della valle del Bisagno il privilegio di donare alla città questo albero di lauro. Il confuoco era con gran pompa trasportato alla vigilia di Natale sur un carro tirato da buoi e lo accompagnava un lungo corteo di uomini della valle in abiti festivi, con bandiere coi colori di Genova e veniva con solennità deposto nel mezzo del cortile del palazzo Ducale. Mentre squillavano le trombe e si agitavano le bandiere, l’Abbate coi magnati della valle saliva a far riverenza al Doge e a salutarlo col proverbiale : Bentruvòu Messe ro Duxe ; ricevuto a sua volta il saluto : Ben vegnuo Messe l’Abboù, augurava al capo dello Stato le buone feste e lo pregava di gradire il confuoco. Il Doge offriva vino e confetti all’Abbate ed alla sua comitiva e alla sera, all’ora dell’Ave Maria, accompagnato da gran seguito, scendeva sulla piazza densa di folla, aspergeva di vino il tronco, e vi appiccava il fuoco, benedicendolo in nome di Dio e dei Santi protettori della Repubblica. Dopo la cerimonia tutti salivano a Palazzo dove erano serviti confetti, aranci e vini. Questa consuetudine durò sino al 1499, nel quale anno (29 die.) il governatore Agostino Adorno, stando per cedere il potere a Filippo di Clèves, mandato dal nuovo signore di Genova Luigi XII di Francia, abolì il 177 ricevimento dei Bisagnini per evitare tumulti. Però un decreto del 1530 richiamò in vigore l’antica cerimonia, la quale fu di nuovo abolita nel 1637 per non aggravare di spese gli abitanti della Valle; fu soltanto conservata la visita dell’Abate che, con alcuni suoi compagni, offriva a sua Serenità un mazzo di fiori. La rivoluzione del 22 maggio 1797 abolì anche questa visita. A Natale il Doge, secondo le costituzioni della Repubblica, partecipava ai solenni uffici in Duomo, riceveva gli ufficiali, i magistrati, i consoli, gli ambasciatori per gli auguri e ad essi faceva servire dolci, canditi, aranci e vin moscatello, che, giusta le consuetudini invalse fin dal secolo XV, gli erano inviati dalla comunità di San Remo. Altri comuni delle due Riviere inviavano gran copia di doni per tale festa al Doge ed alFArcivescovo ed il governo stesso faceva doni di denaro ai propri mazzieri, ai « nuntii de tarchieta » perchè portassero « calige ad divisam » del Doge e persino a chi provvedeva la fune « qua trahitur confochum » (Manuali Senato 7 - 740). Non discorriamo di doni fra congiunti, fra chiese e conventi e accenniamo di sfuggita che nel 1413 venne istituito un ufficio detto della Beneficenza a Natale, composto di uomini probi, i quali provvedevano a liberare i detenuti per debiti nelle carceri della Malapaga e a sollevare le miserie dei poveri. La cena della notte di Natale assumeva anche allora un’importanza eccezionale. Nel gran salone del palazzo ducale, dal soffitto intagliato e dorato e le pareti adorne di arazzi, il doge col manto d’oro, foderato di ermellino, sedeva accanto all’arcivescovo e agli anziani, mentre nelle splen- 178 COSTUMI E USANZE dide dimore dei patrizi, nelle sale aurate, dalle pareti coperte di cuoi e di broccati, con fasto veramente principesco, consumavansi sontuosi banchetti. Anche il desco poveretto era allietato dai maccheroni, la minestra di rito per il Natale, dal pan dolce, dai canditi, da conserve di rose e di damaschine, da cotognate, pignolate ecc. che erano preparate dai confettieri, e con rara perizia anche dalle suore di molti monasteri. Ai magnifici banchetti seguivano le visite ai bel: lissimi presepi dei Cappuccini, di S. Barnaba e di S. Francesco d’Albaro di cui ci dà molte e impor^ tanti notizie il Cervetto (Natale e Capodanno cit). Dopo il nuovo ordinamento di governo del 1528 la festa di Capodanno assunse maggior interesse per l’entrata a Palazzo degli eccellentissimi novi, i quali dovevano prestarvi speciale servizio. Costoro iurono prima in numero di cinque, più tardi dieci, e venivano tratti a sorte su 120 nomi posti in un urna di ferro detta del Seminario, e siccome per questi estratti si facevano molte scommesse, così ebbe origine il gioco del seminario (ora del lotto), che divenne tanto lucrosoda indurre nel 1644 il governo genovese, primo fra quelli d’Italia, ad avocarlo a sè e regolarlo. Poiché siamo in tema di giochi ne ricorderemo un altro assai curioso detto del Redoglio che consisteva nell’ indovinare il sesso di un nascituro. Achille Neri (.Passatempi Letterari) spiega che il titolo viene dalle « doglie » e il gioco fu chiamato probabilmente « de re doggie » (delle doglie) ; più tardi il nome fu atteggiato al maschile in redoglio. In una raccolta di rime genovesi (ed. Zabata, Pavia, 1583) composta per la maggior parte di versi EPIFANIA 179 dell’arguto Paolo Foglietta vi sono due poesie in dialetto di Vincenzo Dartona, una delle quali stigmatizza il gioco anzidetto, fatto da popolane e da ricche che mettan su re panze Dre gravie, belli muggi de dinè e ricorda che gran parte di esse Sta toccando re panze dre gentette e fa mille domande sulle loro condizioni per indovinare quale sarà il sesso del nascituro ! Anche il dì della Epifania era solennizzato con lieti banchetti nei quali si soleva ammannire la minestra di lasagne, a foggia di quadrati di sfoglia sottile; ma più degna di memoria è la cerimonia nobilissima che in codesto giorno si compieva ancora nel secolo XV di recare al tempio di S. Giorgio il dono di un pallio d’oro in ringraziamento a Dio delle vittorie ottenute. Il Doge, gli Anziani, i nobili si recavano in magnifico corteggio al tempio e sulla porta di esso si commemoravano le più fulgide glorie della Repubblica. Le vittorie di Almeria, della Meloria, quelle in Palestina, nell’Adriatico, tutte venivano ricordate tra gli applausi e le grida di gioia e ciò doveva servire di incitamento per la gioventù a novelli trionfi. Il 17 gennaio si apriva la stagione del Carnevale che il popolo festeggiava alla sera con grandi fuochi sulle piazze, ballando intorno ad essi al suono dei pifferi la viunda, che forse consisteva nell’alzare ritmicamente una gamba. Tra i balli preferiti dal popolo doveva già esservi la moresca in cui i ballerini « vestiti alla foggia orientale e spagnola graziosamente si affrontano, si inchinano e-alternano 180 COSTUMI E USANZE al ballo bellissimi giochi d’arme » ; nei palazzi dei patrizi era forse già invalsa la moda che divenne più tardi assai comune, d’intrecciare danze francesi e spagnole e balli di varie denominazioni come i balli della spada, della barriera, della corrente. Le feste di ballo del popolo grasso si chiamavano Festoni; quelle del popolo minuto Lanternette, forse dalla fioca luce che rischiarava gli ambienti; i balli privati poi erano detti con la porta chiusa; i pubblici con la porta aperta. Più specialmente in carnevale che in altra occasione, apparivano le compagnie di commedianti, che erano in origine volgari istrioni, come quei tre cittadini di Napoli, Bologna e Venezia di cui parla il Belgrano (Feste e giochi pag. 422) che in Genova nel 1567 contrassero « societatem insimul recitandi comedias » promettendo ciascuno « sonandi, cantandi, balandi ». Le commedie recitate da costoro erano improvvisate o àe\V arte e si rappresentavano su palchi posticci nelle 'osterie per divertire il popolino; soltanto nella seconda metà del secolo XVI abbiamo memoria di buone compagnie come quelle dei Gelosi, degli Uniti, dei Desiosi, degli Accesi, accolte a recitare nelle case dei ricchi e dei patrizi; i patrizi stessi composero poi compagnie di dilettanti per recitare commedie e infine, per la munificenza della nobilissima famiglia Durazzo, sorsero i teatri del Falcone, delle Vigne, di S. Agostino, riservati dapprima ai soli nobili ma verso la fine del secolo XVII aperti anche al popolo. (Belgrano, Vita priv. gen., p. 446 - 447 e Rosi, Barro). I balli e gli spettacoli finivano spesso con banchetti nei quali apparivano i famosi ravioli, che scrit- CARNEVALE 181 tori italiani e stranieri celebrarono in prosa e in verso dando ai genovesi il vanto di averli inventati. Il carnevale, scendendo dai palazzi nelle strade, diventava più rumoroso e più volgare. Dalle finestre e dai balconi si lanciavano sui passanti « citroni, ova piene di farina et altre sporcitie, limoni et boghe » ed anche « certe sorte de balloni » che non è detto cosa contenessero. Il senato emanava severi decreti contro questi eccessi, proibiva che si spaventassero le persone con urla « et voci di animali e special-mente non si vadi gridando come per lo tempo passato: Gh’è o Diao, ne si chiamino li Demoni, sotto pena di due tratti di corda » ma forse rimanevano lettera morta. Le dame solevano portare la maschera, detta moretta, nei ricevimenti e a teatro, e uomini e donne anche in tempi non carnevaleschi, pare abusassero della maschera, sicché dovette intervenire la prammatica del 1449 a proibirle (Belgrano, Vitapriv. p. 501). Esempi di comitive mascherate nel 1587 ci dimostrano come sin da quei tempi la maschera genovese più diffusa fosse quella del contadino o paesano che è tuttora « la più nostrana, la più simpatica, la più cara, la più intesa » e affinchè anche coloro che non sono di Genova possano averne notizia, mi varrò delle parole del Cervetto (Carnevale genovese p. 32). « Ancora oggidì... l'ameno Geppin viene con la sua fedele Nena ad eccitare per le piazze, per le vie e pei ritrovi di Genova la popolare allegria»; esso è vestito alla foggia del contadino del sei e del settecento col « corpetto scarlatto o bianco sotto la giacca di fustagno color nocciola o di velluto verde..., i cal- o * 182 COSTUMI E USANZE zoni corti di velluto nero, rosso o marrone, le uose, le scarpe alla contadinesca e in testa il capello a larga falda, ma più ordinariamente il caratteristico berretto in panno rosso con risvolta nera >. La Nena (Maddalena) indossa abiti a colori sgargianti come la contadina di cento anni fa. « Essa ha sulle spalle... un corto scialletto di seta con lunga frangia intorno, porta alle orecchie lunghi pendenti in filigrana d’argento, le tradizionali masse, al collo tiene un’appariscente collana d’oro, d’anelli d’oro ha coperte le dita ». « Geppino si avanza con aria d’uomo imbarazzato, d’uomo non avvezzo al grande movimento della città...... ma non perde il suo buon umore. Sovente canta accompagnandosi col flebile suono della piva o della zampogna, canta canzoni festevoli in dialetto ligure... di cento cinquant anni or sono... E come canta, così parla. Allegro, faceto, arguto, satirico, mordace e talvolta anche un po’ sfrontato, anche un po’ insolente... non risparmia nessuno. Porta con sè un sacchetto con frutta di stagione, oppure un canestro, nè dimentica il parapioggia, uno di quei paracqua di seta tinti in rosso scarlatto o in verde chiaro atti a contenere sotto la loro circonferenza una piccola famiglia ». Degna antitesi a quella del paesano è la maschera del Marchese, che sorse nel secolo XVI, e, secondo il Cervetto, « prese voga a quei tempi in cui fervevano vive lotte tra i nobili del Portico vecchio e quelli del Portico nuovo, cioè tra i nobili di antica data che stanziavano di preferenza nella loggia vicino alla chiesa di S. Luca e quelli di nobiltà più recente che avevano scelto per loro ritrovo la loggia sita in piazza Banchi vicino alla Chiesa di TORNEI 183 S. Pietro *. « Nell’arguta maschera venivano assai bene messe in mostra le boriose personalità degli altezzosi patrizi » e benché la Repubblica vietasse « che persone insignite del carattere patrizio si esponessero alle dicerie e dileggi del pubblico » pure questa maschera che rappresenta il simbolo d’una categoria di persone con costumi e usanze diametralmente opposte a quelle del contadino, rimase fino ai dì nostri. Essa indossa tutt’ ora l’elegantissimo abito dei nobili del settecento. Altri svaghi per i Genovesi erano i tornei e le giostre. L’annalista Antonio Roccatagliata afferma che « la prima domenica di quadrigesima è il giorno solito alle giostre ai tornei et altre novità che in Genova si chiama Carnevale il Vecchio ». Erano feste prettamente aristocratiche, entrate qui, come altrove, nelle abitudini cittadine fin dai più remoti tempi del medio evo, e conservatesi in Genova sino al secolo XVII; ad esse poteva assistere pure il popolo dallo steccato ed avevano luogo sulle piazze di Sarzano, di Ponticello, di Fontane Marose o di Campetto. Il Cervetto opina che, ad imitazione di queste giostre, il popolino abbia messo in voga il gioco della rottura della pentola o pentolaccia che si usa tuttora nella prima domenica di Quaresima e, come tutti sanno, consiste nel rompere con gli occhi bendati una pignatta sospesa per una funicella ad una certa altezza e contenente dolciumi e frutta. Alle baldorie carnevalesche tenevano dietro le pratiche religiose della Quaresima. Famosi predicatori tuonavano allora dai pulpiti contro il lusso, la leggerezza e la corruzione dei costumi, benché sem- ). 184 COSTUMI E USANZE bri che essa fosse minore a Genova che altrove se il severissimo frate Gerolamo Savonarola, che predicò in Genova durante la quaresima del 1490, potè più tardi in un suo sermone tenuto ai fiorentini, avere parole di lode verso le donne di Genova per la loro serietà nel vestire (Belgrano, Vita priv. genpag. 260). Del resto i giorni della penitenza non duravano a lungo, chè a mezza quaresima si prendeva o batteva la monaca; vale a dire si dava l’assalto ad una figura di monaca adorna di gemme, posta a Banchi, sotto la loggia dei mercanti e si faceva una finta battaglia tra i difensori e gli assalitori. Il Belgrano (op. cit. pag. 467) crede che la monaca rappresentasse la quaresima, poiché in altre città italiane vi era l’uso di segare la quaresima, figuia di vecchia magra e stecchita, ripiena di zuccherini e di leccornie. A Pasqua, colle solenni cerimonie religiose e la bella stagione, ritornava la vita allegra. Dinanzi alle chiese sorgeva una lieta foresta di rami d olivo e vette di palme ancor bianche o leggermente giallastre, che mani industriose intrecciavano in mille modi e adornavano di fogli dorati ; festevoli grida nelle case; nei forni cocevano le saporite torte pa-squaline composte di uova e di erbaggi novelli. Il popolo in liete brigate usciva all’apeito e andava a merendare sulle ridenti alture che coionano di fresco verde la Superba; la primavera lendeva più gaie e rumorose le cavalcate e le gite in mare lungo la gemina riviera; s’approssimava il Maggio e con esso la festa di « piantar Maggio » che consisteva nel piantare dinanzi alle porte delle case PASQUA E CALENDIMAGGIO 185 grossi rami fronzuti o giovani arbusti che chiassose comitive di giovani e di fanciulle nella notte precedente a Calendimaggio erano andati a tagliare o strappare nelle vigne e nei boschi, con gran dispetto e danno dei rispettivi proprietari. « Gentilitiam superstitionem sapere videtur, diceva un decreto della diocesi di Savona del 1623, abusus in aliquibus oppidis huius diocesis quod nocte, diem primam maij proxime precedente, mares ac femine et virgines item passim per vineas ac nemora vagentur et arbores arborumque ramos grandiores precidant, ut sequenti die ante foras erectas figant, id quod italico vocabulo dicant « piantar maggio » in quo plura sunt animadversione digna, nempe peccandi pericula, damnum dominis prediorum etc. etc. (Rossi, Glossario). La gioventù voleva divertirsi e se la rideva dei proprietari! Ai primi ardori, la parte più ricca della cittadinanza si rifugiava nelle bellissime ville, dove si godeva la vita più libera e più gaia fino a mezzo novembre. Non ripeterò qui le lodi entusiaste che il Petrarca, ΓAstesano, Jean d’Auton, Benedetto Portuense prodigarono alla suntuosità di coteste ville, poiché furono già riassunte nelle pagine del Belgrano (Vita priv. gen. p. 439 e segg.); ricorderò soltanto che all’ imponenza delle costruzioni, simili in tutto ai palazzi cittadini, esse univano la venustà della natura circostante, rallegrata da magnifici giardini adorni di fiori d’ogni genere e di alberi esotici, che solo il tepore del mare permette che allignino nelle nostre terre. Il lusso e lo splendore della vita cittadina continuava nelle ville e quindi alle gite si alternavano i lieti banchetti, lo 186 COSTUMI E USANZE Sfoggio dei quali, essendo trasmodato, indusse la Signoria nel 1506 a proibirli ed a rinnovare il divieto nel 1512 che « de cetero in lo andare e ritornare che si fa da Genova in villa e de villa in cità non si possa mandare presenti ni doni alcuni ni fare convivii perchè questo è cresciuto in grande abuso » (Belgrano, op. cit. p. 445). Il porto di Genova era una comoda via di transito sia per l’Italia settentrionale e l’Europa che per i paesi del Mediterraneo meridionale e perciò non erano infrequenti i passaggi per Genova di illustri personalità, alle quali la città era solita offrire grandiose accoglienze. Accontentandoci di accennare ai passaggi più importanti nell’età da noi studiata, ricorderemo dapprima quello del duca Galeazzo Maria Sforza e di Bona di Savoia nel 1471, che in verità fu per Genova una delle più amare delusioni. I Duchi ritornando da Firenze, ove eransi recati per sciogliere un voto, avrebbero toccato Genova per ritornare a Milano. La Superba volle accoglierli degnamente : approntò alcune stanze del Palazzo per alloggiarvi il Duca, alcune case patrizie per accomodarvi la Corte, eresse sulla pubblica piazza un magnifico trono; per rendere completa la gioia, liberò i debitori imprigionati nelle carceri della Ma-lapaga, purché prestassero malleveria di ritorno entro due mesi. Due galee con ricchi addobbi, accompagnate da sei navi minori, mossero incontro al Duca a Por-tovenere; intanto furono invitati tutti i cittadini a pulire il tratto di strada dinanzi alle loro abitazioni, ed a recarsi in abiti da festa sulla piazza di S. Lo- PASSAGGI DI PRINCIPI 187 renzo, al primo suono della campana. Giunti al porto i Duchi furono accolti dai magistrati sotto il pallio ed ebbero in dono quattro piatti d’oro del peso di dodici libbre ciascuno; ma, con loro grande sorpresa, i genovesi videro i Duchi vestiti di abiti così logori e dimessi da parere che li avessero tolti in prestito dai loro infimi servitori; condotti poi sotto il pallio al palazzo « ubi erant magnificentissime constrata triclinia » non vollero neppure vedere le stanze per essi preparate e, senza por tempo in mezzo, s’affrettarono al Castelletto, e dopo tre giorni uscirono dalla città « ita raptim, ita incomposite » che non parve una partenza ma una fuga. E pensare, esclamava malinconicamente il cronista Antonio Gallo, che si erano spesi ben diecimila ducati per degnamente riceverli ! Rispetto alle ragioni che spinsero il Duca a tale condotta, il cortese lettore veda quanto scrissi in proposito nella mia prefazione ai Commentari di A. Gallo. Più grata ricordanza lasciava di sè 1’ imperatore Massimiliano quando nel 1496 tolse imbarco nel porto di Genova alla volta di Livorno. La Signoria lo accoglieva sotto un baldacchino di camo-cato bianco, ornato di ricche frange e decorato di cinque scudi con l’aquila. L’imperatore volle vedere il sacro catino, ed ebbe in dono una coppa d’oro di dieci libbre di peso; l’ensifero e il segretario che lo accompagnavano ebbero un’anfora d’argento. Fu però osservato che il governatore Agostino Adorno « non avessi servata l’antica consuetudine di precedere l’imperatore, quando fece l’entrata, a piedi col capo discoperto tenendo il freno del cavallo in mano » (Giustiniani, 188 COSTUMI E USANZE Annali ad annum). Due anni dopo, altro ricevimento onorifico per Lodovico Sforza. Ma veramente spettacoloso e degno di essere ricordato fu Γ ingresso di Luigi XII nel 1502, ampiamente descritto da Benedetto da Porto Maurizio in una sua : Descriptio adventus Ludovici XII Francorum Regis in urbem Genuam anno 1502 a da Jean d’Auton nelle sue Chroniques. Allora il pubblico palazzo fu adornato e dipinto, la via che conduce al Faro fu lastricata e le vie per le quali doveva passare il corteo furono cosparse di sabbia e di verzura : lunofo il molo vennero allineate galee genovesi e francesi, perchè annunziassero colle loro artiglierie l’arrivo del Re ; per lo stesso scopo fu provveduta di bombarde la rocca della Briglia. Il 26 agosto 1502 il Re fece il suo solenne ingresso; i cittadini, avvertiti dal suono di una campana del Palazzo, gli mossero incontro; le donne e le fanciulle fecero ala al corteggio e le dame, quasi tutte vestite di bianco di drappo di seta, o di tela finissima, con gli abiti assai corti da lasciar scoperte le scarpe e le calze bianche o rosse, comparvero nelle gallerie, sulle loggie, ai veroni ornati di vaghissimi arazzi. Il Re, uscito da Sampierdarena, ricevette una deputazione di genovesi con a capo Brizio Giustiniani, priore del Senato, che lo salutò in nome della Repubblica. Indi uno stuolo di seicento fra gentiluomini e mercanti, vestiti con ricche toghe di velluto, di damasco, o camellotto, lo precedette fino alla porta di S. Tomaso, dove otto magnati della città lo accolsero sotto il pallio, lavorato di drappo d’oro e di velluto violetto con ricche frangie. LUIGI XII A GENOVA NEL 1502 189 Dinanzi alla porta era stato eretto un bellissimo tempio, adorno di melagrane e di aranci, e le vie erano abbellite di palme e di altre piante decorative. Entrando in città si formò il corteo: precedevano i gentiluomini genovesi, seguiti da dugento nobili della casa del Re, tutti a cavallo, brandenti l’asta; seguivano altri personaggi della Corte con cento alemanni, coperti di corsaletto, con elmi piumati, con l’alabarda in pugno, a tre a tre in ordine perfettissimo. Il Re, vestito di drappo d’oro con un berretto di velluto nero, cavalcava una mula nera, bardata con drappi di velluto cremisi e fili d’oro ; era preceduto da dodici trombettieri con le insegne del fiordaliso; seguivano i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi ed i grandi signori di Francia, poi quattro-cento arcieri a cavallo, i legati imperiali di Venezia e di Firenze, e gran numero di prelati e di chierici, infine l’immensa onda di popolo. Tutti gridavano: Francia, Francia ! tuonavano le artiglierie, suonavano le campane. Sulla piazza di S. Lorenzo l’arcivescovo, con i canonici e i preti, vestiti dei più ricchi paramenti e colle sante reliquie, attendevano il Re che entrò nel tempio e prese posto presso l’altar maggiore, mentre le volte echeggiavano di sacri cantici. Baciata la vera croce, ricevuta la benedizione dall’arcivescovo e fatto giuramento di rispettare i diritti, le franchigie, la libertà genovese, il Re si recò ad albergare nel magnifico palazzo di Gian Luigi Fie-schi in Vialata. Durante la sua breve permanenza in Genova, Luigi XII visitò minutamente la città e alcune ville, dovunque accolto da grandi segni di giubilo. 190 COSTUMI E USANZE Fra i molti episodi è abbastanza noto quello della bellissima e nobilissima Tommasina Spinola, la quale, innamoratasi di Luigi XII, ardì pregarlo di permetterle che ella divenisse il suo intendio e che egli similmente lo fosse di lei. Il Bandello (Novelle, parte II, nov. XXVI) dice che ai suoi tempi i genovesi usavano tale parola come sinonimo $ innamorato o di amante e ricorda che il Boccaccio pure nella novella di frate Rinaldo e di Lisetta fa dire a quest'ultima : « Γ intendimento mio è l’agnolo Gabriello ». Il Re accettò e sebbene ciò desse argomento a facili supposizioni, non ne risultò mai offesa l’onestà (D’Auton, Chroniques). Anche dopo la partenza del Re, la passione della gentil donna non s’illanguidì, anzi, avendo ella notizia nel 1505 che il Re era stato colpito da grave morbo ed essendo poi corsa la falsa voce che era morto, ne fu così addolorata che in capo a otto giorni spirò. Fine di romanzo e davvero lacrimabile se il nostro Achille Neri (Passatempi letterari) non avesse trovato destituite d’ogni verità storica queste notizie date dal solo D’Auton fra tutti i cronisti dell’ epoca ! Ritornando alla narrazione degli avvenimenti regi, Benedetto da Porto Maurizio ricorda che, siccome correva fama che il contatto dei Re di Francia guarisse da morbi, così Luigi XII, prima di partire, toccò in Santa Maria dei Servi coloro che erano affetti da aposteme e da scrofole. Nel suo accomiatarsi la Signoria gli offerse quattro piatti, due anfore e due tazze d’oro del valore di dodicimila ducati e molti altri doni distri bui ai suoi fidi. Chi avrebbe potuto immaginare, dopo tante festose accoglienze, che alla distanza di soli cinque LUIGI XII A GENOVA NEL 1507 191 anni, questo Re sarebbe rientrato in Genova colle armi alla mano ? Genova aveva osato ribellarsi al mal governo dei nobili, aveva assalito le autorità e il presidio francese, era stata retta per un anno da un governo popolare e negli ultimi giorni aveva eletto a Doge un tintore di seta, Paolo da Novi. Le alture che cingono la città furono prese d’assalto dai francesi e il 29 aprile il Sire di Francia faceva il suo solenne ingresso. Una deputazione di cittadini, vestiti di nero, col capo scoperto, coi capelli rasi gli mosse incontro fino alla chiesa di S. Teodoro e appena fu al cospetto del Re, inginocchiatasi, gridò : misericordia ! Egli entrò armato di tutto punto : lo precedevano cento svizzeri e uno stuolo di signori francesi e italiani, al suono di trombe e tamburi; lo seguivano cinque cardinali e un gran numero di armati. Giunto alla porta di S. Tomaso « arrancò lo stoco e l’à datto in la porta e dice : Superba Genova te ho guadagnato con l’arme in mano ». Cento gentiluomini genovesi a cavallo gli resero gli onori in piazza Banchi, donde egli si diresse alla Chiesa di S. Lorenzo, dove una numerosa accolta di vergini bianco vestite, piangendo gli chiesero ad alta voce : misericordia ! Il Re parve profondamente commosso ; nondimeno le forche furono issate in vari luog'hi della città, i cittadini dovettero consegnare tutte le armi e subire prepotenze e abusi da parte della soldatesca; i capi-popolo furono severamente puniti, mentre i nobili, che gli fecero festose accoglienze, ebbero dal Re dimostrazioni d’affetto e d’amicizia, come quello di sedere persino a mensa in casa di alcuni di essi (Atti, voi. XXXVII). 192 COSTUMI E USANZE Ma ricordo assai più crudele di questo dovettero conservare i genovesi dell’anno 1522, quando per le odiose lotte tra le famiglie dei Fregoso e degli Adorno questi ultimi invocarono l’aiuto di Carlo V. Allora l’esercito spagnolo assaltò, saccheggiò e fece scempio della città. Terribile nella sua forma rudemente popolare è la descrizione di questo saccheggio in un « Lamento de Zena che tracta de la guerra et del saccho dato per gli Spagnoli a li XXX dì de Magio nel MCCCCCXXII» edito nei nostri Atti. (Voi. IX, Fase. II). Con tutto ciò, solenni onoranze furono rese a Carlo V quando nel 1529 passò per Genova perchè l’anno innanzi, col suo consenso, Andrea D’Oria aveva potuto ridonare la libertà alla patria. Appena l’imperatore fu sceso dalla galea, ebbe in dono una mula bellissima, arnesata d’oro e d’argento con gualdrappa di broccato che scendeva sino a terra, venne accompagnato con solenne corteo a Palazzo e provveduto, finché stette a Genova, di quanto gli occorresse, con grande magnificenza. Al suo partire ebbe in dono una caracca di Ansaldo Grimaldi, il maggior legno che da gran pezza fosse veduto tenere il mare, e quando ripassò per Genova nel 1533, accoglienze non meno magnifiche ebbe per opera specialmente di Andrea D’Oria, il quale, per tacere di altro, gli offerse un famoso banchetto sulla galea capitana. Le mense, imbandite in mezzo a frondose piante, venivano rallegrate da melodiosi concenti di suonatori e cantori, vestiti a foggia di deità marine ; le vivande erano recate in vasellami d’argento di gran prezzo, i quali, tolti poi dalle tavole ad ogni nuova portata, venivano scaraventati nelle onde.... e si rac- Andrea d’Oria esce da S. Matteo dopo aver dato un libero governo a Genova (1528). Affresco del 1 avarone nell’ex Municipio di S. Fruttuoso. IL MATRIMONIO 193 coglievano in fondo d’una larghissima rete appositamente distesa (Guerrazzi, Vita eli Andrea D’Oria, I, 289). Oltre a queste feste occasionali, ve n’erano pure delle periodiche, come quelle che celebravansi, dalla riforma del governo nel 1528, ogni due anni, per la elezione del nuovo Doge, il cui insediamento era pure fatto con solennissime cerimonie (ved. Belgrano, Feste e giochi gen. pag. 194). Dalle feste pubbliche passiamo ora a quelle fa-migliari, tra le quali ha certo la massima importanza la cerimonia del matrimonio, che i genovesi celebravano con grande sfarzo: ed il lusso degli abbigliamenti, la copia e il valore degli oggetti donati, la necessità di assegnare alle spose una dote talora superiore alle forze finanziarie delle famiglie, era tale che i legislatori furono spesso obbligati a porre un freno a tanto dispendio (*). Già la legge suntuaria del 1449 ordinava che il guarnimento (corredo) non superasse mai la quinta parte della dote e proibiva i gioielli, tranne il fermaglio, il nodo al collo e gli anelli ; ordinava che la sposa non avesse per i primi tre anni che una veste di seta e, se di velluto, non fosse di colore rosso o violaceo e che sotto la toga, non dovesse portare uppa di velluto. (Belgrano, Vita priv. gen. p. 496). (i) Rispetto alla cerimonia del matrimonio mi sono giovato /della « memoria » di M. Staglieno: Le donne nell’antica società genovese, Genova, Sordo-Muti, 1879. s 194 COSTUMI E USANZE Una nuova legge nel 1488 vietò in modo perentorio alcun guarnimento alla sposa, eccettuata la dote; ma poiché il coniuge doveva assumersi il carico delle spese per le vesti e per le altre cose indispensabili, stabilì che, ogni qualvolta la dote dovesse restituirsi, si trattenesse la quinta parte se la restituzione avvenisse entro i primi sei anni di matrimonio; l’ottava, se entro i dodici; la decima se fossero trascorsi i dodici anni (Statuto d. padri d. comune p. 71). Nel 1506 si tornò a permettere il corredo; ma rispetto ai gioielli non si permise che il « pomum » con quattro perle e quattro anelli, un «gregetum si ve filum perlarum » e una « cavegeria perlarum », e si volle che, trascorsi due mesi dalle nozze, il filo di perle e la cavegeria fossero deposti (ved. in Documenti). La prammatica poi del 1512, oltre la catenella, il dentaiolo d’oro, un gioiello al collo e tre anelli, lasciava alle spose un filo di perle al collo e scuffie, o reti d’oro in capo, che però dovevano deporre dopo il matrimonio (Belgrano, Vita pnv. gen. p. 256). Infine nell’ottobre 1542 fu emanato un decreto contro le doti eccessive, col quale si ingiunse che da chicchessia non se ne potessero costituire in somme maggiori di tremila scudi d’oro del sole (Staglieno, Le donne nella antica soc. gen. p. 14). Ciò che era concesso alle spose lo era pure alle fanciulle che avessero oltrepassati gli anni tredici, secondo la legge del 1506, o gli undici, secondo quella del 1512, eccettuati tuttavia gli anelli preziosi. Passate le feste degli sponsali, la donna doveva de- IL MATRIMONIO 195 porre ogni vanità ed aver cura soltanto della casa ; ma coteste prescrizioni, pur lodevoli in sè, urtavano contro il desiderio della donna, anche se maritata, di piacere e di sfoggiare, e il permesso alle spose di portare più gioielli che le matrone — così chiamate dopo tre anni dalle nozze — era ingrato a tutte. Trascorso il fatale triennio, che dovevano farsene le spose dei gioielli tanto agognati? tenerli riposti per tutta la vita nella capsieta ? e bearsi soltanto a sogguardarli nelle ore d’ozio ? Se non abbiamo male interpretato alcune note di spese del notaio Gallo, pare che allora si usasse spesso prendere dei gioielli in prestito, sicché il restituirli doveva riuscire meno doloroso che tenerli per sempre nello scrigno ! Le vesti, col resto del corredo, si solevano allora mandare alla casa della sposa non già piegate e coperte, ma sostenute da assicelle, con grande copia di nastri e di altri ornamenti, ed affatto scoperte perchè ognuno potesse ammirarle ; ma anche questo, ingenerando abusi, fu vietato dalle leggi nel 1571 Q. L’ atto nuziale fino alla seconda metà del secolo XV si compieva senza alcuna cerimonia religiosa, ciò nondimeno serbava in tutto e per tutto il suo carattere di sacramento. Il matrimonio si contraeva generalmente in casa della sposa alla (i) Se il benevolo lettore volesse avere un’idea di un corredo di quei tempi, potrebbe consultare il mio opuscolo « Vita privata di Antonio Gallo, cronista genovese del secolo XV ». (Archivio Murato-riano) in cui sono descritti tutti gli oggetti e le spese per le nozze di Lucrezia, figliastra del Gallo. 196 COSTUMI E USANZE presenza di amici e parenti, dopo un banchetto; gli sposi erano interrogati da uno degli intervenuti : da un notaio, da un sacerdote, da un personaggio ragguardevole, non mai, almeno così pare, dal padre o da altro consanguineo; e prima ad essere interpellata era la fanciulla, la quale, come tutt’ ora si usa nelle campagne, forse per modestia, o per pudore, si faceva ripetere la domanda due e anche tre volte, pronunziando quindi un timido sì; non avveniva così delle vedove che si rimaritavano, e di quelle donne per le quali il matrimonio veniva a sanare una posizione illegale, chè rispondevano subito alla prima. La stessa domanda veniva dopo rivolta allo sposo, che rispondeva più o meno francamente, secondo i casi. Espresso il consenso, gli sposi si davano la mano, si abbracciavano e si baciavano, lo sposo metteva l’anello in dito alla sposa e in tal modo l’atto era compiuto per verità de presenti, secundum ritum sancte romane ecclesie et consuetudinem civitatis Janue. Presso il volgo vigeva l’usanza che gli sposi, dopo il consenso, fossero aspersi di vino, del quale è naturale si facessero pure ampie libazioni. Questa benedizione degli sponsali, fatta col vino, e l’uso di considerare in tal modo valido il matrimonio, si mantenne per lungo tempo fra il popolo, non ostante la prescrizione del concilio di Trento. Pare tuttavia che, anche prima di esso, fosse consuetudine che gli sposi si recassero in chiesa a ricevervi la benedizione, poiché tale uso è ricordato negli antichi statuti liguri per curiose costumanze che lo accompagnavano. Infatti gli statuti di Lin- IL MATRIMONIO 197 gueglia accennano che si usava gettare pietre in chiesa « quando sponsus vel sponsa audierit benedictionem, versus ipsorum personas » e « quando sponsus levatur a benedictione ipsum percutere cum pugillo sive manu ». A San Remo si usava «proi-cere lapides citronos aut alias res de qua percuti possit sponsus vel sponsa quando sunt ad altare et audiant benedictionem » ; a Levanto « in nuptiis vel convivio ciatos vel ulceos seu alia vasa rumpere frangere aut eiicere vel proiicere versus aliquem ». Tutti questi atti erano naturalmente proibiti negli statuti e, secondo il Rossi, erano reliquie della antica rappresaglia dei competitori contro il vincitore nella lotta d’amore (Rossi - Glossario ligure). Talvolta il matrimonio contrae vasi, specialmente da parte del coniuge, non de presenti, ma per procura e doveva constare in un atto pubblico, o in una lettera che s’inseriva nell’istrumento notarile. Le formalità erano le stesse, però al rappresentante dello sposo era solo permesso di abbracciare la sposa, non di baciarla, e l’atto doveva sempre essere ratificato, vale a dire rinnovato con le rituali cerimonie. Concluso il matrimonio seguivano altri banchetti che, con gli anni, crebbero di numero e di lusso e fu necessario l’intervento del legislatore per porvi riparo. Nel 1449 fu sancito infatti che nella casa della sposa i conviti fossero due soli; al primo dei quali lo sposo poteva invitare uno o due amici, al secondo non più di otto; e poiché gli invitati recandosi a tali feste, facevano grande sfoggio di fiaccole, fu ordinato che il numero di esse non fosse superiore 198 COSTUMI E USANZE alla metà dei convitati, ai quali era pure vietato di mandare doni e di riceverne. Allo sposo soltanto era concesso di portare vir-gule (ramoscelli?) e borse, contenenti molto probabilmente le nocciole da distribuirsi lungo la via, secondo Γ antichissimo costume (Belgrano, Vita priv. gen., p. 496). Terminati i conviti nuziali, avveniva la traductio, l’andata cioè della sposa alla casa dello sposo e tale atto dava sanzione al matrimonio, poiché ne prendeva notizia tutta la cittadinanza; se trattavasi di famiglie illustri e ricche, gli sposi erano accompagnati da concerti musicali e da grande corteggio di parenti e di amici, di paggi e di servitori. Ac'corr^va allora il popolo e si accalcava intorno per ammirare la sposa, mentre il vicinato dalle finestre acclamava, applaudiva e mandava addii ! Ma anche questo accorrere e vociare deve aver turbato i sonni del legislatore, perchè nel 1571 si emanò l’ordine che le spose non fossero accompagnate da più di dodici cittadini e da quattro servi, compreso il paggetto. In altre regioni d’Italia era costume che, recandosi la sposa a casa del marito, si fingesse da amici e da parenti di essa d’impedirnela, facendo il così detto serraglio, dal quale la sposa poteva liberarsi dando un pegno che veniva riscattato dal consorte. La somma del riscatto si spendeva poi dalla brigata in cene ed altre allegrie; se la sposa rifiutava il pegno, e il corteggio cercava di forzare il passo, nascevano colluttazioni nelle quali la donna poteva essere rapita e lo sposo obbligato, per riaverla, di venire a patti. A Genova questi scherzi poco graditi, pare IL MATRIMONIO 199 si tentassero durante i tre giorni di feste che seguivano all’andata della sposa nella casa dello sposo e, per togliere gli inconvenienti, talora gravissimi, ai quali davano luogo, venne emanata nel 1440 e nel 1487 la inibizione di condurre via dalla casa dello sposo, o di nascondere la sposa, prima che il matrimonio fosse consumato e la proibizione allo sposo di tenere corte imbandita oltre i tre primi giorni stabiliti : cioè la domenica, il lunedì e il martedì; e ciò prova che la traductio generalmente avveniva di sabato o di domenica. (Staglieno, op. cit. e Statuto padri d. com. p. 54). Il Sacchetti in una sua novella (nov. CLIV) accenna a queste usanze genovesi. In essa racconta che « essendo le nozze di Genova di questa usanza, ch’elle durano quattro dì e sempre si balla e canta, mai non vi si profìera nè vino nè confetti, perocché dicono che profferendo il vino e’ confetti è uno accomiatare altrui, e l’ultimo dì la sposa giace col marito e non prima », avvenne che un giovane degli Spinola, tolta moglie e « presa la dota, essendo una domenica la giovane andata a marito » questi desiderava ardentemente unirsi la sera stessa con lei, ma « le donne » non gli concessero di « rompere questa usanza ». Avendo fatto lo stesso tentativo il lunedì ed il martedì e non essendogli riuscito, « il mercoledì che l’usanza dava di giacere con la sposa » il giovane sdegnato fece vela per Caffa e non ne ritornò che due anni dopo. La legge, come già dicemmo, aveva tentato di ridurre il numero dei conviti, ma essi dovettero in compenso divenire sempre più sontuosi se il governo nel 1494 pensò persino di comporre una lista di vivan- 200 COSTUMI E USANZE de per i banchetti nuziali. La ghiotta e curiosa lista contempla i cibi per il pranzo e quelli per la cena e stabilisce che nel pranzo si servano innanzi tutto « gingiberi virides sive succato > (zenzero verde o intingolo) che dovevano far le veci del nostro antipasto; indi un iussellum (brodo) con galline, o capponi, o polli cotti nell’acqua (sic); poi salsa bianca, fatta di zucchero e mandorle, con galline, capponi o polli e porcelletti arrosto, senza altro genere di carni e sembra voglia alludere a cacciagione costosa, e forse anche ai famosi pavoni tanto usati nei banchetti dell’età di mezzo. Per la cena poi si permette soltanto : la salsa testé accennata, con galline, capponi, o polli arrosto con tapani (capperi); indi torte bianche fatte all’antica (turte albe facte more antiquo solito). Nei pranzi e nelle cene si concedevano inoltre le seconde portate, consistenti in ipocras (liquore fatto con vino, zucchero e cannella) nebule o cialde, dette anche oggi negie, ed altri confetti tradizionali genovesi (confectiones que more antiquo dari solebant) e infine le frutta. Nei conviti tra parenti ed amici, in occasioni dwerse, il legislatore prescriveva che si servisse soltanto vino moscatello con biscotti, o frutta fresca (fructus sine aliqua confectione), poi piperata (brodo con infusione di pepe), oppure salsa non zuccherata con carne di vitello, castrato, capretto, a-gnello senza uccellagione; indi riso, o brodo con galline, capponi, polli lessati, infine frutta e confetture {diragia) da servirsi una sola volta; vietava ogni altro dolciume e l’ipocras. Nelle cene permetteva una gelatina fatta con le carni degli animali I CONVITI 201 anzidetti, indi salsa o jusverde senza zucchero con galline, capponi ecc. arrosto, poi torte non zuccherate, confetture e frutta: bandita ogni doratura sulle vivande. E non a ciò soltanto aveva rivolto le sue cure il saggio governo. Avendo osservato che da qualche tempo era invalsa la brutta abitudine (pessimus usus), che le madri o le parenti della sposa, recandosi a farle visita, rimanevano seco lei a pranzo e così si perpetuavano i festini, deliberò che a cotesti visitatori, qualora desinassero presso gli sposi, non si servisse altro che zuppa e uova < ut fieri solebat a ntiquo tempore ». (Statuto d. padri d. comune p. 138). Povere suocere perseguitate già in tempi così antichi ! Trascorsi pochi mesi si era di nuovo in mezzo alle feste per la nascita del primo bimbo, al quale i parenti della sposa donavano la cuna tutta adorna, le fascie, le coperte e le cuffiette, e siccome anche in ciò si abusava nelle spese, così la legge del 1449 dovette imporvi un rigoroso divieto, e non c’è punto da dubitare che sia rimasto lettera morta, (legge pubbl. in Belgrano Vita priv. gen. p. 501). Ma non tutte le donne avevano la fortuna o la disgrazia di trovare un marito e avveniva che molte giovinette erano indotte alla clausura dai genitori stessi, a ciò molte volte costretti dalla difficoltà di provvedere alle figlie una dote molto forte. Alcune di esse, a una certa età, prendevano spontaneamente il velo, sperando che il chiostro concedesse loro una vita tranquilla e senza pensieri (Rosi, Barro, appendice) e davvero la condizione delle monache in Genova non era delle più 202 COSTUMI E USANZE tristi, perchè il Bandelle» dice di esse (.Novella 53 parte I) : « se ne vanno dove più piace loro a diportarsi per la città e fuori e poi quando tornano al monastero dicono alla badessa : Madre, con vostra licenza ce ne siamo andate a ricreazione a prendere un poco d’aria ». Sembra che cotesto uso di spassarsela fosse inveterato, perchè un atto del Governo del 1459, stigmatizzando i gravi peccati della gioventù, aggiunge « preter hec petulans audacia et impudentia monacharum totam per urbem assidue discurrentium et parum continenter parumque religiose viventium ». Parole gravi che dimostrano che cotesta vita libera e licenziosa era disapprovata anche dall’autorità tutoria; ed infatti nella seconda metà del secolo XV (a. 1460, 1462, 1468, 1472) si dovette parecchie volte prendere provvedimenti contro « tantam moni alium civitatis in vivendo licentiam » ; ma le monache arditamente si ribellarono. Allora il governo invocò la suprema autorità del papa, e Clemente VII, nel 1529, scriveva all’arcivescovo di Genova, ricordando i lamenti della Repubblica « cum moniales.... totaliter in lasciviam vitam declinassent » e Paolo III, nove anni dopo, nel 1538, ordinava una generale riforma dei monasteri, aiutato in ciò dallo zelo di Filippa D’Oria e di Chiara Centurione, le quali, appartenendo all’ordine monastico, insegnarono con l’esempio come si dovesse vivere nei cenobi ; ma i migliori risultati li dette la istituzione di un magistrato permanente per i monasteri. Esso fu consigliato da Giulio III nel 1551 e fu costituito dall’ arcivescovo e da tre o quattro cittadini scelti dal Governo. MONACHE - PADRINI E MADRINE 203 Questi « ufficiali delle monache » seppero frenare durante tutto il cinquecento e il seicento gli abusi e le sregolatezze che avvenivano nei conventi; pur tuttavia, come accenna il Rosi nella sua opera : Le monache nella vita Genovese (Atti voi. XXVII), vi fu sempre intorno ad essi una raccolta di vagheggini, detti monachini, che tentavano di forzare le regole severe e di turbare la quiete dei monasteri. L’atto di prendere il velo per una monaca, come quello della celebrazione della prima messa per un sacerdote davano luogo a molti abusi. Sappiamo in proposito da un decreto del 1488, « de missis novis », che v’erano persone che si assumevano l’incarico di essere padrini o madrine dei sacerdoti celebranti la prima messa o delle giovani che prendevano il velo e che, per la circostanza, facevano collette, cavando denaro anche da chi ne avrebbe volentieri fatto a meno. Per porvi riparo fu stabilito : 1.° che nessuno potesse « se facere patrem aut matrem ut vulgo dicitur » per tali occasioni, se non fosse cittadino o abitante in Genova e tale fosse il nuovo prete o la nuova monaca; 2.° che padrino o madrina dovessero essere solo il padre o la madre naturale, o i più stretti parenti; 3.° che dovessero ottenerne licenza dal Governatore o dagli Anziani. (Statuto d. padri d. comune, pag. 70). Venti anni più tardi, nel 1508, il governatore francese Rodolfo de Lannoy e gli Anziani, richiamavano il decreto testé ricordato, concedendo però ai chierici, oriundi dalle Riviere o dal distretto di Genova, di valersi come padrino o madrina, di qualunque persona; ma più tardi (1522), risultando che i rivieraschi ottenevano maggiori onoranze che non i 204 COSTUMI E USANZE cittadini genovesi « quod indecens videtur » si stabiliva che anch’essi avessero per padrini soltanto il padre o la madre naturale. Lo stesso decreto del 1508 vietava l’offerta di cera per coteste cerimonie e proibiva d’invitare parenti, amici e conoscenti a partecipare alla solennità, offrendo per il disturbo uno scudo o un testone, o altra moneta. Nel 1516 un nuovo decreto « de celebratione missarum novarum » notando i gravi inconvenienti che portava seco la durata della funzione, l’eccessivo lusso delle signore e, quel che è peggio, la conseguente ammirazione che esso destava nei giovani, distolti in tal modo dalla dovuta reverenza alle sacre funzioni, proibiva la colletta in chiesa, (portando in giro un vassoio), ed ordinava che si ponessero in chiesa, dall’alba al tramonto, una o due cassette o bacili, affinchè chiunque « novum militem elemosina juvare voluerit, pecuniam eo conferat ». Nel 1518 poi si aboliva senz’altro la madrina, essendo troppe le « pompe e vanità » e le chiac-chere delle donne, quando accadeva loro di essere « madre tanto de messe nove, come in velatione de monice ». Il padrino pare fosse risparmiato e ciò risulta dal decreto del 1522 ed è confermato da quello del 1526 « de missis novis et velatione mo-nialium » il quale, riassumendo tutti i precedenti, ordinava che nessuno fosse padrino, fuorché il padre naturale o i parenti più prossimi e ingiungeva Jche non si offrissero ceri per la cerimonia, che le offerte dovessero raccogliersi nelle due cassette già menzionate, che non si facessero inviti e infine che non vi fossero più madrine. Ma neppure questo bando e quello del 1534 valsero a togliere usanze forse già LA SCHIAVITÙ 205 troppo inveterate (Statuto d. padri d. comune, passim). È bene tuttavia ricordare che, se in questa come in altre occasioni, il genovese ci teneva a far mostra della propria ricchezza, passati i giorni di gala, esso viveva con parsimonia e sobrietà: la sua mensa era semplice e frugale, le abitudini casalinghe e modeste. La famiglia faceva il pane in casa e lo mandava a cuocere dal fornaio, al quale pagava una somma annua pattuita « ad coquendum panem et alia » ; vigeva ancora Γ uso antichissimo di filare in casa lana o canapa e di tessere la biancheria domestica. I lavori più umili della casa erano affidati alle schiave, delle quali tratterò un poco largamente perchè nessuno ha finora parlato di proposito della loro condizione a Genova ed a me è stato possibile di farmene un concetto studiando una ricca serie di atti notarili raccolti dal benemerito socio Marcello Sta-glieno e donati alla Società. Si può dire che in Genova non vi fosse famiglia, anche di modesta condizione, che non avesse una e più spesso due schiave. La schiavitù non era stata abolita dal cristianesimo. Esso aveva imposta l’a-bolizione di codesto stato di servaggio fra i popoli cristiani, ma aveva lasciato un adito a continuarne il commercio, permettendo tacitamente che si facessero schiavi coloro che non seguivano la religione di Cristo. Genova e Venezia furono per tutto il medio evo centri di commerci di schiavi, che si traevano specialmente dalle rozze popolazioni della pianura sarmatica e dell’oriente: russi, circassi, tartari, zechi, bulgari, bosniaci, albanesi, armeni e 206 COSTUMI E USANZE mori, mori di color bianco (forse arabi) e mori delle Canarie erano le vittime prescelte. Talvolta anche fanciulle cristiane venivano rapite da corsari sulle coste della Grecia, della penisola Balcanica, dell'Italia stessa e vendute come schiave. Queste povere derelitte cercavano allora di farsi riconoscere come libere dall'ufficio dei sindicatori, affidando la loro causa a persone note che sostenessero le ragioni loro ed è per ciò che noi troviamo talora negli atti notarili accenni di rapimenti che potrebbero formare materia di una novella del Boccaccio o del Bandello. In uno di questi atti, certo Giovanni di Cattaro, dalmata, trova sua sorella schiava in Genova e protesta che essa è cristiana e libera ; in un altro leggonsi i testimoniali a favore di una Maria napoletana e cristiana, attirata su di una nave, portata via da Napoli e venduta a Genova; in un terzo atto i testimoniali a favore di Catterina greca di Negroponte e di là rapita, e così via!! Gli infelici che dovevano diventare schiavi erano presi in età assai tenera, fra i 15 e i 20 anni, per ricavarne più lauto guadagno ed anche perchè più facilmente si piegassero al nuovo stato e per la stessa ragione si preferivano le femmine ai maschi. Il prezzo di vendita crebbe mano mano col progredire dei tempi; cosicché da una media di lire 30 per capo durante il secolo XIV, si passò a lire 100, poi 200 e infine 300, verso lo scorcio del secolo XV e ciò fu dovuto alla difficoltà ognor crescente di esercitare l’ignobile traffico in quelle regioni che, soggette fino a mezzo del quattrocento alle Repubbliche marinare italiane, erano passate ora in potere dei Turchi, i quali impedivano la tratta dei popoli mus- LE SCHIAVE 207 sulmani e di quelli sotto il loro dominio. Si tentò è vero di farli giungere per via di terra, attraverso le regioni dell’Ungheria e dell’Austria, ma anche questa via apparve ugualmente difficile per la lunghezza e il disagio del tragitto per le maggiori e per le frequenti molestie recate da predoni. La compra-vendita degli schiavi si faceva sempre per atto notarile, che conteneva la nazionalità, il nome e l’età loro ; il maggior numero di tali atti riguarda la vendita di fanciulle presso i venti anni. Se si dichiarava che lo schiavo o la schiava erano venduti con tutti i visi e le magagne loro, il compratore non poteva rifiutarli dopo 1’ acquisto. Se invece erano dichiarati sani e senza magagne e l’acquirente si fosse poi accorto che la schiava soffrisse qualche malattia come ad esempio la lebbra, o il mal caduco, o non avesse i mestrui regolari o le puzzasse il naso, allora poteva chiedere la rescissione del contratto. Talvolta esse si prendevano a prova per qualche giorno col diritto di ritornarle, se non fossero simpatiche, vale a dire non si adattassero alla nuova schiavitù. Frequenti sono le vendite colla condizione che, dopo un certo tempo (sei, otto, dieci anni), la schiava fosse manomessa: s’intende che durante questo periodo, la schiava era assoluta proprietà del padrone e se il padrone moriva, era inventariata fra gli oggetti rimasti in eredità e passava agli eredi se ve n’erano, oppure era venduta all’incanto. Era lecito permutare schiave fra conoscenti, cederle come ipoteca per un debito, affittarle come balie (la durata è quasi sempre calcolata per tre anni) al prezzo di lire cinquanta o sessanta ; ma 208 COSTUMI E USANZE quello che più fa pena è il pensiero che queste sventurate erano soggette all’impura bramosia degli uomini. In questo caso, se non era il padrone, il contaminatore doveva pagare, secondo gli statuti, lire venticinque al proprietario, lire cinque per le spese di parto e prendersi il nascituro; se per avventura la puerpera morisse di parto, il compenso da darsi al padrone della schiava era assai forte, ma si poteva sfuggire alla severità della legge, venendo a patti con un atto notarile. Nella seconda metà del secolo XV troviamo uno di questi atti, nei quali il colpevole assicura la schiava per lire 250 ove essa morisse di parto; ma è sciolto da ogni obbligo se essa sopravvivesse al parto. Tranne questa parvenza di protezione, che non era certo dettata da un senso di pietà per le schiave, ma unicamente dal concetto di difendere la proprietà privata, la legge era sempre molto severa cogli schiavi. Se uno di essi avesse tentata la fuga, subito il Podestà emanava un proclama coi connotati del fuggiasco e con l’ordine di denuncia a chiunque lo ricettasse o sapesse notizie di lui : nè infrequenti erano le accuse contro schiave di aver tentato o perpetrato il veneficio contro qualcuno della famiglia. In tal caso esse erano poste alla tortura e, se negavano, i tormenti erano inacerbiti e continuati, sicché spesse volte erano costrette, innocenti o colpevoli, a confessare il delitto e, per di più, a dichiararsi streghe e infette di eresia ; allora le attendeva il terribile supplizio del fuoco, che forse com-pievasi non lungi dal luogo dove era stata commessa la colpa ; lo deduciamo dal fatto che le famiglie dei Lomellini, che avevano le loro case nei pressi di Ritratto di Andrea d’Oria eseguito negli ultimi anni di sua vita. 209 S. Agnese, ebbero a lagnarsi nel 1461 col governatore che si volesse bruciare una serva, accusata di veneficio in quella località « asserentes eam execu-tionem ad dedecus illius regionis palam pertinere : eorumque domos multo deterioris conditionis fieri si locus ille contra consuetudinem fiat spectaculum damnatorum » e consigliarono che coteste esecuzioni fossero fatte fuori della città; e forse si addivenne a questo, poiché nel 1492 una esecuzione « in Helenam servam Ambrosii de Grimaldis » fu compiuta « in campo ercorum ». Di essa abbiamo persino la somma delle spese : < Pro trabibus et furchis lire 1, soldi 16; prò mulo, fassinis et brischis computatis vecturis, L. 2., s. 8; prò una scalla s. 5; prò mercede executoris iustitie L. 3, in tutto lire sette e soldi nove. Frequenti pure erano le pubbliche fustigazioni che costavano lire una al governo, e frequentissime quelle che somministrava privatamente il padrone per ogni fallo commesso. Per tutte basterà questo referto giudiziario sulle misere condizioni in cui si trovò il corpo di una schiava impiccata in cucina : « acriter verberata.... undique et maxime super eius pudibunda a parte posteriori facta nigra propter percussiones ut carbones similiter et in tota persona ». Fatti che muovono a pietà; ma bisogna anche considerare che le schiave non erano, nè potevano essere fiori di virtù : la loro stessa abbietta condizione le induceva al malfare. Un proclama del 1486 « contra servos et servas, famulos et famulas ac figonos » ci insegna come non fosse raro il fatto che essi dessero alloggio o vitto ad 14 210 COSTUMI E USANZE altri, senza il permesso del « mesere o patrum », che vendessero abusivamente ortaglie e frutta, ed asportassero « coxa alcuna de caxa » ed anche scappassero con la refurtiva. E poiché il decreto accenna a tre ordini di servi, credo di poter affermare che per servo s'intendeva allora lo schiavo, assoluta proprietà del padrone, mentre il « famulus » (fante) corrispondeva all’ antico liberto ; il « figonus » (fìgun o famiglio) era il colono o il fattore di campagna. Del resto, a badar poi bene, la condizione i questi schiavi non era di assoluto abbrutimento e di assoluta miseria ; ciò è dimostrato indirettamente da alcuni proclami del governo : uno dei quali \ ìeta alle serve ed alle fantesche di ballare in cei ti lu0£ 1 della città e fuori, sotto pena di « perdere le io e de le quali tale serva o fantescha sarà vestita » e in caso di recidiva di ricevere < paté XXV » > recchi altri pubblicati in anni diversi (1504, o- , 1537) tentano di porre un freno al lusso delle oio vesti e d’impedire specialmente che esse usassero la seta e la fine tela di Fiandra nei loro abiti, o tanto l’ultimo proclama, quello del 1537, conce e'a un orletto di seta al collo ed alle mani e 1 uso c e a tela di Fiandra, per ornamento del capo ; erano ^ pure proibite le maniche larghe più di un palmo c 1 a io doveva essere senza strascico e distante da terra almeno tre dita. Anche per i calzari la Signoria impose nel 1 o che fossero soltanto di cuoio rosso o nero ; ma nel 152 si contentò che le schiave e le fantesche non li portassero di drappo, nè tagliati, o frapati; vietò invece sempre ogni oggetto d’oro o d’argento, salvo lo «stren- LA MANOMISSIONE 211 zicoro » o « clavacorio » coi suoi coltelli, l’agoraio, e la correggia, o il cordone per le chiavi; nè permise mai ricamo alcuno sugli abiti ed ornamenti sul capo. Nel 1504 proibì alle schiave di portare in testa « sepo-stuno alcuno in canestrello, jii etiam rete de septa o de filo ni de altra maniera salvo li sui cavelli, ni de dicti cavelli.... far canestrello > e dall’insieme del periodo si comprende che il « sepostuno » era probabilmente un ornamento fatto con capelli finti; forse i « bochoni » proibiti dalla legge del 1527 erano la stessa cosa, mentre gli « strigioni » vietati dieci anni dopo, dovevano essere, come già vedemmo, nastri di velluto o di drappo. Le multe per le trasgressioni erano sempre in denaro, che poteva mutarsi in patte, o frustate, che la grida del 1527 annunziava sarebbero date « sopra la scannata di S. Laurentio -. La triste condizione delle schiave era lenita dalla loro liberazione o manomissione, che spesso i padroni concedevano alle schiave, quando fossero giunte verso i quarantanni. In ciò non vi era nè legge nè consuetudine, ma il caso era frequente, come pure quello di manomettere la propria schiava fra i tren-tadiie e i trentacinque anni, col patto che servisse «bene et fideliter ancora per un certo tempo, altrimenti l’atto sarebbe rescisso; e codesta non era una vana minaccia, poiché troviamo atti notarili nei quali il padrone dichiara nulla la promessa della manomissione per la cattiva condotta della schiava. La libertà data alla schiava era sempre preceduta dalla dichiarazione del padrone di concederla « ad remedium anime sue > e spesso aggiungeva « per i buoni servigi resi ». Ma quando oli studi umanistici sono nel loro pieno splendore & 212 COSTUMI E USANZE e il concetto di libertà si presenta agli occhi della mente più chiaro e più equo, allora qualche atto notarile di manomissione incomincia con queste parole : « In nomine domini amen. Quia omnes homines liberi nascebantur, nec erat illis temporibus manumissio introducta, cum servitus esset incognita, et per illicitum ius gentium fuit servitus intio-ducta, ad quod ius gentium extinguendum extitit manumissionis beneficium adinventum, idcirco etc. > Era dunque un vero e proprio riconoscimento della ingiustizia dello stato servile. La manomissione poteva essere incondizionata e lasciare completamente libera la schiava, o contenere qualche clausola, quella specialmente di servire ancora per cinque, sette, nove anni, o quella di pagare al padrone una certa somma per un determinato tempo, di restare sotto il suo ju$ patronato, di essere femmina onesta, di maritarsi e di dare ogni anno due anfore « bone potionis ecc. Talvolta per ottenere la manomissione la schiava contraeva un debito e si obbligava con atto notali e a servire il creditore per un certo numeio d anni in compenso della somma versata. Più unica che rara è la causa per la quale il --marzo 1463 è posta in libertà una Margherita circassa, serva di Pietro da Vigevano « nebulari » ciò pasticciere: essendo stata miracolosamente guari a dalla beata Cattarina da Siena, la Signoria la |cl1^ ra manomessa affinchè possa servire di esempio a emendazione di molti. A che attendevano poi questi libertiQualcuno riusciva ad ottenere dal governo diesel citai e un aite minore, come quella del pollaiolo; i più, non tro PROVVEDIMENTI CITTADINI 213 vando altra via aperta, continuavano a servire: il nuovo padrone stringeva con loro un contratto per molti anni, di solito sette, con un salario, che qualche volta era dato in anticipo come somma pagata al padrone precedente per la manomissione, con la promessa di dare vitto, vestito, « calciamenta », non recare ingiuria e tenerli anche se ammalati. In questo modo procedeva la vita domestica in Genova, quando le sommosse, le carestie, i morbi non turbavano la solerte operosità commerciale de’ suoi abitanti. Le sommosse pur troppo frequenti per la violenza delle fazioni, conducevano quasi sempre al mutamento delle persone di governo, non già alla forma di esso, cosicché durante il Rinascimento la città fu sempre retta da un governatore o dal doge e dal consiglio degli anziani, ai quali facevano capo i varii uffici. Il polso della finanza era dato dal solido banco di S. Giorgio; quello del commercio dall’aiììuenza delle navi nel porto capace e sicuro. I reggitori curavano amorosamente che la città non soffrisse per inattese sciagure e, se la carestia batteva alle porte, si affrettavano a fare incetta di grano e ad invitare tutti i mercanti genovesi, sparsi per l’oriente e l’occidente, a spedire provviste alla madre patria. Se la città era minacciata dalla peste, il governo cercava di impedire l'ingresso in Genova a quelli che provenissero dai luoghi infetti; ordinava ai mendicanti di lasciare incontanente la città, chiudeva le scuole; proibiva balli, suoni, giuochi (1478); tentava di sfollarla invitando i cittadini a ritirarsi nelle loro ville, e, perchè il lutto di alcuni non gettasse lo sconforto negli altri, proibiva di portare « capuzi nigri, ne mantelli più tempo de 214 COSTUMI E USANZE jorni trei » e voleva che nessuno andasse « a corte de morto cossi in caza de lo morto come in acompagnarlo a la sepoltura excepto quelli chi fossero parenti cioè a chi specta de portà mantelli neigri o verdi per coniunction de parentao ». Oltre a tutte queste precauzioni la Signoria disciplinava l’opera dei medici e degli speziali; e se permetteva agli aromatari di tenere aperte le loro botteghe anche nei dì festivi, malgrado la legge del 1498 sul riposo festivo, era seArera nell esigere che le medicine fossero preparate con cura; nel vietare che si tenessero acque inutili e farmachi falsi, nel proibire che vi fossero rapporti d’intei esse tia farmacisti e medici, e moveva acerbi rimproveri a questi ultimi, perchè ricevevano doni, partecipavano agli utili e persino avevano dei salari da quelli. Per cotesti abusi la legge del 9 dicembie loll ricorse anche alla minaccia di espellere dallo stato e medici e aromatari; ma nelle ultime righe, forse in vista delle prossime feste, mitigò la sua severità, permettendo che una sola volta all anno^, nell oc casione della festa del Natale, i farmacisti tacessero ai medici un regalo del valore di cinque lire {Statuto dei padri del Comune;pagg. 142-164-176). Notiamo incidentalmente che siccome gli israeliti ave\^ano l’obbligo di portare un segno giallo sul petto, così ai medici ebrei era ingiunta questa non gì adita distinzione. Ma non sempre i medici e le medicine potevano strappare alla morte gli ammalati, quindi seguivano i funerali che si facevano icon largo accompagnamento di frati e di preti delle chiese e dei conventi vicini alla casa del defunto, con croci seguite da due ceri e da gran numero di torcie. 215 Così ha termine il nostro studio su questa città che degnamente è detta superba. Il suo stendardo bianco, colla rossa croce delle crociate, non sventolava ormai più sulle torri delle sue cento colonie dell’ O-riente. Il Santo dei cavalieri e il cavaliere dei Santi, il bel San Giorgio, vessillifero dei Genovesi, non schiacciava più Γ idra dell’ eresia e del fanatismo mussulmano, chè anzi il drago si era rivoltato contro il suo cristiano nemico. Genova scorgeva su lontani mari bianche vele non sue, non uscite dal suo porto, dirette verso quelle Indie che per secoli avevano, sia pure indirettamente, dovuto dipendere da essa; vedeva i grossi galeoni spagnuoli traversare l’oceano pauroso e ritrarre ricchezze inaudite dalle terre scoperte da uno de’ suoi figli; il destino apriva ad altri popoli le vie per il grande commercio. Genova non cadde, decadde; eppure nel momento più grave della sua esistenza, trovò essa finalmente la pace che non era mai allignata fra le sue mura. Sotto la mano salda e forte di un principe marinaio, essa trovò l’indipendenza e un savio ordinamento. Il 1528, 1 anno memorabile « recuperatae libertatis » segna l’inizio di un’epoca nuova per la Repubblica, forse meno gloriosa, ma anche meno agitata da passioni e da pericoli per essa. Tabernacolo di S. Ferrando. Scultura del sec. XV. Teramo de Danieli - Cassa di S. Giovanni Battista. Tesoro della Cattedrale di Genova. ■ . - ■ . DOCUMENTI Tutti i documenti qui pubblicati appartengono all’Archivio di Stato di Genova. I. ATTI DEL NOTARO CRISTOFORO DE RAPALLO Filza 6 — N. 97. 1451 — 23 Aprile. Inventario dei beni del q. Gerolamo de Ricobono ed estimo dei mobili fatto da Nicolò Burgario <( revenditorem raubarum ». Et primo torcular unum pro libris duabus et soldos decem sive L. II S. X Item strapontam unam . . IIII --- Item culcerem unam cum suo cossino . XVI --- Item culcerem unam albam cum undis . VIII --- Item culderem unam de bastis largis VII --- Item coprilectum imum vermilium . mi --- Item oreierios duos .... --- XVIII Item pecios quinque cortinarum vim --- Item bancale unum tarsiatum 11 X Item sacos duos de lana c!um una boiha --- XV Item oreieros tres tape(sa)rie novos 1 V Item bancheram unam .... I --- Item ciulcerem unam a balneo III --- 220 DOCUMENTI Item cultrem unam bocassini albi . Item cultrem alliam bocassini albi . Item strapontam unam cum suo cossino prò sciavi .... Item lentiamina septem pro masnata Item bancale unum Item sospeale unum Item stagnetum unum Item velatam nnam a balneo . Item lentiamina septem a masnata Item lentiamina sex magna Item toagias sex cum sex goardamapis Item toiaiolos octo de parmis VIIII prò quolibet ...... Item toaiolos duos talles qualles . Item toaioletos sex parvos . Item toagiam unam cotoni parin. XVIII Item toagias duas cum IIII goardamapis Item maiestatem unam . Item ensem unum . Item payrolium unum magnum Item jarram unam pro oleo . Item carratellos duos prò vino Item gonam unam tinctam nigram pro domina ...... Item coprilectum unum vermilium cum bordaturis . Item gonam unam panni miscli prò domiina . . . , f Item iorneam unam fustanei prò domina Item bialdum unum de subtus Item goneletam unam .... Item copertorium unum burdi de alexan- dria...... Item terlicium unum . _ . Item par unum moforarum veluti clemesi Item bancale unum intarsiatum Item discum unum cum suis tripodibus . L, XVIII XIIII V VII I IIII III Vili XXVI XXIIII V I I III II II V II II mi II XV Vill- ini vini XIII II IIII I I DOCUMENTO I 221 Item alliud discum pro masnata cum tripodibus et una banca Item catredam unam et scamelinum unum Item alliam ciatredam in/tarsiatam . Item lentiamina duo magna Item toaietas duas prò masnata . Item canas viginti sex in circa telle nove Item sonias octo pro oreieriis . Item culcerem unam piume . Item oreierios corei a η. VI . Item torcular unum Item bancale imum tarsiatum . Item bancam unam .... Item tapetum unum Item cofanum unum talle qualle . Item catredam unam Item tanonum unum Item concam unam pro libris duabus in solario ..... Item payroretum unum . Item rexentarium unum et stagnonum u num..... Item ramayrolium .... Item brandalia dua cum una catena Item siculam unam q'um sua captia Item mortale unum cum suo pistelo Item meyzeram unam . Item patelam unam cum suis grapis Item taierios duodecim ligni talles . Item grayxelam unam . Item libras LV in circa stagni in pondere Item candelerios de damasco a η. VI Item candelerium unum bronzi . Item bacile de damascha talle quale . Item bacile unum a balneo cum stagnaria Item sachos tres a mina . Item gindala duo .... Item boydas duas .... L, VIII XV I XIIII IIII II II II II I I VIIII III V II II S. XII XII VI X VI X VIII X XII XII X X XV XII VIII VIII X X IIII III X X III VIII III X 222 DOCUMENTI Item torcular unum .... Item cultelos duos ..... Item cannam unam telle subtilis in circa Item libras XX in circa filli in pondere Item coclearia sex argenti bona . Item coclearia duo .argenti vetera . Item sararolum speciayrolium taciam u-nani ponderatis in summa lib. 21/2 in circa ...... Item rebinum unum ligatum in auro, ia-cintum unum, rebinum, colane, verge-tas duas, anulum rotondum, sigilum, camiolum et sanctum christoferum valuta in summa..... Item brustiam unam pro pentenare linum Item corrigia duo cum sprangis argenti et colaneta una rupta auri valuta in summa...... Item sclavam unam etatis annorum XXIIII in circa tartaram, vocatam martam. Item loca decem et libras decem compe-rarum S. Georgii scripta super Bap-testinam filliam q. Raffaelis de Cas-sina in cartulario M. ad lib. LV. s. X. pro loco cum paga maii anni de MCCCCL et allii sequentis valuta Item allium scaperronum unius loci de tu-nexi videlicet lib. XVIII pro XVII et d. decem septem, super dictum q. Jeronimum ad racionem de lib. LVI pro loco cum paga maii . L. I S. X — VIII _ XIIII VII - IIII — LII V XII — CL — DLX X11 X DOCUMENTO II 223 II. ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA Filza 20 — N. 358. 1451 — 2 Luglio. Inventario dei beni del qm. Tomaso Italiano posti nella sua casa « in contrada nobilium de Itallianis ». Primo in mediano dicte domus, coffana duo deaurata. Item capsia una magna. Item capsia tria magna. Item banchallia duo intarsiata circa lectum. Item maiestas una sanctorum. Item cortina una circa lecttum telle cellestris. Item torcullar unum. Item cultris una plumarum cum una strappunta, par unum linteaminum et cultris una alba de bastis largis et cossinum unum plumarum supra dicto torcullare seu lecto. Item dischum unum cum suis tripodibus. Item copertoria quatuor biurdi. Item aliud copertorium burdi talle qualle. Item biancherie quatuor. Item tapeta tria colloris viridis. Item aliud tappetum magnum. Item gonelleta una panni vermillii foderata penna alba prò dieta Argentina uxore dicti q. Thome. Item gonellete due panni vermillii foderate penna alba prò usu et dolso Batestine filie dicti qm. Thome. Item gonelleta una panni vermillii et gonelleta una panni viridis foderata penna viridis pro dolso et usu Peyrete filie qm. Thome. 224 DOCUMENTI Item gonelleta una panni viridis foderata penna alba pro dolso et uso Sal vagine filie dicti q. Thome. Item gonellete due parve foderate penna alba pro usu et dolso Ieronimini et Ioannis Gregorii filiorum dicti qm. Thome. Item cane tres et parmi tres panni scharlate albe de Londone. Item cane tres et parmi tres panni rosee de Londone. Item ucha una panni gamelini. Item par unum cortinarum colloris viridis cum suo cello viride saye. Item paria duo cortinarum cum suis cellis colloris vermillii. Item claronum unum listatum cum certis laboreriis. Item dultris una dimitti vermillii laborata ad rapiollos. Item alia cultris dimitti jalni. Item alia cultris septe pro balneo parva. Item in alio mediano dicte domus torcullar unum. Item culceris una plumarum. Item straponte tres. Item bancallia duo intarsiata circa dictum torcullar. Item bancha una intarsiata. Item cossinum unum plumarum. Item maiestas una sanctorum. Item in caminata dicte domus dischum unum magnum cum suis trespodibus. Item ialiud dischum magnum cum suis trespodibus. Item dischum unum parvum cum suis trespodibus. Item schabella quinque ligni. Item catreda una magna ligni pro homine. Item catrede due pro domina. Item bacille unum cum sua stagnaria latoni. Ttem stagnonum unum rami pro aqua. Item oregerii seu seti sex tapeti viridis. Item oregerii seu seti quinque colloris vermillii, et seti duodecim corei vermillii. Item corium unum magnum. Item tapeta duo vermillia tallia quallia. Item gona ima panni roze seche pro homine foderata in parte dolsorum et in parte......... DOCUMENTO II 225 Item alia gona panni rozee pro homine pro dicto qm. Thoma foderata ventrarum. Item gona panni ineschi pro usu dicti qm. Thome foderata dolsorum. Item alia gona panni ineschi prò usu dicti qm. Thome foderata ventrarum. Item alia gona panni rosee prò usu dicti qm. Thome foderata marturorum. Item alia gona panni meschi prò usu dicti qm. Thome foderata martirorum. Ttem alia gona panni brinioni prò usu dicti q. Thome et foderata mlarturorum. Item foderature due penne vulpium pro homine. Item alia foderatura penne serveriorum. Item gorua una panni colloris lanezii de londone prò Batestina filia diati qm. Thome. Item alia gona panni scarlate de londone prò dolso diete Argentine uxoris dicti qm. Thome, cum manicis strictis. Item gona una clameloti albi acamocati cum manicis largis pro usu dicte Argentine. Item alia gona clameloti albi camocati cum manicis strictis pro dolso diete Argentine tallis quallis. Item gona una panni scharlate albe tallis qualis pro usu dicte Argentine. Item jornea una camocati albi prò usu Baptestine filie dicti qm. Thome. Item jornea una velluti nigri prò usu diete Baptestine. Item gona una panni rose seche tallis quallis prò usu diete Baptestine. Item alia gona panni meschi de Janua prò usu diete Baptestine. Item jornea una panni roze seche prò usu Peyrete filie dicti q. Thome. Item gona una veluti nigri cum manicis strictis pro usu Peyrete filie dicti q. Thome. Item goneta una panni vermillii tallis qualis pro usu Salvagine filie dicti q. Thome. Item gona una panni rosee foderata cendato vermillio cum manicis largis pro usu dicti q. Thome. 226 DOCUMENTI Item alia gona panni brinione cum manicis strictis foderata cen-dato vermillio pro usu dicti q. Thome. Item caputei duo panni rozee pro usu diati q. Thome. Item muihie due grave et una brunete panni pro usu dicti q. Thome. Item muihete tres parve panni vermillii pro filiis dicti q. Thome. Item in quadam alia camera iuxta dictam caminatlam. Primo banchallia duo intarsiata. Item coffana duo tallia quallia. Item capsia una a scriptis. Item capsieta una pro domina tallis quallis. Item torcullar unum cum sua bancha intarsiata circumcirca dictum torcullar, clavata. Item culceria una plumarum cum duabus strapontis. Item cultris una alba de bastis largis. Item cossinum unum plumarum. Item auricullaria duo plumarum. Item maiestas una sanctorum. Item in quadam redamera torcullar unum. Item straponta una. Item cossinum unum et oricullaria duo plumarum. Item banchallettum unum parvum. Item cultris una de bastis largis parva. In quadam camera superiori primo torcullar unum. Item banchalle unum intarsiatum unius clavature circa dictum torcullar. Item aliud banchalle intarsiatum duarum clavaturarum, talle qualle. Item aliud banchalle talle quale. Item coffana tria, tallia quallia. Item culceris una plumarum. Item maiestas una sanctorum. Item tanoni duo ferri. Item cultres due albe de bastis largis. DOCUMENTO II 227 Item in quad'am alia oamereta torcullar unum cum sua straponta. Item culcereta una plumarum parva tallis quallis. Item oultris una alba de bastis largis tallis quallis. Item par unum lenteaminum telle stupe pro dicto torcullare. Item banchalle unum talle qualle circa dictum torcullar. Item in quadam alia camera superiori. Primo torcullar unum. Item cultris una plumarum. Item straponta una. Item moschetum unum. Item banchallia duo tallia quallia dirca dictum torcullar. Item paria novem lentiaminum telle nigre de tellis quinque pro quolibet. Item paria novem lentiaminum de tellis quatuor pro quolibet telle stupe. Item toagie tresdecim cum goardamapis undecim. Item toagie decem talles qualles. Item toagiolli decem et octo. Item bacille unum argenti. Item stagnaria quatuor argenti. Item confecterie tres argenti. Item sarayroij sex argenti. Item spuaiarotus unus argenti. Item tacie due argenti. Item coclearia viginti quinque argenti. Item strugonus unus veduti cremexi iuntatus et goamitus di-verssis perlis diverssarum manerierum et sortium pro usu Batestine filie dicti q. Thome. Item collana una perlarum prò usu diete Baptestine. Item gregetum unum perlarum prò usu diete Batestine prò collario. Item gregeti due perlarum prò manicellis, prò usu diete Batestine. Item certe perle in una cayneta prò usu Peyrete filie dicti qm. Thome et que cayneta non est de bonis dicti q. Thome. Item certe alie pauce perle laborate et posite in vellis pro capite dicte Peyrete. 228 Item quodam fermagium cum suo ballassio et perlis sex. Item aliud fermagium cum suo ballassio et perlis sex talle quaile. Item in cochina — primo payrolii quatuor rami. Item lebetes quator petre. lem conche due rami. Item rexentarium unum rami. Item jarre tres terre. Item praterii sex magni cum suis coperchiis. Item duodene IIII, tageriorum et tagerii decem. Item graretorum duodene tres. Item sananeriorum duodene due. Item pratalleti a n. VII. ni. ATTI DEL NOTARO GUIRARDO DE BERVEJ. Filza 2 — N. 139. 1456 — 3 Aprile. * Inventario di oggetti consegnati da Luca Giovanni e Galeotto Saivaghi figli del qm. Matteo anche a nome del loro fratello Gerolamo alla madre loro Eliam. Coffanus unus deauratus vetus. Bancale unum a lecto intertaiatum. Savaverii de stagno novi laborati in anglia n. quinque. Grareti de stagno novi laborati in anglia n. quatuor. Platine de stagno nove laborate in anglia n. due omnes libre XVIII. Platine de stagno a n. due laborate in Januia, videlicet una nova alia vegia ponderis librarum quinque ut supra II. Candelabra de latono nova n. duo. Calderonum unum de ramo magnum. DOCUMENTO III 229 Lavezium unum de petra. Patella una de ramo integra. Lucerna una de ferro. Catena una ferri prò lavezio. Badile unum damaschi prò lavando manus laboratum in auro et argento. Bacille unum latoni parvum vegium. Toalie lini nove due. Toalia una lini magna vegia. Guardamapi lini novi magni n. tres. Meisera una prò pane de ligno. Catedra una ligni cum cordis erbarum nova. Catedra una Ugni intertagiata. Ciacium unum septe pro bugatando farinam. Ciacium unum prò bugatando farinam vegium. Cavagnum unum cum coperchio magnum. Capsetina una prò domina. Cui cera una piume faceti cum entema quasi nova. Cossinum unum piume faceti cum entema quasi nova. Cossinum unum piume vegium. Oregierii piume a n. duo. Strapunta una lane magna quasi nova. Sonie lini pro oregieriis a n. octo. Meisarum unum blavum damaschi novum recamatum septe. Linteamina paria tria de quinque telis singulo linteamine. Linteamen unum novum de telis quatuor. Cultera una Bocassini albi laborata a pomeletis. Copertorium unum burdi alexandrie. Copriletum unum sargie viridis scure cum arma salvaiga septe. Copri perticha unum bocasini damaschi pictum. Cortine due sive camera una telle Frandre nigra. Jarre due, videlicet una magna et alia parva. Captia una rami integra. Coclearia duo argenti nova de tali (marca?) (di fianco vi è la sigla IS). Carratelli duo a vino de metreta una pro singulo. Toalia una vetus pro masnata. Candelabrum unum latoni vetus. Discus cum tripodibus. 230 DOCUMENTI IV. ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA Filza 2i — N. 20. 1456 — 8 Maggio. Inventario de’ beni del q. Benedetto de Vivaldi trovati nella sua casa (( in contrata ortorum de bancis )), Et primo in caminata dicte domus discum unum magnum cum suis tripodibus. Item aliud discum cum suis tripodibus pro familia. Item catreda ima ligni. Item arabicum unum rami et plombei. Item pecii duo ferri pro camino. Item catrede due parve pro domina. Item scamelini duo ligni. · Item banche duo ligni. Item bancalle unum intarsiatum unius clavature. Item capsieta una pro domina. In mediano dicte domus. Primo straponta una usata. Item torcular unum. Item ciapsia una ligni pro farina. Item capsia una vetera in qua sunt certe scripture. Item capsieta una parva pro uno libro cum certis scripturis. Item una alia capsieta parva similis manere. Item vegetes due. Item bancalle unum duarum clavaturarum circa dictum torcular. DOCUMENTO IV 231 Item quodam armarium ligni cum una coyratia coperto fustaneo nigro. Item par unum arnixiorum asarii. Item par unum brachialium asarii. Item par unum subtalariorum ferri. Item bacineri i duo et una celiata. Item caipuaerie due ligni. Item straponta una alia. Item maiestas una sanctorum. Item testoria seu brilla una pro mulla. Item tabulla una seu mensa rotunda. Item in stalla per quam itur in cameram, discus unus magnus ligni, et duo dischi parvi. In camera magna. Primo torcular unum magnum. Item bancalia duo intarsiata circa dictum torcular. Item straponte due. Item culqidra una plumarum. Item cossini duo plumarum. Item auricularia duo plumarum. Item par unum lintiaminum telle lini de telis quinque pro quolibet. Item claronum unum tapexarie circa lectum talle qualle. Item capuceria una ligni. Item auricularia duo pro lecto depicta. Item maiestas una sanctorum. Item capsia una magna ligni. Item diplois una cremexi pro homine. Item gona una clameloti foderata ventrarum variorum pro homine tallis quallis. Item gona una panni Rosee foderata penna martirorum et vulpium pro homine. Item gona una panni paonacii pro homine foderata gullarum martirorum. Item gona una panni Rosee pro homine foderata gambarum luporum serveriorum. 232 Item ucha una seu clamis una cum dimidiia panni Rose siche cum profilis ermerinorum. Item uclha una clameloti foderata bocasino nigro tallis quallis. Item ucha una panni viridis cum profilis ventrarum. Item clamis una cum dimidio camocati cremexi foderata ventrarum et dolsorum. Item gona una veluti cremexi foderata martirorum. Item gona una panni nigri dupla pro homine. Item gona una panni Rosee pro homine foderata martirorum talis qualis. Item gona una panni mischi ciari foderata penna vulpium. Item alia gona panni mischi clari pro homine foderata in parte penna vulpium parte penna martirorum et in parte penna luporum serveriorum. Item gona una veluti cremexi prò domina foderata cotonina. Item gona una panni Rosee prò domina. Item gona una panni persegorii prò domina. Item gona una panni Roani prò domina. Item gona una camocati albi prò domina talis qualis. Item gona una bialdi prò domina. Item upa una pro dominia avelutati cremexi. Item coffana duo deaurata magna. Item bancalle unum intarsiatum duarum clavaturarum. Item capsie tres magne a scriptis. Item capsieta una et coffanetum unum deauratum. Item toagie subtilles quinque. Item guardamapi septem subtilles. Item toagie duodecim pro usu et alie toagie duodecim pro a milia. Item toagie duo maiores pro usu. Item paria quinque linitiaminum telle lini de tellis quinque pro quolibet. Item par unum lintiaminum pro balneo. Item paria quinque lintiaminum telle stuppe pro familia. Item cultris una alba subtillis, et cultris una vergati. Item camera una telle subtillis cum suo frixio auri. Item vellata una pro balneo cum suis frixiis auri. Item pecia media clameloti coglei torticii. DOCUMENTO IV 233 Item pecia una atabi turchini. Item pecia una camocati yechini. Item scaparonum unum cendati cellestri. Item maiestas una parva argentea. Item boiolum unum argentatum pro acqua benedicta. Item resta una cristallorum. Item resta una calcedoniarum. Item fermagium unum cum suo ballasio et perlis sex. Item aliud fermagium parvum tale quale oum perlis nacharis. cum uno balasieto parvo tale quale. Item gregetum unum perlarum que sunt in numero centum quadraginta septem. Item gregetum unum parvum talle qualle perlarum minutarum que sunt numero ducentum una. Item strigionum unum veluti cremexi bordatum perlarum diversarum sortium. Item stradetum unum corei parvum. Item goardamapi quatuordecim toaioli duodecim et toaioreti vigiliti quatuor. In camera superiori. Primo torcular unum. Item bancalia duo intarsiata, circa dictum torcular. Item straponte due. Item cucidra una plumarum cum uno cossino plumarum. Item auricularia duo plumarum. Item cultris una alba de bastis largis. Item cultris una parva alaye pro balneo. Item boida una circa lectum. Item culcidra una cum uno cossino plumarum. Item sospitallia duo magna talia qualia. Item' coffanum unum deauratum talle qualle. Item coffanum ferratum talle qualle. Item bancaretum unum. Item cultris una subtilis alba laborata ad pomeletos. Item cultres due albe de bastis largis. Item lentiamina duo panni albiy 16 234 documenti Item cultris una camocati aipigiolati cum spondis cendati viridis. Item cultreta una pro balneo camocati de tribus soldis. Item cultris una cremexi. Item camera una cendati diversorum collorum. Item par unum lentiaminum lini de telis quatuor. Item seti seu oregerii duodecim corei cum arma Vivalda et Grimal da:. Item lectum unum corei duplum et vacuum. Item setum unum corei. Item gonellete sex panni vermilii talles qualles, foderate penna alba pro usu filiarum dicti qm. Benedicti. Item upe due camocati cremexi tales quales pro usu filiarum dicti q. Benedicti. Item gone due panni vermilii pro usu duarum filiarum supradi-ctarum. Item gona una panni Rosee talis qualis pro usu unius ex dictis filiabus. Item upa una bocasini alba, et bialdum unum pro usu Constande uxoris dicti qm. Benedicti. Item cultris una alba de bastis largis tallis qualis. Item gonellete due panni vermelii foderate penna alba pro usu dicte Constande. Item Iomea certi fustanei pro usu dictarum filiarum dicti qm. Benedicti. Item concha una damaschina. In alia camera. Primo torcular unum cum duabus strapontis talis qualis. Item cultris una subtilis alba talis qualis. Item copertorium unum diversorum colorum. Item auricularia duo camocati cremexi cum suis poris. Item oricular unum plumarum. Item cossinum unum plumarum. Item tapeta quinque. Item coprilectum unum tapexarie veteris talle qualle. Item bancheria vetera sex tallia quallia. Item tapeta una. DOCUMENTO IV 235 Item culcereta una parva plumarum pro balneo. Item savastina una piloxa. Item tella una depicta loeho claroni. Item claronum imum magnum veterem et una valixia corei tallis quallis. Item claronum unum sargie vermilie foderatum canavacio talle quale. Item cultris una subtilis alba laborata a pomeletis. Item coprilecta duo de dobleto. Item cultris una alba laborata ad raviollos. Item tapetum unum magnum veterem talle qualle. Item pavexii seu falde decem. Item sospitalia duo magna. Item capsia una magna. Item alia capsia pro raubis cum uno coffano. Item bancalia tria et capsieta una. Item boyda una circa lectum. In quadam dispensa. Primo testum unum ferri pro tortis. Item bacille unum rotundum latoni. Item concha una Rami. Item lebes unus bronzi. In cochina. Primo Payrolium unum rami magnum. Item payrolia duo parva rami. Item aste due ferri. Item Ramairolii duo rami, videlicet unus magnus et unus parvus. Item catene due ferri pro cochina. Item brandalia duo ferri et capsie due rami. Item lebetes tres petre. Item mortalia duo cum suo pestello, et gratayrolia una. Item meisera seu mastra una. Item ceacii duo. Item incizoria vigiliti quatuor ligni. Item sanaverii viginti quatuor stagni, glareti duodecim, prati 236 DOCUMENTI decem et octo pro insalata, prati IIII pro carnibus et qua-dreti duodecim stagni. Item bacille unum latoni. Item boyda una et una alia pilosa tallis quallis. In penu seu caneva. Primo veges una et carateli tres. Item jarra una pro farina. Item jarra una pro oleo. Item veges una pro farina. Item carratelum unum pro aceto. Item in predicta camera in quadam caipsia, videlicet: Bacille unum argenti cum arma Vivalda et Grimalda. Item stagnaria una magna argenti. Item confecteria una argenti. Item stagnarie quinque argenti cum armis predictis. Item tacie sex cum suo pede. Item sarayrolii tres argenti et unum aliud sarayrolium veterem. Item' speciarolum unum argenti. Item cupa una argenti deaurati. Item alia cupa argenti deaurati coperta. Item coclearia sexdecim argenti. Item barcha una nachare. Item candellabra quindecim damaschina. Item candellabra octo bronzi. Item zanchayrolium unum rami pro lecto. Item ramayrolium unum magnum pro aqua rosa. Item sclave due. quarum una vocatur Maria et alia vocatur Lucia. Item domus una posita lanue in contrada ortorum de bancis, in qua habitat familia dicti qm. Benedicti de Vivaldis, cum dicta Constanda eius uxore. Item due tercie domus cuiusdam alterius domus contigua domui predi cte. documento V 237 Item quedam alia domus posita Janue in carrubeo recto pro contra domum predictam. Item terra cum domo supraposita, sita in villa Marasii. Item sigillum unum aureum. Item anulli duo adamanteti. Item smeraldum unum in uno anullo auri. Item petra una serpentina in uno anullo auri. Item rebinetum unum in uno anullo auri. Item corigium unum argenti prò usti dicti qm. Benedicti. Item cayneta una argenti et deaurati. V. ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA. Filza 2i — N. 102. 1456 — 24 Luglio. Inventario de’ beni della qm. Luchina vedova di Giacomo di Negro nella sua casa posta « in carrubeo de Nigro de ban-■ cis )). In caminata. Primo dischum unum cum suis tripodibus talle quale. Item dischetum unum parvum cum suis tripodibus pro familia talle qualle. Item catrede due pro domina talles quales. Item scamelini duo ligni. Item catreda una pro homine. Item bancalle unum intarsiatum duarum clavaturarum. Item aliud bancalle intarsiatum unius clavature. 238 Item stagnonum unum rami prò aqua. Item bacille unum rotondum latoni prò barberio. Item aliud bacille latoni prò lavando manus. Item rexentarium unum rami. Item gindari duo cum suis trapis ferri. Item cantaretum unum parvum. Item subbanca unum ligni. Item paria duo lintiaminum de tellis quinque lini, quorum sunt lintiamina tria nova et unum talle qualle. Item lintiamen unum de tellis IIII. lini talle qualle. Item par unum lintiaminum pro balneo. Item paria duo lintiaminum telle stuppe pro familia de tellis tribus quorum lintiaminum sunt tria nova, et aliud talle et qualle. Item toagie sex nove. Item goardamapi tres novi. Item toaiolli sex novi pro manibus. Item alii toaioli tres talles qualles pro manibus. Item toajoli parvi quinque. Item sonie quinque bone lini et una sonia tallis qualis. Item gonella una panni clarixie albi prò usu diete q. Luchine. Item gonelleta una panni vermilii foderata penna alba prò usu diete q. Luchine. Item gone due panni nigri prò usu diete qm. Luchine. Item alia gona panni gameloti scuri etiam prò usu suo. Item upa una bocasini ponta etiam prò suo usu. Item gona una bialdi etiam prò usu diete qm. Luchine. In camera supra caminatam. Primo torcular unum. Item culceris una plumarum. Item straponte due. Item cossinum unum magnum plumarum. Item auricularia sex plumarum. Item pecium unum claroni telle cellestie circa lectum cum armis Lerchariorum talle qualle. DOCUMENTO V 239 Item bancalle unum circa lectum unius clavature. Item aliud bancalle unius clavature. Item coffanum unum deauratum. Item alia coffana duo tallia qualia. Item capsieta una parva tallis qualis. Item tapetum unum talle quale ruptum. Item coprilectum unum vermilium talle quale. Item majestas una tallis qualis cum sua toaiolla talis qualis. Item alia cultrix alba subtilis tallis quallis. Item giberia una corei cum armis de Nigro. Item cultrix una alba de bastis largis talis qualis. Item alia cultrix alba subtilis talis qualis. Item candellabra sex magna latoni. Item candellabra duo parva latoni. Item taierii undecim stagni. Item glareti undecim stagni novi. Item glareti IIII. stagni veteres. Item sanaveii novem stagni. Item quadreti tres stagni. Item coclearia tria argenti. Item liber unus Donati et liber unus notularum tallis qualis. Item liber unus in carta edina scripti vocatus Florinus tallis quallis. Ttem in quidam alius liber scriptus in carta tallis quallis. Item incizoria sex ligni. In cochina. Calderonum unum parvum rami. Item lebes unus petre parvus. Item brandalia tria ferri. Item ramayrolium unum rami. Item payrolium unum rami magnum. Item payrolium aliud parvum rami. Item calderonum unum rami. Item calderonum unum rami cum sua tromba pro balneo. 240 DOCUMENTI Item concha una rami. Item bacille unum seu testum rami. Item grixella una ferri. Item graitayrolia una ferri. Item paella una pro piscibus cum sua patina. Item paella una pro castaneis. Item catena una ferri. Item luxerna una. Item spetum unum ferri. Item mortali e unum cum suo pistello. Item tortarie tres ligni. Item gladii duo pro mensa cum sua vagina. Item alii gladii duo pro cochina. In camera superiori. Boyda una parva schacata pro camera. Item alia boida pro caminata. Item co ft anum unum ferratum. Item bancalle unum unius clavature. Item torcular unum. Item straponte due talles qualles. Item cossini duo plumarum parvi. Item cultrix una cellestris bordata. Item culcidra una parva plumarum pro balneo. Item oopertorium unum burdi pro balneo. Item mastra una pro panificando. Item ceacii duo. Item bancalle unum sine clavatura talle qualle. Item sclavina una. Item vesta unius straponte. Item cossinetum unum piume parvum pro balneo. Item lebes unus petre. Item quarta ùna ligni pro mensurando. Item alius liber vocabullorum in carta scriptus. Item sicula una ligni pro aqua cum sua capsia rami. DOCUMENTO VI 241 In mediano. Culcidia una plumarum. Jtcm straponta una. It^ni cultrix una subtilis alba tallis qualis. Item pecii duo cortine vermilie talles quales. Item coprilectum unum lane schachatum prò badneo talle qualle. Item bancheria una. Item bancaretum unum duarum elavatur arum. Item bancheta una perforata. In penu. Carratelkun unum metretarum trium· Item carratellum unum metrete unius. Item aliud carratellum unius metrete. Item aliud carratellum metretarum duarum Item barrille unum prò vino. Item jarra una prò farina, una pro oleo et una prò aceto. VI. ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA Filza 2i. — N. 58. 1456 — 22 Ottobre. Inventario de’ beni del q. Aimone Pinelli esistenti nella sua casa in contrada S. Pancrazio, ove or abita la vedova di lui Brigida e la famiglia. Item primo domus una posita Ianue in contrata Sancti Brancatii. In caminata Bancarij de longo in longum propinqui lateris dicte domus. 242 DOCUMENTI Item tabule due cum suis tripodibus. Item sciamelini duo. Item catedre quinque inter magnas et parvas. Item bancaete quatuor. Item rezentarium unum. Item bacille unum cum sua stagnaria. Item candellabrum unum magnum. Item stagnonum unum pro aequa. Item boydes inter magnas et parvas numero quatuor. Item bancarium unum et banca una veteres in curreto. Item par unum tripodum talle qualle. Item tabula una vetera. In cochina. Item lebetes duo magne. Item lebetes duo parve. Item catie due ferri. Item sigiole due lignaminis. Item pairolia duo magna. Item pairolium imum parvum. Item bacillia tria rotonda. Item patella una piscium. Item piateli a duo magna pro carne stagni. Item brandallia tria ferri. Item ferra duo pro camino. Item catene due pro lebetibus. Item una duodena tagiorum stagni. Item duodena una senaveriorum stagni. Item duodena una graretorum stagni. Item duodena dimidia quadretorum stagni. Item bancarium unum veterem. Item mastra una cum suis seatiis et crivelibus. Item jhara una pro lesita. Item concharum una rami altera latoni. Item duodena una candelabrorum. Item scalla una ligni. documento vi 243 In mediano. Item cofana duo intarsiata. Item bancalia duo. Item banche due. Item capsia una vestium. Item capuseria una/. Item aatndellebrum unum magnum. Item capsieta una prò domina. Item cofanetum unum prò domina. Item torcular unum. Item straponte due. Item cultris una magna cum duabus culcitris parvis. Item cosini duo. Item oregierii decem plumarum. Item oregierii duo plumarum. Item magiestas una sanctorum. Item jharre quatuor vacue de Valentia. Item boiolo unum aque benedicte. In penu. Item vegetes tres magne. Item caratelli tres. Item jharre terre. In camera magna super caminatam. Item torcular unum. Item bancalia duo. Item banca una. Item co fama duo vi rida. Item tabula una rotunda. Item tabula una longa cum suis scagnetis. Item straponte due. Item cultris una plumarum. 244 Item cossinum unum plumarum. Item celum unum cum suis cortinis album. Item capsia una de scriptis. Item bacille unum argenti. Item tacie sex argenti. Item confedera una argenti. Item sarayrolia quatuor inter magna et parva. Item duodena una coclearium argenti. Item speciayrolia duo argenti. Item cietum unum argenti pro medicinis. Item una alia duodena cocleariorum argenti. In allia camera. Item torcular unum. Item bancalia quatuor inter magnai et parva. Item banche due. Item cofanum unum ligni. Item capsia una. Item straponte due parve. Item copertorius unus prò famullo. In camera sclavarum. Item torcular unum. Item bandalia duo. Item banca tuia. Item straponta una. Item cultris una tallis quallis. Item cossini duo talles qualles. Item oregiariorum duodena una de marica corey. Item allia duodena oregiariorum de tapesana. Item scagnum unum ligni. In allia ,camera. Item torcular unum parvum cium uno scagno parvo. Item boyde due talles qualles. DOCUMENTO IV 245 Item cultris una telle cum bastis largis. Item alia cultris duarum bastium alba. Item due culteres parve, una quarum v. bastium largarum et altera duarum. Item cultris una bocasini magna undarum.. Item lajlia cultris subtillis alba. Item coprilecti duo tapesarie unum magnum et alterum parvum. Item coprilecti tres talles qualles saie. Item lensorii quatuor de panno albo. Item bancherie tres tapasarie. Item tapetos quatuor inter magnos et parvos. Item savastine tres talles qualles. Item toagiarum duadena una inter veteres et novas. Item goardamapi decem inter bonos et miseros. Item toagiorii quatuordecim inter bonos et miseros. Item toagioreti sex parvi. Item petia duo toagiarum subtillium cum suis goardamapis. Item goardamapum unum novum subtille. Item toagiarum pro famillia canabatii duodena una. Item petium unum telle pro facere taiolos parvos sive tagioretos. Item duo bacillia cum suis stagneris. Item bacille unum rotondum. Item paria octo lintiaminum magna inter bona et misera. Item linteaminum parvorum inter bona et misera paria duo cum dimidio. Item piaria quatuor lintiaminum prò famillia. Item petie telle stupe et lini duodecim inter magnas et parvas. Item petie due telle non albe. Item gone sue. Item gona una rczee foderata martirorum tallis quallis. Item gona una brunete foderata vulpium tallis quallis. Item gona una gamelini foderata vulpium tallis quallis. Item gona mia panni rose seche foderata martirorum tallis. Item gona una nigra foderata beynerorum tallis quallis. Item gona una brunete foderata dosiorum tallis quallis. 246 DOCUMENTI Item gona ima nigra foderata ventrarum tallis quiaillis. Item gona una gamellini foderata dosiorum tallis quallis. Item gona una rozee simpla estiva. Item gona una brunete simpla tallis quallis. Item clamis unus et medius misci clari simplis. Item clamis unus niger pro aqua. Item uchia una gamelini tallis quallis pro domo. Item birreta duo nigra tallia quallia. Item birretai duo rozee comunallia. Item diprois una biadi. Item caputea tria roze. Item caputeum unum nigrum. Item caputeum unum brunete talle qualle. Item gona. una rozee cum manicis a rete foderatis camocati cremexi pro domina. Item gona una rozee cum manicis strictis. Item gona una gamelini de anglia pro domina. Item gona una gamelini scuri tallis quallis. Item gona una vermilia inversa tallis quallis. Item gonellete due vermillie una bona et altera tallis qualis. Item bialdi duo biadi. Item gonella una alba de medio. Item upa una bocasini tallis quallis. Item mulla una que vendita fuit Antonio Guiso per libras octo Ianue. Item loca comperarum sanciti Georgii triginta vel circa scripta super Brigidam uxorem dicti qm. Aymoni. Item domus una.... posita Ianue in ciontracta sancti Brancasn (Pancratii) apud illam..... Tobie Pinelli que pignorata est Argono de Illice aut alteri persone pro certa pecunia. Item anulle aurei inter illas q. domini Aymoni et illas uxoris sue quarum pretium extimatur valoris librarum cen tum januinorum. Item par unum cortinarum de saya vermillia pro lecto talle qua e. Item solava una vocata Lucia etatis annorum viginti quinque vel circa, de progenie...... Item quedam alia sciava vocata Cristina etatis annorum tri ginta duorum vel circa de progenie.... et que est sciava dicti DOCUMENTO VII 247 qm. Aymoni pro annis duobus vel tribus in circa et deinde est libera et franella. Item fermalieti duo auri parvi et pauci valoris. Item gropum unum perlarum. Item corigia duo argenti prò usu dicti q. Aimoni. Item alia corrigia duo argenti pro usu dicte Brigide uxoris dicti q. Aymoni. VII. ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA. Filza 2i. — N. 217. 1458. — 4 Dicembre. Inventario dei mobili della successione della q. Brigida Lomel-lini del q. Leonello vedova di Giuliano Lomellino nella sua abitazione « in centrata Sancte Agnetis ». In caminata domus dicte q. Brigide. Tagerii ligni novi a n. quadraginta sex. Tagerii stagni a n. duodecim. Sanaverii stagni novi a n. duodecim. Sanaverii stagni consueti a numero decem. Glareti stagni a η. XXIII. Glareti stagni veteres talles quales a n. sex. Platum unum stagni parvum cum suo coperchio. Sanaverii duo veteres tales quales. Tagerii duo stagni veteres tales quales. Platum unum planum vetus stagni. Mortale unum bronzi parvum cum suo pestelo. Candelabri damasche cum argento a n. duodecim. \ 248 DOCUMENTI Bacille unum damasche cum argento. Bacile unum sive concha damasche cum argento. Bacile unum latoni. Stagnaria una latoni. Candelabri septem latoni. Refreidorium unum latoni. Bacii ia duo latoni a barbitonsore. Concha una latoni damasche sine argento. Lebetes tres, videlicet unus medianus et duo parvi novi. Lebetes quatuor, videlicet duo magni petiati et duo parvi. Calderonum unum rami. Ramairorii duo. Padele tres. Brandalia duo ferri. Catena una a coquina. Cantale unum cum suo romano tale quale. Asta ima ferri pro dòquina. Conca una rami magna. Cacia una ferri. Pairorius unus magnus. Paiirorius unus vectus tallis qualis sine manelia. Conchete due terre de Malica. Refreidorii duo terre de Malica. Dolia quatuor terre de Malica. Tagerii quinque terre de Malica. Burriea una terre de Malica. Concheta una terre Saone. Gratairolia una ferri. Ciacii duo, videlicet unus novus et unus consuetus. Potaficuli quindecim semipleni aque rose tales quales cum una amfula magna. Item in camera que est supra cochinam. Capsieta una pro domina consueta vacua. Capsia una a scriptis vacua. Capsia una parva vacua. Cofanus unus vacuus talis quajis. DOCUMENTO VII 249 Cofanus unus vacuus. Cortina una telle celestie. Straponto una. Culcer una plumarum. Cossimis unus magnus. Cossinus unus parvus talis qualis. Oregerii duo talles quales. Condheta una porcelete. Cantaretus unus parvus. Caputei duo panni nigri. Caputeus unus panni biavi. Tres sugatores manuum telle canapi. Toagie due lini prò mensa familie. Pecia una tele lini. Scaparonus unus telle stupe. Pecii duo rozee videlicet unus parmus et medius in circa. Scaparonus unus panni nigri videlicet parmi duo. Pecia ima butanie clotoni. Scaparonus unus velezii consuetus. Boeda una magna que est circa lectum. M;aicii quinque lini. Macii decem cerriotorum alborum. Coffanus unus vacuus. Item in quadam camera que est supra caminatam. Capsie due magne antique. Straponta una. Culcer una piume. Boa una que est circa lectum. Cossinus unus. Culter una de bastis largis vetusta. Oregerium unum parvum tale quale. Item in quadam alia camereta que est supra caminatam. Sraponte due parve talles qualles. Coffanus unus parvus ferratus sive cum cravis ( ?). Item in goardia robe dicte camere. 17 250 DOCUMENTI Boa una vetusta talis qualis. Sacus unus lini cantale unum in circa. Item in quadam auleta que est supra dictas cameras. Meizere due. Par unum trispodum. Item in quadam camereta que est prope dictam auletam Lo<ìani duo veteres ferrati tales quales. Tanonus unus rami. Jarre tres vacue. Boa una vetusta pilosa. Boua una vetusta a jhonchis. Catreda una vetusta. Guindalus unus cum sua asta. Maiestas una sanctorum. Item in caneva terranea. Tapetus unus magnus consuetus. Tapetus unus vetustus talis qualis. Carateli quatuor. Jarre tres vacue. Bussule due prò...... Boda una pillosa magna. Segia una. Scamelini duo. Dischi quatuor supressi. Tabula una parva talis qualis. Paria duo trispodum. Sciancororius unus rami. Cantaretus unus parvus. Coteleria unia cum tribus coltelis prò incidendo carnem. Taulerius unus. Carta ima prò navigando. Lucerne due et una paleta. DOCUMENTO VII 251 Item in caminata solvendo aliquam ballam in qua sunt INFRASCRIPTA. Culter una dunde (sic) subtillis vetusta talis qualis. Culter una septe tafecta cremexi et albi recamati consueta. Culter una dunde vetusta Canapatium prò tuia straponta vetustum. Item in quodam alio strumatio. Culter una bocasini de bastis largis. Culter una bocasini dunde. Copertorium unum burdi. Sachi duo vetusti. Tapeta una vetusta talis qualis. Vesta una strumatii liajne. Item in quodam alio strumatio. Petie tres lini de duodecim. Petia una telle stupe. Macii decem septem lini. Boneta una corii vetusta. Item in quodam saco. Lentiamina tele lini pedi decem. Lentiamina telle stupe pro familia la numero VII. Toalie tres. Toagioli quatuor. Goardamapus unus. Toalioreti a manu parvi a n. undecim. Toalie tres canapaoii pro familia. Acie viginti una lini. In quadam capsia parva. Sarorii tres argenti. Bussora una argenti. 252 DOCUMENTI Coclearia argenti a numero duodecim. Tacie due argenti. Moneta reperta in petio, videlicet grassoni pecii CXXI valent L. XXV s. IIII d. II. Bislachi septem valent L. VIIII s. VIIII. Alfonsinus unus valet L. III s. XV. Ducati tres largi L. VII s. XIII. Ducatus unus Chii valet L. II. s. IIII. Moneta diversa L. I. s. XVIIII. In quadam capsia a scriptis. Moneta in argento, videliaet in soldinis et grossis.......L· CLXXXIII s. X. Ducati undecim Jenuini L. XXVIII s. I. Petii sex auri stampati de capite Cesaris. Zona una argenti daurata plena in uno cinto septe viridis scuri. Zona una plena argenti in uno cinto de argento ducati duo stricti L. V. Zone tres parve cum certis paucis splanguis pauci valoris. Javacorium unum cum cinto corii. Agogiarolium unum 'argenti cum cinto corii. Zona una argenti cum cinto corii cum certis paucis splanguis. Adamanti tres parvi in tribus anulis auri. Camiolus unus in uno anulo auri. Anulli quatuor auri fracti pauci valoris. Virge due parve pauci valoris que sunt fracte. Pendini duo granate et alii duo safilii cum perlis octo. Caineta una argenti. Caineta una argenti a seorsa bisia cum una cruceta argenti. Perle XXII. Certe perle minute que non poterant numerari. Cruoeta una argenti. Frexetus unus antiquus dauratus cum certis aliis rebus dauratis. Cacedonie a numero XIIII. Velate due subtilles a capite vetuste. Scaparonus unus veluti cremexi, videlicet parmi tres in circa. DOCUMENTO VII 253 Miaindilli tres subtilles. Uveta una subtillis daurata. Mandillus unus ma.... (guasto nella carta) subtillis vetustus cum poris septe. Manicelli duo antiqui daurati. * Resta una pater nostrorum nigrorum. Maniceli duo antiqui daurati. Cordoni duo a clavibus. Scaparonus unus de tafeta grave, videlicet parmi octo. Petii tres veluti videlicet de alto e baso, videlicet parmo mezo Pier resesa. Scaparonus unus telle stricte subtillis videlicet parmi XXVI 1/2. Petia una telle subtillis de Janua parmi LXXXXVI. Scaparonus unus tele de XII parmi IIII 1/2. Scaparonus unus telle stupe parmi XIIII. Petie XVIIII tellarum. Petia una telle que dicitur veleize. Goardamapi parvi pecii XV. Toalie septem. Goardamapi sex inagni. Toalie decem novem non usate. Goardamapi quindecim novi. Toagioli quatuor novi. Toalioreti a manu pecii XXVIIII novi. Toalia una magna cum duobus goardamapis pro nuptiis. Lentiamina novem magna. Tafeta viridis videlicet pro foratura duarum manicarum. Scaparonus unus panni nigri parmi V. Scaparonus unus panni gamelini parmi III 1/2. Petia una bociasini nigri. Sponda una burdi foderata cendati. Culter una bocasini de bastis largis vetusta. Crovipertega duo septe viridis. Crovipertega unum de meizaro. Culter una bocasini de media basta. Lentiamina triia vetusta talia qualia. Coperta una canapacii consueta. Sucamanus una canapacii pro sdavis. 254 DOCUMENTI Catrede due ligni de Candia. Culcer una plumarum. Culter una bocasini de media basta. Catrede due pro domina. Petii tres ferri de camino cum suis molis. Certa ferramenta vetusta que denumerari non poterant Enses duo. Brandonus imus. Copertorium unum burdi foderatum tella nigra. Oregerii octo a tapeto. 4 Bancherie quinque videlicet pecii.... Coprilectum unum viride vetustum tale quale. Tapeti tres, videlicet duo magni et unus parvus. Culter unus ihameloti acamocati grane a balneo parva talis qualis. Culter una bocasini de media basta vetusta. Culter una de dimiti facta a rapiolis. Culter una bocasini facta a amandoletis. Pecii duo canapacij de quibus erant fassiate balle due. Sachi quatuor videlicet tres canapacii talles quales et aluis lane. Lentiamen unum vetustum pro familia Moschetus unus telle vetuste talis qualis. VIII. ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA Filza 2i — N. 329. l459 — 5 Giugno. Inventario de' mobili del q.m Nicolò Antonio Spinola nella sua casa in contrada nobilium De Nigro de Bancis. Primo in camera dicti q. Nicolai Antonii situata in dieta domo torcular unum. Item straponte tres et culcidia una piume super dictum torcular. DOCUMENTO Vili 255 Item cossinus unus et auricularia duo plumarum. Item cultris una subtilis cendati ialni. Item cultris una alba subtilis laborata ad amandolletas. Item cultres due albe de bastis largis. Item copertorium unum burdi talle quale. Item cultris una alba subtilis laborata ad undas tallis qualis. Item bancalle unum intarsiatum duarum clavaturarum circa lecttum quod bancalle est quasi novum. Item capsia una a scriptis bona. Item capsonum unum pro armis. Item capsia una magna supressi. Item capsie due magne prò navigando. Item catreda una ligni. Item tabulla ima rotonda ligni. Item boida una circa lectum in dieta camera cum armis de Spinulis et de Vivaldis. Item maiestas una sanctorum. Item coclearia duodecim argenti. Item alia coclearia XII argenti et sarairolii tres argenti in quibus est unus fractus. Item confeterie due argenti, videlicet una magna et una parva. Item bacille unum argenti cum arma Spinula et de Castro. Item stagnaria septem argenti cum arma Spinula et de Castro. Item penoni duo prò trombetis cum uno penono daurato cum arma de Spinolis. Item gona una panni rosee pro homine cum manicis largis foderatis taffetà cremexili cum suo meisaro in quo est faxiata. Item alia gona panni bruneta pro homine cum manicis largis foderata taffetà cremexi cum suo meizaro in quo est fassiata. Item gona una panni viridis pro homine cum manicis strictis tallis qualis. Item gona una panni nigri pro homine dupla tallis qualis. Item gona una panni nigri pro homine foderata penna nigra tallis quulis. Item foderatura una vel circa scerverorum misera et tallis qualis. Item gona una panni nigri pro homine foderata penna dolsorum. Item gona una camocati nigri pro homine foderata penna martirorum. 256 DOCUMENTI Item gona una panni nigri pro homine cum manicis strictis foderata penna martirorum talium qualium. Item gona una panni mischi pro homine foderata penna luporum cerveriorum, faxiata in uno lintiamine trium tellorum. Item gona una panni rosee pro homine cum manicis strictis foderata penna martirorum faxiata in imo lintio parvo. Item gona una panni mischi clari pro homine foderata penna luporum cerveiorum. Item gona una panni mischi roani pro homine cum manicis strictis foderata penna martirorum talis qualis. Item gona una panni mischi pro homine cum manicis strictis foderata penna martirorum faxiata et involuta in uno linteo parvo. Item diploides duo fustanei pro homine. Item diplois unus taffecta tallis qualis pro homine. Item alius diplois taffecta viridis pro homine. Item diplois unus bocasini albi pro homine. Item diplois unus panni vermilii pro homine tallis qualis. Item paria Illor lintiaminum telle line de tellis IUIor in quinque computatis bonis et miseris. Item paria duo lintiaminum telle stupe et canapis pro familia talles quales. Item par unum lintiaminum canapis cruda et nova pro famullo. Item toagie due et toagioli duo. Item par unum lintiaminum telle lini de tellis quinque pro quolibet talle quale. Item tapeti tres. Item bancheria una parva tallis qualis. Item pratelli duo stagni. In alia camera dicte domus. Item sospitalle unum magnum. Item torcular unum talle quale cum suo bancale talle quale. Item payrolium unum rami. Item concha una rami. Item tapeta una piloza misera tallis qualis. DOCUMENTO VII! 257 Item straponta una misera et fracta. Item coprilectum unum talle quale prò nunciis. In alia camera superiori. Torcular unum tallis qualis. Item straponta una prò nunciis cum suo cossino piume. Item coffanum unum ferratum. Item boida una tallis qualis circa lectum. In cochina dicte domus. Peci duodecim intra taierios et sanaverios stagni. Item ramayrolium unum rami prò aqua. Item mortaretum unum bronzi cum suo pestello. Item mortalle unum marmoris cum suo pestello. Item tabulle tres pro faciendo panem. Item taierii XIII ligni. Item lebes unus magnus petre cum una gratarollia. Item gladii tres prò cochina talles quales. Item coclearia duo argenti talia qualia. Item in quadam camera prope cochinam. Jarre seu Idree sex magne terre. Item cionche due magne terre. Item concheta ima parva terre. In caminata dicte domus. Primo dischum unum cum suis tripodibus. Item dischum aliud magnum pro pasto. Item scamelini duo ligni. Item banca una intarsiata. Item bacille unum damaschiniun latoni. Item stagnaria una latoni. Item sigilla duo auri cum arma de Spinollis. Item moihie tres nigre una vermilia. 258 DOCUMENTI Item caputeus unus panni nigri pro homine. Item biretinum unum nigrum. Item diplois una veluti cremexi pro homine. Item diplois imus veluti nigri tallis qualis pro homine. Item toaiolle due parve moresche. Item toagie feres talles quales. Item toagie due pro familia talles quales. Item goardamapi quinque tales quales. Item toaioli tres pro manibus. Item prateli IIII stagni pro insalata. Item sanaverii decem stagni. Item prati duo magni stagni. Item glareti decem stagni. Item rexentarum unum rami. Item panerium unum. Item stagnaria una latoni. Item in quadam recamera torcular unum. Item straponte due. Item boyda una circa lectum cum armis Spinolis. Item maiestas una sanctorum. Item bancalle unum circa lectum. Item coffanum unum magnum. In penu. Jarra una pro oleo terre viridis. Item vegetes due. Item carratellum unum. Item jarrete due parve terre viridis. Item barrille imum. Item alie due vegetes in uno alio penu. DOCUMENTO IX 259 IX. ATTI DEL NOTARO LAZZARO RAGGI Filza 6 — N. 321. 1461 — 4 Maggio. Inventarium rerum Leonardi Busarini existentium apud Christo forum Turchetum restituendarum eidem Leonardo et primo. Strapunte tres. Coprilectum unum de tapisiaria blavum. Aliud coprilectum de saia biava. Torcular unum. Lintiamina quinque. Aliud lintiamen parvum de stupa. Cosini duo magni pro lecto. Oregierii duo. Scionie quinque pro oregieriis. Aliud oregierium magnum cum una scionia. Sclavina una pillossa magna. Vestis una miscli pro homine simpla. Capucium unum rubeum. Capucium unum nigrum. Scaparronum unum de parmis XII panni rubei. Muihia una nigra et una rubea. Vestis una prò domina panni albi. Alia vestis pro domina de lanezo. Vestis una prò portando in domo prò domina tallis quallis. Vestis una nigra prò domina tallis quallis. Bialdi tres de fustaneo. Vestis una fustanei. Golleta una prò domina foderata rubea. 260 DOCUMENTI Toalie tres quarum una de Flandera. Guardamapi tres. Toagioli tres. Serviete due. Tapetum unum. Bancherie due de Flandria. Bacille unum cum sua stagnaria de latono. Concha una de ramo. Bacille unum de damascho rotundum. Candelabri tres magni et duo parvi. Stagnonum prò aqua. Sanaverii X in XII de stagno. Grareti X de stagno. Quadreti tres de stagno. Lebes unus petre parvus et alius major. Pairolium unum magnum de ramo et aliud parvum. Mortalle unum cum suo pistillo. Seacii tres clari et unus sete. Gladii duo prò mensa. Jame due magne, alia parva. Alia jarra cum bucha larga. Barrille unum prò vino. Jarreti duo. Cavagni duo magni cum suo coperchio. Sporte due magne de palma. Capuceria una. Banchales tres unius coperchi. Aliud banchale de duobus coperchiis. Armarium unum ligni. Catreda una cipressi et alia de Constantinopoli. Alia catreda desnodata. Scamelinum unum. Banchete tres. Casieta una prò domina qm. magistri Leonardi. Casionum unum copertimi coreo. Casietina una cipressi. Banchaletum unum parvum. Tabulla una cum tripodibus de cipresso. 261 Alia fcabulla cum tripodibus. Tabule due de castagna de parmis X. Certe alie tabule pro faoiendo cameram in nave. Casionum unum parvum de parmis X. Casionum unum prò armis. Meizara una fulcita. Carratellum unum de metretis II. Aliud de metretis....... Conche tres rotunde de ligno. Padella una cum sua patela. Calderonum unum rami. Cathena ima ferri. Brandalle unum ferri. Partexiana una cum una virga sardischa. Tarchonum unum album. Balista una cum sua zirella et alia zirella vetus. Guindalum unum cum trapa ferri. Candelabri tres ligni. Boida una parva et due magne. Caxionum unum cum certis ferramentis. Serreta una cum uno mariho. Maschizum unum de pesio. Capsieta una prò domina. Marzapani tres. Par unum mofolarum de lana. Toagliolie due prò domina subtilles. Pecten unum de anofancto. Speculum unum magnum. Panereta una de malicha. Cordonum rubeum sete cum pointairolo argenti. Aliud cordonum sete argentate. Resta una coralorum cum certis perlis argenti. Alia resta coralorum. Crux una cum quatuor perlis. Coclearia tria argenti. Anulus unus rotundus cum sua zema. Camixia una prò domina. Velata una parva. 262 DOCUMENTI Toagliolia una magna de cotonina. Certi sacheti et eollareti pro domina. Cane IIII 1/2 telle lini. Rami (sic) VII telle de stupa, Leonardus solveret de factura. Certi patareli lini et de panno cum suis faxiolis. Bialdum unum fustanei guarnì tum aneletis argenti. Alia goneleta foderata sine aneletis. Bialdum unum pro filia et unum corpetum. Stroioni duo. Lucerne due. Chiavacorium unum argenti cum sua dafineta. Par unum gladiorum argenti cum sua cateneta quorum unum est fractum. Agogiairolum unum argenti cum sua cathena et gordena. Lanterne tres. Barrilis una pro aqua. Banctheria una vetus. Jarra una pro vino. Sachi tres pro farina. Tortarie tres. Copertoria duo pro corba. Coprilectum unum de saia, parvum rubeum. Par unum foderaturarum brocati vermilii. Par unum sextarum pro navigando. X. ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA Filza 21 — N. 549. 1462 — 23 Marzo. Inventario de’ beni del q. Lazarino Vario de Albingana. In camera dicti q. Lazarini, videlicet domus, olim habitacio-nis sue. DOCUMENTO X 263 Et primo gona una roani prò domina. Item gona una brunete prò domina tallis quallis. Item gona una nigra panni Januensis prò domina. Item gona una viridis foderata de cruribus ventrium pro homine. Item gona una blaui de Londone foderata vulpium pro homine. Item ucha una rriischri pro homine. Item birretum unum rubeum de grana pro homine. Item gona una miseri de Janua foderata penne tallis qualis pro homine. Item gona una blaui de Londone foderata vulpium pro homine. Item birreta duo vermilia grane magna pro homine tallia quallia. Item diprois una bocasini pro homine. Item diprois ima panni albi pro homine duplex. ’ Item gona una bialdi atagi usata pro domina. Item bialdum unum pro domina cum manicis veluti cremexi usati. Item bialdum unum pro'domina cum manicelis zentunini cremexi. Item gona una bialdi pro domina tallis quallis. Item caputeum unum nigrum pro homine. Item gona una bialdi pro domina. Item iomea una bialdi pro domina tallis quallis. Item ucha una bialdi pro homine tallis quallis. Item bialdum unum cum manicelis camocati moreli pro dominai talle qualle. Item goneleta una a medio alba pro domina. Item iornea una bialdi tallis qualis pro domina. Item caputeum unum vermilium pro homine cum duobus bechis. Item biretum unum brunete vetus pro homine. Item pitocus unus cum una diproide gamelini pro homine. Item torcular unum ligni. Item cultris una piume non valdte magna. Item strapointa una tallis quallis. Item strapointa una pro eius lecto. Item cosinuni unum piume pro lecto eius. Item oregeria duo piume tallia quallia. Item cultris una alba de bastis largis. Item copertorium unum burdi. 264 DOCUMENTI Item cultrina una picta. Item cellum unum telle pictum. Item cultina una telle celestrie de tellis IIII. Item par unum lintiaminum de tellis IIII lini. Item par unum lintiaminum de tellis IIII or. Item lintiamen unum de tellis Illlor. Item par unum lintiaminum de tellis tribus stupe. Item par unum lintiaminum telle stupe pro famulo. Item par unum lintiaminum de banno. Item toalia una de bracjhiis quinque. Item toalia una de brachiis IIII or. Item toaiolia duo de parmis duodecim. Item copriletum unum album pro puero. Item goneta una bialdi pro puero. Item telle due lini pro lintiaminibus. Item cana una telle stupe. Item cane decem et octo telle de caneva. Item camixie due lini pro homine. Item alia camixia pro homine. Item mutande quinque telle lini. Item par unum panni nigri de Janua tallis qualis pro homine. Item coffanetum unum pro domina. Item capseta una pro domina. Item toagiola una tallis quallis. Item libri tres rationum de quarenteno. Item tagerii sexdecim stagni. Item piateli duo stagni rotondi. Item piateli duo rotondi stagni. Jtem grareti sex stagni. Item candelebra quatuor, duo latonis et duo bronxi. Item stagnarie due, una stagni et alia latonis. Item capuseria una ligni. Item bancalia duo intersiata ligni. Item capsonum unum ligni. Item bancale unum ligni. Item maiestates due ligni picte. Item celata una francigena. Item ensis una. ____documento x 265 Item armarium unum ligni. In caminata. Bancale unum ligni intersiati. Item bancale unum ligni parvum intersiaitum. Item catedra. una ligni intersiata. Item discum unum talle qualle cum suis tribodibus. Item scamelini quatuor. Item cana una telle stupe. Item catedra una pro muliere. Item cana una stupe. Item banchete due. Item sacum unum canapis. Item copriletum unum prò banno. Item ramairolium unum rami. Item rezentarium unum . rami. Item coperitura una panni albi prò molinario. In cochina. Argium unum rami cum duobus brandalibus. Item tanonum unum rami. Item bacile unum prò barbitonsore. Item lebetes duo. Item patela una pro piscibus. Item brandale unum. Item lebes unus parvus. Item caria una rami. Item mortale unum cum suo pi stelo. Item mastra una prò pane. Item grata i rolia una. Item calderonum unum rami, cum manico ferreo. Item pairoletus unus rami cum manico ferreo. Item quarta una ligni pro mensurando. Item ramirolus unus rami cum una grisela ferri talle qualle. Item catene due ferri. Item tianus unus rami cum uno pairolio rami. 18 266 In camera superiori. Torcular unus. Item bancale unum ligni parvum. Item tagierii duodecim ligni. Item quedam medietas camis salse. Item brustia una ferri. Item mina una farine. Item strapomtinus unus pro puero. Item bialdum unum cum una iornea bialdi talle qualle. Ttem gona una gamelini pro homine. Item falde IUIor panni albi cuiusdam gonelle a medio, quas Benedictina uxor dicti quondam Lazarini asserit habere in pignore pro certis soldis quos concessit illi cuius sunt dicte falde, de sua propria moneta. Item libre decem et octo fili lini de duodecim. Item vellaita una pro domina. Item culteleria una cum duabus cultelis pro tabula. Item cabie IUIor ligni. Item capseta una parvula ligni. Item caretelli IUIor ligni de metretis duabus pro quolibet. Item idrie due pro oleo. Item torcular unus pro puero. Item strenzicorium unum munitum argenti cum suis goami- mentis. Item an ullum imum auri vocatum sanctum christofforum. Item anullum unum auri cum gema safirij. Item anullum unum auri cum gema jacinti. Item anullum unum auri cum schneto saffirii. Item sigillum unum auri quod erat dicti q. Lazarini. Item tacie II argenti parve. Ttem corrigium pro domina cum sprangis XII cum cinto rubeo. Item aliud corrigium pro domina cum cincto rubeo picato argenti. Item aliud corrigium pro domina cum sprangis tribus cum cincto albo picato. Item corrigium unum cum cinto rubeo cum sprangis XV pro homine. DOCUMENTO X 267 Item coclearia sex argenti. Item sigillum unum auri pro homine. Inventario degli oggetti della bottega da bottaio di Laszarino (i). In volta posita sub domo Philippi De Marìs. Fonda prò barrilotis, CXVI. Fonda prò barrilibus vini, VII. Fassia dogarum denicia prò barrilotis, XXX. Soma de cerchiis prò barrilotis, I, videlicet ima. Soma de cerchiis prò barrile vini, LXIII. Fassia de doghis prò barrilotis, XIII. Barrilia prò vino, XXXX. Barrilia pro tonina, Vili. Medie quiarte pro razo, XX. Quarte prò cormo, III. Medie quarte pro cormo, XX. Barrilota pro oleo, XII. In volta nova. Barrilota pro piscibus, XXXII. Barrilota prò galea, XVII. Tabulle argeris (?) peccia, VIIII. Barrilota de rubo uno V. Staria pro salle, II. Prevenda prò osterio, II. Quartina ferrata prò grano, V. Staria ferrata prò grano, I. Starium unum sine ferro prò grano, I. (i) Ho espunto da questo inventario alcune voci che si ripetevano continuamente come: Barrilia prò vino, Barrilota prò galea ecc. ecc. e non presentavano altra differenza che il numero quantitativo. Ho però conservato quelle che hanno qualche variante dalla voce comune. 268 DOCUMENTI Starium pro salle ferratum, I. Siga arzeris ( ?) pro acoa, II. Barrilotum. unum arzeris pro acoa, I. Quarta grani de razo, I. Staria pro castaneis ad curmum...... Boiolum unum cum fondis duobus pro taverna, I. Cerehie pro barrile vini, II. Fassia dogarum denissia parva pro barrilotis, XX. Doga pro barrilibus vini, C. Barrilota XXXX. Provenda pro hosterio, II. Quarta una ferrata pro salle, I. Medie quarte pro grano, VI. Quarta pro grano, I. Doga pro barrilotis deinria, C. Ad Quarantenum. Quartina de curmo pro ficubus, III. Quarte de curmo pro castaneis, IIII. Quartinum pro grano ferratum, I. Bogioria vini pro barca, VII. Bogiorium pro sicone pro puteo, I. Medie quarte pro ficubus de curmo, II. Fonda pro barrilotis pro oleo, CC. Fonda parva pro barrilotis, XX. Barrile de arze pro aqua, I. In clapa ollei. Barrilia magna pro oleo, XIII. Quarte pro oleo, VIIII. In domo sua qm. Lazarini. Sallexa a η. ΙΙΙΙ. Cerchia de testa pro barrille vini, LI. Soma de cerchiis de medio pro barrille vini, V. DOCUMENTO X 269 Cerchia de testa piegata prò barr. vini, LXXXVIII. Barrilia prò vino in laboratoribus darsine a n. LXXII. Barrilia intra civitatem pro vino, XXXXVIII. Item tremozia una. Item ferrum unum boscaretium prò vegetibus. Item ferros quinque boscaretios prò barrille. Item ionas duas cum suis ferris. Item ionam unam sine ferro. Item serras duas (pro) barrilario. Item ferros sex prò boiolis. Item marracinum unum prò barrilario. Item raspam unam prò barrilario. Item par unum tanagiarum veterum. Item zinao, I. Item camgiorium unum. Item zinaum unum parvum. Item cavaletos tres ruptos. Item verrogium imum ferri. Item ferrum unum prò pertuserando barrilia. Item casorias duas prò pertuserando barrillia. Item casollas duas. Item verrogium unum ferri ruptum. Item manetam unam de (c)roco prò balista. Item verrinam unam parvam. Item maciam unam ligni prò harrillario. Item signurn unum ferri pro signando carrina. Item lanneram unam ferri. Que omnia sunt tallia quallia. Item quartas novem pro mensurando. Item iarram unam inpilla que est in clapa olei. Item scagnetum unum in quarantene pro scribendo. Item libras viginti quinque in circha monete.... in diversa moneta. Item loca duo compere sancti Georgii scripta super dictum Lazarinum in compagna burgi- 270 DOCUMENTI XI. OFFICIUM MONETE. Filza 717-7. 1477 — 7 Maggio. Inventarium rerum et suppcllectilium cochine paJlatii consignatarum Barbete seneschalcho Illustris et Magnifici d. Prosperi A dumi Gubernatoris ducalis. Et primo. Pairolium unum magnum. Pairolium aliud mediocre. Calderonum unum magnum. Rexentale unum. Stagnonum unum magnum pro aqua. Ramairoli duo magni pro coquenda aequa. Brandalia duo magna pro camino. Brandalia duo parva rotonda. Tianum unum magnum pro rostis. Cacie due rami cum manicis. Patelle quatuor due magne et due mediocre. Catene due ferri. Graixella una. Gratairole due magne. Parete quatuor pro patellis. Caciete due perforate magne. Una alia cacia perforata. Caciola una rotonda. Lebetes duo magni. Lebetes tres mediocri. Lebetes tres parvi. Imbutum unum magnum rami. Cacieta una. DOCUMENTO XI 271 Ferrum unum pro mutandis catenis. Sicule sex pro aequa. Sebri duo magni pro equis. Cuncha una magna rami. Cunqha una rotunda stagnata. Testi duo pro turtis unus magnus et alius parvus cum suis patellis. Tianum unum magnum rami cum suis pedibus et suo cuperchio. Testum magnum pro turtis cum sua turteria. Brandalle magnum. Aste sex pro rosto due magne due mediocres et due parve. Calderoneti duo. Grixella una magna. Catene due ferri magne. Ferra duo pro camino et pro rostis. Par unum molarum. Ferrum pro trahendo foco. Lecarda una magna. Brenacium pro trahenda braxia. Furcella una pro rostis. Fur che duo pro stabula. Gangium (in altra copia : Gandhium) unum pro rostis. Sernilii tres. Seacij tres due magni et unus parvus. 272 DOCUMENTI XII. ATTI DEL NOTARO OBERTO FOGLIETTA Filza 32 — N. 61. 1488. — 13 Marzo. Inventario de’ mobili della successione del q. Battista Valle. Et primo in camera superioris (sic). Torchio uno. Strapointa una. Lensolo uno lane parvo. Copertorio uno. Coscino uno. Par uno lentiamenum de telle IIII canapi. Banchare uno longo. Banchare uno longo. Caratelo uno pro aceto de mezairole II in circha. Vegete una a farina. Casceta una parva. Meizia una farina. Cascionum unum magnum. Cascia una de suchari. Quarta una de mensura de farina. Torchulo uno da farà croste. Mortale uno cum suo pestelo. Gindalo uno cum sua casceta et sua trapa. Brustia una de lino. Corba una. Cunne due de figloli. Seasi duo. Sernegii doi. Panere tres. DOCUMENTO XII 273 Scamelinum unum. Barile unam. Mezzene due de carne salata. Sachi a η. VI de canavaso. Sachum unum in quo est farina. Sanaverii a η. XVII de stagno. Prati a η. Ili magni de stagno. Prati a η. Ili de stagno mezani. Grareti a η. VI de stagno. Tagle a η. XI de legno. Trapa una de ferro de gindaro. Bancheta una parva. In coxinna et primo. Gagiam unam magnam de galline. Tagle a η. V et II parvi de legno. Segie due de aga. Cacia una de ramo. Graterora una de ferro. Vasco uno prò insizame de ramo. Graixela una de ferro. Lebete uno magno de petra. Scermario uno de ligno. Coteli duo de tabula. Paela mia de pasci et una de castagne cum sua grapela. Lumere due. Brande doi. Scadaleto uno censa doverchio. Casa una de ferro prò lavezo. Lebete imo de bronso rotondo. Cadena una de ferro. Pairoleto mio rami. Conche due rami. Barile una de aqua. Rexentario uno de aqua. Scala una cum scalini XI. Ti ano uno de ferro. 274 DOCUMENTI Aste due de rosti. Tortere due de legno. Quarta una de menzura. Panera una magna. Garete a il IIII parve. Gare a η. II mezzane. Bariloto uno a mosto chocto. Gabia una magna de oxeli. In camera de alto et primo. Cariolo uno cum sua strapointa. Torchio uno cum strapointe a η. II. Culcitra una. Copertorii duo. Coscino uno. Oregerio uno. Lentiamine par uno de telle IIII. Cotre una alba vetera. Banchale uno longo. Coltina una de lecto de telle selestia. Tapetis tribus. Capusera una. Cotre una de bocascino. Banchale uno longo. Lensolo uno de bagno. Cotre una de bagno jana. Bancheta una magna pertuzata. In camera da basso et primo. Torchio uno. Strapointe a η. II de canavaso. Culcitre una finna. Coscino uno de piuma longo. Oregerii duobus. Copertorio uno burdi. Lensolo uno lane. DOCUMENTO XII 275 Coltine telle cekstie peci a η. III. Telle depinte cum figuris. Cello depinto cum agnus Dei. Trape due ferrei. Capusera una. Magestate una vetere et una allia cium imagine Virginis Maria. Caxonis duabus magnis intersiatis. Banchale uno novo contra leto cum sua subbancha. Banchale uno longo cum sua sub bancha. Banchareti a η. Ili videlicet uno novo et alii veteri. Casceta una intersciata. Casceta una de supreso daurata. Oregerii duobus piume. Oregerii duobus pulcli. Strapointeta una buldii. Coscino uno piume. Copertorio uno burdi. Discho uno rotondo. Bancheta una. Tapetum unum. Sacho uno de canabacio. Gona una saia peli leonis a domina. Camexola una blancheti a domina. Toagie a n. III. Guardanapo uno longo. Par uno maniche de veluto celestio a domina. Par uno maniche pillo leonis a domina. Foderatura mia panni albi a domina. Par uno maniche blancheto de homo. Capucio uno vermilio a domina. Prato uno stagno magno. Sanaveri a η. VI novi de stagno. Par uno maniche panni vermilii a domina. Telia de stopa prò una camexa de dona. S cosai e uno albo de dona. Velata una. Gonna una panni misculi de pecii IIII prò dona. Fillo canapi libre X 276 documenti Cantareto uno. Toagie a n. IIII. Guardamapi a η. V longi. Toagie a n. VII de masnata. Toagoreti inezani a n. VIIII. Toagoreti a η. XIII a manibus. Bogloleto uno letoni a aqua benedicta. Par imo de tezoire et uno mardheto parvo. Partexanna una cum suo dardaro. Pecia una telle stupe. Coplileto uno saie vermillie . Mantelo uno virido a domina. Diproide imum zeitunino nigro. Gonna una roani de peci IIII a domina. Gona una misculi clari foderata vurpium. Gona una roani foderata gulis marturorum. Gona una nigra foderata gambete. Fioreto uno nigro. Paria quatuor lentiamine de telle V. Paria due lenteamina de telle IIII. Guardamapi doi longi crudi. Toagla una de tella de masnata. Brustia una lini. Par uno ferrei. Maso uno capetri albi. Toagie an. 11 et uno guardanapo. Disco uno magno cum sui trespi. Disco uno parvo cum suis trespis. Scamelini a η. III. Cadreda una desnoata. Catrede due palve a domina. Banchete due palve. Banchareti a η. II mezani. Banchale uno longo. Tanono uno rami. Scadaleto uno. Ferri duobus pro camino. Magestate una cum prezepio et una alia parva. DOCUMENTO XII Cascia una magna de noxe. Bacile uno lotoni cum sua stagnaria. Oamdeleri a η. Vili lotoni. Quadreti a n. VII stagni.. Reondini a n. IIII stagni. Grareti a η. V stagni. Trencherio uno stagni. Tagle a η. II de legno. Stagnonum unum rami. Boneto uno de focho. Sub bancha una in caminata. In canneva et primo. Vegete a n. IIII. Carateli a η. V. Barile una. In domo Johannis Baptiste de Cabella et primo. Casconis duabus magni. Lentiamina uno de telle IIII lini. Culcitai una a ravioli de bocascino. Bialdo uno sine busto. Bialdo uno cum suo busto. Gonna una de buttanea a peci IIII. Gomia una bombaxina sine pillo alba. Gavardina una butanei alba prò homo. Gomia una bochascini arepointi. Gonna una bonbaxina atagii. Gonia una bonbaxina atagii. Gomia una gameloti nigri ha homo. Ucha una panni nigri foderata tafeta. Gonna una ha homo mostivelerii. Upa una chamochati cremexi a domina. Gavardina una panni nigri ha homo. Rebusto uno de bialdo ha domina. Diproide unum veluti nigri. 278 DOCUMENTI Goneleta una vermellia foderato cuin maniche chamochati ver-millii. Lentiamine uno de telle IIII lini. Gona una saia alba a domina. Gona una siaia pilli leoni a domina. Gona una panni pilli leoni a domina. Gona ima virida cum perfillo docii a domina. Gona una alba a domina. Goneleta una simpla panni albi a domina,. Culcitre una telle nova ha baste. Gona una bocascini a domina con le ihete. Gonna una buttanea ha pece IIII. Sanaverii a η. Vili de stagno. Grareti a η. Il de stagno. Toagla una longa. Tagle a η. V da· legno novi. Candeleri de lotono a η. II. Candeleri latoni a η. II roti. Bogloleto uno aqua benedicta. Par uno manicarum zeituni albe. Par unum manicarum clameloti pilli leonis. Iornia unia fustani nigri ha homo. Iornia una atagi bochascini a domina. Iomia una bochascini a pecii IIII a domina. Item pomum unum de perlis quatuor. Item uchia una panni biavi. Item sigillum unum auri. Item capsie rame prò sucharis a numero XVIII. Item safirum unum legatum in auro. Item adamas unus in tabula legatus in auro. Item sigillum unum auri cum suis tabuletis. Item rebinum unum legatum in auro. -Item turchexia una legata in auro. Item aliud rebinetum penes Lazarum de nascheto fabrum. Item clavacorium unum cum omnibus suis fulcimentis. Item certa pignora debitorum auri et argenti. N. B. — L’inventario è fatto a cura di Pietro de Valle fratello, assieme a Battestina figliai ed erede universale del defunto. DOCUMENTO XIII 279 XIII. ATTI DEL NOTARO OBERTO FOGLIETTA. Filza 32 — N. 305. 1488 — 7 Giugno. Inventario de’ beni lasciati dal q. Giacomo Ponzone. Et primo Catarina sciava dicti q. Iacobi. Item Martinus Murus etiam sclavus dicti q. Jacobi. Item tabula una prò mensa cum suis trepodibus. Item banchalia duo in caminata. Item catrede tres prò dominabus. Item catrede due desnodate prò dominabus. Item stagnonus unus cum uno rexentario. Itetn capsie-due intarsiate. Item capsieta una a domina intarsiata. Item capsia una parva. Item capsietina una parva pro scriptis. Item scamelinus unus. Item catedra una pro homine desnodata. Item capusera una intarsiata cum sua tela pinta. Item maiestas una de Iocio posita intra murum. Item tarcheta una cum suo costolerio sive fachino. Item torcular unum. Item banchalia duo iuxtà lectmn cum sua subbanclia. Item bancha una post lectum. Item stagnarie due stagni. Item lentiamen unum de telis quatuor talis qualis. Item foderatura una penne albe prò goneleta prò domina. Item gona una nigra pro homine foderata vulpium, et perfìrata contradusium. Item coprilectum unum vermilium. Item gona una paonacie prò domina a peciis quatuor nova. 280 DOCUMENTI Item gona una pro domina pili leonis. Item gona pro domina arzuris. Item gonela una amedtia alba. Item gona una alba a domina. Item ucha una panni nigri foderata tafetalis cremexilis. Item lensoletum unum parvum. Item gona una panni roani pro domina a peciis quatuor. Item foderatura una penne albe pro domina. Ttem gona una panni mostenile pro domina a peciis quatuor. Item bialdum unum Ihameloti pili leonis a domina. Item dobletum unum tale. Item bialdum unum pro domina. Item turcha una nigra foderata penna nigra. Item falde cotonine pro domina. Item camixiola una panni albi pro domina. Item lensolus unus de telis quatuor talis. Item alius de telis quatuor. Item velata una ai domina nova. Item paria tria lentiaminum de telis quinque nova, Item aliud par in lecto. Item toagia una bambaxii nova. Item alia lini nova. Item iallia lini. Item toagioli sex novi a manu lini simul existentes. Item toagioleti duodecim pro mensa. Item velata una pro balneo pro domina nova. Item copri perticham unum lame magnum. Item gona una bochasinii pro domina. Item copri perticham unum morescum. Item Iuponus unus sete coloris Ihanctalami sive zentunini. Item Iuponus alius zentunini niger. Item gona una bambaxine retracta. Item gona una bochasini de peciis quatuor. Item alia gona bocasini retrata. Item gornea una retrata bocatsini. Item scaparoni duo butanie. Item velata una pro domina. Item velata una pro balneo de dobleto. DOCUMENTO XIII 281 Item par unum lentiaminum pro balneo. Item sonia una. Item sachus unus novus in quo sunt res infrascripte. Et primo turcha una simpla nigra. Item Iuponus unus panni coloris paonacis. Item pialria duo caligarum. Item Ioponus unus panni misculi foderatum blanchete. Item certum blanchetum veter. Item camixie septem pro homine. Item pecium unum sive scaparonum tafetalis cangiante et aliud viride. Item toagiola una prò capite. Item scatula una mastici. Item mlalrsapanus unus. Item vuete (uvete?) quatuor. Item paneti duo parvi suchari. Item velate due que omnia existentia in dicto sacho, videlicet a sa-cho infra reposita sunt penes Franeiscum Delfinum notarium. Item scagnetus sive capsietina una pro scriptis cum rebus intus ea et primo borsoti duo cum resta una paternostrorum. Item scarcela una veluti talis. Item busuleta unlaj zebeti. Item ponsonus unus anofanti. Item masetus unus acum. Item par unum bilanciarum parvum cum suo bilancere. Item marchorus unus. Item sonia una rechamata que etiam reposita sunt penes dictum Fraruciscum. Item c'orrigieta una a domina parva cum sogia tantum et splan-gis quinque. Item frexetum unum cum duobus ferretis argenti. Item casietina una anofanti. Item toagiola una de brugiis et binda ima de brugiis. Item par unum fadarum prò camixia et etiam tella prò busto. Item binda una de brugiis. Item borsotus unus zentunini cremexili. Item capsieta una supresi. Item pomus unus perlarum de perlis quatuor. - \ · . ' . ■ , ' · · Ψ 'i J ; . . ·· · · . . · ',*··;.■ 282 DOCUMENTI ■ Item anulus unus cum lapide adamantis. Item sigilus unus auri cum costetis adamantis. Item marsapanus unus. Item anelete argenti a numero CLXXIIII. Item toagiola una sete pro domina. Item mandilum unum recamatum pro lecto. Item certi pecij parvi bocasini. Item certi pecii parvi saie. Item certi pecii parvi bialdi. Item linnesolus unus filii .celestii. Item capucius unus pro domina. Item certum perfilum dosiorum et etiam gambetarum. Item par unum manicarum zentunini pili leonis talis. Item falde gonelete panni tinti in colore roze seche. Item foderatura unai blancheti pro gona domine. Item pecii duo saponis. Item camixie septem a domina tales. Item scosali duo tele. Item camixia una a homine.' Item sonie setem. Item copricapusorium unum bocasini pro estate. Item toagioli quatuor et duo toagioreti. Item toagiole quatuor pro domina magne. Item mandili quatuor pro homine. Item velarete due. Item colareti septem pro domina. Item alii quatuor. Item sacheti duodecim tele pro domina. Item vuete (uvetef) duodecim. Item binde tresdecim tele lini et alia de brugiis. Item berretina una bocasini. Item copripertica unum talle. Item capelus unus palie pro domina. Item filum tortum in pondere libre unius cum dimidia. Item oregierii duo. Item lensolum unum lane. Item dobletum unum. Item cosinum unum. DOCUMENTO XIII 283 Item straponte due. Item filum pro facienda tela stupe in pondere libr. VIII unc. VII. Item filum pro facienda tela in pondere libras quatuor. Item cantar etus unus. Item petene unum anofanti. Item stagnarie tres terre de Valentia. Item pravium unum magnum de Valentia terre. Item sanaverii tres terre de Valenti®. Item toageta una stupe talis. Item brustia una. Item bancheta una prò dominabus. Item liber unus stamparum intitulatus liber sanctorum patrum. Item alius liber vite sancti Ieromini etiam stamparum. Item toagia una vetus. Item sachus unus parvus cum lintigiis. Item trapa una prò gindaris. Item straponta una parva. Item copriletus unus lane viridis.' Item jarra una olei cum suo torteirolo. Item meizera una. Item cocleare unum argenti. Item gladii tres prò mensa. Item tofania una ligni. Item restairana (resteirina?) una ferri prò meizera. Item lebetem unum. Item calderorum unum. Item oacia una rami. Item cacia una ferri perforata. Item patela una cum sua gropia. Item brandale unum. Item catena una ferri. Item bacile unum pro tonsoribus. Item pairolus unus. Item jarra una magna. Item alia parva. Item banchalia duo vetera. Item ciacii duo sete et alius pili. 284 DOCUMENTI Item lucerna una. Item candelabra duo latoni. Item tortera una cum suo canello. Item tabula una pro pane. Item conchete due terre. Item mortale unum cum suo pistelo. Item prati duo stagni. Item glareti quatuor stagni. Item sanaverii octo stagni. Item tagierii quinque ligni. Item concha una ligni. Item unus torchetus. Item carratelus unus. Item carratelotus aliud. Item carreolus unus. Item traveti tres. Item banchale unum veterum in parte sine coperchio. Item coffanus unus deauratus veterus. Item mezena una carnis salse. Item capeli tres. Item copertorium unum burdi. Item iornea una butanie. Item bialdum unum pro dolso Caterine predicte. Item copertorium unum telle iane parvum. Item par unum lentiaminum de telis tribus. Item tanonus unus. Item speus unus. Item sconia una. Item panerius unus magnus. Item alius pro erbis. Item speculum unum rotundum magnum. Item curlus unus ligni. Item burnee tres terre. Item serchium unum pro sugandis rebus ed tanonum. Item goneleta una rosee..·. (guasto nella carta) veteris traddi-ta ad tingendum. Item carratelus unus in quo est vinum. DOCUMENTO XIII 285 Item anulus unus rotundus cum lapide adamantis in pignore, pro libris duodecim penes Carolum Lomellinum. Item anulus unus cum lapide rebino penes cabelam vini pro introitu de metretis quinque cum dimidia. Item sigulus (sic) unus cum lapide calciadone penes casanam pro libris decem. Item cateneta una argenti suprtai deaurata in pignore penes perrudhiam riciam pro libris sex cum dimidia. Item corrigium unum tiratum in pignore penes Pastorinum II-larium pro libris quinque cum dimidia. Item corrigium unum argenti deauratum celustrinum penes Iu-lianum Delfinum pro libris octo et soldis sex et similiter penes dictum Iulianum aliud corrigium sine cinto. Item ihavacorium unum argenti cum gladiis tezorietis argenti et aliis fulcimentis, videlicet coralis, signis et aliis. Item diale unum argenti. Item liberetus unus officiolum. Item camixie tres vendite pro libris duabus et soldis duobus. Item alia camixia. Item par unum manicarum veluti oelestii veteris traddite ad vendendum. Item foderatura una zentunini cremexilis pro dominabus. Item toagie quatuor nove traddite ad faciendum et que adhuc sunt penes toagiarium Sancti Ambrosii. Item sachus unus. I-tem mortale imum bronzi cum pistelo. Item straponta una parva. Item toagie due. 286 DOCUMENTI XIV e XV. REGISTRI DI CONTI DEL NOTARO ANTONIO GALLO Ms. 750 e Ms. 711 Presentiamo una serie di estratti da due registri in-folio dell’archivio di Stato di Genova, i quali contengono gli affari e le spese che Antonio Gallo, notaio e cancelliere dell’ufficio di San· Giorgio, fece dal 1491 al 1494 (ms. 750) e dal 1504 I5°9 (ms. 711). Sono due pregevoli esemplari di libri-mastri del Rinascimento. Sulle pagine pari vi è la. lista dei Debet, cioè dei debiti del Gallo e dei suoi clienti, sulle pagine dispari la lista dei Recepimus, cioè le ricevute di estinzione dei debiti, ma le spese domestiche (Avaria, Scotum) occupano spesso e la pagina pari e la dispari. Le partite di comi ’rcio sono raccolte in varie colonne e distinte in cartularii ovvero rationes. Spesso si fa la capsia, ossia si tirano i conti ; poi si riaprono le liste dei guadagni e delle spese; in fondo al registro 75° v* ^ ^ rendiconto finale, detto Ratio lucrorum, manca invece nel registro 711 perchè la morte colse il notaio prima di terminarlo. Le carte sono numerate soltanto sul recto ed il numero serve anche per la pagina di fronte, cioè il verso della carta precedente; ad esempio la 12 v. e la 13 r- si calcolano come carta 13. Per rendere più facile agli studiosi la ricerca dei conti sugli originali abbiamo distinto il recto dal verso di ogni carta; per rendere più agevole la stampa abbiamo mutata la numerazione romana in cifre arabe, poiché lo stesso Gallo usava promiscuamente l’una e l’altra grafia. Da questi cartolari abbiamo tratte alcune notizie su Antonio Gallo per la prefazione ai suoi Commentari pubblicati nella nuova edizione dei Rerum Italica/rum Scriptores curata da V. Fiorini e uno studio sulla Vita Privata di A. Gallo nel-l’Archivio Muraitoriano. DOCUMENTO XIV 287 XIV. Cartularium Rationum privatarum Antonii Galli Ms. 750 — Anni 1491-1494. Allume, Cotone, Pepe, Tonnina. (C· 52 v.) Jhesus 1493 die 29 Martii. Antonius de Montexoro debet pro precio de cant. 117 aluminum ei venditorum ad L. 3 cant. usque anno 1490 die 17 Septembris vigore instrumenti rogati per Antonium Pasturinum notarium in decembre die 5 prò cartulario aluminum de 54. — L. 354, s. 10. (C· 61 v.) Jhesus 1491 die 18 Februarii. Aluminum sachi 45 conducti in Chio cum nave Gabrielis de Pinu et in eo loco ad gubernum Petri. Francisci Catanei debent pro alio nostro cartulario precedente in cart. 66 prò introitu de 3. — L. 6, s. 3, d. 10. (C. 63 v.) Jhesus 1494 die 29 Julii. Aluminum sachi 26 cant. 50 vendita in Chio per Thomam Cata-neum debet pro exitu de 84. — L 259, s. 7. (C. 33 v.) Jhesus 1492 die 15 Martii. Cartularium aluminum debet pro precio archibuxorum 25 ferri L. 61 et pro scapulis ferri pro faciendis dictis archi-buxis L. 84 pro Gregorio Gallo de 21. — L. 145. (C. 67 v.) Jhesus 1492 die 27 Julii· Cotona conducta de Chio cum navibus Furnaria et Camilla ratio avariarum debent pro naulis de sachis 36 receptis de nave Jeronimi de Furnariis cantara 90 r. 17 ad s. 20 bone monete pro cant. 1 valuta computata cabella piatarum cum salsa de moneta currente pro dicto Ieronimo de Furnariis de 43. — L. 116, s. 10. « 288 DOCUMENTI (C. 68 v.) Jhesus 1492 die 27 Julii· Cotonorum sacchi 82 empti per Paulum nostrum in Chio et Foliis spectantes Dominico Bocafo per 4 undecimi et mihi pro reliquis 7 undecimi debent pro consteo cum omnibus avariis usque in navibus Furnaria de sacchis 36 et in nave Camilla de sacchis 46 pro dictis 7 undecimi pro eorum ratione monete Chii rationatis L. 2 pro ducato Chij ducati 844 1/2 videlicet grossi de 89. — L. 1689, s. 1. (C. 68 v.) Jhesus 1492 die 27 Julii. Piperis pondete 10 mihi assignate pro dimidia1 empte in Bur-sia per Paulum filium meum et pro alia dimidia assignate Dominico Bocafo debent pro dicta dimidia cum omnibus avariis usque in nave Furnaria pro dicto Paulo de 89. L. 781, s. 13. (C. 70 v.) Jhesus 1494 die 5 Martii. Tonine caratelli 9 de antefacto recepte de nave q. Vincentii Ca-tanei versus Cadexe omnes maere, debent pro laboratoribus caravane et ponderatoribus L. 3> s· 7 Pro deposito facto Officio Sanitatis. — L. 6, s. 12. Item die ea pro eorum naulo pro Iacobo et Percevale Cataneo de 75. — L. 27, s. 11, d. 6. (Nella C. 71 r. di fronte è segnata la vendita al minuto de caratelli di tonnina. Il costo di ognuno di essi varia tra le 38, le 39, le 42 lire; ma ve n’è qualcuno venduto (( precio minori quia enait devastatum » cioè a Lire 32). Panni e Sete. (C. 5 v.) Jhesus (senza data). Mauricius Cibus debet nobis pro rauba habita ab apoteca nostra in qua fuit pro emere misellum clarum (de) Londone pro una veste pro Pereta uxore sua diu per eam portata et nisi satisfactus ero nec ita eorum remitto nec in hoc se-culo nec in futuro pro alio precedenti cartulario in cart. 10 pro introitu de 3· — L. 36, s. 6. DOCUMENTO XIV 289 (C. 5 v.) Jhesus 1492 die 25 Maii. Item die 25 Maii 1492 pro precio unius pecie clamelloti ex certis existentibus tunc in apoteca nostra Tome Catanei sibi sive d. P eiesane date pro dicto Toma de 17. — L. 20. (C. 16 v.) Jhesus 1491 die 18 Februarii. Item die ea prò panno paonacio alias habito et misso Sinerckam Ieronimo de Cassana· — L. 6, s. 5. (C. 21 v.) Jhesus 1491 die 29 Martii. Bartholomeus de Ceva filius Dominici seaterius debet prò predo de lib. 196 uncis 3 in sete stravai vendite ad L. 5, s. 5 pagarum de 89 franchis de upa et censaria valuta prò eiùs ratione de 63. — L. 1030, s. 6, d. 3. (C· 60 v.) Jhesus 1491 die 18 Februarii. Pannorum Ianue balla una, conducta Chium per Petrum Fran-ciscum Cataneum, in qua sunt pecie 8 stametorum Ianue fini et unus scaparronus cane 101, et pecia una mantuana viridis, pecia una florentie nigra fina et pecia una paonacia mantuana et pecia una florentia (sic) paonacia cazelle debet prò alio cartulario precedenti computatis comerchijs in car-tis 63 pro introitu de 3. — L. 913» s. 4, d. 8. Item die 15 Aprilis 1491 prò laboratoribus caravane carri-gandi de 78. — s. 4. Di fronte ai panni, a C. 61 r., vi sono le seguenti ricevute : Reciepimus 1491 die 17 Augusti in processu mantuane viridis in Petro Frane. Cataneo in 86, Ducati 30, z. 6. — L. 61, s. 4. Item die 23 Iulii in processu de'can. 81 stametorum per contra venditorum per Paulum nostrum in dicto monete Chii in 89, Ducati 262. — L. 524, s. 2. (C. 61 v.) Jhesus 1491 die 18 Februarii. Tercia pars de pecis 32 mantuanarum Ianue finarum et de peds 8 more florentiarum ex quibus alique tincte in grana tam paonacie quam scarlatine conducte in Chium per Petrum Franciscum Cataneum, debet prò alio precedenti cartulario in cartis 60 prò introita de 3. — L. 1043, s· *4> d. 4· (C. 62 v.) Jhesus 1492 die 18 Februarii. Clamellotorum Angori pecie 13 fine et dimidia de pecis 51 ac dimidia de pecis 84 et pece 44 de forte diversorum colorum 290 DOCUMENTI pro maiori parte nigre, debent nobis pro alio nostro cartulario in cartis 67 pro introitu de 3. — L. 1865, s. 6. Septe stravai azie 39, lib. 329, unc. 13 in uno fardello habito a Iohanne baptista et Dario Pinellis per Tomam Cataneum ad baratum de pecis 53 mantuanarum Ianue mihi spectantes per L- 205 netis debet nobis pro alio nostro cartulario in cart. 67 pro introitu de 3. — L. 867, s. 8. Di fronte, a c. 63 r. zi sono le vendite al minuto dei clamelloti; interessanti fra le altre: Item die 18 Maii (1491) in duabus peciis duplis vergatis rubro et nigro venditis Paridi de Flisco pecia L. 60 qui tunc non solvit quam L. 60 et ignoro si restum poterit ab eo extrahi in dicto in 15. — L. 60· Item die 20 Septembris in processu nitido de pecis 52 venditis in Sibilia in Acelino Cataneo in 88. — L. 888. (C. 64 v.) Jhesus 1492 die 26 Julii. Balla una pannorum Ianue more perpinianorum rationis Dominici Bocaffo debet prò canabacio can. 4 1/2 s. 15 Pr0 cordis s. 3 prò ligatore s· 5 in summa prò Gregorio Gallo de 39. — L. 1, s. 4. (C. 67 v.) Jhesus 1492 die 27 Iulii. Bocasinorum pec. 27 habite de Chio cum nave Camilla et debent pro eorum consteo usque in nave pro Petro Francesco Cataneo de 86. — L. 91, s. 9. Montoninarum pec. 205 in una balla recepte de Chio cum nave Ier. de Furnariis rationis Dominici Bocafo debent pro naulo de Chio Ianuam per cant. 2, r. 40 ad s. 20 prò can/t. valuta computata cabella cum salsa prò dicto Ieronimo de 43· L. 2, s. 10, d. 6. (C. 68 v.) Jhesus 1492 die 27 Julii. Clamellotorum Angore pecie 90 meo nomine empte in Chio per Paulum filium meum ex pecis 120 baratatis contra certa panna, quarum peciarum 34 spectaint Aiegro de Arquata, debent pro eorum consteo usque in nave Iercnima de Furna-ris in suis avariis prò dicto Paulo de 89. — L. 970, s. 16· 291 (C. 70 v.) Jhesus 1494 die...... Pannorum strictorum de statuto pec. 44 empte in Anglia per An-toniotum Calvum et q. Stephanum Lomellinum ad baratam de pec. 25 tapetorum, debent pro eorum primo consteo usque - in nave de Bozollo carrigatis in una balla mihi consignanda et pro contra per litteras meas cornisi Tome de Bozollo patrono consignet ad voluntatem Pauli filii mei in Cadexe et u-bique debebit pro dicto de 87. — L. 262. (C· 71 v.) Jhesus 1493 die 24 Decembris. Septe stravai azie 12 recepte in uno fardello cum nave Johan-nis Ambrosii de Nigrono versus Chium ia Petro Francisco Cataneo sunt lib. 110 uncie 6 Chij netis ad z. 22 libra debet pro dicto Petro Frane, de 86. — L. 506, s. 6. (C. 74 v.) Jhesus 1494 die 19 Februarii. Iacobus Paxerius pro precio aciarum 12 sete stravai ei venditarum lib. 106 unc. 7 net(te?) ad L. 4, s· 16 Lib. 1, valuta pro ratione dicte sete de 72. — L. 511, s. 2. Item die ea pro ripagrossa computata salsa de 44. — L. 10, s. 14, d. 2. Item die ea pro censaria sue partis de 82. — L. 5, s. 2. Item die ea pro avantalio monete pro lucris de 83. — s. 9, d. 10. (C. 75 v·) Jhesus 1494 die 8 Aprilis. Dominicus de Nigrono pro Bertomelino nostro apotece et sunt pro canis 2 parmis 3 1/2 panni Ianue miscli L. 10, parmis 21 vermilij Ianue larg. L. 15 s. 3 d. 8., parmis 16 miscli scuri L. 5, s. 7 can. 1, parmis 3 vermilii, L. 4 s. 13 d. 4 et parmis 13 1/2 pili leonis L. 6, s. 9 in summa de 55. — L. 41, s. 13. (C. 85 v) (senza data). Thomas Penchus debitor spectans mihi avallatus per Thomam Cateneum ex processu mee partis certorum pannorum ma-rorchinorum Ianue debet pro alio car. 0 in cart. 9C pro Introitu de 2. — Ducati 12, z. 6, qr. 1 = Lire 25, s. 5. (C. 88 r.) Jhesus 1492 die 27 Iulii. Item die ea in processu de pec. 10 mantuanorum de 22 venditorum per Paulum filium meum in Chio de 65. — D. 259, z. 2, qr. 2 = L. 518, s. 10. 292 DOCUMENTI Item die ea in dicto Paulo in processu de pec. 7 ex pec. 11 pannorum de grana per eum venditorum in Chio in 89. — D. 507, z. 9, qr. 1 = L. 1015, s. 17. Item die ea in processu de pec 7 pannorum suorum de Garbo per dictum Paulum venditorum in Chio in dicto in 89. D. 208, z. 2, qr. 3 = L. 416, s. 11. Item die ea in processu de pec. 8 pannorum suorum sopramani venditorum per dictum Paulum in dicto in 89. D. 261, z. 2, qr. 2 = L. 522, s. 10. (C. 90 r.) Jhesus 1493 die 3 Decembris. Item die ea in consteo unius quarti de pec. 42 pannorum An-glie vastonorum in dicta nave (di Frane. Cattaneo) onustorum nobis assignati valuta in eorum ratione in exitu in inferiori. — M.a 54I23 = 433· Commerci con la Corsica. (C. 29 v.) Thesus 1491 die 20 Octobris et fuit ante. Fructuosus de Murtura debet pro cabelle cane unius pede sta-meti de Vigeino cius nomine per me expedite et solute pro introitu de 20. — L. 3, s. 1. „ i. Item die ea pro consteo coffaneti pro Gregorio Gallo pro introitu de 20. — L. 5> s· I0· . T Item die ea pro precio duarum costetarum adamantis pro u-liano videlicet pro palmis 6 tele olande L- 1, s. 10, palmo medio camocati viridis s. n et palmo medio veluti morelli s. 18 una toagioleta septe s. 10 pro rebus missis Alfonso de Ornano et pro palmo uno et dimidio campdati viridis pro manicellis et colario guponi (sic) seu L. 1, s. 16 m summa pro Oberto de Magnasco de 31. — L. 5, s. 7. (C■ 35 v.) Jhesus 1492 die 2 Decembris. Panni et alie implicite empte pro Corsica nomine Dominici de Nigrono et nostro, pro duobus terciis pro ipso Dominico e uno tercio pro nobis debent pro peciis duabus stametorum placentinis canis 21 parmis 1 communis, emptis a Petra Le- DOCUMENTO XIV 293 xaria L. 105, s. 10 et prò scaparrono uno vermilio et alio turchino canis 11 parmis 5 ad L. 4, s. 15 L. 55 ad canam communis omnia in summa prò Gregorio Gallo de 21. — L. 160, s. 10. Item die ea prò precio peciarum 9 fustaneorum alborum L. 27 et prò peciis 22 albis ad L. 3 s. 5 pec. 1 L. 71 s. 10 et prò peciis duabus nigris et duabus argentatis L. 24 in summa pro dicto Gregorio Gallo de 21. — L. 122, s. 10. Item die ea pro peciis duabus pannorum Ianue more florensola-rum emptis pro capsia de 32. — L. 62, s. 8. Item die ea pro pecia una stameti paonacie empte a Massucho ad L. 47 valuta deducta tara pro dicito et dictus pro capsia de 32· — L. 45, s. 12. Item die -ea pro pecia una panni vermilii empta a Bartholomeo de Solario L. 32 et una alia empta ab uno alio L. 27, s. 6, pecia una vermilia bona et uno stameto paonacia L. 105 et pro Baptista de Sigestro et pro uno stameto turchino empto a Nicolao de Figallo L. 43 s. 15 in summa pro capsia de 32. — L. 208, s. 1. Item die ea pro peciis duabus de 16 habitis a Stephano Beri-zo pro dicto de 16. — L. 39. Item die ea pro cannis 10 panni ialni L. 43 et pro una vermilia cuius habuit dictus Dominicus partem L. 57 s. 14 in summa pro apoteoa pro Paulo Gallo de 16. — L. 100, s. 14. Item die ea pro peciis 33 doriorum alfaitatorum cant. 4 r.o 34 ad L. 16, s. 10 canit. 1 valuta pro capsia de 32. — L. 72, s. 12. Item die ea pro barrilibus 5 olei in uno carratelo valuta computato carratello ad L. 8 s. 5 pro barrile pro eorum ratione de 61. — L. 42, s· 10. Item dia ea pro ferri dant. 34 alsarii cant. 20 r.o 20, pex. 75 bi-retarum grane in summa constat iuxta dictum Dominici (sic) de Nigrono pro dicto Dominico de inferiori. — L .228, s. 16. Item die ea pro canabacio can. 23 L. 7 s. 9 d. 6 pro cordis et ligatoribus de ballis sex in quibus predicta fuerunt posita L. 1, s. 6, laboratoribus s. 6 in summa cum canateiris dictorum pannorum et acimaturis de pecis 2 paonacis flo-rensolis et apontaituris pro Berthomelino nostro de 37. — L. 11, s. 6, d. 6. 294 DOCUMENTI Item die ea pro comerchariis expeditis per L. 15 de 37. — L. 15. Summa L. 1108, s. 19, d. 6. (C. 37 r.) Jhesus 1492. Item die 10 Aprilis in palmis 13 1/2 veluti nigri dupli donati per officium Corsice Vicentdlo de Bezio in dicto officio in 78. — L. 23, s. 12, d. 6. (C. 54 r.) Jhesus 1493. Item die 21 Maij in dimidia de L. 120 partite terciie per contra ei datis (al patrono di una galea) pro emendis vegetibus 20 vini in Eres portandis cum suo galliono Aiacium consignandis Damiano Canario et Ierolimo de Cornilia spectantibus pro dimidia ipsi Iacobo et mihi in Iacobo de Fre-vante in 57. — L. 60. (C. 80 v.) Jhesus 1494 die 22 Maii. Implicite misse per Berthomelinum nostrum Ieronimo de Mar-gonibus Aiacium debent pro grossis 22 alutarum L. 22, diversis scaparronis pannorum parvis L. 15, s. 2 libris 26 fili L. 10 s. 19, peciis tribus stricti anglie L. 14, s. 10, biretis sex in grana et duabus paonaciis L. 10, s. 4, stametorum Lombardorum can. 3 pr. 7 L. 30, canabacio in duabus vicibus can. 13 L. 30 s. 2 valuta omnia predicta in summa pro Berthomelino nostro de 80. — L. 106, s. 1. Navi. (C. 61 v.) Jhesus 1491 die 18 Februarii. Sexta pars unius gallioni portate minarum 800 patronisati per Iohannem Antonium de Marsagiono de Calvi debet pro alio precedenti cartulario in cart. 65 pro introitu de 3· L. 107» s. 10. (C. 62 r.). Recepimus 1491 die prima Sept. in nostra rata processus ven-die dimidie dicti gallioni facte in Roma in Iohanne Antonio de Marsagiono et de eo in capsia in 20. — L. 100. DOCUMENTO XIV 295 (C. 71 v.) Jhesus 1493 die 24 Decembris et fuit aute. Galeonum unum emptum ab Ant. Ozeira per Iohannem Antonium de Marsagiono de Calvi debet pro precio caratorum quinque pro quibus participo in dicto galeono pro dicto Iohanne Antonio de 54. — L. 150. (C. 73 v·) Ihesus 1494 die 20 Ianuarii. Galeonum unum redemptum ab Ambrosio de Cunio et nobis assignatum pro una tercia parte debet pro dicto Ambrosio pro dimidia ab eo redempta ut constat instrumento manu Ier. Lazanie not. et dictus pro Acelino de Bosco et dictus pro Lodisio de Ingibertis et dictus pro car.o aluminum de 54. — L. 90. Item die ea pro Martino de Neri pro lucro ei dato ex sua tertia parte mihi assignata de 73. — L. 30. Item die /20 Febr. pro cavo uno pro curonis cantara 2, r. 20, prodexio uno cant. 2, r. 25, agumena una torticia cant. 5 r.o 40, alia agumena torticia cant. 5 r.o 58 in summa cant. 17 r. 43 et pro avantalio iuxta consuetudinem quinque pro Antonio sunt, r.o 87 sunt in summa cant. 18, r.o 30 ad pagamentum valuta ad L. 40 s. 15 cant. 1 L. 86 s. 18 d. 6 et pro uno trazione L. 1, s. 7, d. 6 in summa- valuta pro Laurentio de Portufino de inferiori. — L. 88, s. 6. Item die ea pro precio unius anchore de cant. 4 in circa pro Iohanni Ant.o de Marsagiono de 54. — L. 20. Item die 6 Martii pro precio unius gondole nove pro M. Antonio Massole et dictus pro capsia accipiente Iuliano eius filio de 59. — L. 24. Item die ea pro expensis victus viagii Bonifacii facti per me pro earum ratione.de 77. — L. 39, s. 12, d. 4. Item die 6 Junij pro Fructuoso de Murtura patrono, ei datis pro expensis et dictus pro capsia de 82. — L. 18. Item die 7 pro precio minar. 7 farine empte ab Antonio farinoto ad L. 3, s. 3, pro M. 1. — L. 22, s. 1 et pro mercéde furnarii L. 1, s. 8, v.a pro furnimento expensis compagnie de 81 — L. 23, s. 9. . ’ II ms. 750 contiene pure alcuni conti di pane biscotto per i marinai delle galee dell’officio di S. Giorgio ; il pane veniva qualche volta confezionato in casa dello stesso Antonio Gal- 296 DOCUMENTI lo ed infatti troviamo a c. 34 v. alla data 27 Marzo 1492: « Ratio sachorum 70 panis biscotati facti in domo nostra nomine Officii Sancti Georgii » con le spese per l'acquisto (( Minarum 25 granorum lombardorum habitorum de Vul-turo )) più altre 4 mine comprate da Antonio farinoto ed altre 17 date dal Gallo, più la « mercede Iohaneti furnarii ac Brichi et Bernardi laboratorum ad s. 9 prò mina », la compera (( prò uno burato s. 7, d. 6, una vegete ad buratan-dum s. 15 » e infine le spese sono raccolte nella somma di Lire 138, s. 4, d. 6 pagate all’Officio di Corsica , ricavando però ancora « in furfuribus venditis. — L. 2, s. 16, d. 2 )). Dal registro appare che i due impastatari impiegarono 22 giorni per ridurre in pane le 46 mine di farina. Presentiamo qui un altro conto dello stesso genere ma molto più breve. (C. 80 v.) Jhesus 1494 die 30 Maii. Expense faciende pro galeono pro viagio Aiacij cum calcina et matonis Officii debent pro minis octo grani sive farine ad faciendum panem pro Antonio farinoto pro capsia de 76. — L. 25, s. 4. Item die 7 Iunij pro mercede furnarij pro capsia de 82. L. i, s. 8. (C. 81 r.) Recepimus 1494 die 30 Maii sive Iunij in precio minarum farine per contra ex qua confecti fuerunt panes 200 biscotati pro gallono, L. 22, s. 1 et in mercede coquendi dictum panem factum in domo nostra accipiente Baptista furnario L. 1, s. 8, in summa in Galiono in 74. — L. 23, s. 8. Item die ea in ima mina extra per contra in scoto in 5°· -^ire 3. s. 4. Corredo di Batestina di Lerici. (C. 23 v.) Jhesus 1491 die 23 Aprilis. Officium Sancti Georgii anni presentis de 1491 debet pro Ba testina filia q. Ser. Andree de Illice que ex eorum mandato stat in domo Pomete filie mee ad scotum, et mandavit etiam ut vestiatur per me, et dicta pro precio unius clavacorii ar 9 DOCUMENTO XIV 297 genti deaurati ponderati uncis duabus et denaris tribus empti ad s. 38 uncia una L. 4, d. 9 prò auro addito ad deaurandum K. 1 1/2 et manifactura s. 10 et prò cinto argenti L. 1 in summa prò Ganino Fontana fabro de inferiori. — L ς, s. 10, d. 9. Item die ultima Aprilis pro precio de parmis 20 saie paonacie L. 5 Pro dieta Batestina, parmi 1 1/2 zentonini de grana vermilii prò Melchione de Guirardis restus pro Iacobo de Frevante de 23--L. 6, s. 14. Item die ea pro dieta,, pro tela vermilia foderature gamorre pro Francisco de Quarto de 25. — L. 1, s. 2. Item die ea pro frexeto et cordella pro dieta gamorra pro Gul-lielmo de Mulasano et dictus pro capsia de 20. — s. 18. Item die ea pro M. Augustino sartore pro manifactura et seta et anelletis qr. 1 pro dieta gamorra pro capsia de 20. — L. 2, s. 9. Item die ultima Aprilis pro trena pro scolatura pro Oberto de Magnasco et dictus pro capsia de 20. — s. 18. Item die 7 Novembris pro trena argenti et septe pro colario sue gamorre cum massetis 5 septe pro cuxire pro Oberto de Magnasco videlicet pro palmis decem panni borraxini Ianue ad L. 5 cana una pro Iohanne Baptista Restano pro cart.o debitorum de 18. — L. 5, s. il, d. 2. Item die 20 Decembris pro parmis 10 paonacie Ianue pro una rauba et parmis 10 borraxini pro una goneleta emptis a Ihoanne Bapta Restano ad L· 5 cana 1 et pro manifacturis L. 2, s. 7, d. 6 in aneletis et cordela in summa pro Bertho-melino et dictus pro Paulo Gallo apotece de 16. — L. 13, s. 9, d. 6. Item die 18 Februarii pro dieta Batestina pro una goarnacia agninarum gentile pro Francisco Celexia de 33. — L. 3, s. 18. (C. 24 r.). Recepimus 1491 die 23 aprilis in precio unius strenzicorii qui fuiit Batine filie mee in Ganino Fontana superius. — L. 4, d. 9. (Evidentemente lo strenzicorio di Batina Gallo passò a Batestina di Levici come appare dal primo conto per questa. E’ da notarsi qui che le voci strenzicorio e clavacorio sono sinonimi)· 20 298 DOCUMENTI (C. 40 v.) Jhesus 1492 die 9 Iunii. Baptestina de Illice pro capsia data Mariole Agnetis pro abluenda sua iomea bocasini et danda Ser Andrea pro capsia de 38. — s. 7, d. 6. Item die 10 Februarii pro una penna pro goneleta pro Nic.o de Petra et dictus pro capsia de 59. — L. 3, s. 5. Item die 8 Martii 1494 pro calceis paribus numero 20 et pla-nellis paribus quinque L. 5 s. 15, manifactura unius capel-le L. 1, s. 5, d. 6, trena auri pro scolatura raube s. 10 cane-gera reconsepta s. 5 d. 6 et pro manifactura unius busti s. 8, d. 6, tela pro camexiis L. 2, s. 18 et uno orlo veluti s. 1 d. 8, in summa emptis per Pometam pro Fructuosa de 40. — L. 11 s. 12 d. .2. (C. 41 r.) Item die 24 Martii pro camocato violato panni 2 qr. 1 pro uno pari manicarum pro ipsa pro capsia accipiente Damianina nostra de 76. — L. 2, s. 10. Item die 22 Maij et fuit ante pro duobus paribus caligarum L. 1 pro can. 3 parm. 8 saie peli leonis pro una veste pro ipsa L. 8, s. 10 pro zentonino pro orlo et frexeto et fustaneo L. 1, s. 4, d. 8 pro panno viride pro una goneleta pro faldis et busto L. 7 s. 19 fustaneo et acimatore s. 8, in summa pro Berthomelino nostro de 55. — L. 19, s. 2, d. 9. (^C. 80 v.) Jhesus 1494 die 22 Maii. Baptestina filia q. Ser Andree de Illice debet pro alia mutata de 41. — L. 36, s. 17, d. 4. Item die ea pro duobus rebustis uno bialdi et altero camocati nigri s. 12 et pro zentonino nigro pro uno pari manicarum palmi 2 1/2 ad s. 15 parmo 1, L. i, s. 17, d. 5 et pro cane et aneletis qr.i 1, s. 14, d. 3, cotonina pro uppa sua camooa-ti nigri can. 3 1/2 L. 1, s. 15 in summa pro Bertomelino de 80. — L. 4, s. 18, d. 9. Item die prima Iulii pro una penna gentile Anglie in anno de 92 empta pro ea a Franc.o Celexia et dictus pro Off.o S. G. de 91 quod feceram debitorem hic retroscriptum de 24. L. 3, s. 18. Item die 29 Iulii et fuit 8 Martii pro uno perfilo ermerinorum pro Francisco Celexia de 33. — L. 2, s. 18, d. 6. DOCUMENTO XIV. 299 Item die (?) uno orlo et bracato pro manibus (sic). L. i, s. 4, et prò uno rebusto s. 12 pro capsia de 82. — L. 1, s. 16. Item die ea prò una pedia bialdi pro Georgio Merea et dictus pro capsia de 82. —. L. 5, s. 10. Item die prima Iulii pro duabus peciis bocasini de 68. — L. 8. Corredo nuziale di Lucrezia Boetio. (C. 38 v.) Jhesus 1492 19 Aprilis. Goarnimentum Lucretie filie q. Iac. Boetij et uxoris future Pauli filii mei debet pro una cateneta auri de uncis 4 in circa f acta per Nicolam Riam fabrum et nobis data per k 23 pro valore auri computatis L. 1, s. 10 prò manifactura et positis k 4 pro uncia pro manchamento valuta pro dicto Nicolao et dictus pro Iacobo de Frevante de 37. — L. 88, s. 18, d. 17. Item die 19 Maij pro una pecia bocasini bairami pro una Ior-nea pro capsia de 38. — L. 10. Item die 20 Iunii pro alia pecia bocasini in duobus peciis que erat domi prò avariis de 24. — L- 15. Item die ea pro una pecia bocasini bairami integra que erat etiam domi pro Gregorio Gallo de inferiori. — L. 25. Item die ea et fuit ante pro zarzachano pro una veste pro Oberto de Magnasco de 31. — L. 25. Item die ea pro pensione gregheti pro Paulo Salucio pro capsia de 38. — L. 8. (C. 41 r.) Jhesus 1492 die 2 Iunii. Recepimus 1492 die 2 Iunii in uno capello palee in goarni-mento Lucretie in 39. — L. 6. (C. 42 r.) Jhesus 1492 die 30 Iulii. Recepimus 1492 die 30 Iulii in predo et manifactura et auro cultellorum, tezoiretarum, agogiarolii, clavacorii, pomi mu-scaiti, agnus dei cum cordonis et catenetis in goamimento Lucretie in 39. — L. 85, s. 16, d. 3· (Dai conti a c. 39 r. e 41 v. appare che oltre a questi oggetti v’era anche un anulo paternostrorum (forse il fermaglio di una collana) e che il Gallo dette ai due orefici Illario de Bavastrello 300 DOCUMENTI e Marco de Fassis l’argento e Toro per tali oggetti; per i coltelli vi è questo particolare : pro lamis s. io et prò auro deaurandis previstis L. io). (C. 42 za) Jhesus 1492 die 23 Iulii. Lucretia filia q. Iacobi Boetii et uxor Pauli filii mei debet pro Andrea de Pastino Bartholomeo et Germano de Albario promissoribus librarum duarum millium pro dotibus ipsius de q. 64 pro ducato de 47. — L. 1159. (C. 44 v·) Jhesus 1492 die 19 Augusti. Goarnimentum Lucretie debet pro alia mutata de 39· — Lire 266, s. 4, d. ii. Item die ea pro clavacorio uno parvo albo unc. 3 qr. 1, k. 1 L. 5, s 7 computatis duabus strevetis alterius clavacorij et pro manifactura predictorum L. 1, s. 6 et pro sonaginis novem pro agogiarolio L. 2 s. d. 6 et pro argento unius catenete unc. 1 k. 34 L. 2 s. d. 7 in summa valuta pro Marco de Fassiis de superiori. — L. 10, s. 14. Item die 23 Augusti pro mappis strenzicorii parvuli unc. I k. 4 v.a ad s. 36 unc. 1 pro goarnimento Lucretie de inferiori. — L. 1, s. 17. Item die 3 Septembris pro ima uppa cremexi caphe L. 5° un0 bialdo firozelle celestis L. 10 una gonnella alba panni L. 15» uno pari manicarum morelis L. 1, s. 10 scofia una ex qua factum est borsotum unum L. 5 una goneleta viride L· 20, duabus panni una paonacia alia perpiniani clari L. I5> una corrigia neapolis L. 3 in summa valuta pro Andrea de pastino et sociis promissoribus de 47. — L. 114, s. 10. Item die 13 Octobris pro bindis 13 computatis duabus mediis toagiolis habitis a Oberto de Magnasco L. 6 s. 7 et Pro Pa^m0 medio zentonini albi frexeti parmi 8 cum leonato et orlo uno cremexi veluti sive leonati et parmi 4 cordele albe in summa s. 18 d. 2, parmi 12 cordele leonate s. 2, qr. 1 camocati albi s. 6, certa cordela s. 3 d. 6, pilo cremexi pro orlo uppe L. 3 s. 15, unc. 1 qr. 2 pili celestris L. 1, s. 4 in summa pro dicto Oberto de 49.— L. 12, s. 15 d. 8. Item die ea pro parlmis duobus brocati raxi cremixi pro manicis L. 18 et palmis duobus e uno quarto brocati celestris DOCUMENTO XIV 301 de argento L. 22 pro duabus paribus manicarum pro dicto Oberto de 49. — L. 40. Item die ea pro tela de Olanda canna 1 L. 4 et pro orlis tres brocati cremexi s. 18, orlo uno veluti s. 1, d. 6, et pro parmis 21/2 zentonini albi L. 3. s. 15 parmis 2 1/2 zentonini mo-reli L. 5 parmis 2 1/2 camocati tdelestis L. 3 s. 2 d. 6 in summa pro dicto Oberto de 49. — L. 16, s. 17. Item die ea pro fustaneo s. 4 et septa cremexi s. 12 morela s. 1, cordela et seta s. 3 d. 2, fustaneo s. 4 fustaneo s. 3 d. 4, fustaneo s. 7 bambaxia cum pilo s. 6 tele Olande parmi 2 s. 16, parmi uno zentonini leonati L. 1, s- 4, frexeto cordela orlo uno veluti celestris s. 12, fustaneo s. 10, seta turchina s. 4 parmi 16 trene turchine cum manifactura L. 1 s. 7, seta turchina s. 3 d. 4 cordela s. 2, d. 3, binda ima de Brugiis s. 9 parmi 1/2 bambaxine s. 1. d. 2 in summa pro dicto Oberto de 49. — L. 7, s. 9, d. 3. Nella pagim rimpetto, cioè 45 r. seguono le spese per il goar-nimento. Item die 12 Octobris debet pro manifactura unius raube de tagis bocasini videlicet pro repointo et pro repointis colaretis 6, uvetis 3, busti tribus camexiarum pro dominabus Sancti Bernardi sive Sancti Ieronimi de Roxio et pro resto Ca-tete Iustiniane pro manifactura borsoti in summa pro capsia de 46. — L. 4. Item die 11 Decembris pro palmis 57 1/2 veluti nigri pro una veste ad s. 28 d. 6 pro palmo dupli et plus s. 8 in tota summa v.a pro Gregorio de Pinu et dictus pro Andrea Cicero et soc. B. de 51. — L. 82, s. 6, d. 9. Item die 18 Dex. pro manifactura bustorum et duabus mappis corrigiarum neapolis deauratis pro capsia accipiente Damia-nina de 46. — L. 6, s· 15. Item die 26 Ianuarii pro pensione unius anuli adamantis pro Lucretia in manuale Lodisii de lussano pro capsia de 52 - L· 3- Item die ea prò canis 7 1/2 cotonine subtilis pro rauba veluti nigri ad s. 9 cana 1 prò Francisco de Recho et dictus pro Andrea Cicero et soc. B. de 51. — L. 3, s. 8. Item die 8 Februarii pro can. 2 parm. 6 pilileonis Florentie 302 et can. 2 1/2 arzuri florentie pro duabus vestibus pro Iacobo de Amigdola et dictus pro Andrea Cicero et soc. B. de 51- — L. 77, s. 10. Item die 23 Februarii pro pensione unius gregheti prò sex mensibus pro Gaspare de Clavexana et dictus pro capsia de 52. — L. 4. Item die 8 Martii pro signis 14 paternostrorum ad s. 9 pro singulo pro Illario de 42. — L. 6, s. 2. Item die 29 lulii 1494 in diversis laboreriis computata manifactura unius corrigie Balcenuni ( ?) in goarnimento Lucretie in 54. — L. 9, s. 12. (C. 45 v.) Jhesus 1492 die 23 Augusti. Damianina uxor mea debet pro precio qultelorum et tezoireta-rum argenti deauratorum emptorum a Franc.o de Axere-to de Recho unc. 12, d. 4, L. 2, s. 2 pro uncia una valuta prò dicto ipso accipiente antea L. 25 et hodie prò resto ac-cipiente Illario de Bavastrello s. 11 prò capsia de 38. L. 25, s. 11. Item die ea pro additione in catenetis d. 15 argenti prò Marco de Fassia 45. — L. 1, s. 6. Gioielli. (C. 60 v.) Jhesus 1491 die 18 Februarii. Ratio una iocalium que habemus in domo nunc existentium prò maiori parte penes Batinam filiam nostram et sunt perle 622 diversorum karatorum et preciorum et perle 5 precu de L. 15, adamas unus tabula, anulus unus et rubinus, duo sarairoli, unus speciarolus, una tacia aurata, unus sigillus auri prò Paulo in summa prò alio cartulario precedenti in cart. 14 prò introita de 3. — L. 381, s. 10, d· 7. Item die ea pro Nicolao Rabeto prò perlis 166 pro car.o aluminum de 10. — L. 37, s. 14. Item die 17 Aprilis pro precio perlarum 290 de k.... emptis pro traversa Lucretie prò Carlino de Ceva ad s .5 d. 10 prò pecio valuta prò capsia de 32. — L. 73, s. 14, d. 2. DOCUMENTO XIV 303 Item die 26 Maij prò duobus perlis de k. 4, 4 singula pro Mi-chono Cesina et dictus pro capsia de 37. — L. 24. Item die 24 Iulii pro uno scuto adamantis nudo pro Damia-nina pro capsia de 38. — L. 34, s. 15. (Di fronte, a C. 61 r.). Debet 1492 die 30 Septembris pro quatuor perlis in uno pomo Lucretie rationatis pro L. 20 et uno fermalio auri cum tri-bus perlis et pendino pauoi valoris cum granata prò nihilo a-preciatis rationato tantum auro pro eo quod valet L. 30, in summa in Andrea de Pastino et Sociis de 47. — L. 50. (C. 68 v.) Jhesus 1492 die 13 Octobris. Ratio iocalium et argentorum domi nostre existentium debet pro alia mutata de 61. — L. 601, s. 13, d. 9. Item die ea pro Basilio de Fassia prò auro posito ad anulum safirum qui est penes Damianinam K. 133 computato mancamento et prò manifactura dicti anuli s. 15, in summa pro dicto Basilio de 41. — L. 15, s. 3. Item die ea pro uno agnus dei auri penes Lucretiam pro dicto Basilio de 41. — L. 3. Item die ea pro una cruceta adamantis falsa pro Lucretia penes eam existenti pro dicto Baxilio de 41. — L. 5. Item die ea'pro auro et manifactura anuli rotundi Damianine videlicet auri computato mancamento K. 75 et manifactura s. 15 pro dicto Basilio de 41. — L. 8, s. 17, d. 6. Item die ea prò auro K. 130 computato manchamento et manifactura unius sigilli Damianine L. 1 pro dicto Basilio de 41. — L. 15. Item die 10 Octobris pro precio duarum taciarum argenti unc. 21 d. 18 emptis ad s. 35 unc. 1 pro officio Sancti Georgii de 87 de 49. — L. 39, s. 17, d. 9. Item die 20 Octobris pro consteo suprapluris unius tacie cum pede argenti unc. 15 den. 7 1/2 computato mancamento deductis unc. 12 d. 3 unius tacie nostre date per contra et pro auro deaurature per L. 1, s. 10 et non computata manifactura solvenda in summa pro Illario de Bavastrello de 42. — L. 7, s. 9, d. 9. Item die ea pro manifactura arme unius ex duabus taciis supra-dictis emptis ab officio pro Illario de Bavastrello de 42. — s. 5 304 DOCUMENTI Item die ea et fuit ante pro uno anulo auri sine gemma habito a Melchione de Guirardis in quo erat in pignore per L. 9, s. 12, d. 9 pro dicto et dictus pro lac. de (cancellatura) de 97. — L. 9, s. 12, d. 9. Item die prima aprilis pro uno cocleari unc. 1 1/2 pro Damia-nina nostra de 51. — L. 2, s. 8. (C. 69 r.).' Recepimus 1492, die 13 Octobris in auro anuli perle nostre de 41 in Basilio de Fassiis in 41. — L. 4. s. 8, d. 10. Item die ea in auro sigilli quod fuit Pauli nostri refacti prò Da-mianina in dicto Basilio K. 126 in 41. — L. 13, s. 12, d. 6. Item die 31 Octobris in auro fermalii habiti ab Andrea de Pastino in capsia in 46. — L. 26, s. 5. Item die ea in auro sigilli sive anuli rotundi per contra habiti a Melchione de Guirardis in capsia in 46. — L. 9, s. 10. Item die 9 Iulii in processu unius paris cultelorum argenti parvorum alias donatorum Batine nostre per Obertum de Sil-varicia et unius agogiaroli in Ganino Fontana in 30. L. 10, s. 10, d. 6. Masserizie. (C- 69 v.) Jhesus 1492 die 3 Septembris. Asnensia domus nostre debent pro uno bacile domaschmo prò Lucretia habito a Germano de Albario et dictus pro Andrea de Pastino et dicto Germano fideiussoribus de 47. L. 10. Item die ea pro paribus duabus lensolorum L. 14 dobletis duo-bus pro lecto L. 8 uno coprilecito vermilio L. 5 cultre una alba L. 12 in summa pro dictis Andrea et Germano de 47. — L. 49. Item die ea prò uno pari cortinarum tele sive una camera completa de ammoree L. 20, uno clavacorio Lucretie parvo L. tela lini L. 20, una corregeta argenti pili leonis L. 4, una gona bocasini Damianine L. 10. duabus togis quatropecns (sic) bocasini L. 8 una bambagine L. 3 una goneleta alba L. 6, una toga arzuri diete Damianine L. 25, uno pari ma- DOCUMENTO XIV 305 nicarum morelis brocati L. 9, uno pari manicarum argen-taitis L. 2 s. 5, una toga paonacia de Londone Damianine L. 12, duabus goneletis una uzata Lucretie et altera Damianine L. 12, duobus bialdis Damianine L. 10, toagiolis 4 L. 2 duabus togis a domina saie L. 10, duabus iorneis bambaxine L. 5 et duabus bocasini L. 6, uno bialdo cla-melloti celestis Damianine L. 15 in summa pro Andrea de Pastino et sociis de 47. — L. 193, s. 5. Item die ea pro lectucio uno L. 10, duabus capsis pisarum intar-siatis L. 20, una goneleta rozee Damianine L. 40, duobus bialdis fustanei dicte L. 8 clavatorio Damianine L. 12, duabus corrigiis L. 7 coraliis et signis L. 17, una uppa punta bocasini L. 12, uno banchali L. 5 in summa pro Damianina nostra de inferiori. — L. 131. Item die 28 Iulii 1494 pro una cultre bocasini ialni L. 10, una culdere et cosino L. 28, duobus paribus lensolorum L- 15 uno calderone et uno ramairolo L. 1, s. 16, tele stupe can. 12 L. 6, capseta cum omnibus in ea existentibus Damianine L. 16, s. 4 in summa pro alia ratione asnensium de 55. — L. 80. Spese domestiche. (C. 23 v.) Jhesus 1491 die 18 Maii. Avarie mee debent pro pecia una clamelloti nigra de qua facta est una iornea Berthomellino pro ratione clamellotorum de 63. — L. 17. Item die 3 Iunii pro uncie 16 qr. 3 1/2 tafetalis vegi solis pro foderatura dicte iorne pro Oberto de Magnasco et dictus pro dapsia de 20. — L. 15, s. 15, d. 9. Item die 12 Iulii pro annotationibus broaldi centuria una Poli-ciani et Suetonio cum comento pro capsia de 22 cum Marsilio Ficino et panegiricis Plinii. — L. 3, s. 15. Item die 11 Augusti pro diversis habitis ad apoteca Francisci Celexie pelisarii pro me et filiis usque hodie pro resto de acordio pro capsia de 20. — L. 8. 306 DOCUMENTI Item pro saia unius paris manicarum iuponi pro me pro capsia de 20. — L. i, s. io. Item' die prima Septembris pro tela parmi ii 1/2 de 13 pro capsia de 27. — s. 15. Item die 19 Octobris pro uno fioreto paonacia (sic) pro me pro dapsia de 27. — L. 1, s. 12. Item die 7 Novembris pro terella leonata pro iupono Augustini pro Oberto de Magnasco de 31. — L. 1, s. 19· Item die 24 Decembris pro uno cincto corigie s. 19 et pro calceis et planellis pro Augustino s. 12 pro capsia de 32. — L. 1, s. ii, d. 3. Item die 20 Iunii de 92 pro uno cosino piume pro capsia de 38. — L. 6, s. 14. Item die 10 Iulii pro calceis pro capsia de 38. — L. 1, s. 19. Item die ea pro parmis 10 1/2 firozelle nigre pro manicis pro me pro capsia de 38. — L. 4. Item die 9 Augusti 1492 pro tela nigra pro celo camere caminate pro capsia de 38. — L. 2, d. 6. (C. 47 v.) Jhesus 1492 die 13 Octobris. Avarie nostre debent pro alia ratione mutata de 24. L. 17» s. 7, d. i· Item die 13 Octobris pro palmis duobus dimiti viridis firozelle pro Augustino s. 12 d. 6 et palmis 7 zentunini moreli cremexi pro uno iupono pro Paulo L. 14 in summa pro Oberto de Magnasco de 48. — L. 14, s. 17, d. 6. Item die 17 Octobris pro can. 61/2 tele subtilis pro Mariola de Iugo de 41. — L. 4, s. 17, d. 6. Item die 3 Ianuarii pro salario Brandine sive Marie famule pro mensibus septem inceptis die 11 Maii ad L. 11 in anno pro dicta de 51. — L. 6, s. 8, d. 4. Item die 4 Martii pro una culcere et uno cosino emptis ad^ caligam a fide commissariis q. filii de Senarega et dicti pro fratribus Castelli et dicti pro capsia de 52. L. 51* s· 4· Item die 26 A.prilis 1493 pro goamimento brille unius mule pro caipsia de 52. — L. 3, s. 6· ..... Item die 8 Ianuarii 1494 pro tortis duabus cum dimidio lini pro Gregorio de 59. — L. 10, s. 6, d. 3. Item die 28 Februarii pro uno cincto nigro pro me pro capsia de 59. — L. 1, s. 15. DOCUMENTO XIV 307 Item die 7 Aprilis pro cotono et cavetijs prò capsia accipiente Da-mianina de 76. — L. s. 1 (C. 48 r.). Recepimus 1492 die 10 Martii processu certorum argentorum videlicet corrigie unius terate, unius corrigie blasemini et alio argento in Illario de Bavastrello in 42. — L. 31, s. 13. Item die 24 Novembris in pensione cavgerie (0 c. 45 v. caverie) perlarum in capsia in 46. — L. 1, s. 3, d. 4. Item die 16 Ianuarij 1493 in certo argento rupto quod erat domo in Marco de Fassis in 45. — s. 13. Spese per restauro di case. (C. 24 v·) Jhesus 1491 die 3 Iunii. Laborerium domus debet pro Gaspare Carpaxo infra solutionem quadretorum 5000 et clapellarum n. 2250 pro capsia de 20. — L. 19, s. 10. Item die ea pro batiportis et uno scarino pro trog;o et ^ortello superiori solarii pro M. Antonio rango et dictus pro capsia de 20. — s. 16, d. 6. Item die 8 Februarii 1492 pro parmis 36 tundorum vitri ad s. 5 pro palmo et pro palmis 10 vitri figurati in frexiis ad s. 8 pro palmjp, et palmis 48 ferrorum ad d. 6 pro palmo, in summa pro frate Augustino de Gavio de 26. — L. 14, s. 4. (E’ lo stesso frate qui fecit fenestras vitreas nella camera superiore del Palazzo di S. Giorgio e d’altre invetriate munì eziandio i cancelli del Palazzo medesimo. Belgrano, Vita priv. gen., p. 52). (C- 39 v.) jhesus 1492 die 26 Maij. Magister Iohannes de Lucino massachano debet prò capsia de 38. — L. 2, s. 8. Item die ea prò una clapa lavelli et uno starino posito ad portam domus et uno clapasolo posito lavello balnei pro illo de Lavania prò capsia de 38. — s. 12. Item die 2 Iunij pro precio scarinorum 36 L. 1 s. 12 et portitu-ris s. 3 prò capsia de 38. — L. i, s. 15. 308 DOCUMENTI (C. 60 v.) Jhesus 1491 die 18 Februarii. Domus nostra Ianue sita in burgo Sancti Stephani debet nobis pro rationamento facto ipsius domus retente in hereditate q. Christoferi de Iugo pro q. Isabella nostra pro eo de quo est debitrix in precedenti cartulario in cart. 50 pro introitu de 3. — L. 821, s. 10. Item die ea pro laborerio et consteo domus parve dontigue empte a Mariola et sororibus de Campis pro eo de quo est debitrix dicta domus in precedenti cartulario in cart. 61 pro introitu de 3. — L. 566, s. 7, d. 5. Item die 9 Iunii pro calce matonis et canonis cum quibus aptata fuit cloaca rudens in caminata pro Gaspare Carpaxo pro capsia de 82. — L. 5. Item die ea (29 Julii) pro certis laboreriis factis balneo pro M. Iohanne de Lucino de 40. — L. 4, s. 15· (C. 56 v.) Jhesus 1493 die 15 Maij. Expense ruris debent pro canteriis castanee de palmis 15 doz. 2 et duobus de parmis 21 L. 3 s. 17, et pro canteriis 4-or de parmis 20 L. i,s . 4, et doz- 2 de parmis 12 L. 2, s. 8, canteriis 10 de parmis 18 L. 2 uno bordonareto s. 15» canellis 4 cabularum castanee L. 2 s. 8 in summa pro Gabriele de Pinu de inferiori. — L. 12, s. 12. Jhesus 1494 die 29 Iulij. Gabriel de Pinu debet pro apoteca pro Bertomelino nostro de 80. — L. 12, s. 12. DOCUMENTO X'· 309 XV. Cartularium Rationum privatarum Antonii Galli Ms. 711 — Anni 1504-1509. Avarie et scota. (C. 12 v.) Jhesus 1504 die 17 Aprilis Avarie nostre debent pro una porta in orto versus Calignanum pro tabulis et agutis pro capsia de 9. — L. 1, s. 4. Item 30 Aprilis pro texturis tele stupe super cavetium pro Ber-tholomea de Columbo accipiente eius filia, deductis s. 5 mutuatis ei per Damianinam et solutis ei filaturis stupe pro capsia de 9. — s. 15. Item 9 Iunii pro ramis baratatis et reparatis pro Bartholomeo Stiroiso pro capsia de 9. — L. 3, s. 15. Item die ea pro aliis ramis in domo baratatis cum claputio in uno pairolo novo, refectis pro capsia de 9. — s. 13, d. 6. Item die ea pro uno libro Prudentii et aliorum pro capsia de 9. — L- 1. (C. 13. r.) Item pro imblanchituris telarum pro dapsia de 9. — s. 18. Item die 10 Julii et fuit ante pro uno torchio lecti pro villa L. 2, s. 10 et uno pari tripedorum s. 5 pro capsia de 9. — L. 2, s. 15· (C. 24 v.) Jhesus 1504 die 12 Novembris. Scotum inceptum 1503 die prima Octobris pro alia mutata de 18. — L. 108, s. 2. Item die eai et fuit ante pro farina in sachis 8 de Bastita Corsice estimatis L. 2, s. 10 pro sacho quia in eis erant stagio unus pro officio Sancti Georgii de 1503 de 22. — L. 20. Item die 23 Novembris pro rubi quatuor lib. 15 carnis suille pro Pantalino tata de 9. — L. 2, s. 17, d. 6. 310 DOCUMENTI /tem die ea pro vino metrete 6 de Murasana dimidio albo ad L. 3, s. 5 metreta i et dimidio vermilio ad L. 3 ad tina L. 18 s· 15 et pro vecturis L. 1, s. 10 in summa pro Pantalino tata de 9. — L. 20, s. 5. Item die 24 Novembris pro portaturis barrilium viginti vinorum de Calvi pro capsia de 24. — L. 1. Item die ea pro fassis 5 cannarum pro capsia de 24. — s. 7, d. 6. Item die 5 Decfembris pro unai mina grani barbarie de Orano pro Francisco sive Laurentio Cataneo et dictus pro capsia de 24· — L· 4, s. 11. (C. 25 v.) Jhesus 1504 die 20 Novembris. Avarie mee pro alia mutata de 20. — L. 27, d. 2. Item die ea pro mercede presbiteri Quinti pro Iacometo docendi psalterum pro dapsia de 24. — s. 5. Item die 24 Novembris pro Benedicta de Ferro, pro imblanchi-turis telarum pro capsia de 24. — s. 13, d. 6. Item die 3 Decembris, pro minis carboni duabus pro capsia de 29. — L. 2. Item die 16 Decembris pro reparatione stagnoni et uno sapun-culo loctoni pro dicto et pro uno recentali Lib. 6 rami novo et manico Lib. 1 unc. 2 in summa pro capsia de 29. L. 1, s. 1. Item die 23 Decembris et fuit ant pro scamelino pro labore dominarum pro capsia de 29. — s. 10. Item die 28 Decembris pro salario Mariole nutricis Izabelete filie Pauli pro mensibus 25 inceptis die 26 Aprilis 1502 nitis die prima Iunii de i5°4 de acordio pro Antonio de Fontanilio ad L. 18 in anno cum una pecia bialdi pro exenio de 8. — L. 37, s. 10. Et die ea pro oleo quod solvitur in primis mensibus nutricibus pro dicto Antonio de 8. — L. 1, s. 10. Item die 10 Ianuarii pro lino de Neapoli pro capsia de 29. s. 13· Item die 14 Martij pro manifactura trium toagiarum de stupa largarum pro capsia de 31. — L. 3, s. n. Item die 22 Martii pro calceis pro me et pueris ac servitricibus pro capsia de 35. — L. 3, s. 9. DOCUMENTO XV 311 (C. 44 v.) Jhesus 1505 die 24 Iulii. Scotum anni 1504 debet pro alia mutata de 33. — L. 102, s. 18, d. 6. Item die ea pro minis duabus tozelle pro capsia de 42. — L. 10. Item die ea et fuit 30 Septembris 1504 pro minis quinque grani saxete pro Ieronimo de fogia de 7— L. 21, s. 5. Item die ea et fuit 24 Maii pro media barrile olei pro capsia de 35· — L. 3, s. 19, d. 2. Item die 13 Augusti pro una mina farine tozelle pro capsia de 47·;— L.5> S. 5. Item die 19 Septembris pro carne habita a die 20 Februarii usque die 20 Augusti pro capsia de 47. — L. 12, s. 12. Item die ea pro carne habita a die 20 Augusti usque hodie Lib. 96, in..... Lib. 18 Franceschete de Albario restant Lib. 78, valuta pro capsia de 47. — L. 3, s. 12. Item die 31 Octobris prò carne habita a die 20 Septembris usque hodie computatis Lib. 30 Franceschete de Albario pro contra pro capsia de 47. — L. 5, s. 12, d. 6. (C. 45 v.) Jhesus 1505 die 30 Iulii. Item die ea pro busolina triache, una ampuleta sirupi, canonis quatuor cassie libra media, et ordeo et simula pro capsis missis cum predicto de 42. — s. 12, d. 6. (C. 48 v.) Ihesus 1505 die 4 Octobris. Avarie domus nostre et mee pro alia mutata de 26. —» L. 106, s. 5, d. 1. Item die ea pro Damianina nostra ei solutis per Frane,esche-tam de Albario pro carne habita computatis in lib. 150 carnis de quibus habet debitum scotum et expenditis pro domo per dictam Damianinam pro raitione scoti de 45— L. 1, s. 2, d. 6. Item die 18 Decembris pro salario Iacomine uxoris Pantalini de Rocataliata nutricis Iohannis Baptiste filii Pauli filii mei nati die 3 Iunii 1503, pro mensibus viginti uno et diebus septem inceptis die 18 Iunii, hoc est post dies 15 quam natus erat et finitis hoc anno die 25 Martii qua die eum reddidit valuta ad L. 18 in anno in dicto Pantalino de 33. — L. 31, s. 17. Item die ea pro sive die 16 Martii pro duobus brandonis et lib. 3 312 DOCUMENTI seriotorum alborum donatorum M. Iacobo de Lacumar-sino medico pro Lazaro de Valletario et dictus pro capsia de 52. — L. 2, s. 9. Item die 8 Aprilis pro saia pro iuponis pro Bernardo Artuxio in Georgio et Iuliano de Grimaldis et Serra B. de 45. — L. 12. (C. 48 v.) Jhesus 1505 die 31 Octobris. Scotum inceptum die prima Octobris 1504 debet pro alia mutata de 45. — L. 161, s- 14, d. 8. Item die 20 Aprilis 1506 pro consteo minarum 19 ex M. 22 habitorum ex sagitea Carpaxii de Corsica et M. 4 ordeorum venditorum in domo et donatorum M. Iacobo medico pro eorum ratione de inferiori. — L. 66, s. 9, d. 6. Jhesus 1505 die 31 Octobris. Scotum inceptum prima Octobris anni presentis 1505 et debet pro una barrile vini occidentalis empti in Recho pro Paulo Gallo de 50. — L- 1, s. 2, d. 8. Item die 10 Novembris pro dozenis 8 fascinarum s. 12 et eant. 17 lignorum ad s. 2, d. 2, eant, pro capsia de 47. — L. 2, s. 9, d. 9. d. 4. Item die 7 Decembris pro vecturis de M. 9 vini de Mulasana pro capsia et dicta pro Bernardo Gallo de 48. — L. 2, s. 5· Item die 18 Decembris pro vino metretis 9 de Mulasano videlicet sex albi et tres vermilii ad L. 3, s. 15 M. 1 ad tinam pro Pantalino de Rocataliata de 33. — L· 33> s· I5· Item die 20 Decembris et fuit ante pro doz. 20 bruscarum in Quinto et doz. 20 in Ianua pro Illario de Fassia et dictus pro cartulario antennarum de 50. — L· 3, s. 5· Item die 5 Februari pro macelario pro precio librarum 245 1/2 cairnium usque hodie habitarum in Quinto et post Ianue pro capsia de 52. — L. 9, s. 9. Item die 28 Februarii pro media barrile olei pro capsia de 52. — L. 5, s. 1, d. 9. Item die 23 Martii pro Antonio Fontana custode cabelle vini ad portam Arcuum pro cabella de M. 9 vini de Mulasana intratis per dictam portam et dictus pro capsia accipente To-maxino de Finali cum eius apodixia subscripta etiam manu Nicholai Lazanie notarii de 54. — L. 5> s· T9> d· 3· DOCUMENTO XV 313 (C. 55 v.) Jhesus 1506 die 27 Aprilis. Avarie mee debent pro alia mutata de 49. — L. 208, d. 11. Item die ea prò libris 25 saponi habiti a Iohanne Bazurro pro capsia de 54. — L. 1, s. 7. Item die 8 Maij pro domino Martino de Martega priore Sancte Crucis pro censu sive terratico domus maioris Sancte crucis anni elapsi de 1505 pro capsia de 54. — L. 1, s. 5. Item die ea pro caligario de pilo in porta Sancti Andree pro calceis habitis anno preterito et usque hodie pro capsia de 54. — L. 3, s. 17. Item die ea 27 Maii pro sucaro lib. 5 addito in cetronata et mellis lib. 12 prò capsia de 54. — L. 1, s. 7. Item die 13 Iunii 1506 pro manifactura trium strapointarum ruris et garbellatura plumarum duarum culcerum pro capsia de 58. — L. 1, s. 10. (Di fronte, a C. 56 r.). Debent 1506 die 2 Octobris pro capsia accipiente Lucretia et pro lino et refullaturis pro capsia de 60. — L. 1, s. 10. Item die 5 Octobris pro panno perpiniano sine pilo pro uno pari caligarum pro me in Toma de la Bona de 61— L. 2. s. 5. Item die 15 Octobris prò maciis decem lini pro Fructuoso de Murtura et dictus pro capsia de 60. — L. 2. Item die ea pro texturis tele pro Pelegrina de Clapis in capsia de 63. — I.. 3, s. 4. Item die 12 Februarii 1507 pro exenio facto M. Iacobo de La-cumarsino medico medicanti domi nostre sine premio pro cera et duobus paribus caponorum pro capsia de 64. — L. 3, s. 14. Item die 15 Februarii pro texturis tele in Amigo Columbo de 43· — L. i, s. 10, d. 6. (C. 65 v.) Jhesus 1507 die 4 Februarii. Avarie nostre debent pro alia hic mutata de 56. — L. 242, s. 8, d. 5. Item die ea et fuit 12 Augusti pro texturis in Amigo Columbo de 43. — s. 14, d. 6. Item die 30 Martii et fuit ante Natale pro presbiiero magistro scoi arum pro eius mercede docendi lacometum filium Pauli filii mei solutis per dictum Paulum tramesi (tornesi?) 140 21 314 DOCUMENTI missis per dictum Iacometum valuta :n dicto Paulo de 55. — L. 2, s. 6, d. 8. Item die 31 Martii pro dicto magistro ei missis cum dicto Ia-cometo cavallotis quatuor et unum lucense pro capsia de 69. — L. 1. Item die ea pro caligario porte Sancti xAndree pro calceis et pla-nellis pro me usque hodie L. 1, s. 18 et pro aliis de domo iuxta rationem datam a die 16 Maij preterito citra usque hodie L. 5, s. 6, in summa pro capsia de 69· — L .7, s. 4. Item die 15 Aprilis pro Toma de Revello bancalario pro diversis laboreriis factis per eum in domo de 37· — L. 1, s. 10. (Di fronte, a c. 66 r.). Item die 15 Aprilis 1507 debent pro expensis infirmitatis qm. Damianine uxoris mee in 52. — L. 13, s. 13. Item die ea pro medicinis habitis ab apoteca Ieronimi de Strata pro dicto de 15. — L. 21. Item die 11 Iunij pro texturis servietarum pro capsia de 69. — L. 1. Item die ea pro caligis et aliis pro Paulo Bernardo pro capsia de 69. — L. 10. Item die 5 Iulii pro saia parmi 12 unius juponi pro me ad s. 9 et tela parmi 6 nigra pro dicto pro capsia de 73. L. 5» s. 16. Item die 8 Iulii pro texturis de can. 12 tele de 18 pro Pelegrma de Clapis in capsia de 73. — L. 2, s. 19. Item die ea pro manifactura juponi pro me in cartulario pensionum de superiori. — s. 16. (C. 73 v.) Jhesus 1507 die 10 Iulij. Avarie mee domus pro alia mutata de 66. — L- 310, s. 13, d. 3. Item die ea pro consteo Quintiliani declamationum in carta de quaternis 16 manu q. Iacobi Curii L. 6 s. 8 et episto arum Marcii Tullii in forma litterarum minutarum L. 1, m summa pro Viano cartario et dictus pro capsia de 73· L. 7> ’ Item die 14 Iulii pro texturis tele relictis per Mariam Michi de Columbo in dicto Micho de 43· s. 12. Item die 18 Augusti pro datis Paulo et pro caseo et alus pro capsia de 74. — L. 2. . Item die prima Septembris pro deauratura et duabus cartis sive quatuor positis in principio Quintiliani cum arma de Auria DOCUMENTO XV 315 et littera una pro capsia eccipiente Ugone de Cunio de 74 inferius. — s. 15. Item die 9 Novembris pro duabus fìoretis nigris pro me pro óapsia de 77. — L. 2, s. 5. Item die 19 Novembris pro Bernardo Artuxio pro parmis 17 fustanee prò uno iupono pro me et dictus pro capsia de 77· L. 4, s. 5· Item die 9 Deoembris pro cerculis 38 et aptaturis unius vegete prò botario in capsia de 77. — L. 1. (C. 79 v.) Jhesus 1507 die 24 Decembris. Scotum domus inceptum hoc anno die prima Octobris debet pro alia mutata de 77. — L. 62, s. 16. Item die 28 Decembris 1508 pro una pecia casei grassi, dimidia retenta prò domo et altera dimidia missa in exenio M. Iacobi de Lacumarsino qui medetur sine precio, sive lib. 80 ad s. 1, d. 3 lioet valuta s. 1 d· 6 et plus valuta pro ratione caseorum de 65. — L. 5. Item die ea pro duobus brandonis lib. 6 unce 2 et ceriotorum alborum Lib. 3 unc. 6 missis dicto M. Iacobo valuta cum caponis octo ante ei donatis pro capsia de 79· — L. 5. Item die ea pro duabus scatulis diragie lib. 4.or mittendis Fructuoso genero nostro Ameliam ubi est potestas valuta pro capsia de 79. — L. 1, s. 4. (C. 82 v.) Jhesus 1508 die 7 Februarii. Avarie nostre debent pro alia mutalta de 74. — L 345, s. 8, d. 8. Item die 7 Febuarii pro duobus coffanis pro Marco Xorana et dictus pro capsia sine goarnimentis vel pictura de superiori. — L. 2, s. 10. Item die 20 Martii pro una torta lini pro capsia empta ab uxore Benedicti Spinule q. Brunori de superiori. — L. 5. Item die 28 Martii pro, sive prima Aprilis pro Jeronima filia q. Franci de Clapis pro texturis de can. 13, parmis 3 tele subtilis ad s. 4, d· 6 cana, pro capsia de 85. — L. 3. Item die secunda Aprilis pro inguarnitura Ptolomei figurati pro Ugo de Cunio pro capsia de 85. — s. 17, d. 4. Item die 7 Martii pro texturis solutis Marie de Migo pro capsia de 85. — s. 9 d. 6. 316 DOCUMENTI Item die ea pro pictura duorum coffanorum pro Marco Xorana et dictus pro capsia de 85. — L. 4. Item die 15 Aprilis pro missis cum Iacometo magistro scola-rum ipsius pro capsia de 86. — L· 1, s. 10. Item die ea et fuit ante pro texturis toagiarum et toageletorum pro capsia de 86. — L. 5. Item die 10 Junij pro texturis tele can. 34 de palmis 9 can. pro Maria de Migo pro capsia de 89. — L. 2, s. 12, d. 6. Item die 23 Junij pro Jeromino de Strata speciar io pro rebus et medicinis habitis a sua apoteca usque hodie ad complementum et dictus pro Acelino Saivago in scoto de 76. L-65. Item die 13 Julii pro duobus forceriis pictis pro capsia de 89. — L. 6. Item die 13 Octobris pro duabus tabulis hinmorum Sancti Laurentii et sanctorum Fructuosi, Eulogii et Angerii ( ?) videlicet pro scriptura accipiente p. Bertholomeo de Camulio s. 18 et cartis s. 11 et literis auri s. 9 et tabulis s. 8, d. 6 in summa pro capsia de 83. —L. 2, s. 6, d· 6. (C. 83 r.) . Recepimus 1508 die 18 Octobris in processu unius robom re-fullati qui fuit Bernardi nostri in capsia de 94. L. 13, s. 10. Item die 15 Decembris in una foderatura data Mariole nutrici in dicta in 91. — L. 3, s. 10· Item die 15 Ianuarii in processu unius toge veteris in capsia in 97· — L. 2, s. 10. Item die 14 Octobris pro historia Colochut et Columbi pro capsia de 94. — s. 12. Item die ea pro uno bireto nigro pro me pro capsia de 94· — L. 1· Item die 27 Oqtobris pro texturis toagiarum trium in capsia de 94. — L. 3, s. 18. Item die ea pro tincturis rauharum veterum et applanaturis pro capsia de 94. — L. 2, s. 3. Item die 10 Novembris pro perfilo cuniculorum nigrorum mee raube paonacie pro Nicolao de Petra pecis ( ?) quatuor pro capsia de 94. — L. 2, s. 8. Item die ea pro botarlo pro refectione botarum et Paulus ei plus solvit s. 6 pro capsia de 93. — s. 16. DOCUMENTO XV 317 Item die 23 Decembris pro magistro s colaram Iacometi ei missis cum eo pro capsia de 98. — L. 2, s. 3, d. 6. Item die 26 Ianuarii 1509 pro candellis pro Petro Marruffo et dictus pro capsia de 97. — L. 1. Item die 27 Ianuarii pro canabacio de ast cane 6 parmi 2 1/2, L. 2, s. 10 et refectura strapointarum trium s. 15 et tinctura de can· 91/2 tele s. 14 e manifadtura cultris saie rubee videlicet coprilecto pro Bernardo L. i, s. 10, et filo s. 4 in summa pro capsia de 97. — L. 5, s. 13. Item die 16 februari pro Sexino pro clavaturis duabus (errato per tribus) crichis una pro camera Gregorii altera pro camera babalnei (sic) et alia pro cochina inferiori et certis alijs pro capsia de 99. — L. 1, s. 14. (C. 97 v.) Jhesus 1508 die 29 Decembris. Scotum anni de 1508 inceptum die prima Octobris debet pro alia mutata de 93. — L. 89, s. 14, d. 7. Item die ea pro mina una cum dimidia carboni pro capsia de 97. — L. 1, s. 19. Item die 13 Decembris pro precio de Mez. 3 1/2 vini de Calvo pro Francescheto q· S. Petri et dictus pro capsia de 97. — L. 15, s. 1. Item die 24 Decembris pro caseo piacentino Lib. 15 1/2 pro capsia de 97. — L. 1, s. 1, d. 9. Item die 8 Januarij pro marsapani lib. 2 1/2 et pignochati lib. 2 pro Paulo Murchio speciario et dictus pro capsia de 97. — s. 18. Item die 29 Februarij pro amigdalis lib. 6, rizi rubo uno, garo-faris et pipere in summa pro Vincentio de lussano pro capsia de 99. — L. 1, s. 6. Item die ea pro dozenis duabus aringorum missis Sarzanam Francisceto de Parentucellis cum uno barriloto composte pro capsia de 99. — s. 11. Item die 5 Martij prò lentibus media quarta, et ciceris quarta una prò Iacobo Cortincello pro capsia de 99. — L. 1, s· 1. Item die 14 Martii pro M. 3 vini corsi de vico prò capsia de 101. — L. 12. Item die 15 pro carne habita a die 22 Aprilis usque die 9 Septembris a Batinolo macellario lib. 423 ex quibus de- 318 DOCUMENTI ducuntur lib. 84 nostrorum castronorum de corsica.ei consignate restant de acordio lib. 339 ad d. 10 libr. et valuta pro dicto in capsia de 101. — L. 14, s/3, d. 4. Jhesus 1509 die 15 Ianuarii. Stephaniis de Ceva nuncius qui servivit convivo nostro nuptiarum Bernardi filii mei debet pro cjapsia ipso accipiente ad emendum caponos de 97. — L. 18. Item die 26 dicti pro capsia ad emenda ut supra datis Bernardino coco de 97. — L. 12. (C. 100 v.) Jhesus 1509 die 7 Martij· Expense nuptiarum et conviviorum Bernardi filii mei debent pro Lazaro de A^alletari candelerio pro ceriotis albis lib. 6 unc. 4, L. 2, s. 10 et brandonis quatuor lib. 19 unc. 10 ad s. 5 d. 9 lib. 1, L. 5, s.. 14 in summa deductis s. 9 d. 6 pro mochis restitutis in officio Sancti Georgii de I5°9 de 99· — L. 7, s. 15. Item die 22 Martij et fuit ante pro Dominico Coresato pro eius gallinis et doz. 3 presinsolarum pro pastis de 104. — L. 6. (C■ 102 v.) Jhesus 1509 die 22 Martii. Avarie domus incepte die 17 Aprilis 1504 debent prj ali ratione mutata de 83. — L. 459, s. 15, d. 3. Item die ea pro tela canevete data in domo pro toagiis familie per Dominicum factorem Corresatum L. 2, s. 6, et tortis duabus lini L. 9, s. 15 in summa pro dicto Dominici (sic) de 93. — L. 12, s· 1. Item die 30 Maij pro uno Virgilio pro Iacometo pro capsia de 101. — L. 1, s. 4. Item die ea pro Catarinina de Albino pro mercede docendi Iza-belletam pro capsia de 101. — s. 12. (C. 103 r.) Item debent 1509 die 2 Junij pro Magistro scolarum pro Iacometo ed Iohanne Batino pro duobus mensibus pro capsia de 101. — s. 16. Item die 16 Iunij 1509 pro diversis pellipariis vulpium cum gu-letis martirorum et nigris habitis de caliga quorundam pelli-pariorum ut in meo manuali notularum offici apparet 1507 die 4 Decembris .in officio S. Georgii de 1503 de 42. — L. 20, s. 18. c DOCUMENTO XV 319 Item die 22 Iunij pro uno Ovidio Epistularum pro Antonio Cartario pro capsia de 105. — s. 5. Item die 3 Julii pro manifacturis duorum Iuponorum pro me et refectione duarum raubarum una paonacia altera nigra et pro Paulo pro quatuor Iuponis et certis aliis pro M. La-zaro de Costa pro capsia compensatis in pensione solarij de 105. — L. 6, s· 8. Spese per infermità e funerali. (C. 12 v.) Jhesus 1504 die 15 Aprilis. Symonima uxor qm. Gregorii Galli pro magistro Petro 'barberio pro eius mercede medicandi eam pro capsia de 9. — L. 3. Item die 4 Iunii pro M. Petro barberio pro complemento mercedis sue eam medicandi ultra tres menses bis in die ut constat instrumento manu Ieronimi Lazanie notarii de L. 6 pro capsia de 9· — L. 3. Item die 8 Iunii pro Ierolimo de Strata pro medicinis ut apparet per rationem sue apotece date de 15. — L. 15. (C. 35 v.) Jhesus 1505 die 1 Aprilis. Sepultura q. Simonine uxoris q. Gregorii fratris mei debet 19 Martii qua die migravit ad dominum hora 8.a noctis pre-cedentis, pro fratribus Sancti Augustini. — L. 1. Item pro fratre Dionisio servorum pro campanis et apritione monumenti s. 3 et pro cera nova data quatuor crucibus et imo brandono accipiente fratre Laurentio servorum L. 2, d. 8 et pro parrochiano et duobus capellanis sancti Salvatoris deferente Dominico de Ferechio L. 3 s. 4 et pro fratribus Servorum L. 1 s. 9 d. 10 in summa pro capsis de 35. — L. 7, s. 18, d. 6. (C. 51 v.) Jhesus 1506 die 29 Ianuarii et fuit ante. Expense pro infirmitate Damianine uxoris mee debent pro M. lacobo Sbarroia pro mercede visitationis sue pluribus diebus in absentia M. Iacobi de Lacumarsino pro capsia de superiori. — L. 3, s. 2· 320 DOCUMENTI Item die ea pro medico Iudeo qui medicavit decem in 12 diebus pro capsia de superiori. — L. 3, s. 2. Item 3 Februari pro medicaminibus et mercede Augustini de O-derigo pro capsia superiori. — L. 6, s. 4. Item die 3 Septembris pro Barnaba Insula speciario pro medicinis ab eius apoteca captis ordinatis a Iudeo medico pro capsia de 59--L. 1, s. 5. (C. 60 v.) Jhesus 1506 die 12 Septembris. Sepultura q· Damianine uxoris mee defuncte post meridiem paulo die 21 Iulii debet pro parrochiano L. 3, s. 2, pro portitoribus feretri s.io, pro fratribus sancti Dominici L. 1, s. 5, totidem pro Sancto Augustino et pro fratribus Servorum L. 2 in summa pro capsia. — L. 8, s. 2. Item die 4 Decembris pro cera accipiente frate Laurentio servorum in solutis per Bernardum nostrum pro dicto de 48. — L· 3, s. 3. (C. 62 v.) Jhesus 1506 die 4 Decembris Hereditas q. Damianine uxoris mee defuncte hoc anno die 20 Augusti ( ?) debet pro missis Sancti Gregorii pro fratre Laurentio de Caneva pro capsia de 63. — L. 1, s. 10. Item die ea pro fratribus Cartusie pro tercia parte mille missarum legatarum per eam in suo testamento rogato per Iohan-nem Baptistam Folietam et dicti pro fratre Toma Bigna de 64. — L. 5. Item die ea pro fratribus Servorum pro elimosina dicende ter-cie partis mille missarum ei promissis in fratre Laurentio de 59. — L. 5. (C. 79 v.) Jhesus 1508 die 21 Ianuarii. Sepultura q. Pelegre filie q. Gregorili fratris mei defuncte; die 13 presentis et sepulte in monumento nostro Sancte Marie Servorum ubi est pater et mater ipsius et debet pro par-rochiano Sancti Salvatoris L. 3, s. 3 et conventu Sancti Augustini L. 1, s. 5, conventu Servorum L. 2, s. 15, sacriste pro lecteria s- 8, fratri Laurentio pro vigilia pro se et uno socio facta corpori in domo una nocte s. 11 pro octo faculis cjere pro crucibus quatuor et uno brandono pro corpore lib. 10 unc. 10 L. 2, s. 14, in summa pro Bernardo nostro de 70. — L. 10, s. 16. DOCUMENTO XV 321 Spese per la costruzione di un muro. . (C. ii2 v.) Jhesus 1509 die 9 Octobris. Labor erium factum in orto nostro et faciendum debet pro ior-nata una Bartholomei Baxadonne impastatoris s. 6 et duabus alterius impastatoris s. 12 et duabus unius laboratoris s. 10; in summa pro capsia de 112. — L. 1, s. 8. (C. 113 r.) Recepimus 1509 die 9 Octobris in duabus iornatis in orto nostro ad elevandum murum versus septentrionem et supra tectum camere Bernardi cum suo famulo valuta in laborerio in superiori. — L. 1, s. 10. Lavori alla villa di Quinto. (C. 15 v.) Jhesus 1504 die 10 Iulii. Opus cisterne unius fabricate in villa Quinti debet pro modiis octo calcis habite a Balestrino de Sexto ad s. 49 Moz. j valuta pro dicto et dictus pro Bernardo nostro de 14. — L. 19, s. 12. Item die ea pro matonis quinque millibus ferriolis pro capsia de 9. — L. 15. Item die ea pro barcatis quinque harene pro capsia de 9· — L. 6, s. 5. Item die ea pro matonis 3500 ferriolis L. 10, s. 10 et 1600 iuve-nibus L. 4, in summa pro Gaspare Carpaxio de inferiori. — L. 14, s. 10. Item die ea pro modiis septem calcis ad L. 2, s· 16 pro modio, male sed pro necessitate empte a Marchexano pro capsia de 9. — L. 19, s. 12. Item die 18 Iulii pro modiis 9 calcis de Sexto bone, pro Balestrino ad s. 50 pro capsia de 9. — L. 22, s. 10. 322 DOCUMENTI Item die ea pro clapasolis 50 et scarinis 14 ad d. 18 clapasoli et d· 9 scarini de parmi 5 pro capsia de 9. — L. 2, s. 18, d. 6. (C. 16 r.) Jhesus 1504 die 9 Septembris. Item die 9 Septembris 1504 debet pro iorniaftis 206 laboratorum quatuor a principio, postea trium et usque ad finem duorum inceptis die prima Maij pro Lodisio de Manfredo de 15. — L. 51, s. 10. (C. 24 r.) Jhesus 1504 die 16 Decembris. Recepimus 1504 die 16 Decembris in iornatis 11 factis ad solarium et balconum domus veteris in Quinto ad s. 6 pro tornata in opere cisterne in 16· — L. 3, s. 6. (C. 37 v.) Jhesus 1505 die 29 Aprilis. Item die ea pro Nicherozino ad fodendum et rumpendum saxa pro iornatis 66 computatis illis de Terralba et una Ianue de superiori. — L. 16, s. 10. (C. 46 v.) Jhesus 1505 die 28 Agusti. Domus et terra Quinti restans ex hereditate paterna in qua domum super ruinis veteribus edificavimus et emimus a Jacomi no et Nicolao de Caverio aliquot pecios terre ut constat per instrumenta, debet insuper pro emptione facta ex tercia parte hereditatis q. Antonine filie q. d. Dexerini de Caverio empta a Bartholomea eius filia in qua continetur tercia pars ab occidente domorum pro eius debiti in cartulario prece dente in carta 66 pro introitu de 2. — L. 100. Item die 15 Aprilis 1507 Pro °Pere cisterne de 51· . 29 , s. 15, d. 11. Item die 18 Septembris 1509 pro columnetis duobus de palmis 5 tre quarti et duobus de palmis 5 et uno quar^° Pro S11^^ 0 cum capitellis et bassibus ad s. 3 d. 8 palmi 1 et c^P1^e. et basses ad s. 10 pro pario pro Ieronimo marmorario e ira (?) pro capsis de 112. — L. 6, s. —, d. 8. (C· 47 v.) Jhesus 1505 die 4 Octobris. Faiher Grafigna habitans in costigiolo (a c. 49 r· costegillo) Bartholomei de Alegro pro una iornata s. 10 ad faciendum telarios balconorum et mappis et mappis cancanis s. 5, ■ et uno ferrogiaroto in summa pro M. Ieronimo Maineta c 49. — s. 15, d. 10. DOCUMENTO XV 323 Lavori alla villa di Terralba. (C. li v.) Jhesus 1504 die 22 Martii. Lignamina et expense pro oultu terre Terralbe nostre debent pro forchetis de parmis 15 pex. 15 L. 3, forchetis de parmis 12 pex. 36 L. 4, s. io, forchetis de parmis 10 pex. 50 L. i, s. 13, pertegonis de parmis 15 pex. 40 L. 6, zoaliis de quarterio pex. 50 L. 1, s. 13, somis duabus zoagiorum L. 1, s. 6 in sumrma prò Lazaro de Turrilia de inferiori. — L. 18. Item die 28 Maij prò Berthomelino prò fodere et clavare lignamina vinearum pro capsia de 9. — L. 1, s. 10. (C. 30 v.) Jhesus 1505 die 15 Januarii. Expense facte in laborerio retectature domus ville Terralbe debet pro duobus canteriis abietis L. 2 de palmis 18 et media canella tabularum castanee armandi s. 7 et eant. 2 de palmis 12 s. 5 et tabulis tribus more abietis s. 4, d. 6 in summa pro Johnne Baptista Rovegno et dictus pro capsia de 29. — L. 2, s. 16, d. 6. Item die 24 lanuarii et fuit ante pro tribus becatellis positis subclavibus tecti pro capsia de 29. — s. 15. (Segue la spesa delle giornate di lavoro). Item pro teraturis diversis caloine et matonorum et lignami-num et abainorum prò Gaspare Carpaxio et dictus pro capsia de inferiori. — L. 1, s. 17. Item die 19 Martii pro Jani figono pro iornatis 9 L. 2, s. 5 et Nicherozino pro iornatis 12 ad pastinandum L. 3 in summa pro capsia de 35. — L. 5, s. 5. Item die 3 ( ?) Aprilis pro duabus tabulis arze pro porta pro capsia de 35. — s.· 5. Spese e guadagni per ire case in Santa- Croce a Genova e per la Villa a Terralba. (C. 20 v.) Jhesus 1505 die 10 Jamnarii. Ratio lucrorum debet pro censu domus maioris Sancte Crucis pro duobus annis finitis die Natali proxime preterito pro fra- 324 DOCUMENTI tre Martino de Matrega (a c. 29 r. Matricd) priore Sancte Crudis pro capsia de 29. — L.2, s. 10. Item die 24 Januarii pro censu domorum trium Sancte Crucis prò d. Iohanne Baptista de Campofregoso et dictus pro An-freono Ususmaris et sociis B. de 29. — L. 6. Item die 28 Novembris pro ciensu ville Terralbe pro anno de 1504 pro d. Laurentio de Flisco episcopo Brugnatensi pro anno de 1504 ( ?) computato precio unius paris gallina-rum in Anfreono Ususmaris et soc. B. de 28. — L. 9, s. 10. ìvC. 21 *.) Jhesus 1505 die 27 Januari;. Item die 27 Januarii m M. Pasquale Bugio barberio infra solutionem sive pro complemento pensionis domus de medio Sancitae Crucis livelli Sancti Sexti in capsia in 29· L. 3, s. 17, d. 6. (C. 14 v.) Jhesus 1505 die 17 Maii. Peregrinus Maiocus balistarius locator domus unius livelli Sancti Sexti inferioris debet pro alia sua de 38. — L. 3. (C. 37 v.) Jhesus 1505 die 15 Iunii. Nicolaus de Musto pensionarius in Sancta Cruce in domo superiori tercii ( ?) livelli Sancti Sisti debet pro cartulario pensionum de 82. — L. 26, s. 10. (C. 50 v.) Jhesus 1508 die 15 Iunii. Johannes Jumellus pensionarius Sancte Crucis volte domus no stre inferioris debet pro cartulario pensionum de 82. L. 1, s· 10. (C. 93 v.) Jhesus 1508 die 2 Octobris. Reparatio facta in domibus Sancte Crucis livelli Sancti Sexti videlicet in superiori pensionata Magistro Lazario sartori a tectum, debet pro tabulis de nicia pro capsia de 91. L. i, s. 1. (C. 13 v.) Jhesus 1505 die 24 Iulii. Inglexia Traversagna debitrix de L. 24 pro pensione ville Te ralbe debet pro pensione anni unius deductis certis expensis pro ratione lucrorum de 21· — L. 23, s. 17» d. 11. (C. 37 v.) Jhesus 1507 die 15 Aprilis. Mariola de Nigro in pensionem villarum Terralbe usque ad Sanctum Martinum pro L. 34 in anno, scilicet pro tali tempore a die prima Maii usque 13 Octobris debet pro dicta DOCUMENTO XV 325 pensione annorum duorum finitorum die prima Januarii de 15°7 L. 68 ex quibus diminuuntur L. 3, s. 4 pro certis expensis pro ratione lucrorum de 55. — L. 64, s. 16. Item die 29 Junii 1507 pro pensione anni unius incepti prima Ianuarii et finiendi die prima Ianuarii de 1508 pro cartulario pensionum de 66· — L. 34. (C. 39 v.) Jhesus 1505 die 26 Aprilis. Qm. Silvester de Merendono debitor pro pensione orti Terralbe a quo habemus certas vecturas harene et alia pauca ponenda per contra debet pro cartulario precedente in introitu de 3. — L. 4, s. 6. Mutui. (C. 9 v.) Jhesus 1504 die 22 Aprilis. Iudex q· Caroli et Nicolaus q. Vinciguerre de Rocha Corsi debent pro mutuo eis facto ducatorum octo auri largorum pro capsia de 19. — L. 24, s. 16. (C. 34 v.) Jhesus 1505 die 8 Maii. Item die 8 Maij pro Dominico Crica pro pensione perlarum et anulorum pro uno mense L. 2 ex quibus deducimus s. 5 pro laborerio in dictis perlis facto in avariis de 26. — L. 1, s. 15. (C. 43 v.) Jhesus 1505 die 12 Julii. Dominicus Coresatus dictus factor pro mutuo ei facto super corrigiolam argenti cum uno anuleto auri cum gemma parvula pro capsia de 42. — L. 3. (C. 49 r.) Recepimus 1506 die 15 Januarii in Dominico Crica in pensione fili unius perlarum et unius traverse in capsia in 47·;— L. 4. (C. 55 v.) Jhesus die 20 Aprilis 1506. Obertus Ragius debet pro casana pietatis pro expignoratione in-frascriptorum pignorum que erant in quinque apodisiis videlicet corrigium nigrum L. 4 corrigia neapolis L. 2, stren-zicorium sine catena L. 8 agogiairolium cum catena L. 7 et pro proventibus L· 2, s. 9> d. 10 in summa pro Filippo Lo-mellino B. de 54. — L. 23, s. 9, d. 10. 326 DOCUMENTI (C. 63 v.) Jhesus 1506 die 15 Decembris. Obertus Ragius pro Baptista Gallo Niqolali et dictus pro capsia et sunt pro redemptione unius paris cultellorum argenti qui penes me restant de 63. — L. 17, s· 17. Item die 12 Januarii pro redemptione agogiairoli et tesoiretarum scilicet vagine argenti a Luca Gentile per L. 15 quarum mihi dedit d. Blanchineta L. 6 s. 19 restant pro capsia de 62. — L. 9, s. 1. Restitui vaginam tezoiretarum, restat in me vendendum ago-giairolus. (C- 84 r.) Jhesus 1508 die 18 Martii. Item die 18 Martii in processu unius strenzicorii cum cateneta sua et aliis minus uno anulo ad quod appenduntur claves in cjapsia in 83. — L. 7, s. 6. Stipendi dell'Officio di S. Giorgio. (C. 21 r.) Jhesus 1504 die 12 Februarii. Item die 12 Februarii et fuit ante pro mercede mihi deliberata per officia Sancti Georgii de 1504 et Corsice licet maligne et multo infra illnd quod habere debeo pro scripsisse 14 car-tularia Corsice ex deliberatione scripta per Jeronimum La-zaniam notarium in ratione lucrorum de 21. — L. 399. Item die 13 Martii pro salario meo in officio de i5°4 in 16· L· 250. Item die 8 Octobris 1506 pro pluri mercede mihi debita pro annis 14 quibus scripsi 14 libros Corsice in ratione lucrorum in 55. — L. 87, s. 5, d. 10. (■C. 51 v.) Jhesus 1506 die 9 Martii. Cartularium massarie collegi notariorum debet pro p. Baptista Merello et dictus pro capsia' de superiori. — L. 11, s· 4. Item die ea pro meo salario massare predicte pro ratione lucrorum de 55. — L. 10. Item die 20 Martii 1507 pro capsia accipiente Bernardo Ragio massario novo de 69. — L. 3, s. 12, d. 6. DOCUMENTO XV 327 ( C . 54 v.) Jhesus 1508 die 30 Augusti. Item die 30 Augusti in salario meo in officio de 1507 in 76. — L. 250. (C. 55 r.). Item die 8 Octobris 1506 in mercede mea in officio Corsice in 22. — L. 87, s. 5, d. 10· Item die 15 Aprilis 1507 in salario meo in Officio Sancti Georgii de 1505 in 34. — L. 250. Item die 18 Februarii 1508 in salario nostro Officii de 1506 in dicto in 67. — L. 250. (C. 64 v.) Jhesus 1507 die 3 Januarii. Officium Sancti Georgii anni 1507 debet pro cartulario parti-menti emolumentorum cancellarie de 13. — L 84, s. 14, d. 2. (C. 103 r.) Jhesus 1509 die 22 Martii. Item in precio loci unius sive in salario de 1508 in officio de 1508 in 95. — L. 250. Ricordi della sollevazione di Genova nel 1507 (C. 67 v.) Jhesus 1507 die 28 Aprilis. Item die 28 Aprilis pro testonis tribus indebite datis coquinario domini de la Palice pro cella ei ut dixit permutata prò capsia de 69. — L. 2, s. 8. (C. 68 r.) Recepimus 1507 die 9 Maij in magistro domus domini de la Palice pro consumptis in domo nostra videlicet botis 1 1/2 vini M. 6 et in uno carateleto barrile unum cum dimidio crospie, cant. 40 lignorum, minis tribus farine, oleo et aliis, insumma constat nobis L. 35 in plus, solvit tamen Ducatos solis octo in capsia de 69. — L. 25, s. 12. (C. 69 v.) Jhesus 1507 die 8 Aprilis. Officium communis Janue deputatum ad recolligenda argenta in cecha debet pro taciis duabus, duobus salairoliis et duobus speciaroliis, duabus busolis pro salairoliis, uno manico stagnarie rupto ponderatis netis lib. sex ad s. 43 uncia una denumerata valuta cum L. 2 pro auro pro ratione argentorum de inferiori. — L. 156, s. 16. 328 DOCUMENTI Item die ea pro argento agogino corrigiarum et cocleariorum in parte deaurato ponderato lib. 20 uncie 4 d. 18 ad s. 35 un-cie cium L. 1, s· 10 pro auro valuta in ratione argentorum de inferiori. — L. 51, s. 16, d. 3. (C. 69 v.) Jhesus 1507 die 8 Aprilis. Argenta posita in cecha debent pro precio unius speciaroli, u-nius busole pro salairolis, unius manici stagnarie lib. 1 unc. 3 ad s. 43 unc· L. 32 s. 5 et cocleariorum decem ac corrigiarum lib. 1 unc, 5 ad s. 35 uncia 1. cum L. 1, s. 10 pro auro, L. 29 s. 15 in summa pro Bernardo Gallo de inferiori. — L- 62. Item die ea pro resto presentis rationis in ratione iocalium et argentorum de 5. — L. 146, s. 12, d. 3. Jhesus 1507 die 15 Aprilis. Bernardus Gallus filius meus debet pro officio communis deputalo ad colligendum argentum de superiori. — L. 208, s. 12, d. 3. (C. 69 v.) Jhesus 1507 die 5 Julii· Item die 5 Julii et fuit ante pro capsis 12 veretonorum pro Baptista Taiaferro et fratribus de 69. — L. 36. Item die 13 Septembris et fuit ante pro Baptista Taiaferro pro dezenis 2 partexanis de 69. — L. 7, s. 10. Item die 23 Septembris pro Magistro Monfrino bombardeno L. 8 et duobus aliis sociis missis in Castrum Illicis L. 10 pro capsia de 74. — L. 18. (C. 73 v.) Jhesus 1507 die 1 Septembris. Item die prima Septembris pro duabus antennis de goa 21 caP^s pro operibus Lanterne pro cartulario antennarum de 68. — L. 24. Navi. (C. 5 v.) Jhesus 1504 die 15 Martii. Item die ea pro Bertono qm. Beneitini de Amelia pro gondola ipsi et socio vendita debitore in precedenti cartulario in cart. 73 pro introitu presentis de 3. — L. 10, s. n, d. 6. DOCUMENTO XV 329 (C. 6 v.) Jhesus 1504 die 15 Martii. Tercia pars unius barche portate minar. 260 patronizate per Jeronimum de Sogia de Quarto debet prò alio cartulario meo precedenti in cart. 58 pro introitu presentis de — L. 66, s. 3, d. 8. Item die 2 Octobris 1506 pro tercia parte barche mihi spec-tante per eum vendite per due. 90 dari inorum et prò qua debet multa partimenta viagiorum factorum pro dicta tercia de superiori. — L. 66, s. 3, d. 8. Et nota quod ultra debet duo vel tria partimenta viagiorum prò Arelate. (C. 11 v.) Jhesus 1504 die 22 Martii. Iacobus de Rapallo magister axie in Sexto cui locavimus barcam navis faciendam per L. 50 debet pro precedenti cartulario in dartis 103 pro introitu de 3. — L. 30, s. 10. (C. 12 v) Jhesus 1504 die 18 Aprilis. Zetum navis nostre recuperandum a mercalioribus et corpore navis et naulis debtt pro Dominico de Precipiano notario scriba officii Gazarie pro scripturis pro capsia de 9. — L. 4, s. 1, d. 6. (( 22 r.) Jhesus 1504 die 22 Apriles Bernardus de Castelliono patronus unius nostri lembi in Aiacio debet pro alio meo cartulario in cart. 22 pro introitu de 3. L· 5, s. 8. (C. 47 v.) Jhesus 1505 die 28 Augusti. Navigium nostrum perditum supra portum Janue magna calamitate et vi insolite tempestatis debet pro consteo carato-rum 14 quibus in eo participabam deducto partimento habito in introitu de 2. — L. 3303, d. 11. (C. 68 v.) Jhesus 1507 die 15 Martii. Lembus unus novus emptus in Portufino meo nomine per Ba-ptinum de Caverio debet pro eius primo consteo duc. 14 auri largos datos dicto Batino in capsia de inferiori. — L- 44, s. 16. (C. 79 v.) Jhesus 1508 die 15 Ianuarii. Coffe pro saburra empte nomine Officii pro consteo de doz. 4 pro capsia de 79. — L. 1, s. 8. ■a 330 DOCUMENTI Socida vacarunt. (C. 19 v.) Jhesus 1504 die 26 Septembris. Socida una vacarum 4 cum una vitella habita de corsica data Ieronimo et Simoni de Ferro de Quinto pro annis quinque ad modum solitum, debet pro refacimento dato in partitione socide vacarum cum Andrea de Amelia pro dicto Andrea et dictus pro Bartholomeo eius fratre in cartulario antenarum de 12. — L. 2. Item die 16 Septembris 1509 pro Jeronimo et Simone Ferris cum quibus hodie partiti fuimus dictam socidam que fuerat capita septem et nobis pervenerat vache tres pregnantes et una vitulina huius anni cum refectione presentis partite in dictis de inferiori. — L. 3. Item die ea pro refacimento dictarum vacarum videlicet pro ratione lucrorum de 53. — L. 54, s· 7, d. 6. Seguono i ricavi di questa socida — eccone degli esempi). Item die 7 Julii (1505?) pro dimidia vituline vendite pro ratione socide de superiori. — L. 1, s. 16. Item die 9 Augusti (1505?) et fuit ante pro dimidia de L. 15 processis ex vitulis tribus venditis pro ratione socide de superiori. — L. 7, s. 10· (C. m v.) Jhesus 1509 die 16 Septembris. Socida una nova hodie facta de vacis tribus pregnantibus et una vitulina annicula datis in socidam Iohanni de Smeralda de Quinto ad solita pacta similarum socidarum pro annis quinque cum pacto semper quod mihi videatur eas adimere et capere ac finire dictam socidam illud possum facere pro meo libito satisfaciendo. — L. 40. Commerci con la Corsica. (C. 50 v.) Jhesus 1505 die 20 Decembris. Granorum Corsice in sachis 20 de bacinis 16 pro saco et sacus unus de bacinis 15 et ad orlum cum sagitea Augustini de Montano ab Aiacio nomine Officii Santi Georgii anni pre- DOCUMENTO XV 331 sentis onustis per Iohannem Malocellum et M. 8 ordeorum retente per dictum Iohannem meo nomine debent pro eorum consteo in naulis et expensis certis pro salvatione sagitee facte per patronum constat de primo in barda onustis L. 3, s. 11 et de naulo s. 6 pro mina et pro expensis domi, in summa L. 3, s. 17, d. 9 M. 1 ei que fuerunt in Aiacio ad paga-mentum Mine 47 bacini 13 et crescunt duo et unum octavum pro centenario quod facit in dictis M. 47, bac· 13 valuta pro officjio Corsice de 22. — L. 203, s. 13, d. 9. Seguono ac. 51 r. i ricavi della vendita al minuto fra i quali scegliamo soltanto : Item die ea (15 Januarii) in minis octo et bacinis octo in octo sachis consignatis Dominico de Marinis in dicto in 30. — L. 33, s. 2, d. 8· (C. 92 v.) Jhesus 1508 die 31 Octobris. Item die 31 Octobris pro minis 4 grani ad L. 2 Mina 1 et minis quinque ordei ad L. r Mina 1 L. 13 et pro naulis de Calvo Ianuam ad s. 5 M. 1 L. 2, s. 5 in summa pro Baptista de Cu-stianaciis in plebano eius filio et dictus pro capsia in officio de 1506 de 84. — I,. 15, s. 5. (C. 94 v.) Jhesus 1508 die 13 Novembris. Magister Bernardinus qm. p. Laurentii de Calvo debet pro missis ei per Paulum Gallum nostrum consignandis diversis qui ea dicto Paulo comiserunt, qui solvant precium videlicet pro panno cordelato parmi 13 turchini pro paribus duabus L· 5, s. 17 et parmi 4 blancheti pro foderaturis s. 20, et duabus beretis paonaciis de grana L. 3, s. 5, fustaneo nigro parmi 10 L. 1 et serris quatuor magnis ad serrandas squeras cum suis fulcimentis et limis quatuor L. 8, s. 15. in summa pro Paulo Gallo viagii Calvi de 93. — L. 19, s. 17. Item die 29 Februarii pro pexia una alba de 18 Ianue facienda rubra et ei mittenda pro capsia de 99. — L. 25, s· 2. Item die 16 Martii pro tinctura dicte partite paonacie pro capsia de 99. — L. 5. (C. 95 v.) Jhesus 1508 die 23 Novembris. Eredes qm. Alfonsi de Ornano debent pro Bartholomeo de Al-bingana pro parmis 12 pinarolii roane L. 6, s. 13, d. 4, parmis 332 DOCUMENTI 8 albi Ianue L. i, s. 15, parmi 6 frateschi L. 2, s. 10, pro aicimaturis s. 3, in summa de inferiori. — L. 11, s. 1, d. 4. Item die ea pro Antonio filio Petri de Monelia pro parmis 10 clarixee turchine et dictus pro capsia de 94. — L. 5, s. 1, d. 8. Cartularium antennarum (C. 20 v.) Jhesus 1505 die 12 Februarii. Cartularium antennarum Corsice debet pro partita septima — L· 399- Item die 29 Martii pro hominibus 12 ad vertendum antennas ispas in darsinali pro capsia de 35. — L. 2, s. 2. (C. 21 r.) Jhesus 1505 die 3 Aprilis. Item die 3 Aprilis in antennis quatuor venditis corsis de capite corso pro arboribus barcarum in capsia in 35· — L· 20. Item die 19 Aprilis in uno arbore gallioni de parmis 5 longo goa 27 et tribus antennis de parmis 3 in serca in capsia in 35. — L. 54, s. 18. (C. 40 v.) Jhesus 1505 die 4 Julii et fuit usque anno de 502. Cartularium antennarum debet pro naulo de pecii 189 antennarum conductarum de Calvo cum navigio nostro pro Paulo Gallo de 35. — L. 400. (C. 49 v·) Jhesus 1506 die 28 Aprilis. Item die 28 Aprilis in Bartholomeo de Vassallo de Portufino in arbore uno de goa 23 parmi 4 arbereto mezane et duabus antenoli s in capsia in 54. — L. 42. In una carta staccata posta fra la c. 93 ν· e c- 94 r- w ^ il conto per una sagitea patronizzata da Agostino Begano. Pro albore trincheti cum sua antenna. — L. 5· Pro antenne due pro mezana L. 6. Pro antenna una pro borpreso L. 3. Pro antenna una pro trevo. — L. 3. (C. 103 v.) Jhesus 1509 die 29 Martii. Ratio lignaminum videlicet antennarum parvarum pec. 45 et li- DOCUMENTO XV 333 gnorum cant. 70 et trabetorum pec. 134 conductorum ex Gallura et Calvo per Pasqualinum de Centura Capitis Corsi debet prò dicto Pasqualino prò complemento de L. 100 naulorum et dictus pro capsia de 101. — L. 65, s. 10. (C. 73 v.) Jhesus 1507 die 14 Julii. Canoni quatuor brumzi comissi de Calvo per M. Bemardum debent pro consteo lapidum quatuor perforatarum in quibus dicti canoni fuerunt implumbati pro capsia de 73. — L. 2, s. 16, d. 4. Item die 14 Julii pro eorum consteo pro dictis canonis lib. 6 ad L. 1, s. 10 pro quolibet et pro plumbo lib. 70 pro caudis ad s. 1 d. 4 lib. cum stagno solidatis L. 4, s. 13 et plumbo lib. 80 posito in implumbando dictos canonos in petris quatuor L. 3, s. 5, in summa prò Bernardo de Parma stagnario et dictus pro capsia de 73. — L. 13, s. 18. 334 DOCUMENTI XVI. DIVERSORUM REGISTRI — X - 172 MDVI die XXV Februarii. Ordinationes super rebus mulierum ei1 conviviorum etc. Spectati viri Ambrosinus de Nigro, Iohannes de Auria Marci, Benedictus Celesia ac Paulus Baptista Iustinianus officiales virtutum comunis genue, scientes superioribus diebus in quodam publico concilio in quo nonnulli magistratus et quidam civium numerus apud Illu. d. Gubernatorem et M.cum Senatum convocati fuerant, propositum fuisse pompas et sumptus tam virorum quam mulierum valde immoderatos et intorerabiles esse et in dies ad maiorem ambitionem crescere in maximum civitatis detrimentum et ad iis corruptellis obviandum amplam potestatem sibi ipsis officialibus attributam fuisse prout apparet quadam deliberacione scripta manu egregii Benedicti de Portu Cancellarii die XXI Ianuarii proxime preteriti. Et in memoria habentes de hac ipsa materia in magno et numeroso convocatorum consilio sermonem propositum et habitum fuisse, et ipsis officialibus circa ipsas pompas addita et re dotium amplissimam auctoritatem et potestatem attributam fuisse et taiem quidem et tantam qualem et quantam habet commune genue prout latius constat quadam deliberatione scripta manu e. nic. de Bri-gnali cancellari die XXVIIII eiusdem mensis Ianuarii ad quas quidem ambas deliberationes relatio habeatur. Scientesque ipsi Ambrosius et college in executione auctoritatis et potestatis sibi coliate, ut supra dicitur, se materiam hanc mature examinasse, et multorum civium cuiuscunque ordinis sententias perscrutasse, Tandem hoc publico Decreto et lege perpetuo duratura, ordinaverunt, Decreverunt et statuerunt ut infra dicetur : DOCUMENTO XVI 335 In primis decernunt, sanciunt, et statuunt quod aliqua que-vis mulier cuiusvis gradus status condictionis, et etatis sit de cetero non possit nec ei liceat ire ad domum alicuius sponse vel sponsi ad collendum sive ut vulgu dici solet coltiandum quando sponse traducuntur in Brilis. Preterea quando sponsi sponsas ad domum suam ducunt convivium sociis suis ipsorum sponsorum facere non possint. In Conviviis excedi non possit id quod per capitula et decreta superinde condita ordinatum est, que capitula et decreta ad cauteli am approbant. In Conviviis que fiunt quando maritantur puelle sive Mulieres aut ducuntur ad domum mariti, Alie quevis persone invitari non possint nec in ipsis conviviis interesse nisi tantummodo persone propinque invitantium sive masculi sive femine sint, et quodcunque huiusmodi convivium excedere non possit numerum personarum Quinquaginta. Quoniam in Conviviis que fiunt quando sponsi aut sponse a propinquis suis invitantur exceditur regula conviviorum nuptialium, in quibus nullum aliud volaterium genus esui dari potest nisi caponorum, galinarum, pulastrorum et lechionum secundum quod temporis condictio exposcit. Ideo ordinant quod in ipsis conviviis forma et regula ipsorum conviviorum nuptialium exdedi non possit. Quivis sponsus sive quivis de domo eius aut propinqui ipsius per rectum vel indirectum ullo quovis modo sponze vel alicui de domo eius aut propinquis ipsius aliquod mittere vel donare non possit, et e converso hoc ipsum prohibetur cuicunque sponse et aliis de domo eius et propinquis ipsius. Et si quippiam mitteretur recipi non possit excepta dote. Quivis sponsus vel alii de domo eius quicquid donare non possint suis libertis vel aliis servitoribus maribus vel feminis sponse sive eorum de domo dicte sponse vel propinquis ipsius sponse et e contrario id prohibetur sponse et aliis de domo eius. A quovis patre vel matre vel fratribus vel aliis propinquis alicuius puerpure aliqua dona vel exeniaj vel confectiones cuiuscunque generis sint ad ipsam puerpuram mitti non possint nec pro infante puerpure cunas sive corbas a quovis eorum mitti li-cjeat, et ipsa dona puerpure et aliis de domo in qua esset recipere fas non sit. 336 DOCUMENTI In comestionibus sive colationibus ut vulgo dici solent que fierent in domibus in quibus essent puerpure esui dari non possint tempore hiemali preterquam dactili et fructus, estivo vero tempore fructus et succata et non alia confectio apponi possit. Quando cives rus proficiscuntur ad villandum et quando in urbem redeunt ad repatriandum alter alteri aliquod convivium minime facere nec quippiam exenii vel cibarii mittere possit. Nemo possit nec ei quovis modo liceat impendere aut impendi permittere in vestitu et ornatu sive goarnili uxoris sue usque ad annos duos sequentes post illius traductionem ultra summam quarte partis dotis quam accepisset sive percepturus esset. In qua quarta parte dicti sumptus, computata et comprehensa in-telligantur, localia, Margarite, Anuli, Catene ac ceteri quicunque ornatus qui ipsis mulieribus permissi sunt generis et valoris inferius statuendi. Nulla Mulier sive ea nupta sit sive innupta sive sponsa super ciaput aut in aliqua alia corporis parte portare possit aliquas margaritas vel iocalia cuiusvis generis et nominis sint nec in digito anulos deferre nisi secundum regulam et metam infra dicendam : Videlicet possint portare ipse mulieres nupte pomum unum qui possit habere usque in perlas quatuor non in aliqua corporis parte quam ad collum et que perle quatuor non execedant valo-rem ducatorum quinquaginta. Liceat etiam ipsis nuptis gestare usque anulos quatuor in quibus comprendatur anulus rotundus qui tamen sit sine lapide aliquo precioso nec excedant omnes quatuor valorem ducatorum centum quinquaginta; sponsabus vero donec ad virimi traducte fuerint et inde ad menses duos cuilibet eorum liceat portare gregetum unum sive filum perlarum ad collum et non in alio loco precii ducatorum usque in ducentos. Pomum perlarum usque in quatuor ad collum precii suprascripti ducatorum quinquaginta et cavegieriam unam perlarum valoris ducatorum quadraginta et anulos quatuor eo modo et precio prout nuptis et traductis licet. Finito autem dicto bimestri gregetum, filum perlarum et cauegieriam deponatur et in gradu aliarum nuptarum sint. Virgines autem innupte maiores annis tredecim in omnibus desponsatarum gradum habeant tam circa vestes quam circa iocalia et alia preterquam de anulis quos cum lapide precioso eis portare non liceat. DOCUMENTO XVI 337 Non liceat etiam ctuicumque mulieri innupte nupte vel desponsate portare aurum quovis modo fabricatum quoquo nomine appelletur preterquam catenulam unam auri ad collum et non in alio loco vai oris ducatorum usque in quinquaginta et non ultra. Virgines aut. innupte minores etatis annorum tredecim non possint portare manicas auri vel argenti vel aliud laborerium auri vel aliquam gemmam sive iocjale cuiusvis sit quialitatis sed tantummodo unam catenetam que non excedat valorem ducatorum vigintiquinque et suum clavacorium fulcitum sive goar-nitum et corrigeam. Prohibitum est etiam omnibus mulieribus de quibus supra fit mentio posse portare borcatum rissium sed tantummodo possint habere par unum manicharum borcati auri vel argenti non autem borchati rissi. Mulieribus nuptis sponsis vel innuptis portare non liceat ad brachia Brachiale auri vel argenti aut catenulas alicuius forme. Preterea ordinatur quod in vestibus que fient ad formam manicharetarum aut manicharum de uchia non possit poni plus palmis septuaginta panni serici et si fient de panno lane ponatur ad ratam computata latitudine ipsius panni lane cum illo serici et forma sit cuiusvis generis dummodo non excedat ipsam mensuram. In vestibus panni serici que. non sint de dicta forma de uchia aut de manicharetis non possit poni plus palmis sexaginta duobus. In vestibus panni de Florentia qui non excedat latitudinem palmorum sex non possit poni plus cannis tribus que sunt palmi XXVII et ita dicitur de quocunque alio panno qui non excederet latitudinem palmorum sex. Si autem esset latior dictis palmis sex tanto minus ponatur de dictis cannis tribus quantum importat latitudo dicti panni. In vestibus saie plus cannis septem poni non possit. In vestibus zarzachani plus palmis octoginta poni non liceat. In vestibus bochasini quoniam sunt diverse latitudinis non possit poni nisi ad ratam prout supra dictum est de vestibus saie et zarzachani. Manice ipsarum vestium de quibus supra diximus tam panni serici quam panni lane, saie, zairzachani, bocasini et etiam que-cunque alie manice exoeptis illis de saione et manicis de uchia aut manigaretis aut menaressis non possint excedere in latitudine 338 DOCUMENTI plus palmis duobus cum dimidio in eo loco ubi sunt magis late que sunt in circuitu palmi quinque. Manice dictarum vestium que facte sunt si erunt latiores reduci debeant ad ipsam latitudinem palmorum duorum cum dimidio et sint in circuitu palmi quinque et hoc fiat intra dies quindecim a die publicationis huius decreti numerandos. In manicis serici que ponuntur super aliis manicis non possit poni plus palmis sex serici et ad ratam ponatur in illis borcati et ciameloti computata latitudine dicti borcati et ciameloti cum illa panni serici et quemadmodum dicitur de borcato panno et serico et ciameloto ; id etiam intelligatur de quacumque alia re adeo quod in ipsis non excedant ad ratam dicti panni et septe palmos sex. Maniae facte panni et serici reducantur in formalm quod in eis non sit plus palmis sex et hoc intra dictos dies quindecim. In Goneletis que fient de panno lane et pariter gonellis de medio non possit poni in Bustis nec in aliquo loco ipsarum aliquod laborerium auri et panni serici sed perfilum tantummodo possit fieri cuiuslibet peliparie aut panni serici qui non excedat latitudinem quarti unius parmi nec alia listatura aut bigaratura in ipsis goneletis et gonellis poni possit. Non possint fieri busta alicuius rei preterquam de illo proprio panno de quo facta esset ipsa gonella, si bustum gonelle esset vel gonelete si gonelete bustum esset nec in eis quippiam aliud poni possit. Brioni dictarum gonelarum aut goneletarum sint plani secundum morem antiquum non autem ad botixellam et in mane-xellis ipsarum non possit poni plus palmis duobus serici et ciameloti ad ratam secundum latitudinem. Quod gonelle et gonelete facte qite habent pecturalia aut alia laboreria auri aut serici aut Brioni botixelle reducantur ad modum de quo supra dictum est. Non possit portari sub vestibus panni lane aliqua gonella goneleta, bialdus, upa, que sint panni serici nec etiam ille portari possint super foderatura pelice. Vestes panni serici non possint foderari aliqua foderatura panni serici preterquam tafetalis. In camixiis et pariter in manexeletis ipslarum camixiarum DOCUMENTO XVI 339 ipsarum mulierum non possit esse aliquod laborerium auri aut argenti filati. In manicis sericis puelarum minores etatis annorum tredecim non possit poni nisi tantus pannus serici quantum requirit etas ipsarum adeo quod ad ratam non sint latiores illis mulierum iuvenum de quibus supra dictum est sed tanto minus quantum requirit etas ipsarum. Preterea quoniam mulieres non sunt stabiles in forma vestitus ipsarum sed potius singulis fere annis variant formam vestimentorum suorum, que res magnam impensam et damnum affert, ideo ordinaverunt et mandaverunt quod in forma et modo vestiendi ut supra ordinato tam gonarum goneletarum et gonarum (sic) quam aliorum vestimentorum non possit quovis modo ullo unquam tempore ea variare. Et si aliqua persona haberet aliqua vestimenta et alia superius descripta que non sint secundum formam presentis ordinationis reduci debeant intra dictum tempus dierum quindecim ad formam et modum suprascriptum aut illa portari non possint. Et considerantes magnum abusum qui est ad presens in vestimentis muliebribus que sunt nimis brevia et distantia a terra contra honestat _m i Jiebrem, et videntes quod in demittendis aiut deponendis ipsis vestimentis esset ad presens magnum inco-modum et quasi imposibile, et volentes pro vestimentis in futurum faciendis providere, decernunt quod de cetero aliqua mulier nupta vel innupta aut sponsa non possit sibi facere vel fieri facere aliquod vestimentum cuiusvis sit qualitatis quod magis breve sit et distet a terra palmo medio. Et quecunque persona suprascriptis ordinationibus vel in quavis ipsarum parte vel articulo contrafaceret et insuper que-aumque persona in quarum domo vel habitatione vel appotheca suprascriptis ordinationibus vel in aliqua parte earum quovis modo contrafactum fuisset, cadat in penam ducatorum a vigin-tiquinque usque in centum arbitrio ipsius officii totiens quotiens contrafaceret. Quorum tertia pars detur accusatori si accusator intervenerit, si minus intervenerit ipsi officio. Alia tertia pars Spectato officio misericordie et reliqua tertia pars ipsi Spectato officio, et ultra quecunque res in quibus contrafactum fuerit restent et intelligantur amisse et effecte ipsius officii virtutum ipso facto et ipso iure ac exigi possint et debeant 340 DOCUMENTI sine aliquo prodessu iuris et capitulorum ordine servato vel non servato manu regia detecta contrafactione iudicio ipsius officii. Et in easdem penas incidant quicunque sciverint et non revelaverint ipsas contra factiones. Et quod alicui qui contra predicta contra federit si acto esset non reddatur ius per aliquem magistratum communis Ianue nec aliquis pro eo advocare vel patrocinare debeat coram aliquo magistratu nisi prius realiter et cum effectu solverit penas in quas incidisset. Item quod in omnibus et singulis predietis casibus quicunque detexerit contrafactionem aliquam a quavis persona factam teneatur secretus et lucretur tertiam partem totius pene predicte in quam condemnatus fuerit contrafaciens. Volentes quod pro detegendis fraudibus et reperienda veritate quilibet cogi possit iussu ipsorum officialium ad iuramentum et ad ostendendum cartularia sua semper et quandocunque ipsis officialibus opportere visum fuerit. Preterea ut hec lex pluribus vinculis roborata sit, ordinant quod quicunque deinceps uxorem acceperit antequam illam traducat, Teneatur et obligatus sit sub penis predietis comparere coram ipsis officialibus presentibus vel qui pro tempore fuerint et promittere quod presens decretum plene integreque servabit et si huic decreto contra faceret solvet penas in quas incidisset. Et de hoc fideiussionem Idoneam ipsis officialibus Iudicio ipsorum approbandam prestare debeat. Incidat preterea in easdem penas maritus si uxor eius que contrafecerit nupta fuerit. Si fuerit sponsa et non traducta pater fratres et alii qui curam ipsius puelle haberent, si fuerit innupta pater fratres et alii in quorum domo staret vel qui ipsius puelle curam haberet, et eo casu ex nunc contrafacientes condemnant et condemnatos pronunciant et declarant. Et pariter illos in quorum domo staret contrafaciens, vel qui ipsius puelle curam haberet et eo casu ex nunc contrafacientes condemnant et condemnatos pronunciant et declarant, Et pariter illos in quorum domo staret contrafaciens et alii ut supra secundum penas superius declaratas. Et quilibet artifex sive magister vel magistra vel aliqua alia persona que contra predictas regulas aliquas vestes aut vestimenta incideret seu consilium aliquod alicui incidenti presta-ret, cadat in easdem penas. DOCUMENTO XVI 341 Et ne fraus committi facile possit in illis rebus que portari posse permisse sunt et de quibus superius fit mentio, volunt et decernunt quod semper et quandocunque predicti officiales vel motu proprio vel ad instantiam alicuius accusantis voluerint res ut supra portari permissas pro eo precio pro quo estimata sunt, Teneantur ille persone que eas portabunt statim dictis officialibus eas dare pro precio statuto. Qui officiales eas res postea vendere debeant et illud quod supererit de precio estimato dividatur et assignetur modo suprascripto. MDVI die XVIII1 Martii. Confirmatio rerum prescriptarum. 111. et excelsus D. Philippus de Cleves etc. Regius Admiratus et Genuensium Gubernator et M.cum Consilium Dominorum Antianorum communis Genue in legitimo numero congregatum, lecto suprascripto decreto, presentibus spectatis officialibus virtutum, et singulis eius partibus examinatis, id approbaverunt et confirmlaverunt auctoritatem suam in eo interponentes. MDVI die XXS Martii. Antonius de Panexio preco publicus rettulit se hodie proclamasse suprascriptum Decretum sive ordinationes in omnibus ut supra in sermone vulgari : in Bancis et in aliis locis solitis civitatis, convocata prius sonito tubarum a tubicinibus turba. GLOSSARIO Ogni voce che si trovi nei documenti è stata qui vaccolta con la indicazione della pagina in cui appaia per la prima volta. Le voci spiegate nel testo hanno il numero della pagina del testo seguito dal numero della pagina del documento. A. Abaino, p. 323 ; Casaccia, Dizionario : Abbaen, lastra quadra e sottile di ardesia che si usa specialmente per coprire i tetti. Abies p. 323. Abete. Acamocato, p. 44, 225. Panno lavorato in modo da parere camocato. Acia p. 45, 251; Azia p. 290. Matassa; Manno, inv. Fieschi, aza. Acimatore p. 298. Acimatura p. 52, 293. Aco p. 123, 151, 281. Ago, ved. anche agogiarolo. Abamanteto, v. Adamas. Adamas p. 278; adamante p. 252; a-damanteto p. 237. Diamante, v. pagina 150. Il diamante poteva essere tagliato a tabula cioè piano, oppure a scuto cioè a rosetta. Anche le costete e gli schneti, ossia le scagliette, i frammenti di esso, erano usati nei lavori di oreficeria. Afaitato p. 293. Cuoio conciato. De-simoni, Glossario dello Statuto dei Padri del Comune : Affaitarie, concerie di pelli. Aga p. 273. Acqua. Agnina p. 297. Pelle di agnello con- ciata. A. Gallo ricorda nei suoi registri le pelli agnine di Anglia (In- . ghilterra) con le quali si faceva la penna (pelliccia) gentile; il Gay nota che le pelli di agnelli neri di Lombardia davano un prodotto delle spose siano tarsiati o indorati, « Chofanellus autem cuius- glossario 355 libet sponse possit esse deauratus et pictus ». Ved. anche Casietina. Capsietina, v. casietina. Capsietina pro scriptis, v. capsia a scriptis. Capsonus p. 85, 255; casionum p. 260, caxiono p. 261, casciono p. 272; caxono p. 275. Captia p. 105, 106, 221; capsia, p. 240; catia, p. 242; cacia, p. 248; cacieta perforata p. 270; caciola, p. 270; casa, p. 273. Capuceria, p. 86, 87, 231; capuse-ria, p. 243; capusera, p. 274. Capucio, v. Caputeo. Capuseria; Capusera, v. Capuceria. Caputeo, p. 145, 226; capucio, p. 259· Carateleto p. 327. Piccolo carratello. Caratelo e carratelo, v. Carratello. Caratus p. 295. Così era chiamata 0-gnuna delle parti in cui veniva divisa, con feudo, una nave, ved. anche Karatus. Caravana p. 288. Compagnia di facchini bergamaschi che aveva il privilegio del trasporto delle merci in Dogana e in Portofranco Ved. Cer-vetto, La Compagnia dei Caravana. Carbone p. 310. Caretello, v. Carratello. Cariolo, p. 91, 274; carreolo, p. 284. Alle notizie date nel testo aggiungiamo che il Gandini, Usi e costumi d. Corte di Ferrara p. 166 ricorda una « cariola da fioleti » che si teneva sotto i letti. Carlino p. 329. Moneta napoletana. Carratello, p. 116, 220; caratelo e carratelo p. 236; caretello p. 266. Carratelotus, p. 284. Specie di carratello. Carreolo, v. Cariolo. Carrubeo, p. 237. Carruggio. Voce genov. indicante viuzza angusta. Carta prò navigando, p. 250. Cartarius p. 314. Chi preparava e vendeva le carte membranacee 0 pergamene. Cartularium p. 222. Registro 0 libro mastro di conti; il Desimoni Gloss. d. Statuto d. padri ecc. aggiunge che il libro più piccolo che gli corrisponde e che è tenuto secondo l’ordine d. operazioni che si fanno, è detto ora Giornale, anticam. si chiamava Manuale. Casa, v. Captia. Casana, p. 285. Avventore, ma nel doc. si intende la Casana Pietatis cioè il Monte di Pietà. Ved. anche p· 325· Casceta, v. Capsieta. Cascia, v. Capsia. Caseo p. 314; Caseo piacentino p. 317. Casieta, v. Capsieta. Casietina, p. 88; capsietina p. 153, 154; capsetina p. 229; caps. cipressi p. 260; anofanti, p. 281. Casionum e CASCioNUM, v. capsonus. Casolla, p. 269. Piccola casoria, v. Casoria. Casoria prò pertuserando barrilia, p. 269. Dizionario d. Casaccia : Cas-séua, Cocchiumatoio, sgorbia per fare il cocchiume alle botti che è la buca per dove queste si riempiono. Cassia p. 311. Cassia fistula. Albero i cui frutti hanno qualità medicinali. Castanee (canterii, cabule) p. 308. Castroni de Corsica p. 318. Castrati. Catedra, p. 71, 229; catreda p. 221; cadreda p. 276. Catena, p. 105, 110, 221; cathena p. 261 ; cadena p. 273. Catena (strenzicorii, agogiairoli) p. 325, 326. Si tratta qui della catenella alla quale erano assicurati i ninnoli (di cui parlai a p. 151) che pendevano dalla cintura. Cateneta, p. 149, 285; cayneta p. 227; caineta p. 252. Catenula auri p. 337. Catia, v. Capsia. Catreda, v. Catedra. Cattreda, v. Catedra. Cauda p. 333. Voce usata per le artiglierie ; era una lunga appendice dal lato opposto alla bocca da fuoco che serviva a manovrare il pezzo. 356 GLOSSARIO Cavagnum cum coperchio magnum, p. 114, 229. Cavaleto, p. 269. Specie di Capra sulla quale, come sur un banco, il Barilaio, seduto a cavalcioni, pareggia col coltello a petto le doghe ed assottiglia le stecche di le-· gno per farne cerchi. Cavalloto p. 314. Moneta genovese. Cavegeria, p. 149, 194, cavegieria perlarum p. 336. A p. 298 si legga, cavegera in luogo di canegera, a p. 307 v’è cavgeria e, in corsivo, caveria, ma quest’ultimo è un errore di stampa per cavegeria. Nel Diz. del Casaccia: Caviggéa, Fettuccia, nastro; G. Rossi, Gloss. al la voce Cavigeria e Cavilleria spiega « nastro di filo o di lana ed anche specie di corda » e cita : U-nus bonetus chameloti munitus ca-villeriis rubeis; nel Gloss. d. Dialetto aggiunge: Caviglieira, (nastro), con questo es. : E s’intende in detta gabella essere obbligati a pagare.... caviglierie di seta d’ogni sorta (Gabelle di Ventimi-glia). Qui abbiamo una cavegeria perlarum e probabilmente è un nastro ornato di perle da porsi sui capelli o meglio da inserirsi nelle treccie, come le coazze lombarde che si vedono riprodotte nei bellissimi ritratti di Bianca Maria Sforza e della duchessa Beatrice nell’opera di Malaguzzi Valeri: La Corte di Lod. il Moro ecc. p. 416 e segg. Cavetio p. 307, 309. Casaccia, Diz. Cavesso, ordito, unione di più fili distesi per lo lungo sul telaio, di lunghezza corrispondente a quello che si vuol dare ; 'la pezza. Fanfam-Diz Cavezzo, Scampolo di uia pezza, ovvero la mezza pezza. ’ itr zio e Renier (T usso d’IsabelU y. 453^ riferiscono una lettera d’isabella d’Este cH ordina ad un suo cortigiano: togli fora de salvarobba el cavezzo de raso berettino et morello..... et in esso fa tagliare una camorra. Dunque era un pezzo di panno e forse uno scampolo. Due altri esempi opportuni: (Ferrari -Inv. Trincadini p. 106) capicium panni viridis l.i achiorum quinquo; dodece fazoletti novi in un cap-pezo. Il Du Cange, voce Cave-zium, dice che era la parte dell’abito che cingeva il collo e copriva le spalle e fonda questa asserzione su molti buoni esempi dati alla voce Capitium, ma non è forse il nostro caso. • Cavo, p. 295. Fune di canapa, gomena per navi. Caxiono, v. Capsonus. Cazella p. 289. Ceacium, v. Ciacium. Ceca p. 327, la Zecca; in Desimoni, Statuto cit.. Secca. Celata (celiata), p. 231. Elmo con visiera che cela completamente il viso. La Reale Armeria di Torino ne possiede esemplari curiosissimi : Celate con visiera a becco di passero, con visiera a mantice, con visiera e bufifa, con buffa detta alla borgognotta, con goletta da incastro, foggiate alla borgognona, alla polacca, alla savoiarda, alla tedesca, alla veneziana. Celestio p. 275. Celeste. Cella p. 327. Può significare Celliere, dispensa, oppure sella, scanno, ma qui credo indichi una cameretta, uno stanzino. Cellestris, p. 223. Colore celeste. Cello, v. Celo. Celo, p. 97, 244; cello p. 224. Cendato, v. Zendato. Cendrato, v. Zendato. Censa. Senza. Censaria p. 289. Significa senseria; mediazione, ma a Genova indicava pure una gabella che si esigeva su qualunque vendita fatta con o senza l’intervento di un sensale. Census p. 313· Censo. Centurino, p. 134· Cera p. 313· Cerchio prò barrile, p. 267; cerchio di barile ; v’erano i « cerchia de GLOSSARIO 357 testa» (p. 268) che si ponevano alle due estremità del barile ed i «cerchia de medio» (p. 268) che si ponevano nella parte più larga- Cerculi vegete p. 315. Cerchi piccoli per una botte. Cerioti e Cerrioti, v. serioti. Cerverio p. 132, 256; Serverio p. 225, Scerverio p. 255; Lupo cerviero o lince. (Ferrari, Inv. Trin-cadini p. 105) : turcham ex panno bruno fino suffultam pellibus luporum cerveriorum sive lincium. Il colore del pelo di lince è gialliccio grigio. Cetronata p. 313. E’ probabilmente cedro candito. Chamochato, v. Camocato. Chio p. 43, 287. Ciacium, p. 112, 229; ceacium, p. 235 ; seatium, p. 242 ; seacium, p. 260 ; seaso, p. 272. Ciameloto, v. Camelloto. Cicer p. 317. Cece. ClETUM ARGENTI PRO MEDICINIS, p. 154, 244. Assai probabilmente è un bossoletto per medicine; ma non sappiamo da quale radice possa derivare. Cinto p. 151, 252; cincto p. 266. Cipresso, p. 85, 89, 260; supresso, p. 250; supreso p. 275. Cisterna p. 321. Cisterna. Clameloto, Clamelloto, v. Camelloto. Clamis, p. 232, 246; ved. Ucha. Clapa lavelli p. 307. Casaccia Diz. Ciappa do lavello, lastrone dell’acquaio, grossa lastra di lavagna o di marmo inclinata verso la pila (trèuggio). Questo lastrone non si vede nelle cucine toscane perchè ivi soglion rigovernare la stoviglia nella pila, che hanno più grande della nostra, quadrangolare e meglio di un palmo profonda. Clapa p. 268. Originariamente indicava la lastra di lavagna su cui si poggiava la materia da vendere, più tardi con facile trapasso indicò la bottega o il luogo dove la merce era in vendita, v. clapa olei p. 22 e 268. Clapasolo p. 322. Clapasolo posito lavello balnei p. 307. Casaccia Diz. Ciappassèu, rottame di lavagna ; dicesi per lo più di quei rottami delle lastre di lavagna, che coprono i tetti, che sono staccati e gettati sulle vie per forza di vento o di pioggia. Qui però credo si tratti di una leggera lastra di lavagna, Clapella p. 307. Quadrello per pavimenti; il Casaccia Diz. ha Ciappel-la, Pianella. Una specie di mattone sottile il quale si adopera solamente ai tetti delle case e murasi sopra i correnti. Claputio p. 309. Credo corrisponda al mod. gen. ciappusso che vuol dire Acciarpatore, ciarpone, guastamestieri, ma qui forse indica un rivendugliuolo e più precisamente un calderaio ambulante. Clarixia, p. 51, 238; clarixea p. 332. Varietà di panno usato probabilmente dalle monache Clarisse; era di colore bianco o turchino. Claronus p. 98, 224, 235; cl. circa lectum p. 238. Clavacorium, p. 151, 278; iavaco-rium p. 252; chiavacorium p. 262. Clavatura, p. 88, 91, 226, 317. Serratura. Clemesi, p. 220. Colore cremisi. Cloaca rudens in caminata p. 308. E’ forse il tubo che serve di smaltitoio all’acquaio. Cochina p. 104 e segg., 228 coxinna p· 273. COCLEARIUS p. 79, 222. Cocus p. 318. Cuoco. Cofanetto, p. 88; coffaneto, p. 232; cofaneto. p. 243. Cofano, p. 86, 91, 221 ; coffano, p. 226. Coffa, p. 329. Corbello intessuto di vimini fatto a campana, con due ferme maniglie in arco, entro cui si portano pietre, mattoni, ed anche zavorra, biscotto ecc. per le navi. Coffaneto, v. Cofanetto. Coffano, v. Cofano. 358 GLOSSARIO Coglei, p. 232. Ciameloti c. torticii. Colana, Colaneta p. 222; collana p. 227. Col areto, v. Collareto. Colario, p. 141, 292; collario p. 150, 227. Colationes sive comestiones p. 336. Dal testo appare che per colezio-ne s’intendeva nel sec. XVI non un leggero pasto, come si intende oggi, ma una semplice offerta di frutta e dolci. Collana, v. Colana. Collareto prò domina p. 141, 161, 262; colareto, id. id. p. 282. Collario, v. Colario. Collere, v. Coltiare. Colleto, p. 141. Colteli e Coteli, v. Culteli. Coltiare sive collere p. 335. Fare colazione? Ved. a p. 336: « In comestionibus sive colationibus ». Coltina, v. Cortina. Coltre, p. 95, 103; Cultris p. 220; cultera p. 229; cultreta p. 234; cultrix p. 239; culter p. 249; cultris piume, probabilm. un coltrone, p. 263 ; cotre p. 274. Columneta p. 322. Colonnetta. Le col. qui citate avevano capitelli e basi ; servivano dunque assai probabilmente per ornare finestre bifore, o trifore. Comerchario p. 294. Appaltatore dei diritti di dogana. Comerchio p. 289. Diritto di dogana. Compera S. Georgii, p. 222. Credito sopra la Repubblica ottenuto dal Banco di S. G. mediante prestito volontario. Conca, p. 78, 105, 221; concha p. 234; cuncha p. 271. Le conche a Genova sono quasi sempre di metallo. Il Belgrano però cita « conchas duas terre deauratas » già nel 1392 (Vita priv. gen. p. 186). In un inv. della Rocca di Borgo Valditaro (Motta P- 37*) troviamo « una conca de legno grande da salare porci ». Concheta, p. 105, 248. Confecteria, p. 78, 227; confectera, p. 224 ; confeteria p. 255. Le confet- tiere avevano la forma di coppe largamente espanse ed erano provviste di uno o due cucchiai, d’un sotto coppa, d’una tovaglia di seta o d’una fine salvietta; erano spesso oggetti di oreficeria, di cristallo o di pietra dura (Gay, Gloss.). Fra le suppellettili estensi sono elencate nove « confetiere » mirabilmente lavorate (Bertoni e Vicini, Cast, di Ferrara). Consteo p. 308. Spesa. Consuetus, p. 247. Usato. Contraduso, p. 279; forse non si tratta di pelliccia di animale raro, come dicemmo, pur dubbiosamente, a pag. 132, ma di una parola tecnica per indicare una speciale parte della pelliccia ; supponiamo si tratti di contradossi cioè di una lista di pelliccia presso o contro il dosso o schiena dell’animale; ved. Docio, Dolso. Contratayralia, p. 113, 114. Errata interpretazione di M. Staglieno per Gratayrolia. Convivi nuptiales p. 335. Coperitura panni albi prò molina-rio p. 265. Ved. Copertorio. Coperta, p. 253. Copertorio, p. 94, 95, 103, 220; copertorii duo prò pane p. 112; copertoria duo prò corba p. 262. Gay Gloss. voce couverture: la coperta è spesso adorna nel m. e. di pellicce preziose e di lavori di ricamo, ma mentre le pelli d’ermellino o di martora formavano la fodera interna d’un abito signorile, le cop. d. letto ponevano la pelliccia all’esterno col verso del pelo diretto dalla testa ai piedi; i cop. per il pan- e per le corbe erano naturalmente più grossolani. Coplileto, v. Copri lecto. Copricapusorium bocasini prò estate p. 87, 282. Coprilecto, p. 96, 104, 219; copri-leto, p. 264; coplileto p. 276. Copriperticha, p. 99, 229 ; croviper-tega p. 253; copripertica p. 282. Coquinarius p. 327. Cuoco. GLOSSARIO 359 Coralli, p. 56, 305 ; corali p. 261. Corba p. 262, cuna sive corba p. 335. Cesta, culla intessuta di vimini. Nell’inv. Fieschi (pubbl. dal Manno): Corba da figlio. Cordela p.297, 300. Le cordelle erano accessori per il vestire, ma accessori notevoli per il loro numero e per la loro ricchezza. Nel registro d. vesti bollate di Bologna è ricordato un numero grandissimo di sifatti cordoni e lo statuto suntuario bolognese, pubblicato nel 1401, stabiliva che le donne potessero portare « cordelle deaurate vel non deaurate usque ad pondus sex unciarum et non ultra ». Dallari e Gandini, Stat. sunt. bologn. del 1401 ecc.... 'Cordelato (panno) p. 331. Fanfani: Accordellato : Panno tessuto a righe. Crederei piuttosto fosse un tessuto in cui i fili del ripieno sporgessero in righe più o meno fitte sull’ordito. Mazzi, Casa senese n. 657. Tre braccia di panno pavonazo forestiero accordellato novo in peza ; Ferrari, Inv. Trincadini p. 108. Una coltra o vero coperta da lecto bianca de bambacina et un altra grande et sempia de cordellato. Cordonus prò clavibus p. 152, 253. E-ra il cordone al quale si appendevano le chiavi per portarle alla cintura. Coreum, v. Corium. Corigium; corigia; corrigium, v. Corrigia. Corium (coreum p. 221) magnum p. 72. Gay (Gloss. voce Cuir) offre ampie e impoi tanti notizie sulla varia lavorazione del cuoio nel m. e. Cormo (quarta pro) p. 113, 267. Misura di capacità per quelle mercanzie per le quali non occorreva la rasiera. Corheto p. 262. Farsetto (?). Corrigia p. 151, 222, corigia p. 247, corigium p. 237; corrigium p. 266; corrigia neapolis p. 300; cor. Balce-nuni p. 302. Corrigieta p. 281 ; corregeta p. 304. Corrigiola argenti p. 325. Corsica, p. 292. Corsice (officium) p. 294. Cortine p. 97, 219; cultina, cultrina p. 264; coltina p. 274. Coscino e Cossino, v. Cosino. Cosino, p. 96, 243 ; cossino p. 226 ; coscino p. 272. Cossinetum, p. 103, 240. Costeta, p. 150, 282, v. anche Schne-to. Costigiolo 0 Costegillo p. 322. Costolerius p. 279. Costoliere, Spada che ha il taglio da un solo lato. Il Du Cange: Costelerius, spiega: Pugio, sica, dimin. a cultellus. Coteleria, v. Culteleria. Cotone, p. 287. Cotonina, p. 49, 232. Cotre, v. Coltre. Coxinna v. Cochina. Coyratia, p. 231. Corazza. Cravis, p. 249. Clavis, chiave. Cremexi p. 231. Cremisi. Gay, Gloss. voce Cramoisi : Kermes è nome arabo della cocciniglia, animale parassita di alcune piante. Serve alla tintura in rosso della lana e della seta ; serviva pure ad avvivare ogni sorta di colori e sfumature, perciò la parola cremisi significa il massimo d’intensità 0 di purezza di qualunque colore. Cricha p. 317. Saliscendi Criveli, p. in, 112, 242. Crospia p. 327. Crosta, p. 108. Sfogliata. Crovipertica, v. Copriperticha. Cruceta p. 252. Crocetta. Crux cum quatuor perlis p. 261. Cucidra, v. Culcer. Cucina p. 104 e segg.; cochina p. 228, coxinna p. 273. Culcer p. 92, 103, culceria p. 226; culcereta p. 227; culcidra p. 231; cucidra p. 233 ; culcidia p. 240 ; culcitra p. 243; culcita p. 277: culci-tre p. 278. Culcereta, v. Culcer. Culcidia, v. Culcer. Culcidra; culcitra; culcitre; culcita, v. Culcer. Culteleria p. 79, 266; coteleria p. 360 GLOSSARIO 250. Alle notizie date nel testo aggiungiamo che forse la più ricca colt. è quella ric. dal M. Valeri (Corte di Lod. il Moro p. 337): Col-tellera con sedici coltelli dalle impugnature lavorate e relativa guaina di cuoio rosso. Culteli, p. 79, 266; colteli p. 250; coteli p. 273; cultelli p. 299. Per questi ultimi è da notare che oltre al manico, dovevano avere anche la lama indorata; ved. infatti p. 300. Cxjltera, v. Coltre. Cultina, Cultrina, v. Cortina. Cultreta, v. Coltre. Cultrix, v. Coltre. Cuncha, v. Conca. Cuniculus p. 316. Coniglio. Cunna, p. 272. Culla. Ved. anche Corba. Cupa argenti deaurati, coperta p. 78, 236. Curlus ligni p. 284; Casaccia, Cur- io = Ruota. Strumento di legno in guisa di una cassetta rotonda che girando su un pernio nella apertura del muro serve a dare e ricevere robe da persone rinchiuse come monache e simili. Curona p. 295. Curreto. p. 242. Corridoio. D. D. = denaro. Damascha p. 221 ; Damascho p. 299.; Città di Damasco. Dardaro (Partexanna cum d.) p. 276. Du Cange, voce Dardus ha i seguenti esempi, Darda pietà de viridi ; Darde ou demiglaive; Lance ou Darde; Darde ou dart; in ispa-gnolo Dard indica Lanciotto. Era dunque una specie di Lancia. Darsinale p. 332. Col nome di Darsena si indicava, oltre allo specchio acqueo ove stazionavano navigli, un deposito od accastamento di legnami atti alla costruzione di navi, o risultanti dal disfacimento di queste. Stat. padri Comune, Cap. VII ; Podestà, Porto di Genova p. 246. Daurato, p. 275. Indorato. Deauratura p. 314. Indoratura. Denaro. Era la dodicesima parte del soldo e lo ducentoquarantesima della lira. Denicia, v. Nicia. Denissia, v. Nicia. Deproide, v. Diploide. Desnodata (catedra) p. 71, 72, 279; désnoata p. 276. Diale, p. 154, 285. Dimitto, p. 95; dimito p. 254; dimito firozelle p. 306. Il Belgrano, Vita priv. p. 232 afferma che era drappo fino, a due licci, o teleria di bambagia e usavasi specialmente per soppannare gli abiti, ma dall’ultimo esempio possiamo dedurre che poteva essere anche di cascami di seta. Diploide, p. 134, 135! deplois p. 231; diprois p. 246; diplois p. 256; di-proide p. 276, d. pro homine duplex p. 263. Aggiungiamo qualche particolare alle notizie date nel testo. La diploide era abito spesso imbottito, qualche volta foderato di pellicce ; doveva essere molto simile al giubbone perchè fra le spese di una ambasceria genovese nel 1367 (Gabotto, Come viagg. gli amb. gen. nel sec. XIV) è spesso ricordato « duploydis sive iuponus ». Doveva dunque avere la foggia di una giubba o farsetto attillato e imbottito e poteva servire di livrea per i servi. Tuttavia fu usata anche dai signori e probabilmente come abito intimo. La dip. cum pitoco è forse fornita di una specie di mantelletto per difendersi dalle intemperie. Abbiamo due es. di questo abito nel-l’inv. Trincadini. (Ferrari p. 104): dupploidem ex syrico nigro, aliam dupploidem ex fustaneo pro portandis nummis e quest’ultima farebbe supporre si trattasse proprio di un panciotto da portarsi sotto l’abito per tenervi sicuri i denari. GLOSSARIO 361 Diplois; Diprois, v. Diploide. Dira p. 322. Diragia p. 315. Confetto, dolciume; in francese Dragée. Dischetum, v. Disco. Discum p. 74, 88, 220, d. pro masnata p. 221 ; dischum p. 223, dischetum p. 237. Dobleta pro lecto p. 304. Gay: Glossaire, Doublet de lit : « coperta o-vattata e trapunta posta sotto i drappi, a foggia di aggiunta ». Deve dunque corrispondere al nostro copripiedi o piumino per tener caldi i pie^di ne! letto. Dobleto p. 51, 235. Docio, v. Dolso. Doga p. 267. Doga di botte. Dolio p. 248. Doglio. Dolso p. 132, 224, docio p. 278. Indica quasi sempre la parte dorsale della pelliccia, ma quando si trova un abito « pro usu et dolso » di qualche persona (ved. es. p. 223) si vuole indicare che l’abito è fatto « su misura » di quella persona. Dozena p. 317. Dozzina. Ducato p. 252. Moneta d’oro finissimo, di peso gr. 3 1/2 e del valore di lire italiane dodici circa. Il De-simoni nelle Tavole dei valori monet. gen. aggiunte all’opera del Bei-grano, Vita priv. gen. afferma che tra il 1484 ed il 1500 il ducato equivaleva a poco più di tre lire di Genova. Dai nostri doc. a p. 289 e seg. appare che valesse solo poco più ai due lire genovesi. E’ però da ricordare che si trattava di ducati di Chio. Per i ducati larghi a p. 325 il calcolo del Desimoni è giustissimo. Erano cioè uguali a L. 3, s. 2. I ducati solis p. 327, 329 erano invece eguali a L. 3, s. 4. Dunda, v. Unda. Dupes, v. Diploes. E. Edina (carta) p. 239. Bevere, Arredi ecc. XXI, p. 640: Carta edina subtilis et rasa pro scribendis litteris. Ensis p. 220, 254. Entema p. 93, Ved. il lungo articolo su questa voce in Gloss. d. Inv. Fieschi pubb. dal Manno. Eres p. 294. Xeres. Ermerino p. 232, Ermellino u Exenio p. 310. Du Cange: Exenium Donum; Rossi, Glossario: Ense-nium, donativo, F. Faceti (culcera piume) p. 229. Il Du Cange ha: Facheta, Facha che significa una specie di grosso colombo. Fachinus p. 279. Il Rossi, Glossario trae dagli Stat. Albingane 1519, fol. 34: « Ipse miles teneatur ire sem-per associatus cum uno serviente saltem, et portare semper baculum et ensem vel fachinum » e ne deduce che il fach. era una specie d’arma, onde doveva andare munito il milite comunale. Noi possiamo dire qualche cosa di più, poiché in un nostro inv. si trova : « Costolerius sive fachinus » e sapendo che il costoliere era una specie di spada con il taglio da un solo lato è spiegata anche la parola Fachinus. Facula p. 320. Torcia, cero; questa voce è usata soltanto per i ceri dei funerali. Fada, v. Falda. Falda (seu pavexio) p. 235, falda panni albi gonelle a medio p. 2ò6, falda cotonine pro domina p. 280, par unum fadarum pro camixia p... La faìda è la parte dell’abito che copre la parte del corpo compresa fra le anche ed i ginocchi (Gay, Gloss.). Il Verga, Leggi Milanesi, p. 65 cita dal Muralto : « Sub vestem deferebant aliam vestem quae vocabatur faldia, quae erat facta aut fustaneo, aut bombaxina, aut tellae et circumquaque aderant cir- 362 GLOSSARIO culi pleni stuppa aut bambace et de per se stabat lata ad instar dolii vini ». Era dunque, dice il Verga, il guardinfante con circoli di stoppa e di cotone, e cita alcune faldie elencate nel Corredo di Paola Gonzaga. Esaminando gli esempi dei nostri inventari si rimane un poco in dubbio rispetto alla loro interpretazione. Il primo es., dal luogo in cui si trova nell’inv., appare un taglio di stoffa non per abiti, ma forse per tende da porsi alle finestre o altrove. Ved. Pavexio. Il secondo e il terzo es. indicano certamente la parte di una gonnella da porsi sotto il vestito. Il quarto indica la parte inferiore della camicia che si chiamava falda, mentre la superiore si diceva busto. Certo è che in linea generale la falda a Genova indica la parte dell’abito che va dalla cintura ai piedi. Lo conferma l’es. : panno prò goneleta prò faldis et busto p. 298. Famulus p. 321. Garzone. Fardello p. 45, 290. Imballaggio speciale per la seta che veniva dal-lOriente. Farina saxeta e tozella p. 56, f. to-sella p. 311. La f. tozella è di una specie di frumento le cui spighe sono prive di ariste: in alcuni luoghi lo dicono Zucco. Della saxeta non ho notizia. Farinoto p. 296. Colui che vende farina. Fascina p. 312. Fascina. Fassi cannarum p. 310. Fasci di canne. Fassia dogarum p. 267. Fasci di doghe. Faxiola p. 262. Fascetta per lattante; Casaccia, Diz. Fascièua, lunga striscia di forte pannolino o canapino, con la quale si fascia il bambino. Fenestra vitrea p. 307. Fenogieto p. 98. Fermagio, v. Fermaglio. Fermaglio p. 150, fermagio p. 228, fermalieto p. 247, fermalio p. 303; Verga, Leggi milanesi p. 49, cita parecchi begli esempi di fermagli delle dame milanesi. Fermalieto, v. Fermaglio. Ferozella, v. Firozella. Ferra duo prò camino et prò rostis p. 109, no, 242, 271. Ferriolo (mattone) p. 321. Voce che indica il mattone ben cotto mentre quelli poco cotti si chiamavano « iu·· • venes ». Ferrogiarotus p. 322. In gen. mod. ferruggià, paletto che si mette agli usci per lo stesso servizio del chiavistello, ma mentre questo è tondo, il paletto è quadrato a guisa di regolo. Ferrum pro mutandis catenis p. 110, 271. Ferrum pro pertuserando barrilia p. 269. Succhiello o Trivello. Ferrum pro trahendo foco p. m, 271. Figono p. 209, 210, 323. Il Rossi, Gloss. spiega questa voce come « servo » e nell’Appendice aggiunge che nella diocesi di Ventimiglia e di Albenga era appellativo di spregio per gli operai randagi famosi per la loro infingardaggine. A Genova però appare da molti documenti che il figono tosse il colono, l’uomo che lavorava la campagna. Fillus, v. filus. Filo p. 282, fillo p. 222. Fioreto p. 51. 276> 3°6· Fanfani, Diz. Fioretto. Seta che si toglie al bozzo- lo sfarfallato, e che però non potendosi tirare, ma solo cardare, è di qualità inferiore; Gay, Gloss.: Fleuret, borra di seta, fioretto, nastro che ne è tessuto. Firozella p. 51. bialdo firozelle p. 300; firozella pro manicis p. 306. Du Cange: Firosellum vel Filladisse-rium, filum sericum crassius; Fanfani: Filusello, Tela di filaticcio, o, come dicono, di stoppa di seta; il filaticcio è filato di seta stracciata ; si forma di bozzoli sfarfallati che si cardano dallo stracciaiolo e poi si filano. Rossi, Glossario : Filosela, filo GLOSSARIO 363 di seta ordinario, filosela da cucire. Flandria p. 88, 97, Frandra p. 229. Fiandra. Florensolarum (panni more) p. 42, 293· Florentie (pecia) p. 289. Panno de F- P. 338· Panno di Firenze. Ved. p. 42. Fodera p. 132, 223, foderatura p. 225» 2S5, 262, foratura p. 253, La fodera, come spiega il Merkel (Beni famiglia Pucci p. 35 n. 5), non era fissa alle vesti come oggidì, ma mutavasi a seconda delle stagioni. Nei nostri inventari si nota la cura di descrivere sempre la fodera e se ne incontrano di tela, di blan-cheto, di panno bianco, di bocasino, di zendato, ma più spesso di pelliccia. Quando questa è distinta soltanto per il colore (alba, verde, nigra) o per le parti della pelliccia più note, cioè i dossi e i ventri, allora è probabile che sia di pelli molto comuni come le agnine ; quando è invece di animali selvatici allora si indica sempre che la fod. è di martora, di volpe, di.lupo cerviero ; a volte è fatta soltanto di ventri di vai, di gole di martore, di gambe di lupi cervieri, di liste di ermellini. Foderatura, v. fodera. Fogasarium ferri cum una glapeta p. 108. Questo fogasario è elencato in un inventario del 1487 da me non pubblicato, Folie p. 53, 288. Focea. Fonda pro barrilotis p. 267. Fondi di barilotto. Foratura, v. Fodera. Forcerius p. 316. Forziere, Forcheta p. 323. Palo biforcuto per sostenere alberi, viti pergolati. In italiano: Forcella, broncone. Forfixe p. 151. Fratesco (panno) p. 332. Frexetum p. 154, 252, 281. Treccia, gallone, nastro, cordone, ornamento tessuto per l’acconciatura delle donne. Frexio, v. Frixio. Frixio p. 97, 232, frexio p. 307. Il Belgrano, Vita priv. gen., p. 246, intende il frixio come merletto, ma il suo significato più comune è quel- lo di nastro. Fulcimentum. E’ ciò che serve di complemento ad una determinata cosa. Fulc. di un chiavacuore p. 278; oggetti annessi al chiavacuore ved. p. 151. Fulc. da serra o sega p. 331 ; utensile per detta sega. Fulcita (meizara) p. 261. Madia completa, cioè fornita di tutti i suoi utensili. Furcella pro rostis p. 80, 271. Il Gay nel suo Glossaire ha un lungo articolo sull’argomento. Nel-l’inv. di Spinetta Fregoso pubbl. dal Neri trovasi: Cortelleriam unam fulcitam gladiis quatuor cum manicis de argento et cum una forcella de argento, e nel Valeri (Corte di Lod. il Moro p. 337) sono registrate tre forchette di cui una col manico « de corno de buffalo » e a p. 390 tra i vasellami d’oro di Lod. il Moro vi sono due forzelete. Furche due pro stabula, p. 115, 271. Forche per la stalla. Furfures p. 296, Crusca, buccie di grano o di biade macinate, separate dalla farina. Fustaneo p. 50, 220, fustano p. 278. { 3To Gabia, v. Gagia. Gagia p. 114, 115, cabia p. 266, gabia Ρ. 274. Galea (Barrilota pro) 267. Barilotti per nave. Galeonum p. 58, 295, galionum p. 296, gallionum p. 294. Gallura p. 333. Gallura in Sardegna. Gambeta p. 276. La parte della pelliccia che copre le gambe dell’animale. Ved. p, 132. Gamelino p. 50, 245, gamellino p. 246. Gameloto, v. Camelloto. Gamorra p. 138, 297. Gangium (vel Ganchium) pro rostis, 364 GLOSSARIO p. 271. Gancio, arpione ? Gara e Gareta, v. Iarra. Garbellatura plumarum duarum cul-cerum p. 313. Da Garbello (vaglio) deriva garbellare, passare al vaglio. La Garbellatura delle piume era una cernita del piumino dalla piuma, fatta col vaglio. Il piumino essendo più leggero veniva sollevato dal moto impresso al vaglio e raccolto in un recipiente sottostante. Garbo (panno di) p. 43, 292. Sembra che ogni sorta di lana o di panni fatti venire da paesi occidentali si chiamasse di Garbo (Poli-dori, Statuti Senesi della lana, del secolo XIII e XIV, tomo I, p. 475) e pare che la voce derivi da Garb che significa presso gli Arabi 3’Occidente (da cui, vento Garbino). Il Petrocchi (Dizionario) spiega: Panni di Garbo, provenienti da Garb, ma Garb non esiste nei vocabolari geografici. Il Gargiolli (L’arte della seta) afferma il panno monachino essere anche detto panno di S. Martino 0 di Garbo. Il monachino era di colore grigio e il Dallari : Statuto sunt. bologn. p. 30, ricorda che si chiamò così perchè primi fra gli altri i cistercensi « nigrum habitum in griseum commutarunt ». Anche oggi, dice il Dallari, il lino greggio è chiamato dalle nostre massaie lino monachino. Garofaro p. 317. Garofano; qui però si deve intendere il chiodo di garofano usato per aroma. Gavardina p. 139, 277. Gazaria p. 329. Ufficio di dogana. Gema o Gemma p. 325 et antea. Gemma, Pietra preziosa. Giberia corei cum armis de nigro p. 239. Borsa, o meglio carniere, dal francese gibecière che deriva da Gibier, cacciagione. Ricordiamo che nel corredo di Drusiana (Giuliani p. 211) v’era: Carnero uno de tela de reno lavorata. Gindalo, gindaro, v. Guindalo. Gingiber p. 200. Zenzero. Dello Z. sue specie, provenienza, caratteri parla Balducci-Pegolotti, op. cit. p. 360 e Heyd op. cit. II 619. Nei Capitolari Veneziani, (Monticolo, Voi. 1, p. 165) si ingiungeva agli speziali « nullus audeat vel presumat fa-cere qinqiberatum confectum nisi de puro ςπιςΛεΓ et bono Qucharo, nec in ipso ponere amidum vel eia-rum ovi ». Gioielli p. 149 e segg. Giornea p. 134; iornea p. 225, gornia p. 277, iornia p. 278, gornea p. 280. Gladius argenti cum sua cateneta p. 152, 262. La catenella serviva per appendere il coltellino alla cintura. Gladius pro cochina p. 114, 240. Gladius pro mensa p. 79, 240. Glapeta p. 108. Glareto p. 82, 83, 235 ; grareto p. 228. E’, come dicemmo nel testo, una specie di vaso ; forse deriva da Gla-reus, argilloso. Il Du Cange ha pure, Grasala, Grasale, grasaletus, grèil, per indicare vasi di legno, terra o metallo a volte rotondi e più larghi che fondi, a volte del tipo delle scodelle. Goa p. 328. Misr ra di lunghezza. Quattordici goe equivalgono a metri dieci e cm. 40. De Albertis, Co-struz. navali ecc. p. 26. Goardamapi, v. Guardamapi. Goarnacia p. 137. 297. Goarnile p. 336. Fregio, ornamento delle vesti. Goarnimento p. 89, 193, 299. Corredo nuziale; goarnimento brille unius mule p. 306, finimento per la briglia di una mula. Golleta prò domina foderata rubea p. 259. Collaretto o colletto. Gona p. 131, 220, gonna p. 276. Gondola p. 295, 328. Du Cange spiega che il nome viene dal greco e indica brevis navicula; Rossi, Glossario dice che era « legno minore che nel XIII sec. era d’equipaggio nelle grandi navi ». GLOSSARIO 365 Gonelleta p. 133, 223, goneleta p. 220, goneta p. 264. Goneta, Goneleta, v. Gonelleta. Gonna, v, Gona. Gonnella p. 133, 300, gonella p. 238, gonella a medio p. 266, gonela p. 280, gonella de medio p. 338. Gordena p. 262. Guardina, guaina, v. vagina. Gornia, v. Giornea. Graixela, graixella, v. Grayxela. Grana, p. 43 n. 1 ; p. 254 ; pecie tincte in grana tam paonacie quam scartatine p. 289; gr. vermilio p. 297. ' Grano lombardo p. 296; grano di Corsica p. 330. Grapa p. 107. Grapela p. 273. A p. 107 erroneamente fu scritto grapola. Il Du Cange ha Grapelus: uncus vel nexus ferreus e ricorda un grappellum fra utensili di cucina enumerati in una carta del 1263 nelle Ai)tiq. Ital. m. aevi. T. II, col. 476. Grapola p. 107; errato in vece di grapela. Grareti, v. glareti. Gratayrolia p. 114, 235, graterola, gratairolia p. 248, gratarollia p. 257, gratairola p. 270, graterora p. 273; inv. Fieschi, Gratarina; diai, mod. Grattaena. Graterola e graterora, v. Gratayrolia. Grave p. 226, pesante. Grayxela p. 107, 221, grixella p. 240, grisela p. 265, graixella p. 270, graixela p, 273. Nell’inv. Fieschi: Gra-dizella; dial. mod. Grixella. Gregetus p. 149; greghetus p. 299; gregetus sive filus perlarum p. 336. Du Cange: Gregetum, ornamenti genus ex pluribus rebus simul adunatis constans, quo sensu gregge dicunt Itali ; Gali. Collier. Negli Stat. Vercell. lib. 2 p. 27 v. appellatione iocalium intelligatur garlan-da una quae portatur omni die et gregetum unum quod portatur omni die. Le leggi suntuarie Savonesi permettono di portare « in caput, coacias vel gherghetos de perlis » e da ciò possiamo concludere che il g. rassomigliava alle coazze lombarde cioè a collane 0 a nastri trapunti di perle che si inserivano nelle treccie. Grisela e Grixella v. Grayxela. Gropia p. 107, 283. Gropum p. 149, 247, Grossa p. 294. Una grossa, cioè una determinata quantità di oggetti. Grosso p. 252. Moneta del valore di quattro denari di lira. Grossone p. 252. Moneta d’argento toscana del valore di ventun quattrino. Guardachore p. 127. Il Gandini (Isabella, Beatrice ecc.) afferma che così si chiamavano le camicie da notte nel sec. XV e non v’è da dubitarne, perchè un doc. lo dice esplicitamente. Ricordiamo però che nell’armeria reale di Torino trovasi un Guardacuore elencato come Manteau d’armes. (Guida ufficiale della R. Armeria di Torino p. 24). Guardamapo p. 76, 229, goardamapo p. 220, guardanapo p. 275. Guarnimentum, v. Goarnimentum. Guindalo p. 72, 115, 261, gindalo p. 221, gindaro p, 238. Rossi, Gloss., ha: Ghindare, arcolaio. Gula p. 276, Gulla p. 231. Gola. Guleta p. 318. Goletta. Guoagina, v. Vagina. Guponus, v. Iuponus. Gusellaro, v. Agogiarolo. H. Harena p. 321. Arena. Hinmorum tabule p. 316. I. Iacintus, p. 150, 266. Pietra preziosa, Ialnus p. 224. Giallo. Iano p. 274. Giallo. Iarna, v. Iarra. Iarra p. 104, 116, 220, ihara 242, ihar- 366 GLOSSARIO ra p. 243, idrea p. 257, idria p. 266, jarna p. 260, gara e gareta p. 274. Iarreta p. 258, iarreto p. 260. Giar-retta. Iavacorium, v. Clavacorium. Idrea, idria, v. Iarra. Ihameloto, v. Camelloto. Ihanctalami (seta coloris) sive zentunini p. 280. Seta di colore dello zentonino; il colore predominante dello zent. era il rosso. Ihara, v. Iarra. Ihete (gona con le) p. 278. Cosa erano queste ihete? Come iharra si pronuncia giarra e ihonco, giunco qui si dovrebbe leggere giete oppure come ihavacorium è uguale a chiavacuore qui si potrebbe leggere chiete. Una gonna con le ghete o ghette è poco probabile e non sappiamo se le ghette esistessero allora 0 avessero questo nome. Più rispondente al tempo sarebbe la voce geto che era quel correggiolo col quale 1 falchi erano legati al pugno del falconiere Ma qui la voce è femminile. Erano forse striscie di cuoio o di stoffa per ornare o per stringere la gonna? Ihoncho. Giunco. Rossi, Gloss. Xun-cum; Podestà, Porto di Genova p. 319; sonco; p. 538 zonco. Iechini (camocati) p. 46, 233. Illicis (Castrum) p. 328. Castello di Lerici presso Spezia. Imblanchitura telarum p. 309. Imbutum p. 116, 270. Ved. anche Torteirolo. Impastator p. 321. Arte muraria. Casaccia Diz. : Impastou, calcinaio, manovale addetto a spegner la calce. intriderla e ridurla in calcina da murare; operazione che il calcinaio fa colla marra (sappa). Incizoria p. 8υ, 82, 114, 235. Inguarnitura Ptolomei figurati p. 315. Si tratta di un libro e la ing. è compiuta da un indoratore, sicché probabilmente è una rilegatura. Inpilla (iarra) p. 269. Questa giarra era nella « clapa olei » cioè nel magazzino o fondaco dell’olio e forse serviva per empire i barili d’olio. La voce inpilla è probabilmente da dividersi in due e cioè « in pilla » nella pila, nel grosso recipiente che conteneva l’olio, detto ora Trèuggio da èuio. Insizame p. 114, 273. Intarsiato p. 71, tarsiato p. 221, intersiato p. 265, intersciato p. 275. Opere tassellate, o vogliamo dire tesserate, ricorda il Mosti in una bella lettera pubb. da A. Solerti (Vita Ferrarese ecc. p. 179) dandoci così l’etimologia della parola. Intersciato, v. Intarsiato. Intertaiato p. 71. Intertagiato p. 229; sinonimo di intarsiato. Iocalia p. 302. Gioielli. Iocio p. 101, 279. Iona cum suis ferris p. 269. Nel Glossario del Manno (Inv. Fieschi) troviamo Chioneti, pialletti ; in dial. mod. ciunetti ; nel Diz. del Casaccia è registrato Ciunà, piallare ; ciù-nassa, piallone ed anche barlotta; ciunetto, pialletto. Iona sta dunque per ciona, pialla, strumento notissimo di legno che ha un ferro tagliente incassato, col quale i legnaiuoli assottigliano, appianano, puliscono i legnami. Iornea, v. Giornea. Iuponus ρ. 142. 28o, ioponus p. 281, guponus p. 292. Nell’inventario Fieschi : Zuppone ; corrisponde al gen. mod. gipponetto, cioè corpetto, panciotto ed era attillato, serrato al busto e giungeva sino alla vita, aveva maniche e collare, come dicemmo nel testo, e si indossava sulla camicia e sotto la gonna, la guarnacca, la oppa, ecc. Il Merkel (Come vest. gli uom. d. Decam. p. 16 segg.) fornisce ottime spiegazioni sulla giubba che si confuse spesso col farsetto, poiché aveva molti punti di somiglianza con esso. K. K. = Karatus. Karatus p. 299, 302. Rossi, Gloss. GLOSSARIO 367 peso di 4 denari, trattandosi di oro Desimoni, Gloss. d. Statuto d padri, etc., la parte 24.a della moneta d’oro o del suo peso. Xv. L = lira o libra. Laborerio p. 308, 314. Lavoro. Lanezii (coloris) p. 225; forse anche panno p. 259. Lannera ferri p, 269; nell’inventario non è chiaro se debba leggersi lannera o lamiera. Lanterna p. 262. Lanterna, ved. Lucerna. E’ probabile che mentre la lucerna ed i candelabri servivano per l’illuminazione della casa, le lanterne fossero usate per le strade o in campagna. Lanterne (opera) p. 328. Accenno e-vidente al Castello detto : « La briglia » che si stava erigendo nel J5°7 presso la Lanterna per ordine di Luigi XII affinchè tenesse in rispetto i Genovesi. Latono p. 74, 224, ietone p. 276, lo-tono p. 277, loctono p. 310. Ottone. Lavello p. 307. Acquaio. Riassumo dal Casaccia : Il lavello si compone della « clapa lavelli » che è il lastrone ove si rigovernano i piatti, del « tréuggio dò lavello » che è la pila ove si raccòglie l’acqua sporca, del « pertuzo dò lavello » che è il foro per il quale la rigovernatura passa allo smaltitoio 0 « condùto dò lavello ». Lavello balnei p. 307 è forse il fondo della vasca per il bagno. Lavezium p. 105, no, 229, lebes p. 228; lavezo p. 273, Il Casaccia spiega che il laveggio è un vaso simile al calderotto (bolacco) che si usa dai contadini invece di pentola ed ha il manico come il paiolo. Erano fatti anticam, di pietra oliare ed io credo che il paese di Pietra La-vezzara presso la Bocchetta abbia preso nome dalle cave di materiale per i laveggi. I laveggi però potevano essere anche di bronzo ; alcuni di essi sono specificati come rotondi. Lebes, lebeto, v. Lavezium. Lecarda p. 109, no, 271. Lechione p. 335. Casaccia. Diz. Leccia, Scomber ancia, pesce di mare simile aH’Ombrina ; la suà carne bianca, grassa è d’ottimo sapore. Lecteria p. 320. E’ il cataletto, specie di barella in cui si mette il cadavere per portarlo alla sepoltura. Lectucio p. 91, 305. Lectum p. 72, 234. Ved. Cariolo, Lectucio e Torcular. Lembo p. 57, 329. Piccola nave a vela del tipo dei moderni trabaccoli. Lensoletum, v. Lensolo. Lensolo lane parvo p. 272, lensorii de panno albo p. 245, lensoleto p. 280. Sono probabilmente « catalogne », coperte di lana; v. Linteamen. Lenteamen e Lentiamen, v. Linteamen. Lentis, v. Lintigia. Leonato p. 300. Du Cange : Leonatus, Coloris leonini. Lesita p. 105, 242. In Gen. mod. lesela, lisciva, ranno, acqua passata per la cenere o bollita con essa. Cenerata. Letone, v. Latono. Lexaria (Petra), v. Petra Lexaria. Libra p. 221, 222 etc. Indica così la lira, moneta, come la libra, misura di peso. La lira genovese è ragionata di soldi venti ed ogni soldo è pari a denari dodici. Il suo valore, nel 1451, era di moderne lire it. 5,238, poi andò gradata-mente diminuendo, sicché nel 1500 valeva L.it. 3.875 e nel 1541 L.it. 3.120. La libra genovese divisa in dodici once di ventiquattro denari per oncia, equivale a moderni grammi 316.75. Lima p. 331. Lima. Linnesolus fili celestii, p. 282. Lino de Neapoli p. 310; brustia pro pentenare linum p. 222. Linteamen p. 94, 103, 229. Lentia- 368 GLOSSARIO men p. 220, Iintiamen p. 232. Pare che fra lintiainen e lensolo vi sia qualche divario; i lintiamina sono sempre di tela e sono uniti quasi sempre a coppie, mentre i lensoli sono spesso soli e di lana. E’ quindi da inferirne che il lensolo fosse la coperta di lana detta catalogna. Ved. p. 94 e nel Glossario: Lensolo. Linteo, lintio p. 256. Pannolino. Lintiamen, v. Linteamen. Lintigia p. 283, lentis p. 317. Lenticchia. Littera una p. 315; litere auri p. 316. In questi due esempi si accenna assai probabilmente alle lettere iniziali di manoscritti che venivano accuratamente disegnate, dipinte e indorate secondo l’uso dell’età di mezzo. Livello p. 324, Censo che si paga al padrone de’ beni stabili da chi ne gode il frutto; altrim. Enfiteusi, Canone ; dicesi anche di quei censi che si pagano per altri titoli, come quelli che si danno a monaci o monache durante la loro vita per loro uso particolare. Loca S. Georgii p. 222. Azioni del banco di S. Giorgio del valore di l:re cento. Lombardo (stameto) p. 43, 294. Lombardo (grano) p. 296. Londone p. 288. Londra. L'jtcno, v. Latono. Lucense p. 314. Moneta di Lucca. Lucerna p. 229, 262, luxerna p. 240, lumera p. 273. Lucerna, lumera, lampa sono voci usate promiscuamente nel sec. XIV e XV per indicare la lampada ad olio. Il Casaccia ci dà una buona descrizione della Lùmea usata nei sècoli a noi più vicini, ma poco diversa dalle consorelle più antiche. Riassumendo: la lucerna a beccucci è d’ottone e si compone di un piede dal cui centro sorge un’asta o fusto grosso come il dito mignolo, lungo due o tre palmi nel quale sono infilati il pomo o palla (pignetta) che per una molla interna si può fare scorrere e fermare alla voluta altezza per sostenere la coppa (pigna) che contiene l’olio e il lucignolo, munita di uno a quattro beccucci curvi (boccalin) ; sulla coppa va il coperchio conico, poi il nodo (ser-cetto) che è una piastrella da cui pendono varie catenine cui sono raccomandati le smoccolatole (móc-chette) lo spegnitoio (campanin) e il fusellino (agòggin) ossia l’ago per tirare su il lucignolo. L’asta termina con una maniglia (maneggia). E’ interessante ricordare che per molti secoli il faro o Lanterna di Genova dovette la sua luce a lampade ad olio che si andarono gradatamente perfezionando. Nel Trecento erano a linguette, cioè con linguette reggenti il lucignolo; nel Cinquecento alle linguette vennero sostituiti i luminelli fatti di un dischetto di latta forata al centro per cui passa lo stame o lucignolo e che galleggia sull’olio per l’aiuto di alcuni pezzetti di sughero dai quali il luminello prende in genovese il nome di « nattello » o sugherino. (Podestà, op. cit. loc. cit.). Lumera, v. Lucerna. Lupo cerverio, v. Cerverio. Luxerna, v. Lucerna. M. Macia ligni prò barrillario p. 269. Mazzapicchio o Mazzuolo, specie di martello tutto di legno che si adopera specialmente per cerchiare le botti ; consiste in un pezzo di ceppo, grossetto, duro, nocchiuto con un corto manico. Macio p. 249. Mazzo. Magiestas, Magestate, v. Maiestas. Maiestas p. 101, 220, magiestas p. 243,. magestate p. 275. Malica p. 248, Maiorca (isola); gli oggetti di quella terra sono ancor oggi detti di maiolica. Fra le sup- 369 pellettili estensi v’era un « ca-dinelo de pedra de maiolica » (Pardi p. 92) e nella casa senese del 1450 « uno vasello grande di maiolica con quattro manichi e con cuperchio » (Mazzi n. 349). Mandillo p. 253 ; mandillum reca-matum pro lecto p. 282; mandilli quatuor pro homine p. 282. Fazzoletto da naso, ma come si vede daH’esempio citato poteva anche significare una specie di leggera coperta per adornare il letto. Manegeto, maneselo p. 141, mane-xello, manegheta p. 161, manicelo, manicello p. 253, manexella p, 338. Negli Stat. Sunt. di Bologna: Item non possint portare aliquos mane-ghettos sub manicis, longiores quam sint brachia mulieris... qui tamen manegheti non possint esse de panno auri vel vergati etc. (Dallari n. 9, 10). Da questi statuti appare che i m. doveano spuntare di sotto alle maniche. A Genova invece dovevano essere sovrapposti come appare dall’esame di molti ritratti di Santa Caterina Fieschi Adorno, riprodotti dal Cervetto nel suo studio su questa Santa. Manelia p. 248, Manico. Maneta de croco pro balista p. 269. Manivella per il torno da balestra, strumento per tendere la corda delle balestre. Manexelete camixiarum p. 338. Probabilmente sono i polsini 0 polsi della camicia, Ved. p. 160. Manexella v. Manegeto. Manicelo, Manicello, v. Manegeto. Maniciìareta p. 337. Il doc. dice: « in vestibus que fient ad formam ma-nicharetarum » ma qui forse si comprese il tutto per la parte, cioè le vesti per le maniche, e queste mani-charete dovevano essere uguali alle « manice a rete foderate camocati cremexi » che troviamo in una « go na rozee » a p. 246. Probabilmente erano maniche assai gonfie chiuse in una rete d’oro o di ricca stoffa, come vediamo in alcune pitture del- l’epoca. E’ certo che esse dovevano essere assai larghe, perchè nella p. 246, subito dopo la gona suddetta ve ne è una della stessa stoffa che si distingue dalla prec. per avere le « manice stride » ed anche perchè la legge suntuaria, p. 337, vuole limitare i palmi di seta da usarsi per esse. Maniche p. 132, 156, 225. Troppo spazio occuperebbero le notizie su questa parte dell’abito che vengono date da molti autori. Citerò soltanto il Viollet le Due., Dict. Mob. T. IV, p. 79; il Merkel, 3 corredi del 400, p. 52, 53; il Luzio ed il Renier, Lusso d’isabella, Nuova Antologia, Serie IV Voi. 63, p. 458, 59; il Verga, Leggi Milanesi p. 51; il Mazzi, Casa senese, n. 564, 565; il Valeri, Corte di Lod il Moro, p. 533 e altrove. Pur tuttavia ricorderò che lo moda delle maniche assai larghe, che fu la più perseguitata dalle leggi suntuarie, esisteva già ai tempi del Sacchetti. Nella nov. 178 ricorda: « Le maniche loro (delle donne) 0 sacconi più tosto si potrebbono chiamare.... potè nessuna torre o bicchiere o boccone di su la mensa che non imbratti e la manica e la tovaglia co’ bicchieri ch’ella fa cadere ». Maniche de uchia, ved. Ucha. Manigareta, v. Manichareta. Mantelo p. 136, 276. Mantuana (pecia) p. 289. Pezza di panno di Mantova. Ved. p. 42. Mappa p. 151, 300. Mappa cancanus p. 322. Bandella, lama di ferro da conficcare nelle imposte di usci 0 di finestre, che regge un anello nel quale si innesta l’ago dell’arpione che regge l’imposta. Può anche essere a mastietto, cioè composta di due spranghette di ferro, unite per costa a cerniera, e una è conficcata nel telaio, l’altra nello sportello. Marcheto p. 154, 276. Nella casa di Bartalo di Tura (Mazzi n. 45) v’è 370 GLOSSARIO « uno marco piccolino di ferro da segnare le cose di casa » cioè, secondo il Mazzi, una specie di sigillo. Nel Casaccia Diz. gen. Marco è uguale a Marchio, contrassegno; negli invent. bobbiesi (Cipolla p. 265) marchus è il marco della stadera o contrappeso che cammina sul braccio graduato della stadera; nel castello di Ferrara (Bertoni e Vicini, n. 1574) vi sono due balanze cum li soi marchi for-nidi. Qui però credo più verisimile l’interpretazione data a p. 154. Marchorus p. 281. Casaccia, Diz. Marcòu, Marchiatore, colui che appone il Marchio; ma qui si tratta di un ogetto, non di una persona. Nell’inv. il m. viene elencato subito dopo un paio di bilancie; ciò induce a credere si tratti di un peso da bilancia o forse di quell’oggetto di legno con piccoli incavi per tenervi fìssi e ordinati i diversi pesi della bilancia. Ved. anche Marcheto. Margarita p. 336. Perla, pietra preziosa. Marica corey p. 244. Mariho p. 261. Qui probabilmente il notaio segue l’usanza dell’epoca di segnare con ih la pronuncia chi; perciò è da leggere, marchio. Marmorario p. 322. Scultore. Marorchinus (pannus) p. 45, 291. Panno proveniente dal Marocco? Marracino prò barrilario p. 269. Il Casaccia, ha: Marasso, Coltella da colpo di cui si servono i macellai per fendere le ossa a colpi sul ceppo; il Rossi, Glossario, Marazzo, mannaia; qui dunque si deve intendere: piccola scure, accétta che si usa con una sola mano mentre per la scure si usano spesso le due mani. Martiro, v. Martora. Martora p. 132, Martura p. 225, Martiro p. 225. Martura v. Martora. Marzapanus p. 261, marsapanus p. 281, 282, 317. Nel Diz. del Casac- cia è detto pasta di mandorle, pistacchi, cioccolatte e simili a forma di piccola stiacciata; negli Statuti del Comune Senese del 1343 pubbl. dal Casanova (Donna senese nel '400 p. 63) si ordina che nel banchetto di nozze il Marzapane sia considerato come una portata. D’altra parte il Du Cange, voce Massa-panum, afferma che era una cassetta e come tale la troviamo nell’inv. di Spinetta Fregoso (Neri Giom. Ligustico 1884 p. 353) : in uno Mar-zapano fermalios 45 de auro cum zafirris, perlis et barassiis. Il Rossi, Gloss. Appendice, cita dall’A-lizeri, Notizie 1.0 p. 72: Marzapa-netus eburneus rotundus in quo sunt de digito S. Nicholai et alie reliquie ; era dunque un reliquario. Il Gabotto, Inventari Messinesi p. 30 afferma che era una specie di canestro. Qui, a p. 281 si rimane in dubbio perchè il m. è vicino a due panetti di zucchero ; a p. 282. dal luogo che occupa nell’inv. si riterrebbe per una scatoletta; a p. 317 invece si tratta certamente di pasta di mandorle. Maschizo de pesio p. 261. Parrebbe un oggetto di falegname o fabbro. La voce pesio ci avverte che era di legno di abete. V. Pesio. Masetus acum p. 154, 281. Mazzetto di aghi. Masnata p. 221. La parola indica la famiglia ed i servi di essa, presi nella loro collettività. Maso capetri albi p. 276. Massachano p. 307. Muratore. Massetus septe p. 297. Piccola matassa di seta. Mastex p. 53. 281. Mastra, v. Meìsera. Mastreixa p. 113. Credo voglia indicare una piccola mastra o madia, ma il Diz. del Casaccia ha pure ma-strello col significato di banco o ceppo. Mastria. v. Meisera. Medianus domus p. 223. Il Desimoni, Gloss. d. Statuto d. padri d. comu- glossario 371 ne, afferma che era il mezzanino, uno dei piani della casa. Medietas, v. Mezzena. Meisarum p. 112, 147, 229, meizaro 225. In dial. mod. Meizao. Meisera p. in, 235, meyzera p. 221, mastra p. 235, meiza p. 250, mei-zara p. 261, meizia p. 272. Le due voci meisera e mastra non sono sinonime : la mastra indica la cassa di legno su quattro robusti piedi, nella quale s’intride e si impasta la farina per farne pane; la meisera (dial. mod. meizia, meizoa) indica la madia, specie di tavola quadra con rialti da tre sponde che serve essa pure per intridervi la pasta da fare pane o altro, ma più spesso per dividere la pasta in pani. Anticamente e anche oggi, nei paesi, questa tavola serviva e serve di coperchio alla mastra, perciò le due voci vanno spesso unite per indicare una unica cosa; infatti a pag. 235 troviamo meisera seu mastra u-na, e nell’inv. di Borgo Valditaro (Motta p. 371) troviamo « Doy mastre sive mexe da fare pane ». Meizera, meizara, v. Meisera. Meizia, v. Meisera. Melle p. 313. Menaressa p. 337. Mensa rotunda p. 231, v. Tabula. Mensera, v. Meisera. Meschio, v. Mischio. Metreta p. 116, 241, mezairola p. 272. Le due voci, secondo il Desi-moni (Gloss. d. Statuto cit.) e il Rossi (Gloss. Medioevale) hanno lo stesso significato. Era misura di capacità per botti; il Desimoni dice che equivaleva a Litri 159 ma variò coi tempi, il Rossi, che era pari a Litri 160. V. anche Mezairola. Meyzera, v. Meisera. Mezairola p. 272. Il Casaccia ha : Me-zaièua Mezzaruola : Misura di vino contenente due barili, ciascuno dei quali è di 90 boccali genovesi, corrispondenti a 80 litri. V. anche Metreta. Mezana (albero, antenne per la) p. 332. L’albero di mezzana detto anche di maestra era diviso in due parti : il fusto maggiore terminante con la gabbia (coffa) sostenuta da dodici sartie e il secondo fusto (albereto) assicurato all’incappellaggio e sostenuto anch’esso da altre sartie in numero minore. Pessagno, Navi, App. al Porto di Genova di F. Podestà. Mezzena p. 116, 273, mezena p. 284, medietas p. 266. Nel Casaccia : Me-za, mezetta, mezin: Vaso di terra invetriata che serviva per misurare il vino; conteneva la metà di un boccale e il suo peso d’acqua comune era di sedici once genovesi — Le mezzine citate negli inventari servono soltanto a contenere carne salata, ed è probabile che per esse il nome di mezzina, più che la misura di capacità, indichi la forma del vaso. Mina p. 113, 266. Come misura di grano la mina era soltanto misura di conto; la misura reale era il quartino equivalente in capacità alla metà della mina; mezzo quartino corrispondeva a uno staio, mezzo staio a una quarta e la dodicesima parte della quarta ad una gombetta ; cosicché la mina comprendeva due quartini 0 quattro staia o otto quarte o novantasei gombette. (Rocca, Pesi e Mis. Antiche di Genova). La Mina variò in contenenza secondo i tempi. Nel 1550 ragguagliavasi a Kg. 87,360, pari a litri 112. Mischio p. 42, 256, misclo p. 220, meschio p. 225, misco p. 246, mi-schro p. 263, misculo p. 275. Mischro, v. Mischio. Misco e Misclo, v. Mischio. Misculo, v. Mischio. Mocho p. 318. Residuo di candela; ciò che rimane di essa dopo che ne fu arsa gran parte. Moccolo. Modius p. 321. Moggio ; misura di capacità. Mofole p. 154, mofore p. 220. Du Cange alla voce Muffulae spiega: Gallice Mouffles, Chirothecae pel- 372 GLOSSARIO litae et hibernae; a. 817, Wantos in estate, Muffulas in hieme vervecinas. Un altro esempio del Du Cange ricorda che i regi segretari e i notai hanno l’obbligo di « decenter et honeste se gerere et vestire, nec poterit aliquis ipsorum radiatas vel partitas vestes aut manicas tunicarum super manus extensas, que moufle vocantur, aut poulenam in sotularibus defferre. C. Cipolla, Inv. Bobbiesi, p. 267, alla voce Mofela ricorda che nel dialetto piemontese « muflu » vale guanto che ha libero soltanto il pollice, mentre le altre dita sono chiuse. Nell’inv. Trinca-dini (Ferrari, p. no) troviamo «doa belle para de guanti de camosso, l’uno per la estate, l’altro per lo inverno foderato de agnelini ». Mofore, v. Mofole. Mole p. in, 254. Montonina (pelle) p. 53, 290. Morelo p. 263. Colore pavonazzo 0 violato purpureo (Luzio-Rcnier, Lusso d’isabella, p. 454 n.). Mortale p. 113, 221, mortalle p. 240, mortaretum p. 257. Mortaretum, v. Mortale. Moscheto, p. 98, 99, 254. A confermare quanto dicemmo nel testo e cioè che il moscheto e lo sparavero o sparviero erano molto simili, ecco alcuni esempi degli inv. Trincadi-ni pubbl. da P. Ferrari (p. 105): Sparaverium seu moschetum a tho-ro, sobtile cum ipsius pomo deaurato; (p. 108). Uno paviglione ove-ro moscheto grande de tella, da lecto, franzato dentorno et la palla de cima de legno dorata comperai a Roma. Mostenile (panno) p. 280. Mosterile p. 51, errato per Mostenile. Mostivelerii (Gonna) p. 277. Negli inv. siracusani editi dal Mauceri (p. 109) troviamo « cannas duas panni mustiucleri coloris mishi » che evidentemente è lo stesso nostro panno. Vi deve essere qualche rapporto di somiglianza tra questo panno e il mostenile di p. 280, ma non ci è dato chiarirlo. Mosto chocto p. 116. Mostarda. Muihia p. 226. A. Neri, pubblicando l’inventario di Spinetta Fregoso (Giorn. Lig. 1884, p. 354) spiega « mochias duas de roxea » come sopramaniche larghe, cadenti: nel-l’inv. di Isnardo Guarco pubbl. da A. Pesce v’è « caputeum unum rosee novum et muihia una grane » e parrebbe che quest’ultima fosse oggetto per coprire il capo o le spalle. Rassomigliava forse alla mozzetta, piccolo mantello di seta che oltrepassa di poco il gomito. Muiheta p. 226. Diminutivo di muihia. Ved. osservaz. a questa voce. Aggiungo che il Fanfani registra la voce Mocchetto, drappo di lana velloso, tessuto, incrocicchiato e cimato come i velluti e si adopera adesso nella fabbrica dei piccoli tappeti da piedi : chiamato pure mocchetta. Il Casaccia. Dizionario : Mócchette, smoccolatole, cesoie che hanno una cassettina da capo nella quale si chiude la smoccolatura. So gliono avere tre piedini e si posano per lo più sopra un piattello di metallo. Mulasana p. 312. Molassana, borgo nella valle del Bisagno. Mutande p. 128, 264. Subito dopo le cinque mutande di tela a p. 264 il notaio elenca: « par unum panni nigri de Ianua tallis qualis pro homine » e poiché non si può trattare che di mutande, ne deduciamo che esse oltre che di tela potevano essere di panno, e siccome il notaio crede necessario avvertire che sono « pro homine » ciò vuol dire che ve ne erano anche per donna. Ricordiamo per pura curiosità che il Sacchetti, nov. 178, parlando del continuo mutare della moda femminile dice: Elle (le donne) non hanno se non a torre le brache ed hanno tolto tutto: elle (le brache) sono sì piccole che agevolmente verrebbe loro fatto, peroc- GLOSSARIO 373 eh’egli hanno messo il culo in uno calcetto; e al polso danno un braccio di panno. iV. / Nachara p. 78, 233. La madreperla e-ra usata sia per oggetti di tavola che per ornamenti del capo e delle vesti, come può leggersi nelle Leggi eugubine pubbl. dal Mazzatinti p. 289. Naulo p. 287. Nolo. Navigium p. 59, 329. Nave. Neapolis (corrigia) ρ. 300. Netto o Nitidum ρ. 290, 291. Partita di credito o debito netta, cioè depurata da tasse ed altri gravami. Nicia (doghe de) p. 267. Legno di Nizza, così crediamo interpretare la voce denicia che a volte è scritta denissia, deincia p. 268; tanto più che abbiamo un esempio fra le spese di A. Gallo di tabule de nicia, p. 324. Nodum colli p. 150. Nunciis p. 257. La traduzione letterale vorrebbe dir per i nuncii; crederei invece, come si è visto nella p. 253, che il notaio abbia tradotto nozze in nuncie. Nuncius p. 318. Messo del comune. Nuptie et convivi p. 195 e segg., 318. O. Officiolo p. 285. Libro di preghiere. Olanda (tela) p. 292. Oppa p. 135, uppa p. 193, 298, upe p. 232. Orano p. 310. Città d. Barberia. Ordeo p. 311. Orzo. Oregiari, oregieri, oregeri, v. Ore-ieri. Oreieri p. 72, 96, 219, auricullaria e oricullaria p. 226, oregieri p. 243, oregiari p. 244, oregerio p. 274. Oricullare, v. oreieri. Orlo p. 298. Orlo, lembo. Ortocrea p. 108. Oxeli p. 274. Uccelli. P. Padella p. 106, 261, patela p. 221, patella p. 229, paella p. 240, padela p. 248, paela p. 273. Paela e Paella, v. Padella. Pairoleto p. 106, 265. Pairoreto p. 221. Pairolio p. 106, 242, payrolio p. 220, pairorio p. 248, pairolo p. 283. Pairolo, v. Pairolio. Pairoreto, v. Pairoleto. Paleta, v. Pareta. Palmus p. 292, parmus p. 224, parl-mus p. 300. Palmo, misura di lunghezza uguale a metri 0,24. Palvo p. 276. Piccolo. Panera p. 114, 272. Il Casaccia Diz. nota una lieve differenza fra la pa-nèa (paniera) ed il pane (paniere) e cioè mentre questo è per lo più di forma rotonda, quella è di forma ovale. Panereta de malica p. 154, 261. Panerius magnus pro erbis p. 114, 258, v. anche Panera. Paneti suchari p. 281. Paonacia p. 279, 297. Deve sottintendersi: pecia, cioè pezza di panno di colore paonazzo. Par ferrei p. 276. Palo di ferro. Pareta p. 107, in, paleta (per il fuoco) p. 250, parete pro patellis (pa-lettine per padelle) p. 270. Parmus, parlmus, v. Palmus. Partexiana p. 261, partexanna p. 276, partexana p. 328. Partigiana, arma con asta, lunga circa due metri, con ferro fatto a lingua di bue, allargato alla base a mezzaluna. Pasci p. 273. Lapsus del notaio per Pesci. Pastinare p. 323. Rivoltare la terra, scassarla, vangarla. Patareli lini p. 262. Pannicelli per lattante. Patela, Patella. Ved. Padella; ricordare però che vi è anche la « patela» per la padella p. 261 e la « patella » per i testi p. 271 che 374 GLOSSARIO sono i palettini per sollevare le vivande nelle padelle o nei testi. Paternostri p. 150, 152, 281, 299. Patina p. 107, 240. Patronizare p. 329. Comandare una nave. Patrono p. 291. Comandante, capitano di una nave. Pavexii, p. 235. In termine marinaresco i pavesi erano tavoloni quadrilunghi che accostati formavano la pavesata, bastita che difendeva gli uomini di bordo sui due lati della galea. Si chiamarono pavesi per la loro forma che rammentava il noto scudo, e in origine sulle galee si u-savano realmente gli scudi d. uomini d’arme (Pessagno, App. al Porto di Genova di F. Podestà p. 544). Qui però il notaio scrive : « pavexii seu falde X » e ciò induce a credere fossero tagli di stoffa per abito 0 forse meglio, data l’ubicazione della voce, tènde da porsi alle finestre, o altrove. Payrolium, v. Pairolium. Payroretus, v. Pairoletus. Pecia p. 249, 289. Pezza di panno, di lino. Pecii p. 230. Pezzi. Pecten, v. Petene. Pecturale p. 338. Pettorina o falsa camicetta·; v. p. 159. Peldileone p. 42; pelileonis p. 275, pillo leonis p. 275, pili leonis p. 280. Colore fulvo come il manto del leone. Peliparius e Pelisarius, p. 305 e p. 318. Pellicciaio. Pelliparia p. 318. Pelliccia. Pendino p. 252. Orecchino. Penna p. 223. Pelliccia per fodere. Du Cange: Penna = Pellitium, con esempi di : penna agnina vel pellicia, penne de veyro etc. A pagina 298 troviamo una « penna gentile Anglie » che i conti di p. 297 ci indicano essere di pelli agnine. Penone p. 255. Pennone, piccola bandiera bislunga da appendersi alla tromba, o sull’asta dei cavalieri; Rossi, Gloss. Appendice, Pennellus e Penonus. Pensionarius p. 324. Affittuario. Pensione p. 299. Affitto. Penus p. 236, dispensa, stanzetta ove si tiene provvista di cibi. Ved. anche Caneva. Perfilo p. 132, 278 ; profilo p. 232. Li-sterella di pelliccia che serviva per ornare abiti o cappelli. A Bologna non si poteva portare « aliquod per-filum maioris latitudinis seu altitudinis pancie vairi vel varotte» (Dallari, Stat. sunt. Boi. 1401). In Toscana si chiamavano filetti o viste. Il Mazzi nella Casa Senese ecc. ricorda (n. 622) « Una sachuccia di panno lino, dentrovi più e più viste o vero filetti di dossi e di pance di vaio da porre a le soprascritte veste » e nota che i filetti di pelle sono equiparati alle viste che oggi chiameremmo mostre o mostreggia-ture. Il Du Cange spiega la voce Perfilum così : Opus intertextum, nostris olim pourfilure, ouvrage tis-su, brochè e presenta esempi dai quali si deduce che il perfilo poteva essere non solo di pelle, ma anche di seta e di lana. Perfirato p. 279. Listato. Perle p. 149, 227; p. argenti p. 261. Perpiniano (panno) p. 42, 300. Perpinianorum more (panni) p. 42, 290. Panni a imitazione dei Perpi-niani. Persegorio p. 42. Pertegonus p. 323. Lunga pertica per usi rustici. Pesio (maschizo de) p. 261. Il Mer-kel, Castello di Quart p. 35 spiega : • pessia, abete rosso che nella Italia sett. è generalmente detto: Pezzo; Cipolla, Inv. bobbiesi p. 269 : pexius, pezzo, abete. Pestello p. 113, 235, pestelo p. 272, pistelo p. 221, pistillo p. 260. Petene p. 153, 283, pecten p. 261. Ρετιλ telle) p 251. Pzzsz di tela. Petiato p. 248. Rappezzato. Petium p. 245. Pezzo. Petra lexarta p. 292, 293. Pietra GLOSSARIO 375 Lavezzara, paese presso la Bocchetta, sulla via· da Pontedecimo a Voltaggio. Pex. ρ. 323· Pexii, cioè pezzi. Pexia p. 331. Pezza di panno. Picato (argenti). Picchiettato, martellato. Pignochato p. 317. Dolce fatto con pignoli. Pili leonis, v. Peldileone. Pillo (Pilli) leonis, v. Peldileone. Pillo p. 300, 313. Indica un panno che sia peloso e perciò spesso anche il velluto. Pillossa p. 259. Pelosa, vellutata. Pinarolius (panno) p. 331. Panno di Pinerolo ? Piper p. 288. Piperata p. 200. La piperata si faceva col pepe. Nei capitolari d. arti Veneziane (Monticolo p. 164) v’è l’ordine che nessuno speziale faccia « piperatam in qua sit aliqua species bona vel mala preter bonum piper et bonus crocus et non balnea-tus. Così pure, nota il Monticolo, nello Stat. d. Speziali di Firenze è ordinato che « le spezie di pepe debbano essere « de pipere nigro crosso cribellato » e che tutti quelli che vogliono fare « speties gial-las teneantur illas speties ingiallare.... solummodo cum zafferano ». Circa le varie qualità di pepe, il loro commercio e uso nel M. Evo, ved. Heyd., II, 658. Pisarum (capsia) v. Capsia. Pistelo, pistillo, v. Pestello. Pitocus p. 135, 263. Era forse un mantelletto per difendere dalle in- . temperie. Petrocchi avverte che era sorta di sopravveste che portavasi sopra l’armatura; in significato spreg. : gonnella corta. Placentino (stameto) p. 43, 292; plac. caseo p. 317. Planelle p. 130, 298. Platarum cabella p. 287. Tassa di den. 9 al cantaro che si esigeva sulle merci trasportate a terra su piatte, barche col fondo piano. Marengo, Il banco di S. Giorgio p. 169, 170. Platellum magnum pro carne, stagni p. 82, 242. Erano i grandi piatti per portare i cibi a tavola. Nel banchetto di B. Maria Sforza e dell’imperatore Massimiliano ad In-nsbruck nel 1493 la serie delle portate è distinta appunto in: Primo piatello; piatello secondo, terzo e così via. (A. Ceruti, Corredo nuziale di B. Maria Sforza p. 74). Platinia, p. 228. A p. 82 correggere Platina in Platinia. Plato, v. Prato. Pointairolo p. 153, 261. In Genov. mod. Puntaièu. Pomeleti p. 95, 233. Pomella collarii, p. 150. Pomo (di perle) p. 150, 278. Pomo muscato p. 152, 299. PoNDETA PIPERIS, p. 288. Ponsono p. 153, 281. In Genov. mod. Punsón. Porceleta p. 249; Porcellana; Rossi, Glossario : Porseletta, porcellana ; ved. anche Belgrano, Vita priv. Gen. p. 188. Pori p. 234. Il Casaccia Diz. non ha che Poro, porro, pianta con bulbo membranoso ecc. Qui i pori sono a complemento di eleganti cuscini di camocato cremisi. Suppongo siano fiocchi 0 bottoni a pera, avvicinandoli ai peroli delle vesti veneziane (Cecchetti, Vesti p. 126). Portatura, v. Portitura. Portello soiarii p. 307. Casaccia Diz. Portello dò soà; Cateratta, Bòtola: Buca per lo più quadra aperta nel palco 0 soffitto per dare, con una scala, comunicazione diretta fra due stanze, l’una sopra l’altra. Portitura p. 307; portatura p. 310. Trasporto di materiali. Portufino p. 329. Portofino, paese della Riviera di Levante. Potaficulo p. 248. Boccettina. Pratelleto p. 82, 228. Piattelletto; nella Casa Senese del 1450 (Mazzi, n. 116-126) vi sono, fra scudelle e piattelli, 220, trespodes p. 224, trispodes p. 250, tribodes p. 265, trespi p. 276, trepodes p. 279, tripedi p. 309. Trogio (uno scarino prò) p. 307. Truogo, truogolo, vasca quadrangolare di pietra 0 di mattoni ove si tiene acqua per usi di cucina 0 per lavarvi piccoli panni in casa. Qm probabilmente indica la pila dell’acquaio. Tromba pro balneo p. 103, 239. Tuba p. 341. Tromba. Tubicines p. 341. I trombetti che accompagnavano il banditore alle gride. Tundus vitri p. 307. Era probabilmente un tondello di vetro per finestra. Tunexi (Tunisi) p. ~22. Turcha p. 139, 280. Alle bellissime « turche » della Corte di Lod. il Moro di cui parla il Valeri, aggiungo qui l’esemplare di altre degli inv. Trincadini (P. Ferrari p. no) «In una de la casse grande pelose che ha doe crene in la testa, una turcha de drappo d’ariento nova foderata de zibelini me donò el papa, una turcha de zetanino chre-misi foderata de martori, una turcha de damaschino chremisi foderata de zetanino verde » ecc. ecc. Turchexia p. 278, Turchese p. 150. Turta, v. Torta. Turteria, v. Tortera. 386 GLOSSARIO XJ. Ucha p. 136, 232, uchia p. 246. Alie notizie date a p. 136 aggiungo che le maniche della Ucca dovevano essere assai larghe e ricche poiché nelle leggi suntuarie a p. 337 si impone un limite alla seta da usarsi per esse. Negli esempi dati dal Du Cange la Housia o Houcia è equiparata al « tabaldum » alla « elodia » alla « capa clausa », alla « toga ». Era dunque un lungo mantello o cappotto. La ucca, come dicemmo nel testo, doveva essere la stessa cosa del Lucco toscano. Il Mazzi (Casa senese n. 307)> ricorda che il Lucco era la veste civile e poi fu propria dei magistrati ed era ornata di pelli e di viste (mostre), di fodere di va-lescio e viste di taffetà vermiglio. Anche le donne lo portavano, di raso cremisi o di seta, con pelli bianche per fodere e viste di pan-cie di vaio o di rosado foderato di taffetà sbiadato. Fra le suppell. E-stensi (Pardi p. 118) v’è un: Au-cho de cetanino piano negro tutto recamado a panigo, cum fioroni et foglie de ariento dorado per suso, cum frape da piede et da lado recamade de panno rosso verde et bianco, recamade diete frape tute de ariento dorado per suxo, fro-drado de panze sgrisade. Uchia, v. Ucha. Uncia p. 290. Oncia, la dodicesima parte della libbra. Ved. Libra. Unda p. 95, 219, dunda p. 251. Tessuto lavorato a marezzo. Uneta (uveta?) p. 281. v. Uveta. Upa, Uppa, v. Oppa. A. p. 289 però la voce upa indica una specie di gabella. Uveta, subtillis daurata p. 253. Uvete (repointe) p. 301. E’ voce di difficile interpretazione, perchè può leggersi Uveta, Uneta, Vueta. Lo Staglieno l’aveva erroneamente interpretata in alcuni casi come : Rue-ta ed io a p. 154 ne tentai la spiega- zione. Questa voce sotto la forma di Oneta od Oveta fu già studiata dal Merkel e dal Verga. Il Merkel (3 Corredi 400, p. 21) stimò dapprima l’orieta un oggetto di biancheria da identificare colla « onesta » che appare fra gli abiti dell’ordine degli Umiliati in principio del sec. XIII. A rincalzo potrei aggiungere che il Casaccia Diz. ha la voce Onestin detto per soggolo cioè quel velo o panno che le monache portano sotto o intorno alla gola. Ma lo stesso autore corresse poi nel suo studio sul castello di Quart onete in ovete interpretando ovatte cioè coperte· da letto. Infine, nei beni di Puccio Pucci giunse alla interpretazione di ovete per cuffie. Il Verga (Leggi Milanesi p. 35) si tiene anch’es-so dubbioso fra l’interpretazione di cuffie o di coltricelle. Ora noi eliminiamo la interpretazione di coltre 0 coperta da letto, poiché le Uvete si trovano sempre fra gli oggetti di ornamento della donna e precisamente a p. 253 fra i nastri, le velate, 1 mandilli, i manicelli ed i gioielli ; a p. 281 fra le toagiole e le velate, p. 282 fra le velarete, i colareti e le binde, a p. 301 fra i colareti e i busti di camicie, e ne deduciamo che dovevano essere oggetti di tela, e probabilmente una specie di velo ricamato da porsi in testa o intorno al collo. V* V.a = Valuta. Vagina p. 79, vagina argenti p. 151, 240, guoagina gladiorum p. 152, gordena p. 262. Vaio p. 132. Vario p. 231. Il vaio è simile allo scoiattolo, con pelle di color grigio sul dorso e bianco al di sotto. Valixia corei p. 235. Vario, v. Vaio. Vasco pro insizame de ramo p. 114, 273· GLOSSARIO 387 Vasselli p. 116. Vastoni (panni Anglie) p. 49, 292 Veclutus, v. Velluto. Vectura p. 312, 325. Trasporto di merci con carri. Vectus p. 248. Vetus, vecchio, u-sato. Vegetes p. 115, 230, vegete p. 272. Veha p. 145. Errata interpretazione per Ucha. Velareta p. 282, veletta, velo leggero da porre sul capo. Velata p. 104, 220, Vellata p. 232. La velata pro balneo era, come dissi a p. 104, una specie di tenda che cingeva la vasca del bagno per difendere il bagnante dagli sguardi indiscreti. Il Gay (Glossale) alla voce « Cuve » cita: (a. 1404) 2 espreviers (sparvieri, specie di baldacchini) à mettre sur la cuve (de) la royne quand’el-le se baigne. Velata a capite p. 148, 252, 261. Vellata prò domina p. 266. Veleiza, v. Velezio. Velezio p. 249, tela veleiza p. 253. Valescio; Specie di tela di canapa e cotone a guisa di fustagno ma più leggera (Bertoni e Vicini, Il Castello di Ferrara, Gloss.). Veli p. 147, 148, velli prò capite p. 227. Velli, v. Veli. Velluto p. 48, 225, veluto p. 225, vec-luto p. 227. Ventri p. 132. La parte della pelliccia che copre il ventre deH’animale. Veretonus p. 328. Verrettone, lunga freccia per balestra. Vergato p. 232. Panno con righe; ad es. pecie vergate rubro et nigro, p. 290. Vergeta p. 222. Il Du Cange da un ottimo esempio deduce che Vergeta era una specie di cero, ma l’ubicazione della nostra V. dice chiaramente che era un oggetto di valore e probabilmente l’anello matrimoniale che in Toscana si chiama Fede e nell’Italia settentrionale Verga. Negli inv. d. Trincadini pubbl. dal Ferrari troviamo in una scatola « certas verghetas dandas dono in sposalitiis ». Vermilio (panno) p. 291. Verrina parva p. 269. Casaccia, Diz.: Verrinna, succhiello. Strum. a υβό di bucare specialmente il legno. Ha un fusto di ferro, con manico di legno, e termina in una punta, attorta in spire concave e taglienti, la quale chiamasi la chiocciola. Verrogium ferri p. 269. Casaccia Diz., Verroggio, Trivello, Strum. di ferro da bucare, con manico a gruccia e da volgersi con ambe le mani. Serve per fare buchi rotondi nel legno. Vesta unius straponte p. 92, 240, 251. Guscio di un materasso. Veste p. 140, 298. Vico p. 317. Borgo della Corsica. Vigeino p. 43, 292. Vigevano? Villare p. 336. Villeggiare. Violato p. 298. Colore violaceo. Virga p. 252. Probabilmente verga, anello nuziale. Virga sardisca p. 261. v. Sardischa. Virgulae p. 198. Ramoscelli? Così ho tentato interpretare questa voce nel testo, ma ora preferirei stimarle anelletti d’oro che si donavano nell’occasione di sposalizi, come appare negli inv. Trincadini citati alla voce Vergeta. Vitro figurato in frexiis p. 307: vetro, probabilmente da applicarsi alle finestre, con disegni di nastri colorati. Ved. anche: Tundus virti. Vitulina annicula p. 330. Vitellina di un anno. Volta p. 67, 324. Vueta, v. Uveta. Vulturo p. 296. Voltri. Vurpe p. 276. Volpe. Zanchayrolium rami pro lecto p. 100, 236, Ved. Sciancororius e ric. che Zanca indica la tibia o la gamba. 388 GLOSSARIO Zarzacano ρ. 44, 45, 299, zarzachano Ρ· 337· Zebetus ρ. 153, 28ι· Zibetto; Animale rapace, che possiede una glandola con un liquido untuoso e di odore gagliardo, usato per profumo. Zeituno, zeitunino, v. Zentonino. Zema p. 261. Gemma. Zendato p. 48, cendato p. 225. Alle notizie date a p. 48 aggiungiamo qualche particolare : L’Heyd dice che lo zendato era una stoffa di seta leggera simile al taffetà, molto adoperata per le fodere; il Pardi Supp. Est. p. 133 dice lo zendale essere tessuto di seta a vari colori probabilmente liscio, non operato, spesso leggero; si adoperava per cortine, coperte, fodere, vesti d’estate. Il Gay, Gloss. Cendal : Sotto questo nome si comprende una serie di stoffe di cui l’uso si estende dal IX al XVII secolo. Ora si confonde coi tessuti preziosi di oltre mare, ora se ne allontana per la sua materia e per la fabbricazione che lo pongono fra le stoffe leggere e di poco prezzo. Può essere insomma una seta forte, mezzana, leggera che ha generalm. l’aspetto del foulard e secondo la sua qualità si avvicina al taffetà o al-l’etamine. Quando la materia è seta fine, innaspata se ne forma il tessuto detto canete, ma più spesso si usa la seta cruda o anche la borra di seta. Da ciò deriva la distinzione frequente fra il cendal e la vera seta fabbricata in fili torti. Zentunino p. 48, 280, zeitunino p. 276, zeituno p. 278, zentonino p. 297. Di questa stoffa hanno trattato a lungo l’Heyd, il Gandini, il Merkel, e ultimamente il Pardi (Supp. Est. p. 134) che ha negato alcune asserzioni dei precedenti ed ha riassunto in breve quanto può dirsi di fondato su questa stoffa. Ved. p. 48. Zetum navis ρ. 329· Zavorra. ZiNAO p. 269. Casaccia, Dizionario: « Zinaieu, Caprugginatoio, Strumento di cui si servono i bottai per la capruggine alle botti ». Deriva da Zinna, Capruggine, intaccatura scavata internamente, verso ambedue le cime delle doghe e formante colla loro unione un continuato canale circolare, entro cui si incastrano i due fondi della botte. Zirella p. 261. Girella; serviva per tendere la corda della balestra. Zoagio, zoalio p. 323. Rossi Glossario: Zovaglio, legname per sostegno delle viti. Gli zoali de quarterio della stessa pagina dovevano servire invece come Quarte cioè stecconi per fare steccati e chiudende. Zona p. 252. Cintura, ved. corrigia e clavacorium p. 151. OPERE CONSULTATE . v X >■ ■ . .■· ■ al ’ r . < ·. _ OPERE CONSULTATE Angelucci Angelo. Glossario delle voci militari che si incontrano nell'inventario fieschino del 1532; Atti Società Ligure Storia Patria. Voi. X. Astesano Antonio. De eius vita et fortunae varietate Carmen. Rerum Italicarum Scriptores; Voi. XIV. Nella nuova edizione di V. Fiorini ved. fase. 66, 81 e 108 a cura di A. Tallone, Bagi.ietto G. L’uso della forchetta in Savona sid principio del 400; Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino, Supplemento Savonese, 1. Bandello Matteo. Novelle; Milano, Giovanni Silvestri, 1813, Belgrano L. Tomaso. Vita privata dei Genovesi; Genova, Sordo Muti, 1875. — Feste e giuochi dei genovesi; Ardi. Stor. Italiano, 1871, 1872. Tomo XIII, XIV e XV. — Statuti dei Cinturai, Guantai e Borsari di Genova; Giornale Ligustico, XIII, 315. — Usanze nuziali in Genova nel secolo XV ; Giornale Ligustico, XIV, p. 446-51· 392 BIBLIOGRAFIA Beltrami Luca (Polifìlo). La guardaroba di Lucrezia Borgia; Milano, Allegretti, 1903. Bertoni Giulio e Vicini Esilio. Il Castello di Ferrara ai tempi di Niccolò III; Documenti e studi pubbl. per cura della R. Deput. di St. Pat. per le provincie di Romagna, Voi. Ili, IMBEVERE R. Arredi, suppellettili, utensili d’uso nelle provincie meridionali dal XII al XVI secolo; Arch. Stor. per le provincie napoletane, Voi. XXI, 1896. — Vestimenti e gioielli in uso nelle provincie napoletane dal XII al XVI secolo; Arch. Stor. prov. Nap., Voi. XXII, 1897, p. 312. — Ordigni ed utensili per l’esercizio di arti ed industrie, mezzi di trasporto ed armi in uso nelle provincie napoletane dal XII al X\"I secolo; Arch. cit., XXII, 1897, p. 702. — Arredi sacri in uso nelle provincie napoletane dal XII al XVI secolo; Arch. cit., XXIII, 1898, p. 404. Biagi Guido, vita privata dei fiorentini; Conferenze fiorentine sul Quattrocento, Milano, Treves, 1892. Boccaccio Giovanni. Il Decameron; Milano, Sonzogno, 1875. Bonaini Francesco. Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo; Firenze, Vieusseux, 1854. pRAro?o Carlo. Vita privata dei Genovesi; La donna del secolo XV nella storia; Giornale Ligustico, 1885, XII. — Giacomo Bracelli e l’Umanesimo dei liguri al suo tempo; Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. XXIII. Briquet G. M. Les papiers des archives de Gènes et leurs fili-granes; Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. XIX. Bruno Agostino. L’officio delle virtù; Atti e Memorie della Società Storica Savonese, Voi. 1, 1888. Bruzzone Michele. Il Monte di Pietà di Genova; Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. XLI. BIBLIOGRAFIA 393 Calvi : Bianca M. Sforza e gli ambasciatori di Lod. il Moro; Milano, 1888 (redazione italiana). Camus Iules. La venne cn France de Valentine Visconti; R. Depili di St. Patr. di Torino, Miscellanea di Storia Italiana. Serie 3, Tomo V, 1900. Carena Giacinto. Nuovo vocabolario italiano domestico arricchito per cura del prof. E. Sergent, riveduto dal dott. G. Gorim ; Milano. Pagnoni, senza data. Casaccia Giovanni. Dizionario Genovese Italiano, seconda edizione; Genova, Schenone. 1876. Casanova Eugenio. La donna senese del Quattrocento nella vita privata; Bullettino Senese di Stor. Pat., Voi. Vili. 1901. Cataneo G. Maria. Genua; Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. XXIV. Cecchetti Bartolomeo. La medicina in Venezia nel 1300. Arch. Veneto, T. XXV, p. 361; XXVI, p. 77, 251. La Vita dei Veneziani nel 1300: Archivio Veneto. Tomo XXVII, XXVIII. XXIX, xxx. La donna nel Medio Evo a Venezia; Archivio Veneto, Tomo XXXI, p. 33, 307. Libri, scuole, maestri, sussidi allo studio in Venezia nei secoli XIV ir XV; Archivio Veneto, Tomo XXXII (1886) p· 329· Funerali c sepolture dei Veneziani antichi; Archivio Veneto, Tomo XXXIV (1887), p. 265. Ceruti A. Corredo di Bianca M. Sforza (1493); Arch. Stor. Lombardo, II, 1875 (il testo è in latino). Cervetto Luigi Augusto. Il Tesoro della metropolitana; Genova, Sordo-Ai uti, 1892. -— La compagnia dei Caravana; Genova, Tip. della Gioventù, 1901. — I Gaggini da Bissone e le loro opere in Genova ed altrove; Milano, Hoepli, 1903. 394 BIBLIOGRAFIA — Il Natale, il Capodanno e l’Epifania nella Storia e nell’Arte genovese; Genova, Lanate, 1903. — Il Carnevale genovese attraverso i secoli; Rivista Ligure di Scienze, Lettere ed Arti, Anno 1908. — Santa Caterina Freschi Adorno e i Genovesi; Genova, Lanata, 1910. Ciampi Sebastiano. Gli statuti suntuari ricordati da Giovanni Villani circa il vestiario delle donne, i regali e i banchetti funebri, ordinati dal Comune di Pistoia negli anni I332 e I333 > Pisa, Prosperi, 1815. Cipolla Carlo. Dono nuziale d’un patrizio veronese del sec. XV ; Volume collettivo pubbl. per le nozze del prof. G. L. Patuzzi, Verona, Civelli, 1879. — Un amico di Cangrande I della Scala e la sua famiglia·, Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, T. LI, (1902). — Inventari trascritti da pergamene bobbiesi dei sec. XIII e XIV ; Miscellanea di St. Italiana, Serie III, Tomo XIII, Torino, Bocca, 1908. — Libri e mobilie di casa Aleardi al principio del sec. XV, Archivio Veneto, T. XXIV, 1882. Cittadella. Istrumento di divisione seguito il 12 settembre 1493 tra le sorelle Angela ed Ippolita Sforza-Visconti, R. Deput. di St. Pat. di Torino, Miscellanea di St. It., T. IV, 1863. Contessa Carlo. Un inventario del secolo XV ed alcune spigolature per la storia della Biblioteca capitolare d Ivrea, Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, Voi. XLIV, I9°9- Dallari Umberto e Gandini L. A. Lo statuto suntuario 0-lognese del 1401 e il registro delle vesti bollate; Atti e mem. della R. Dep. di St. Patria per le Provincie di Romagna, Serie 3, Voi. VII, fase. 1-2. BIBLIOGRAFIA 395 Da Porto Benedetto. La venuta di Luigi XII a Genova nel MDII, descritta da B. d. P., nuovamente edita per cura di A. Neri; Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. XIII. Davari Stefano. Il matrimonio di Dorotea Gonzaga con Gar-leazzo Maria Sforza; Giornale Ligustico, XVI, (1889). D’Auton Jean. Chroniques, avec des notes par Paul Iacob. (La Croix); Paris, Silvestre, 1835. De Albertis Enrico Alberto. Le costruzioni navali e l’arte della navigazione ai tempi di Cristoforo Colombo; Raccolta Colombiana, Parte IV, Voi. i°. De Mussis. Placentinae urbis descriptio; Rerum Italicarum Scriptores, XVI. Desimoni Cornelio. 1 conti dell’ambasciata al Chan di Persia nel 1292; Atti Società Ligure Storia Patria, XIII. — Statuto dei Padri del Comune della· Repubblica genovese, pubblicato per cura del Municipio, Genova, Pagano, 1886. Diario Ferrarese. Rerum Italicarum Scriptores, T. XXIV. Dì Faie Gio. Antonio. Cronaca; Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. X. Du Cange. Clossarium mediae et infimae latinitatis. Nuova edizione curata da L. Favre, Niort, 1886. Fabbretti. Statuti e ordinamenti suntuari intorno al vestire degli uomini e delle donne dall’anno 1266 al 1536; Memorie della Reale Accademia delle Scienze, Torino, 'serie II, voi. XXXVIII. Fanί ani Pietro Vocabolario della lingua Italiana. Ferrari Pietro. Inventari di cggetti appartenenti a Nicodemo Trincadini (A. 1468 e segg.); Giornale Storico della Luni- giana, Anno VI, Voi. VI, 1914- Forcellini Egidio. Totius latinitatis lexicon opera et studio Aeg. Fore, lucubratum.... amplissime a,uctum cura et studio Doct. Vincentii De-Vit, Prato, Alberghetti, 1858-60. 3% Frati Luigi. La vita privata di Bologna· dal sec. XIII al XVII; Bologna, Zanichelli, 1900. Fumi Luigi. Inventario dei beni di Giovanni di Magnavia, Vescovo di Ormeto c Vicario di Roma; Studi e documenti di storia e diritto, a, XV (1894), fase. 1-2, p. 55, fase. 3-4, p. 239; a. XVI (1895). fase, i, p. 35. Gabotto Ferdinando. Un nuovo contributo alla storia dcll’U-manesimo Ligure ; Atti Società Ligure di Storia Patria, Voi. XXIV. — Per la storia del costume nel medio evo subalpino; Bollett. Società Subalpina, XIII, 1. — Inventarii messinesi inediti del Quattrocento ; Arch. stor. per la Sicilia Orientale, Anno III e IV, Catania, Giannotta, 1907. — Come viaggiavano gli ambasciatori genovesi nel sec. XIV ; Giornale Stor. e Lett. d. Liguria, IX, 1908. Galli Ettore. La casa di abitazione a Pavia e nelle campagne nei secoli XIV e XV ; Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, Anno I, false. II, Pavia, Fusi, 1901. Gallo Antonio. Commentarii de rebus genuensium et de na-vigatione Columbi: Rerum Italicarum Sciptores, Tomo XXIII e nella nuova ediz. di V. Fiorini, fase,. 87, 99 . Gandini Luigi Alberto. Tavola, cantina e cucina alla corte di Ferrara nel Quattrocento ; Modena, Soliani, 1889. — Saggio degli usi c delle costumanze d. corte di Ferrara al tempo di Nicolò III, (1393-1442); Atti e Mem. d. R. Dep. St. Patr. Prov. Romagna. Serie 3, voi. IX, Fase. 1-3, 1891. — Isabella, Beatrice e Alfonso d’Este infanti; Modena, Soliani. 1896. — Viaggi, cavalli, bardature e stalle degli Estensi nel Quattro-cento; Atti e Mem. d. R. Dep. St. Pat. per la Romagna, Serie 3, Voi. X, Fase. 1-3, 1892. Gargiolli. L’arte della seta. Gay Victor. Glossaire archeologique du moyen àge et de la renaissance ; Paris, 1887. BIBLIOGRAFIA 397 Giornale Ligustico di Archeologia, Storia e Belle Arti. Giornale Storico e letterario della Liguria. Giuliani Nicolo^. Notizie sulla tipografia ligure sino a tutto il secolo XVI; Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. IX. Giulini Alessandro. Drusiana Sforza moglie di Iacopo Piccinino; Miscellanea di studi storici in onore di Antonio Manno, Voi. II, Torino, Opes, 1912. Giustiniani Agostino. Annali della Repubblica di Genova, illustrati con note da G. B. Spotomo. Grimani (Breviario) Biblioteca Marciana di Venezia. Grosso Orlando. Il San Giorgio dei Genovesi; Genova, Lib. editrice moderna. 1914 — Genova nell’Arte e nella Storia; Municipio di Genova, Ufficio delle Belle Arti, Alfieri e Lacroix, Milano. Guerrazzi. Vita di Andrea D’Oria. Heyd G. Storia del commercio del Levante nel medio Evo; Biblioteca deirEconomista, Torino, Unione Tip. Ed. Torinese 1913. Nel mio Glosslalrio le citazioni dell’opera delTHeyd hanno il rimando alle pag. della edizione francese, che uscì prima di quella italiana. Lannento de Zena che tracta de la guerra et del saccho dato per gli Spagnoli a li XXX dì de Magio nel MCCCCCXXII. Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. IX, Fase. II. Lattes A. Nuovi documenti per la storia del commercio e del diritto genovese; Arch. Stor. It., Serie V, tomo XLVI. Lisini Alessandro. La forchetta da tavola; Siena, Liazzeri, 1911. Lupi Clemente. La casa pisana e i suoi annessi nel medio-evo; Archivio Storico Italiano, Serie V, Tomi 27, 28, 29, 31, 32, Anni 1901, 1902, 1903. Luzio-Renier. Mantova e Urbino; Isabella d’Este e Elisa-betta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche; in appendice L. A. Gandini : Corredo di Elisabetta Gonzaga di Montefeltro, Torino, Roux, 1893. Luzio-Renier. Il lusso di Isabella d’Este marchesa di Mantova; Nuova Antologia, serie IV, Voi. LXIII, 1 giugno 1896. Malaguzzi Valeri Francesco. La Corte dì Lodovico il Moro. 398 BIBLIOGRAFIA La vita privata e l’arte a Milano nella seconda metà del Quattrocento ; Milano, Hoepli, 1913. Manfroni Camillo. Relazioni fra Genova, l’impero Bizantino e i Turchi; Atti Società Ligure Storia Pialfcria, Volume XXVIII. Manno Antonio. Arredi ed armi di Sinibaldo Fieschi da un inventario del 1532; Atti Società Ligure Storia Patria, X. Manzoni Luigi. Bibliografia statutaria e storica italiana, Bologna, 1876. Marengo-Manfroni-Pessagno. Il banco di S. Giorgio; Genova, Donath, 1911. Massa Angelo. Documenti e notizie per la storia dell’istruzione a Genova; Giorn. stor. e lett. della, Liguria, 1906. — I lettori pubblici della Repubblica Genovese; Gazzetta di Genova, anno 83, n. 4. Massia Pietro. Il testamento e la casa d’un nobile cittadino, Acquese del secolo XV ; Rivista di Storia, Arte, Archeologia della provincia di Alessandria. Anno XIX, Fa,sc. XL, 1911. Mauceri E. Inventari inediti dei secoli XV e XVI ; Arch. St. per la Sicilia Orientale. Anno XII, Fase. 1-2, Catania, Gian-notta, 1915, p. 105. Mazzatini G. Di alcune leggi suntuarie eugubine dal XIV al XVI secolo; Bollettino d. R. Deput. di St. Pat. per l’Umbria, anno III, 1897. Mazzi Curzio La casa di M. Bartolo di Tura; Bollettino Senese di St. Pat., anni 1894-1900. — Alcune leggi suntuarie senesi del sec. XIII ; Arch Stor. Ital. serie IV, tomo V, 1880. — La mensa dei Priori di Firenze nel sec. XIV ; Arch. Stor. Ital., serie V, tomo XX, 1897. — Le fonti dell’antico costume italiano; Rivista delle Biblioteche e degli Archivi, 1903, ottobre-novembre p. 173-174. — Una casa senese nel 1450; Libri e masserizie di Giov. di Pietro di Fece (Fecini) nel 1450 in Siena, in Bullettino Senese di Stor. Pat., Anno XVIII, 1911, Fase. 1, p. 150 e segg. — Documenti medioevali. Merkel Carlo. Tre corredi milanesi del quattrocento; Bollettino dell’Ist. Stor. Ital. n. 13, anno 1893. BIBLIOGRAFIA 399 — Il Castello di Quarti nella Valle d’Aosta secondo un inventario inedito del 1557, Bullett. Ist. Stor. ItaJ. n. 15, 1895. — C ome vestivano gli uomini del Decameron; Rendiconto della R. Accademia dei Lincei, Serie V, voi. VI, 1897. — Beni della famiglia di Puccio Pucci. Molmenti Pompeo. Storia di Venezia nella viVa privata. Monticolo G. Capitolari delle Arti Veneziane; Istituto Stor. Ita!., Roma 1896. — Un corredo nuziale del 1474; Scritti di Storia, di Filologia e d’Arte raccolti per nozze Fedele-De Fabritiis, Napoli, Ricciiairdi, 1908. Motta Emilio. Per la storia dell’arte dei fustagni nel sec. XIV ; Arch. St. Lomb., serie 2.a, Voi. XVII, a. 1890. — Curiosità di Storia genovese del sec. XV tratte dall’Arch. di Stato di Milano. (Inventario della rocca di Borgo Vajdi-taro nel 1488), Giornale Ligustico, Anno XIV, 1887. — La scherpia di una sposa maritata ad un locarnese nell’anno 1401; Bollett. St. d. Svizzera italiana, anno XII, 1890. — Nozze principesche nel Quattrocento per nozze Somaglia-Trivulzio, Milano, 1894. M untz Eugène. La Renaissance en Italie et en France à l’epoque de Charles Vili ; Paris, Didot. 1885. — Histoire de l’art, pendant la Renaissance; Paris, 1891. II. Muralti Francisci Annales; Milano, Daelli, 1861. Neri Achille. La cucina del Vescovo di Luni; Giornale Ligustico, IX, 1882. — Inventario di Spinetta da Campofregoso, I425> Giom. Lig., XI, 1884. — Tommasina Spinola e Luigi XII; Giornale ligustico, VI, e Passatempi Letterari, Genova, Sordo Muti, 1882. — Torneo fatto in Genova nel 1562; Giornale Ligustico, XIV, (1887). — Il qioco del Redoglio; Passatempi Letterari, cit. — Le impressioni di Enea Silvio Piccolomini intorno a Genova, Rivista Ligure di Scienze, Lettere ed Arti, 1911. Pandiani Emilio. Un anno di si\orta genovese; Atti Società Ligure di Storia Patria, Voi. XXXVII. 400 BIBLIOGRAFIA — Il riacquisto di Genova nel 1507 per Luigi XII nelle lettere e nei poemi del tempo; Miscellanea in onore di A. Manno, 1912. Vita privata di Antonio Gallo, cronista genovese del secolo XV ; Archivio Muratoriano, n. 14 (a. 1914). Pardi Giuseppe. La mobilia di un gentiluomo ferrarese del Cinquecento ; Atti della R. Deput Ferrarese di St. Pat., Voi. XIII, anno 1901. La suppellettile dei palazzi estensi in Ferrara nel 1436; Atti e memorie della R. Deput. Ferrarese di St. Pat., Voi. XIX, Ferrara, Zuffi, 1908. Parmentier A. Album historique publiè sous la direction de E. Lavisse; Paris, Colin, 1909. Paullo (da) Ambrogio. Cronaca milanese dall’a. 1476 al x515 edita da A. Ceruti in Miscellanea di St. Ital. anno 1873 p. 199. Pegolotti Balducci. Della- decima, della moneta e della mercatura de Fiorentini; Lucca, Pagnini, 1756-1766. Pellissier Leon G. La loi somptuarie de Trevise en 1507 in Nuovo Arch. Veneto, XIV, 55. — Le trousseau d’un siennois en 1500 ; Bollettino Senese di St. Pat., anno VI, 1899. Pesce Ambrogio. Un inventario di cose appartenenti al Doge Isnardo Guarco (1436); Boll. Stor. Bibi, subalp. XV, I-II. Pescio Amedeo. Croce e Grifo, Genova, Libr. edit. moderna, 1914. Pessagno G. Navi, in appendice al « Porto di Genova » di F. Podestà. Petrocchi P. Nuovo Dizionario universale della lingua italiana, Milano, Treves, 1894. Pianigiani Ottorino. Vocabolario etimologico della lingua italiana, Roma, Albrighi, Segati, 1907. Piccolo mini Enea Silvio. Der briefwchsel des Eneas Silvius Piccolomini 1.0 Band, Privat-Briefe in Fontes rerum austriacarum. Diplomataria et acta LXI Band, Wien 1909, Il carteggio è pubbl. da Wolkan Rudolf. Pinetti Angelo. Gli arredi sacri d’una chiesa bergamasca secondo un inventàrio del Quattrocento ; Atti dell’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti in Bergamo, Voi. XXIII, Ι9Σ5· bibliografia 401 Podestà Francesco. Il Porto di Genova; Genova, E. Spiot-ti, 1913. Poggi Francesco. Lerici e il suo castello, Voi. 1, Sarzana, E. Costa, 1907; Voi. II, Genova, Montorfano e Valcarenghi, I9°9- Restori Antonio. Genova nel teaiVo classico di Spagna; Discorso per liaj inaugurazione degli studi nella R. Università di Genova, 1911. Genova, Olivieri, 1912. Rezasco Giulio. Dizionario del linguaggio italiano storico e amministrativo. — Il segno delle meretrici; Giornale Ligustico, Voi. XVII, 161. — Del segno degli Ebrei; Giornale Ligustico, Voi. XV e XVI. Robolotti. Legge suntuaria cremonese del 1547; Arch. Stor. Lomb. V., 725. Rocca. Pesi e misure antiche di Genova e Genovesato ; Genova, Sordo-Muti, 1871. Rosi Michele. Il Barro di Paolo Foglietta; Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. XXV, fase. II. — Le monache nella vifa genovese dal secolo XV al XVII; Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. XXVII. Rossi Gerolamo. Glossario Medioevale ligure; Miscellanea di Storia Italiana, serie 3, Tomo IV, 1896. — Appendice al Glossario Medioevale ligure; Miscellanea cit., serie 3, Tomo XIII, 1907. Sacchetti Franco. Novelle; Sonzogno, Milano. Sanguineti A. Seconda appendice alle iscrizioni romane ecc.; Atti Sodietà Ligure Storia Patria, Voi. XI. Scherillo M. L’uso della camicia nei secoli XIV e XV, a proposito d’una similit. dantesca, in La Lettura ; Aprile, 1902, pp. 321-326. Schiaparelli Attilio. La casa fiorentina e i suoi arredi nei secoli XIV e XV; Voi. primo, Firenze, Sansoni, 1908. Solerti Angelo. La vita ferrarese nella prima· metà del sec. XVI descritta da Agostino Mosti (n. 30 luglio 1505); Atti e Meni. Dep. St. Pa,t. Romagna, Serie 3, Voi. X, fase. 1-3, 189 2. Staffetti Luigi. Due case di campagna nel sec. XIV ; Atti e memorie della R. Deput. St. Pat. per le provincie Modenesi, serie V, voi. 1. — Inventario di beni e robe dell’opera di S. Martino in Pie- 402 BIBLIOGRAFIA trasanta (1420); Giornale Storico e lett. della Liguria, Anno VI, 1905; a pa^te, col titolo « Contributo alla Storia del Costume nel Basso Medio Evo », per Nozze Galli-Anseimi, Genova, Gioventù, 1905. Staglieno Marcello. Sopra Agostino Noli e Visconte Mag-giolo cartografi; Giornale ligustico, II, 71, 215. — Degli Ebrei in Genova, Giornale Ligustico, III, 173.· 394· — Le donne nell’antica società genovese; Giornale Ligustivo, V. 275. — Antonio Gallo e la famiglia di Cristoforo Colombo, Giornale Ligustico XVII, 387. — Il borgo di S. Stefano ai tempi di Colombo e le case di Domenico Colombo; Appunti estratti dal Corriere Mercantile, Genova, Pellas, 1881. — Sulla Casa abitata da Cristoforo Colombo in Genova, Atti Società Ligure Storia Patria, XVII. Vaccarone. Emanuele Filiberto alla Corte di Carlo V.; Miscellanea di Storia Italiana, Serie 3.a, Tomo V, Torino, Bocca, 1900. VECELLio Cesare. Habiti antichi et moderni di tutto il mondo. Venezia, Sessa, 1598. Verga Ettore. Le leggi suntuarie milanesi; Archivio Storico Lombardo, 1898, Fase. XVII. Vigna A. Codice diplomatico delle colonie Tauro-Liguri 1453-1475). Atti Società Ligure Storia Patria, Voi. VI e VII. Viollet le Duc. Dictionndire raisonné du mobilier frangats de l’époque Carlovingienne à la Renaissance. Visdomini Ant. Maria. Statuito et decreta Communis Genuae. Zanelli. Di alcune leggi suntuarie Pistoiesi dal XIV al XVI secolo.; Arch. Stor. Ital. Serie V., Voi. XVI, 1895· Zippel G. L’allume di Tolfa e il suo commercio ; Archivio della R. Soc. Romana di Storia Patria, Voi. XXX, 1907. INDICE 404 INDICE i Capitolo I. GENOVA NEL RINASCIMENTO. Aspetto della città — Carattere degli abitanti e incende cittadine — Umanesimo — Perdita delle colonie — Crisi del Commercio.......Pag· ^7~ 3^ Aspetto della città p. 19 — Carattere degli abitanti p. 26 — Vicende cittadine p. 27 — Umanesimo p. 29 — Colonie genovesi p. 31 — Perdita delle colonie p. 33 — Crisi del commercio p. 35. /■ Capitolo II. COMMERCI GENOVESI Panni — cotoni — Pelli — Tappeti — Mastice — Allume — Grani — Mezzi di comunicazione . ... > 39" 62 Panni genovesi p. 41 — Camelloti e camocati p. 44 — Broccati p. 46 — Panni e sete comuni p. 49 — Commerci con Chio p. 53 — L’allume di Tolfa p. 54 — Mezzi di comunicazione p. 57 — Galee, usceri, cocche, bastarde p. 58 — Navigatori genovesi p. 60. 405 Capitolo III. LA CASA GENOVESE. Esterno — Interno : la caminata, la camera, il bagno, la cucina e le loro suppellettili ...... Pag. 63-116 Palazzi patrizi e case borghesi p. 65 — Esterno della casa p. 67 — La caminata p. 70 — Sedie e tavole p. 71 — Bacili e stagnarie p. 74 — Tovaglie e guardamapi p. 76 — Argenterie della tavola e della credenza p. 78 — Forchette e taglieri p. 80 — Piatti, glareti, sanaverii p. 82 — La camera da letto p. 84 — Cofani e cappucciai p. 86 — Bancali e capsiete p. 87 — Letto e lettuccio p. 90 — Materassi e coltrici p. 92 — Lenzuola, copertoi, coltri p. 94 — Copriletti, cuscini, cortinaggi p. 96 — Altri cor-tinaggi p. 98 — Tappeti, scaldaletto maestà p. 100 — Il bagno p. 102 — La cucina p. 104 — Ramaioli, Paioli, legami, Padelle p. 105 — Testi e tortere p. 107 — Il focolare p. 109 — Suppellettili del focolare p. in — La madia p. in — Strumenti di misura ed altri utensili p. 113 — La caneva p. 115. Capitolo IV. LE VESTI Panni di gamba — Abiti delle donne e degli uomini — Acconciature del capo — Gioielli — Leggi suntuarie . » 117-164 Descrizioni di vesti genovesi p. 119 — Abiti di dame e di plebee p. 122 — Mutabilità della moda p. 124 — La camicia p. 125 — I panni di gamba p. 128 — Abiti in uso a Genova p. 131 — Gonna, gonnella, bialdo p. 131 — Giornea, diploide, oppa p. 134 — Ucca, toga, guarnacca p. 136 — Gamorra, turca, gavardina p. 138 — Roba, sottana, colletto p. -40 — Sbergna, giubbone, robone p. 142 — Abbigliamenti maschili p. 143 — Cappucci p. 145 — Berrette, cappelli, bernuzi p. 146 — Gioielli p. 149 — Corrigia e clavacorio p. 151 — Oggetti di toeletta p. 152 — Leggi suntuarie p. 155 — Considerazioni sulle leggi suntuarie p. 162. Capitolo V. COSTUMI E USANZE 11 costume a Genova nel Rinascimento — Feste pubbliche e private — Vita domestica — Notizie varie . ■ Pag. 165-216 Notizie di contemporanei p. 167 — Ciarlatani e cantori p. 173 — Giochi e veglie p. 174 — Natale p. 175 — Epifania p. 179 — Carnevale p. 180 — Tornei p. 183 — Pasqua e calendimaggio p. 184 — Passaggi di Principi p. 186 — Luigi XII a Genova nel 1502, p. 188 — Luigi XII a Genova nel 1507, p. 190 — H matrimonio p. 193 — I conviti p. 199 — Monache, padrini e madrine p. 201 — La Schiavitù p. 205 — La manomissione p. 211 — Provvedimenti cittadini p. 213. i. — ATTI DEL NOTARO CRISTOFORO DE RAPALLO 1451 — 23 Aprile. Inventario dei beni del q. Gerolamo de Ricobono ed estimo dei mobili fatto da Niccolò Burgario « revendito-rem raubarum»........Pag. 219 2. — ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA 1451 — 2 Luglio. Inventario dei beni del qm. Tomaso Italiano posti nella sua casa « in contracta nobilium de Itallianis » . » 223 3. — ATTI DEL NOTARO GUIRARDO DE BERVEJ 1456 — 3 Aprilf Inventario di oggetti consegnati da Luca Giovanni a Galeotto Saivaghi figli del qm. Matteo anche a nome del loro fratello Gerolamo alla madre loro Eliana . » 228 408 4· — ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA 1456 — 8 Maggio. Inventario dei beni del q. Benedetto de Vivaldi trovati nella sua casa « in contrata ortorum de bancis » . Pag· 23° 5. — ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA 1456 — 24 Luglio. Inventario dei beni della qm. Luchina vedova di Giacomo di Negro nella sua casa posta « in carrubeo de Nigro de bancis »....... ■ » 237 6. — ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA 1456 — 22 Ottobre. Inventario dei beni del qm. Aimone Pinelli esistenti nella sua casa in contrada S. Pancrazio, ove or abita la vedova di lui Brigida e la famiglia . -. * 24l 7. _ ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA 1458 — 4 Dicembre. Inventario dei mobili della successione della q. Brigida Lomellini del q. Leonello vedova di Giuliano Lomel-lini nella sua abitazione « in contrata Sancte Agneti,s » S. —ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA 1459 — 5 Giugno. Inventario dei mobili del qm. Nicolò Antonio Spinola nella sua casa « in contrada nobiJium De Nigro de Bancis » . ..... . 9· — ATTI DEL NOTARO LAZZARO RAGGI 1461 — 4 Maggio. Inventarium rerum Leonardi Busarini existentium apud Christoforum Turchetum restituendarum eidem Leonardo. 10. — ATTI DEL NOTARO BRANCA BAGNARA 1462 — 23 Marzo. Inventario dei beni del q. Lazarino Vario de Albingana ii. — OFFICIUM MONETE 1477 — 7 Maggio. Inventarium rerum et suppellectilium cochine pallatii consignatarum Barbete seneschalcho Illustris et Magnifici d. Prosperi Adumi Gubernatoris ducalis 410 I2· — ATTI DEL NOTARO OBERTO FOGLIETTA 1488 — 13 Marzo. Inventario dei mobili della successione del q. Battista Valle Ρ«Μί· 27— *3- — ATTI DEL NOTARO OBERTO FOGLIETTA 1488 — 7 Giugno. Inventario de' beni lasciati dal q. Giacomo Ponzone Γ4· — CARTULARIUM RATIONUM PRIVATARUM ANTONII GALLI Anni 1491 - 1494. Allume, cotone, pepe, tonnina p. 287 — Panni e sete p. 288 — Commerci con la Corsica p. 292 — Navi p. 294 — Corredo di Batestina di Lerici p. 296 — Corredo nuziale di Lucrezia Boetio p. 299 — Gioielli p. 302 — Masserizie p. 304 — Spese domestiche p. 305 — Spese per restauro di case p. 307. 15· — CARTULARIUM RATIONUM PRIVATARUM ANTONII GALLI Anni 1504 - 1509. Avarie et scota p. 309 — Spese per infermità e funerali P· 3*9 — Spese per la costruzione di un muro p. ?2i Lavori alla villa di Quinto p. 321 — Lavori alla 411 villa di Terralba p. 323 — Spese e guadagni per tre case in Santa Croce a Genova e per la villa a Terralba P- 323 — Mutui p. 325 — Stipendi dell’Ufficio di S. Giorgio p. 236 — Ricordi della sollevazione di Genova nel 1507, p. 327 Navi p. 328 — Socida vacarum p. 330 Commerci con la Corsica p. 330 — Cartularium antennarum ρ. 332 16. — DIVERSORUM REGISTRI N. X Ordinationes super rebus mulierum et conviviorum etc. . Pag. 334 Glossario » 343