LK TEO Vl* h MDCCCLXXXV ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE STORIA PATRIA VOLUME XVII PRIMO DELLA SECONDA SERIE FASCICOLO I. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XVII PRIMO DELLA SECONDA SERIE GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCLXXXV ALBO ACCADEMICO PER L’ANNO MDCCCLXXXIV-V XXVII DALLA FONDAZIONE DELLA SOCIETÀ Questo Elenco rappresenta lo stato nominativo dei membri della Società al 31 ottobre 188$. Le date chiuse fra parentesi sono quelle della elezione di ciascun socio. L’ Ufficio di Segreteria sa di avere usate le maggiori diligenze ; nè ragionevolmente si potrebbero ascrivergli a colpa le emissioni e le inesattezze , imperocché non sempre gli vennero fornite le indicazioni richieste. UFFICIO DI PRESIDENZA PRESIDENTE Gavotti Marchese Gerolamo, Cav. %, Comm. m e di N. S. della Concezione di Villa Vinosa. — Via Roma, 6 A (17 novembre 1861). VICE PRESIDENTE Sanguineti Monsignor Angelo, Abate mitrato della Basilica di Santa Maria di Carignano, Dottore Aggregato alla Facoltà di Filosofia e Lettere nella R. Università di Genova, R. Ispettore onorario degli scavi e monumenti d’antichità, Membro della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Torino, e dell’istituto Germanico di corrispondenza archeologica di Roma, Cav. — Pianga della Canonica di Cari guano, 17 (22 novembre 1857). SEGRETARIO GENERALE Belgrano Luigi Tommaso, Dottore aggregato alla Facoltà di Filosofia e Lettere, e Professore ordinario di Storia antica e moderna nella R. Università di Genova, Consigliere Provinciale Scolastico, Coadiutore onorario del R. Ispettore degli scavi e monumenti d’antichità, Commissario per la conservazione dei monumenti, Membro dell’istituto Storico Italiano, e della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Corrispondente di quelle della Toscana, delle Marche e dell’Umbria, della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti, della R. Consulta Araldica, dell’Ateneo Veneto, dell’Accademia Georgica di Treja e della Fisio-medico-statistica di Milano, della Società Economica di Chiavari, della Società Normanda di Geografia in Rouen, Socio onorario della R. Accademia Araldica Italiana, Socio effettivo della Società Imperiale di Storia ed Antichità di Odessa, Accademico di merito deU’Accademia Ligustica di belle arti, Uff. e e. — Via Paleslro, 14 (13 gennaio 1858). VICE SEGRETARIO GENERALE Beretta Sac. Prof. Luigi, Vice-Presidente del Comizio Agrario di Genova, Cav. — Via Caffaro, 19 (12 dicembre 1875). TESORIERE Staglieno Marchese Marcello , Dottore in leggi, Membro della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Accademico promotore e di merito dell’Accademia Ligustica di belle arti, della R. Accademia Albertina di Torino, della R. Accademia Araldica Italiana, ecc. — Galleria Macini, } (4 gennaio 1858). CONSIGLIERI Desimoni Cornelio , Dottore in leggi, Dottore Aggregato alla Facoltà di Filosofia e Lettere nella R. Università di Genova, Sovrintendente degli Archivi Liguri di Stato, Vice-Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Corrispondente della Romana Accademia Pontificia d’Archeologia e di quella dei Nuovi Lincei, del R. Istituto Veneto di Scienze e Lettere, della Società Normanda di Geografia in Rouen, della Società Geografica di Boston, della Società Imperiale di Storia ed Antichità di Odessa, Uff. sm, Cav. sft. — Pia^a S. Stefano, 6 (7 gennaio 1858). Grassi Jacopo Luigi, Canonico della Collegiata di S. Maria del Rimedio, Dottore Aggregato alla Facoltà di Filosofia e Lettere, Bibliotecario emerito della R. Università di Genova, Bibliotecario della Libreria Brignole-Sale-De Ferrari-Galliera. — Via Garibaldi, già Nuovà, 18 (17 novembre 1861). Cerruti Professore Ambrogio, Avvocato, Cav. . — Vico No-lari, 11 (19 maggio 1867). Podestà Francesco, Negoziante. — Pianga Grillo-Cattaneo, (> (17 luglio 1864). Bensa Enrico Lodovico, Avvocato. — Vico dei Re Magi, 12 (5 luglio 1868). Astengo Carlo Giuseppe, Avvocato. — Via Lotnellini, 15 (10 agosto 1879). SOCI EFFETTIVI A Accademia Ligustica di belle arti. — Piana De Ferrari, 41 (i.° gennaio 1873). Accame Paolo Antioco, Dottore in leggi, Vice-Pretore del Sestiere di Prè in Genova, Membro della Società Economica di Chiavari. — Via Caffaro, 2; (21 giugno 1885). Acquarone Pietro, Cav. — Via Carlo Felice, 16 (i.° agosto 1875). Allegro Professore Agostino, Statuario, Accademico di merito dell’Accademia Ligustica di belle arti, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti per la città e provincia di Genova, Cav. m. — Via S. Vincenzo, 2 (29 gennaio 1882). Arminjon Vittorio, Contrammiraglio a riposo, Comm. e — Via Assarotti, 56 (7 agosto 1870). Astengo Carlo Giuseppe, predetto. j / . B Bacigalupi Giuseppe, Procuratore. — Via Santa Chiara, 4) (28 aprile 1869). Bado Angelo. — Bollando, Serra di Marta (i.° luglio 1877). Balbi Notaro Luigi, Dottore in leggi. — Via Cajfaro, )2 (2 luglio 1876). Balbi-Piovera Marchese Guido. — Via Balbi, 4 (21 dicembre 1884). Barabino Professore Nicolò, Pittore, Membro della Giunta Superiore di belle arti e della Commissione conservatrice dei monumenti per la città e provincia di Genova, Accademico di merito dell’ Accademia Ligustica di belle arti, ecc., Comm. ^ — Firenze, (8 dicembre 1872). Barrili Anton Giulio, Dottore Aggregato alla Facoltà di Filosofìa e Lettere nella R. Università di Genova, Accademico di merito dell’ Accademia Ligustica di belle arti, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti per la città e provincia di Genova, Comm.®. — Carcare (17 novembre 1861). Belgrano Luigi Tommaso, predetto. Bensa Enrico Lodovico, predetto. Bensa Paolo Emilio , Avvocato, Dottore Aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza nella R. Università di Genova. — Via Roma, 10 (3 agosto 1873). Beretta Guido Ugo, Agente di cambio. — Via Assarotti, 44 (10 agosto 1879). Beretta Luigi, predetto. Bertelli Giovanni, Sacerdote. — Piasga S. Siro, ) (5 maggio 1872). Bertelli Professore Santo, Pittore, Accademico di merito dell’Acca-demia Ligustica di belle arti. — Via S. Luca, 4 (3 agosto 1873). Biale Carlo, Ingegnere Civile, Cav. — Piaget Manin, 40 (12 gennaio 1862). Biale-Colla Pasquale, Avvocato. — Via Roma, ) (4 agosto 1872). Bianchi Canonico Giovanni Battista, dei Conti di Lavagna, Cameriere d’ onore in abito pavonazzo di S. S. Papa Leone XIII, Socio della R. Accademia Araldico-Genealogica Italiana, della R. Società Didascalica, e dei Quiriti di Roma, Cav. tm. — Via Giulia, 4 (2 agosto 1885). Biblioteca della Congregazione Franzoniana degli Operai Evangelici. — Via Giustiniani, n (5 novembre 1864). - r3 — Biblioteca Comunale di Verona. — Verona (17 marzo 1881). Bigliati Paolo, Avvocato, Dottore Aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza e Professore di Diritto Internazionale nella R. Università di Genova, Comm. sm. — Vico Notari, } (i.° gennaio 1858). Bisagno Notaro Francesco, Dottore in leggi. — Piana Nunziata, 22 (12 luglio 1874). Bixio Enrico, Avvocato, Cav. >%>, Comm. sn». — Salita dei Poliamoli, 12 (10 agosto 1862). Bo Camillo, Avvocato. — Via Caffaro, 32 (3 agosto 1873). Bo Giambattista, Dottore in medicina e chirurgia. — Sestri-Levante (i.° agosto 1875). Boccoleri Giuseppe, Arciprete di Recco. — Recco (i.° agosto 1875). Boggiano Andrea, Abate della chiesa dei SS. Cosma e Damiano. — Vico dietro il Coro di S. Cosma, 18 (13 luglio 1873). Bonino Enrico, Canonico della Metropolitana di San Lorenzo. — Spianata di Castelletto, 17 (10 marzo 1872). Boselli Abate Luigi Gaetano Francesco, Direttore del R. Istituto dei Sordo-muti in Genova, Comm. ^ , Cav. — Istituto Sordo-muti, Salita a S. Bartolomeo degli Armeni, 1 (9 aprile 1865). Braggio Carlo, Professore nel R. Ginnasio « Andrea D’Oria ». — Via Corsica, 7 (21 dicembre 1884). Brignardello Giovanni Battista, Sacerdote, Pro-Dottore in ambe leggi, Professore di Lettere Italiane negli Istituti Tecnici del Regno, Professore nel R. Istituto Nautico di Genova, Membro della Società Economica di Chiavari, Cav. ra. — Scalinata Lercari, 2 (4 marzo 1866). Brignole Marchese Benedetto, Dottore in leggi — Vico di San Luca, 4 (11 agosto 1867). Buffa Gaspare, Dottore in lettere, Aggregato alla Facoltà Filo-sofico-Letteraria e Professore di Geografìa nella R. Università di Genova, Professore di Storia e Geografìa nel R. Liceo « Cristoforo Colombo », Cav. — Via di S. Agnese, 7 (13 agosto 1882). — i4 — C Cabella Cesare , Avvocato, Dottore Aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza e Professore ordinario di Diritto Civile nella R. Università di Genova, Membro del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione, Senatore del Regno, Gr. Uff. ^ e — Piana Giustiniani, 7 (21 febbraio 1858). Cabella Gaetano, Console Generale del Belgio, Cav. Salita dei Quattro Canti di S. Francesco, 7 (27 aprile 1873). Calegari Giovanni Battista, Cav. ®. — Via Assarotti, 42 (21 maggio 1871). Camblaso Emanuele, Ingegnere laureato. — Via Assarotti, ]S (5 agosto 1877). Cambiaso Giovanni Battista, Negoziante, Cav. &. — San Domingo (10 agosto 1879). Cambiaso Luigi , Console Generale d’Italia in S. Domingo, Cav. m, — San Domingo (10 agosto 1879). Cambiaso Marchese Michelangelo, Dottore in leggi. — Piana Annunciata, 24 (15 marzo 1863). Campi Luigi, Dottore in leggi, Direttore del Monte di Pietà, Cav. — Via Assarotti, )6 (5 agosto 1877). Campora Giovanni. — Borgo Pila, Via della Tavola, 6 (21 giugno 1885). Caneva Giorgio. — Via Assarotti, 20 (30 gennaio 1881). Canevello Edoardo, Dottore in leggi ed in lettere, Professore nel R. Ginnasio « Andrea D’Oria ». — Piana di S. Giacomo della Marina, 14 (21 dicembre 1884). Caorsi Francesco Giovanni Battista , Sacerdote, Membro del-l’Accademia dei Quiriti di Roma, Cav. — Savona (13 marzo 1869). Capecci Giuseppe, dei PP. Agostiniani, Maestro in S. Teologia, Parroco di N. S. della Consolazione. — Vico della Consolazione, 1 (30 maggio 1875). Capellini Vincenzo, Avvocato. — Piano di S. Matteo, ij (21 maggio 1871). - 15 — Carbone Canonico Giuseppe, Laureato in S. Teologia e in ambe leggi, Pro-Vicario Generale della Città e Diocesi di Tortona. — Tortona (8 agosto 1880). Casagrandi Vincenzo, Dottore in leggi, Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna, Libero Docente di Storia Romana nella R. Università di Padova, Professore di Storia e Geografia nel R. Liceo « Andrea D’Oria». — Via Galeabo Alessi, 7 (21 dicembre 1884). Casareto Nicolò, Dottore in leggi, Prevosto di S. Donato. — Piana S. Donato (14 luglio 1872). Castagnola Marchese Giulio. — Spezia (21 dicembre 1884). Castagnola Stefano, Avvocato, Dottore Aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza e Professore ordinario di Diritto Commerciale nella R. Università di Genova, Gr. Cord. &, e degli Ordini di Francesco Giuseppe d’ Austria, di Carlo III di Spagna e del Cristo di Portogallo. — Via Luccoli, 21 (4 marzo 1866). Castiglione Tommaso Vittorio, Ingegnere Civile. — Via Galata, j7 (29 gennaio 1882). Cataldi Giuliano, Dottore in leggi. — Via S. Sebastiano, /7 (5 agosto 1877). Cattaneo Marchese Luigi, Dottore in leggi. — Via Garibaldi, già Nuova, 8 (10 marzo 1872). Caviglia Francesco, R. Notaro. — Bol~anelo (4 agosto 1878). Celesia Domenico, Dottore in leggi, Cav. ®. — Via Assarotti, 40 (13 agosto 1882). Celesia Emanuele, Dottore in leggi ed Aggregato alla Facoltà di Filosofia e Lettere, Bibliotecario e Professore ordinario di Letteratura Italiana della R. Università di Genova, Membro della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti, ecc., Comm. ■& , Uff. — Galleria Macini* 3 (8 agosto 1880). Centurione Marchese Lorenzo Enrico , Console Generale d’Italia in Nizza Marittima, Membro della Società Geografica Italiana e della Società Geografica di Baviera, Presidente d’onore della Società dei « Salvatori » di Nizza, Comm. del Merito Civile — i6 — di S. Michele di Baviera e della Corona di Prussia, Uff. Cav. di Leopoldo del Belgio. — Nisga Marittima (2 agosto 1885). Centurione Vittorio, Principe del Sacro Romano Impero e di Gorreto, Cav. sfc, Comm. degli Ordini di S. Anna di Russia e di S. Gregorio Magno. — Piarci della Zecca, 7 (19 maggio 1867). Cerruti Ambrogio, predetto. Cerruti Luigi, Canonico di S. Maria di Carignano, Cancelliere della Curia Arcivescovile. —Pianga Carignano, 1 j (12 luglio 1874). Cervetto Luigi Augusto. — Salita S. Rocchino, ij (8 agosto 1880). Cevasco Professore Giovanni Battista, Statuario, Accademico di merito dell’ Accademia Ligustica, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti, Socio delle RR. Accademie di belle arti di Firenze, Venezia, Bologna, Perugia, e dell’Accademia Toscana d’arti e manifatture, Corrispondente della R. Accademia « Raffaello » di Urbino, dei Quiriti di Roma, della Società Letteraria ed Artistica di S. Bartolomeo in Galdo, della Società degli « Intrepidi » di scienze, lettere ed arti di Cori, della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova e della Società Economica di Chiavari, Socio d’onore della Società di mutuo soccorso fra gli Insegnanti, e della Società « Ibla Erea » di Ragusa [Sicilia], munito dei Diplomi di onore della Consociazione Operaia di Genova e del Comitato Ligure per l’educazione del popolo, Comm. @3, Uff. Cav. dell’ Ordine di Cristo del Portogallo, decorato delle medaglie d argento e di bronzo dei « Benemeriti della pubblica salute ». — Via S. Giuseppe, (31 dicembre 1857). Chighizola Eugenio, Dottore in leggi. — Via Montebello, 6 (29 novembre 1868). Chinazzi Carlo Giuseppe, Dottore Aggregato alla Facoltà di Filosofia e Lettere nella R. Università di Torino, Professore di Filosofìa nel R. Liceo « Andrea D’Oria», Incaricato dell’insegnamento della Filosofia morale nella R. Università di Genova, Cav. 1®. — Via del Campo, 12 (5 agosto 1877). Chiossone Professore Edoardo, Intagliatore in rame, Accademico di merito dell’ Accademia Ligustica di belle arti. — Jeddo, Giappone (14 luglio 1861). *7 Circolo Artistico di Genova. — Piana delia Nunziata, 24 (13 agosto 1882). Corsanego-Merli Luigi, Cav. dell’Ordine Pontificio di S. Gregorio Magno. — Via Assarotti, 17 (30 maggio 1875). Corsi Gaetano, Vice-Segretario del Municipio di Genova, Cav. sa». — Via Chiabrera 3 (29 maggio 1870). Costa Francesco, Negoziante. — Via Porta S. Bartolomeo, 14 A (4 agosto 1878). Croce Giuseppe, Negoziante, Cav. ih». — Via Assarotti, 7 (5 luglio 1868). Crosa di Vergagni Marchese Agostino, Dottore in leggi, Comm. — Via di Canneto lungo, 27 (19 maggio 1867). Crosiglia Giuseppe, R. Notaro, Cav. ta» — Torriglia (4 marzo 186S). Crotta Marco Aurelio. — Via S. Vincenzo, 30 (21 giugno 1885). D D’Albertis Capitano Enrico, Cav. ps. — Salita della Visitazione, 6 (21 dicembre 1884). D’Andrade Professore Alfredo, Accademico di merito dell’Acca-demia Ligustica, Socio onorario delle RR. Accademie di belle arti di Torino e di Milano, Cav. % e ®, Comm. di S. Giacomo di Portogallo, e di Isabella la Cattolica di Spagna. — Sori (21 giugno 1885). Da Passano Professore Girolamo, Cav. ^ e @>. — Via Galeazzo Alessi, 1 (26 febbraio 1857). Da Passano Marchese Manfredo. — Firenze (14 agosto 1864). Debarbieri Professore Antonio, Statuario, Socio onorario di vari Istituti di belle arti. — Via Colombo, S (28 dicembre 1857). Debarbieri Emanuele , Dottore in leggi, Professore di Lettere Italiane nella R. Scuola Tecnica Centrale, Cav. — Via Pai estro, i;B (2 agosto 1885). De Ferrari Duca Gaetano, Cav. s». — S. Francesco d’Albaro (14 luglio 1872). Atti Soc. Lis. St. Patri*. Voi. XVII. 2 — i8 — De Ferrari Giuseppe, Negoziante, Cav. p»s. — Via Roma, n (4 agosto 1872). Del Carretto di Balestrino Marchese Vittorio. — Piarci Fontane Morose, iS (21 giugno 1885). De Luchi Giovanni Maria, Farmacista Aggregato, Assistente alla Scuola di Chimica farmaceutica e tossicologica nella R. Università di Genova. — Via Ugo Foscolo, j (i° agosto 1875). De Mari Marchese Marcello, Deputato al Parlamento Nazionale, Cav. @. — Pia^a Annunciala, 19 (20 febbraio 1859). De Negri Giovanni, Professore di Chimica Applicata nella R. Scuola Superiore Navale. — Via Luccoli, 14 (29 maggio 1870). De Negri Paolo Maria , Cappellano di Corte onorario, Professore di Filosofia nel R. Liceo « Niccolini », e Professore titolare di Lettere Italiane nel R. Istituto « Amerigo Vespucci » in Livorno, Socio dell’Accademia del Poggio e della Labronica, Cav. 1®. — Livorno (2 agosto 1885). De Negri-Carpani Cesare, Dottore in leggi, Cav. $£. — Tortona (4 marzo 1866). Desimoni Cornelio, predetto. Desimoni Giovanni, Cav. dell’Ordine di Wasa. — Piana di San Tommaso, 6 (14 agosto 1864). D’Oria Marchese Andrea. — Via Garibaldi, già Nuova, 6 (25 aprile 1869). D’Oria Marchese Giuseppe, Dottore in leggi, Colonnello nell’Ar-mata di Riserva, Gentiluomo di Corte onorario di S. M. il Re d’Italia, Comm. Cav. dell’Ordine Militare di Savoia e della Legion d’Onore di Francia, fregiato di due medaglie d’argento al valor militare. — Via Assarotti, /2 (13 luglio 1873). Dufour Maurizio, Dottore in leggi, Accademico promotore e di merito dell’Accademia Ligustica di belle arti, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti, Cav. dell’ Ordine Pontificio di San Gregorio Magno. — Salila S. Brigida, 4 (12 gennaio 1858). Durazzo Marchese Marcello Nicolò. — Nervi (5 maggio 1872). — 19 — F Fabbri Sebastiano, Negoziante. — S. Fruttuoso, Via Archimede, 34 (27 aprile 1873). Farina Tito Maria, Avvocato. — Salita delle Battis line, 20 (14 agosto 1881). Farrugia Antonio, Ragioniere. — Via Paleslro, 13 (29 novembre 1868). Ferrari Luigi, Direttore della Tipografia del R. Istituto dei Sordomuti, Cav. ®. — Via Serra, y (2 luglio 1876). Figoli Alberto. — Via Balbi, 2 (i.° agosto 1875). Figoli Augusto. — Via Balbi, 2 (21 giugno 1885). Filippi Antonio, Avvocato. — Via Goito, 2 (13 marzo 1869). Fontana Francesco. — Via della Consolazione, 26 (n agosto 1867). Fontana Leone, Dottore in leggi, Membro della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Cav. sm. — Torino (10 agosto 1879). G Gambaro Alfredo. — S. Francesco d’Albaro (14 agosto 1881). Gambaro Francesco, Chimico-Farmacista. — Galleria Macini, j (2 luglio 1876). Garassino Giacomo, Ingegnere Civile. — Piazza degli Embriaci, 1 (29 novembre 1868). Garbarino Ferdinando, Chimico-Farmacista. — Via Balbi, 21 (2 luglio 1876). Garibaldi Franco Temistocle, Professore di Lettere Italiane, Storia e Geografìa, e Lingua francese. — Asti (29 gennaio 1882). Garibaldi Pier Maria , Dottore in Medicina e Chirurgia, Preside della Facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, e Professore ordinario di Fisica nella R. Università di Genova, Socio della Reale Accademia di Liegi [Belgio] e dell’Accademia dei » — 20 — Nuovi Lincei, Comm. s®. — Via Balbi, 21 (13 marzo 1869). Garibotti Angelo, Maestro di Disegno. — Salita S. Nicolò di Carbonara, 36 (2 agosto 1885). Gavazzo Antonio, Colonnello di Marina e Console Generale dell’Uruguay in Svizzera, Membro corrispondente della Società Geografica Italiana, di quella di Lisbona e dell’ Istituto Nazionale di Ginevra, Socio onorario del Club militare marittimo di Lisbona, Socio effettivo della Società Storica Comense, Cav. sm, decorato della medaglia francese d’argento di salvataggio. — Lugano, Cantone Ticino (11 agosto 1867). Gavotti Gerolamo, predetto. Gazzo David Anselmo , Dottore in ambe leggi, Canonico di Santa Maria di Carignano. — Via Ginevrina, 7 (25 marzo 1866). Ghio Giuseppe, Sacerdote, Professore di Lettere Italiane. — Chiavari (2 luglio 1876). Giannoni Andrea, già Parroco di S. Michele d’Ossegna. — Co-muneglia (8 gennaio 1871). Giustiniani Marchese Giacomo. — Via Balbi, 38 (5 agosto 1877). Gotelli Mario, Agente di cambio. — S. Martino d’Albaro (3 aprile 1870). Grassì Jacopo Luigi, predetto. Grasso Vittorio Emanuele, Coadiutore nel Civico Museo Pedagogico e Scolastico. — Vico delle Scuole Pie, 4 (29 gennaio 1882). Grillo Didimo, Dottore in leggi — Via Palestro, ) (19 maggio 1867). Grillo Giovanni Battista. — Via S. Donato, 5 (14 agosto 1881). Gropallo Marchese Marcello, Dottore in leggi, Gentiluomo di Corte di S. M. la Regina d’Italia, Cav. ^ e sm. — Pietra del Zerbino, 12 (20 febbraio 1859). Groppo Claudio Enrico, Dottore in leggi, Assistente alla Biblioteca Brignole-Sale-De Ferrari-Galliera, Cav. xn>. — Piarci De Ferrari, 40 (5 agosto 1877). Guarco Domenico Maria, Cav. — Via Fassolo, 1 (12 gennaio 1858). Ighina Canonico Andrea, Cav. $ — Mondovì (i.° agosto 1875). Imperiale Marchese Cesare, dei Principi di S. Angelo, Dottore in leggi. — Via San Fruttuoso, 72 (21 giugno 1885). Invrea Marchese David, Dottore in leggi, Presidente del Tribunale civile e correzionale di S. Maria di Capua vetere. — Capua vetere (15 marzo 1863). Isola Giuseppe, Accademico di merito della Insigne Accademia Romana di S. Luca, di quelle di Bologna, Perugia, Parma, Urbino, Torino, e della Ligustica di Genova, Professore Direttore della Scuola per lo studio del vero nella medesima, Direttore della Galleria Brignole-Sale-De Ferrari-Galliera, Uff. eft, Cav.®. — Salita di S. Anna, j (28 dicembre 1857). Ivaldi Emanuele , Direttore dell’ Imposta Municipale, Cav. ®. — Via Garibaldi, già Nuova, 14 (n luglio 1869). K Kuster Vittorio Emanuele, Dottore in leggi, Consigliere della Corte d’Appello di Genova, Cav. , Comm. ®. — Via Gro-pallo, } (3 dicembre 1871). L Lagorio Santo, Negoziante, Cav. — Piana Grillo-Cattaneo, 6 (25 aprile 1869). Lanza Sacerdote Bonifacio, Professore. — Salita Incarnazione, ij (14 luglio 1872). Lanza Professore Giovanni, Uff. Cav. •&. — Silvano-Orba (30 gennaio 1881). Le Mesurier Edoardo Algernon, Banchiere. — Corso Solferino, (9 luglio 1871). Lomellini Marchese Clemente, Cav. — Via Nuovissima, 14 (4 marzo 1866). Luxoro Alfredo, Pittore. — Piana De Ferrari, 41 (21 giugno 1885). Luxoro Augusto, Dottore in Medicina e Chirurgia, Accademico di merito e Professore di Anatomia nell’ Accademia Ligustica di belle arti. — Salita dei Quattro Canti di S. Francesco, <) (13 luglio 1873). M Magenta Riccardo, Dottore in leggi, Giudice del Tribunale Civile e Correzionale di Chiavari. — Chiavari (29 maggio 1870). Magnani Benedetto, Dottore in leggi. — Via delle Fontane, 3 (29 maggio 1870). Magnasco Monsignor Salvatore, Arcivescovo di Genova, Abbate perpetuo di S. Siro e di S. Maria Immacolata, Legato 1 rans-marino della S. Sede Apostolica, Gran Cancelliere del Collegio Teologico di S. Tommaso d’Aquino. — Piana Nuova, 22 (19 aprile 1874). Malatesta Luigi. — Salita di Pietraminuta', 23 (2 agosto 1874). Marcenaro Michele, Ingegnere-Architetto, Accademico di merito dell Accademia Ligustica di belle arti, Ingegnere-Capo del Municipio di Genova, Cav. — Salita delle Battisi ine, 40 (13 luglio 1873). Marchese Eugenio, già Ingegnere nel R. Corpo delle Miniere e Deputato al Parlamento Nazionale [XIII Legislatura], Cav. $ e sm. — Via Assarotti, 3; (25 aprile 1869). Marsano Giovanni Battista , Ingegnere, Dottore Aggregato e Professore ordinario di Algebra e Geometria analitica nella R. Università di Genova, Professore di Matematiche superiori nel R. Istituto Tecnico « Vittorio Emanuele II », Cav. — Piarci della Zecca, 1 (i.° luglio 1877). Masnata Giovanni Battista. — Bananeto, Serra di Muri a (30 maggio 1875). - 23 — Mazzachiodi Cesare, Dottore in Medicina e Chirurgia. — Piana delle Vigne, 6 (5 agosto 1877). Melzi d’Eril Conte Francesco. — Piana Livrea, 8 (4 agosto 1878). Melzi d’Eril Duca Lodovico. — Milano (17 luglio 1884). Merello Angelo, Dottore in leggi, Primo Presidente emerito di Corte d’Appello, Comm. Gr. Uff. — Piana di Santa Brigida, 8 (10 agosto 1869). Michelini Gerolamo, Dottore in Medicina e Chirurgia. — Mura di S. Chiara, 50 (13 luglio 1873). Mongiardino Giuseppe, Avvocato.— Via Interiano, j (12 dicembre 1875). Moreno Giacomo, Statuario, Cav. ss. — Piana Sorgano, 28 (9 aprile 1869). Moresco Domenico. — Via Brignole-Dc Ferrari, 9 (11 luglio 1869). Musso Cristoforo, Avvocato. — Piana Corvello, 2 (25 aprile 1869). Musso Giovanni Battista, Avvocato. — Piana De Ferrari, )6 (9 giugno 1871). N Negrotto-Cambiaso Marchese Lazzaro, Dottore in leggi, Presidente dell’ Accademia Ligustica di belle arti, Uff. &. — San Pier d’Arena (9 gennaio 1858). Neri Achille, Assistente alla Biblioteca della R. Università di Genova , Professore di Lettere Italiane nella R. Scuola Normale Femminile, Membro della R. Commissione per la pubblicazione dei testi di lingua, della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, e di quella di Modena [Sottosezione di Massa e Carrara], Corrispondente della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti, Cav. @. — Via S. Chiara, 1 (5 maggio 1872). — 24 — O Oberti Giuseppe, Professore di Contabilità nella R. Scuola Tecnica Occidentale, Cav. — Vico dietro il Coro delle Vigne, 3 (24 giugno 1866). Odino Antonio. — Via S. Giuseppe, 2 in Fermo [Marche], dell’ Accademia di Scienze e Lettere in Castelfranco Veneto; Socio corrispondente dell’ Accademia del Progresso in Palazzolo Acreide , della R. Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, dell Accademia « de Buenas Letras » di Barcellona [Spagna], ecc. ; Cav. &. — Roma, (12 luglio 1874). - 38 - Cecchetti Bartolomeo , Sovrintendente degli Archivi Veneti, Direttore dell’ Archivio di Stato e della Scuola di Paleografia e Dottrina archivistica in Venezia, Membro del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Deputazione Veneta di Storia Patria e di quella per le Provincie di Romagna, Socio effettivo dell’ Ateneo Veneto ed onorario di quello di Bergamo, Socio dell’Accademia dei « Concordi » di Bovolenta, dell’Accademia Fisio-medico-stàtistica di Milano, della Società « Minerva » in Trieste , dell’ Associazione per la propagazione delle lettere greche, e dell’ Accademia Filologica « Byron » di Atene ; Cav. ^, Comm. dell’Ordine di Francesco Giuseppe d’Austria, e della Legion d’Onore di Francia. — Venezia (6 agosto 1876). Ceruti Abate Antonio , Membro effettivo del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, e della R. Commissione pei testi di lingua; Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia Veneta, della R. Accademia « Raffaello » di Urbino, della Società Colombaria di Firenze; Membro onorario della Società Archeologica di Novara; Dottore della Biblioteca Ambrosiana, ecc.; Cav. $£. — Milano (5 maggio 1872). Claretta Barone Gaudenzio, Dottore in leggi, Membro e Segretario della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Socio della R. Accademia delle Scienze e della Società di Archelogia e Belle Arti di Torino, Condirettore di quel Museo Civico, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti, Comm. $ e ®. — Torino (14 maggio 1860. Cora Dottore Guido , Professore di Geografia nella R. Università e Presidente della Società di Geografia ed Etnografia di Torino, Membro onorario della R. Società Geografica di Londra, Corrispondente della Società Antropologica di Parigi e del Comitato Polare internazionale, Cav. — Torino (30 marzo 1884). Cusa Nobile Salvatore , Professore ordinario di lingua araba nella R. Università di Palermo, e Preside di quella Facoltà di Filosofia e Lettere, Direttore della Classe II nella Società Siciliana di Storia Patria, Vice-Presidente delPAccademia di Scienze, — 39 — Lettere ed Arti, Membro Corrispondente della Consulta Araldica, Membro della Società Asiatica, della Società di Economia Politica e della Società Geografica di Parigi, ecc. ecc. ; Comm. , Gr. Uff. tes. — Palermo (20 febbraio 1859). D Da Silva Dottore Tullio Antonio. — Lisbona (15 marzo 1863), F Fabretti Ariodante , Professore ordinario di Archeologia grecoromana nella R. Università di Torino, Direttore del Museo di Antichità, Presidente della R. Accademia delle Scienze e della Società d’ Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino , Professore onorario dell’ Università di Perugia, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia [Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere], Socio della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente del R. Istituto "Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Accademia di Archeologia, Letteratura e Belle Arti di Napoli, della R. Accademia della Crusca, della R. Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, e dell’ Istituto, di Corrispondenza Archeologica; Comm. & Uff. % , Cav. dell’ Ordine del Merito Civile di Savoia, della Legion d’ Onore di Francia e della Rosa del Brasile. — Torino (20 febbraio 1859). Foucard Cesare, Primo Archivista Direttore del R. Archivio di Stato in Modena, Membro della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Modenesi, Cav. $ e — Modena (20 febbraio 1859). Franciosi Nobile Giovanni, Dottore in leggi, Professore-Direttore della Scuola Normale Femminile Superiore in Bari delle Puglie, Socio permanente della R. Accademia di Scienze e Lettere in Modena, Socio onorario dell’Ateneo di Bassano, e della I. R. Accademia degli « Agiati » di Rovereto, Corrispondente della R. Società Colombaria di Firenze, ecc. — Bari delle Puglie (5 maggio 1872). — 40 — Frati Luigi, Dottore Collegiato della Facoltà fìlosofico-filologica nella R. Università di Bologna, Bibliotecario Municipale e Direttore della Sezione medio-evale del Museo Civico di detta Città, Membro della Commissione per la conservazione de’ monumenti, Socio effettivo della R. Deputazione di Storia Patria delle Romagne, corrispondente della R. Deputazione Storica per le antiche Provincie e la Lombardia, dell’ Imp. Istituto Germanico , della Società Reale degli Antiquari del Nord, ecc. ; Cav. . — Bologna (16 dicembre 1860). G Gelli Agenore, Dottore in Lettere, Professore di Storia e Geografia nel R. Liceo « Dante » , Membro e Segretario della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, le Marche e l’Umbria, Direttore dell’ « Archivio Sorico Italiano » ecc., Cav. — Firenze (5 luglio 1868). Gozzadini Conte Giovanni, Senatore del Regno, Dottore Collegiato della Facoltà fìlosofico-filologica nella R. Università di Bologna, Professore onorario nella R. Accademia di Belle Arti di Bologna; Presidente perpetuo della R. Deputazione di Storia Patria per le Romagne, Vice-Presidente perpetuo del Congresso Internazionale d’ Antropologia e Archeologia, preistoriche ; Membro effettivo delle RR. Accademie dei Lincei, delle Scienze di Baviera, di Antichità e Belle Lettere di Svezia, degli Antiquari del Nord, e della Società Archeologica di Mosca ; Corrispondente del-1 Istituto di Francia, delle RR. Accademie delle Scienze di Torino, di Modena e di Ginevra, delle Scienze naturali di Filadelfia, per 1 avanzamento delle Scienze di Francia, di Fisiografia di Lund, delle Società Antropologiche Italiana, di Berlino, di Vienna, di Svezia e di Washington; dell’Accademia d’Archeologia e dell’Im-periale Instituto Archeologico Germanico; del R. Istituto Archeologico della Granbretagna; delle Società Archeologiche di Ginevra, di Lisbona, del Mezzogiorno della Francia, e della Svezia; degli Antiquari di Londra e della Società Letteraria di Smirna; Gr. Uff. ^ e jhj; Comm. di I. Classe dell’Ordine del Dane- — 4i — brog, di Francesco Giuseppe d’Austria, di Wasa, di Federico del Wurtemberg; Comm. della Corona di Prussia e dell’ Ordine di S. Marino; Uff. della Legion d’Onore; Cav. di S. Michele, e di Saxe-Coburgo-Gotha; insignito della Medaglia d’oro di I. Classe dal Re Vittorio Emanuele II. — Bologna (i 6 dicembre 1860). Gravier Gabriele, Membro dell’ Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Rouen, Presidente Onorario e Segretario Generale della Società Normanda di Geografia, Ufficiale di Pubblica Istruzione, ecc. — Rouen (5 agosto 1877). Guasti Cesare, Soprintendente degli Archivi Toscani di Stato, Accademico residente e Segretario della Crusca, Vice Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, le Marche e l’Umbria, Corrispondente di quella delle antiche Provincie e della Lombardia, della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena ecc. ; Comm. ^ e Uff. dell’ Ordine Imperiale della Rosa del Brasile. — Firenze (20 febbraio 1859). Guglielmotti Alberto, delPOrdine dei Predicatori, Maestro in S. Teologia, Membro della R. Accademia della Crusca, ecc. ecc. — Roma (20 febbraio 1859). H Heyd Guglielmo Cristoforo , Prefetto della R. Biblioteca Pubblica di Stoccarda, col titolo di « Oberstudienrath », Dottore « honoris causa » della R. Università di Tubinga; Socio corrispondente della R. Accademia Bavarese delle Scienze in Monaco, della Società Numismatica di Vienna; Socio onorario della R. Deputazione Veneta di Storia Patria; Cav. di I. Classe degli Ordini del Re Federigo e della Corona del Wurtemberg. — Stoccarda (21 maggio 1871). J Jurgewicz Dottore Ladislao, Consigliere di Stato attuale, Vice-Presidente della Società Imperiale di Storia ed Antichità di Odessa, — 42 — Direttore del Museo e Professore dell’ Università Imperiale, Gran Cordone dell’ Ordine di S. Stanislao di Russia, ecc. ecc. ; — Odessa (13 luglio 1873). M Manno Barone D. Antonio, Socio e Tesoriere della R. Accademia delle Scienze di Torino, Membro e Segretario della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia , Commissario del Re presso la Consulta Araldica, ecc. ecc. ; Uff. efc , Comm. ®. — Torino (5 agosto 1877). Malatesta Professore Adeodato , Direttore del R. Istituto di Lettere ed Arti in Modena, Accademico di merito dell’ Accademia Ligustica di belle arti, ecc.; Uff. Comm. et. — Modena (16 dicembre 1860). Masini Cesare, Professore di Pittura, ex-Segretario della R. Accademia di belle arti, Direttore della R. Pinacoteca di Bologna, Accademico di merito dell’Accademia Ligustica, Cav. &. — Bologna (16 dicembre 1860), Milanesi Gaetano, Dottore in Leggi, Primo Archivista nell Archivio di Stato in Firenze, Accademico residente ed altro dei Segretari della R. Accademia della Crusca, Membro della R. Commissione pei testi di lingua, e della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, le Marche e l’Umbria, Cav. Comm. &. — Firenze (20 febbraio 1869). . Muller Dottore Giuseppe , Professore ordinario di Letteratura Greca nella R. Università di Torino, Socio corrispondente della I. R. Accademia delle Scienze in Vienna, della R. Accademia Bavarese delle Scienze in Monaco, dell’ Istituto di Corrispondenza Archeologica in Roma, della Società Storico-Etnologica di Atene ; Cav. 3$ e &, fregiato della Medaglia d’oro del merito civile di I. Classe della Repubblica di S. Marino. — Torino (11 luglio 1869). Muoni Damiano, Licenziato in ambe le leggi, emerito Archivista di Stato, Presidente onorario perpetuo della Milanese Accademia Fisio-medico-statistica, Socio onorario della R. Accademia — 43 — di Belle Arti in Milano, Membro effettivo fondatore della Società Storica Lombarda, Corrispondente della Consulta Araldica in Roma, dell’Ateneo Veneto, di varie Regie Deputazioni e Società Storiche Italiane, Corrispondente della Società degli Studi Storici a Parigi, della Società di Numismatica e Antiquaria, e della Società Filosofica Americana a Filadelfia negli Stati Uniti ; Presidente, Vice-Presidente e Corrispondente di più altri Istituti Scientifici ed Artistici nazionali e stranieri; Ufi. ea e del Ni-scham-Iftikar di Tunisi, Cav. ^ e di Isabella la Cattolica di Spagna, fregiato della Medaglia d’oro al merito civile di I. Classe della Repubblica di S. Marino, e di più altre medaglie. — Milano (25 marzo 1866). P Paspati Dottore Alessandro, Socio del « Syllogos » di Atene, ecc. — Costantinopoli (26 luglio 1873). Pflugh-Harttung [von] Giulio, Dottore e Professore nella R. Università di Tubinga, Socio ordinario della R. Società Storica di Londra, Corrispondente della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, della R. Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, e della Società Scientifica di Épinal; Cav. Cav. di I. Classe del R. Ordine di Alberto delPImpero. — Tubinga (30 marzo 1884). Pillito Ignazio, Direttore degli Archivi Governativi di Cagliari in ritiro j Paleografo della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Socio corrispondente della R. Accademia di Storia di Madrid, Cav. ^ e ©. — Cagliari (12 agosto 1860). Pinchart Dottore Alessandro, Archivista di Stato negli Archivi del Belgio. — Bruxelles (21 maggio 1871). • Podestà Bartolomeo, Dottore in leggi, Bibliotecario della Nazionale di Firenze, Membro della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna, ecc., Cav. $, Uff. — Firenze (17 febbraio 1861). — 44 — Poggi Vittorio, Maggiore di Fanteria, Membro effettivo della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Parmensi , Corrispondente di quella delle Romagne e dell’ Istituto Germanico di Corrispondenza Archeologica, Cav. — Pavia (3° marz° 1884). Promis Vincenzo, Dottore in leggi, Bibliotecario e Conservatore del Medagliere di S. M. il Re d’Italia, Membro della R. Accademia delle Scienze di Torino e della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Ispettore onorario degli scavi e monumenti; Cav. Comm. eg, Comm. con stella dell Ordine di Francesco Giuseppe d’Austria, di S. Michele di Baviera, e della Corona di Rumenia. - Torino (21 maggio 1871). R Remedi Marchese Angelo, Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, dell Imperiale Istituto Archeologico Germanico, della Società di Archeologia e Belle Arti di Torino, della R. Accademia di Belle Arti di Carrara ecc., R. Ispettore onorario degli scavi e monumenti ; Comm. ►£, Cav. — Sar^a na (17 febbraio 1861). Rosa Dottore Gabriele , Membro della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Presidente del- 1 Ateneo di Brescia, Membro effettivo del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio degli Atenei di Bassano, Venezia e Treviso, della Società Storica « Minnesota » [S. U. d’America], e della « Antiquarische Geselleschaft » di Zurigo; Cav. — Iseo, Provincia di Brescia (20 febbraio 1859). Rossi Girolamo, Professore e Direttore del R. Ginnasio di Venti-miglia-Ligure, Ispettore onorario degli scavi e monumenti nella Provincia di Porto-Maurizio, Membro effettivo della R. Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Corrispondente della R. Deputazione di Storia Patria della Romagna, e di quella della Toscana, dell’Umbria e delle Marche, dell Imperiale Istituto Archeologico della Germania, Membro tito- — 45 — lare [straniero] dell’istituto delle Provincie di Francia, Socio onorario dell’Accademia Ventimigliese di S. Tommaso d’Aquino, ecc.; Cav. , Uff. m, e dell’ Ordine di S. Carlo di Monaco, fregiato della Medaglia dell’ Istituto delle Provincie — Venlimiglia-Ligure (20 febbraio 1859). S Sforza Giovanni, Sotto-Archivista nel R. Archivio di Stato in Lucca, Socio e Segretario per le Lettere della R. Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, le Marche e l’Umbria, e di quella di Modena, [sotto-sezione di Massa e Carrara], Membro della R. Commissione pei testi di lingua, Corrispondente della R. Deputazione Storica per le antiche Provincie e la Lombardia, ecc., Cav. @t. — Lucca (12 luglio 1874). Starrabba di S. Gennaro Barone Raffaele, Dottore in leggi, Archivista di Stato, Membro della Società Siciliana per la Storia Patria, dell’Accademia Palermitana di Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Araldica di Pisa, dell’ Accademia di Belle Lettere di Barcellona. — Palermo (12 luglio 1874). T Tabarrini Marco , Dottore in leggi, Senatore del Regno, Presidente di Sezione al Consiglio di Stato, Membro del Consiglio Superiore degli Archivi, Accademico della Crusca, Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, le Marche e 1’ Umbria, Membro dell’istituto Storico Italiano ecc., Comm. % e m — Roma (5 luglio 1868). V Veludo Professore Giovanni, Membro effettivo del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio ordinario dell’ Ateneo di Venezia, della R. Accademia Colombaria di Firenze, Membro — 46 — della R. Commissione pei testi di lingua ecc., Comm. sm, e degli Ordini di Francesco Giuseppe d’Austria, di S. Stanislao di Russia e dell'Aquila rossa di Prussia, Cav. dell’ Ordine di S. Salvatore di Grecia. — Venezia (6 agosto 1876). Viale Giuseppe Antonio, Socio emerito della R. Accademia delle Scienze di Lisbona, Socio onorario dell’ Istituto di Coimbra, Socio del « Gremio » Letterario; Consigliere di S. M. fedelissima ; Comm. %, e degli Ordini Portoghesi di Cristo e di S. Giacomo, dell’ Ordine Prussiano della Casa di Hohenzol-lern, e dell’Ordine Imperiale Brasiliano della Rosa. — Lisbona (13 luglio 1873). W • . . . 1 Wùstenfeld Teodoro, Dottore in Filosofìa, ed Assessore della Facoltà Filosofica nella Università di Gottinga, Cav. Gottinga (6 agosto 1876). C NECROLOGIO Balbi Cav. Giuseppe, Socio effettivo. — 18 dicembre 1884. Montanaro Cav. Antonio, Socio eff. — 2 gennaio 1885. Olivieri Can. Giuseppe, Socio eff. — 14 maggio 1885. Storace Sac. Giovanni, Socio eff. — 15 settembre 1885. STATUTO APPROVATO DALL’ASSEMBLEA GENERALE ADDÌ XVIII DICEMBRE MDCCCLIX Atti Soc, Lig. St. Tatria, Serie li, Voi. XVII. . ' TITOLO PRIMO SCOPO DELLA SOCIETÀ Articolo i. La Società di Storia Patria ha per oggetto la coltura della Storia della Liguria; e perciò si propone indagare le memorie del passato, illustrare le antiche cronache, porre in luce le più meritevoli tra esse; zelare la conservazione dei liguri monumenti ; trarre dagli archivi, sì pubblici che.privati, quei tesori di patria erudizione che vi giacciono ancora negletti; dare opera in somma a porgere efficace incitamento allo studio di ogni notizia civile, commerciale, letteraria, religiosa, biografica, archeologica, artistica del nostro paese. Art. 2. Ciò non vieta però, che i Soci tolgano a subbietto delle loro indagini le memorie delle altre provincie italiane, massime nelle relazioni che possono avere colla Storia ligure. — 52 — TITOLO SECONDO DEI SOCI Art. 5. La Società è composta di cultori, ed amatori degli studi storici. I Soci si ripartono in effettivi, onorari, e corrispondenti. Sono effettivi quelli che concorrono alle spese necessarie per il mantenimento della Società, giusta le norme appresso indicate. Si eleggono gli onorari tra coloro che sono illustri per lavori storici pubblicati, o che si rendono benemeriti della Società per importanti doni, od altri titoli. Scelgonsi i corrispondenti tra gli studiosi delle storiche discipline, i quali non risiedendo in Genova possono colle loro cognizioni prestare un’ attiva cooperazione ai lavori di quest’istituto. Art. 4. Gli ascritti alla Società ricevono un diploma, che attesta il grado che vi tengono. Il diploma sarà munito del sigillo che poi tei a 1 effìgie di Caffaro, e l’iscrizione « Società Ligure di Storici Patria anno 1857 ». TITOLO TERZO UFFIZI DELLA SOCIETÀ Art. 5. L’Istituto ha per suoi Uffiziali : (1a) Un Presidente che regola e dirige le discussioni e fa tutte quelle proposte, che giovano al decoro e all’incremento della Società. - 53 — (b) Un Vice Presidente, che mancando il Presidente lo supplisce. (c) Sei Consiglieri. (d) Un Segretario generale, che custodisce le carte ed il sigillo della Società, stende il verbale delle tornate e corrisponde con altri Istituti. (e) Un Vice Segretario. (/) Un Cassiere che procura la riscossione delle quote dei Soci, rilascia le ricevute, paga in seguito dei mandati del Presidente, e rende ogni anno ragione delle entrate e delle spese. Art. 6. I predetti Ufficiali insieme riuniti costituiscono il Consiglio della Società. TITOLO QUARTO DELLE ELEZIONI Art. 7. II Presidente 0 due Soci effettivi possono proporre le persone, che reputano degne di essere aggregate all’istituto; ma l’accetta- • zione di esse si fa per iscrutinio segreto nella tornata che segue a quella, in cui ebbe luogo la proposta. Art. 8. Gli Uffiziali sono eletti tra i Soci effettivi per ischede segrete. Il Presidente ed il Vice Presidente si eleggono annualmente , e possono essere rieletti. Dei Consiglieri ogni anno scade un terzo, cominciando dai più anziani. Il Segretario, il Vice Segretario ed il Tesoriere durano in uffizio per un triennio, e possono essere confermati. / — 54 — TITOLO QUINTO DELLE ADUNANZE DELLA SOCIETÀ Art. 9. La Società è convocata almeno una volta al mese dal Piesi-dente. Art. io. Le materie sulle quali verserà 1’ adunanza saranno annunziate ai Soci dal Segretario. Art. 11. Le deliberazioni saranno prese ad assoluta maggioranza di voti. Art. 12. I soli Soci effettivi presenti costituiscono il corpo deliberante, e perchè le deliberazioni siano valide si richiede l’intei vento meno di quindici Soci. TITOLO SESTO AMMINISTRAZIONE Art. 13. Le contribuzioni di ciascun Socio sono le seguenti : i.°Per diritto d’ammissione . L. 5. 2° Quota annua.....» 12. * — 55 - Art. 14. Il prodotto di esse sarà erogato nelle spese di Amministrazione, in quelle della pubblicazione degli Atti della Società, e delle opere, o documenti, di cui in Assemblea Generale verrà deliberata la stampa per serie separata, in appendice agli Atti della Società. Art. 15. Chi per due anni continui mancasse al pagamento della quota, cesserebbe per fatto proprio di appartenere alla Società. TITOLO SETTIMO DISTRIBUZIONE DEI LAVORI Art. ié. Affine di agevolare il compito che la Società si è prefìsso, essa sarà divisa in tre Sezioni, cioè: (a) Storia. (/>) Archeologia. (c) Belle Arti (Vedi Nota in fine). Art. 17. Ciascuna Sezione avrà un Preside, un Vice Preside, un Segretario, ed un Vice Segretario, scelti ogni anno a maggioranza tra i membri che la compongono. Questi Uffiziali potranno essere rieletti. — 56 - Art. i 8. Il Preside radunerà la propria Sezione quando lo stimerà opportuno , previo concerto col Presidente della Società. Art. 19. Le Sezioni non potranno trattare che delle materie poste all ordine del giorno; e questo, per quanto si potrà, sarà concertato dal Preside della Sezione col Presidente della Società. Art. 20. Il Socio, che bramerà leggere qualche scritto, dovrà avvisarne il Preside della Sezione, significandogli altresì l’argomento sul quale verserà il suo lavoro. TITOLO OTTAVO DEGLI ATTI DELLA SOCIETÀ Art. 21 La Società provvede alla regolare pubblicazione de’ suoi Atti, essi si comporranno di un rendiconto dei lavori letti in ciascun anno, e delle memorie, od estratti di cui la Società avrà deliberato la pubblicazione nei suoi volumi. Delle prolusioni del Presidente potrà essere deliberata la stampa dall’Assemblea Generale. Art. 22. Il predetto rendiconto sarà preparato dal Segretario generale, d accordo coll Ufficio di Presidenza, sulle relazioni parziali che gli - 57 - daranno i Segretari delle tre Sezioni. Prima di consegnare al Tipografo tal rendiconto, sarà letto, ed approvato in una tornata generale. Art. 23, Quando i due terzi dei Soci presenti, ascritti ad una Sezione, che non potranno essere in numero minore di sette, avranno per iscrutinio segreto dichiarata degna di essere stampata, per intero 0 per estratto, una memoria letta nella tornata precedente della Sezione, il Preside di essa informerà di tale deliberazione il Presidente generale. Questi nella prima tornata generale farà leggere la memoria proposta dalla Sezione, ed inviterà i Soci ad emettere il loro voto sul merito di tale scrittura nella prossima adunanza. Allorché i due terzi dei Soci, riuniti in Assemblea Generale, avranno approvato a voti segreti la stampa del lavoro proposto, esso sarà inserito negli Atti della Società. Trattandosi però di scritti molto estesi, per la lettura dei quali si richiedessero più tornate, la Società potrà incaricare dell’esame di essi una speciale Commissione, che riferirà ali’ Assemblea Generale sul merito di tali lavori; e si voterà quindi nel modo sopra indicato. Art. 24. Due Membri dell’ Uffizio di Presidenza veglieranno, insieme cogli autori dei vari scritti, alla correzione della stampa degli Atti della Società. Art. 25. La Società dichiara di conservare intatto il diritto di proprietà, che compete agli autori delle singole memorie inserite nei suoi Atti. - 5S - Art. 26. Tutti i lavori collettivi, le relazioni delle tornate ed i 1 apporti delle Commissioni non essendo lavoro speciale d alcun Souo, sono proprietà della Società, che ha sola il diritto di pubblicai li. Art. 27. Gli autori delle memorie inserite negli Atti della Società 1 coveranno un competente numero di esemplari dei loro scritti a giudizio del Consiglio. Art. 28. Ogni Socio avrà diritto ad un esemplare degli Atti della Società. NOTA Saranno di spettanza delle diverse Sezioni le materie seguenti: PRIMA SEZIONE - STORIA. (. Storia civile, letteraria ed ecclesiastica. 2. Leggi e Statuti. 3. Biografie d’uomini illustri. 4. Geografia, viaggi, navigazione, commercio e statistica. 5. Colonie. 6. Beneficenza. 7. Storia comparativa e generale d’Italia. 8. Tipografia. 9. Arti industriali. 10. Bibliografia patria. SECONDA SEZIONE - ARCHEOLOGIA. 1. Numismatica patria. 2. Pesi e misure. 3. Iscrizioni. — 6o — 4. Illustrazione d’antichi monumenti. 5. Codici e pergamene. 6. Delimitazione del territorio antico di Genova e della Liguria, c topografia della Città. TERZA SEZIONE - BELLE ARTI. 1. Illustrazione di monumenti artistici. 2. Cura per la conservazione d’ oggetti d’arte. NORME REGOLAMENTARI PER LA NOMINA DEI SOCI ONORARI E CORRISPONDENTI APPROVATE DALL’ASSEMBLEA GENERALE NELLE ADUNANZE DEL XXII DICEMBRE MDCCCLX1 E XII GENNAIO MDCCCLXII Art. r. La Società nominerà ogni anno non più di quattro Soci corrispondenti. Art. 2. \ Il numero dei Soci onorari non oltrepasserà mai quello di trenta. Art. 3. L’elezione dei Soci onorari e corrispondenti si farà al principio di ogni anno, in una delle prime sedute che avrà luogo dopo 1’ elezione degli Ufficiali della Società. — 62 — Art. 4. Il Socio effettivo che vorrà proporre qualche 01101 ario 0 coni-spondente, indirizzerà all’ Ufficio di Presidenza una Relazione, nella quale notati i meriti del proposto, ed enumciati gli sci itti da lui pubblicati, mostrerà i vantaggi che il medesimo potrà re care alla Società. Art. 5. Nella tornata precedente a quella in che dovrà a\ei luogo la nomina dei Soci corrispondenti ed onorari, verrà eletta una Coro missione incaricata di esaminare le varie proposte e le unite lazioni. Tale Commissione sarà composta di cinque Soci. Compiuto lavoro, essa riferirà all’Assemblea il risultato del fatto esame, graduerà giusta il merito, e 1’ onore e 1’ utile che venir possono alla Società le diverse proposte. Art. 6. * L’Assemblea generale, sentito il parere della Commission^, nominerà a voti segreti, per Soci onorari e corrispondenti, que fra i proposti, che stimerà più meritevoli di questo titolo. ELOGIO DI ANTONIO CROCCO GIÀ PRESIDENTE DELLA SOCIETÀ LETTO NELL’ ASSEMBLEA DELL* Vili MARZO MDCCCLXXXV DAL SEGRETARIO GENERALE L. T. BELGRANO . . j f Signori e Colleghi, n concorso di circostanze, a Voi note, ci tolse il conforto di porgere solleciti alla memoria di Antonio Crocco il tributo del nostro affetto e del nostro rimpianto. Pur non torni grave, né sembri intempestivo ad alcuno, che gielo porgiamo in quest’ ora bene auspicata ; mentre per le membra della Società Storica Ligure si rinnova gagliardo il fremito della vita; e di un avvenire non disforme dalle nobili tradizioni ci dà secura impromessa l’Uomo egregio, che qui per la prima volta siede in mezzo a noi (i). Perocché nell’animo suo allo amore (i) Il marchese Girolamo Gavotti, già sindaco di Genova. Eletto Presidente della Società nella seduta generale del 21 dicembre 1884, prese possesso del— 1’ ufficio immediatamente avanti che si procedesse alla commemorazione del suo predecessore. Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.“, Voi. XVII. 5 — 66 — non superbo e non ozioso delle patrie glorie, si congiungano bellamente 1’ alta virtù e la squisita gentilezza dei cavalieri antichi. Nessuno del resto, avrebbe potuto mai, più del Crocco, addimandare alla nostra Società di non rimanersi muta alla perdita amarissima toccata con la sua dipartita ; se considero che egli assai più a lungo degli onorandi predecessori sedette moderatore gradito e sapiente delle sorti di questo Istituto. E consentitemi anche di aggiungere, che nessuno tra noi ha forse pari a me 1’ obbligo stretto di concorrere alla presente onoranza , qualora pensiate che le ragioni dell’officio, cui mi vidi costantemente elevato dalla vostra benevolenza concorde, mi porsero 1’ occasione di entrare con lui in una famigliarità rispettosa, della quale soltanto la morte ha spezzati i dolcissimi vincoli. I. Antonio Crocco sortiva i natali da Giuseppe e Clelia Pedemonte in Genova, nella dizione parrocchiale di S. Lorenzo, il di 28 agosto dell’anno 1800 (1). Suo padre, letterato non mediocre e poeta lodato per 1’ ampiezza dell immaginazione e la purezza dello stile, all annunciarsi dei tempi novi avea risolutamente abbracciate (1) Nel Li ber Bapti^alorum Ecclesiae Metropolitanae S. Laurentii Januae, ann. 179S~J $ iit a car- 46 redo, si legge : Die 29 augusti (a. 1800). Antonius Christo-phorus Augustinus filius Joseph Crocco qm. Antonii et Cleliae Mariae Pedemonte qm. Jacobi coniugum, heri natus, hodie baptiiatus Juit a canonico Joseph Giustiniani curato, levantibus Christophoro SchiaJJmo qm. Antonii et Dominica vidua qm. Antonii Crocco. - 67 — le idee venute di Francia; e salutata in patria la caduta della repubblica aristocratica (i), si era associato all’abate Antonio Pagano e al giureconsulto Cottardo Solari, per fondar, la Gaietta Nazionale divenuta poi Gazzetta di Genova (2). La quale tenendosi lontana dai partiti estremi, e procedendo diritta nel suo cammino, con la cronaca spigliata e co’ dialoghi satirici, ebbe il merito di flagellare molti falsi Catoni ed il coraggio di svelare gravissimi abusi. Fanciullo di appena sei anni, il Nostro si trasferiva col padre a Savona, dove questi nell’ufficio di segretario generale del Dipartimento di Montenotte si guadagnò presto l’estimazione e la confidenza di quello specchiato amministratore che fu lo Chabrol ; e donde poscia, nel 1811, venne richiamato a Genova con uguale incarico onorevolmente sostenuto finché durò in piedi il colosso Napoleonico. Ma altre commissioni ed uffici vie più dilicati ebbe quindi Giuseppe Crocco dalla fiducia della repubblica per brevissimo periodo ricostituita, e dalla monarchia di Sardegna che ne raccolse la successione. Nè a me par dubbio come tutto quel mescolarsi del genitore nei pubblici negozi, dovesse esercitare sull’animo svegliato di Antonio una benefica ingerenza pel suo futuro indirizzo ; considerando che tra gli uomini coi quali più strette corsero le attinenze del padre suo si hanno da noverare Agostino Pareto, Antonio Brignole-Sale, e quel Luigi Corvetto, cui i Crocco erano pur (1) Vedasi il sonetto di lui, intitolato lì giorno 14 luglio 7797, in Belgrano, Imbrevialure di Giovanni Scriba, pag. 216. (2) Il primo numero della Gabella Nazionale uscì il 17 giugno 1797. Della Gaietta di Genova comparve il primo foglio il 9 giugno 1800. — 68 — congiunti di parentela, e che dovea poco stante liberar la Francia da una duplice oppressione serbando a sè la gloria di morir povero (i). Compiuto il corso filosofico-letterario nella patria Università, dove gli erano maestri Paolo Sconnio e Celestino Massucco; volgevasi il giovine Antonio allo studio della giurisprudenza sotto le discipline d’ uomini chiarissimi , quali Luca Andrea Solari, Lorenzo Biale poi vescovo di Ventimiglia, e quel Nicolò Ardizzoni della cui prodigiosa memoria non é spenta ancora la fama. Nell’agosto del 1823 conseguiva con plauso la laurea nell’ una e nell’ altra legge ; e fatte le pratiche dell avvocherà presso di Angelo Leveroni, eleggevasi la carriera della magistratura, di cui doveva in seguito percorrere con sommo onore i vari gradi, fino a quello di consigliere del magistrato poi corte d’ appello, donde si ritraeva nel 1867, Per godere di un meritato riposo (2). Già nell’ anno medesimo della laurea dottorale, aveva però il Crocco dato un bel saggio del suo amore promettente alle lettere, dettando appunto l’Elogio del conte (1) La moglie del Corvetto e la madre di Clelia Pedemonte erano sorelle. (2) Ecco il suo stato di servizio : 1827-31. Volontario nella Segreteria dell’av\ocato fiscale generale in Genova. 1832-34. Sostituto avvocato fiscale presso il tribunale di Prefettura di Chiavar). 183 5-38. Id. presso il tribunale di Prefettura in Genova. 1839-47. Assessore dello stesso tribunale. 1848. Sostituto avvocato dei poveri, ivi. 1849-54. Sostituto dell’avvocato fiscale generale presso il magistrato indi coite d’ appello. 1854-67. Consigliere della stessa corte. Cui sembrasse non abbastanza rapida questa carriera, risponderemmo che il Nostro antepose sempre i danni materiali degli indugi al dolore che a lui ed ai cari suoi avrebbe cagionato il doversi allontanare da Genova. Ora immutabilità di soggiorno e spedito avanzamento nei magistrati vanno poco d’ accordo. - h — Corvetto, inserito nella collezione dei Liguri illustri del Gervasoni ; in servigio della quale non andò molto che egli prese a stendere altresì quello del cardinale Federigo Fregoso (i). E di vero, chiunque si faccia a meditare questi scritti, riconoscerà nell’ autore un pregio che troppo di rado si manifesta nei giovini: dico la proprietà della lingua e la sobrietà della forma; oltre di che vi scorgerà una promessa immanchevole di quella serena elevatezza di concetti, che, congiunta alla temperanza dei giudizi, doveva affinarsi nelle veglie dello studioso ed essere norma indeclinabile all’ intera sua vita. A lui intanto la dimestichezza del Corvetto avea dato occasione di stringersi nell’ onorata amicizia di Tommaso Littardi, genero degnissimo dell’insigne Statista. E perché il Littardi, si come é noto, erasi dipoi messo a capo di una società, la quale temperando nel-1’ animo austero di Carlo Botta le amarezze della povertà e dell’ esilio, gli venne procacciando efficace sostegno nel dettare la continuazione della Storia d’Italia da quella del Guicciardini; così al Nostro occorse per vari anni d’aiutare il valoroso Piemontese nell’ opera cui si era posto in circostanze supremamente difficili, qualora, facendo anche astrazione dalla persona, si consideri quanto fossero que’ tempi dissimili dagli odierni (i) Ritratti ed Elogi di Liguri illustri; Genova, Tipografia e Litografia Pon-tlicnier, 1830. In folio, senza numerazione di pagine. Ma la stampa cominciò propriamente nel 1823, essendo questa la data apposta al ritratto del marchese D’Yenne, cui la raccolta venne dedicata dal litografo editore G. B. Gervasoni. — Entrambi gli elogi dettati dal Crocco furono poi ristampati nell’ edizione in-8.°, fatta da Luigi Grillo, in tre volumi nel 1846, coi tipi dei fratelli Ponthenier, cioè quello del Corvetto nel voi. Ili, pag. 180-98, e quello del Fregoso nel voi. I, pag. 290-98. — 70 — nel promovere le indagini storiche. — Di questa illuminata contribuzione , come oggi diremmo, ci rimangono testimoni sopra modo onorevoli alquante lettere che vanno a stampa nel carteggio del Littardi (i); ed altre ancora, indirizzate al Crocco medesimo, la cui modestia ci tolse sempre di vederle pubblicate. Intanto, colla scorta di si fotti documenti, impariamo come nei volumi della Storia siano da riconoscere lumeggiate dalle ricerche del Crocco le più notabili tra le vicende di Genova; specie i rivolgimenti dei córsi da Sampieio in poi, le discordie cui la riforma di Casale indarno si argomentò di avere cessate per sempre, la congiuia del Vacherò, le differenze con Luigi XIV, la guerra contro gli austriaci a mezzo il secolo scorso. Laonde il Botta giustamente protestava: « Se la storia ch’io sto scrivendo avrà qualche garbo nelle cose genovesi, a Lei principalmente i lettori genovesi ne avranno obbligo » (2). E altrove, con lo stile declamatorio ed enfatico onde aveva ereditato l’abito dalle passate rivoluzioni : « L ^ micizia è fruttuosa; ed ecco che quella del conte Littardi mi ha fruttato quella del signor Crocco. In onorato tempio io vengo: faccia Dio che l’incenso mio tanto sia accetto quanto la volontà é pura; ma coi nomi di Littardi e Crocco in fronte mi sento sollevare sovra me medesimo, e capace di fare opere di fuoco » 0)* (1) Lettere di Carlo Botta al conte Tommaso Littirdi; Genova , Tip. Sordo Muti, 1873. Ved a pagg. 91, 93, 96, 98, 102, 107, no. (2) Lettera da Parigi, 24 ottobre 1827. (3) Lettera id., 28 febbraio 1828. — Debbo la comunicazione di queste lettere, e di molte altre importanti notizie alla squisita cortesia del prof. avv. P*o Olivieri, nipote ed erede del Crocco, e mio egregio amico. Alcuni appunti autografi del Crocco medesimo, veduti anche da chi forni l’articolo biografico — 7i — Le lettere, che degli aiuti indefessi del Nostro ci danno minuto ragguaglio, si conducono dal 1826 al 1830; ma già innanzi di questo termine, come a ricreargli 1’ animo dalle severe discipline di Clio, una . . . Diva <1 Lui dall’ etere discende Onde tutto d’amor l’aer s’accende; ed egli dalla invocazione di Erato intitola il Canio in ottava rima, per le nozze di Raffaele De Ferrari con Maria Brignole-Sale (1): due nomi che staranno scolpiti ne’ cuori genovesi finché li scaldi la gratitudine pei benefizi. Ma di più eletta fattura, e sopratutto più robustamente pensata, è una Epistola sulla imitazione dei Sermoni di Gaspare Gozzi, intitolata L’Invito, e pubblicata in bella edizione non venale per le nozze Parolari-Ca-brini (2). La quale rammenta non pure l’amicizia onde gli animi di Lorenzo Costa e del Crocco si erano legati di lui pel Dizionario del De Gubernatis, notano che il Giornale Ligustico fondato nel 1827 « contiene alcuni suoi articoli di varia letteratura ». Vanamente però si cercherebbe la firma def Nostro nei volumi di quel periodico ; laonde io penso che tutto si limiti ad alcuna di quelle brevi riviste, con cui il giornale rendeva conto delle nuove pubblicazioni. (1) Genova, Fratelli Pagano, 1828. In 8.°, di pp. 9. È dedicato: A la egregia — Artemisia Brignole-Sale — fiore di ingenui costumi — delle virtù figliali esempio e tutela. (2) Due Epistole poetiche pubblicate nelle no^e Parolari-Cabrini; Venezia, dalla Tip. di G. B. Merlo, 1837. In 8.° di pp. 23. — La pubblicazione venne fatta dai cognati della sposa, G[iulio] Cjesare] P[arolari], ed A. C. F. ; e del Paro-lari appunto è la seconda di esse Epistole, dal titolo Le Rimembranze , indirizzata al Crocco, e datata di « Venezia il dicembre del 1836 ». Nò d’altra data è la prima, come ci ammoniscono i versi: .........Or che dicembre al lunga Le fredde notti, ecc. ecc. - 72 — fino dal tempo lieto degli studi universitari, ma vuol essere sprone al futuro Cantore del Colombo, affinché dato un addio .....alle selve, ai rustici abituri, Alle cene, alle cacce, ai lunghi sonni, spogli L’ignavia che dell’ anima gli prostra Il vigore nativo, e la celeste Del suo genio favilla ah non s’ ammorzi ! Nel soggiorno cittadino .....mille e mille s'offriran gli obbietti, Che ti saran cote all’ingegno e sprone Ad opre eccelse. conversazione degli amici, tra’ quali il Casa-la fronte .........increspano i severi Studii, ond’ei libra in equa lance il dritto, E del ligure foro astro novello Fulge tra i primi nel fiorir degli anni. « Ivi pure il Ferrari, .......... cui tutte aperte Son le vie del saper; e .........la facondia e il senno Del buon Morro . . . , che irato invano S’infinge d’ Ascra ai limpidi lavacri, Sè dinegando alla cirrèa palestra, Ove tanta del nume aura lo spinge, E i colti allori gli agita sul crine. Ivi la nova cui “ 73 — Inoltre vi hanno le novelle del mondo, cui non lice rimanersi stranieri, portate in copia da’ fogli quotidiani (i), le stampe di varia letteratura e di opposte scuole, pur mo’ uscite alla luce; E le pensate rime e i generosi Concetti, onde le pigre itale menti , Punge ed infiamma quel cantor sovrano Cui Procida e Nabucco eterneranno (2). E al Niccolini volgendosi, con apostrofe sublime così prosegue : O d’Arno unico onori d’Arno che giace In turpe sonno, di sue palme all’ombra, E degenere fatto in sozzo limo L’oro mutò delle lucenti arene; Come t’accendi di magnanim’ira In mezzo al fango dell’età codarda! (1) Questa de’ giornali è una cosi vivace pittura, ch’io non so ristarmi dal riferirla. Qui sul mattino per brev’ ora attesa Avrai congerie di volanti annali, Ove in diurna tessera raccolto Vedrai quanto nel vasto orbe si mesce, Si turbina, si sfascia e si rinnova. Vedrai conflitto di regnanti e gare Di accesa plebe repugnante al giogo; E accapigliarsi e battagliar discorde Or sui gallici rostri, or sui britanni Di Demosteni e Tullii ampia congrèga, E ammirerai quanta in confine angusto Moltiforme scienza ivi stillata Con un voltar di pagine s’ apprenda. (2) L’ Arnaldo da Brescia era ancora di là da venire, perchè fu pubblicato soltanto nel 1843; e sappiamo che dopo la sua comparsa, il Costa passò cogli avversari dello insigne tragico toscano. Ved. Celesia, Storia dell’ Università di Genova . . . fino a’ di nostri, pag. 368; Neri, Aneddoti genovesi intorno a G. B. Niccolini, nella Rivista Europea, Nuova Serie, a. 1881, voi. XXXIV, pag. 801-10. — 74 — Un altro rilievo si ha pur da fare alla lettura di co-testa Epistola; ed é, che il Crocco, ordinariamente si schivo a mettere innanzi la propria persona, due volte invece qui ragiona di sè medesimo. Cosi, nel principio, dicesi « avvolto fra forensi viluppi », e chiama i suoi « incolti versi, frutto di mente isterilita ». Nella chiusa poi, laddove con desiderio caldissimo invoca presente il suo Lorenzo, cosi gli parla: — Che più t’ arresti ? Vieni, e del tuo sorriso il mesto amico Consolando ravviva, e questi carmi Del tuo nome difendi, ultimi, ahi forse! Chè al santo coro delle Muse, avversa Diva severa mi torrà per sempre ! H invan 1’ aura di Pindo a me dappresso Vien le molli agitando ali stillanti Per eterea rugiada, e la fragranza Rapita ai fiori invan per me diffonde, Poiché a tutta letizia è chiuso il core. Signori! Antonio Crocco non era uomo da offendere la verità nè manco in versi. E noi non tarderemo a conoscere la cagione delle sue querele, rammentando che, appunto nell’ anno in cui scrisse l’Epistola egli era stato assieme ad Antonio Nervi, a Giambattista Raggio e ad Antonio Bacigalupo eletto dal Principe fra i dottori della classe di lettere nel Collegio di filosofia ed arti del nostro Ateneo (i). Se non che 1’ « avversa Diva severa », personificata nel primo Presidente del Reai Senato, sostenne l’ufficio di dottore universitario non (i) R. Biglietto, dato in Torino 5 aprile 1836. - 75 — essere compatibile cogli impieghi della magistratura (i). E tu gran mercé che allora al Crocco venisse mutato il titolo con quello di dottore emerito (2); sebbene con poca o niuna soddisfazione, da che il suo nome non usci mai pubblicato negli annuari officiali (3). L’ ebbe sì più tardi la giusta riparazione, poscia che coi tempi mutarono anche gli uomini ; e però non sembrerà temerario il giudizio, che gli ostacoli aperti dissimulassero intendimenti d’ altra natura. Intorno al 1848 gli venne difatti onorevolmente offerta una cattedra, che ragioni private lo indussero a non accettare (4) ; e nell’ anno medesimo il re Carlo Alberto, avendo istituito in luogo della R. Deputazione agli studi il Consiglio Universitario , volle il Nostro nell’ alto consesso come consigliere ordinario e perpetuo. Tacquero allora le opposizioni; ed il Crocco durò non pure in ufficio sino al 1857, che é quanto dire finché il Consiglio ebbe vita, ma per alcun tempo vi esercitò altresì le veci di presidente (5). Ma il poeta aggiunge nella Epistola, che « a tutta letizia é chiuso il core ». E qui la spiegazione sta forse riposta in altro de’ suoi componimenti: dico i quattro Canti in morte di Elisa (6). (1) Lettera al Crocco , del Presidente della R. Deputazione agli studi sedente in Genova, del 26 maggio 1836, num. 147. (2) Gli fu conferito nell’ Udienza Reale del 16 aprile. Lett. cit. (3) Non vi figura nemmeno il Neivi, perchè questi morì poco dopo 1’ avvenuta elezione, cioè il 30 settembre 1836. (4) Consta di questa offerta da un carteggio passato fra il Crocco e l’amico suo Domenico De Ferrari, allora ministro degli affari esteri. (5) Celesia, Op. cit., pag. 350. (6) Furono pubblicati nella Viola del Pensiero; Livorno, Tip. Sardi , 1842; pag. 171 segg. H tu venivi, ahi ricordanza! un giorno, Puro spirto dì cielo, a consolarmi, Raggio d’amore, a me farai ritorno? Fia che ti svegli 1' armonia de’ carmi ? Sul mattin della vita io ti perdei, O soave di mia vita conforto..... Eri tutto sorriso a’ guardi miei, O bel fior di natura, e tu se’ morto! Quindi il poeta prega acciò, rimosse 1 ombre del tei-reno esiglio, al suo sguardo si disserri il cielo, e . . . deposto delle membra il pondo . . • • Aneli’ ei tra i cori de’ celesti assunto Viva un istante all’ amor suo congiunto. Sarebbe mai questa, o Signori, una creazione roman tica ispirata al Crocco dall’ accesa fantasia, o piuttosto la fedele pittura di una immagine eh’ era stata viva e vera, e che lo avea consolato di liete speranze, accen dendogli nell’ anima una fiamma purissima, rimasta poi con la morte di lei spenta per sempre? A me non par dubbia la seconda opinione; e me la conferma a sentenza di Seneca che giova di epigrafe ai Canti. « Vi sono certi piaceri mesti e certi voti, i quali son celebrati non già da quelli che attendono alle allegiezze, ma da quelli che adorano e riveriscono la virtù » (0- (i) La mia interpretazione è suggellata da quanto ne disse poi 1 egregio in gegnere Francesco M. Parodi nella Commemoratone del Crocco, recitata * Società di letture e conversazioni scientifiche la sera del 20 marzo, e pubblicata nel Giornale della stessa Società (a. 1885, pp. 421 e segg.). L’autore, con questa scrittura, piena di sentimento , ha porto alla memoria del Nostro quel tributo di affetto, che già un anno prima a Giambattista Giuliani, e dimostrato co fatti - 77 - — Poi da’ terreni affetti assorgeva alla contemplazione dello amore Divino, e colla maestosa eleganza della sua prosa (cosi ci sia permesso chiamarla com’ egli diceva di quella del Costa), proemiava al volume con cui i genovesi vollero fotta credibile testimonianza ai venturi delle solenni onoranze tributate a Caterina Fieschi-Adorno, nel primo centenario da che papa Benedetto XIII 1’ a-veva innalzata agli altari (i). Ma l’amicizia profondamente sentita dal Crocco , e riverita in tutte le sue nobili manifestazioni, fa vibrare un’ altra volta le corde della sua cetra armoniosa, dettandogli la canzone delle Due sorelle (2). E qui il segreto riesce più facilmente penetrabile, sì pel nome di Ernesta che nella canzone si legge, e sì pel riscontro che ci occorre di lei in uno scritto posteriore di molt’anni; laddove è narrato come Bianca Rebizzo, innanzi di porre in Genova ferma sede (il che avvenne del 1835), si fosse concordemente e fortemente stretta in Venezia al-1’anima di Ernesta Viezzoli, « degna sorella a Daniele Manin; della quale vuoisi accennare come al solo annunzio repentinamente a lei giunto, che il fratello Daniele, dopo il famoso indirizzo al Governo austriaco, era sostenuto nelle carceri, ... da tale ambascia fu sovrapresa, che . . . spirò, quasi cólta da fólgore, fra le braccia dell’atterrito consorte ». Oltrecchè essa medie « annoverare fra gli amici il Giuliani ed il Crocco, gli sarà finch’ ei viva grato ricordo e vanto non ozioso » (Giornale ecc., a. 1884, pag. 303). (1) Ver la festa secolare di S. Caterina da Genova, celebrata nel 1837; Genova, Gio. Ferrando, 1837. (2) Stampata nella Strenna Genovese pubblicata da Giacomo Cevasco a beneficio della Scuola Infantile di S. Sofia; Genova, Ponthenier, 1842; pag. 191 segg. - 7s — desima, la Rebizzo, scrivendo della Viezzoli, la chiamava : « ma soeur . . . , ma soeur, mon amie et mon bien » (i). II. * Chi scriverà delle lettere in Genova nella prima metà del secolo che muore, dovrà per molta parte ìaggrup-parne la storia intorno ad una nobile figura d Uomo, la vita del quale, per dirla col Crocco, « fu come un culto perpetuo del bello, un esempio di giorno in giorno più sfavillante di cortesia generosa » (2). Gian Cai lo Di Negro meritò infatti che la sua Villetta venisse comparata alla famosa Tempo ed agli Orti Oricellari ; e quella « acre e splendida bile » di Pietro Giordani (3), 1° af fidasse di aver pagata, lui solo, una porzione più che virile del debito onde Genova era tenuta verso i grandi italiani (4). E di vero non corse quasi anno, per certo volgere di tempo, che il generoso Patrizio non alzasse in quegli ombrosi viridari alcun simulacro in onore di essi, statuendo altresi opportune dedicazioni, nelle quali, dopo i provetti e famosi cultori del bello stile e del forte pensiero, tanti giovani e animosi intelletti davano saggio di lor felice attitudine al maschio poetare (5). « Votive (1) Crocco, Ricordi e Pensieri di Bianca Rebilo; Genova, Sordo-Muti, 1875. pag. 11 e 37. (2) Crocco, Elogio di Gian Carlo Di Negro, pag. 10. — Sta nella pu ica zione intitolata: Per la solenne dedicazione del monumento a Gian Cai lo Negro ecc.; Genova, Sordo-Muti, 1861. (ì) Elogio cit., pag. 14. (4) Giordani, Discorso per la solenne dedicazione di un busto di Crislofoi 0 Co lombo ecc. — Opere, voi. II, pag. 178; ed. Firenze, Le Monnier, 1857. (5) Elogio cit., pag. 16. - 79 — e ad un tempo civili festività (sciama il Celesia), che teneano desto il pensiero italiano . . . , e gli additavano un lampo di più felice avvenire » (1)! Aneli essi usavano assidui, ai letterari simposi della Viìletta, Giuseppe e Antonio Crocco, legati al munifico Signore di salda amicizia e di fervente ammirazione; e in quella nobile palestra, dove il padre avea salutato il Perticari amabil Sole di divino ingegno (2), il Nostro cantava altamente di Faustino Gagliuffi, Nicolò Paganini, Cristoforo Colombo, Luigi Biondi, Antonio Canova. Nel Canne in cui celebra il valoroso, che a noi raddusse i giorni Del divin Fracastoro, egli felicita Genova perché Faustino l’abbia scelta sua seconda patria, Te preponendo alla minor Ragusi. ...........Amore, Amor del bello cui natura addita, Poi ne’ segreti del pensier si affina, E dell’elette immagini si stampa, Gli fu norma del Canto, e ’l Canto vive H 1’ onte irride dell’ età che vola (3). (1) Storia cit., pag. 376. (2) Per V inaugurazione del busto di G. Perticari nella Villetta Di Negro, il 21 agosto 1825 ; Genova, Ponthenier, s. a.— Ivi, Ode di G. Crocco, pag. 25-27. (3) Per l’inaugurazione del busto di Faustino Gaglitifi nella Villetta Di Negro, il 27 luglio 1834; Genova, Fratelli Pagano, s. a. Il Carme del Crocco si legge a pag. 33-39. — So — Nel Canto a Paganini , ecco descritte le immortali composizione predilette dall’ Orfeo genovese. E sì gli domanda il poeta, estasiato alla « nettarea onda di suoni » : Deh in qual parte di cielo, in qual divino Cerchio abitò, da quale astro discese A te, Re delle cetre, il Cherubino Che tante arcane melodie t’ apprese? Ei ti fe’, della vita in sul mattino, D’ arpe celesti un tintinnio palese, E come un’ eco dei superni liti Consolava di canto i tuoi vagiti. Ma il Lamento dell'esule, che il Paganini proclamava uno de’ suoi cavalli di battaglia, ispira al Cantore un ottava non meno bella in sè che coraggiosa per 1 ar 1 tezza delle espressioni. Tu pingi, gli dice, D’ alta speme delusa il cupo accento, De’ generosi sventurati il grido, E, fra 1’ansie 9elP esule, il tormento Del disio che rivola al patrio nido ; Poi quel profondo italico lamento Che ancor mesto risuona in ogni lido, E dei Sommi sul cenere si spande, Per cui l’itala Donna ancora è grande (0- Alle Ultime ore di Cristoforo Colombo fia bastevole questo giudizio di Silvio Pellico a Pietro Giuria. « 0 (i) Per V inaugurazione del busto di Nicolò Paganini nella Villetta Di Ncg ^ il 28 luglio 183;; Genova, Fratelli Pagano, s. a.; pag. 54*59- R'stamPat0 le Prose e poesie inedite o rare di italiani viventi ; Torino, Stamp. Sociale, i 43 > voi. Ili, pag. 187-92. Tradotto elegantemente da Giuseppe Gando, e da lui stai pato nel voi. intit. Alcune poesie di viventi italiani, colla versione latina, nova, Fr. Pagano, settembre 1838; pag. 50-61. - 8i — letto con amore i versi di Crocco. . . . Quel Canto è bello, e svolto con semplicità da maestro, con anima alta e gentile. Mi nuove ad amare P autore, e tu pure mi ci muovi col bene che mi dici di lui » (i). Del resto, è appunto in si fatto Canto, che dall’animo del Nostro per la prima volta proruppe quel grido, che noi gli udimmo ripetere spesso in quest’ aula, cercandone egli quasi le occasioni : grido che già s’ annunzia nella epigrafe Foscoliana, posta in fronte alle ottave magistrali, e che si ripete nella chiusa con accenti di strazio ineffabile: Alzò gli occhi Colombo, e poche e meste Voci mandò dall’affannato petto: « Faccia alcun pio che la mortai mia veste » Dove sortì la culla abbia ricetto; » Rendi gli avanzi del mio frale almeno » Rendi, o straniero, della madre al seno! ». Ma la parola che morìa sul vento Non raccolse in quell’ora alcun pietoso: Posa in piaggia remota il monumento, E il cener sacro a noi rimane ascoso. Deh ! sollevi la patria alto un lamento , Chieda quell’ ossa che non han riposo Finché giaccion deserte, inonorate E in tumulo straniero illacrimate (2). (1) Lettera del 21 settembre 1843. Ma in una precedente, del 17 stesso mese ed anno, ii Pellico aveva scritto al Giuria: « Gusterò . . . i versi del signor Crocco, alla benevolenza del quale sono riconoscente. 11 pregio in cui lo tieni mi mette stima del particolare suo ingegno ». — Entrambe le let- * tere, stampate nell’ Epistolario del Pellico raccolto da Guglielmo Stefani (Firenze, Le Monnier, 1856; pag. 262 e 267), furono per la prima volta pubblicate dal Giuria in appendice al libro: Silvio Pellico e il suo tempo (Voghera , Giuseppe Gatti, 1854, pag. 33 e 36). (2) La Gaietta di Genova del 29 luglio 1837, num. 60, rendendo conto del-l’inaugurazione del busto di Colombo, non rammenta il Discorso con cui ebbe Atti Soc. Lio. St. Patria. Serie a.“, Voi. XVII. 6 — 82 — I pensieri dei quali s’informa il Canne a Luigi Biondi, furono ispirati da sentimenti che questi aveva espressi nelle lettere de icatorie delle versioni del Sannazzaro a Laura Di Negro e del Ceffi ad Antonio Brignole-Sale. Ed è bella sovranamente 1’ armonica rispondenza fra i versi del Crocco e l’orazione del Costa che li precede. Cosi il Biondi, per bocca del Poeta, afferma di sé medesimo : Incontro all’ urto Del torrente malvagio ardita io spinsi Mia piccoletta barca, e alla perduta Schiatta imprecai che fastidisce il puro Sorriso d’ Èva giovinetta e plaude Se di Sàtana il ghigno i vati ispira. principio la cerimonia , e nè manco il nome di Pietro Giordani dal quale fu pronunciato. Chi legga la prosa rovente dell’insigne oratore, capii*' le ragion di un silenzio certamente voluto ed imposto. Degli altri « componimenti » fu rallegrata la festa, annunciava però la Gaietta che « saranno poi fatti, secon il consueto , di pubblica ragione ». Ma a me e ad altri non riuscì mai di tro il libro. Accenno dunque sì come la più antica edizione delle Ultime ore qu fattane dal Gando nel 1838 (Alcune Poesie ecc., pag. 14-29), che voltò le ottave in elegantissimi esametri con dedica ad Julium Caesarem Parolarium. La qua e comincia : Donabo tibi quam lubenter uni, Suavissime Caesar, expolitos Crocci versiculos, sacros Columbo, Quos nuper latid indui cameni, Nam tu , pure sodalis, ac poeta, Tanto carmina diliges poetae Quanto diligis optimum sodalem. Questa traduzione fu di nuovo impressa nelle Poesie di Giuseppe Gando, (To rino, Candeletti, 1881 ; pag. 205-09). Il testo si ha ristampato nelle Prose e poesie-inedite ecc. (Torino, Stamp. Sociale, 1843), voi. II, pag. I53> ne^e ^oesie raccolte dal marchese Francesco Pallavicino, per V adunanza tenuta in sua casa la sera del 22 settembre 1846 (Genova , Gio. Ferrando, s. a.), pag- 43 '5° 5 nel Poetico Serto a festeggiamento del giorno 27 settembre 1846, in cui Genova . • • poneva la prima pietra del monumento di Cristoforo Colombo (Genova, Pellas, s. a.), pag. 18-25; ecc- ecc. — 83 — E cosi l’oratore deplora il battagliar delle scuole ; e proclamato non essere « gloria che nelle opere di materia utile e di pensato artifizio », si conforta nella speranza che noi non saremo vinti dai nostri nemici « finché ci resti la più nobile monarchia, quella del pensiero, della parola e delle arti » (i). Splendida versificazione la Villa di Possagno, o Colleghi, cantata dal Crocco in onore dello italico Fidia, cui al sacro Rezzo de’ patrii boschi, in fra i diletti D’incorrotta natura, il vergili raggio Della Bellezza primigenia e santa Salutava nascendo; e lui scórse dipoi, congiuntamente alla Fede, nella vita gloriosa e pura, accendendogli il pensiero e guidandogli il possente scalpello. Del quale non é a dire il magistero con che ci vengono poste innanzi le creazioni sublimi: .... l’orante Pontefice, rapito Ne’ pensier casti della tomba; e il volto Della innocente verginella intesa Alla farfalla, che dell’alme adombra L’incorruttibil tempra e l’ansio volo Verso l’eterno Sole. Indi ......, sui vepri abbandonate Le vaghe membra dal dolor consunte, E le chiome discolte in sull’ anelo Sen della bella perdonata ond’ ebbe Màgdalo fama, e ogni caduto ha speme. (i) Per la solenne dedicazione del busto di Luigi Biondi nella Villetta Di Negro, il di 28 luglio 1840; Genova, Fratelli Pagano, s. a. — L’orazione del Costa si trova a pag. 9-32 ; il Carme del Crocco sta a pag. 71-79, e fu ristampato nelle Prose e poesie ecc. (Torino, Stamp. Soc., 1843), v°l- IV, pag. 249-58. - 84 - Inoltre il commenda, perché .....di patria carità compreso Trae dal sepolcro, effigiando, i sommi Di che Italia s’abbella e si consola, ...........Ed or 1’ arguta Fronte pacata d’ eternar si piacque Che il Foc'ion d’ America rivela Vergante il Patto che licenza infrena , Libertade assecura, e 1’ inusberga Di concordia e di senno (i). III. Addio, consolazioni e fragranze di poetici fiori ! Ad opere severe e forti ci chiamano i tempi; e le corde della cetra soave di Antonio Crocco si spezzano alloia appunto, che ribolliscono per tutta Italia i propositi di libertà, e la cominciata insurrezione della scienza precorre di breve stagione al levarsi delle moltitudini armate. Ed ecco il Nostro, o Signori, tutto inteso a quel -Congresso, che volgendo il settembre del 1846 chiamò a raccolta in Genova il senno italiano; e se vi ha mestieri di testimonianze, voi le troverete non puie negli atti ufficiali delle dotte assemblee, ma in quel volume onde la illuminata liberalità di Francesco Pallavicino faceva omaggio ai valorosi che al Congresso erano intervenuti. Perché qui é la bella Prolusione, nella quale il Crocco inneggia a cotesti comizi della scienza, e pro- (1) Per la solenne dedicazione del busto di Antonio Canova nella Villcttcì Di Negro, il dì 26 luglio 1842; Genova, Sordo-Muti, 1843; pag. 73-82. - 85 - clama che da essi « venne impulso efficacissimo di patrio amore » e ispirazione di concetti altamente magnanimi. E rammentando i monumenti che gli scienziati aveano diggià veduto elevarsi al Galilei in Firenze e al Cavalieri in Milano, e quello di Colombo onde la patria si apprestava in loro cospetto a gittare le fondamenta, egli si allieta nel pensiero che se « corsero giorni, nei quali, per incuria o sconoscenza d’improvvidi reggimenti, a molti de’ nostri Grandi infelici fu negato il tributo di che la posterità beneficata avea debito ; or sembra che ... l’èra delle grandi espiazioni sia sorta » (i). Così il Crocco, animoso e baldo, moveva incontro agli avvenimenti de’ quali Italia e il mondo doveano in breve esser pieni; e salutava 1’ avverarsi di quelle nobili aspirazioni alle franchigie politiche, non disgiunte dall’ossequio verso la religione, che egli avea custodite da molt’anni in cuor suo e che ora vedeva inaugurate da un papa e da’ principi. Ed egli le giovò efficacemente, sia come revisore alle stampe, avendo compagni nell’ ufficio il Morro, il Costa e Giambattista Giuliani (2), sia militando fra i collaboratori della Lega Italiana e della Gaietta di Genova (3), sia frequentando assiduo i Circoli ne’ quali si agitavano le ardenti questioni che passionavano gli animi (4). Ma, al sopraggiungere del funesto 1849, dovette (1) Poesie raccolte dal marchese Francesco Pallavicino ecc., pag. 14. (2) Bernardi, Discorso intorno a G. B. Giuliani ecc. ; negli Atti del R. Istituto Veneto, serie VI, voi. Il (a. 1883-84), pag. 1114. (3) Nella Galletta continuò a scrivere dipoi, fino al 1878; nel dicembre del quale anno essa si fuse col Commercio. (4) P. M. Salvago, nella necrologia del Crocco; in Rassegna Nazionale, voi. XVIII (a. 1884), pag. 566. — 86 — pure sciamare: Oh come presto si è volto m lutto il nostro tripudio ! Sebbene, anche le amarezze non rimasero senza conforto; perocché molti fra gli eletti italiani, già legati al Crocco di personali relazioni o di onorati carteggi, pel sinistrare delle italiche sorti riparassero in questa Genova, della quale sarà sempre grandissimo vanto lo avere mostrato come intendesse il debito della ospitalità e il rispetto alle sventure. Allora Terenzio Mamiani, raccolti intorno a sé pochi ma robusti ingegni e giovani promettenti, gittava 1 principi di quell*Accademia di filosofia italica (5 gennaio 1850), la quale per vari anni fu centro di vita intellettuale gagliardamente operosa. E appunto di questa intitolazione vuoisi dar merito al Crocco, noverato tra 1 fondatori ; avendo egli, contro l’opinione del Mamiani, il quale metteva innanzi 1’ epiteto di Platonica, sostenuta la somma opportunità, che il novello istituto informandosi « del doppio carattere speculativo e pratico in sieme delle dottrine professate dall’antichissima scuola italica, . . . anche nel nome portasse una si fatta impronta » (1). Del rimanente, l’acuto ingegno di lui e le attitudini moltiformi alle filosofiche disquisizioni miiabilmente si parvero in varie occasioni; sia nel formolar programmi di concorsi e d’indagini, e sia nelle vivaci e spontanee discussioni che succedevano alle meditate letture; perocché egli vi recasse non di rado il sussidio di una sana dottrina, e la esponesse non mai disgiunta dalla temperanza delle forme e dal rispetto verso i g1L1" (0 Siiggi dell'Accademia di Filosofia Italica, voi. I, pag. 8. - 8y — dizi degli altri. Ve ne persuaderete facilmente, o Signori , qualora, cercando ne’ Saggi dell’ Accademia, vi piaccia di seguitare quelle amplissime disputazioni sul fenomeno psicologico dell’ estasi e sulla filosofìa della storia, nelle quali parteciparono col Crocco il Mamiani, il Capone, il Giuliani ecc.; e l’altra sul principio fondamentale del diritto penale, ov’egli sostenne con Raffaele Conforti l’onore della giornata (i). E qui lasciate che'io, scostandomi per poco dall’uomo di lettere, vi presenti anche l’austero oratore della legge ; imperocché gli é appunto in questo periodo di tempo, che la grave e serena parola del Crocco fu spesso ascoltata (e per poco non dissi applaudita) nel santuario della giustizia, laddove si agitavano i processi di stampa, o si discuteva di crimini rispetto ai quali gli amori e gli odi di parte potevano facilmente annebbiare gli animi dei cittadini (2). Sopra tutto date però lode al Nostro dell’ erudito e coraggioso Discorso pronunciato alla Corte d’appello, per la solenne apertura dell’anno giuridico, il 5 novembre 1853. — Trattando degli obblighi che si impongono ai difensori delle cause, nonché ai magistrati, egli mostrava di quali presidi gli uni e gli altri si debbano confortare, oltre alla non interrotta meditazione della legge : lo studio scienziate del Cristianesimo e del divino suo organamento, le pon- (1) Saggi ecc., I. 22 segg., 194 segg., 215 segg. (2) Fra i processi di sangue, cito specialmente quello per l’uccisione del maggiore Angelo Ceppi, avvenuta nei moti del 1849, & cui rende ampio conto la Galletta dei Tribunali (a. 1850, pag. 51 segg.; a. 1851, pp. 428 segg.) — Pei reati di stampa, si vedano in pericolar modo le nobili arringhe pronunciate contro i giornali II Cattolico (a. 1850, p. 297 segg.) e V Italia (anno cit., p. 329 e 452 segg.). — 88 — derazioni cui ci invitano la filosofia e la storia. E nel bandire i severi principi cui si vogliono costantemente informati gli atti di chi viene patrocinando e di chi assume sopra di sè il carico del giudicare, rammentava altresi con affetto un venerato maestro e un condiscepolo, il quale aveva poc’anzi brillato di viva luce nell’ Ateneo e nel Foro. Imperocché nella persona di Luca Andrea Solari figurava il « degno erede del sapere paterno , e il vanto non ultimo di una famiglia in cui la virtù e la dottrina, come una domestica consuetudine, sempre fiorirono » ; e in Lodovico Casanova ammirava l’integrità del carattere, « congiunta in sublime armonia alla sagacia dell’ ingegno e alla profondità della scienza » (i). Ma io ho pur detto cor uggioso il Discorso ; e sto mallevadore che sembrerà tale anche a Voi, ascoltando « come il magistrato non debba essei vago d’ applausi, ma pronunciare secondo la legge e la coscienza » ; e come questa sia « virtù di che ci stringe grande e quotidiano il bisogno, di che l’indole stessa delle istituzioni che ci governano dovrebbe ammonire di nve-stirci ogni giorno ». Massime sacrosante, per fermo. Ma pensate , o Signori, che appena pochi di prima un egregio e stimabilissimo collega del Crocco, l’avvocato Giuseppe Carcassi, avea pur dovuto sacrificare la propria carriera allo averle messe in pratica e strenuamente dilese (2). (1) Luca Andrea di Pier Agostino Solari, professore di Pandette nella patria Università, mori il 18 febbraio 1820. Ved. la sua necrologia nella Ga\X_. di Genova del 19 stesso mese, n. 15, pag. 57. — Del Casanova, morto il 26 ottobre i8)3> vedansi i cenni necrologici nella Gaietta dei Tribunali, a. 1853, pag. 690 segg. (2) Del Discorso del Crocco diede il sunto la Gaietta dei Tribunali, a- 1853, pag. 709 segg. — Per le dimissioni dell’ avvocato Carcassi dall’ ufficio di sostituto avvocato fiscale, ved. la stessa Gabella, anno cit., pag. 536. - 89 - Qual maraviglia poi, se un uomo di tempra si eletta ebbe e mantenne salde e nobili amicizie ? Di queste ric-scirebbe troppo lungo anche un arido elenco. Ma perché già mi é venuto alle labbra il nome di Giambattista Giuliani, non mi togliete il piacere di ricordarvi almeno come l’animo gentile del Crocco e quello del valoroso figlio di Somasca si fossero tra loro indissolubilmente congiunti. Le Lettere da questi pubblicate sul linguaggio della Toscana rispecchiano del continuo la immagine della santa amicizia; la quale si annuncia fin dalla dedica: « A te, o mio fratello d’anima — offro queste lettere — che mi sono care — ... per il dolce e onorabile tuo nome — sacra fiamma al mio cuore » (i). 0 puri spiriti, ai quali fu scorta quaggiù la mente del gran Padre Alighieri, vi arridano le gioie supreme onde la Fede é promettitrice a’ beati ! IV. Mentre 1’ Accademia filosofica si veniva disgregando, perocché i destini d’Italia, prossimi a rimutarsi un’altra volta, invitassero i modesti areopagiti alle acri voluttà delle patrie battaglie, all’agóne dei parlamenti e agli alti uffici del Governo, sorgeva, o Signori, la nostra Società Ligure di Storia Patria (22 novembre 1857). Alla quale il Crocco diede subito il proprio nome, e sovvenne poi sempre amorosamente di consiglio e d’opera. 1 nostri voti eleggendo alla presidenza del nascente (1) Questa epigrafe sta in fronte all’edizione delle Lettere, fatta in Torino nel 1860. Nella prima, eseguita del pari in Torino l’anno 1858, al posto dell’ c-pigrale è invece una epistola dedicatoria egualmente affettuosa. — 90 — consorzio il P. Vincenzo Marchese, amore del sacerdozio e d’Italia, non ad altri che al Crocco medesimo, si caldo amico allo Storico degli artisti domenicani e di Girolamo Savonarola, davano il nobile mandato di tenerne le veci. Poscia, nel rinnovar degli uffici, alle mani di lui commetteano concordi l’indirizzo supremo di quei lavori, dei quali già a più indizi era fatto palese che non fallirebbero a gloriosa meta. Quante altre volte egli risalisse più tardi il seggio presidenziale, mettono in aperto i documenti delle nostre assemblee (i). Nè a Voi, che rinnovaste per lunghi anni le dimostrazioni del sommo pregio in cui avevate quel raro esempio d’uomo, sarà mestieri che io rammenti la singolare prudenza e la equanimità non tuibata mai ond’ egli rese questo seggio medesimo peculiarmente onorato. Appunto alla fondazione della Società, Nino Buio, nel cui nome si stringe il ricordo*di tante patiiottiche j > audacie, era stato dei nostri. Ma allorché la Coite a ap pel lo, e con essa il Crocco, pronunciando sui fatti del 29 giugno 1857 ne condannava gli autori (2), il Bixio (1) Eccone l’esatto spoglio. Vice-Presid.nte : dal 6 dicembre 1857 all’ 11 gennaio 1859. Presidente: dal 12 gennaio cit. al 16 dicembre 1860. Vice-Presidente: dal 26 aprile al 28 novembre 1868. Presidente : dal 29 novembre 1868 al 20 maggio 1884. Fu inoltre consigliere di Presidenza negli anni 1861, 1862 c 1867. (2) Sentenza del 20 marzo 1858. Ved. Gaietta dei Tribunali, a. lS58 ’ pag. 269 segg. Eppure, chi potrebbe narrare le interne battaglie, che il Croce dovette sostenere certamente, innanzi di apporre la propria firma a cotcsta scn tenza? L’ austerità del giudice contrastava troppo spesso coll’ indole mite del P uomo; ed ai familiari di lui accadeva sempre di vederlo taciturno c pensoso nei giorni che precedevano la conclusione di gravi processi criminali. 4 - 9i — respinse sdegnoso alla Presidenza del nostro Istituto la tessera di ascrizione, protestando non legherebbesi d’alcuna consuetudine coi giudici de’ suoi fratelli nella fede politica. Scorsero da quel giorno quattordici anni; e l’antico marinaio — che una sera del 1847, sulla piana di S. Domenico, arrestato con braccio di ferro il cavallo del re, avea gridato a Carlo Alberto : a Sire, passate il Ticino e saremo tutti con Voi » (1) — dopo di essere stato guerriero e legislatore, apprestavasi a correre ancora i mari sul Maddaloni, tentando nuovi sbocchi al commercio italiano. Era proprio alla vigilia della partenza, quando nelle sale di Raffaele Rubattino gli avvenne di incontrarsi nel Crocco : — « Ebbene (gli disse) come va la nostra Società di storia patria? s’è fatta un bel nome, lo so, ed io nc ho sempre seguiti con affetto i progressi. Anzi, possedo alcuni volumi degli Atti, e bramerei completarne la collezione: ma di ciò, al mio ritorno. Frattanto le sarò obbligatissimo, se Ella disporrà che mi vengano d’ ora in poi trasmesse le pubblicazioni sociali ». Quindi, sorridendo : « Si ricorda bene di me ? che tempi e che teste !» ; e scattando in un gesto vibrato e nervoso, aggiunse più che le parole non dissero. — Alcuni mesi dopo, io spediva al console italiano in Ba-tavia, coll’indirizzo a Nino Bixio, i Ricordi arabici su la storia di Genova, e col libro gli auguri di Michele Amari e del Crocco. Ahimè! Il libro veniami rimandato dal consolet 1 ’Aiace risparmiato in cento pugne, laddove gli avrebbe sorriso il didcis prò patria mori, era sceso sotterra alle piaggio inospitali degli accinesi! (1) Del Vecchio, Nino Bixio e l’Indo-China; Genova, 1877; pag. 29. Fu precisamente la sera del 4 novembre. — 92 — Ma, perch’io torni al nostro Presidente, noi lo ammirammo altresì come modello di sollecitudine nello augurare o nel far conclusione alle annuali tornate, con orazioni sempre ispirate a nobili affetti e di torma elettissima; spesso anche librate alle alte regioni dei filosofici concepimenti, o accese di fantasia, come allora in cui, sotto il velame allegorico, si piacque di figurare la Società Ligure nella gentile ed austera fanciulla, che toccando oramai il ventennio, avea celebrate col Sapere auspicatissime nozze (i). Oltre di che gli fornirono pure l’opportunità di parecchi ragionamenti, o la comparsa d’ alcun nuovo libro attinente agli studi da noi coltivati, ovvero la perdita di egregi cittadini, vuoi tra gli ascritti al nostro Consorzio, vuoi tra coloro cui per altre cagioni fosse debito il tributo della nostra ammirazione. Di qui, o Signori, la Reietto ne intorno all opera del De Nervo sul conte Corvetto (2), 11 nebri commemorazioni di Vincenzo Ricci (3)/ Giuseppe Morro (4), Francesco Gandolfi (5), Gaetano Avi gnone (6), Gino Capponi (7); il Commentano dclhi vita e degli scritti di Lorenzo Costa (8); il Discorso delle he- (1) Archivio della Società. — Verbale dell'adunanza generale 2 agosto 7 (2) Pubblicata nella Rivista Universale (a. 1869), voi. X, pag- 207-1 l- ^ (3) Negli Atti della Società, voi. Vili, pag. 5-21; e nella Rivista Univ. a-1868), voi. VIII, pag. 266-74. (4) Atti cit., voi. X, pag. 121-152. (5) Archivio della Società. - Verbale dell’adunanza generale 7 dicembre 187?- (6) Tornata del 19 aprile 1874. -Ved.*anche Giorn. Ligustico, a. 187*» P- 336' (7) Tornata del 2 luglio 1876. - Giorn. Lig., a. [876, pag. 454‘55 5 doV^ è anche prodotta la nobilissima lettera indirizzata nel 1862 dal Capponi a Crocco, che gli aveva trasmesso il diploma di socio onorario. (8) Stampato nella Riv. Universale (a. 1868), voi. IV, p. 513-30. - Del Costa scrisse poi il socio prof. A. Neri, nella Rass. Nayon. (a. 1884), voi. XVII, p. >25- - 93 - nemcrcn{c di Alessandro Manzoni verso la Storia (i). Che s io non veggo, per quanto intenda lontano lo sguardo, da qual parte sia mai per venirci il generoso, che Tu, o desideratissimo, invocavi nel candore dell’anima, a rimovere dalla patria l’onta che le graverebbe sul capo dove mai assistesse, spettatrice impassibile, alla dispersione o all’ esilio del Medagliere adunato a gran diligenza dall’Avi'gnone (2); mi conforto almeno, pensando che questo ed altri dolori furono risparmiati al tuo cuore. Imperocché Tu, che ci insegnavi come il grande Lombardo considerasse l’arte non altrimenti che un sacerdozio consecrato al perfezionamento morale e intellettuale dei propri fratelli, non vedesti il giorno nel quale il tuo diletto Manzoni doveva essere gridato scrittore di dubbia fede nazionale e di moralità perniciosa. È vero che, scambio dei Promessi Sposi, a trasfondere un po’ di buon sangue nel corpo infrollito di molta parte della giovine Italia, cotesti giudici austeri e incorrotti ci pongono davanti i libri di una certa scuola, alla quale, o Signori, non voglio far l’onore di recitare in cospetto vostro il nome ; e né manco rifuggono dal metterci sotto gli occhi i lenocini e le grazie delle copertine procaci, anzi ne celebrano le laudi con impudenza maravigliosa ! Le orazioni augurali 0 di chiusura sommano intorno a venti; e al ripensarle troverete che esse furono legale insieme da un nesso logico, si che potrebbero comporre altrettanti capitoli di un volume indirizzato a ponderazioni storico-filosofiche. — Vi hanno (1) Nella Rivista Universale (a. 1875), voi. XVIII, pag. 502-07. (2) L’esilio è imminente. - 94 — argomenti ai quali 1’ oratore si rilà non di rado, sperando dalla pertinacia del chiedere la possibilità dell ottenere: tali, ad esempio, il trasferimento delle ceneri di Colombo, di che ho già toccato; il rispetto e la conservazione dei monumenti; l’eccitamento ai giovani perché si nudriscano di forti studi; e il consiglio, specialmente ad essi rivolto, di attendere alle monografie dei Liguii più illu stri. Imperocché « la vita dei popoli non tanto si rive a nella successione dei fatti guerreschi e degli avv enimenti politici, quanto e più ancora, nei grandi portati e a mente, e nelle creazioni dell’ingegno e dell arte » l Altrove si compiace, pensando che nelle indagini « procelloso, ma pur glorioso nostro passato . • • S1 cherà quell’ ampiezza e quell’ acutezza di esame thè r.n cosi segnalata la scuola germanica. Se non che mi avviso (egli prosegue), che apprezzando il merito di qu ^ scuola e il suo longanime e profondo addentrarsi fonti storici, si vorrà cansarne ... lo spirito tj concetto sistema, 1’ avventato giudicare intorno ay mini e ai fatti che hanno suggello di giusta fama sanzione dei secoli ; e vorrà considerarsi che se e ^ far nostro prò’ del buono e imitabile che ci viene dotti d’ oltr’ Alpe, è bello altresì il non dimenticare c sono scintille del Sole italiano le menti di Carlo gonio, di Lodovico Antonio Muratori, di Cesare Ba > di Carlo Troya; il senno critico e divinatore dei qua e la vasta comprensiva e l’erudizione fecondata dal lun di una vera filosofia, atta specialmente a diffondere (i) Commentario della vita ecc. di Lorenzo Costa, loc. cits pag. 513' I - 95 - nuova luce sulle tenebre del medio-evo, non possono tenere raffronti » (i). Ancora. — Prendendo a scagionare la Società d’ alcuni appunti (uditi da lui in privati convegni), chiarisce , come nei lavori dell’ Istituto sia riposta non poca parte di vera e solida filosofia storica. Imperocché « dee reputarsi sicura e fruttifera filosofia quella soltanto che, derivata dalle pure fonti socratiche, guidava Plutarco nello stendere le Vite degli uomini illustri e i sapienti suoi Paralleli; quella filosofia di cui si muniva il generoso animo di Cornelio Tacito, acutissimo per addentrarsi nelle profondità spaventose della umana nequizia coronata in Roma, e per farsi maestrevole dipintore dei costumi e della vita dei popoli ». E richiamandoci a Giambattista Vico, il quale pel primo ridusse l’arte storica a forma scienziale, non sa reprimere il lamento che i rampolli dell’ albero del sapere piantato in Italia spesso manchino di vi tal nutrimento, per guisa che venendo tramutati solt’ altro cielo, da mani straniere con indu-stre cura educati e cresciuti in larga propaggine, colà solamente dieno pure ampia raccolta di frutti e d’ onori. Inoltre, divisando i traviamenti ai quali non di rado si abbandona la scuola filosofico-storica dell’ Alemagna, si duole perché essa non vegga nell’ Universo che un perenne e cieco svolgimento di forze molteplici senza un supremo motore, o corra dissennata al punto di sostenere che un pugnello di fosforo costituiva la mente di Omero e di Dante ; né si periti di additare la progenie (i) Discorso pronunciato il 3 dicembre 1871 ; negli Atti della Società, voi. X, pag. 128. — 96 ~ dell’ orango in quell’armonica struttura di membra che formava, a cagion d’esempio, la bella persona di Leonardo da Vinci. Ma, lasciando anche stare sì fatte aberrazioni estreme, a ragione egli chiede quale mai filosofia abbia potuto condurre Teodoro Mommsen nel contendere a Cicerone il pregio di grande scrittore, o negare agli italiani ogni ingegno creatore nella musica, ed ogni virtù nella poesia fuori delle attitudini alla giocosa ed epigrammatica. Non si disviino adunque i nostri per sì fatto cammino; e noi confortiamoci negli aurei dettami di Platone: « Rechi ciascuno la sua nota musicale a quella sacra armonia che Amore, accarezzando le turbate menti degli uomini, suscita unisono e concorde da tutte le cose che vivono e sono » (i). V. Se del limpido.pensiero storico e filosofico del Crocco si ha principalmente da cercar documento negli atti della nostra Società, l’ingegno letterario continua a mostrarsi per altri lavori; fra i quali si debbono rassegnare molti di quelli articoli di critica, ond’ egli, sottrattosi oramai alla politica militante, donava frequente i periodici didattici e la stessa Gaietta di Genova, già precipuo teatro del suo patriottico battagliare. La dedicazione del monumento a Giancarlo Di Negro, surto per opera d’ammiratori c d’amici dell’illustre Patrizio nelle sale della Beriana, gli porse 1’ argomento di un forbitissimo Elogio, e l’occasione di riaffermare con (r) Verbale ilell’adunanza generale 8 dicembre 1872. — 97 - fatidico slancio la propria fede in quel giorno, nel quale il valore e la concordia dei figli d’Italia « ricomporranno su quella abbattuta fronte di martire la corona dell antica grandezza » (i). E se a due nobilissime Donne è dovuto il pensiero di cooperare alle onoranze tributate nel 1873 dall’Italia risorta a Carlo Botta, rendendo di pubblico dritto una eletta parte dell’ assi uo carteggio di lui con Tommaso Littardi; noi però ci appporremo giustamente affermando, che precipuo autore di cotesto pensiero fu il Crocco, dal quale ìamo poi riconoscere le cure solerti di cui rende testimonianza la corretta edizione dell’ elegante volume, a a simile ufficio pietoso, anzi ad « un sacro debito antica amicizia » , egli provvide anche due anni ap-S dopo che egli si addormentò nel Signore. delle rCt> comune‘ — Ci costituiamo guardiani e venerate reliquie. — Pater meus et matcr mea de- querunt Deus autem assumpsit me! ». tonio laSSC^naz^one non VL1°1 dire oblio. — Ad An- neu° 10CC0 ^ ricordo del padre lampeggerà ognora niente , e si farà più vivo ed intenso, dove gli avveno-i H5 * • ? . associare quel nome lagrimato al compiersi , entl quah il cuore del buon vecchio avrebbe Na-n0 ^°^a' — Siamo al 12 maggio del 1859; e ce‘1 0 cone HI surge nelle acque del nostro porto, pre-.C Uto ^ famoso proclama : 1’ Austria dominerebbe ° a^e Alpi, o l’Italia sarebbe libera fino all’Adria-Ed ecco ciò che il Crocco scrive nel Biometro: « Let-^bia — adorazione. — Disposizioni per l’arrivo eli Imperatore. — Aspetto di via Balbi — Accoglienza 1 entusiasmo — fiori sul mare — Sternere mare flo- 1 l^"s' — Città in festa. — Simboli coll’ aquile. — Mio padre ! ! » (2). Quanta sublimità in queste semplici pa- (') Monsignor Francesco Santo Graffigni, canonico della Metropolitana di Genova, morto il 17 gennaio 1876. (2) Napoleone giunse verso le 2 poni. — Il battello su cui discese, per metter piede sul lido, solcò un tratto di mare, che potea veramente dirsi coperto da 1 — 102 — role ! Doleva al figliuolo che la vita non fosse bastata al genitore, per mirare da presso l’inaugurarsi di un èra nova : lui che avea fiso' lo sguardo nell’ astro del primo Bonaparte, fulgido di tutto lo splendore, e cantato la nascita del Re di Roma nella più ispirata delle sue odi ! L’ anno 1873 si apre nel Biometro con queste massime : Hic est magnus animus qui se Deo tradidit (Seneca). Homo res sacra homini (Seneca). Il ria de joie qua vouloir Ics choses tnstes que Dicu nous donne (Fénélon). Consolari se conscientia optimae mentis (Cicerone). E al giorno 23 maggio, la nota della sventura na zionale espressa colle parole: « Morte di Alessandro Manzoni », è seguita da alcuni accenni i quali dove-vano poi essere svolti nel Discorso su quel Grande. « Suoi meriti verso la Storia. — Discorsi premessi alle tragedie. — Il romanzo più vero della Storia. Quadro dell’ Italia nel coro dell’ Adelchi: Dagli atni muscosi, dai fori cadenti. — Degli uomini che costituivano una vera gloria italiana, chi resta? » — Ed infine: « Sessione del Consiglio Comunale — Omaggio a Manzoni Parole commoventi di Boccardo — Voto di una depu tazione per assistere ai funerali ». Vi è noto, 0 Signori, che il Crocco tu appunto ne novero dei deputati ; epperó, trasferitosi coi colleglli a un nembo di fiori , sparsi a piene mani da una folla di signore che facevano corona lungo il tragitto. Nella via Balbi stava schierata al posto d onore Guardia Nazionale, e si accalcavano i cittadini plaudenti. Da Genova, 1 i m p c ratore, nel medesimo giorno 12, diresse il proclama ai soldati. Ved. di Genova del di seguente. — [03 — Milano, registra la visita fatta il di 28 a quella salma, in cospetto alla quale veniano i rappresentanti di tutta Italia reverenti e commossi : « La sala ardente — il capo venerando — fiori e corone. — Clero orante — popolo contemplante. — Fu vera gloria, perchè puris- # sima. — Raffronto d’influenze morali fra Goethe e Manzoni — Werther e i Promessi Sposi ». — Ma all’ imponente spettacolo non poteva la fibra dilicatissima del Nostro non sentirsi profondamente agitata. Tanto è vero che l’indomani egli scriveva: « Insonnia — malessere che m’impedisce di prendere parte al corteo. — 11 carro funebre — i cordoni sorretti dai Principi Reali e dai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. — I Municipii. — L’accompagnamento dei parroci. — In-somma, più che un funerale fu un apoteosi — un nuovo plebiscito dopo quello di Dante ».. Eccovi, o Colleghi, quanto a me è noto del Biometro per mano amica (1). VI. Nel chiudere il XXIII anno sociale, e nello accomiatarci per le ferie d’autunno, l’amato Preside ci veniva caldamente sollecitando affinchè volessimo commettere ad altri la direzione dell’ Istituto ; e confessavasi « reso (1) Il Crocco, nel proprio testamento ricevuto dal notaro Giuseppe Balbi il 14 maggio 1884, istituendo eredi del suo modestissimo patrimonio i nipoti avv. Pio di Giambattista Olivieri e Carolina di Leopoldo Olivieri, vedova del prof. Manfredo Stefano Prasca, lasciava con delicato pensiero il prezioso Bio-metro a quest’ultima. — La signora Prasca, educata da bambina in casa dello zio, ed ivi rimasta fino al tempo del suo matrimonio, fu da lui riguardata sempre come una figliuola : e 1’ affetto così vivo, che egli le portava, era anche ben meritato, — 104 — oramai dall’età che si aggrava, dalla inferma salute, da rinnovati lutti domestici inerte spettatore delle nostre fatiche » (i). Alla somma delicatezza degli animi vostri era consentaneo che la preghiera non venisse accolta ; , ina non é men vero che noi ci stavam trepidi innanzi a una cara esistenza, della quale ben vedevamo appies-sarsi l’ineluttabile fine. E già la morte gli a\ ea fatta intorno la solitudine. A non parlare che delle sventure più recenti e accelerate, gli era mancata la sorella Luigia, stata sempre la fedele depositaria de suoi pensieri, la consolatrice de’ suoi dolori, l’amorosa e sollecita interprete d’ogni suo desiderio. Poi quando pareva riaversi da penosa malattia, gli mancò a un tratto l’altra sorella, Tommasina negli Olivieri; infine \en nero a colpirlo ]a perdita inattesa del suo Giuliani (2), e quella ancora men preveduta del nipote ed amico Man fredo Stefano Prasca (3). Rimase come tronco percosso da folgore, nella campagna deserta : ma non volle, siccome usano i più, allontanarsi da’ luoghi dove tante fiere bat titure gli aveano prostrato il corpo, non 1 animo. Nel a modesta casa sull’ erta de’ Cappuccini, donde ride tanta distesa di cielo, e dove sembra perennarsi la prima vera, in cospetto alla Villetta del Di Negro, erano pur vissuti i suoi cari: qui gli parlavano in folla i dolci ri cordi di una vita immacolata, benedetta negli affetti, santificata dalla concordia. Quelle pareti desolate s ciano (1) Verbale dell’ assemblea 8 agosto 1860. (2) Morto in Firenze l’u gennaio 1884. (3)-Morto in Genova il 26 febbraio 1884. - Una breve necrologia del Prasca, dettata in forma epigrafica, e stampata in ristretto numero d esemplali dalla Tipografia Sordo-Muti, fu appunto l’ultjmo componimento letterario del Crocco - io5 - pure un tempo allegrate alle festicciuole della famiglia disfatta; le fredde stanze risonavano ancora degli auguri e del giulivo cinguettare dei nipotini, venuti a celebrar l’onomastico del buon zio; mentre intorno alla parca mensa, o nella sala, conversavano d’arte e di lettere il Parolari, il Bernardi, il Marchese, il Giuliani, il Prasca, il Gando, il Giuria; e gli amici lontani quando co’ versi, e quando colle fotografie e co’ libri, voleano pure esser tenuti presenti. E quanta pietà nei cognati, nei nipoti, negli amici; i quali si può dir veramente che negli ultimi tempi aveano istituito per lui un turno di compagnia, studiandosi del continuo perchè nulla venisse mutato delle domestiche abitudini ! Così in certe serate si raccoglievano tutti in familiari ragionamenti ; dove lo inganno pietoso ad occhi non bene esperti sarebbe riuscito completo. Il Crocco d’ordinario, e mentre già erano avviati i conversari, uscendo dalla stanza dove le nipoti Olivieri gli aveano letto di religione, di storia, di filosofia, ed anche di politica spicciola, interveniva. Ma i suoi occhi, velandosi d’una lagrima , cercavano indarno di te, o soavissima Luigia, né più si incontravano in quelli di Tommasina, che a me colla veste bruna e col velo di trine sul capo aveva le tante volte richiamata alla mente l’immagine di Caterina da Genova. Voi intendete, o Signori, che l’animo non mi regge allo strazio del descrivervi le ore estreme, che furono pel Nostro quelle del martedì 20 maggio 1884: neque enim prete lacrymis iam loqui possum (1). A lui, che (1) Cic., Pro Milone, § 38. — io6 — poc’ anzi dettando « con viva e ferma voce » alla nipote Enrica Olivieri le affettuose parole, con le quali prendeva « congedo dalle anime elette che la bontà del Signore gli dava a conforto ed esempio di virtù nelle vicende e nelle amarezze della vita » ; a lui consolava queste ore il placido e sereno ragionare col sacerdote, intorno alle bellezze inenarrabili delle sacre parole che raggiano sui morenti la luce delle celesti speranze ed accompagnano lo spirito che dal terreno involucro si innalza alle sedi immortali ! Alla notizia della perdita, che noi piangeremo sempre, Jacopo Bernardi scriveva del Crocco: « Uomo più intégro, anima più candida, amico più sincero, letterato più modesto, scrittore più dotto ed elegante, è assai diffìcile a rinvenirsi » (i). E che aggiungere a queste parole, che tutti sentite così protondamente vere, e che vi scolpiscono 1’ uomo nelle svariate manifestazioni dell’ingegno e del cuore? Ben posso dirvi che in quella lunga consuetudine, alla quale accennava in principio, e nella conversazione di lui, frequentemente desiderata e cercata, specie ne’ giorni dello sconforto, attinsi anch’ io le consolazioni che molti invocavano dal suo labbro ; e con me diranno più altri come, partendosi dalla casa di Antonio Crocco, si sentissero migliori o più agguerriti nell’ affrontare le avversità della vita. Ma donde ciò, o Signori? Gli é che Antonio Crocco insegnava colla virtù dell’ esempio. Consideratelo sotto ogni aspetto, e Voi riconoscerete che fu davvero un carattere: lo spirito, che regnava sovrano in quell’esile corpo, (i) Discorso ecc., pag. 1133. — 107 — si era temprato a vigoria singolare. Cosi i principi che in lui, sia rispetto alle cose della religione e sia alle civili, col rigoglio de’ baldi anni aveano poste radici, addoppiarono di saldezza nella virilità, durarono incrollabili nella canizie onorata. Liberale schietto nel 1847, e prima assai del 47, non tolse 1’ amor suo all’ Italia il giorno in cui non potè più affermare che ella corresse le vie per cui tutto lieto l’avea mirata risorgente « nell’ esultanza degl’ inni e nella concordia degli animi ». Ma come di que’ giorni, con memorande parole , avea invocato propizi alle libertà del Paese la mente ed il cuore di un papa, « che tutta Italia saluta col nome di angelo salvatore » (1); (1) Vedasi il notevolissimo articolo della Gazzetta di Genova del 19 febbraio 1848, nel quale il Crocco invoca da Pio IX la promulgazione della costituzione nello Stato Pontificio, affinchè si completi « l’opera memoranda ed unica nella storia della miracolosa e simultanea rigenerazione italiana ». Confida che il papa trionferà dei dubbi sollevati da alcuni, i quali reputano insuperabile ostacolo alla concessione di uno statuto di politica rappresentanza ai sudditi pontifici la massima che a lui non sia lecito di consentire ad una diminuzione 0 trasformazione di potere. Esamina, colla scorta della storia , lo stato vero della quistione ; e conclude : « che se il regnante Pio IX associasse al governo temporale i suoi sudditi, non per questo potrebbe accagionarsi di aver alienato alcuna porzione della sovranità della S. Sede, mentre egli non farebbe che restituire ai suoi popoli in parte l’esercizio di quella libertà, che di diritto non hanno perduta mai ». Consultando il Biometro, nel quale gli articoli apprestati dal Crocco pel diario genovese si trovano costantemente notati, sotto le date rispettive, col cenno di art. Gazz-, si verrebbe a riconoscere la copia grandissima degli scritti da lui inseriti in cotesto giornale, che fino alla metà del secolo godette di molta c quasi esclusiva autorità. Appunto una serie di date estratte da quei ricordi intimi , e favoritemi dall’ ottimo ing. Parodi, ha guidato me stesso nella ricerca, che per mia soddisfazione ho voluto istituire dallo scorcio del 1847 a tutto il 1850, cioè lungo il periodo che rappresenta la maggiore, anzi la vera attività giornalistica del Nostro. Infatti, ho già detto che dopo questo tempo egli si trasse in disparte dalla politica ; e d’allora in poi gli articoli di fondo ven- — io8 — così nel 77 supplicava il pontefice: « Oh! ancora una volta benedici all’Italia, sì che una qual è di sangue, di memorie, di lingua, ritragga virtù sanatrice dalla rinnovata unità degli animi e della fede » (i)-Delle composte ed asciutte fattezze del Crocco ci rimangono alcuni ritratti, d’età diversi; ma a tutti s acconcia la dipintura fattane dal Gando l’anno 1841, al Parolari : Dalla severa fronte un senso arcano Traspare di gentil malinconia, Un cor ben nato, un intelletto sano Che s’apre al bello e al ver splendida via. Mira come ne’ vivi occhi sorride Quel dolce affetto.....• • E dimmi poi se sfavillar da quelH Non vedi un raggio dell’amore istesso, * co Che fa gli spirti eletti in ciel fratelli (2). Se non che, facendo mie le parole onde il nostio la grimato Presidente chiudeva il Commentario sul Costa, dirò anch’io che una immagine del Crocco, ben più preziosa, perché ne ritrarrebbe intero l’animo buono e l’ingegno potente, darebbe a noi, darebbe ai posteri chi procurasse raccogliere in accurata edizione gli scritti nero per molti anni forniti quasi sempre dal Prasca, il quale alle disquisito politiche amò di alternare le economiche. Una particolarità da avvertire è anche questa : che gli articoli del ^r0C^ dal 27 luglio al 12 dicembre 1850, si vedono segnati in calce colla lettera Gli altri non portano firma 0 indicazione alcuna. (1) Ved. il volume intitolato: A Pio IX pontefice massimo, nel suo Giubileo Episcopale (3 giugno 1877), i Genovesi; Genova, Tip. della Giovenjù, s. a-Dove alle pag. 136-39 stanno otto iscrizioni del Crocco: Alla Santità di Pio (2) Gando, Poesie; Torino, 1881 ; pag. 46. — 109 — molti, di prosa e di verso, da lui dettati. Di questo anzi mi affida la conoscenza di un memore nipote; ed in questa fiducia, sollevando il mesto animo, che all’ a-nimo di Antonio Crocco fu stretto per una serie non breve di anni, mi consolo di por fine alle rozze mie colle auree parole di Tacito: « 1 ritratti degli umani volti si corrompono coll’ età ; l’effigie della mente é eterna » (i). (i) Antonio Crocco fu sepolto nel boschetto irregolare del civico cimitero di Staglieno. Diede il Municipio, con equo e lodevole provvedimento, 1’ area gratuita; su cui gli eredi alzarono un modesto ricordo, giusta i disegni dello scultore Federico Fabiani. La seguente iscrizione incisa sulla lapide, è fattura di Pio Olivieri ; ed agli occhi miei, oltre quello del dettato, ha due pregi molto rari : affetto e verità. ANTONIO di GIUSEPPE CROCCO COMMENDATORE MAURIZIANO E CONSIGLIERE DI CORTE D’ APPELLO VENERATO PER ALTEZZA D’ INGEGNO E SANTITÀ DI COSTUMI LE VIRTÙ DELL’ INTELLETTO E DEL CUORE RIVELÒ IN AUREI LAVORI DI PROSA E DI VERSO CHE GLI DIEDERO FAMA D’ INSIGNE SCRITTORE NELLA MAGISTRATURA NEI CONSIGLI DEL COMUNE GIOVÒ COLL’ OPERA EFFICACE E COLL’ ESEMPIO ALLA GIUSTIZIA E ALLA PATRIA E NELLA DOLCEZZA DEGLI AFFETTI DOMESTICI NEL CONSORZIO DEGLI AMICI NELLA SANTA RELIGIONE DEGLI AVI A LUI CARAMENTE DILETTA ATTINSE CONFORTO AI DOLORI CHE GLI CONTRISTARONO SPESSO LA VITA ED EBBE CONSOLATA LA MORTE DALLA LUCE DELLE SPERANZE IMMORTALI NATO IN GENOVA IL DÌ 28 AGOSTO DEL l800 MORÌ IL DÌ 20 MAGGIO DEL 1884. SULLA CASA ABITATA DA DOMENICO COLOMBO IN GENOVA MEMORIE RACCOLTE DAL SOCIO MARCELLO STAGLIENO AVVERTENZA Questa memoria sulla casa abitata da Domenico Colombo in Genova é divisa in tre parti. Nella prima si tratta della posizione delle due case, possedute da lui nel Borgo di S. Stefano, e, dopo aver dimostrata erronea la credenza, corsa finora, che quella della sua abitazione si trovasse nel vicolo di Molcento, si stabilisce che essa era invece nel primo tronco del Carro gio dritto di Ponticello, a sinistra di chi discende dalla porta di S. Andrea, ed a poca distanza dalla medesima. Nella seconda, per mezzo di indagini e confronti fatti con documenti ed atti notarili, si prova che questa casa é precisamente quella segnata col numeroJ7 in detto Carrogio dritto, e si fa la storia di essa, indicando i diversi possessori che si succedettero sino ai dì nostri. Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.", Voi. XVII. 8 - 114 “ Nella terza, dopo aver detto alcunché in genere sulle case abitate dagli operai nel secolo di Colombo, si esamina il presente stato materiale della casa di cui si tratta, onde col confronto fatto con altre case di quel tempo, e coll’esame degli atti donde appariscono i fattivi mutamenti , potersi formare un’ idea del come era ai tempi di Colombo, prendendo occasione da ciò per accennare a quanto già fu detto da qualche scrittore sulla casa medesima. I. ei brevi cenni sulla vita di Cristoforo Colombo, inseriti da Filippo Casoni ne’ suoi Annali, si legge che Domenico Colombo, padre di lui, oltre le possessioni di Quinto, aveva acquistate nella città di Genova due case in contrade buone (i). Quali fossero queste contrade l’annalista non dice; e quantunque, sulla fede del notaro Piaggio, si sia sempre ritenuto che Domenico Colombo abitasse sulla parrocchia di S. Stefano, sino ai primordi del corrente secolo non si conosceva documento alcuno che valesse a provarlo. (i) Annali della Repubbl. di Genova del secolo XVI libro i, anno 1507, a pag. 26 della I.1 ediz. del 1708, ed a pag. 69 del voi. primo dell’ediz. del 1799. — ii6 — Gli Accademici Serra, Carrega e Piaggio , avendo consultati alcuni manuali dei livellarii dell antica abazia di S. Stefano, poterono accertare che una di dette case stava non molto lontana dalla porta di S. Andrea, sotto la dizione della parrocchia di S. Stefano e soggetta a livello verso il monastero omonimo, e pubblicarono un atto di convegno per cui la medesima era poi passata in Giacomo Bavarello, genero di Domenico Colombo. Il tutto come risulta dal loro Ragionamento sulla patria di C. Colombo, presentato all* Accademia delle Scienze, Lettere ed Arti di Genova addi 16 dicembre 1812 (1). Dopo di essi, colla scorta dei documenti indicati^ da l’avv. Giovanni Battista Belloro, si conobbe che 1 altra casa indicata dal Casoni era posta nella contrada e a Olivello,, la qual cosa fu confermata dai citati libri S. Stefano, a cui aneli’essa era soggetta a livello. Relativamente però alla precisa ubicazione di ette case si era incerti, ed erronee indicazioni corsero sopra le stesse, ed in ispecie sopra quella fuori porta S. Andrea, importante più dell’ altra, perché si avevano dei ati donde appariva che ivi dovea essere l’abitazione padre di Cristoforo Colombo, e che per conseguenza egli vi poteva esser nato, e certamente vi aveva pas sati i primi anni dell’ infanzia e della giovinezza. Questa casa sino ai dì nostri si credette che fosse in Molcento, viottolo posto inferiormente e non molto lontano da porta S. Andrea, ed una iscrizione collocatavi, a destra (1) Questo Ragionamento fu inserito nel voi. III. delle Memorie di Accademia, stampato nel 1814, e trovasi anche in estratto a parte, avvertire che di detto voi. Ili si hanno degli esemplari col titolo: Atti dell lslt tufo Ligure. - ii7 - di chi sale dal Carrogio dritto di Ponticello, lo dice ai passanti (i). Primi ad accennare come posta in questo luogo la casa di Domenico Colombo, furono i sopra citati Accademici, nel Ragionamento-, ma questi dotti uomini in ciò presero un abbaglio, ed ecco in qual modo. Essi, come sopra dissi, trassero la prima notizia della casa in discorso dai manuali che tenevano i padri del monastero di S Stefano, e dove annualmente scrivevano i nomi dei livellarii, che loro dovevano pagare il censo stabilito, ossia terratico, per le possessioni che avevano in enfiteusi dal monastero medesimo. Ivi i debitori sono scritti ciascuno sotto la denominazione della strada ove si trovavano i fondi per i quali pagavano, e se un d’essi aveva stabili in più strade, il di lui nome veniva ripetuto sotto ogni e singola intestazione delle medesime. I manuali dove vedesi il nome di Domenico Colombo sono degli anni 1457, 1458 e 1460. Quelli del 1528 e del 1533, segnano al suo posto, per la casa fuori porta S. Andrea, il di lui genero Giacomo Bavarello, ed i precedenti al 1457, sino al 1435, nonché quello del 1459 e degli anni seguenti dal 1460 al 1528, ed altri, si trovano mancare. Ne’ libri suddetti ov’é notato Domenico Colombo, il costui nome figura sotto l’intestazione: Carrubeus (1) L’iscrizione vi fu apposta nel 1858, a cura del Municipio, ed erroneamente indica Domenico come di professione scardassiere. — Eccola: DOMENICO COLOMBO PADRE A CRISTOFORO EBBE QUI CASA E BOTTEGA DA SCARDASSIERE — ii8 — usque in Mulcentum, e ab alia parte Olivelle; e questa locuzione di Carrubeus usque in Mulcentum ha fatto credere agli Accademici, che la casa di Colombo fosse proprio nel vicolo di Molcento, mentre la preposizione usque, ed il fatto che in alcuni manuali seguenti questo carrogio usque in Mulcentum era semplicemente indicato come extra portam S. Andree, dovea farli avvertiti che si trattava di una strada che da detta porta conduceva appunto dove cominciava Molcento. La quale strada é il primo tronco dell’ attuale carrogio diritto, che è quella che da porta S. Andrea conduceva e conduce tuttora a Ponticello, e che si divide in due tratti, ai rivando il primo di essi al vicolo di Molcento, e il secondo da questo a Ponticello ; e tali due tratti distinguevansi dai nomi di Carrubeus rectus usque in Mulcentum, e di Car rubeus rectus usque in Ponticellum. Ciò posto, chiaro ap pare che la casa di Domenico Colombo era in detto primo tronco di strada e non in Molcento. Diversi istru menti notarili poi vengono a conferma ci ciò. E primo un atto del notaro Andrea De Cario, in data ii luglio 1474, donde ne appaiono i confini. Que st’atto é la concessione a livello di beni del monastero di S. Stefano, dei quali già erano investiti celti Bon i? che si faceva ad un Tomaso Carbone calzolaio. IV1 confini sono cosi indicati: in burgo S. Stepham, in con trata usque in Mulcentum, in carrubeo recto, cui cohercnt ante dictus carrubeus, ab uno latere domus Dominici Co lumbi, sita super solum dicti monasterii, ab alio lateit domus Pelegri de Plagia, callegarii, retro quintana etc. Secondo, un altro atto pure di detto notaro, in data 20 gennaio 1475, Per un livello consimile concesso a - ii9 - Ginevra e Bartolomeo, sorella e fratello De Zino, dal quale appare chiaramente che a quel tratto di carrogio diritto fuori porta S. Andrea si dava il nome di Carrubeus rectus usque in Mulcentum, e che le case di cui si tratta stavano dalla parte sinistra di chi discende da porta S. Andrea, giacché dietro di esse si segnano per confini le mura vecchie della città, le quali sono quelle che da detta porta correvano sulle alture di Molcento e di là a Piccapietra, ed in qualche tratto ancora sussistono, destinate a sostenere il civico acquedotto. La casa investita è cosi descritta: in burgo S. Ste-pani extra portam S. Andree, in carrubeo recto usque in Mulcentum nuncupato, cui coherent ante carrubeus rectus predictus, ab uno latere domus Pelegri de Plagio de Zoalio, callegarii, sita super solo dicti monasterii, ab alio latere domus Bertoni de Villa et Jeronimi eius jratris, sita super solo dicti monasterii, retro menia civitatis. Infine, l’atto del 23 gennaio 1477, celebrato a Savona dal notaro Giovanni Gallo, ove Susanna Fontanarossa, moglie di Domenico, la quale aveva ipoteca legale per le sue doti sui beni del marito, acconsente alla vendita od alla obbligazione della casa, indicata con queste parole: domum unam cum uno jardino retroposito, ipsius Dominici, sitam in burgo Sancti Stephani inclite civitatis Janue, in contracta Sancti Andree, quibus domui et viridario coherent ab una parte Nicolaus de Paravania, ab alia heredes quondam Antonii Bolidi, ante via publica, retro menia civitatis predicte. Oltre a ciò, un altro atto, pure in rogito De Cario, colla data 17 gennaio 1466, ove Domenico Colombo fa sicurtà per l’evizione a proposito di una casa venduta — 120 — da Giovanni Colombo di Moconesi a Francesco Bovero, e celebrato nella sua bottega da laniere, indica questa semplicemente come posta fuori porta S. Andrea. Actum Jamie extra portam S. Andree in apoteca Dominici de Columbo, la qual cosa lascia supporre che non tosse molto lontana dalla porta indicata. Gli Accademici, ai quali tutti gli indicati documenti u rono sconosciuti, e che forse per non aver potuto con^ sultare a loro bell’agio i manuali dei livellarii, non si avvidero dell’ altra casa di via Olivella, con ortati ^ Casoni che dice il padre di Cristoforo possessore Genova di due case, nella falsa credenza ^ che q del vicolo usque in Murcentum fosse proprio in ^ cento, credettero che l’accennata nell atto de 2 glio 1489 da loro pubblicato, perché indicata in co porte S. Andree, fosse un’ altra casa diversa, suppo ^ cosi F esistenza di due case distinte, nelle vitina ^ detta porta; e di tale opinione fu pure il dotto ^ torno nella sua Storia Letteraria della Liguria (1 _ come già osservavano i chiarissimi abate ^ anD ^ nella sua Vita di Cristoforo Colombo, pubblicata ^ 1846, ed avvocato Cornelio Desimoni in una ^ lazione Sugli scopritori genovesi del medio evo, ^ nel Giornale Ligustico del 1874, queste due^ pr ^ case non sono che una sola, trovandosi nei citati gistri del monastero di S. Stefano annotato cie ^ quella del carrogio usque in Mulcentum era sotten il Bavarello, appunto in virtù del menzionato atto notaro Lorenzo Costa, ove é semplicemente indicata (1) Volume II, pag. 237. — 121 — in contrata porte S. Andree, ed i libri livellarii del 1528 e del 1533 posto di Domenico Colombo segnando Giacomo Bavarello. Due atti poi del notaro Pallavicini de Coronato, sotto la data del 1531 a’ 9 di novembre, per la vendita e la nuova investitura di diverse botteghe appartenenti a certi Pallavania, confinanti colla casa di Colombo, allora del Bavarello, vengono a conferma di ciò. Ivi si dice: Apothecas tres positas sub duabus domibus . . . sitis in burgo S. Stephani, in contrata subtus portam S. Andree, quibus quidem duabus domibus cum apothecis coherent ante via publica, ab una parte domus lacobi Ba-vagelli, ab alia parte domus . . . Sorbe, retro menia antiqua civitatis. Per la qual cosa chiaramente appare che la casa di cui é discorso era posta nel primo tratto del vico dritto, a sinistra di chi discende da porta S. Andrea, ed aveva per confini sul davanti la strada, a mezzogiorno i Pallavania, a tramontana Antonio Bondi, ed a ponente le mura vecchie della città. Ma Domenico Colombo possedeva, come vedemmo, anche una casa in via Olivella, ed a questa si riferisce l’atto del 7 agosto 1473, rogato in Savona dal notaro Pietro Corsaro, ove la moglie Susanna lo autorizza a vendere la casa medesima, che erale, come del resto tutte le possessioni di lui, obbligata per le sue doti. Questa casa ivi é segnata in civitate Janue in contrata porte Olivelle. Quantunque di quest’ atto sia da molti anni conosciuta l’esistenza, come quello che é fra i documenti relativi ai Colombo indicati dall’ avvocato Giovanni Battista — 122 — Belloro (i), sull’ ubicazione della casa, e 9uas^ Su^a esistenza della medesima si stette per lungo tempo incerti, confondendola con quella fuori porta S. Andrea, supponendosi che porta Olivcllc rosse un’altra appellazione della porta suddetta. A toglierci ogni dubbio stanno i citati libri di S. Ste fano, dove, come dissi, il nome di Domenico trovasi fra i livellarii della strada extra portam S. Andree usque in Mulcentum, e fra quelli di vico Olivello, pei cui si mostrano chiaramente due possessioni distinte. qul osserverò che via Olivella era come una continuazion dell’ attuale salita dei cannoni, anticamente la vera Porte auree, quella che dalla porta detta ani cu, oia^ Piccapietra, scende al piano. La via dell Olivella co ^ dava dal piano e conduceva ad una porta della citta p ^ detta dell’Olivella, e restava quasi paralella al at vico Bosco, allora dettò de’ Parmigiani. Le an p ^ zioni fatte da quella parte all’ospedale, poco metà del secolo scorso, la fecero scompaiiie de t essendosi 1’ ospedale avanzato a fronteggiare 1 ^ Bosco; ma trovasi indicata nelle piante topogra c Genova anteriori a detta epoca. Delle accennate due case però, l’abitata da Domen ^ Colombo era quella fuori porta S. Andrea, ossia ^ ^ carrogio diritto. Ivi aveva la sua officina, apothecd, la casa, come quasi tutte le contigue, era provvista giardino, viridarium, di vuoto e di pozzo. L altra contrada Olivella probabilmente l’aveva concessa in affitt0. (i) Belloro, Rivista critica alla dissertazione del Sig. Felice Isnardi ccc. Genova 1833, un voi. Stamperia Casamara. — 123 — Nell’atto del 17 gennaio 1466, indicato più sopra, e celebrato proprio nella sua bottega, extra portam Sancti Andree, egli si dichiara abitante in quella contrada con queste parole : Dominicus de Columbo quondam Iohannis textor pannorum lane abitator Janue, in contrata extra portam S. Andree, e ciò basterebbe per la sua abitazione colà, ma vi aggiungo ancora due indicazioni. La prima tolta da un registro intitolato: Debitores Cartularii officii Balie anno de 1466, che é nel nostro Archivio di Stato, e dove sono descritti sotto la rispettiva conestagia o contrada, i diversi debitori di non so quale imposizione. Ivi nella conestagia extra portam S. Andree, assieme a Tommaso de Sorba, a Pellegro de Plazia ed altri, ve-desi notato Dominicus Columbus textor, per soldi 2 e danari 4. L’altra, tratta da alcune liste presentate dai Conestagii nel 1468, certo per la ripartizione di qualche tassa, i quali nella strada suindicata, assieme al Pellegro de Plazia, a Giacomo Pallavania ed altri, segnarono il nostro Dominicus Columbus textor lane. Molti atti poi, da me trovati, si hanno che attestano la sua presenza nelle vicinanze di porta S. Andrea, mentre non ve ne ha alcuno ove egli figuri dalle parti di via Olivella. Importantissimi sono diversi del 1451, nelle filze del notaro Giacomo Bonvino, come i più antichi che finora si conoscessero di lui. Con quello del 26 marzo, un Paolino de Moconesi vende a lui, Dominico Columbo textori pannorum lane in Janua quondam Iohannis, una terra a Quarto, e l’atto si compie nella bottega di un barbiere in contrata porte S. Andree. Negli altri due del giorno seguente il Colombo figura fra testi civibus Janue. Entrambi sono fatti presso il notaio in contrata porte S. — 124 — Andree juxta bancum residentie mei notarii mfrascripti, come leggesi nella chiusa di uno, e con qualche variante di dicitura nel’altro. Il primo é una compra fatta dal sopra notato Paolo de Moconesi di una tei 1 a a Quarto, ed il secondo una promessa di indennità passata fra diversi cardatori a favore di un laniere. Un atto del notaro Andrea De Cario, in data 15 marzo 1462 , ove Domenico Colombo interviene pei ar ga ranzia a favore di Antonio di Leverono del fu Lo ìsio, ce lo mostra in casa del notaio extra portum S. An ree, ed un altro fra i rogiti di Benedetto Peloso, addi 9 se naio 1465, in una bottega li presso alla sua, per procura di Bianchinetta Balbi moglie di Pellegro < ^ fatta extra portam S. Andree in apotheca dicti’ Pe ^ tutti questi dati sulla presenza continua di D°m ^ Colombo nelle vicinanze della porta di S. Ani re. ; che indipendentemente dall’atto 17 gennaio 14 chiaro lo dice, sarebbero più che bastanti a ar P . della sua abitazione nella casa da lui posse uta della porta indicata. r [ Nell’ atto ultimo citato, ove Domenico ^ ^»ura testimonii della Bianchinetta Balbi de Plazia, e t' ^ tarsi che egli trovasi qualificato come formajanu^^ la stessa professione gli si dà in un altro atto stesso notaro addì 14 settembre 1465, ove é fra testini ^ ad una sentenza arbitrale. Ciò potrebbe essere una sj^ del notaro, ma potrebbe anche dipendere da che a 0^ alla sua professione di tessitore di panni unisse q ^ di pizzicagnolo, allo stesso modo che nel 147° a vona vi univa quella di taverniere. Molto importante sarebbe il conoscere da quan 0 - 125 - Domenico cominciò a condurre dai monaci di S. Stefano le due case, potendo ciò fornire argomenti alle discussioni sul luogo della nascita di Cristoforo. Ma la mancanza nei registri livellarii non ci permette di accertare questa data. Fino ai nostri giorni il documento più antico che parlasse della presenza di Domenico Colombo in Genova, era quello de’ registri suddetti colla data del 1457. Dopo che io ebbi trovato gli atti del 26 e 27 marzo 1451 fu accertata da detta epoca: or poi un altro atto pure da me trovato, ci pone in grado di fissarla ancora dodici anni prima. È questo nelle filze del notaro Benedetto Peloso, sotto la data del i.° aprile 1439, e non solo prova che Domenico a quell’ epoca trovavasi in Genova, ma implica la necessità della ferma dimora fra noi per l’esercizio della sua professione. Con esso infatti il Dommicus de Columbo textor pannorum lane, filius Iohannis, prende a’ suoi servigi per cinque anni, e coll’obbligo di insegnargli detta arte, un giovinetto a nome Antonio, figlio di Lodisio de Leve-rono de ponte Cicanie, quello stesso per cui, fatto uomo, a 15 marzo 1462, come sopra vedemmo, si rendeva in seguito garante. Nessun dato di quest’ atto ci autorizza a credere che Domenico abitasse allora la casa fuori porta S. Andrea, e la mancanza dei libri livellarii, e di qualunque documento, ci tengono all’oscuro sull’epoca in cui cominciò a farlo. Comunque però sia, siccome il notaro stava di casa lì presso nel piano, é lecito supporre con fondamento che Domenico non abitasse molto lontano da quei luoghi, ova stavano tutti gli artefici dell’arte della lana, e dove una strada si chiama ancora adesso il Borgo dei lanaiuoli. — 126 — Ma tornando alla casa sua fuori porta S. Andrea, diremo clic egli continuò ad abitarla sino all e^ o a cui, colla famiglia, si trasportò a Savona, alloia a con cesse in affitto a certo Nicolò Malio. Di ciò ne certi ca un atto del 5 novembre 1476, rogato qui in enovata notaro Giovanni De Benedetti, mentre Domenico era domiciliato a Savona, leggendovisi habitdtoi a » quale cede al notaro Francesco Camogli 1 c circa lire 20 che teneva contro il Malio sue e^ , pigione della casa che' gli aveva affittata. occaston ^ sionis cuiusdam domus ipsius Dominici quam ten ducit etc. Covnna pei suoi Probabilmente Domenico, venuto da Sav ^ ^ affari, come talora soleva, aveva latto c< . • naie somma, che, non potuta esigere dal suo p dovette torre a prestito dal Camogli, facendogli cessione del credit0- . • indica a quale Invero nell’ atto sopra citato non si ^ delle due case egli si riferisca; ma siccome q ^ Olivella doveva il Colombo già avella ven1 u st0 epoca, come ci autorizza a credere 1 atto e ^ ^ 1473 in notaro Pietro Corsaro, con cui a » ajje Domenico aderisce alla vendita facendo rin essere ipoteche per le sue doti, ne consegue non po che 1’ altra fuori porta S. Andrea. piamo Un altro locatario di questa casa, che non sap^ se immediatamente succeduto al Malio , 0 ^ inquilini, è additato dal notaro Gio. Battista ^ ^ ^ in data 23 aprile 1490, con una quietanza di ne soldi 10, fatta da Domenico Colombo a Gio. a de Villa, calzolaio, ad complementum pensionis cuius - 127 - domus cum apotheca site Janue in burgo S. Stephani, in contrata porte S. Andree, sub suis confinibus quam. . . tenuit et conduxit . . ., et etiam pro resto r aedonis currentis inter cos de omnibus his que dicte partes agere habuerunt usque m diem et horam presentem. Come si vede, oltre ali' essere stato suo inquilino, il Villa ebbe qualche affare col Colombo, che forse durante la sua assenza a Savona lo aveva incaricato di curare i suoi interessi. Certo é che egli fu 1’ ultimo locatario della sua abitazione, giacché alla data dell’atto suddetto, era già quasi un anno che Domenico ne aveva dimesso il possesso a favore di suo genero Giacomo Bavarello, e molto dubitiamo che dopo il suo ritorno da Savona possa più aver abitato quella casa, cagione di lunghe liti col genero, e di tante spese per entrambi. L’ultima notizia che di Domenico Colombo si conosca, é il suo intervento al testamento di Carlottina Ver-nazza, sorella del celebre Ettore Ve mazza, fondatore dell’Ospedaletto, e moglie di Carlotto Pizorno, fatto in una casa dove essa allora si trovava, e già del padre di suo marito, nelle vicinanze di porta dell’Arco, prope portam arcus, a’ 30 di settembre del 1494. Ivi é indicato come olim textor pannorum lane quondam Iohannis, ma nulla vi é detto della sua abitazione, che però non si deve credere fosse molto lontana, solendosi i testimoni agli atti cercare fra gli abitanti vicini. La casa presso porta S. Andrea passò, come dicemmo, in possesso di Giacomo Bavarello genero di Domenico. L’atto del 21 luglio 1489, pubblicato nel Ragionamento, ce ne spiega la ragione. Domenico Colombo aveva una figlia che sposava a — 128 — Giacomo Bavarello, di professione formaggiaio, promettendogli una dote di lire 250 che non isborsava. Il genero perciò dopo qualche tempo faceva citare il suocero e condannarlo, e continuando costui a non soddisfare il suo debito, fece gli atti opportuni onde andare a possesso della casa. A questo si oppose Domenico come padre ed amministratore de’ suoi figli, Cristoforo, Bartolomeo e Giacomo, quali eredi della lor madre Susanna, per le doti della quale la casa era ipotecata. Sopra ciò molto si litigò e molto si spese, finché si venne ad amichevole componimento, che é il suddetto del 21 luglio 14S9 >n atti del notaro Lorenzo Costa, ove Domenico concede al genero il possesso della casa per lire 250, col patto di riscatto entro due anni, e contro il pagamento della somma suddetta. Il Colombo però più non la riprese, e la stessa investita definitivamente dai monaci al Bavarello, con atto del 31 marzo 1492, a rogito del notaro Gio. tonio Savignone, e coll’istesso canone che pagava suo suocero, come rilevo da un indice dei libri ove 1 1110 naci di S. Stefano trascrivevano in esteso gli atti livelli che concedevano (1); il quale indice è fatto su fine del secolo scorso e trovasi nell’ Archivio di tato Ma disgraziatamente non si può procedere nelle investi gazioni, perchè gli atti originali del notaro Savign°ne andarono abbruciati, e sono segnati nella nota bustorum, ed il libro dei livelli contraddistinto co lettera D, in cui l’atto era trascritto, non è fra quel pochi che si conservano in detto Archivio. (1) Da non confondersi detti Libri dei Livelli con i Manuali dei Livella” P volte citati. — 129 — È impossibile pertanto colla scorta delle sole carte del monastero di S. Stefano che si hanno, lo stabilire la posizione precisa della casa di cui ci occupiamo. Una approssimativa indicazione però si può dai registri dei livellarii ricavare, ed é che essendo i livellarii segnati prima di Colombo in molto minor numero di quelli che gli vengono dopo, la casa doveva trovarsi non lontana da porta S. Andrea, come d’altronde dicono i documenti; per cui dovendosene additar la posizione, non si sbaglierebbe di molto segnandola a sinistra di chi discende da detta porta, lasciato di poco a destra il vico di Ripaita. II. La suddetta conclusione era da me emessa la prima volta che mi occupai delle case di Domenico Colombo in un lavoro pubblicato nel 1881 (i). Ulteriori studi poi, e minuziose ricerche fatte, particolarmente nelle filze dei notai che registrano le enfiteusi concesse dai monaci di S. Stefano, mi posero in grado non solo di confermare la detta conclusione, ma di precisare in modo incontrastabile 1’ ubicazione della casa di cui é discorso. Nulla dirò della infinita quantità di carte, atti, registri che ho dovuto consultare ; accennerò solo come, per la interruzione nei libri dell abazia di S. Stefano, non (i) 11 Borgo di S. Stefano ai tempi di Colombo e le case di Domenico Colombo — stampato in prima nel mese di marzo 1881 sul Corriere Mercantile, e quindi in un opuscolo a parte di pag. 30. Genova, I ip. Pellas, 1881. Am Soc. Lio. St. Patii» Serie 1.*, Voi. XVII. potendo condurre le ricerche dai tempi antichi ai moderni, ho seguitato il sistema opposto, salendo cioè dai moderni agli antichi. E poiché dalle ragioni addotte più sopra risulta che la casa doveva essere fra quelle che trovansi nella accennata località, poco più poco meno rim-petto alla discesa di Ripalta, rivolsi le mie investigazioni a quella di proporzioni molto grandi, in confronto delle altre, e che ora porta il numero 39, supponendola un aggregato di più d’una dei tempi antichi, come é intatti, e perchè essendo stata sino a’ principii del secolo corrente soggetta a canone a favore dei monaci, potevo con maggiore facilità scoprire i possessori della medesima. Il buon esito mi fece convinto che non mi ero ìngan-gannato nella scelta; imperocché essendo venuto a conoscere che essa era formata dalle due, che ne tempi antichi appartenevano ai fratelli Pallavania, niun dubbio più mi restava che la casa di Domenico Colombo non dovesse essere quella piccola, a due finestre per piano, che le sta immediatamente attigua dalla parte di tramontana, e che ora è segnata col civico numero 37. Assodato ciò, volli conoscere in quali successivi possessori fosse quest’ ultima passata ed a quali vicende soggetta, ed in gran parte vi sono riuscito; ché se trovasi ancora qualche piccola lacuna, questa potrà sempre essere colmata. Ma ciò non potrà far mai cambiare la conclusione finale, che accerta essere la indicata casa al numero 37 quella che Domenico Colombo aveva in enfiteusi dai monaci di S. Stefano. Veniamo ora alle prove. La casa di Colombo è descritta dall’atto 21 luglio 1489, cum apotheca sub ea, viridario, puteo et vacuo eidcm — i3i — domui contiguis, positis Janue in contrata porte S. Andrec ctc.etc., ed in quanto ai confini, si rimette ad un altro che non si é mai potuto trovare. Ma a noi sono noti da diversi documenti, e già li abbiamo indicati. Essi erano allora : dalla parte della porta, cioè a mezzogiorno, le case dei Pallavania, dall’opposta quella di Antonio Bondi, alla quale confinavano i Piaggio da Zoa-gli, mentre i Pallavania avevano per vicini dall’altra parte Simone Sorba. Sul davanti poi, cioè a levante, stava la strada, il carrubeus rcctus, e di dietro, dopo i giardini, erano le moenia vetera civitatis. Aggiungerò ora che ai Piaggio, verso Ponticello, era attigua la casa di Brigida De Zino nata de Sauro, come appare da atto 22 gennaio 1473 del notaro Andrea De Cario, ed a costei la casa di un Bertono de Villa e quindi di un Giacomo de Villa. Dunque Sorba, Pallavania, Colombo, Bondi, Piaggio, Zino, De Villa, erano i possessori delle case di quella località e di esse tutte mi occorrerà dire qualche cosa, macché 1’ una coll’ altra si confortano colla indicazione O dei rispettivi confini. A maggior chiarezza poi, ed onde a colpo d’occhio si possano conoscere i successivi possessori delle stesse, ho unito una tavola ove tutti sono indicati, coll’ accenno agli atti ed ai documenti che vi si riferiscono, e che confermano il mio dire. Siccome però in essa ho preso per punto di partenza il manuale dei livellarii del 1457, al posto del Sorba, del Zino e dei Villa sopra notati, vedonsi i nomi dei possessori che li hanno preceduti. Ciò posto, prima di passare ad investigare i possessori che succedettero al Bavarello, accennerò ad un — 132 — atto, da me trovato da poco, che ha per oggetto la casa in discorso, ed è di molta importanza per la genealogia della famiglia Colombo, come quello che ci fa sapere il nome della figlia di Domenico maritata in Bavarello, la quale si chiamava Bianchinetta, e dei notizia di un figlio di e i a nome Pantahno. L atto e nelle filze del notaro Gio. Battista Parrisola, e segna la data del 26 ottobre 1517. Ivi si fa cenno del convegno fatto da Domenico Colombo col genero a 21 luglio 1489, v’é in parte la storia della vertenza occoisa fra di loro per la dote e per la casa, e porta in sostanza che Pantalino, come figlio ed unico erede di Bianchinetta, rinunzia a suo padre ogni diritto sulla casa per le doti materne, contro 1’ equivalente di due luo ghi e mezzo in S. Giorgio. A Giacomo Bavarello pertanto rimase la casa, ed egli la tenne parecchi anni, figurando il suo nome nei registri de’ livellarii del 1528 e del 1533, mancando alcuni ei precedenti, degli intermedii, come dei seguenti. In quello del 1540 appare un Nicolò de Turrilia, inve stito con atto del notaro Nicolò Pallavicini de Coronato, in data del 2 aprile 1538. Ma disgraziatamente quest atto non si trova, per cui non si può dire se il Torriglia sia succeduto direttamente al Bavarello, o se vi fu qualche 7 f altro possessore intermedio. Che la casa della quale entro a possesso il Torriglia sia proprio la nostra di cui ci occupiamo, si ricava poi anche dagli atti relativi a quelle dei Pallavania. Due erano le case nel carrogio diritto da essi possedute, una piccola, per cui pagavano il canone di soldi 11, danari 6, ed una molto grande col canone di lire 2, — 133 — soldi 12 e danari i. Per cui, e per vederla indicata come domus magna, con due porte, una delle quali pur distinta dalla qualifica di grande, e per altri indizii, bisogna credere che invero fosse molto ampia, e che in confronto delle altre potesse dirsi un vero palazzo. Entrambe ne’ tempi più antichi erano possedute dagli Adorno; e dai manuali dei livellarii del 1458 e del 1460, la prima è intestata a Benedetta moglie del quondam Giovanni Pallavania, e la grande a Giovanni Pallavania. Quest’ ultima è la contigua alla casa di Domenico Colombo, per cui molti atti che all’ una si riferiscono, indirettamente anche all’ altra si possono riferire. Gicà vedemmo, come tre botteghe di dette case, con atto del 5 novembre 1531 a rogito del notaro Nicolò Pallavicini de Coronato, fossero vendute, e che nella indicazione dei confini relativi alle stesse si accennasse alla casa di Domenico Colombo allora del Bavarello. Qui dirò che i compratori di esse erano Andrea, Pagano e Gio. Battista, fratelli e nipote Promontorio-De-Ferrari, ricchi setajuoli, della famiglia del moderno Duca di Galliera. Il venditore poi era Giacomo Antonio Pallavania del fu Stefano, ascritto alla nobiltà nell’ Albergo Spinola, il quale con atto del 9 luglio 538, redatto dal notaro Paolo Abbo, vendeva la casa piccola, eccettuatone 1’ appartamento superiore, a Benedetto Merea de Savignono, investito dai monaci addi 28 luglio 1542, con atto di Nicolò Pallavicini de Coronato, e col canone di soldi 11 e danari 3. Ivi si legge che i monaci di S. Stefano da-- vano a livello Benedicto Merea de Savignono callegario quondam Iacobi etc. . . . quandam apothecam cum tribus solariis etc. . . • cuiusdam domus site Janue in burgo - 134 - S. Stepham subtus portam S. Andree, cui coherent ante via publica retro viridarium dicti monasterii, conductum m emphiteusm perpetuam per lacobum Antonium Spinulam Pallavamam quondam Stephani, ab uno latere domus dicti monasterii conducta per heredes quondam . . . (i) uxoris ultimo loco Manuelis Barbenigre, et ab alio latere domus dicti monasterii conducta per dictum lacobum Antonium Spinulam Pallavaniam et si qui etc. ctc.....Et est illa apotheca cum tribus solariis etc. . . . que etc. . . . conducebat dictus Iacobus Antonius Spinula Pallavania, etc. sub annuo tcrratico seu canone soldorum undecim et dana-riorum septem etc. ... et quam apothecam cum tribus solariis etc. . . . aquisivit a dicto lacobo Antonio ut constat vigore publici istrumenti scripti manu Pauli Abbo notarii etc. etc. Come si vede, non si accenna nell’atto a tutta la casa, ma ad una bottega ed a tre appartamenti, locché fa supporre che vi fosse un’ altra bottega, la quale certo era una delle tre già vendute dal Pallavania ai De-Ferrari nel 1531, ed appunto quella che dal manuale dei livellarii del 1540 é segnata come da quest’ultimi venduta a Benedetto Merea de Savignono dal 6 novembre 1532 (2). In quanto agli appartamenti sono venduti solo tre, essendo il quarto, quello a tetto, rimasto al Pallavania. Infatti costui a’ 26 aprile 1543, in atto del notaro Gio. Giacomo Cibo Peirano, vendeva la casa grande assieme al suddetto appartamento a tetto della piccola, a (1) Il nome di questa donna è illeggibile, tanto è scellerata la scrittura del notaro. (2) In detto Manuale si legge: Andreas De Promontorio De-Ferrariis prò tri-bus apothecis de quibus vendidit una Benedicto Merea de Savignono caJegario. Sol. X. - i35 - Cristoforo Piola del quondam Gregorio, della famiglia dei nostii rinomati pittori, il quale ne aveva rinvestitura ai 9 maggio seguente, in atto del citato Nicolò Pallavicini de Coronato, coll’annuo canone di lire 2 e soldi 12. La casa vi é così descritta: Quandam domum cum duabus apothecis positis sub dieta domo, et cum quodam solam superiori, quod est in quadam domo contigua quam Benedictus Merea de Savignono titulo perpetue locationis tenet et conducit a dicto monasterio etc. ... et quoddam viridat imi positum retro dicta domus, cum puteo in dicto viridario etc. . . . excluso quoddam scagno, quod est positum supra troynam scalle porte magne dicte domus ‘ Qlie quidem domus etc.....est sita Janue contiata S. /Indice, m carrubeo recto per quem itur ad p ateain Ponticelli, et cui quidem domui coheret ante via pu ica, retro dictum viridarium, et ipsi viridario in capite coherent menia antiqua civitatis Genue, ab uno latore cojc/et domus dicti monasterii, conducta per Benedictum er eam ce Savio nono, ab alio latere domus dicti monasterii coiuucta per Nicolaum de Turrilia, et dicto viridario co-herent ab uno latere aliud viridarium dicti Nicolai de Turrilia, emphiteuta dicti monasterii, et dicto solario cohc-rent■ superius tectum, et infra alia 'solaria domus dicti Benedicti, ^ etiam emphiteuta dicti monasterii, et si qui etc. . . . et est illa domus cum apothecis et solario et viridario cum puteo, quam a dicto monasterio in emphiteusi perpetua tenebat et conducebat Iaeobus Antonius Spinola Pallavania quondam Stephani etc. . . . sub annuo terratico librarum duarum et soldorum duedecim Janue, et que domus dictus Cristophorus titulo emptionis etc. . . . acquisivit a dicto lacobo Antonio etc. etc. Dalla quale descrizione, che concorda con la precedente, si conosce che la casa grande Pallavania che si vendeva, mentre da un lato aveva l’altra già Pallavania, ossia la piccola, allora del Merea de Savignono, dall’ altro aveva quella di Nicolò de Turrilia; per cui resta pienamente dimostrata la successione di costui nella casa già di Domenico Colombo. Senonchè, oltre questa casa, il Torriglia si era reso acquisitore anche di un’altra casa nelle vicinanze, cioè di quella già di Bartolomeo de Clavaro, e poi dei Zino, di cui era investito a’23 febbraio 1544, in atto del notaro . Nicolò Pallavicini de Coronato. Dove è cosi descritta. quandam domutn sittam Janue in contrata porte S. Andree, in carrubeo recto, cui coheret ante via publica, retro viridarium Baptiste de Honeto in parte, et in parte viridarium dicti Nicolai emphiteuta dicti monasterii, ab uno latere domus dicti Baptiste de Honeto, et ab alio latere domus heredum quondam Bernardi Putei, emplnteute cheti monasteri, et si qui etc. ... et est illa domus que a dicto monasterio in similem emphiteusim perpetuam tenebat et conducebat Stephanum de Grimaldis de Zino quondam Jcronimi et Jeronimus de Zino etc. ... sub annuo terratico soldorum quatordecim etc. . . . prò annuo terratico seu canone etc. . . . soldorum quatordecim etc. Dalla qual descrizione risulta che questa casa, dalla parte posteriore, confinava col giardino di quella, una volta di Colombo, posseduta pure dal Torriglia, come dicono le parole, retro . ... et in parte viridarium dicti Nicolai etc. Fra di essa e quella di Domenico Colombo erano le case dei Bondi e dei Piaggio, piccole anche esse, ma un po’ più grandi di quella di Colombo, e senza giardini, e che un — 137 - ' atto del 17 agosto 1513 nelle filze del notaro Baldassarre Pallavicini de Coronato indica come già assieme incorporate e formanti una casa sola, col complessivo canone di soldi 29, ed in possesso di certo Antonio de Copellis di Castiglione : Domus duas contiguas, in unam postmodo reductas, cum vacuo et puteo, sittas in burgo S. Stephani in carnaio recto usque in Mulcentum, cui coheret ante via publica, ab uno latere domus Iacobi Bavarelli et ab alio latere heredum Raphaelis de Zino, retro menia antiqua . civitatis Janue. L’atto è un convegno col monastero di S. Stefano per l’affrancazione di esse, il quale trova riscontro nel manuale dei livellarii del 1533, ove la casa é segnata in possesso degli eredi Pozzo, coll’avvertenza: dicitur franca, e dopo d’allora più non figura nei manuali. Il Torriglia, possessore delle due case laterali alla sopra accennata e dei giardini che vi erano alle spalle, vi esegui dei cambiamenti e delle costruzioni che ne mutarono la forma nella parte posteriore, occupando qualche spazio nei giardini, onde esse restavano in certo qual modo unite e dipendenti l’una dall’altra, con reciproche servitù; mentre fra di esse stava incastonata la casa già Bondi Piaggio, affrancata dal monastero. I suoi affari però non sono continuati molto tempo bene. Melchiono Lomcllino conseguì estimo sulle possessioni di lui a’ 21 giugno 1546, con atto del notaro Lorenzo Capurro ; e quantunque non si sia potuto trovare quest’ atto, non si può dubitare del fatto, perché confermato da istrumenti del 7 e del 23 settembre 1557, a rogito del notaro Gio. Giacomo Cibo-Peirano, che vedremo in appresso. Ma il Lomellini non andò in possesso che dei giardini. Le case caddero in Oberto Giustiniani-Morchio, che ne fu investito addì 4 agosto 1548, con atto del notaro Nicolò Pallavicini de Coronato, e col canone di soldi dieci per la casa già di D. Colombo, e cosi con un soldo di meno, perché più non vi era compreso il giardino, e di soldi quattordici, come prima, pej; l’altra. Quandam domum cum vacuo, sittam Janue in contrata porte S. Andree, in carrubeo recto, cui dolimi cum vacuo coheret ante via publica, ab uno latere domus Baptiste de Honeto mersarii quondam Iohannis Franciscì, ab alio latere domus heredum quondam Antonii de Castiliono, emphiteute dicti monasterii, retro menia antiqua civitatis Janue etc. . . . Itein quandam aliam domum, excluso viridario, sittam Janue in dieta contrata, cui coheret ante via publica, ab uno latere domus Christophori Piole emphiteute dicti monasterii, ab alio latere domus dictorum heredum quondam Antonii de Castiliono emphiteute dicti monasterii, retro menia antiqua civitatis Janue etc. . . . et sunt ille domos due cum vacuo et cum viridario contiguo dicte domui, que quondam Nicolaus de Turrilia quondam Iohannis pro se tenebat etc. . . . videlicet respective dicte domus cum vacuo, soldorum quatuordecim Janue et alterius domus, comprehenso dicto viridario, sub annuo terratico seu canone soldorum undecim Janue etc. Nell’atto segue la storia della peripezie legali a cui le case andarono soggette, e quindi si dice, che l’investitura fatta al Giustiniani-Morchio è col canone di soldi quattordici per una, e di soldi dieci per l’altra, perché exluso viridario, e relieto soldo uno supra dicto viridario contiguo. - r39 - Un qualche interesse però continuò ad avere tuttora sulle stesse il Lomellino, finché essendosi convenuto che avrebbe rinunziato ad ogni suo diritto a favore del Giustiniani-Morchio, questi ottenne una nuova investitura, addì 23 aprile 1555, in atti di Agostino De Franchi-Molfino, ove é ripetuta la storia delle vicende legali della casa, e vedonsi colla stessa descrizione sopra riportata indicati i medesimi confinanti, e stabilito il canone di soldi quattordici per una e di soldi dieci per l’altra, ex-eluso viridario, pel quale rimane fissato un soldo; ed il Lomellini, con atto del 29 maggio, a rogito del notaro Domenico Conforto, gli faceva cessione di ogni suo diritto che restava convenuto e liquidato in lire 1125. Da tutti questi documenti risulta come le due case poste all’ incanto, fossero in prima deliberate a Bartolomeo Grimaldo Fereto, nomine exclarando, e come, dopo varii incidenti di procedura, finissero definitivamente intestate al Giustiniani-Morchio. Il giardino poi, rimasto proprietà assoluta del Lomellino, fu dagli eredi di costui venduto a Battista de Oneto del quondam Giovanni Francesco per lire 180, come da atti del 7 e 23 dicembre 1557, a rogito del notaro Gio. Giacomo Cibo-Pei-rano, dai quali appare che nello stesso era stata costruita una casuccia allora rovinata. In detti istrumenti, fatti da Antonio Lomellino del quondam Melchiono, il primo dei quali è una promessa di vendita ed il secondo la vendita, si legge: quoddam viridarium cum vacuo, positum extra portam S. Andree, cum quadam domuncula dirupta etc. . . et sunt illa bona in quibus dictus Melchion consecutus est extimum tanquam in bonis quondam Nicolai de Turrilia etc. — 140 — Di questo ricevette la debita investitura dai monaci ai 3 febbraio 1560, per rogito del notaro Agostino De Franehi-Mollìno, ove si enunciano i confini: quoddam viricUrium cum vacuo et domuncula dirupta positum extra portam S. Andree, cui coheret ante domus que fuit quondam Nicolai de Turrilia, et mine Oherti Iustiniani Murchii, retro menia antiqua, ab uno latere dictus Baptista etc. L’investitura è fatta per un soldo all anno. Solo un decennio tenne le due case il Giustiniani-Morchio, che a’ 26 novembre del 1559 ne taceva vendita a Gerolamo Maragliano del fu Giacomo, per lire 2300, da pagarsi entro quattro anni. Dall’atto, redatto dal notaro Domenico Conforto, si vede che la casa che in parte la separava, quella cioè formata dalle case Bondi e Piaggio, era allora di uno Stetano Merisano. Le case vendute sono così descritte: domos duas ipsius Oberti cum apothecis, sitas in contrata S. Andree in carrubeo redo, cui altera cum fundico et cisterna coheret antea via publica, ab tino latere domus Baptiste de Honeto, ab aio latere Stephaniis Merisanus, retro viridarium dicti Bapti ste de Honeto, et si qui etc., et altera vero coheret antea via publica, ab uno latere domus Cristophori Viole, ab^ aio latere in parte domus dicti Stephani et in parte viri a rium dicti Baptiste de Honeto, mediante fundico domus dicti Oberti, ut supra dicto Ieronimo vendite, retro vi ridarium dicti Baptiste, et si qui etc. . . . cum omnibus et singulis juribus et pertinentiis. ... ac jura que ha et in fundico et puteo etc. etc. L’ atto di investitura non mi venne fatto di veder 0 nemmeno indicato ; ma siccome fra i patti della vendita eravi quello che Oberto sarebbe stato a possesso della - I4I - casa finché il Maragliano gliela avesse completamente pagata, può essere benissimo che non sia mai stato fatto. Il Maragliano, dopo pochi anni, vendeva la casa già Colombo ad uno Stefano Magliocco. Questo consta da atto di Domenico Conforto del 6 maggio 1564. Ivi la casa é indicata cum apotheca ei fura que habet in fundico ubi est puteus, et in ipso putco; e la vendita fu fatta per lire 1065, che il compratore obbligossi a pagare parte subito e parte entro qualche tempo ad Oberto Giustiniani-Morchio , essendo costui ancora creditore del Maragliano. In un aggiustamento di conti poi, fra questi due, fatto lo stesso giorno e collo stesso notaro, la casa venduta è indicata col qualificativo di piccola, domus parva, in confronto dell’altra rimastagli: la qual cosa é una prova della poca entità della medesima. L’anno seguente, ai 9 di agosto, il Magliocco ne aveva l’investitura per soldi dodici all’ anno, con atto del notaro Agostino De Franchi-Molfino, ove leggesi : Domum quandam cum apotheca, juribus et pertinentiis, et jura que habet in fondico ubi est puteus et in ipso puteo, cui coheret ante via publica, ab uno latere domus Ste-phani Merisani et in parte alius fundicus domus Hyero-nimi Maraliani, in quo dictus Stephanus, respectu dicte domus sibi locate, jus habere pretendit, ab alio latere Christophorus Piola, retro Baptista de Honeto, et si qui etc.....et est illa domus quam a dicto monasterio in similem emphiteusim perpetuam tenebat et conducebat dictus Hieronimus Maralianus, et quam dictus Stephanus titulo emptionis emit a dicto Hieronimo, ut constat instrumento scripto manu Dominici de Conforto notarii, anno pro- — 142 — xime preterito die VI mai, etc. etc. Ad habendum etc.... prò et sub annuo terratico seu canone etc.... soldorum duodecim lanuc. Dopo il Magliocco, il possessore che succede e Gio. Battista Zerbi. Nei manuali dei livellarii degli anni 1578, 1590 e 1595, è segnato come investito a 2 dicembre 1569, col canone di soldi dodici, in atto del notaro Agostino Mollino, e più d’un soldo pel vacuo, ma detto atto non mi riusci di trovare, nonostante le più accurate ricerche. La successione però del Zerbi nella casa già Colombo è provata da molti altri documenti, come si vedrà in appresso. Egli poi, addì 11 gennaio 1571 » comperava pure da Battista de Oneto, con atto del no taro Antonio Giustiniani - Roccatagliata, una parte de giardino già appartenente alla casa Colombo, rimasto a Lomellino e da questi rivenduto all’Oneto, con gli atti sopra citati del 7 e 27 dicembre 1557. La vendita al Zerbi era fatta per lire quaranta, e col patto che sopportasse tutto il canone di un soldo che gravava sul giardino, quantunque di questo non fosse venduta che una parte, cioè quella soprastante al fundicus, già dal Zerbi posseduto. Nell’atto di investitura concessa gli da’ monaci, a rogito del notaro Agostino De Fran chi-Molfino addì 29 gennaio 1571, così ^ descritto. vacuum, quod alias dicitur fuisse ter r aciam, existens supra canepam domus dicti Baptiste de Zerbi, et seu aer supra dictum vacuum etc. . . . positum Janue in contrata poi te S. Andree, cui coheret versus dictam portam S. Andree domus Baptiste de Piola et fratrum, versus viam publicam domus dictis emptoris, et domus quondam Ierommi Marra- - 143 - Invìi, et iib (tlits partibus domus seu viridarium Baptiste dt Honcto etc. ... et est illud vacuum seu aer quod etc. . . . di et us Baptista de Zerbi emit et acquisivit a dicto de Honeto, ut constat ex instrumento scripto manu Antonii Iustimani notarii anno presente, die XII lanuarii etc. La storia della casa grande Pallavania contigua a quella di Colombo, é importantissima, come ho avvertito, per le nostre ricerche, tanto più perché la serie dei successivi possessori di essa si può condurre sempre sulla scorta dei relativi documenti di compre-vendite, di investiture od altri, fino ai nostri giorni, come può vedersi dalla tavola ove sono indicati tutti i contigui alla casa di Domenico Colombo. Qui ci interessa segnare che a Cristoforo Piola successero i suoi figli Battista, Pietro e Michele, a costoro tenne dietro nel 1571 il patrizio Ambrogio Doria, nel 1595 un Vincenzo Levagio, e nel 1596 un Gio. Battista Ottone, e che in tutti gli atti relativi è sempre indicato da quella parte come confinante Gio. Battista Zerbi, od i suoi eredi, onde è provato pienamennte il possesso di lui nella casa già di Domenico Colombo. Battista Zerbi era un tornitore, che teneva anche bottega da mereiaio, e nel 1578 ai 12 giugno, con atto del notaro Gio. Battista Pagano, acquistava pure un’altra casa un poco più in giù, che i monaci gli davano in enfiteusi a’ 17 giugno 1578, con atto del notaro Agostino Molfino e col canone di soldi dodici. Egli moriva il 5 giugno del 1591, e nell’inventario dei beni della sua successione, fatto quel giorno medesimo in atti del notaro Gerolamo Oneto, le sue case sono - 144 - chiaramente indicate, e quella di Colombo è così descritta: E più un’altra (casa) nella quale habita la famiglia di detto quondam Battista in parte, et tn Paìtc Laurentio de Gregorio et Andrea Mensano, quali r l ndono lire 48, cioè lire 24 per ognuno, posta tu detta contrada de carrogio dritto, alla quale confina davanti la pub ica via, da un lato il Magnifico Ambrogio Dona quon am Obcrti, e di retro le dette mura della città. Come si vede il Zerbi non abitava tutta quanta la casa, essendovi due mezzani affittati, i quali dovevano csscie il primo ed il secondo, giacché dal di lui testamento del 31 maggio 1591, in detto notaro Gerolamo neto, e da altri atti, si conosce che abitava nel solario a tee 0. Ma siccome da quelli della divisione seguita, 1 isu ta c oltre questo a tecto, la casa era composta di tre bisogna credere che il Zerbi anche quello sottosta tenesse per uso suo e della famiglia, piuttosto num rosa, come che composta di moglie in seconde nozze, tre maschi e tre femmine, una però alla sua morte maritata, e colle inevitabili questioni di matrigna gliastri. . r 1 . La di lui eredità stette indivisa parecchi anni, n due de’ suoi figli, che nel frattempo si erano fatti nel monastero di S. Francesco di Paola, ne promoss ^ la divisione sotto la data del i.° luglio 1617, come a^, atti giudiziarii del notaro Filippo Camere, divisione c fu compita nel settembre, e ripartita in tre ^ P01^21^ ’ quanti erano i figli maschi del Zerbi, salvi i diritti moglie e la dote alle figlie ancora nubili. In seguito a ciò la maggior parte della casa già Coloni cioè la bottega e tre appartamenti, excluso solano a tecto, - 145 - toccò a Mario Zerbi, rappresentante suo padre Marco Antonio, figlio primogenito di Battista; ed essendo Mario ancora minorenne, negli atti relativi figurano i suoi tutori e fedecommessarii. Costoro, dopo qualche anno, misero all’incanto la parte toccatagli; ed infine con atti 5 febbraio e 13 marzo 1619, in notaro Gio. Agostino Cuneo, la vendettero a Gio. Battista Ottone, ove vedesi descritta con queste parole: Triti soiaria, primum secundum et tertium in ascendendo, cum apotheca sub eis, aliisque juribus et pertinentiis, domus site Janue in vico recto a porta Sancti Andree eundo versus Ponticellum, quibus coheret ante via publica, retro menia vetera civitatis, ab uno latere dictus D. Baptista Octonus et ab alio latere bona Andree Meritimi. Consimile descrizione, coli’aggiunta della clausola: excluso ultimo solario a tecto, trovasi nella investitura che l’Ottone ebbe dai monaci di S. Stefano addì 20 marzo seguente, con atto del notaro Giacomo Cuneo, ove si dice pure che detti solai appartengono alla casa già investita a Battista Zerbi, con atto del notaro Molfìno e col terratico di soldi dodici, il quale allora veniva ridotto a nove, salvo il diritto di aumentarlo 0 diminuirlo previa dichiarazione da farsi entro un mese. Battista Ottone, che, come già ho detto, aveva sino dal 1596 acquistato da Vincenzo Levagio la casa grande dei Pallavania, acquistava pure nel 1624, in atti del 10 e 12 dicembre, ricevuti dal notaro Agostino Cuneo, la casa piccola di essi Pallavania; e con ciò restava padrone di tre case contigue nel carrogio dritto, eccettuato 1’ ultimo solaio a tetto della casa Colombo. In chi sia andato questo invano ho cercato, chè son muti su tale proposito gli istrumenti della divisione Atti Soc. Lio. St. Patria. Scric 2.a, Voi. XVII. 10 — 146 — Zerbi, e di esso per qualche tempo non si hanno più notizie. A Gio. Battista Ottone succedette suo figlio Bartolomeo, il quale con atto del 3 gennaio 165 3> notaro Innocenzo Sestri, vendette a Giacomo Lavarello le case ereditate dal padre. Esse vi sono particolarmente descritte: in prima, la casa grande già Pallavania, poi gli appartamenti, primo e secondo e la bottega della casa già Colombo, e quindi la casa piccola già Pallavania, divisa in tre appartamenti comprati con due atti distinti. E la stessa chiara e precisa descrizione si vede in quello deli’ investitura che gliene fecero i monaci a 3 febbraio, a rogito di G. B. Badaracco, ove per la casa Colombo si dice : Duo soiaria, primum scilicet et secundum in ascendendo, cum appotheca sub eis . . . domus posite ut supra (in carrubeo recto extra portam S. Andree), cui coherent ante via publica, retro menia vetera civitatis, ab uno latei c dieta domus magna, et ab alio latere bona Andree Me rimani. ^ Il canone stabilito é indicato per la casa grande in lire 2, soldi 12; pe’ due solai e la bottega della casa già Colombo in soldi 9; e per i tre solai e la bottega del l’altra in soldi 11 e danari 7 : formanti in complesso la somma di lire 3, soldi 12, danari 7. Come vedesi da questi atti, della casa Colombo non sono indicati che due soli mezzani, il primo e il se condo, onde deve ritenersi che precedentemente anche il terzo ne fosse stato smembrato e caduto in qualche altro possessore. Relativamente al canone mantenuto per gli appartamenti della casa Colombo, nella stessa somma come quando v’era anche compreso il terzo, osserverò che 1 — 147 — monaci, procuravano sempre nelle nuove investiture di accrescerlo, o si riservavano il diritto di farlo entro un dato tempo, e che nei trapassi esigevano una somma, la quale nell ultimo accennato ascese a lire milleduecento pagate dal Lavarello. Costui, previo consenso ottenuto dai monaci collo sborso di duecento scudi d’oro, con atto 22 giugno 1662, si associò nell’enfiteusi un Angelo da Sori, suo parente, col patto di poterlo con altri surrogare. Infatti con testamento del 29 settembre 1664, in notaro Pelle-gro Solaro, nella casa piccola già Pallavania sostituiva in gran parte suo genero Stefano Sciaccarame, che a 20 agosto 1683 in atti di Antonio Maria Ceresola, era riconosciuto dai monaci, e nel rimanente degli stabili, cioè nella casa grande già Pallavania, e nella bottega con i due mezzani della casa "già Colombo, Maddalena Da Sori nata Dagnino, sua nipote. In questi tempi e precisamente nel maggio del 1684 la flotta francese, d’ordine del Re Luigi XIV, bombardava Genova, ed oltre tredicimila bombe grandemente la danneggiavano. Il borgo di S. Stefano, appunto perché più prossimo al mare dove era la flotta, fu la parte della ' città che più ne soffrisse; e molte delle sue case, specialmente nel carrogio dritto e di quelle onde noi ci occupiamo , non erano che mucchi di rovine. Ognuno può immaginai si quale confusione di interessi, di confini, e di diritti relativi a queste case sia avvenuta a seguito della loro distruzione, ove si consideri che spesso diversi erano i possessori di una di esse e che quasi tutti avevano altre case 0 mezzani contigui. A ciò si aggiunga che dopo quel rovinio molti non essendo in grado di — 148 — ricostrurle vendevano i loro diritti agli altri; né fi a questi mancarono gli speculatori che facevano incetta di case e di mezzani, o del diritto sopra gli stessi, essendo la casa distrutta, che poi rivendevano, permutavano e cedevano secondo i loro interessi. Gli atti notarili, i manuali dei livellarii, tutti i documenti insomma risentono di questa confusione, e pei un pezzo sono pieni di errori nella descrizione delle case, nella enumerazione dei confini, nelle indicazioni reatne agli atti, ed ai nomi dei possessori precedenti, onde a ^ bisognano la massima attenzione, ed i confronti 1 più accurati per non esser tratti in errore. La Maddalena Da Sori, che ultima vedemmo in possesso della casa grande Pallavania, non avendo mezzi per riedificarla dopo che era stata distrutta dalle bom decise a venderla. Per ciò, addì 22 agosto 1689, c^ atto del notaro Bartolomeo Silvano, faceva procuri suo nipote, Paolino Da Sori, al quale era debitrice alcune somme, perchè ne curasse la vendita, e co sola che sul prezzo di essa egli si dovesse compen del suo credito. Paolino, infatti, ai 6 marzo 169°’ atto del notaro Nicolò Maria Bobbio, ne effettua vendita al patrizio Silvestro Grimaldo, pei lire 2200. Nell’ atto, che è scritto in italiano, leggesi in p ^ la storia di questa casa, con accenno ai diveisi pr ^ denti, dalla vendita di essa fatta dal Doria al Levagio, sino allora, ed ai titoli in forza dei quali era posse dalla Maddalena Da Sori. . In che stato fosse si rileva da questo passo. s$en poi vero che detta casa grande, e tre botteghe sotto di essa nel mese di maggio dell’ anno 1684, SiCl stata diroccata - 149 - incendiata dalle bombe, in modo che ora altro non vi resta che detto giardino, e il sito della stessa casa pieno di gettito, e che conoscendo la predetta Maddalena, figlia del quondam Domenico Dagnino e vedova del detto quondam Angelo Dassori di non aver forma di far riedificare detta casa ecc. ecc. L’atto non ne segna particolarmente i confini , né la descrive, dicendo soltanto : il sito o sia siti di detta casa grande e giardino, posti in detto carrogio di S. Andrea. . . . sotto ai suoi rispettivi confini, e rimettendosi alla descrizione fatta negli atti precedenti, in esso citati. Il Grimaldi, un anno circa dopo la compra di questa, acquistava pure dagli eredi del Sciaccarame, a rogito del notaro Gio. Battista Ugo a’ 18 aprile 1691, l’altra casa già Pallavania; e di entrambe ai 2 di settembre 1691, in atti del notaro Antonio Maria Ceresola, era investito dai monaci, col canone di lire 3, soldi 10 e denari 7. Da questo atto, giacché quello di vendita non l’ho potuto trovare, si conosce che anche l’altra casa Pallavania era stata devastata dalle bombe. Ivi si legge: Fundum domus a bombis dirupte, cum viridario, situm Gonne in vico recto Sancti Andree, cui coherent ante via publica, retro, a parte dicti viridarii, menia antiqua civitatis, ab uno latere aliqua soiaria seu appartamenta quondam Bartolomei Ottoni, et ab alio latere bona quondam Antonii Rolle, et si qui etc. E questa é la casa grande Pallavania. Item fundum alterius domus, pariter a bombis dirupte, situm in dicto vico Sancti Andree, cui coherent ante via publica, ab uno latere fundus domus prodicte, et ab alio latere D. Filippus Regalius, et si qui etc. E questa è la piccola pure Pallavania. - 150 — Come si vede, se il notaro fu esatto nella descrizione dei confini di quest’ultima, che segna contigua alla prima da un lato, ed al nuovo vicino, il Rezoagli, dall’ altro, non lo fu per la casa grande Pallavania, che invece di indicare come avente da un lato la casa piccola Pallavania, nota Antonio Rolla, che in parte la possedette un centinaio d’anni prima, e dall altro, ove è la casa Colombo, pone gli appartamenti in capo di Bartolomeo Ottone, il quale da quarant’ anni più non li possedeva. La cosa però si spiega da che il notaro si regolò pei questo dagli atti antichi, e particolarmente da quello di investitura fatto a Gerolamo Lavarello addì 3 febbraio 1653 C°1 notaro Gio. Battista Badaracco. Nessuna cognizione pertanto si può ricavare dai sud detti istrumenti per la casa di Domenico Colombo, ne per i mezzani della stessa già posseduti dal Lavai elio. Ma bisogna credere che costui, 0 la Da Sori, ne abbiano disposto con qualche atto che é sfuggito alle mie licer che. E dal non trovarne più memoria nei libri di S. Ste fano, si ha la prova che i nuovi possessori, ad eccezione ,di uno, li avevano liberati dalla dipendenza di detto monastero, affrancandoli dal canone. Dico ad eccezione di uno, perché due atti in data ^ e 9 marzo 1690 del notaro Angelo Maria De Ferrari ci insegnano, che i fratelli Martino e Pietro Paolo de quondam Antonio Carbone, vendevano a Giuseppe Mor biono del quondam Nicolò, l’area di una casa stata di rapata dalle bombe, con un poco di giardino annesso a detta casa, posta in Genova nel carrogio di S. Andrea, ed anche l’jus di prender l’acqua dal po^o, che è in un vuoto - I5I - contiguo a detta casa; a quali beni confinano, sotto pa-dron Paolino Da Sori, da un lato detto Paolino, dall'altro il Signor Benedetto Costa in parte, e in parte detto Mor-biono, et al detto giardino il Signor Carlo Ottone etc. Il quale mezzano dichiarato soggetto al canone di soldi 4 a favore dei monaci di S. Stefano, veniva da costoro investito al Morbiono, elevandone la prestazione a soldi 5 e denari 3, come da atto del notaro Antonio Maria Ceresola, in data 20 aprile 1690. Che questo mezzano sia quello della casa Colombo, che trovammo sfuggito alle nostre ricerche dall’ epoca della divisione fatta dai Zerbi, non v’ ha luogo a dubitare, troppo chiaramente risultando dalle indicazioni dei possessori confinanti. Il padrone Paolino Da Sori, che figura fra costoro, certo vi é posto invece dell’ava sua Maddalena Da Sori, che possedeva i mezzani inferiori al venduto e la casa contigua già Pallavania. Noi lo vedemmo procuratore di lei per la vendita di detta casa, creditore di danaro a lei prestato; e tutto ciò fa credere che egli ne curasse gli affari e gli interessi da vero padrone, e potesse esser considerato e creduto tale. Benedetto Costa é uno dei fratelli possessori della casa dal lato opposto, che erano succeduti agli eredi Merisano. Oltre a ciò, nell’atto di investitura sopra detto si dice che 1’ appartamento già era stato investito a Battista Zerbi; e se il notaro Ceresola prende equivoco nella citazione dell’ atto di questa antica investitura, non deve far meraviglia, nella confusione generale seguita al bombardamento alla quale ho accennato, resa anche maggiore nel caso presente dal fatto che il Zerbi ebbe parecchie investiture di case, di mezzani, di botteghe, - I52 - tutte più o meno vicine nella stessa strada, e da lui poi cedute e rivendute, in guisa tale che alla sua morte si trovò possessore di sole due case, come risulta dal-l’inventario della sua successione a suo tempo accennato. 11 Morbiono, compratore del mezzano a tetto della casa Colombo aveva, qualche tempo prima, acquistata un’ altra casa nella stessa via, e precisamente quella che a’ tempi di Colombo apparteneva a Bartolomeo De Cla-varo, e che quindi vedemmo passata nei Zino, nel Torriglia, nel Lomellini ed in altri ; casa che dalla parte dei giardini, per i lavori e gli accrescimenti fattivi, veniva a confinare con la casa Colombo, restando, come già ho notato, racchiusa in mezzo di esse, quella formata dalle due, l’una dei Bondi e l’altra dei Piaggio, la quale affrancata e passata nei Copelli di Castiglione, nei Pozzo, nei Merisano, appare dagli ultimi atti dei fratelli Costa. In quanto agli altri appartamenti ed alla bottega della casa Colombo, od a meglio dire ai ruderi ed ai diritti sopra i medesimi, non ne ho trovato più accenno nelle carte di S. Stefano ; e ciò conferma la mia credenza che siano stati affrancati. Ma che siano essi pure caduti in possesso del Morbiono, si può argomentare da una protesta del 30 gennaio 1690 in atti del notaro Tomaso Borlasca, fatta dalla Maddalena Da Sori contro del medesimo, per certi lavori che volea fare nella casa : Coepit construi et fabricari facere murum in vicinia S. Andree sub suis confinibus, qui pro maiori situ fuit et est ipsius^ constitute. La protesta fu replicata da Silvestro Grimaldi non appena si rese acquistatore della casa Pallavania. Da queste poi ebbe origine un convegno fra il Gn- - »53 - maldi e il Morbiono, stipulato in atti del notaro Nicolò Maria Bobbio addi 22 marzo 1690, che spiega il genere dei lavori incominciati dal Morbiono con queste parole: Essendo vero che il Sig. Giuseppe Morbiono quondam Nicolò facci riedificare una casa posta nel carrogio dritto di S. Andrea della presente città-, a cui confinano da una parte li siti di una casa grande che /’ IH.”'0 Signor Silvestro Grimaldi quondam 111."" Augustini, ha ultimamaente comprata da Maddalena figlia del quondam Domenico Dagnino, e vedova del quondam Angelo Da Sori, e anche pretendendo esso Giuseppe servirsi d’un vacuo che divide dette due case, in cui corrispondevano qualche finestra di detta casa grande, che a memoria d’uomini è sempre stato scoperto, al che essendosi opposta detta Maddalena e doppo di lei il predetto III."10 Sig. Silvestro, con essere anco stato proposto querella alla forma dello Statuto di Genova de invasore possessionis rei alienae, come si asserisce dagli atti del notaro Tomaso Andrea Borlasca, ai quali per verità si abbi relazione etc. etc. In quest’ atto furono poste le basi di un amichevole componimento, acconsentendo il Grimaldi alla chiusura di alcune finestre nel vuoto che voleva occupare il Morbiono , ed obbligandosi questi ad aprirle dalla parte dei giardini. A Giuseppe Morbiono, morto sulla fine del secolo scorso, successero i figli Giovanni Battista ed Antonio, nonché due figlie; e nell’atto costitutivo della dote di una di esse, sposa di Gio. Battista Casanova, redatto dal notaro Cipriano Dondo addi 6 gennaio 1700, é fatto cenno della casa situata nel carrogio diritto da S. Andrea ci Ponticello, sotto confini, dinanzi la pubblica strada, e da - 154 - una e parte alle spalle, ossia dietro, il Sig. Bernardo Storace, e dall’altra parte T Ill.mo M.c0 Signor Silvestro Grimaldi. La medesima è pure accennata nel testamento di Gio. Battista Morbiono figlio del detto Giuseppe, in data 26 aprile 1633, ed in atti del notaro Nicolò Ponte; dal quale risulta che sino allora era rimasta indivisa fra i fratelli, assieme ai beni della successione paterna. In esso testamento Gio. Battista Morbiono lasciava eredi della sua parte il fratello Antonio Maria, e la sorella Teresa maritata in Antonio Cambiaso; e nella parte legata ad Antonio Maria, qualora fosse morto senza prole, sostituiva i figli e le figlie della sorella. Infatti ciò si verificò; ché dal testamento di Antonio Maria, fatto ai 27 aprile 1756 in atti del notaro Nicolò Ponte, appare senza figli. Egli poi moriva addi 12 no vembre 1756 sulla parrocchia di S. Stefano, e fino a quest’ epoca dagli atti del suddetto notaro, risulta che stette in possesso di detta casa, numerosissimi tro\an dosi i contratti di affitto per i mezzani e la bottega della medesima. Lui morto, abbiamo un po’ di lacuna. Sappiamo in fatti, che le case attigue Pallavania furono da Silvestro Grimaldi ricostrutte e ridotte in una sola; che in esse, come in tutto l’asse ereditario, erano succeduti 1 suoi figli Ottavio e Gio. Battista, ed a costoro le figlie di Ottavio, essendo l’altro, cavaliere di Malta, morto senza discendenza; che quindi, con atto di divisione del 22 aprile 1712 a rogito del notaro Vincenzo Lavagnino, ne era andata a possesso Geronima Grimaldi moglie di Luca Giustiniani. Della casa Colombo ci mancano invece gli atti donde risultino i suoi possessori sino al 1798. - 155 - A quell epoca, in seguito ai rivolgimenti politici avvenuti, fu compilato il catasto dei possessori degli stabili in Genova; ed ivi, al numero 1700, la casa Colombo é scritta in testa di Luca Oneto del fu Gio. Battista, con queste parole. Casa di cinque metani ed una bottega posta in strada dritta di Ponticello al N. 305, parrocchia di S. Andrea, quartiere Unione, sotto confini da levante e tramontana li fratelli Storace, da mezzogiorno suddetta strada, e da ponente gli credi del quondam Gerolimo Giustiniani : Lire 7000 (1). Sopra tale intestazione é da osservarsi l’erronea indicazione, comune a diverse altre case contigue, di segnarla come della parrocchia di S. Andrea, mentre era ed é tuttora di S. Stefano, ed il lapsus calami dovuto ai compilatori delle note sulle quali fu formato il registro, di aver posto: eredi del quondam Gerolimo Giusti-mani, invece di eredi della quondam Gerolima Giustiniani. L’esser poi la casa descritta di cinque piani, é prova che dopo la distruzione fattane dalle bombe del 1684 vi fu elevato un altro solaio. A ciò poi si deve aggiungere, che nella perizia sommaria fatta di detta casa addi 8 ottobre 1798, dagli architetti Gregorio Petondi e Gio. Battista Cervetto, la quale servi di base alla formazione del catasto, trovasi scritto in calce : Si nota che il magano a tetto paga soldi I, denari 3 canone a prò de P.P. Olivetani di S. Stefano (2). La quale annotazione basterebbe, indipendentemente dal fin qui detto, a far prova della identità della casa, essendo appunto quello 1’ ammontare del canone con cui (1) Il detto Registro di Catasto esiste negli Uffici di Città. (2) Queste perizie sono nel Civico Archivio. — 156 - detto appartamento era stato concesso a Giuseppe Morbiono a’ 20 aprile 1690; come dal tacersi di canone pel resto della casa si conferma quanto già dissi della sua affrancazione. Qui però occorre spiegare come la casa dai Morbiono può essere passata neU’Oneto. A Giuseppe Morbiono, più sopra accennato, succede-devano due figli e due figlie. Dei maschi nessuno lasciava prole ; e Gio. Battista é l’istitutore di una pia fondazione amministrata dall’ Ospedale, che gli fece erigere una statua nelle sue stanze. Delle figlie, una a nome Angela si maritò in Gio. Battista Casanova, ed ebbe un maschio che mori senza discendenza. L’ altra, a nome Teresa, maritata come già dissi in Antonio Cambiaso, ebbe una figlia chiamata Ippolita, la quale se non tutta, colse buona parte della eredità della famiglia, ed andò sposa a Gio. Battista Oneto padre di quel Luca che é segnato nel catasto del 1798. Continuò la casa in possesso degli Oneto fino ai nostri giorni, in cui pervenne in un altro Luca, nipote da figlio del sopracitato. Ma avendo egli fatto cattivi affari, essa fu ad istanza dei creditori, assieme a tutte le altre sue possessioni, messa in vendita alla spicciolata, cioè ogni appartamento e la bottega separati. E questi, con atti celebrati davanti il nostro Tribunale Provinciale sotto le date dell’ 11 dicembre 1863 e del 26 gennaio 1864, vennero deliberati a diversi possessori, alcuni dei quali alla lor volta li rivendettero ad altri. La complessiva somma di lire 16650, fu quella che ricavossi dalla vendita di questa casa, che accolse bambino lo Scopritore del nuovo mondo. - T57 - III. Le case concesse in enfiteusi dai monaci di S. Stefano nel borgo omonimo, e particolarmente quelle del carrogio dritto da me indicate, erano ben poca cosa, giacché costi atte sopra un’area di limitatissima estensione e destinate ad accogliere una sola famiglia di modesto operaio. A ciò si aggiunga, che ne’ «empi più antichi le concessioni non riguardavano che il suolo, essendovi le case fabbricate dagli utenti medesimi. Infatti molte delle vecchie locazioni od enfiteusi dicono concessa a livello la terra o il suolo dove trovasi edificata la casa: tcna sive solum ubi est domus etc. Ma in progresso, col cessale dei vecchi possessori, i monaci acquistata la proprietà anche delle case, queste esclusivamente vennero nominate negli atti d’ investitura, nè più si fece parola del suolo. Generalmente, le case non offrivano che due finestre di fronte e talora anche una sola. Rare quelle che ne avessero tre, e bisognava che appartenesse a ricca ed agiata famiglia se alcuna ne offriva un numero maggiore. Di queste era certo quella dei Pallavania, contigua alla casa Colombo, come che con due porte, una grande ed una piccola, e tre botteghe; onde devesi argomentare che avesse in facciala quattro o cinque finestre per piano. Alla bottega, con larga apertura, stava accanto la porta di ingresso alla casa, piccola, stretta, con 1’ architrave e gli stipiti di pietra, e spesso in quella pietra nera di Promontorio, di cui sono tanti ornamenti nella parte più antica della città. - i5S - Le finestre piuttosto alte, e di discreta grandezza, erano fatte ad architrave, sostenuto nel mezzo da una colonnina di marmo su cui battevano le imposte. Queste poi in legno, avevano nella parte alta del centro una apertura quadrata donde poteva entrare un po’ di luce, quando si dovevano chiudere; e per difendere alquanto la casa dal freddo in inverno, a queste aperture si a-dattavano tele e carte, cerate od inoliate, finché il diffondersi degli agi e della civiltà, non vi fece sostituire una o più lastre ^li vetro. Le quali imposte poi furono alla lor volta sostituite da interi telai di' vetri a rombo od a quadri oblunghi incastonati nel piombo, come ancora se ne vedevano molti ai tempi della nostra giovinezza. La parte inferiore della casa, nei tempi antichi era quasi sempre divisa dalla superiore per mezzo di travature in legno che formavano il solaio ; ma alla metà del secolo XV si usava molto coprirla anche a volta, e da tal nome trovasi spesso indicata negli atti : onde volta significa bottega o magazzeno. I ripiani superiori erano formati da travature di legno, e le povere abitazioni dicevansi solari o metani. In origine ogni casa non dovea avere che un piano o solaio, come molte che si vedono ancora nei sobborghi e nei villaggi; ma già alla metà del secolo XV, quelle di cui parliamo erano divise in parecchi. Imperciocché non concedendo la ristrettezza dell’ area che potessero estendersi a’ lati, si accrescevano di qualche piano, ove il bisogno della famiglia lo chiedesse, o la idea del lucro lo suggerisse, per affittarne qualche parte ad altra meno agiata famiglia. Non poche allora già si - i59 — vedono di tre o quattro solai, e scendendo a noi si vanno accrescendo di altri. Onde ne seguì che per le mutate condizioni delle famiglie, le vicissitudini dei tempi, le divisioni delle eredità, si trovassero le case non più possedute da un solo individuo, ma i vari piani fossero in potere di diversi. Ed a ciò contribuì anche molto il fitto, che le enfiteusi erano sempre concesse al primo investito, ed in genere a’ suoi figli e discendenti maschi e femmine; senza che vi si trovi mai indizio od accenno di prefeienza a’ diritti di primogenitura. Perdurando a-dunque nella famiglia, le case potevano suddividersi al- infinito fra i discendenti maschi; ed in mancanza di costoro, fra le femmine. Le case di quei tempi, per quanto piccole e modeste siano, si distinguono tutte da una serie di archetti, eie coire sulla facciata superiormente al piano terreno. In pochissime vedesi anche tra il primo e il secondo piano. Gli archetti si avanzano dai quindici ai venti cen-timetri, dalla superficie esterna del muro inferiore, e sono impostati sopra piccole mensole di pietra, che corrispondono, presso a poco, dove all’ interno è la divistone del solaio. Spesso gli archetti sono coronati da una cornicetta, o da un cordone, pure sporgenti di alcuni centimetri, che qualche volta stanno posti a filo della apertura delle finestre soprastanti, formando così una specie di decorazione, alta un po’ più di un metro, misurandosi dalle mensole, a tutta la cornice od il cordone. Ma questa decorazione non appartiene che alle case di maggiore importanza. Una particolarità poi da osservarsi relativamente agli archetti ed alla suddetta decorazione, si è che la super- — i6o — fide esterna del muro superiore agli stessi, invece di correre a piombo sul vivo del muro inferiore, é posta in linea colla superficie degli archetti, cosicché la parte alta della casa avanza di quindici o di venti centimetri, e talora anche di più, se maggiore é la sporgenza degli archetti, sul vivo del muro. Nelle case di maggiore importanza gli archetti sono posti quasi sempre sopra il piano terreno; ma in tutte si osserva la sporgenza dei muri superiori sugli inferiori. Lungo le strade principali, come era appunto quella del vico retto, molte case, all’epoca del mio dire, già stavano addossate, e, si può dire, si sorreggevano P una coll’ altra, mentre in tempi più antichi spesso erano divise da orticelli o giardini, che poscia vennero occupati da nuove costruzioni. Cosa curiosa poi si é che mentre trovansi fra di loro unite tre, quattro, cinque e più case, tutte di una, due o tre finestre per piano costrutte collo stesso sistema, tutte cogli archetti, tutte co’ muri superiori sporgenti, sono però disformi le une dalle altre, e specialmente dalle contigue, nelle proporzioni. Cosicché, mentre avrebbero potuto formare un insieme armonico e corrispondente, ti si affacciano colla massima discrepanza nelle linee, avendo una gli archetti grandi, P altra piccoli, questa più alti, quella più bassi, tutte differenti nell’altezza delle finestre dalle loro vicine: vi si palesa insomma uno studio speciale onde farle apparire a prima vista, ed in modo che nessuno possa dubitarne, tante possessioni distinte le une dalle altre. In quanto alla parte interna, la bottega, qualche magazzeno o retro bottega, formavano il piano terreno. Spesso le case avevano un vuoto od un po’ di giardino, — 161 — ed in questi trovavasi il pozzo. Esclusivo per una famiglia, al principio, quando la casa si accrebbe di mezzani, o si fabbricò nei cortili e nei giardini, il pozzo divenne comune a diversi abitatori e spesso a diverse case. Fra 1’una e l’altra poi, o dietro alle stesse, nella parte più ignobile e nascosa, correva la quintana, che era il colo delle acque, detta anche carrubetus immunditiarum. Una lunga scala ad alti gradini, che spesso cominciava al limite della soglia, e talvolta lasciandovi un po’ di pianerottolo o portico, metteva a’ piani superiori. Generalmente correva tutta dritta al secondo mezzano, qualche volta con un po’ di pianerottolo a metà per dar accesso al primo piano; ora rivoltavasi addossata al muro di dietro, ora si ritorceva sopra sè stessa, il tutto a seconda della forma più o meno irregolare della casa e delle esigenze che vi influivano nel costrurla. Al primo piano stava la caminata, luogo di ritrovo della famiglia nelle serate d’inverno, per le feste nuziali ed altre domestiche allegrie, cosi nominata dal largo focolare, o camino, che spesso serviva anche ad uso di cucina, ed era più o meno bella di ornati e pitture secondo 1’ agiatezza od il gusto della famiglia; poi la camera pei capi di casa. I figliuoli ed i famigli, ché anche i garzoni facevan vita comune col principale, si acconciavano negli altri piani, se la casa ne aveva, nei sottotetti, nelle retrobotteghe, nei bugigattoli, qua e là come meglio potevano. Moltissime case trovansi ancora in Genova, che offrono o tutti o in parte i caratteri sopra notati: nella strada di Prè e nelle adiacenti, in quella della Maddalena ed in altre ne sono non poche. Alcune ancora trovatisene Atti Soc. I-ig. St. Patria. Serie J.n, Voi. XVII. 11 nel carrogio diritto, nel borgo dei lanieri t'd in quei dintorni, ma in minor numero e meno ben conservate. La ragione ne è ovvia; che essendo stata questa la parte che più soffrì dal bombardamento del 1684, le case vi furono per la maggior parte ricostrutte. Innumerevoli però vi si trovano ancora le case ad una od a due finestre per piano, strette, alte come torri, attaccate le une colle altre, perché riedificate sulle aree primitive. Alcune conservano ancora gli archetti, che meglio tro-vansi in molte altre sparse per la città, ove osservansi pure le cornicene ed i cordoni soprastanti, né mancano di quelle, come una in Ravecca, qualche altra a Pré ed altrove, che hanno ancora le colonnine di marmo alle finestre, e quasi tutte distinguonsi dalla lunga e ripida scala, e dalla stretta porta d’ingresso. In strade intiere, come a Luccoli e dalla Maddalena, può vedersi la sporgenza dei muri superiori, quantunque le case sieno state tutte ricostrutte in tempi più recenti. Anzi il molto numero di case con tale sporgenza, che in talune é grandissima, superando perfino i cinquanta centimetri, e il vederla in edifici di epoche posteriori, fanno credere che per molto tempo sia durato si fatto sistema di costruzione. Ne di ciò saprei dare spiegazione positiva. La più ragionevole é il supporre che i nostri antichi lo facessero per poter con maggior comodo godere della prospettiva della strada, senza che lo sguardo fosse interrotto dalle cornici inferiori, e particolarmente da quei tavolati fissi o posticci che mettevano sopra le porte e le botteghe per difenderle dalla pioggia. La casa di Domenico Colombo si presenta attualmente con due finestre di fronte. Di quante fosse nel secolo — 163 — XV non sappiamo; ma per essere le attuali molto strette e vicine, ed arrivando la larghezza della casa appena a metri tre e centimetri sessanta, è credibile che fosse con una sola, avuto anche riguardo che allora usavano piuttosto larghe per avere la colonnina nel mezzo. 11 piano terreno ha una bottega; ed a sinistra di questa, guardando la casa, è la porta d’ingresso, che misura in larghezza centimetri ottantacinque. Un solaio, o travatura in legno, lo divide dal piano superiore; e probabilmente cosi era al principio, ché se fosse stato a volta, ne sarebbe stato fatto cenno nell’ atto di cessione del Colombo al Bavarello, ed avrebbe potuto resistere nel rovinio della casa cagionato dalle bombe. Come tutte le attigue, la casa é altissima, elevandosi a ben cinque piani. Non tanti certo ne aveva, quando era abitata dalla famiglia Colombo; ma di quanti fosse ignoriamo. Gli atti di divisione dell’eredità di Battista Zerbi, fatti nel 1617, la segnano di quattro; ma ò probabile che uno di questi, e forse anche due, vi siano stati alzati nelle prime mutazioni recatevi dal Torriglia, 0 nelle successive degli altri possessori. L’ ultimo, il quinto, data certo dal principio del secolo scorso e dalla ricostruzione della casa dopo che fu rovinata dalle bombe. Nulla più conserva essa dell’antica fisonomia; scomparvero gli archetti, che certo correvavano fra il pian terreno e il primo piano, e le colonnine che dividevano le finestre. La ristrettezza della sua fronte, e la pochezza dell’ area sono i soli segni che ancora conserva della sua antichità, ed é grande ventura se nei tanti mutamenti subiti, non sia stata incorporata con alcune delle attigue. Forse scrostando dall’ intonaco la parte inferiore dei muri, potrà — 164 — trovarsene alcuno che abbia appartenuto alla prima costruzione. Un piccolo cornicione posto immediatamente al limite delle finestre del primo piano, il quale dalla sagoma non sembra né 1’ antico che faceva parte della decorazione ad archetti, né il moderno eseguito nella ricostruzione al principio del secolo scorso, ma di epoca intermedia, e torse appartenente ai lavori fatti dal Torriglia verso la metà del secolo XVI, mi fa sospettare che da allora possa datare la ricostruzione completa della casa, colla apertura delle due finestre al luogo di una, e degli altri interni cambiamenti. Ma tutte queste, ripeto, non sono che supposizioni. L’ atto di cessione al Bavarello ci insegna che la casa, ai tempi di Colombo, aveva vuoto, pozzo e giardino. 11 vuoto in poca parte ancora esiste. Nei successivi lavori fatti alla casa nella maggior parte fu occupato da nuove costruzioni. Il pozzo, si conosce che sino dai tempi del Torriglia, per l’unione fatta da lui con 1 altra casa, era già ad entrambe comune, ed in seguito passo ad uso esclusivo del secondo appartamento, come che colla bocca a livello di questo. Nel giardino vedemmo che si cominciò a fabbricale da antico, onde a poco a poco fu ingombrato dall avanzarsi delle costruzioni, e separato dalla casa. A riguardo però di questo non credo inutile una spiegazione, ed e che si ingannerebbe di molto chi credesse essere i giardini delle case poste dalla parte sinistra scendendo nel carrogio dritto, uno spazio più o meno piano che si estendesse a livello del piano terreno. Tutti noi sappiamo che le case di questa strada sono - i6j _ costrutte sul dorso d’una montagnuola, per cui a quelle della parte superiore mentre sul davanti corre il carrogio, sul dietro sta la collina che va man mano, in modo piuttosto accentuato, innalzandosi sino sotto le vecchie mura della città. È in questa collina che trovan i i nominati giardini, nessuno dei quali riesce a livello dei piani terreni, mentre tutti lo sono chi del primo, chi del secondo e chi del terzo piano. Per quella di Colombo dovea corrispondere al secondo, essendovi, come vedemmo, al livello di questo la bocca del pozzo. Un muro più o meno alto sostiene i giardini, e li separa dalle case, formando fra di essi od uno spazio abbastanza grande, od un piccolo vicoletto. Nel primo caso si ha il vuoto, di cui era provvista la casa Colombo, nel secondo un’ intercapedine, che in molti casi era la già nominata quintana. E poiché le case di questo tratto del vico dritto stavano, allora come adesso, appiccicate le une alle altre, ed avevano perciò i tetti a due soli versanti, l’uno dalla strada e l’altro dai giardini, le acque piovane che cadevano dalla parte di questi, facevano di quando in quando la pulizia del carrubetus immunditiarum. Piccoli ponti in legno, o in materiale, mettevano dai mezzani ai giardini, se non v’ era di mezzo che F intercapedine, ed una scala lungo il muro e il terreno, se il vuoto. 1 giardini poi verdeggiavano di viti, di fichi, di aranci, di limoni, e di altre piante ed arbusti, che facevano bella e salubre la località. Il giardino della casa Colombo era all’ incirca al livello del secondo piano, e fra lo stesso e la casa era il vuoto. Il pozzo trovavasi nel giardino; ciò risulta dall’esame della località. — 166 — II piano terreno attualmente si compone della bottega, di un andito, delle scale, di un cortile e di alcune cantine. La posizione delle scale poste internamente nel centro, non é certo quella dei tempi di Colombo. Queste allora dovevano occupare parte dell’andito d’ingresso, a sinistra entrando nella casa, e correr su di fronte alla porta, dritte al secondo piano. Il vuoto era certo più grande; e tale verrebbe l’attuale togliendovi le divisioni fattevi per ricavare una cantina ed altri bugigattoli. Il muro di fronte a questo dovea esser quello che sosteneva il giardino. Nei mezzani superiori ora sono una camera dalla parte della strada, e due camere e cucina dall’ altra, con un corridoio o andito, che mette in comunicazione queste due parti, in mezzo alle quali, oltre il piccolo vuoto, sta la scala. La cucina e la camera che la precede pien-dono anche un po’ di luce da altri vuoti, in uno dei quali accede il primo mezzano, essendo al livello dello stesso, mentre il secondo ha esclusivo per sé un altio vuoto, ove ha una finestra, e dove trovasi il pozzo. Tutta questa parte, a mio avviso, é quella che è stata aggiunta alla casa Colombo dal Torriglia e dagli altri possessori che vennero dopo. La casa antica non dovea constale che della camera verso la strada, e di un’ altra precedente formata dallo spazio occupato ora dall’ andito o corridoio, e dal giro dell’altra scala. Cosi l’altro piano. Se noi mentalmente sbarazziamo il piccolo vuoto dai tramezzi fattivi ad uso di cantina od altro, troviamo lo stesso ampliarsi a oltre metri tre per lato. Uno di di questi regga la terra del giardino, ove un poco più sopra resta il pozzo. Immaginiamo la scala, come sopra — 167 — dissi, rimpetto alla porta, che corra dritta sino al secondo piano, con un accesso alla metà per il primo , ed uno in cima per 1’ altro, ed ecco che abbiamo due camere per piano, una delle quali un po’ tronca da una parte per lo svilupparsi della scala, ma di una discreta grandezza. La cucina poi poteva essere in qualche spazio dei sottoscala, oppure serviva a tale uso la sala d’ingresso che dovea essere la caminata, col suo largo camino adossato alla parete. Ma meglio che le mie parole, varranno i disegni che sono uniti a questo lavoro a dare un’ idea del come ora trovasi e del come doveva essere anticamente la casa di Colombo. Aggiungerò, che allora, cosi come la descrissi, si prestava più comoda all’abitazione di una famiglia di modesti operai, era più arieggiata ed allegra che non la moderna, la quale stilla umidore da ogni parte, specialmente nelle scale e negli appartamenti inferiori, che sono bui e luridi oltre ogni dire. Quanto noi sappiamo sullo stato materiale della casa di Domenico Colombo lo abbiamo da poche parole dal-l’atto di cessione al Bavarello, a rogito del notaro Costa. Coll’ esame dello stato attuale di essa, e col confronto di altre case di quei tempi che ancora esistono, io ho cercato di dare un’idea in complesso del come doveva essere a quei tempi; ma mancano assolutamente i dati per la descrizione di tutti gli interni particolari, e chi volesse farla dovrebbe in tutto e per tutto ricorrere air immaginazione. E così fece il conte Roselly de Lorgues, il quale se non è responsale dell’errore (perché copiato dallo — i6S — Spotorno e da altri) di attribuire a Domenico Colombo due case non molto lontane fra di loro, una cioè presso la porta di S. Andrea e l’altra nel vicolo di Molcento, lo è per averlo latto, di suo capriccio, tramutare dalla prima alla seconda, e per descriverci questa, proprio come se 1’ avesse veduta : ayant un re^-dc chaus-scc, éclairée outre la picce d’ entrée par la porte, une sulle contigui*, pourvue d’ une fenctre gamie de barreaux de fer asse£ sveltes mais bien reliés entre. eux, et qui pouvait servir de boutique (i). È solo dalla sua ardente e vivace fantasia, ed in omaggio al sentimento che, secondo il suo concetto, deve ìn-S[ irare gli scrittori di storia, che il Sig. Conte cavò queste notizie non essendo corroborate da documento alcuno, né dal benché menomo indizio. Le quali, come moltissime altre onde ha infiorato il suo lavoro, se servono mirabilmente a renderne più attraente la lettura, non reggono al lume della critica, e danno al medesimo il carattere di un bel romanzo a detrimento dell’importanza cui pretende di vero storico lavoro. Ne è tutto. Alla sopra detta descrizione il Sig. Conte aggiunge: sur l’ancien cadustre de lu rcpublique de Génes cette maison portait le n.° 166; e questo è un altro errore, quantunque nella nota accenni, come a testimonio, alla pagina 49 del Ragionamento dei Signori Accademici Serra, Carrega e Piaggio. Imperciocché si deve osservare che i Signori Accademici, quando indicarono la casa del numero 166, segnata sul catasto del i79^> e (1) Roselly de Lorgues — Christophe Colomb, hisloire de sa vie et de ses voyages, d après des documenls authentiques tirès d'Espunte et d’Italie. — Ne sono diverse edizioni. — 169 — non 1797, come per errore di cifra é stampato, non intesero di parlare della casa di Domenico Colombo, ma di quella di un Agostino Colombo del fu Giovanni Bar-tista, uomo da bene, come essi scrivono, ma così illite-rnto che, fuori, dell’ avo suo Domenico, non sa render ragione d’altri suoi ascendenti. E questa casa é da essi segnata non già come esistente In Molcento, sibbene a dirimpetto, indicazione invero un po’ ambigua, ma che trova la sua spiegazione nel libro del catasto, a cui essi si riferiscono, ove al numero d’ordine 1506 é descritta come esistente nel vico allor detto dei Rumentari, che é quel vicolaccio, non lontano da Molcento, ma dall’altra parte del carrogio diritto, al quale corre quasi parallelo, e che mette in comunicazione il vico degli Schiavi con quello di Kipalta. Questo vicolo ora dicesi Frangipane: la casa ivi indicata col numero 166, corrisponde all’attuale col numero 4, e fa angolo col vico di Ripalta, come risulta dai registri della numerazione antica e moderna che sono nell’ Ufficio di Città. Anche un certo Enrico Croce si occupò della casa di Domenico Colombo, ed é quello stesso che aveva pubblicate prima certe sue spiegazioni arbitrarie sulle sigle della sottoscrizione di Cristoforo Colombo. Egli nell’ ottobre del 1882 credendo che la casa fosse attigua alla porta di S. Andrea mandò un grido d’allarme, riprodotto poi dai giornali (1), nel dubbio che potesse essere demolita, a causa dei lavori di ristoro alla porta medesima. Tranquillizzato su tale proposito, dopo circa un mese, (i) Commercio e Gaietta di Genova del 12-13 ottobre 1882, num. 238. — 170 — certo a seguito di lunghi studi e di pazienti investigazioni, cambiò d’avviso, e volle riconoscerla in quella del carrogio dritto che é rimpetto al vicolo degli Schiavi, segnata col civico numero 31 (1), casa che ha quattro finestre di fronte, fra le quali si vedono tre annerite pitture. I criteri che lo determinarono a ciò erano i caratteri di antichità, secondo il suo giudizio, che conserva la casa, ed i tre dipinti, che inclina a credere fatti d ordine di Cristoforo Colombo 0, secondo la sua intenzione, dal-l’Oderigo grande amico di lui, e che delle cose sue sapeva più che egli stesso. Sopra tutto poi lo convinceva il numero dei dipinti. Essi sono tre, e l’illustre navigatore aveva una predilezione per questo numero, era devoto della SS. Trinità, era partito da Palos con tre caravelle, la sua sottoscrizione era formata da tre S, e così di questo passo. Allorché il sig. Croce pubblicò sopra i giornali le sue elucubrazioni, io 1’ ho dovuto spennacchiare ben bene, lasciandolo nudo e crudo sul lastrico ; perché le fece precedere da una descrizione del Borgo di S. Stefano, dove malamente saccheggiava il mio lavoro stampato con questo titolo, appropriandosi osservazioni e rilievi in quello enunciati; ma in merito alla sue scoperte nulla dicevo, limitandomi a qualificarle cabalistici studi (2). E certo bisognerebbe esser privi di senno per andare appresso alle sue fantasticherie sul numero tre, ciechi poi affatto per non avvedersi che la casa da lui indicata (1) Fanfulla del 20 novembre 1882, e Corriere Mercantile del 24 novembre 1882. '2) Corriere Mercantile del 26-27 novembre 1882. - I7I - come avente ancora non dubbi segni di remota vetustà, é tutta moderna ricostruzione, per cui i tre famosi dipinti non possono essere fattura più antica del secolo scorso, come lo conferma ancora lo stile barocco degli ornati che loro fanno cornice. Nelle mie ricerche ho trovato chi erano i possessori a’ tempi di Colombo di quella casa, o a meglio dire di quelle case, giacché esse erano due, e tante si mantennero sino ai principi del secolo scorso, in cui furono ridotte ad una sola; ed alcuni di essi che vi succedettero ho segnato nella tavola annessa a questo lavoro. Né qui certo, e per degni motivi, avrei parlato di lui e delle sue elucubrazioni, se non mi fosse venuto fra le mani un programma stampato a Nizza, ove il Signor Croce, o come egli colà si chiama S. H, Lacroix, annunzia la prossima pubblicazione a Parigi, di un suo volume di studi e ricerche sopra Cristoforo Colombo, e dove fra le tante belle cose che promette, sono delle tavole in fototipia, altra delle quali deve rappresentare la maison pater nelle de Colomb récemént deccuverte a Génes par l’auteur de cet ouvrage. lo non so se il sig. Croce o Lacroix creda sul serio alla sua scoperta, e se pubblicherà mai 1’ annunziato volume, tanto più che secondo il programma gli abbonati devono pagargliene il prezzo in lire cinque, prima che sia stampato, e che ormai corsero più di due anni dalla diffusione dell’annunzio. Ad ogni buon fine io l’ho segnato, e nel caso vedremo quel che dirà nella sua rapsodia. Quel che però posso accertare sin d’ora si è che, qualunque essa sia, non potrà far cambiare la proposizione enunciata nella seconda parte di questa memoria, essere cioè — 172 — la casa di Domenico Colombo nel carrogio diritto di Ponticello, non altra che quella da me indicata, e che porta il civico numero 37. DUE NOTE A complemento e spiegazione di quanto leggesi nella precedente memoria, ho creduto bene di aggiungere due note. La prima si riferisce ai Manuali dei livellarii di S. Stefano, ed offre l’indice dei medesimi, con avvertenze, non prive di interesse, sopra di quelli ove leggonsi i nomi di Domenico Colombo e di Giacomo Bavarello. La seconda è l’enumerazione dei documenti relativi alla famiglia Colombo, che io ebbi la fortuna di trovare, in seguito ad incessanti ricerche nel nostro Archivio di Stato x e particolarmente nella sezione degli atti notarili. Io li ho comunicati all’egregio Critico Americano signor Henry Harrisse, ed egli se ne valse nella compilazione del primo volume de’ suoi Etudes Critiques sopra Cristoforo Colombo, edito a Parigi nel 1884, e li pubblicherà quasi tutti in disteso nel secondo, di cui è imminente la comparsa. Da essi il lettore vedrà che non è poco nè indifferente il contributo da me portato agli studi sulla famiglia dell’ immortale Scopritore dell’ America. — 174 - I. MANUALI DEI LIVELLARI! DI S. STEFANO Come dissi al principio della precedente memoria, i Manuali _dei livellarii di S. Stefano sono i registri dove i monaci segnavano annualmente i nomi di coloro, che per avere in affitto enfiteutico le possessioni di dominio diretto del monastero, pagavano un annuo canone o livello. I livellarii sono descritti strada per strada; ed alcuni, che hanno possessioni in diverse strade, trovansi ripetuti sotto la intestazione di tutte quelle ove sono situati i fondi. Dopo il nome è indicata la partita dovuta per l’anno; e se il livellario ha del debito per le annate decorse, questo vedesi segnato dopo. I nomi e le partite di debito sono scritti nel verso dei fogli, ed al retto dei corrispondenti stanno le somme pagate a saldo od a conto, e la sistemazione annuale dei conteggi. In taluno sono notati gli atti di enfiteusi, in forza dei quali erano dovuti i canoni ; ma spesso trovansi ommessi. Come pure in pochi, e dei più recenti, sono altre indicazioni, particolarmente relative ai livellarii precedenti. Questi registri sono di forma quadrilunga, quantunque non esattamente della stessa grandezza; hanno scritto sulla prima pagina l’anno a cui si riferiscono; e tutti o quasi tutti, in principio o in fine, contengono l’indice delle strade ove sono situati i fondi. Essi si conservano nell’ Archivio di Stato in Genova, e vi furono depositati dall’ Amministrazione della Cassa Ecclesiastica l’anno 1861 , come da verbale del 20 maggio di detto anno, assieme ad altri registri e filze di atti, provenienti dal soppresso Monastero dei Padri Olivetani di Quarto, frammezzo ai quali sono molte carte e documenti di altri monasteri dello stesso Ordine gii esistenti in Liguria. - 175 - Come è noto, gli ultimi monaci clic soggiornavano nel Monastero di S. Stefano appartenevano all’ Ordine degli olivetani, che pure possedeva quello di Quarto, terra ad oriente e non molto lontana dalla città. Soppiesse le congregazioni religiose sulla fine del secolo scorso, i registri di cui è discorso furono ritirati dal Governo, e collocati in pubblico ufficio. Ivi li consultarono gli Accademici Serra, Cari ega e Piaggio, nel 1812, come appare dal loro Ragionamento ; e certo vi rimasero sino verso il 1817 0 poco dopo, in cui, ripristinati gli Olivetani nel Monastero di Quarto, devono aver ottenuto la restituzione delle loro carte. Soppresso di bel nuovo questo Monastero ai nostri tempi, le carte passarono a mani del Demanio, che ne fece la consegna all’Archivio. Non tutte però, che molte, a causa di queste peripezie, andarono disperse, e trovatisene presso particolari, sia nostrani che forestieri. Il numero dei manuali che or sono nell’ Archivio ascende a quarantuno, e comprende molti anni dal 1341 al 1733; ne mancano pero una buona parte, come appare dall’ indice seguente : N. 1 anno 1341. » 2 » 1344* » 3 » 1348. » 4 » 1352. » 5 » 1352. » 6 » :353* » 7 » 13 54* » 8 » 1368. » 9 » 1372. » IO » I373* » 11 » •575- » 12 » 1380. » *3 » 1381. » H » 1386. a *5 » I391' » 16 » !392- » ■7 » 1395 • — 17 6 — N. 18 anno 1407. »19 » 1408. » 20 » 14x1. »21 » 1415. » 22 » 1422. » 23 » 1424. » 24 » 1425. » 25 » 1429. » 26 » 1435. » 27 » 1457. Questo è il primo manuale che si abbia col nome : Dominicus Collumbus, segnato a pag. xvii sotto l’intestazione della strada usque in Mitl-ceiitum ed a pag. lxv in quella ab alici parte Olivelle. L’annuo canone dovuto per la casa nella prima di dette strade è di soldi 11: si vede però che era debitore di soldi 15* Per saldo di annate decorse che non si può distinguere quali siano, per essere il codice stato bagnato e 1’ inchiostro in parte scomparso. Nel foglio di contro non è segnata alcuna somma pagata, e vedesi liquidato il debito in lita 1 e soldi 6, da portarsi sul manuale del 145^- » 28 » In questo pure Dominicus Collumbus è sciitto per le due strade. In quella usque in Mulcentum , dopo il solito annuo canone, leggesi : Item prò libro de lvji, L. 1. s. vi; la qual cosa conferma che nel 1457 non pagò 1 annata solita del livello in soldi 11, i qua^ un‘t‘ ai soldi 15 , già dovuti come dal manuale piecedente , formano appunto d<*ta partita di lira i e soldi 6. Di contro nemmeno qui è notato alcun pagamento ; e il debito vedesi accresciuto di altri 11 soldi per l’annata coi-rente, e liquidato in lira 1 e soldi 17. » 29 » 1460. Anche in questo è scritto nelle due strade; ed in quella usque in Mulcentum ò portato pei / N. 30 anno » 31 » » 32 » » 3 3 » » 34 » » 35 » » 36 » 37 » 38 » 39 » 40 » 41 — 177 la sola annata corrente di soldi 11. Bisogna perciò ritenere che nel 1459, di cui manca il manuale, Domenico Colombo abbia compieta-mente saldato il suo debito per gli arretrati. Restò però a dovere Tannata in corso, come trovasi segnato di contro. 1528. Nella strada usque in Mulcentum, al posto di Colombo è portato Iacobns Bavarellus pel solito annuo canone di soldi 11. Il cognome di costui comincia con un L maiuscola, onde sembrerebbe doversi leggere Lavarellus ; ma non avvi dubbio alcuno che si tratti del genero di Domenico. 15 33- In tutto come sopra, meno il cognome Bavarellus che distintamente vi si legge. I54°. 1578. r583- Questo registro, quantunque dello stesso formato e della stessa collezione, non riguarda i livellarii di S. Stefano, ma i conteggi di una società di diversi per la gestione di una bottega di lavori in rame. 1590. I59i* • . IS95- 1598. 1699 in 1702 e 1703. I7I7 — *720 — 1733. t Atti Soc, Lio. St. Patria. Serie 2.*, Voi. XVII. 12 — 178 II. ATTI NOTARILI RELATIVI ALLA FAMIGLIA COLOMBO PRIMA. D’ ORA SCONOSCIUTI I. 1439 i aprile. Domenico Colombo, tessitore di panni in lana, figlio di Giovanni, prende a’ suoi servizi per cinque anni, come garzone tes sitore, Antonio de Leverono figlio di Lodisio del Ponte di Ci cagna. In atti del notaro Benedetto Pilosio. II. 1445 15 dicembre. Domenico de Terrajubea-, abitante a Quarto, vende una tetra in detto luogo a Bartolomeo de Moconesi abitante a Quatto. In atti del notaro Antonio de Fazio. III. 1448 20 aprile. Antonio e Domeneghino fratelli de Colombo, del quondam Giovanni , abitanti a Quinto, si dichiarano debitori di Pasquale Fittalo, pure abitante a Quinto, di un resto di dote della loro sorella Battistina moglie di Giovanni Fritalo, figlio di detto Pasquale. In atti del notaro Antonio de Fazio. - i79 - IV. 1451 marzo. Domenico de Colombo, tessitore di panni di lana in Genova, del quondam Giovanni, compera una terra a Quinto da Paolino de Monteghirfo. In atti del notaro Giacomo Bonvino. V. 1451 26 marzo. Domenico de Colombo suddetto, loca la terra di cui sopra al suo venditore. In atti del notaro Giacomo Bonvino. VI. 1451 27 marzo. Domenico de Columbo, tessitore di panni di lana, del quondam Giovanni, cittadino di Genova, è testimonio ad un convegno fra diversi cardatori ed un laniere, fatto nella contrada di porta S. Andrea. In atti del notaro Giacomo Bonvino. VII. 1462 i) marzo. Domenico de Colombo, tessitore di panni in lana, del quondam Giovanni, si fa mallevadore di Antonio de Leverono del quondam Lodisio del Ponte di Cicagna. In atti del notaro Andrea de Cario. — i So — Vili. 1^465 9 gennaio. Domenico Colombo, formaggiaio, è testimonio ad una procura di Bianchinetta Balbi moglie di Pellegro Plazia (Piaggi0) > nella bottega di detto Pellegro posta fuori di porta S. Andrea. In atti del notaro Benedetto Pilosio. IX. 1465 14 settembre. Il medesimo, pure qualificato formaggiaio, interviene fra i testimonii ad una sentenza arbitrale. In atti del notaro Benedetto Pilosio. X. 1466 17 gennaio. Domenico de Columbo, tessitore di panni, del quondam Gio vanni, abitante in contrada fuori porta S. Andrea, presta sicuità a favore di Giovanni de Colombo de Moconesi. — Actum extra portam sancti Andree, videlicet in apotheca dicti Dominici de Columbo. In atti del notaro Andrea de Cario. XI. 1469 15 novembre. Domenico de Columbo, cittadino di Genova, è testimonio ad un atto. In atti del notaro Brama Bagnava. - i8i - XII. 1470 13 marzo. I consoli dei tessitori di panni in lana, con molti di costoro, adunati sulla piazza di S. Stefano, approvano un convegno fatto a Savona l’ultimo giorno di febbraio fra Antonio de Garibaldo e Domenico de Columbo, a nome dei tessitori di panni di Genova, coi tessitori di panni di quella città, relativo a certe condizioni per 1’ accettazione dei garzoni presso di loro. In atti del notaro Paolo Recco. XIII. 1476 5 novembre. Domenico de Columbo, tessitore di panni in lana, del quondam Giovanni, abitante a Savona, cede al notaro Francesco Camogli un suo credito, per pigione di una casa, che ha verso di Nicolò Malio formaggiaio. In atti del notaro Giovanni De Benedetti. XIV. 1487 25 agosto. Giacomo de Columbo, tessitore di panni di lana in Genova, figlio di Domenico, è testimonio ad un atto celebrato fuori porta di S. Andrea, in carrubeo recto, nella bottega di Stefano de Pallavania. In atti del notaro Giovanni De Benedetti. XV. 1490 23 agosto. Domenico Colombo, tessitore di panni in lana, del quondam Giovanni, fa quitanza a Gio. Battista de Villa, calzolaio, di un resto di fitto e di altro per interessi che avevano fra di loro. In atti del notaro Gio. Battista Parrisola. — lS2 — XVI. 1491 15 novembre. Domenico Colombo, tessitore di panni in lana, del quondam Giovanni, cittadino di Genova, è testimonio ad un atto celebrato nella strada dei cannoni di S. Andrea. In atti del notaro Giovanni De Benedetti. XVII. 1517 26 ottobre. Giacomo Bavarello e suo figlio Pantalino vengono a convegno per la casa fuori porta S. Andrea, dote di Bianchettina Colombo figlia del quondam Domenico, loro moglie e madre rispettiva. In atti del notaro Gio. Battista Parrisola. TAVOLA DEI POSSESSORI CHE SI SUCCEDETTERO NELLA CASA DI DOMENICO COLOMBO E NELLE CASE CIRCONVICINE Mbreviayoni. — Acq. Atto d’acquisto — luv. atto d’investitura — Invcnt. inventario — L. sol. e s. soldi _ dau. e d. danari — Man. livel. Manuali dei livellarii di S. Stefano. Gli atti segnati con un asterisco * non si sono potuti trovare. TAVOLA DEI POSSESSORI CHE SI SUCCEDETTERO K De Pomàrio Deserixo Man. livcl. 1457 e 1458. Canone soldi 16. SUDDETTO Min. livcl. 1460. Canone soldi 16. De Abati fratelli Inv. 1468. 15 magg. not. A. De Cario, v fi dice: Casa già di Descrino da Pomario. Costa Bernardo Inv. 1505. 19 X.bre not. Bald. De Coronato. Suddetto in atto di contro E— Questa (sic) Bekxardo in atto di contro Suddetto Man. livel. 1528. Questa Bartolomeo Man. livel. 1535 Suddetto Man. livel. 1540 Amoretto Bertono Man. livcl. 1457 e 145S Canone L. 1. sol. 5. Suddetto Man. livel. 1460 Canone L. 1. sol. 5. Sorba Simone in atto di contro Sorba Sebastiano in atto di contro Borsotto Battina vedova Sorba e Borsotto Battista Inv. 1516. 29 settem. not. Baldassarre De Coronato. Latoio Giacomo Inv. 1522. 29 novem. not. Baldassarre De Coronato. Suddetto Man. livel. 1528. Barbanegra Manuele Acquisto 1531. 20 marz. not. Agostino Uso-diniare Eorlasca. Inv. 1551 3 mag. not. Nicolò Pallavicini De Coronato. Suddetto Man. livel. 1533. Suddetto * Man. livcl. 1540. Pallavania fratelli Man. livcl. 1457 c *4$S Canone soldi 11. dan. 6 Pallavania Benedetta Man. livcl. 1460 Canone soldi 11. d. 6 Pallavania credi di Stefano in atto di contro. Suddetti Man. livcl. 1528. Pallavania Gio. Man. livcl. 1457 e 1458 Canone L.2. sol. 12. d.i Suddetto Man. livcl. i460. Canone L. 2. sol. i2 d. 7. Suddetti in atto di contro. —2 Pallavania Giacomo Man. livel. 1533. Suddetto Man. livel. 1540. 3 Pallavania eredi di Stefano Man. livcl. 1528. Pallavania Ciac. Ant. qm. Stefano Vendita di botteghe ai Promontorio De Ferrari 1531- 5 novem. not. Nicolò Pallavicini De Coronato. Suddetto Man. livel. 1533. Suddetto Man. li/el. 154° Canone sol. 4 coLOMBo t Man. live), Ut. soldi , H Suddetto Uve>- i46o. u,'°ne soldi Suddetto m 4Mo di contro Bavarello Guco<0 Cessione 14S9, not. Lor. Costa. Inv- H92. 31 mara ' not. Gio. Antonio St' vignone - GlfU ài questo.noluo abbruciali. Suddetto in atto di contro Suddetto Convegno con suo figli Pantalino, in atto :( ott. 1517, not. G. B. Parrisola. Suddetto Man. livcl. 1528. Canone soldi 11. Suddetto in atto di contro Suddetto Man. Uvei. 153). Canone sol. n Torriglia Nicoli Inv. 1538. 2 aPr- . not. Nicolò Palto'2 De Coronato ' Suddetto Man. livcl. I$4° Canone soldi II. 5 - 185 - DOMENICO COLOMBO E NELLE CIRCONVICINE. Foglio I.c Bosni Antonio jUn. Uvei. .457 ^-158 Canone soldi 14-Sudde™ Man. livcl- .460. Canone soldi '5- Bondi Bartolomeo e sua figl" Lucbesma moglie d‘ Carbone Tomaso Inv. 1474- >' luSlio no). A. De Cario. Piaggio da Zoagh Pellegro Man. livcl. 1457 c >458 Canone soldi 14. Suddetto Man. livel. 146°-Canone soldi 14. Suddetto in atti di contro. De Copelli de Castiglione Antonio in atto 1513, 17 agosto, not. Baldassarre Palla-vicini de Coronato, ove le dette case sono unite assieme, e si tratta della loro affrancazione. Pozzo credi del qm. Antonio Man. livel. ,533 _ vi si lcggc . d;c!lur yraM(l_ suddetti nel fogh 8 De Clavaro B.meo Man. livcl. 1457 c 1458 Canone soldi 14 Suddetto Man. livcl. 1460 Canone soldi 14. Zino Brigida nata de Sauro Inv. 1473. 22 genn. not. A. De Cario. Canone soldi 11 d. 6. Zino Ginevra e Bartolomeo Inv. 1475. 20 genn. not. A. De Cario. Zino eredi in atto di contro. —3 Zino fratelli Man. livcl. 1528 Canone soldi 14. Zino fratelli Man. livel. 1533. Canone soldi 14. Suddetti Man. livcl. IS40. Catione sol. 14. 8 De Bobio (rateili Man. livcl. 1457 c 1458 Canone soldi 17. d. 2 Suddetto Man. livcl. 1460 Canone soldi 17. d. 2. De Villa Bertono c Gerolamo in atti di contro. Suddetti in atto di contro. Oneto Gio. F.co Man. livcl. 1533. vi sì legge: dicitur franca. Suddetti eredi in atto di contro. IO De Bonio Colombano Man. livel. 14570 1458 Canone L. 2. Suddetto Man. livcl. 1460. Canone L. 2. De Villa Giacomo qm. Manuele Inv. 1471. 21 febbr. not. A. De Cario. Giustiniani Bona Battista Invcst. 1536. 26 giugno not. Nicolò Pallavicini De Coronato. Suddetto M.111. livcl. 1540. Canone sol. 12. IO TAVOLA DEI POSSESSORI CHE SI SUCCEDETTERO v kLL,\ I Quest* Bernardo De Michele Domenico Man. livel. 1558. Suddetto in atto di contro Barbanegra Manuele Suddetto eredi in atto di contro Babbanegra Gerolamo qm. Manuele Man. livel. 1J$8. Badarotto Michele Inv. 1565, 23 agosto not. Agost. De Franchi Molfino. Badarotto Giuseppe in atto di contro Pallavania Giacomo Savignone Merea Benedetto Acquisto di gran parte 155S. 9 luglio not. Paolo Abbo. Inv. 1542. 28 luglio not. Nic. Pallaviciui Da Coronato. Canone sol. 11. d. 7. Suddetto in atto di contro Suddetto Man. livel. 1 8. Suddetto in atto di contro Merea Gerolamo Acq. 1573. 5 febbraio not. Giac, Ligalupo. Inv. 1573. 14 febbraio not. Agost. De Franchi Molfino. 3 Pallavania Giacomo Suddetto in atto di contro Piola Cristoforo Acquisto 1543. 25 apr. not. Gio. Giacomo Cibo Peirano. Inv. 1543. 9 maggio not. Nicolò Pallavicini Da Coronato. Suddetto Suddetto Man. livel. 1558. Suddetto in atto di contro Doria Ambrogio Acquisto 1571. 28 giug not. Francesco Bado. Inv. 1572. 20. giugno not. Agost. De Franchi Molfino. Suddetto in atti di contro I Suddetto in atto di contro ■ Giustiniani Montata Oberto Inv. 1548. 4 agosio not. Nicolò Pallini; De Coronato. Inv. 1555. 23 aprilt not. Agost. De Frana Molfino. Canone sol. 10. Suddetto Man. Uvei, 1558. Maragliano Ceiol"’ Acquisto 1559. 23hot. not. Domen. Conforto. Magliocco Stefiso Acq. IS65. É maggio, not. Dom. Conforto' Inv. I $65 9 agosto not. Agost. De Frana Molfino. Canone soldi 12. Zerbi Battista . atti di contro - 187 — 00MENICO COLOMBO E NELLE CIRCONVICINE. Foglio 2. p Otto eredi del qm. Antonio Suddetto eredi in atto di contro Suddetti atti di contro lircJi Castiglione in atti di contro Merisano Stefano in atti di contro Detto in atto di contro suddetti nel foglio 3.°) 8 Zino fratelli Grimaldi Zino Stefano accennato in atto seguente. Torriglia Nicolò Inv. 1544. 23 febbr. not. Baldassarre Pallavicino De Coronato. Canone soldi 14. Giustiniani Morchio Oberto Inv,. 1548. 4 agosto not. Nicolò Pallavicino De Coronato. Inv. 1555. 23 aprile not. Agost. De Franchi Molfino. Canone sol. 14. Suddetto Man. livel. 1558. Maragliano Gerol.™0 Acquisto 1559. 23 nov not. Doinen. Conforto, Oneto Giovanni eredi IO Giustiniani Bona Battista Oneto Battista in atto di contro. Suddetto in atto di contro. —-S Suddetto in atto di contro. ——E Suddetto in atto di contro. ——5 Suddetto Man. livel. 1558. IO — i ss — TAVOLA DEI POSSESSORI CHE SI SUCCEDETTERO Net C4* I De Michele Domenico Baparotto Giuseppe Suddetto eredi Man. livel. 1578 e 1590 Canone ........ Suddetto eredi Man. livel. 1591 De Michele Battista in ano di contro Della Lena fratelli Inv. 159j. 4 luglio not. M. A. Molfino Suddetti Man. livel. 159$. Suddetti in allo di contro Suddetti Man. livel. 1598. Suddetto eredi Man. livel. 1578 e 1590 Canone ........ Suddetto credi Man. livel. 1591. Leveratto Agostino Inv. 1593. 25 marzo not. M. A. Molfino Suddetto Man. livel. 1S9S- De Fasciis Inv. 1596. 22 nov. not. M. A. Molfino. Fascie Andrea Man. livel. 1598. 3 Merea Gerolamo Suddetto eredi Man. livel. 1578 e 1590 Canone ........ Merea Gio. Andr. del fu Gerolamo Man. livcl. 1591. Suddetto in atti di contro Suddetto Man. livel. 1595. Suddetto in atti di contro Merea Geronima e Rolla Antonio coniugi in atto di contro Merea Gio. Andrea Man. livel. 1598. Ottone Gio. Batta Acq. 1624. 10 e 12 die. not. Gio. Ag. Cuneo. Inv. 1624. 17 die. not. Giac. Cuneo. 3 Doria Ambrogio Suddetto Man. livel. 1578 e 1590 Canone L. 2. soldi 12. Suddetto in atto di contro Suddetto Man. livcl. 1591. Levagio Vincenzo Acq. 159$. 12 settem. not. Francesco Bado. Invest. 1595. 13 sctt. not. M. A. Molfino. Sudd. e Ottone G. B. Man. livel. 1595. Ottone Gio. Batta Avocazione 1595-96 not. Gio. Fr.Valdettaro Inv. 1596. 20 marzo not. M. A. Molfino. Ottone Battista Man. livcl. 1598 Can. L. 2. soldi 12. Suddetto in atti di contro ZERBI b*ttista Suddetto Man. livcl. 157801590 Canone soldi 12, Suddetto eredi Invent. I $91. 5 giug®) not. Gerolamo Oneto Man. livel. 1591. Suddetto eredi in atto di contro Zerbi Gerolauo Man. livel. 159;. Canone sol. 12. Zerbi credi in atti di contro Suddetti Man. livel. 1598 Canone soldi 12- Ottone Gio. Batiì Acq. 1619- >* «53- 3 febbraio “ot-G-B- *£3 Da Sori Asgelo associato nell' iottst 22. giugno ' not' G- B. Badaracco, Foglio 4.0 Casa N. 39. gii 306 Da Sori Madduexj sostituta al suddetto. Carpone Martino e Pietro Paolo in atto seguente. Morbiono Giuscm un mezzano della cui distrutta dalle Irnk Acq. 1690. 8 mar. not. Ang. M. De Ferrari. Suddetto Convegno con Grimali 1690, 22 marzo, not, Nic. M. Bobbio. Inv. 1690. 20 aprile not. A. M. Ceresola. Man. livel. 1699. Canone sol. 5. dan. Suddetto Man. liv. 1717. 1720 e 1733- Canonc sol. 5. Jen. ) Morbiono G. B. ed Antonio di Gius. Atto dotale 1700. <>ga. not. Cipr. Dondo. Suddetti Testam, di G. B.Mor biono 1733- 26 V' not. Nicolò Ponte. Oxeto Lue* nel catasto del >798' Oneto Bart. delluL*> nel catasto 1814. 11 ’’ eredità. 1816. i*?'; Giudicatura Oneto Luca -ora di diversi Merisano Stefano eredi Suddetti in atti di contro -*—i» Costa Gio. Benedetto ed Antonio fratelli in atti di co..tro s— s—~- Storace Luigi e Michele fratelli nel catasto del 179S. Storace diversi nel catasto del 1814 e del 1830 ora di diversi 8 Zerbino Battista Ottone Battista Semino Maria Simona moglie di Rolla Andrea vende comc da atto seguente. Morbiono Giuseppe Acq. 1689. 10 luglio not. A. M. De Ferrari di,trutta dalle bombe. Inv. 1690* 30 gennaio not. Ant. M. Ceresola. Ottone credi in atti di contro Suddetto Man. livel. 1699. Suddetto Man. livel. 1717-1720-1733- canone sol 12. Storace diversi nel catasto del 1798. Detti nel catasto del 1814 c del 1830 ora di diversi. Suddetto eredi in atto di contro Ottone Carlo in atto di contro. IO Zerbi eredi Carbone Martino e Pietro Paolo fratelli in atto seguente. Chiappe G. Nicolò Acq. 1684. 24 ottobre not. G. B. Sestri. Inv. 1684. 19 novemb. not. Ant. M. Ceresola. Da Sori Chiappe Battina di Nicolò Inv. 1688. 31 agosto not. Ant. M. Cercsola. Suddetta Man. livel. 1699. Suddetta Man. livel. 1717-1720- *733-canone sol. 16. Ricostrutte ed unite a si-mc Arduino Lorenzo nel catasto del 1798 poi di Domenico Avanzino nel catasto Bel 1814 e del 1830 Bruzza Antonio Casa N. 51. gii 597 * Tavola II PIANO TOPOGRAFICO del primo tronco del Carrocjio diritto /fuori Porta JS. Andrea i Casa tjià, apparUnc,nd& a* Domenico Colombo, ora- al A? J/. 2. Casa formala; dalle dot,già. Pallavunia, ora al \’? ì9 3 Casa- formata- dalli- due,, una< di Deaerino da Pomario, e l olirei di Berto no Am creilo , ora N!fl ij-. Casa formala dalle due, una Bendi e l'altra di Piaggio, ora J7 ff 5 Casa c/ià appartenente a.Bartolomeo de Ctaoaro. ora jj. 6 . Casajvrmalou dalle due i/i/ì dei Bobbio. ora NI fi Si ouwerta che auasi tu/le le ma dai tempi di Colombo in a/presso tùrono accresciute dal lato dei cjiardau occupando molto spazio in juesù . Li case a mano sinistra scendendo du Porta S Andrea ora portano tulle, i numeri dis/iari. Tavola III. Tavola IV. PIANTA del secondo piano della casa qià di Domenico Colombo I f antera 1 ■ Scale Corri do/o -J- f antera ) CorliUHo m)ente b. Altra Camera ]. Cucina 8.9. Cortili interni 10 Pozzo Nola. H miitr .1'/ rn ttvrttc itrt piano tanno, tat/ro al iFf di!primo. , Rutilo M.Y>s ,M mmdo Leggenda Tavola V. PIANTA rappresentante corno doveva essere dispo, =sta la casa ai tempi di Colombo. (7 ' Metri C i n t| u 1 Entrala 2. Scala che corre di. riila a! pruno ed al secondo piano ■). Bol/eaa. -(•. Relrobottya \ 'nolo. o. Sculetta d'accesso al jiardi 1.111. Giardino il cjiwle con. Imitava in allo sino alle vecchie mura della cilhì 8. Pozzo. Scala Tavola VI FACCIATA attuale della casa > I. Egregi Colleghi, illustre archeologo Clermont-Ganneau ha pubblicati nel volume II degli Archives de la Societé de l’Orimt Latin (i), otto Nou-veaux monuments dcs Croisés en Terre Sainte. Fra questi uno ve ne ha, che merita in particolar modo di essere sottoposto alla vostra attenzione; ed il Clermont-Ganneau così lo descrive: « Pièce de marbré, provenant de Jérusalem, conservée actuellement dans l’etablissement frangais de S.,c Anne (2). L’inscription parait ètre incom- (1) Genes, Impr. de l’Inst. R. des Sourds-Muets, 1882-84; première partie, pp. 457-64; pi. HI, B. — Di qui la riproduzione silografica, che ne diamo per gentile consentimento, e che è di dimensioni alquanto maggiori. (2) Lo stabilimento di S. Anna in Gerusalemme, appartiene ai missionari francesi dell’ Africa. La chiesa fu costrutta nel medio evo sopra la casa dove affermavasi nata la B. Vergine : il chiostro contiene un piccolo museo lapidario. — 200 — pléte, et ce qui en reste a beaucoup souffert. Un grand nombre de caractères ont totalement disparu par suite de frottements, la plaque ayant du servir dans un dallage. L’on distingue les traces de six lignes. Dimensions : 32 x 37 centimétres: . . . ann]/j ab /«4arnati°ne domi]w ; ?/(ost)n ; z7?[esu] ^ [risti .... x]///; indicion^eì) . . . [ferie qu]z'(n)fe; icnuar\i] .......to': straller . . . [hic ia]cet .............. » L’on ne peut guére reconnaitre que la disposition de la date. Il semble que c’est l’épitaphe d’un person-nage nommé Straller? » (1). Il dotto francese ha ragione; benché l’iscrizione, per quello che vedremo, si contenga tutta intera nel marmo di S. Anna; e benché non si tratti di un nome proprio, ma di un cognome, che l’assoluta Scomparsa di una lettera gli tolse il modo di afferrare nella sua integrità. P erché Straliene doveva leggersi propriamente ; seguitando la 1 e la E finali nell’ ultima riga della lapide, dove dopo uno spazio capace per l’appunto di contenere la prima di esse lettere, apparisce chiarissima la curva della seconda. Se non che il Clermont-Ganneau, ingannato dalla assenza delta trattina orizzontale nel centro, 1’ ha (1) Arch. de l’Or. Lat., loc. cit. — Ora il Polybiblion (partie lettèraire, jul-liet 1885, p. 83) reca l’annunzio che « M. Clermont-Ganneau, correspondant d e l’Institut, est chargé d’une mission épigraphique dans les iles de la mer Rouge situées à l’entrée du golfe d’Akaba ». Lo stesso archeologo ha inoltre impresa testé la pubblicazione di un periodico mensile, intitolato: Recueil de Archeologie Orientale (Paris, Leroux). — 201 — scambiata in una C ; e vedendola precedere le lettere E T ne ha preso a sua volta argomento per unirle tutte tre insieme, interpretandole come desinenza di iacet. Ma sopra di ciò torneremo fra poco. Diciamo intanto come Stralkria ed anche Straleira, chè così variamente si trova scritto, dovette in origine essere il soprannome personale di un cittadino genovese non oscuro, discendente forse da un ramo dei Visconti, od almanco loro alfine, come tanti e tanti altri lungo il secolo XII, i quali levatisi in alto per valore o per fortuna, divisero coi pronipoti di Ido il consolato e le altre magistrature del patrio Comune. Ma a voler cercare l’etimologia del nome, io non so bene se debba derivarla dalla voce dialettale strallea, che vai quanto dire gombina, oppure da strallo, donde l’italiano straglio, appellazione collettiva di quei cavi dormienti che trattengono ed assicurano gli alberi verso la prora e sul piano longitudinale delle navi. Nondimanco la predilezione che mostrarono i nostri nel desumere le loro immagini dal linguaggio marinaresco, mi renderebbe propenso alla seconda spiegazione- Alla quale mi conforta parimente l’esempio di un altro soprannome tolto a prestanza dal linguaggio medesimo; cioè quello dei Marabotti, che da uno dei figli di Guglielmo d’Alinerio passò a formare il cognome di tutta una generazione di forti e valorosi (i). Marabotto o marabutto, come spiega il Pantera, é la vela minore della borda, e si adopera con venti treschi e gagliardi (2). (1) Ved. le Tavole genealogiche a corredo della mia Illustrai, del Reg. Arciv., num. xxxiv. (2) Jal, Glossane Nautique, p. 972. — 202 — Della nobiltà degli Strallerì ci è mallevadore un passo dell’annalista Bartolomeo Scriba; e del resto basterebbe osservare come il nome del loro stipite (Straleria) si legga tra quelli de’ principali cittadini, i quali, correndo il gennaio del 1157, giurarono le convenzioni stipulate dai legati di Genova col re Guglielmo I di Sicilia (1). Può del resto sembrare curioso che le poche notizie di Stralleria si stringano tutte a quest’anno. Nello stesso mese di gennaio, egli è pur testimonio ad uno strumento di Giovanni Scriba (2); e in altri due rogiti del notaio medesimo, sotto il 21 di maggio e il 9 d’agosto, comparisce armatore di una nave prossima a salpare alla volta di Alessandria. Anzi dall’atto del maggio si rileva, che proprio lo Stralleria imprendea viaggi a scopo di traffico fra Genova e l’Egitto ; considerandosi nella carta, come condizione necessaria allo adempimento di certi patti, il rimpatrio di lui sulla detta nave, o su quell’altra nella quale egli stesso si fosse imbarcato od avesse caricato la maggior parte delle sue mercanzie: sana eunte Alexandriani et inde redeunte navi Straleire, vel sana veniente illa navi in qua veniet Straleira vel maior pars rerum eius (3). Certo il soprannome di Stralleria diventò cognome ereditario pei figli di lui, e pei loro successori, nella stessa guisa che vennero detti Embriaci i discendenti di Guglielmo Embriaco, uno dei sette figli di Guido Spinola, Fieschi i discendenti di Ugo Frisco, cosi appellato per necessaria distinzione dal suo contemporaneo e con- (1) Atti Soc. Lig., I. 296. (2) Chartarum II. 368. (3) Id., 382. 410. — 203 — sanguineo Ugo Secco, ecc. ecc. (i). Anzi sul primo Fie-schi permettete che io insista un poco, dacché intorno alla derivazione di quel casato udimmo esporre in questa aula, or fanno appena due mesi, una diversa teoria (2). La denominazione degli ascendenti di Innocenzo IV e di Adriano V dal Frisco è conforme alla affermazione dell’annalista Giustiniani, fondata sulla autorità di « più libri dei privilegi loro » ; e le sue parole risultano il migliore commento alle tavole genealogiche da me compilate. Le quali, appunto come scrive il citato annalista, dimostrano che Ugone figlio di Ruffino qm. Alberto qm. Rubaldo dei conti di Lavagna fu « il primo qual pigliò il nome di Fiesco » (3). Ho detto « i figli di Stralleria », perché proprio una carta del 9 agosto 1164 rammenta la loro ragione commerciale — societatem filiorum Stralerie (4); — ma di nome veramente ne conosco uno solo, che fu Buonvas-sallo; né altro so dirne se non questo, che intervenne come testimonio ad un rogito del 20 settembre 1158, in cui Solimano di Salerno e Ruggero di Chiavica contraevano società di commercio (5). Ebbe però anche Buon vassallo più figliuoli, e tra essi è Giovanni, di cui (1) Ved. le Tavole genealogiche cit., num. 11. iv, xxxii. (2) Il compianto sig. Enrico Bianchi, in una Memoria sulle vere origini dei conti di Lavagna, della quale il cognato di lui e socio nostro sig. Augusto Reta, con pietoso pensiero diede lettura alla Sezione di Storia, sostiene che i Fieschi sono una mera diramazione dei Bianchi. Ma la teoria è sembrata più speciosa che accettabile. Certo se 1’ autore fosse vissuto, avrebbe potuto modificare le sue conclusioni, e rendere colle diligenti ricerche nelle quali si affaticava un buon servizio alla nostra storia. (3) Giustiniani, Annali di Genova, I. 402. (4) Chartarum, II. 976. (5) Id. II. 553- — 204 — il Federici trovò notizia in uno strumento di Guglielmo Calligepalli del 1181 (1). Un altro notaio, Lanfranco, ci serbò nelle proprie imbreviature il testamento di Giovanni medesimo, scritto il 19 marzo del 1184: donde si rileva che egli avea per moglie Giovanna figlia d’Eliano, di cui tace il cognome, ma che potrebbe essere forse Eliano di Chiavica, ricordato in più rogiti di Giovanni Scriba (2) e poi ancora nel giuramento della pace di Genova con Pisa del 1188 (3). Sin qui le nozze di Giovanni Stralleria non erano state consolate di prole: difatti il testatore accenna solamente una figlia naturale, di nome Aidetta, cui lascia quindici lire da valer come dote al matrimonio di lei. Ma egli spera nondimanco di diventare anche padre legittimo ; e questa speranza gli giova di norma nel dettare le principali regole della successione. Né d’altro canto doveva trovarsi molto avanti cogli anni; perché se già gli era mancato il genitore (dicesi infatti filius olim Bo-nivassalli), gli rimaneano pure tra’ vivi la madre e la nutrice; alla quale mi sembra anzi che egli ripensasse con affetto, legando venti soldi a lei e il doppio alla propria sorella di latte : Ermengarde marne mee solidos xx, (1) Federici, Abecedario delie famiglie stabilite in Genova ecc., Ms. della Bibl. della Missione Urbana. — Id. Collettanee, Mss. dell’Archivio di Stato, voi. I, a. 1181. (2) Sono specialmente da notare gli atti nei quali interviene come testimone o come parte, laddove prende interesse Solimano da Salerno poc’anzi citato; e un altra carta, donde apparisce che la moglie di esso Eliano fu Rachelda figlia di Agnese de Dactilo. Da quest’ultima lo stesso Eliano acquistava la metà di una casa e di una torre, sita per l’appunto nella contrada di Chiavica. Cbartar.ll, 511. 516. 650. 685. (3) Atti Soc. Lig., I. 370. — 205 — et eius filiole solidos xl. Ricorda poscia il fratello Marchisio ; ed in persona propria, od in quella del suo erede, lo chiama a raccogliere tutta o parte della fortuna che egli sarà per lasciare, qualora le speranze d’aver figliuoli non si avverassero, o il nascituro fosse una femmina, oppure morisse innanzi di raggiungere l’età di 25 anni senza successori cui assista la legge. E qui la designazione fatta un po’ vagamente colle parole Marchesium fratrem vel eius heredem si ipse non esset, mi sembra indizio che anche questi fosse privo di figli. Infine il testatore lascia per tutori alla prole invocata lo stesso tratei suo ed il suocero Eliano; ma vuole che in quest’ufficio sieno anche assistiti da due consiglieri, uno de’ quali è Vassallo Stralleria, senza però accennare il grado di parentela onde egli era stretto a quest’ ultimo (1). Vi è nondimeno da crederlo nato da taluno dei figli del primo Stralleria, trovando che già figurava come testimonio in una carta del 1158 (2). Il Federici poi ricorda un atto dell’anzidetto Calligepalli, in data del 1181, da cui lo stesso Vassallo rilevasi genero di Guglielmo Mallone, ed una carta posteriore di dieci anni nella quale si enumera fra i consiglieri del Comune di Genova (3). Di che doppiamente risalta l’importanza degli Strallerii, essendo i Mal-Ioni tra i cittadini che più di frequente ascesero al consolato, ed avendo Guglielmo sostenuto di per sé non meno di otto volte l’ufficio di console dei placiti fra il 1173 e il 1199. Che Giovanni sortisse la figliolanza invocata, non parmi (1) Vedasi il testamento in appendice. (2) Chartarum, li. 525. (3) Abecedario Ms. — 206 — di poterlo affermare ; ma non andò molto che egli si parti dalla patria, sebbene fra l’atto delle sue ultime volontà e l’impreso viaggio non sia da vedere alcun nesso. Al contrario Giovanni nel 1184 accennava chiaro al proposito di non volersi allontanare da Genova, disponendo pel seppellimento del suo cadavere nel cimitero di S. Lorenzo. Sia dunque la cura de’ pubblici negozi o dei privati interessi quella che più tardi ebbe a chiamarlo in Siria, certo è però che del n90 egli era in Tiro; dove il giorno 11 di aprile interveniva alla soscrizione del diploma, con cui il marchese Corrado di Monferrato riconosceva ai genovesi, rappresentati dal console Guido Spinola, i privilegi ond’essi godevano da antico nelle città di Tiro, di Sidone e di Berito, e ne concedeva loro de’ nuovi. Il diploma é dato in Tiro, nell’ospizio dei templari: i testimoni che vi figurano sono dieci, cinque stranieri e cinque genovesi : primo fra questi Johannes Stralera (1). Rifacendoci ora alla lapide di Gerusalemme,'e considerando quell’ IO che nella penultima riga precede a STRALLER.., ciascun di voi osserverà come debba venire spontanea la lezione Johannis Straller ie: donde la conseguenza, che la pietra sepolcrale appartenga al testimonio del diploma poc’ anzi rammentato. Non dico di no ; ma chiedo di quale data sarà l’epigrafe ? Poiché le note relative all’anno si terminano con tre unità, e queste sono le sole cifre visibili, tanto fa che esse si risolvano (per esempio) nell’espressione finale del MCLXXXV111 o in quella del MCCIII. Succede però l’indizione; e non vi ha (1) Liber Jurium Reip. Gen.,, 1. 359. — 207 — dubbio che il numero di questa, concordato coll’anno, toglierebbe via ogni imbarazzo. Ma, quale sarà questo numero? Le prime lettere che compariscono nella quarta riga, dopo uno spazio obliterato, sono NTE, desinenza di quinte, che concordata col nominativo precedente viene a dire INDIClOms qui NTE. Ora la quinta indizione, giusta lo stile dei genovesi, cadde appunto in entrambi gli anni sovra enunciati ; nei quali, secondo lo stile comune, correa già la sesta. Ma perché lo Stralleria, come abbiamo veduto poc’anzi, era vivo nel 1190, é naturale che noi ci dobbiamo risolvere pel 1203. Vedemmo però come il Clermont-Ganneau supplisca lo spazio vuoto della lapide in guisa diversa da quella da me proposta, cioè colla parola ferie, e la concoYdi con quinte. Ma perché nel marmo si rivela in tutto seguita la pratica dei genovesi, e verisimilmente l’epigrafe stessa fu da un genovese dettata ed incisa, lasciatemi osservare che l’interpretazione dell’illustre archeologo non può avere presso di noi il conforto di alcuno esempio. L qui, tornando al testo nel suo insieme, rilevo pure che la lezione del dotto francese, quale venne da me riprodotta in principio, ha mestieri di essere anche in più altri luoghi modificata. Così dopo il millesimo che va a terminare alla terza riga, e che io ho proposto nel 1203 (giacché la X precedente le unità, e che direbbe XiII non acquista per l’ispezione del marmo alcuna ombra di fondamento), io faccio cominciare la quarta linea colle due ultime lettere enunciative dell’indizione, la quale segno al genitivo, per concordarla ad anni; e leggo per conseguenza indicionis. Indi sopprimo la parola ferie, che é affatto arbitraria; ed osservo che — 208 — al mese di gennaio, se non vuoisi supporre scritto al-1’ ablativo assoluto, dovette susseguire la nota dei giorni, per esempio: ienuarii secunde vigesime, ecc. Dipoi alle date cronologiche è mestieri che tenga dietro la formola di sepulchrum (S. oppure Sepì), col nome ed il cognome del tumulato. Nè la ET di cui ho già toccato sopra, ultima a vedersi nella sesta riga, può mai interpretarsi come finale di iacet; ma deve essere la particella congiuntiva, cui in tutte le nostre lapidi tien dietro la memoria degli eredi, ai quali chi fa costrurre il sepolcro intende che questo abbia da essere comune. Leggiamo pertanto: t ANNI AB INCARNACENE DOMINI NOSTRI IHESV CHRISTI MCCIII INDICIO-NIS QVINTE IENVARII ____SEP. IO. STRALLER- IE ET HEREDVM SVORVM. Nè vi sembri questo heredum suorum adoperato luor di luogo, perchè lo Stralleria mori lontano dalla patria. La presenza di uno de’ suoi discendenti nella Soria viene attestata da un atto del 14 luglio 1249, pubblicato dal-1’egregio nostro collega cav. Desimoni, in quello stesso volume degli Archives nel quale il Clermont-Ganneau ha prodotta l’epigrafe. È l’inventario officiale delle rendite e dei censi che spettavano nella città e nel porto di Acri al comune di Genova; e fra i testi presenti all’inventario segnasi per l’appunto: Petrus Stralerie (1). (1) Arch. de l’Or. Lai., voi. II, par. II, p. 213 segg. — 209 — il. Qui propriamente avrei finito; ma perché la famiglia degli Stralleria ha pur diritto a prender posto nella nostra storia, fermiamoci a raccoglierne ancora qualche notizia, per cui se ne rilevino meglio le condizioni e il carattere. Vassallo poc’anzi citato ebbe verisilmente più figli; ed é fra essi quel Giovanni, che fu detto il maggiore per distinguerlo da un nipote omonimo, si come intendiamo da un atto di Guglielmo Cassinense del 7 maggio 1207, al quale sono testimoni Johannes Straleria maior ed Johannes Straleria eius nepos (1). Il maggiore aveva in moglie Alda di Castello; della quale troviamo in una carta del notaio testé citato, che il 25 d’agosto del 1201, insieme ad Amigone di Castello, propinquo di lei, vendeva ad Enrico Nepitella una terra ed un canneto, pel prezzo di sessanta lire di Genova, dichiarando l’acquisitore essere queste porzione della dote di Giulietta sua moglie, figlia dello Stralleria e di essa Alda; alla quale perciò il Nepitella, con successivo istrumento ne rilascia quitanza (2). Il canneto si accenna prossimo al fiume di Recco, la terra ivi stesso in loco qui dicitur Feletus, cioè Fclceto: nome derivato dalla natura delle piante, e non raro nella (1) Archivio di Stato. — Pandette Richeriane, Fogliazzo I, voi. I, pag. 215. (2) Pandette Richeriane, Fogliazzo I, voi. I, pag. 198-99.— Amigone di Castello, come risulta in più luoghi dello stesso Fogliazzo, era cognato di Vassallo Stralleria, avendo sposata la sorella della moglie di costui, cioè Alda figlia di Guglielmo Mallone. Fu poi console dei placiti negli anni 1203, 1205 e 1208. Atti Soc. Lig. St. Patri*. Serie 2.*, Voi. XVII. i-| — 210 — nostra geografìa medievale. Dove, per tacer d’altri, occorrono due Campi felectosi; de’ quali uno é posto nella valle di Bargagli (i) e l’altro risponde all’odierno Fre-goso in Polcevera, certamente meno circoscritto, innanzi che un modesto santuario di Nostra Donna, ivi sorto nel secolo XIV, conferisse alla parte più settentrionale della collina l’appellazione del Garbo (2). Nel 1202 troviamo poi eletto lo stesso Giovanni Stralleria al consolato dei placiti; ed appunto pel cenno fattone con questa occasione dall’annalista Ogerio Pane veniamo accertati della sua paternità: Anno dominice nativitatis MCC1I,... (fuerunt) pro placitis consules in quatuor compagnis versus civitatem, Johannes scilicet quondam Vassalii Strallerie, etc. (3). Inoltre, per uno strumento di Lanfranco, del 25 maggio 1210, abbiam la prova della morte già seguita dello stesso Giovanni; leggendo che Alda uxor qm. JVilielmi Mallonis confitetur se habuisse ab Alda uxore qm. Johannis Strallerie libras XXXVI Janue, que sunt de patrimonio nurus sue Sibiline uxoris filli sm Rubaldi (4). Stando all’esame un po’ superficiale di altri rogiti, e correndo dietro alle omonimie, parrebbe ovvio il concludere che la vedova dello Stralleria era figlia di Guglielmo del qm. Villano da Castello, uno dei testimoni pubblici nel (1) Registro della Curia Arcivescovile di Genova, pag. 165, 296. (2) La prima memoria del santuario si incontra nell’atto di riparto della tassa ecclesiastica del 1387, da me prodotto in Atti Soc.Lig., voi. II, par. I, pag. 392. Se ne tace invece in un documento del 1311, nel quale compariscono egualmente tutte le chiese allora esistenti nella diocesi di Genova. Ved. Giorn. Lig., a. 1879, pag. 3 segg. (3) Pertz, Mon. Germ. Hist., XVIII. 119. (4) Pand. Rick, Fogl. I, voi. I, p. 605. — 211 — 120i (i); ma ecco il medesimo notaio Lanfranco il quale, scrive sotto il 27 di settembre del 1214: Confessus fuit Wilielmus de (tastello se recepisse in accomendacione ab Alda filia sua, uxore Johannis Stralerie, de rebus eius viri libras denariorum Janue XXXII (2). Qui dunque il marito é vivo, e due volte lo si accenna come tale; laonde, per uscir d’imbarazzo, bisogna ammettere o che il nipote dell’ ex-console scegliesse anche lui la compagna della sua vita nella casa dove l’avea cercata lo zio, oppure che dopo la morte di questi ne sposasse la vedova. Però vi é un altro nodo, che non si può sgroppare con sicurezza. Perché se chiedeste di chi era figlio Giovanni il minore, risponderei che egli dovette sortire i natali da un fratello di Giovanni il maggiore, del quale gli atti da me letti non recitano mai il nome; ma non potrei darvi sicurtà della mia induzione alla stregua dei documenti. Certo egli fu uomo di grande importanza, come quegli cui nel 1234 venne consegnato lo stendardo maestro di S. Giorgio (3), e con esso dato il comando supremo delLesercito spedito contro gli insorti delle valli di Oneglia, d’Arrocia e del Giura, da lui prontamente ridotti in soggezione. Nel 1230 egli era stato dei consiglieri del Comune, e lo fu di bel nuovo nel 1242 e 1247; oltrecchè é pur citato come testimonio in atti del 1256 (4). (1) Atti Soc. Lig., I. 369. 408. (2) Archivio Notarile di Stato. — Not. Lanfranco, a. 1214 segg., car. 67 verso. (3) Dato primitus vexillo mastro sancti Georgii viro nobili Jobaimi Stralerie. Barth. Scriba, Annal, apud. Pertz, XVIII. 182. E si corregga l’Arndt, il quale nell’indice, a questo luogo, ha scambiato l’aggettivo di mastro col titolo di un ufficio, creando Johannes Straleria mastrus S. Georgii (p. 846). (4) Federici, Abecedario Ms.; Id. Colkttanee, voi. I, agli anni rispettivi ; Lib. Jurium, I. 1004. — 212 — Fece poi scrivere il proprio testamento nei rogiti di Guglielmo di S. Giorgio, il 19 luglio 1268, disponendo che al suo frale si dovesse dar sepoltura nel cimitero di S. Maria di Castello. La moglie Alda era già morta ; e similmente erano trapassati i loro figli Pietro ed Enrico, rimanendo soltanto due maschi di quest’ultimo, Bonifacio e Nicoloso, istituiti eredi in parti eguali dal testatore. Pietro, di cui egli rammenta la vedova Caracosa, é quel medesimo che noi trovammo in Accone nel 1249, che dieci anni più tardi sedette in patria fra gli anziani ed ancora nel 1263 si noverò tra i consiglieri (1). Vivea invece la figlia di Giovanni, Adelasina, monaca (reddita) fra le cisterciensi di S. Andrea della Porta. Gli esecutori testamentari si leggono designati nelle persóne di Amico o Amighetto Stralleria del qm. Guglielmo e di Giovannino Stralleria, forse figlio di Amico medesimo, e consigliere anche lui del Comune nel citato anno 1263 (2). Il quale Amico va celebrato anch’esso nei patri annali, pel comando eh’ egli ebbe nel 1226 della squadra allestita contro i savonesi e gli albenganesi, succedendo a Belmostino Visconte: ambo viri providi et discreti (così li encomia Bartolomeo Scriba) et qui bene Comunis Janue negotio procurarunt (3). Di lui notò poi il Federici che nel 1264 veniva dichiarato erede di Marino Ma-locello (4): donde il sospetto che egli avesse in moglie (1) Lib. Jur., I. 1300; Atti, XVII, 233. — Uno strumento ricevuto dallo stesso Guglielmo di S. Giorgio il 13 agosto 1267, ricorda già Pietro Stralleria come morto. Pandette Rich., Fogliazzo II, pag. 191. (2) Arch. cit. — Not. Gugl. di S. Giorgio, a. 1268, car. 28. Atti, XVII. 233. (3) Pertz, XVIII. 161. (4) Abecedario, Ms. ■— 213 — una donna di questo casato, e di loro nascesse anche quel Marino Stralleria, il quale nel 1261 essendo consigliere del Comune, intervenne alla ratifica del celebre patto di Ninfeo seguita in Genova il 10 di luglio (1). Le notizie fin qui recate, ci hanno mostrato gli Stralleria congiunti ripetutamente di parentela coi Malloni, i Castello, i Nepitella: soprannome anche questo, in origine, tolto a prestanza da una varietà delle melisse che credeasi efficace rimedio contro le morsicature dello scorpione (lat. nepa). Aggiungerò che Guglielmo poc anzi citato, e verisimilmente fratello di Giovanni il maggiore, ebbe in moglie Adelasia Fornari già vedova di Enrico Nocenzio; e che un rogito di Giovanni Enrico della Porta, del 7 novembre 1230, mostra che a questa data ambo i coniugi erano usciti di vita (2). Come i Castello, così gli Stralleria si vedono radicati nella parte alta e forte della città : dove aveano abitazioni e poderi, e dove anche davano il nome ad una strada o piazza, ché così trovasi variamente appellata. Forse era qui la casa degli eredi di Pietro Stralleria, nella quale Giovanni il minore dettava le ultime sue volontà (3). Ma di altre sappiamo con certezza, mercè di tre rogiti notarili. Col primo di essi, che leggesi fra quelli di Parodino da Sestri e porta la data del 27 dicembre 1235 (stile comune: 1234), Juleta uxor qm. Vassalli Stralerie (dunque la figlia di Guglielmo Mallone) costituisce procuratore il notaio Gandolfo da Sestri, affinchè riceva da Buonsignore fratello di lei e dalla moglie di quest’ultimo, (1) Jur., 1. 13 59- (2) Pand. Ricb., Fogl. I, voi. I, p. 345- (3) Arch. Not. di Stato. — Not. Gugl. di S. Giorgio, loc. cit. — 214 — Adelasia, la cessione dei diritti loro competenti sovra la casa del predetto qm. Vassallo, sita in Castello, ed alla quale coherent antea via sive platea Straleriorum, a duabus partibus via sive carrubeus, a quarta hortus Straleriorum (i). Col secondo, che è del 22 maggio 1274 e fu ricevuto da Leonardo Negrino, Nicoloso Stralleria del qm. Enrico vende a Gabriele Nepitella ed a Filippo Della Volta, pel prezzo di dugento lire, una casa posta in Genova, in contrata Straleriorum, avente a confini da tergo gli eredi di Simone di Oneto, di fronte e da un lato la via, dall’altro lato la casa di Amighetto Stralleria (2). Finalmente, con un terzo istrumento datato del 25 aprile 1276, e del quale é ignoto il notaio, Amighetto e Giovannino Stralleria si oppongono alla vendita fatta, pel prezzo di lire 332, dall’anzidetto Nicoloso ad Ansaldo Balbo di Castello, di una casa posita in contrata Ulmi Straleriorum, cui coheret ante via sive plathea, ab una parte via, retro domus que fuit Gandulfi de Sige-stro notarii, et ab alio latere domus dicti Amiceti Stralerii (3). Ora, perché gli enti non si moltiplichino senza necessità, a me non par dubbio che quest’ultima casa sia da identificare con quella che Giulietta Mallone liberava dalle ragioni di suo fratello ; e sia pure la stessa che Giovanni il minore, nel testamento poc’anzi allegato, dichiarava di aver locata ai fratelli Obertino e Guglielmo De Mari, ponendo per condizione agli eredi di non ven- (1) Pand. Ridi., Fogl. I, voi. II, p. 215. — La cessione segui difatti con altro strumento di pari data ; ed è appunto in questo che Buonsignore si dichiara figlio di Guglielmo Mallone. Ibid. (2) Id., Fogl. I, voi. Ili, p. 2470. (3) Arch. cit. — Notari diversi, a. 1271-91, car. 10 recto. - 215 — derla senza il consentimento dei fidecommissari del testatore ; i quali erano nè più nè meno che gli attuali opponenti. Voi chiederete come la casa di Giovanni il minore sarebbe passata da un ramo ad un altro della famiglia? Ed io vi prego di notare che Giovanni il maggiore, figlio della Mallone, non ebbe discendenza mascolina, e che forse raccolse nel nipote ex fratre non pure il suo affetto ma le proprie sostanze. L’atto del 1276 ci mette altresì nella condizione di ben conoscere qual fosse la via degli Stralleria : la stessa cioè che scendeva dalle vicinanze di S. Damiano (ora SS. Cosma e Damiano) alla Ripa, in prossimità del Man-draccio, che è quanto dire l’antichissima Darsena. La qual via per la prima volta in quest’atto, se mal non mi appongo , è designata insieme al vecchio appellativo con quello deir Olmo, certamente per essere ivi in cresciuto uno di quegli olmi campestri, al rezzo de’ quali sedea volentieri a conversare la gente del popolo. Così il Boccaccio racconta del prete da Varlungo « il quale, comecché legger non sapesse troppo, pur con molte buone e sante parolozze la domenica appiè dell’olmo ricreava i suoi popolani » (1). E così ancora un decreto del 10 gennaio 1510 riferisce, che la Signoria di Genova avea fatto piantare sulla piazza del pubblico Palazzo ulmos duos speciosas in magnum ornamentum ipsius platee (2). Beati loro, che di poco si chiamavano contenti! Ma anche scomparso l’olmo, ne sopravvisse il ricordo; e il suo nome durò costante all’ umile via, finché questa (1) Giorn. Vili, nov. 2.» (2) Arch. di Stato. — Cod. Diversorum Cancellarne, a. 1509-10, X. 1113. — 2l6 — cedette il posto allo spianamento della piarci Cavour. Quanto all’appellazione degli Stralleria, la avea forse già smarrita nel secolo XIV, o poco appresso, coll’estinguersi del casato donde le era venuta ; del che panni ci avverta un rogito di Giuliano Cannella, del 12 dicembre 1418, actum Janue mxta Ulmum in contrata Castri, figurando qui la contrada nel senso più lato di regione che bene spesso le attribuiamo anche noi (1). Fin qui abbiamo veduti gli Stralleria in relazione coi Castello per causa specialmente di parentela; della qual relazione é pur da riconoscere un altro indizio in un rogito di Federico da Sestri, del 28 agosto 1226, laddove Amico Stralleria, curatore di Guglielmino del qm. Pietro di Castello, interviene colla propria autorità a legittimare la vendita da questi fatta ad Oberto D’ Oria di alcuni fondi rustici esistenti sul colle di S. Cipriano in Polce-vera (2). Erano però stretti anche insieme da interessi economici, che certo i vincoli del sangue avranno reso più frequenti. Così, per esempio, nei testamenti che abbiamo analizzati, Giovanni figlio di Buonvassallo e Giovanni il maggiore si protestano rispettivamente debitori di denaro ad Amigone e a Bottaccio di Castello. Ma i Castello risalgono cogli Embriaci ad un medesimo stipite (3); e Carlo Hopf ha provato come dai primi discendessero gli Zaccaria, i quali, ben notò il Desimoni, « empierono di loro fama l’Oriente e l’Occidente » (4). (1) Arch. Not. di Stato. — Not. Giuliano Cannella, a. 1418-21, car. 64 recto. (2) Pand. Ricb., Fogliazzo I, voi. II, p. 13. (3) Tavole genealogiche citate, num. XXIX. (4) Giornale Ligustico, a. 1876, p. 222. Or eccoli aneli’essi, Embriaci e Zaccaria, in rapporto cogli Stralleria, Non do molta importanza al fatto, che fra i presenti al testamento di Giovanni di Buonvassallo si trovi registrato Nicola Embriaco figlio di Ugone li signore di Gibelletto nella Soria (i). Mi fermo invece ad uno strumento di Bartolomeo Fornari, con cui, addi 23 agosto del 1248, Ansaldo Stralleria confessa a Simona sua moglie di avere ricevuto un aumento sulla dote che le aveano costituita Nicola e Bonifazio Embriaci, zio e nipote; e noto che all’atto fu testimonio Giovanni Zaccaria (2). Forse Bonifacio era fratello di Simona; e se è così, ecco gli Stralleria imparentati colla discendenza di Guglielmo Testa di maglio. Similmente mi sembra indizio di parentela il legato che a favore di Jacopa Stralleria, sorella di Giovanni il minore, si trova iscritto nel testamento di Giulietta moglie di quel Fulcone Zaccaria, donde nacque Manuele stipite, nel 1275, dei dinasti di Focea (3). Infine leggo nei rogiti di Guglielmo da S. Giorgio, che il dì 23 febbraio 1266 Raffaele Stralleria riceve denaro in accomenda dall’anzidetto Bottaccio di Castello e da Benedetto Zaccaria, che é quanto dire il famoso ammiraglio di Francia, il più potente e dovizioso personaggio della sua casa (4). Gli Zaccaria ci appariscono a volte prodi capitani di mare e a volte feroci corsari, secondo che trovansi ricordati nelle cronache di popoli amici 0 nemici di Genova ; ma (1) Federici , Collcttante Mss., voi 1, a. 1181 ; Hevd, Colonie commerciali ecc., I. 251, 271. (2) Pand. Ricb., Fogl. I, voi. II, pag. 547. (3) Testamento in not. Giovanni Vegio, 28 maggio 1248; Pand. Ricb., Fogl. I, voi. Ili, p. 2183 ; Hopf, Cronicqm greco-romanes, tav. IX, p. 502. (4) Hopf, loc. cit. — 220 — superfluum sit Marchesii vel heredis eius, si ipse tunc non esset. Amicono de Castello promitto et volo ut habeat libras xxvii usure quas ipse dedit consulibus de meis rebus, et matri mee hec que ipsa dedit similiter pro usura de meis rebus. Item si uxor mea gravida est, filius vel filia qui vel que ex ea nascetur sit in tutella fratris mei Marchesii et Eliani soceri mei; et possint tutores mandare res quas dimitto laboratum per mare et terram sine periculo reccuperi. Uxori mee Johanne, ultra suas rationes, de meo lib. xxx. Et si filius vel filia de qua gravida est uxor mea, si foret gravida, obierit sine herede legitimo infra xxv annos, substituo ei Marche-sium fratrem, vel eius heredem si ipse non esset. Do conciliatores tutoribus predictis Vassallum Straleriam et Johannem Gritam (?). Hec est mea ultima voluntas, etc. Actum Janue, in domo predicti Straleire. Millesimo clxxxim, indicione i, xm die exeuntis marcii. Testes: Nicola Embriacus, Ansaldus Buferius, Wilelmus Fornarius, Ugo Fornarius, Amiconus de Castello, Johannes Busca, Gandulfus Anainus. Archivio Notarile di Stato. — Not. Lanfranco, a. r 180-86, cart. 145 verso. CINQUE DOCUMENTI GENOVESI-ORIENTALI PUBBLICATI DAL SOCIO L. T. BELGRANO r * ei documenti che laccio qui di pubblica ragione, i primi quattro vennero estratti dal Li ber Jurium vetustior, uno fra i molti codici pertinenti a Genova, i quali rimangono tuttavia in Parigi ad attestare le spogliazioni patite dal nostro Archivio sotto l’impero del Bonaparte. Il mio egregio collega, cav. Cornelio Desimoni, il quale nel 1883 ebbe agio di studiare il prezioso deposito, ce ne promette una relazione, che attesterà una volta di più la sua specchiata diligenza e profonda erudizione, e che frattanto la Società Ligure affretta con caldissimi voti. Nè io dirò altro, salvo che alla buona amicizia del Desimoni debbo appunto la indicazione dei — 224 — documenti medesimi ; mentre vado obbligato alla squisita cortesia dell’ illustre conte Riant, per avermene egli procacciata la trascrizione. La lettera di Michele Paleologo, del 1262, oltre che alle relazioni di Genova con l’Impero Greco, tornerà anche utile alla Storia dei Conti di Ventimiglia; intorno ai quali auguro di veder presto compiuta la monografia, che ne appresta il mio carissimo Girolamo Rossi. f L’ atto del 1263 ci dà la creazione di un mutuo, destinato a far fronte alle spese degli armamenti opportuni per tener testa ai Veneziani in Levante. Dovremmo anzi chiamarlo senz’ altro una compera, come poi ne furono create tante e troppe ; e forse i nomi di luogo, nel significato di anione, e di colonna a significazione di un dato numero di luoghi impostati sopra una sola testa, s’incontrano per la prima volta in questo atto (1). L’altra lettera con cui il Paleologo presenta in forma vivace le proprie doglianze a Genova, va riferita agli anni che seguirono dopo il 1270, in cui furono creati i Capitani del popolo, ai quali essa è indirizzata. Anzi parmi che l’imperatore vi si richiami di quei disordini ne’ quali i genovesi proruppero, pel divieto da lui posto, sulle istanze di Manuele Zaccaria signore di Focea, al ricco traffico dell’allume: disordini che trovansi narrati con molto corredo di particolari, e certo con malevoli intendimenti, dallo storico Pachimare. E se fosse proprio (1) L’illustre Giulio Resasco, nel Diiionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo (pag. 212), cita un esempio di colonna negli strumenti di Guglielmo da S. Giorgio sotto il 22 dicembre 1264. Di luogo, inteso non come anione di compera, ma come carato di nave, abbiamo invece esempi di data molto più antica. Di\. cit., pag. 582. — 22J — così, converrebbe indugiare l’età del documento fin verso l’8o, sapendosi che lo Zaccaria ebbe l’investitura di Focea solamente nel 1275, e che il divieto fu emanato dal Paleologo dopo un certo intervallo (1). Genova, Ottobre 1885. L. T. Belgrano. U) Pachymeres, Michael Palaeol., lib. V, cap. 30. Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie j.‘, Voi. XVII. . I. 1262. Michele Paleologo accredita i suoi ambasciatori presso il podesti ed il Comune di Genova. Vuole inoltre che questi abbiano per raccomandato il conte Guglielmo di Ventimiglia e la sua sposa ; e che ad uno degli oratori imperiali, destinato al Papa, altro ne associi il Comune. Porge notizia dei veneziani ; e confida bastino le galee di presente armate per tenerli in freno. Michael in Christo Deo fidelis imperator et moderator greco-rum a Deo coronatus semper Augustus, Ducas, Angelus, Comnia-nus, Paleologus et novus Constantinus, nobilissimis viris et dilectis imperio meo potestati Janue, domino Palmerio de Fano (1), consilio et comuni eiusdem civitatis dilecte fraternitatis imperii mei salutem et sincere dilectionis continuum incrementum. Imperium meum et antea paulo vobis omnibus intimavit per alias litteras factas de factis prout imperium meum voluit insignare. Scripsit autem vobis quod preparat nuncios nostros ut transmitteret ad vos, de quibus nostram voluntatem intelligetis. Et ecce imperium meum preparavit et transmisit ad vos presentes nuncios nostros , videlicet preasebaston sebaston et familiarem imperii mei, dominum Ob[ertum] Doceanum, et preasebaston sebaston, dominum Johan-nem Rominon, quibus commisimus ut vobiscum loquerentur et omnia que eisdem comissa sunt ab imperio meo, quibus fidem adhibeatis de quibus ex parte imperii mei vobis retulerint. Sicut autem videre poteritis, ecce imperium meum mandat vobis nobilissimum comitem G[uilielmum] de Vintimilia karissimum generum imperii mei, qui cum dictis nunciis nostris venit ad illas partes. Vos quidem bene cognoscitis et certe sicut imperium meum dictum nobilissimum comitem cepit in tempore guerre et pugne et eum in quamdam civitatem imperii tenuit in carceribus. Ex quo autem imperium meum intellexit predicami comitem nobilem esse de excelso et magno genere vestro, et eciam deprecacene et intercessione intermediante, liberavit eum de carceribus imperium • *** (1) Resse politicamente il Comune da i.° di giugno 1262 al i.° febbraio deiranno seguente. — 228 — meum et accepit eum generum imperium meum cum karissima nepte filia beate memorie imperatoris consanguinei imperii mei domini Theodoris Duce Lascaris (i), et dedit imperium meum prefato comiti yperperos vigintimilia ut ipse emeret intratum in vestro comuni. Quare imperium meum noluit ipsum in aliam terram transmittere et habitare facere eum alicubi, nisi ad comune vestrum, dilectam fraternitatem imperii mei. Et propter hoc ad vos transmissimus habitare. Nam sperat imperium meum, propter amorem quem habetis circa imperium meum, sicut imperium meum habet amorem ad karissimam neptem imperii mei, ita vos habebitis ad eam honorem dignum et dilectionem convenientem similiter et ad karissimum generum imperii mei nobilissimum comitem G[uilielmum] de Yintimilia. Commisit autem imperium meum predictis nunciis nostris ut de facto sepe dicti comitis loquerentur vobiscum, ut disponeretis eisdem similiter iuxta leges habere ius proprium ; similiter et de aliis capitulis vobis largius loquentur. Non volumus propterea vos latere quod domino Oberto mul-totiens dicto dedimus in mandatis ut ad dominum papam accedere debeat, cum quo volumus ut et vos cum eodem ad dominum papam nuncium destinetis. Superius vero dictum dominum Johannem sebaston Rominon volumus, facta sua ambaxatoria, ut ad imperium meum iterum revertatur ; predictum vero dominum Obertum Doceanum ideo imperium nostrum cum vestro nuncio imperavit ire, quia magis pro honore vestro dictam ambaxatoriam fecit, et quod amplius est propter increpationis dissolutionem nostrum imperium ad sanctissimum papam transmisit. De venetis vero sperat imperium meum in Deo quod in brevi bona nova de-nunciet vobis. Vos autem, ex quo propinquius estis ad illos, cercius facta et negocia eorum intelligere potestis. Quare imperium meum notificat vobis quod presentes galeas, quas ad istas partes habemus, debemus tenere pro toto hyeme et usque ad primum tempus, et si vos intelligere poteritis quod dicti veneti armamentum faciunt ultra quantitatem quam nos hic habemus, mandat vobis imperium meum ut non permaneat per momentum quod vos et alias galeas (i) Il matrimonio di Eudossia Lascaris con Guglielmo Pietro dei conti di Ventimiglia accadde nel 1261. — 229 — armatas ad imperium meum transmittatis (i). Si vero predicti veneti non debent armare, sufficientes sunt presentes galee, divino adiutorio, illos impugnare et vincere, et non alias preparare et consumere thesauros nostros in vanum, sed Deo dante illos ad bonum nostrum consumere et incrementum. Archivio del Ministero degli affari esteri in Parigi. — Liber Jurium vetustior Reipublicae Jonuensis, voi. I, fol. 290 verso (antica numerazione : 288 verso). II. 1263, 21 settembre. Creazione di un mutuo di lire trentamila, deliberato dal Comune di Genova, per provvedere agli affari di Romania. Cum comune Janue ad peragenda et complenda negocia que ipsi comuni facienda imminent ad utilitatem et honorem ipsius comunis et destructionem inimicorum pecunia indigeret, et tractatoribus constitutis et electis super negociis Romanie visum fuerit necessarias fore ad predicta libras trigintamilia, nec eas recuperare posset comune comode a civibus Janue, utpote gravissimum videbatur imponere collectam intra civitatem quam extra per districtum Janue, et visum fuit facilius dictam peccuniam a civibus haberi posse et pro minori difficultate si mutuo ab eis ipsa peccunia acciperetur; et propterea placuerit comuni et consilio imponere mutuum de soldis quadraginta per centanarium, et ordinaverit ipsum consilium quod solutionem habeant mutuantes seu recompensationem de ipso mutuo, videlicet in hac forma: scilicet quod imponeretur et de novo crearetur certus redditus per comune Janue colligendus et assignandus dictis mutuantibus, secundum quod apparet per formam ipsius consilii celebrati m.° cc.°lxiij.°, die vij septembris. Idcirco nos Gucius filius et vic[arius] domini Leazarii de Leazariis, potestatis Janue, et Petrus Aur[ie], Siymon Guercius, Obertus Spinula, Lanfr[ancus] de Gri-maldo et Nicolaus de Bulgaro, ex octo nobilibus, de voluntate et (1) Ciò in osservanza del trattato di Ninfeo, stipulato il 15 marzo e ratificato in Genova il 10 luglio 1261. Ub. Jur. I. 1350. — 230 — beneplacito consiliariorum Janue ad consilium convocatorum et congregatorum per cornu et companam, more solito, et hominum sex per quamlibet compagnam ad consilium vocatorum et electorum ad brevia, secundum formam capitolorum Janue, ultra consiliarios, nec non et nos ipsi consiliarii et dicti sex per quamlibet compagnam, nomine et vice comunis Janue et pro ipso comuni, volentes adimplere que provisa fuerunt per predictum consilium et eciam quedam melius reformare ad utilitatem comunis et illorum qui in dicto mutuo solvent vel solvisse scriptum reperietur in cartulario comunis, vocatis primo uno per compagnam et duobus iudicibus secundum formam capitulorum Janue, videlicet Wi-lielmo Malono Soldanc, Lanfranco Rubeo de Volta, Alberto Castanea, Montanario Guercio, Andriolo de Nigro, Jacobino de Mari, Petro Dentuto, et Paschali Traverio, et duobus iudicibus, videlicet Bartholino Judice et Symone Tartaro, et per eos diligenter viso et examinato presenti instrumento, quibus placuit hoc presens instrumentum sic fieri ut in eo pleinus continetur, statuimus et ordinamus quod novo creetur et imponatur et in solutum tradatur illis qui in hoc mutuo conferent per se vel alios certus redditus in hac forma, videlicet quod de cetero, a festo purificationis beate Marie proximo in antea, colligantur et colligi debeant per comune Janue denarii duo de qualibet et pro qualibet mina grani et de qualibet et pro qualibet mina cuiuslibet biadi et frugum sive fructuum, pro qua et de qua comune Janue colligit seu colligere consuevit, seu colligi facere, denarios sex pro mina, et denarius unus colligatur similiter de qualibet mina cuiuslibet biadi et fructuum seu frugum pro qua colliguntur seu colligi consueverunt denarii tres pro comuni, ita quod eo modo et forma et eo iure per comune percipiantur dicti duo denarii de illis rebus, de quibus vel pro quibus percipi consueverunt denarii sex sicut percipiuntur illi denarii sex, et denarius unus percipiatur de qualibet mina sicut percipiuntur denarii tres, et pro illis et de illis rebus, ita quod ubicumque pro comuni Janue tam in civitate quam extra ubi colligebantur denarii sex pro mina, et ex quibuscumque rebus colligantur denarii octo, et ubicumque et ex quibuscumque colligebantur denarii tres colligantur denarii quatuor, et ubicumque et ex quibus- — 231 — cumque colligebantur denarii quatuor colligantur denarii quinque. Ita quod de qualibet minori quantitate quam de mina per eandem rationem colligatur de omnibus et singulis rebus, scilicet pro rata, eodem modo et forma quo et qua denarii sex colligi consueverunt. Predictum itaque ius imponendum et de novo creandum percipiendi et colligendi dictos denarios duos pro qualibet mina de rebus de quibus colligi consueverunt denarii sex, et denarium unum pro qualibet mina de illis rebus de quibus colligi consueverunt denarii tres vel denarii quatuor, et si minus mina de aliquibus rebus per eandem rationem, percipiendi minus per eandem rationem. Quod quidem ius et quem introitum presencialiter imponemus et imponere promittimus pro satisfaciendo et solucione facienda illis qui in dicto mutuo conferent sive pro se sive pro aliqua alia persona, ita ut imponi debet et secundum quod dictum est, cum omnibus proventibus et utilitate et comodo quod ex dicto introitu seu redditu de novo imponendo haberi et percipi poterit, tam in civitate Janue quam in districtu, scilicet a Cogoleto usque Portumve-neris et a Jugo versus mare, comprehensis dictis locis, scilicet in illis locis tantum ubi denarii sex colligi consueverunt pro mina grani, damus et concedimus vobis Petro de Nigro iudici et Sy-moni Tartaro recipere nomine et vice omnium et singularum personarum que in dicto mutuo conferent, seu scriptum reperietur in cartulario comunis mutuasse seu solvisse in ipso mutuo pro se vel alia persona, quarum omnium negocia geritis in hac parte, in solutum pro libris trigintamilibus ianuensibus quas pro ipso mutuo solvere debetis et tenemini vos et alii cuius nomine supradicta facitis, ita quod illud ius percipiendi et habendi dictos duos denarios de qualibet mina pro illis et de illis rebus pro quibus solvi consueverunt denarii sex, et pro qualibet mina pro illis et de illis rebus pro quibus solvi consueverunt denarii tres vel quatuor denarium unum , et si minus essent minus perciperetur ad eandem rationem, ita quod dictos denarios duos et denarium unum habeatis et percipiatis de qualibet et qualibet mina ab omnibus et singulis personis et de omnibus et singulis rebus a quibus et de quibus denarii sex supradicti consueverunt colligi, quomodocumque et qualitercumque, et eo modo et forma ita quod omnes proventus et — 232 — omnis utilitas et omne comodimi et incomodum dicti introitus et dicti iuris ad vos illos, qui in dicto mutuo solvisse reperientur, spectet per soldum et libram dividendum, ita quod qui plus mutuaverit, plus iuris habeat pro rata in dicto introitu et utilitate, comodo et incomodo ; quod quidem ius et quem introitum nomine et vice comunis Janue vobis ex predicta causa concessum perpetuo legitime defendere et auctorizare promittimus ah omni persona, collegio et universitate, et non pati quod per aliquam personam in ipso iure habendo et utilitate omni habenda fiat vobis vel illis aliqu.i molestia; et specialiter promittimus vobis recipere, tam nomine vestro quam aliorum quorum negocia geritis in hac parte, quod aliquam peccuniam que de dicto introitu percipietur non tangemus vel accipiemus, nec tangi nec accipi permittemus nec pro comuni nec pro aliqua alia persona, sed illam dimittemus libere consulibus salis colligere et percipere dividendam inter omnes et singulos qui in dicto mutuo conferent per soldum et libram proporcionaliter pro rata cuiuslibet quantitatis quam unaqueque persona in dicto mutuo conferet, sive pro se, sive pro alio, sive ius ab illo acquiret. Insuper per pactum incontinenti appositum promittimus et convenimus vobis quod dictum introitum colligi et percipi faciemus nomine vestro et aliorum qui in dicto mutuo conferent per consules salis, vel per illos qui colligent denarios sex pertinentes ad comune, ita quod comune teneatur et debeat dictum ius incantari facere cum aliis denariis sex pertinentibus ad comune. Et si comune non incantaret denarios sex ad ipsum comune pertinentes, teneatur et debeat dictum comune, et potestas qui pro tempore fuerit, colligi facere dictum introitum in solutum datum, eo modo et forma qua colligentur denarii sex ad comune pertinentes, sine aliqua dacita vel salario prestando de dicto introitu in solutum’ dato. Et si comune non colligeret vel colligi non faceret, seu incantaret, vel removeret in totum vel in parte dictos denarios sex pertinentes ad comune, quod nihilominus ius predictum vobis in solutum datum, et quod statini imponi debet, debeat salvum et integrum remanere vobis et aiiis quorum negocia geritis, et colligi pro vobis et ipsis et dividi prout superius dictum est, ita quod nullo modo, qui dici vel excogitari possit, ius predictum debeat di- — 233 — minui; et quod faciemus et curabimus ita et sic quod per consules dividentur omnes introitus et proventus, et quicquid percipietur ex predictis duobus denariis et ex uno denario colligendis in forma prescripta, quater in anno, scilicet de tribus in tribus mensibus, scilicet dando cuilibet persone de ipso introitu seu de ipsis proventibus , seu peccunia que colligetur, quantum quamlibet continget habere debere, facta racione de eo quod dividi debebit cum eo quod in dicto mutuo dederit, sive pro se, sive pro alio, per solidum et libram, ita quod nullum impedimentum fieri possit aliquo modo vel debeat, quando talis divisio fiat; acto eciam expressim in presenti contractu, tam in principio quam in medio et in fine, cum sic ordinatum fuerit per consilium, quod si contingeret colligi minus libris triginta milibus de dicto mutuo, quod in dicto introitu et in eo quod percipietur ex dicto introitu, comune Janue habeat et habere debeat certam partem, scilicet tot loca quot libre centum deficient, et pro rata si minus deficeret in mutuo ad complementum librarum trigintamiliuin, ita quod comune habeat in dicto introitu columpnam pro tanta quantitate quanta deficeret ad colligendum de mutuo usque in libris trigintamilibus ; et consules salis seni per, quando facient divisionem, retineant et retinere possint de ipsis proventibus et peccunia pro tanta quantitate de quanta erit columpna comunis. Si autem mutuum ascendet libr. trigintamilia vel ultra, debeant omnia que percipientur et habebuntur de ipso introitu pertinere perpetuo, ex dicta causa, in solutum dacionis ad vos et illos quorum negocia geritis et ad illos in quos transferre voluerint, et inter eos dividi perpetuo per consules salis, ut dictum est, per solidum et libram de tribus in tribus mensibus , ita quod si de mutuo colligentur libre trigintamilia vel ultra, quod comune nihil percipere debeat, sed fieri debeat divisio solummodo de dictis introitibus inter illos qui in dicto mutuo per se vel per alium solverint, nec pro illis qui nihil solverint nihil possint percipi per comune nec per aliam personam, sed totum id quod colligetur cedet et dividetur ad utilitatem illorum qui solverint vel qui habebunt iure solventibus, de quo iure et introitu ex nunc, postquam fuerit impositum et creatum, vobis possessionem tenendi et querendi tradidisse confitemur, incipiendo tamen ad colligendum — 234 — a tempore predicto in antea pro vobis et vestro nomine ad vestram utilitatem per consules predictos qui prò tempore erunt, vel si non essent consules per alios idoneos viros per vos eligendos vel participes eligendos, confitentes nos illud ius vestro nomine tenere et precario possidere quam cito illud ius fuerit impositum et creatum , dantes ex nunc vobis licentiam possidendi et querendi quam cito dictum ius fuerit impositum et creatum; quod quidem imponere et creare promittimus statim , completo presenti instrumento. Insuper per pactum incontinenti appositum promittimus et convenimus vobis, dicto nomine, quod faciemus et curabimus ita et sic quod per successores nostros predicta omnia et singula attendentur et observabuntur, et quod per emendatores, qui primo fient seu creabuntur per comune Janue, fiet capitulum speciale per quod statuetur et ordinabitur quod predicta omnia et singula debeant observari, et quod potestas vel aliquis officiarius non possit in aliquo contravenire vel dicere ad penam sindicationis librarum mille; et quilibet consiliarius qui contradiceret vel allegaret, amittere debeat libras ducentas, et quelibet alia persona libras centum, quas potestas illi auferre teneatur sub pena predicta librarum mille sindicationis, tociens quociens aliqua persona contrarium diceret vel allegaret. Que omnia promittimus nomine et vice comunis Janue vobis predictis, stipulantibus tam nomine vestro quam nomine illorum quorum negocia in hac parte geritis, attendere, complere et observare sub pena marcharum decem milium boni argenti et obligacione bonorum comunis, ratis manentibus omnibus et singulis supradictis. Et En-ricus cintracus iuravit in anima dicti domini vicarii et octo et consiliariorum infrascriptorum omnia supradicta et singula attendere et observare, et attendi et observari facere. Nomina autem consiliariorum et dictorum sex sunt hec: Luchas de Grimaldo, Guido Spinula, Lanfrancus Gatilusius, Nicolas Embriacus, Thomas de Nigro, Obertus de Grimaldo, Symon de Camilla, Daniel Spinula, Ansaldus Falamonica., Symon Tartaro, Castellinus de Castro, Matheus Pignolus, Enricus Nepitella, Petrus Embriacus, Rubeus de Volta, Jacobus Malocellus, Symon Grillus, Franciscus de Camilla, Fulcho Jacharias, Guillelmus Balbus de Castro, Matelinus de Guisulfo, Obertus Cavaruncus, Fredericus de Sancto Ginexio, - 235 — Marinetus Adalardus, Andriolus Embriacus, Lanfrancus Pignolus, Lambertus Fornarius, Ogerius Scotus, Bonifacius Picamilium, Guillelmus Barella, Obertus Aurie, Wilielmus Arcantus, Jacarias de Castro, Enricetus Spinula, Nicola de Gisulfo, Daniel Aurie, Andriolus Tartaro, Nicola Porcus, Bonusnepos Nepitella, Ansaldus Banclierius, Delomede Maniavacha, Jacobus Suppa, Obertus Advocatus , Paganus Cavaronchus, Symon de Quarto, Guido Longus , Bonusvassallus Ususmaris, Lanfrancus Ventus, Enricus Lercarius , Rubaudus Spinolla, Guillelmus Bancherius, Ugolinus Streiaporcus, Obertus de Balneo, Nicola de Ripariola, Johannes Albericus, Petrus Straleria, Conradus de Cruce, Jacobus Rizhardus, Nicola de Volta, Thomas Lavagium, Obertus Bonaventura, Tignosus de La-gneto, Guillelmus Lercarius, Franciscus Ceba, Johanninus Straleria, Jacobinus Bestagnus, Symonetus Streiaporcus, Faciolus de Mari, Enricetus Mallocellus, Marchus de Albario, Marinus Embro-nus, Ansaldus de Asture, Petrus Boiachensis, Symon de Baldizono, Ingo Galletta, Ansiusdeus Cartagenia, Ansaldus Lecavelum, Aman-tinus Gallus, Lanfranchinus de Cruce, Symon de Petra, Abramus Pilavicinus, Enricetus Vicecomes, Andreas Bonaria, Calvus Respetus, Benvenutus Tossicus, Bonifacius de Tiba, Guillielmus Malfiliastrus, Jacobus Calvus, Jacobus Rubeus de Fontana, Bartholinus Dentutus, Thomasius de Grimaldo, Guillelmus Andree, Obertus de Vignali, Antonius Aurie, Lanfrancus de Carmadino, Marinetus de Marino, Symon Bonaventura , Octolinus de Nigro , Marinus Ususmaris , Manuel Castagna, Guillelmus Sardena, Daniel de Grimaldo, Thomasius Soldanus, Fulcho de Castro, Wilielmus Formagius, Jacobus Ususmaris, Bonifacius de Platealonga, Symon Streiaporcus, Jacobinus Bassus, Nicolaus de Savignono, Delomede de Sauro, Andriolus Calvus , Lanfrancus Ricius , Petrus Arcantus , Lanfrancus Grillus, Symon Picamilium, Ido de Murta, Ogerius Embronus, Lanfrancus Bulborinus, Jacobus Panzanus, Jacobus Parpaionus, Marinus Mallocellus, Jacobus de Gualterio, Ferrarius Ceba, Manuel Cigala, Guillelmus de Camilla, Enricus de Vignono, Thomas Ardimentum, Ansaldus Datalus, Desideratus Vicecomes, Jacobus de Mari, Bartholinus Judex, et Andriolus de Nigro. — Actum Janue, in palacio heredum quondam Oberti Aurie ubi regitur curia potestatis, m.° cc.° — 236 — lxiij.0, indictione v.% die xxj septembris, inter nonam et vesperas. Testes magister Albertus de Casali, Lodisus Calvus notarius, Jacobus Fontana, Clericus executor potestatis, et Petrus Marris miles et socius potestatis. Gabriel Capriata , notarius sacri imperii, ut supra exemplicavi registravi et in publicam formam redegi a publico instrumento in pergameno scripto et exemplificato per Deodatum Bonacursi, notarium, m.° cc.° lxxxiij.0, de cartulario instrumentorum compositorum manu Guillelmi Paiarii notarii quondam, predictis mense et die, de mandato quoque domini Michaelis de Salvaticis, Ja-nuensis civitatis potestatis, statuentis laudantis et pronunciantis predictum exemplum obtinere debere perpetuam firmatatem et eandem fidem facere coram quocumque magistratu ac si de eius mandato factum esset et auctoritate, ad postulationem magistri Sorleoni Calvi, medici, pro se et aliis participibus dicti introitus, presentibus testibus Lanfranco de Villario, Bernabove de Porta, notariis, m.° cc.° lxxx.° v.°, indictione xij.% die xxiij octubris. Archivio citato. — Lib. cit., I. 329 (ant. num. 327). III. 1280 circa? — Doglianze di Michele Paleologo verso dei genovesi. Michael in Christo Deo fidelis imperator et moderator romeo-rum , Ducas , Angelus, Comninus, Paleologus semper Augustus, illustrissimis viris potestati, et domino Oberto Spinula ^ domino Oberto Aurie, egregiis capitaneis, ancianis populi, consilio et comuni Janue sue karissime fraternitatis salutem optatam et prosperitatis continuum incrementum. Redentibus ad maiestatis nostre presentiam latoribus litterarum fidelibus nostris, quos pridem cum nuncio vestro ad vos confidenter transmisimus, cum denunciacio-nibus illis que suavitatem animi, recreationem spiritus, et mentis confortacionem amicaliter inducebant sperantes a vobis, providis et - 237 — discretis, qui tam magnum comune habetis regere ac eciam conservare nostris affectibus satisfieri, sive per litteras sive per nun-cium specialem; super quibus quid graciosum, quod honorificum, et quod amicissimum actum per vos extitit, ipsi latores in nostri presencia constituti erubuerunt referre in publicum; set concesso eis auditore, qualia fuerunt vestra prudencia non ignorat. Et si talia debentur amico qui iam retrohactis temporibus pro comodi-tate et honore vestro paternaliter laboravit, et si talia sunt munera vestra et verba indecenda que consideracionibus vestris imponimus, qualia nobis retribucionis gratiam representant, non dubitamus, quoniam aliqui ex vobis de collegio sapientum non rimentur et videant si huiusmodi respiciant ad preterita que debent esse futurorum cautelam. Tempus fuit et tempus adveniet et omnia tempore terminabuntur dispensacione divina. Si vero tot mala fuerunt ex parte nostri imperii que cives vestros ad indigendam aliquam statuissent, sic habet aliquorum assercio ad quid illi perseverabant in malo, hii sunt consiliatores honoris comunis , hii cives qui ad amorem vestrum alienos induxerant, hii qui damnificati pro augmento patrie propriorum dispendia tollerarunt. Non est sic. Set sunt illa que multifarie, multisque modis, litteris et nunciis nostris, audiende vestre pertulimus, que si fuissent a principio moderata, quod de preteritis conquestio nunc oritur ex utraque parte innovate conquerele materiam non haberet, que quanta sint adhuc vestro iudicio reservamus, licet illa que nunc peragitis confirmare videantur que persuasiones vestrorum et comunis vestri iniquorum concivium locum habeant veritatis. Sane recedente iam dudum nuncio vestro, eidem promisimus quod veris tempore ad vos nun-cium mitteremus, quod Deus novit perficere sperabamus. Sed ad-veniente ipso tempore, ligna quesivimus cum quibus consueti erant nostri ad vos nuncii navigare. Imo, quod admirandum erat ultra-modum que vos allegata suspicione de nihilo devetum circa nostrum imperium fecistis, sic ad nostram audienciam fuit perlatum condempnando alios qui se ad nostrum imperium contulerunt, ex quo enim ad tanta devenistis quod debebat fieri vestris operibus pervertitis, sperantes vos habere amicos precipuos et perpetua fraternitate coniunctos, ex minima cause vel nulla effecti estis vobis — 238 — met ipsis improvidi contradictores, et quod obtentum est et iura-mento perpetuo confirmatum propria auctoritate disolvere , ac in medio nostro inducere illa potissimum que vestrum non respiciunt comodum nec honorem ; ymo si bene advertitis infamiam maximam et detestacionem honorum, ad quid ista vacua, ad quid ista debilia, super quibus nec conquestor admittitur, nec actor auditur, nec litis contestacionem iudex competens non requirit, nisi quod de firmamento celi terre terminis voluntarie intenditis facere morionem ? Non sunt apud nos huiusmodi, nec ad cor nostrum ascendunt. Quod scripsi, scripsi; et que iuravimus semel, Dei presidio, nec iniquitas malignancium, nec aliquorum iniquitatis opera commutabunt. Si enim innovaciones queritis, non est noster in hiis sinceritatis affectus nisi ad illa condescendere, que fiant iusta deprecacionibus amicorum , que fiant bonis comodum , et honor laudabilis; non sunt Dei opera talia ut sicut mundana et caduca pervertere possint ad libitum; habent enim proprios affectus et causam in quibus perseverare honeste quam bonum est et quam iocundum, ab ipsis dividere infamia maxime reputatur et, quod est deterius, divulgatur. Quid plura; cum ampla sit materia huiusmodi ? Hec finaliter fraternitati vestre rescribimus, quod si placet quod vestri mercatores ad nostrum imperium veniant et utantur, cum in medio nostrum sit convencio perpetuo roborata et iurata, quam eis faciemus inviolabiliter observari; nec de illo potest diffidere qui numquam circa vestros processit iniuste, et si processit, paternalis debuit correctio reputari. Videte vos quid habetis facere, et quod videtur vobis melius faciatis, et rescribatis imperio nostro voluntatem vestram totaliter; et si vera sunt que nostris auribus fuerunt relata,.sive per specialem nuncium vestrum, sive per aliquem minorem hominem latorem litterarum vestrarum, cum sint in comuni vestro cives magnos et alios inferiores , sicut sunt et in aliis locis. Quod si non videtur vobis ad nos de magnis transmittere, de minoribus transmittetis ; et qui de duobus eligeritis gratum erit, dummodo quod non habeatis materiam expendendi. Intencionem et voluntatem nostram vobis retulimus, remanet autem ad discrecionem quid facturi estis. Quod placet vobis, nobis non displicet, et de bono statu vestro Deus novit quamplurimum — 239 — congaudemus. Deus perducat vos ad cognicionem perfectam , et reprimat ora obloquendum falsitates, et destruat seminatores discordie inter fratres, qui sunt detestabiles apud Deum et ab hominibus odiendi; et Deus perficiat quod optamus pro salute comuni, christianoruin augmento et pace. Arch. cit. — Lib. cit. I. 308 (ant. 306). IV. 1283. — Andronico II Paleologo dà partecipazione ai genovesi della morte di suo padre , e si dichiara inclinato a loro favore. Andronicus in Christo Deo fidelis imperator et moderator ro-meorum, Ducas, Angelus, Comninus, Paleologus, semper Augustus. Illustribus viris domino..... potestati, domino Oberto Spinula et domino Oberto Aurie, capitaneis comunis et populi, ancianis eiusdem, consilio et comuni civitatis Janue, amicis fidelibus imperii sui, dilecte fraternitatis salutem et intime dilectionis continuum incrementum. Etsi acerbum satis illum et inextimabilem eventum, sicut Domino placuit, cui resistere nemo potest, de transitu domini et genitoris nostri excellentissimi imperatoris dive memorie ab huius carnis hergastulo ad celica gaudia sempiterna (1), utpote primi parentis incauta transgressio, proh dolor! in posteris derivavit ut singuli debitum fatalitatis persolverent, amare ploraverimus et suspiria eduxerimus ab intimis et satisfecerimus doloribus nostris, notum tamen mesticie, priscorum imperatorum exemplo, animo compescimus ne Christianitatis religio que resuscitationem expectat aliquia diffidenda lederetur, et nostra consolacione amici et fideles ceteri nostre dicioni subiecti a concepta inde mesticia requiescerent, et sub nostre maiestatis imperio consolarentur nobis; super quibus, si huc usque dilectioni vestre non scripsimus , non (1) Michele Paleologo mori il giorno ii dicembre del 1282. aliter assumatis, amici, nisi dominica compaciencia quam nimio affectu in vobis congessimus, ne vestra precordia diro sermone aliquatenus turbarentur. Sedatis autem utcumque ipsius tempestatis turbinibus, exinde vobis consolatoria direximus scripta nostra, quibus ne fieret aliqua ipsorum occupacio tarditatis presentes adiecimus ut fierent precedencium supplementum. Credimus utique, et pro firmo tenemus, quod dum huiusmodi consideracioni mentis vestre occurrerint et ad cordis vestri memoriam ascenderint, quanto dilectionis affectu quantave constancia caritatis intrinsece, idem dominus et genitor noster, excellentissimus imperator, vos universaliter singulos et singulariter universos amice tractaverit et quodammodo paternaliter vos habuerit in gremio suo caros, nec alicuius malicia hunc sincerum prevaleret retrogradare affectum, ut multifarie temptatum extiterat conversacione malorum, ex quo, divina operante clemencia, cum suo et nostro imperio et heredum nostrorum et vobiscum pacis et unitatis federa et perpetua dilectionis ac firmitatis formitas intervenerint. Set, o quantum ex tunc pervigiles extiterimus ne corruptela persuasionis inique inficeret animos vel turbaret, set fundarentur premissa robore caritatis intrinseca , ut extrinseca gaudia fidelibus reportarent effectus operum fuit fide multorum vestrorum testimonio approbatam ! Ipsius domini et genitoris nostri, excellentissimi imperatoris obitum recipietis amarum, et ex turbacione nostra cor vestrum turbabitur, et nobiscum plorabitis diem illum in quo sol ille rutilans fuit passus eclipsim qui nobis, vobis et fidelibus ceteris radiosus illusit. Volentes itaque ex quo Deus omnipotens, qui moderamina imperii per se condidit, per se regit, nullius egens auxilio, nos ae fulgore throni imperiali, veluti ex solis radio, legitima successione sua pietate erexit ad imperii regimen post funera tanti patris domini nostri, excellentissimi imperatoris, servata lege nature, de tanta mesticia in ipso Deo consolacionem recipere, curam amicorum et fidelium nostrorum benigne assumpsimus et ad eos oculos nostros convertimus et animum puritatis; ut sub aureis et novis temporibus imperii nostri predicti, omnibus angustiis expiatis, de nobis consolacione assumpta, in augmento proficerent et in omni prosperitate manerent; inter quos speciali protectione ac dilectionis fa- — 241 — vore vos, ut amicos precipuos et dilectos, pura mentis affectione complectimur et affectuose prosequi queque comoda et honores qùe vobis proficiant et extollant quadam prerogativa multipliciter animamur. Inducimur equidem in hiis racionibus pretaxatis, dum vos diligere ceperimus et fovere ab hactenus ; nunc autem , qui merum et mixtum Dei gracia tenemus imperium, potestis et debetis assumere certam confidendam et spem firmam in presentibus et futuris, quod in vobis amor augmentabitur et status vester in in nostro imperio procurabitur honorabiliter et decenter. Amplificavimus equidem in his nostrum propositum et observari mandavimus imperii nostri circa huiusmodi puritatis effectum, prout nobilis concivis vestri domini Nicolai Aurie, potestatis ianuensis (1), et aliorum mercatorum fidelis narracio vestrum exinde animum poterit informare. Quare, amici karissimi, si olim cum maxima confidenda et amore ad nostrum veniebatis imperium, nunc confidendus et amicabilius mercatores vestri concives cum eorum mercimoniis venientes condignam recepcionem invenient et honorem in eorum iuribus conservatos. Vos autem quid in hiis expediat vestra exercere circumspeccio non omittat, ut ex fructu bone operacionis odor dilatetur ad exteras regiones et sapor dulcis reffi-ciat nostram celsitudinem, ac fideles nostri gaudeant conversacione bonorum. Arch. cit. — Lib. cit., I. 322 verso (ant. 320 verso). V. 1351, 26 maggio. Commissioni date dal Doge e dal Comune di Genova ad Oberto Gattilusio e Rafì'o Ermirio, spediti in Romania, per provvedere all’ assetto amministrativo delle colonie. In Christi nomine, amen. M.° ccli, die xxvi madii. Tractatus atque commissio quedam, que fit vobis nobilibus et discretis Oberto Gatilusio et Raffo Erminio, ituris, Deo duce, ad partes Romanie, (1) Era già podestà nel 1279» diti, XIII. 101, num. IV. Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.“, Voi. XVII. — 2J.2 — tamquam sindici magnifici domini ducis ianuensium et communis Janue, super his que facere habebitis ubique et que vobis oretenus fuerunt commissa plenius per ipsum dominum ducem. Primo, quando Dominus vos dederit in Syo, faciendo viam quam vobis dicemus inferius. Quia relatum est nobis quod de parte communis prede rerum captarum in Nigroponte per galeas nostras, in quibus commune habebat galeas septem, et de quibus rebus alique misse fuerunt Januam et alique adhuc restant in Syo, fuit tacta mala et pessima racio communi, volumus quod ibi studeatis caute et prudenter, omnibus oportunis modis, invenire per ordinem racionem integram communis; et illud quod invenietis ablatum et male captum de racione communis studeatis quantum poteritis recuperare, eciam puniendo malefactores ut vobis videbitur et culpabiles cum predictis. Et si faciendo inquisitionem predictam noticiam habebitis quod aliquis qui venerit Januam habuerit aliquid de predictis, vel quomo-dolibet fraudaverit vel culpaverit in predictis, hoc nobis quam brevius fieri poterit ordinate scribatis, non tamen propter hoc vos in aliquo distrahendo vel tempus aliquod amittendo. Et quia, ut dictum est, de rebus partis communis in Syo remanserunt adhuc alique, sicut panni et alia, prout scripsit nobis Symon Vignosus, volumus quod quando fueritis ibi studeatis illa res scire a dicto Symone, qui habet facturam omnium ordinate, et postea faciatis quod omnia veniant in vos. Volumus autem, et nobis bonum videtur, quod teneatis viam de Mil et de Nichsia et de partibus illis; tamen, quia considero bene non possumus sic de longe, contenti sumus et volumus quod faciatis secundum quod invenietis iter et disposicionem omnium , studendo semper habere linguam ubique prout cognoveritis oportunum. Faciendo igitur dictam viam secundum dispositionem temporis, vos ibitis Altum locum; vel forte, secundum dispositionem temporis ut dictum est, ibitis primo ad Syum et post ad Altum locum. Cum igitur preveneritis, Deo previo, ad Altum locum vel antequam eatis ad Syum vel postea ut supra ; quia ille dominus Jha-labi, sicut scitis, multum bene se habuit et ostendit optimam vo- - 243 — luntatem erga omnes iannenses, eciam et multum curialiter scripsit nobis per suas litteras se offerendo ad omnia que posset pro nobis, bonum est et volumus quod cum ut supra fueritis ibi studeatis accedere ad presenciam suam, et facta sibi debita salutacione et reverentia pro parte nostra et communis, secundum morem illorum dominorum orientalium, regradando sibi de sua bona voluntate et amore quos erga nos et ianuenses omnes ostendit, sibi pre-sentabitis litteras nostras vobis datas, etiam et ensenium sive presentem ordinatum et vobis datum, cum verbis convenientibus prout discrecioni vestrum videbitur; et circa hoc omnia facietis que cognoveritis facienda. Completis vero predictis ut supra in Alto loco, tunc studeatis operari cum consule et mercatoribus nostris existentibus ibi, quod ibi fieri faciant usque in cantaria duomilia biscoti, qui paratus sit et mittatur ad Syum, semper ad requisitionem illorum de Syo; et per ipsos de Syo sibi respondebitur integre de precio dicti biscoti ad voluntatem suam. Et quando in Syo fueritis, cum eis habebitis coloquium de isto facto, et hortabimini eos et tractabitis quod studeant habere dictum biscottini ad tempus quod ordinabitis, et pecuniam mutuent, et omnia faciant oportuna prout ordinabitis et vobis videbitur ; de quibus omnibus, ut promptius et efficacius compleantur, nos scribimus illis de Syo per litteras nostras. Quando autem omnia compleveritis in Syo et Alto loco ut supra, faciendo circa illa per omnia prout vobis presentibus negotiis videbitur opportere; tunc, in nomine Domini, pergatis versus Pej’-ram. Et cum Dominus vos dederit in Constantinopoli, reddita laude domino imperatori, ut moris est, eatis in Peyram; et habita infor-macione de bono et amoroso statu domini imperatoris cum nostris, accedetis ad ipsum una cum potestate Peyre et aliis, prout vobis videbitur. Et cum fueritis in conspectu suo, vos illum reverenter salutabitis parte nostra, et sibi recomendando nos, commune et ianuenses omnes, et offerendo ad omnes honores suos, regratiabimini ei quantum melius et curialius scietis parte nostra et communis de optima, fideli, paterna et constanti voluntate et dilectione, quam cum opere ostendit versus nos et commune et devotos atque — 244 — fideles filios suos ianuenses, et quam etiam demonstrarunt omnes greci sui in presenti nostra questione venetorum , de quo sibi perpetuo reddimur obligatos debitores ad omnes honores et augmentum sui sancti imperii, dicendo circa hoc omnia curialia verba prout videbitis convenire excellentie sue, etiam regradando sibi parte nostra de relacione quam nobis sui parte fecerunt Lanzalo-tus de Castro et socii, ambassatores nostri transmissi ad ipsum , verbis curialibus et bene convenientibus ut diximus excellentie sue. Circa reverentiam ipsius omnia facietis que noveritis oportuna. Predictis igitur sic factis atque completis, cum fueritis in Peyra, ubi habetis moram tacere ad exequenda que vobis circa officium vestrum commissa sunt, volumus quod vos primo eligatis consiliarios octo ex mellioribus et prudentioribus civibus Janue et burgensibus Peyre, quibus pro eorum salario detis pro singulo an-nuatim perperos centum, et ex eis duos constituatis massarios pro tribus mensibus successive, etiam et vobis capiatis unum bonum, legalem et sufficientem scribam, cui detis pro eius salario annuatim perperos centum. Et quia, ut scitis, inter alia que nobis ad guerram necessaria sunt, principaliter est moneta, volumus quod in Peyra habere studeatis solicite pecuniam cum consilio vestro et aliis bonis viris, per in-frascriptas impositiones et per alium quemcumque modum prout vobis et predictis melius et utilius videbitur expedire. Primo et ante omnia, volumus et consulimus quod tollantur et removeantur duo pro centum de exitu impositionis propter guerram grecorum. Item dimidium pro centum pro guerra de Caffa etiam tollatur. Et illis duobus et dimidio pro centum sic ammotis et sublatis, loco eorum volumus quod imponatis, ex potestate et baylia vobis concessa, unum pro centum de introytu et exitu omnium mercium cuiuscumque condicionis existant; et duret impositio talis usque ad finitam guerram. Volumus etiam quod censarie de Peyra, imposite per Officium mercancie Peyre, duplicentur et sint duplicate; et de eis sic duplicatis per vos, nomine communis, accipiantur quinque octave partes, — 245 — videlicet de karatis octo karatos quinque. Residuum vero sit cen-sariorum. Et ad hoc, ne fraus committi possit in hoc, et predicta firmius observentur , volumus ordinetis quod censarius quilibet teneatur , debito sacramenti et penis infrascriptis, dare in scriptis scribe vestro, qui hoc habebit secretum, infra tres dies, omne mercatum quod fecerit. Quod si aliquis censarius deliquerit seu contrafecerit, removeatur ab officio censarie per annum unum, et ultra per vos con-dempnetur in quinque pro centum precii seu valoris mercium venditarum. Et merchatum aliquod, quod sic scriptum non fuerit per scribam vestrum infra tempus ut supra, nullo modo valeat nec teneat. Si vero talis censarius remotus ab officio ut supra redierit ad faciendum, seu ausus fuerit facere, aliquod mercatum eo tempore quo sic remotus fuerit, tunc per vos ille talis mittatur in exilium extra Peyram pro annis quinque et extra totum imperium Romanie. Et si forte per aliquem mercatorem vel aliam personam, que non fuerit censarius, fiet aliquod mercatum, tunc pro tali mercato capiatur ab emptoribus et venditore prout si tale mercatum factum fuisset per censarium. Et si talis persona, que fuerit media allicuius talis mercati, illud scribi non fecerit infra tempus per scribam vestrum ut supra, comdempnetur per vos tanquam si foret censarius in decem pro centum valoris mercium sic venditarum seu emptarum. Volumus etiam quod de quocumque mercato quomodocumque fiat, vel cum censario seu medio vel sine, capiatur pro parte communis pars predicta ut dictum est supra; et si quis contrafecerit ut dictum est, condempnetur in decem pro centum. Qui vero accusabit mercatorem aliquem seu censarium contra-facientem ut supra, teneatur secretus, et habeat terciam partem con-dempnacionis. Volumus autem quod ordo predictus de censariis duret usque ad finem guerre presentis. Item volumus quod, cum supradicto vestro consilio, et aliis prout vobis videbitur, provideatis et ordinetis quod fiat in Peyra impositio per modum spendei annuatim usque ad guerram finitam super — 246 — possessionibus et terraticis tantum quo sunt in Peya et extra, que tamen ianuensium sint, de ipperperorum octo millibus in decem millia. Quando vero dicta talis impositio nimium gravaret seu esset molesta hominibus dicti loci, et plus essent contenti quod cum voluntate domini imperatoris imponeretur tolta super vino quod venderetur in Spiga et Galata et intra Peyram, credimus quod posset imponi super vino quod ibi venderetur ad minutum et colligi circha karatos tres pro qualibet metreta, vel totidem pro quolibet ipperpero prout melius vobis videretur. Et tunc quando de hoc magis essent contenti, quia hoc fieri non posset ut supra nisi de voluntate dicti domini imperatoris, oporteret haberi cum ipso domino imperatore ad complendum hoc sapiens et secretus modus. Et si oporteret, et aliter fieri non posset, quod de tali impositione fienda darentur ipsi domino imperatori ipperperos mille usque in duo millia annuatim, donec staret impositio talis, si vobis hoc bonum videbitur et utile pro communi, de hoc contenti essemus et bonum nobis esse videretur , quia nobis videtur quod tali modo exigi posset annuatim bona quantitas. Et quia oportet quod de dictis duabus impositionibus, vel super possessionibus vel super vino ut supra, una omnino fiat, contenti sumus quod elligatis illam et imponatis cum consilio et consensu predictorum ut supra, et que vobis melior et utilior videbitur et de qua melius contenti fuerint habitantes ibidem. Item quia, sicut vos informavimus, illi de uno pro centum perdentium Gazarie se convenerunt nobiscum quod de toto eo quod colligetur exinde contribuatur et detur ad guerram nostram quarta pars, volumus quod dictam quartam exigatis et capiatis a collectoribus dicti introytus. Quia vero supra diximus quod tollantur duo pro centum exitus impositionis ad satisfactionem mutui guerre grecorum, volumus quod de uno pro centum imponendo per vos ut supra super in-troytu et exitu dentur et solvantur recipere debentibus pro dicto mutuo annuatim, usque ad satisfactionem dicti mutui, ipperperi quinque millia ; quos ipperperos quinque millia pro rata sibi dividant inter eos. - 247 “ Item quia, ut nobis relatum est, illi karati de Peyra qui sunt assignati custodie et gubernationi Peyre et alii introytus ipsius loci non sufficiunt ad expensam dicte gubernacionis, contenti sumus quod per vos super hoc provideatur, et si necessarium fuerit per vos detur illis quibus commissa sunt illa, seu qui presunt talibus, de impositionibus per vos ut supra, fiendis , facta primo diligenter racione de introvtu et exitu eorum, usque in ipperperos quatuor millia vel minus annuatim, intelligendo quod in vos veniant omnes introytus , vel quod de omnibus introytibus Peyre quibuscumque sint faciatis fieri exitus et expensas, et quod defficiet suppleatis usque in dictam quantitatem ut supra. Item contenti sumus et volumus quod de predictis impositionibus per vos sic fiendis ut supra capiatis, pro sallario vestro et expensis omnibus vestris, ipperperos mille quadringentos annuatim. Item volumus quod de ipsis impositionibus detis et solvatis ad construcionem et reparacionem murorum Peyre ipperperos duo millia annuatim , aliis omnibus introytibus compensatis cum expensis ut supra, ita quod solum ipperperos duo millia capiant et non plures. Item quia supra diximus et volumus quod tollatur illud dimidium pro centum impositionis pro guerra Cafìe, et scimus quod fuit venditum, ne auferatur ab ipsius emptoribus indebite quod est suum, contenti sumus et volumus quod de dicto uno pro centum imponendo per vos ut supra in kalendis madii, vel quam cicius fueritis ibi, de pecunia prima que exigetur exinde solvatis et satisfaciatis dictis emptoribus dimidii predicti illud quod de eo restabunt ad habendum. Quando vero omnia ut supra cum Dei auxilio compleveritis in Peyra, tunc volumus quod dimissis ibi vestris supradictis consiliariis ad exequenda que per vos fuerint ordinata, \os transferatis, in Dei nomine, ad Caffam ad infrascripta complendum. Sed antequam separetis de Peyra pro eundo in Caffa, volumus quod colloquium et avisacionem habeatis in Peyra cum mercatoribus illis, prout vobis videbitur, que et quales merces esse poterunt in Caffa; et habita tali informacione de mercibus, tunc cum consilio vestro scribatis illis de Caffa quod illud quod est ibi de predis - 248 - venetorum, quod pertinet ct est communis, implicetur per illos exi-stentes ibi de quibus vobis melius videbitur, et quibus super hoc scribetis et mittatis in Peyra. Etiam tunc scribatis illis de Caffa ad provisionem suam, ut possint in Peyram mittere merces suas, quod passagium venturum non debet transire ultra Peyram. Quando vero vos Dominus dederit in Caffa, diligentem inquisitionem faciatis, omnibus viis et modis oportunis, de omnibus mercibus , rebus atque pecunia communis que processerunt de predis venetorum factis ibi ; quia nobis relatum est quod de rebus illis mala et pessima custodia et racio facta est communi, quod nullo-modo volumus tollerari, licet scriptum sit nobis per consulem quod sunt ibi sommi tria millia et plus processi de rebus predictis, qui sunt communis, et de quibus expectant facere mandatum nostrum ; sed non veniunt ad debitam summam, quia, ut diximus, relatum est nobis quod multum plus debet esse ibi. Etiam cum fueritis ibi studeatis elligere unum bonum et probum virum mercatorem, qui ibi post recessum vestrum remaneat loco vestri, cum quo elligatis quatuor bonos consiliarios suos ex melioribus qui fuerint ibi. Cum quibus quinque sic ellectis tantum quantum steteritis ibi consilium habeatis, et faciatis de infrascriptis prout vobis videbitur ordinandum. Primo provideatis , prout melius vobis videbitur providendum, super terraticis communis que sunt ibi ; de quibus avisamus quod extrahantur asperi lxxii millia in lxxvi millia, qui sunt summi sexcenti vel plures. Item super duobus pro miliario, qui colliguntur in Caffa intrando et exeundo. Et quia, ut superius diximus, moderno tempore habere pecuniam nos oportet, volumus et expedit quod, sicut diximus in Peyra, imponatur ibi unum pro centum sicut in Peyra, et tunc tollantur et cessent duo pro miliario ut supra : ex quo avisamus et credimus procedent et extrahentur annuatim summi octingenti vel plures. Item quia de fine guerre presentis et victoria quam , Domino concedente, cito speramus habere, locus ille de Caffa et habitantes ibi inter alia loca et alios ianuenses debent plus utilitatis accipere sicut notum est; bonum est et volumus quod studeatis solicite ibi — 249 — ordinare aliquam impositionem per modum spendei , vel aliter ut vobis videbitur, vel pro domo vel capite vel pro igne vel pro here, vel per alium modum habiliorem et utiliorem; ex qua impositione commode et apte procedere poterint ad minus sommi ccc in anno usque in d, vel faciliter plus, si habeatur in hoc bonus modus ut speramus quod habebitis. Item quia, sicut scitis ut credimus, tempore guerre de Caffa facta fuit impositio super vino quod nascitur in Gotia et defertur in Caffa de asperis decem pro bote, ex quo tunc in uno anno collectum fuit asperos viginti sex millia vel plus, qui essent summi ducenti vel plures, volumus quod similiter provideatis super impositione fienda in vino quod defertur de partibus Turchie et Sava-stopoli in dictum locum. Item quia, ut scitis, in burgis de Caffa habitat magna gens, tam christiani quam alii, qui de bono Caffè maximam utilitatem et fructum capiunt, bonum est quod habeatis super eis provisionem ut ab eis possimus aliquid utilitatis capere ad guerram presentem , quia sicut scitis ex magna multitudine debetur procedere utilitas magna. Item volumus quod provideatis in Caffa super duplicando cen-sarias et de eis accipiendo aliquam partem pro communi, prout supra diximus de illis de Peyra, vel alium utiliorem modum ; et avisamus quod ex ipsis procedere poterunt sommi ducenti vel plures, secundum bonum et sapientem modum vestrum. Item provideatis super pondere auri, condempnacionibus , capi-tibus et aliis omnibus que tangunt et pertinent ad commune, et illa trahatis plus quam poteritis ad utilitatem communis. Item colligitur in Caffa quedam impositio pro capitibus sarra-cenorum et aliorum navigantium in lignis nostris et navigiis, de quibus procedent ut credimus annuatim summi duo millia quingenti vel plures. Et quia istud est magnum quid, super hoc solici te et caute provideatis prout vobis et consilio vestro quod habebitis ibi videbitur, et de discretionibus vestrum speratur. Et provideatis solicite quod dicti sarraceni vadant in lignis nostris, et quod de ipsis percipiatur quod debet, et non in aliquo defraudetur collecta per patronos vel alios, et quod nullus possit — 250 — facere dictum traficum nisi de Caffa, nec possint venientes de Turchia cum navigiis sarracenos vel alios facientes dictum traficum portare vel onerare seu ellevare. Item quia in Symisso colligitur quoddam drictum de asperis decem vel'pluribus pro salma, de rauba que illuc venit de Turchia etiam et ibi multi ianuenses sunt, scribatis de Peyra et de Caffa consuli nostro in dicto loco quod omnis moneta que esset ibi de communi veniat in vos, et quod vobis conferant illud iuvamentum quod poterunt annuatim, narrando et dando sibi exemplum de liiis que fiunt in civitate et aliis locis nostris; et eos omni modo hortemini ad contribuendum ad guerram , quia de fructu pacis capient sicut alii omnes. Et eodem modo scribatis et faciatis de Trapesonda, de Altoloco, de Rodo et de omnibus aliis locis maris maioris prout vobis videbitur. Etiam et hoc scribatis in Cipro , ubi audimus quod est moneta de penso, et aliis nostris; et quando scribatis, mercatoribus in genere scribatis, quia ibi non est consulatus ut scitis. Etiam et pro habendo ut supra monetam et contribuendo ad guerram, scribatis et faciatis in Cembaro, Mahocastro, Vecina et in locis aliis maris maioris ubi ianuenses sint. De moneta autem, ut supra colligenda in Caffa fieri debent in-Irascripte expense. Consuli, pro suo salario sive salariis et expensis , dari debent summi ducenti sexaginta • ... . Summi cclx Stipendiariis communis, in sunnna, circa summi nonigenti........» dcccc In expensis accidentalibus avisamus circa summos ducentos quinquaginta.....» CCL In reparacione et construcione murorum et aliis summos ducentos.....» cc Consiliariis quatuor ut supra elligendis per vos summi quadraginta......» xl Successori vestro, ponendo vestri loco ut supra, summi vigiliti.......» xx Et quia nescimus firmiter si dicte expense omnes fiant ut supra, - 251 — vcl si sint necessarie, volumus quod super his provisionem habeatis et minuatis et faciatis pro [ut] condicioni cognoveritis expedire. Volumus insuper quod ordinetis quod fiat generale et firmum decretum in Peyra quod nullus possit vel audeat apportare seu deferri facere tellas vel pannos tam super aliquo ligno vel navigio forensi, vel aliquo modo expedire vel vendere, sub pena quinquaginta pro centum prout alias factum fuit, facientes dictum decretum publicari quia illud etiam in Janua fecimus publicari. Et facto dicto decreto et publicato, diligentem inquisicionem super hoc faciatis habere et omnes contrafacientes puniatis omnino. Etiam et quicumque censarius mercatum fecerit de tali rauba removeatur et tollatur ab officio censarie, et condempnetur ut vobis videbitur seu aliis loco vestri. Item volumus quod imponatur et colligatur in Cembaro unum pro centum eo modo quo dictum est in Cafta. Completis vero supradictis et aliis prout vobis videbitur in Caffa, tunc redire poteritis in Peyra ubi ut diximus habetis exercere officium vestrum. Archivio di Stato in Genova. — Materie politiche, mazzo Vili. ' ' . ■ . ' L’ OGDOAS DI ALBERTO ALFIERI EPISODII DI STORIA GENOVESE NEI PRIMORDII DEL SECOLO XV PUBBLICATI DAL SOCIO Dott. ANTONIO CERUTI . . ♦ principiare del secolo XV volgevano tuttora avverse le sorti di Genova, funestata già da molti anni dalle guerre civili. An-toniotto Adorno, ambizioso del potere conferitogli col dogato, volea renderlo memorabile e glorioso per l’estensione da lui data ai confini della Repubblica. Ma fieramente avversato dalla fazione contraria e dal battagliare dei partiti, fu quasi l’origine del tumultuoso succedersi de’ suoi successori, posti sul trono ducale e tosto balzatine dalle ire faziose, che impedivano il consolidarsi del governo a deplorevole rovina della Patria. Al dominio di questa agognava celatamente e per vie indirette Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, approfittando delle discordie cittadine, che pa-revangli propizie a meglio giungere al suo intento. Ma la fortuna non gli arrise, e le fazioni interne, insoffe- renti d’un regime cittadino, lo conferivano piuttosto a Carlo VI di Francia. La pace non venne però dalle mutate condizioni, le discordie si riaccesero più che mai infiammate, accortisi i partiti, solo in ciò concordi, del danno e della vergogna di subire la Signoria straniera ; e la peste, che spense presto il medesimo Adorno, sopravvenne a porre il colmo ai tanti mali, che già traboccavano sul finire del secolo XIV, il quale si spegneva sulle rovine della Patria e dei cittadini, malmenati nei loro stessi averi. I governatori mandati di Francia erano impotenti a sedare i tumulti e contenere i cittadini dal trascendere agli eccessi dell’ira, ad imporre alle plebi furenti il culto alla propria autorità e alle leggi. Ultimo venne (i novembre 1401) Giovanni Le Meingre, marchese di Bouciquaut e maresciallo di Francia, che al rigore sommo, con che voleva osservate le leggi e amministrata la giustizia, associava animo crudele e fama di valoroso soldato, come lo tu in Francia contro i ribelli, in Ispagna contro i Mori e in Bulgaria contro i Turchi. Così aggiugneva all incendio nuova esca, governando col terrore e coll arbitrio 1’ atterrita città, e scompigliando gli ordinamenti cittadini ; né dall’ ottenere i suoi scopi con qualsiasi mezzo lo rattenevano scrupoli di legalità o d’ umamta. Moriva frattanto Gian Galeazzo Visconti ai primi di settembre 1402 , e il largo dominio da lui acquistato con tenace perseveranza andava diviso fra tre figli suoi, posti sotto la reggenza della vedova duchessa e del ministro Francesco Barbavara. A Giovanni e Filippo toccava la Lombardia, ed a Gabriele, avuto da Agnese Mantegazza e legittimato da Venceslao re de’ Romani, - 257 - Livorno, Sarzana e Pisa colle loro pertinenze. Questa ultima città, per l’immediato smembramento del ducato, cadde tosto in preda de’ Fiorentini a prezzo, dacché ei l’avrebbero ad ogni modo conquistata colle armi ; Sarzana e Val di Magra ribellavansi per darsi ai Genovesi ; Livorno ed altre terre, mal potendole conservare, Gabriele cedette pure per denaro a Firenze ; ma la pattuita mercede non essendogli corrisposta che in parte, corre a Genova per interporre Bucicaldo, mezzano e mallevadore del mercato, affinché gli acquirenti ne osservassero lealmente le pattuite condizioni. Ma colà, pe’ segreti maneggi del maresciallo , Gabriele è accusato di fellonia e cospirazione contro la Repubblica, come volesse darla a’ Ghibellini, sottraendola alla Signoria francese ; violentato da lusinghe e tormenti, gli è estorta una fallace confessione, e a ventidue anni ebbe mozza la testa il 15 dicembre 1408. Il suo avere fu occupato, e Bucicaldo riscosse per sé dai Fiorentini quegli 80 mila fiorini, che l’infelice giovane domandava indarno come giustamente dovutigli per le pattuite cessioni. Una guerra civile scoppiava nel 1414; da una parte Adorni e Fregosi, dall’altra Mon-taldi, Spinola, Vivaldi, Negroni, Grilli, Imperiali,. Guar-chi, Boccanegra e Franchi, che dividevansi fra loro a brani l’infelice città con interminabili combattimenti. Frattanto era acceso lo scisma, pel quale Giovanni XXIII, Gregorio XII e Benedetto XIII contendevansi il papato, gravissima piaga nella Chiesa, a curare la quale fu adunato il Concilio di Costanza. Di questi fatti s’intesse la maggior parte della tela, che si svolge nel libro di Alberto Alfieri, in una forma divenuta di moda a que’ tempi, quella di visione, quasi Atti Soc. Lig. St. Pìtru. Serie 2.*, Voi. XVII. 17 l ad imitazione del gran poema dantesco, figurandosi allora un commercio agevole e frequente fra il mondo presente e quello di là. Perciò riputavansi come nuove ed elette invenzioni dell’ arte estasi, visioni, colloquj con anime di trapassati, apparizioni di spiriti, voli sino all’ empireo e tutti i delirj dell’ immaginazione. Questa forma dell’ arte animata dallo spirito religioso acquistava una straordinaria efficacia, in ispecie negli insegnamenti morali dettati dagli attori di quelle visioni sceniche, le quali non avrebbero prodotto alcun effetto senza quelle illusioni, che acquistavano straordinaria autorità e competenza ; guadagnava fede quasi illimitata alle predizioni dei destini dell’ umanità, di popoli o di individui, ed assumendo eziandio proporzioni drammatiche, metteva a contatto i viventi con quei che già furono. In tal modo 1’ Alfieri imagina un cielo, che non è la sede degli spiriti immortali, bensi quasi un luogo di transizione tra la terra e il sommo empireo, regno dei beati, e fa apparire come in tante scene i diversi personaggi, che rivelano i destini futuri, o si fanno maestri di precetti e dottrine morali a guida dei viventi. Gabriele Visconti è quasi un protagonista, poiché intorno a lui s’ aggruppano tutti i personaggi introdotti sulla scena. Appena salito a quell’ atmosfera dopo la crudele sua morte, s’incontra volta a volta con Gian Galeazzo, la duchessa Caterina Visconti, Bernabò già signore di Milano, la propria madre Agnese, Antoniotto Adorno, che l’interrogano sulle vicende e le cause, che 1’ hanno introdotto intempestivamente nel regno delle anime, e sugli avvenimenti umani, in ispecie di Genova. Dal loro canto essi gli sono maestri di quel che sanno nell’ or- - 259 — dine delle cose presenti e future e delle leggi morali. Ma queste, racimolate come sono dalle dottrine dei savj del paganesimo, e miste di mitologia, di politeismo e di cristianesimo, nella loro bocca talvolta zoppicano, per quanto tentino di camuffare di classicismo una conversazione storico-morale. Il lettore sorriderà in udire dai Visconti, e massime da Bernabò, l’inumano tiranno di Milano, sciorinare gravemente al pronipote severe istituzioni di rettitudine, moralità, mitezza e clemenza, giustizia, eh’essi non mostrarono tampoco di conoscere quando reggevano il principato. Lo stesso Gabriele timidamente fa simile obiezione allo zio, e alla sua volta é rimbrottato dal padre e da Caterina de’ suoi eccessi e della sua crudeltà. Nell’ Ogdoas, così appellata sì perché divisa in otto capitoli o scene, sì perché la sua azione si svolge nello spazio d’ altrettanti giorni, la parte più interessante é assegnata ad Antoniotto Adorno, sia per la dipintura che ne fa Gian Galeazzo a Gabriele ed il racconto delle sue azioni e dell’ alta dignità della sua prosapia , come per gli svariati ammaestramenti storici, eh’ egli fornisce al giovane principe. Veramente l’interesse storico più vivo si sviluppa solo al capitolo V, senza interrompersi mai sino alla fine, mentre nei precedenti non si hanno, a guisa di introduzione, che dialoghi fra Gabriele ed il padre, Bernabò e la duchessa, di brevi accenni di fatti e di ammaestramenti morali in aperta contraddizione e condanna implicita delle opere della maggior parte di loro. Con Agnese s’inizia la narrazione dettagliata dei casi miserevoli del figlio dopo 1’ assunzione dell’ eredità paterna, agognata e decimata dai — a6o — Fiorentini e dai Genovesi, e terminati solo colla di lui morte. Poi Gian Galeazzo ed Antoniotto predicono con facile vaticinio i casi di Genova posteriori alla morte di Gabriele, le discordie, le congiure, le guerre civili, che afflissero la città, e ne scossero profondamente le istituzioni civili e il benessere ; poi tessono 1’ apoteosi di molti membri della famiglia Adorno, anteposta a tutte, e d’altre casate. Non mancano i racconti favolosi, allora divolgati e creduti, di prete Janni, 1’ uomo ma-raviglioso che occupò la penna di più scrittori contemporanei , nè una interessante descrizione di Caffa, antica colonia commerciale della Repubblica, dei costumi di quei selvaggi e della loro storia, quale era creduta dal-1’ opinione popolare genovese. L’autore, Alberto Alfieri, nativo di Albano su quel di Vercelli, si appella cittadino genovese, e scrisse la sua visione a Caffa, ov’ era maestro di grammatica. La finse avvenuta due giorni dopo 1’ uccisione di Gabriele; ma il racconto delle vicende pubbliche, eh’ ei pone in bocca a Gian Galeazzo ed Antoniotto, che come aggregati fra gli immortali s’ attribuivano la virtù di sapere il futuro, fa credere che la compilazione di quello scritto sia avvenuta verso il 1421. In quell’anno stesso l’Alfieri rammenta con postumo vaticinio, che la peste avrebbe con altre sciagure afflitto la Repubblica veneta, quantunque il Muratori, forse per diverso computo cronologico, la riporti all’ anno seguente, dicendo realmente eh’ essa afflisse molte città d'Italia, ma tace di altri rovesci veneti, poiché quello Stato andava allora prosperando. E qui può con ragione chiedersi, se l’Autore, volendo far presagire il futuro da' suoi personaggi, — 261 — non abbia talvolta a suo talento preteso d’indovinare a casaccio avvenimenti che la storia non ha registrato, o se il silenzio di questa non sia d’ attribuirsi a colpa dei Cronisti. Se la Critica avesse a rovistare nelle pagine dell’O^-doas (i), non durerebbe punto fatica a trovare apprezzamenti del merito delle diverse persone in essa mentovate, in fiera contraddizione coi giudizj e le memorie lasciatine dalla storia. L’Alfieri mostra assai parzialità pei Visconti e le loro anime santissime (sebbene eglino stessi si rimproverino a vicenda le sregolatezze commesse e la vita affatto difforme dalle leggi morali da loro predicate), per Antoniotto Adorno e per altri personaggi non affatto commendevoli. Per lui, Antoniotto é un f ottimo cittadino e padre della patria. In realtà questi, doge quattro volte, fu dei personaggi più illustri, di cui si onori la storia genovese, ma 1’ equità e l’imparzialità debbono rimproverargli molti e gravi errori. Ei proclama pure d’ ottima indole i figli di Gian Galeazzo ; ma le crudeltà e le dissolutezze di Giovanni Maria, sospetto autore della morte della sua stessa madre, i vizj di Filippo Maria, non alieno egli pure dal sangue, smentiscono le asserzioni dell’Alfieri. Gabriele medesimo si era fieramente inimicato i Pisani colle sue estorsioni, il mal governo e 1’ uccisione di Francesco Agliata. Altri suoi giudizj d’ altri personaggi e la soverchia indulgenza a loro riguardo non gli sono consentiti dalla coscienza onesta ed imparziale della storia veridica. Certamente (i) Quest’ operetta si trova in un Codice cartaceo del secolo XV dell’Ambrosiana, dal quale fu trascritta. — 2Ó2 — dovrà perdonarglisi questa parzialità, perchè cittadino genovese e forse agli stipendi della Repubblica come precettore in una di lei colonia, e fors’ anche seguace di una fazione politica, non seppe dissimulare i suoi sentimenti, né apprezzare sotto un aspetto diverso dal suo uomini che avevano il maneggio della cosa pubblica, e principi esteri che favoreggiavano quello Stato. Forse anche divideva le larghe teorie di Bernabò, che dichiarava impossibile nei principi l’impeccabilità , e 1’ errore una necessità fatale e indeclinabile. Ad onta però dei suoi ditetti, l’Alfieri non può dirsi imperito, né inornato, né imbecille, come 1’ agostiniano Adamo di Mon-taldo, autore delle Glorie di Casa Dona (i), taccia tutti gli storici genovesi, coni’ egli scriveva nel 1485. Dell’Autore non si hanno altre notizie che le pochissime da lui medesimo somministrate ; rimase ignoto a Michele Giustiniani, allo Spotorno e altri scrittori di storia letteraria, forse perché estraneo per nascita al territorio della Repubblica, sebbene poi ne divenisse cittadino. Che davvero sapesse di grammatica, ossia di erudizione letteraria, tanto da insegnarne dalla cattedra a Caffa, si riconosce dal suo scritto medesimo, che senza ampollosità ed ostentazione, accenna spesso ed evidentemente a reminiscenze classiche ed a velleità poetiche, sebbene qua e là cada in voci di bassa latinità, e il senso del suo pensiero rimanga oscuro per colpa de’ copisti. Negli ammaestramenti morali, eh’ ei presta come preludio e premessa a’ personaggi messi sulla scena, manifesta di non essere ignaro delle dottrine metafìsiche (1) Rer. Ital. Script., toni. XXI. — 263 — allora divolgate nelle scuole, ma talvolta zoppica nella applicazione loro alle azioni umane , e cade in singolari incoerenze. Descrivendo il regno di Plutone, ossia il luogo di punizione dei malvagi, ripete quanto ne scrissero i poeti dell’ antichità e quelli stessi del medio evo; ricorda il Lete, l’Acheronte, Flegetonte e Cocito, cerbero a chiome di vipere, le Eumenidi, reminiscenze dantesche, i diversi modi di supplizio e di pena, e quanto immaginarono in proposito le fantasie dei poeti. Ma in quest’ ultima parte non istà l’importanza del libro . dell’ Alfieri, bensì nella descrizione degli eventi politici genovesi, dei quali egli è testimonio contemporaneo e fors’ anche oculare ; e perciò la sua Ogdoade acquista un’ importanza non comune presso i cultori delle discipline storiche. A. Ceruti. ALBERTI ALPHERII OGDOAS Iacobo Adurno viro magnifico (i) Albertus Alpherius de Albano salutem dicit, et semper prosperos ad vota successus. Quotiens, vir magnifice, epistolas tuas ipse conspicio atque lego, congratulationes quascumque assumo, tu quisquis compos es mentis, ex animo tuo collige omnia laudabiliter intuenti. Quid autem mihi beatius fuerit, quam ut mihi praecipias et tibi paream, me quoque ut rebus tuis pariter utaris? Quid jocundius quam ut sub alis protectionis tuae ipse quiescam ? Librum, quem sub tuo nomine, dum consul esses et te bene consulem ageres nec denegares, ab imaginibus ac industria gentis tuae rite composui, atque ad tui gloriam, famam et honorem penitus dedicavi, ecce hilaris tibi (i) Questo Giacomo Adorno, al quale è dedicato 1’ opuscolo dell’Alfieri, é forse quello ch’era nel 1412 del magistrato degli Anziani. Nell’ anno seguente fu spedito a Savona contro Teodoro marchese di Monferrato, che avendo perduto la Signoria di Genova, tentava di ricuperarla; quella guerra fini poi amichevolmente con denaro. Nel 1414 fu ambasciatore all’imp. Sigismondo; con Teramo suo cugino prese le armi nel 14x7 contro il Doge Tomaso Fregoso. Venuta in mano de’ Visconti la Signoria, esulò e fu dichiarato ribelle. A Pisa , essendo imminente una guerra contro Filippo M., fu trucidato proditoriamente con Antonio Fieschi dai soldati di Francesco Sforza condottiere ducale. — 266 — mitto. Perlege igitur, multa enim ex te intelliges, quae experimentum tuae maximae virtutis nec non et energiae plurimum delectabunt. Quae autem ex toto non capesses, a doctoribus, quibus civitas nostra uberrime habundat, discere poteris. Si tibi commoditas temporis aderit, saepius mihi scribe. Tuus sum et semper ea facere gestio, quae magnificentiae tuae placere debeant et sint grata. Incipit prologus libri nuper editi ab Alberto Alpherio gramaticae professore in civitate caffensi, qui Ogdoas nuncupatur. i Plato, omnium mortalium peritissimus pariter et facundissimus, librum de rei publicae constitutione contexuit, in fine cujus operis humanum genus ad justitiam invitavit; et ut justitiam ipsam magis desiderabilem redderet, etiam pertractavit de dignitate fructus ipsius justitiae, ostendens eum perpetuo perdurare ; et quia nil proficeret utilitatis perpetuitas, nisi illius utilitatis particeps sibi coaeternus maneret, mentionem etiam facit de animarum immortalitate , ut et fructus perpetuus esset, et remuneratus eum perpetuo obtineret, et sic magis homines ad justitiam animaret. Sed quoniam loci inhonestas et turpitudo solent aliquando fructum et honestatem dedecorare, placuit ei locum illum per descriptionem egregiam commendare. Tractans igitur de speris, de circulis, de planetis , de omnium locorum pulchritudine caelestium, ad omnia ista manifestanda introduxit quemdam virum Pamphilum , id est de Pamphilia regione, praelio mortuum resuscitatumque, quasi ìe-ferentem quicquid post mortem foret in caelestibus contemplatus, scilicet quantam beatitudinem animae justitiam in hoc mondo sectantes post mortem essent consequutae, et quam ' delectabilibus locis , scilicet luce , sideribus , speris, circulis decoratis illa beatitudine fruerentur. Hoc etiam attestatur Valerius Maximus, certus latinarum ac graecarum historiarum autor, libro primo, capitulo sexto de Miraculis, ubi sic infit: « Quae minus admirabilia Pheretis Pamphili casus facit, quem Plato scribit inter eos qui in acie ceciderant decem diebus jacuisse, biduoque postquam inde sublatus est, impositum rogo revixisse, ac mira quaedam tempore mortis visa narrasse ». Marcus Tullius Cicero , totius latinitatis — 267 — optimum ornamentum, tanti opus philosophi in latino sermone imitatus, scribens ad Hortensium de re publica, sexto libro suo eandem ordinationem rei publicae descripsit, totamque seriem illius justitiae in fine similiter est sequutus. Sed ubi Plato hominem resuscitatimi introduxit, ille Scipionem Affricanum somniantem, et tamen eadem quae ille resuscitatus proferentem. Editor vero praesentis operis gente lombardus, patria Vercellensis, in oppido natus cui nomen est Albanum (1), vocatus Albertus, nunc civis illius imperiosae Januae civitatis, in Scythia moram faciens, ubi opulentissima urbs est, quae Caffa vocatur, a colonis condita januensibus, cupiens inertiae dare terga, patriae bona tradere documenta, gloriam vero et delectationem nec non et fructum consulibus magnificis ceterisque incolis, qui coguntur latinos, graecos et armenios, nabateos plurimasque barbaricas nationes sub tanto imperio gubernare, hanc litterarum seriem ordinavit, ut Platonis ac Ciceronis virorum tam illustrium sermones beatissimos ignorantes coram noscere valeant, quantam apud Deum beatitudinem immortales animae mereantur in hoc saeculo justitiam ministrantes, quan-taque supplicia eandem justitiam negligentes, hominesque ut bona temporalia flocipendeant et aeterna adipisci nitantur, illaque incredulitas, vel ut sanius proferatur, fatuitas confundatur et pariter erubescat, quae asserit mortuo corpore animam evanescere, apud principes infernales malos dare supplicia esse admodum fabulositer. Phedronem legitet qui post separationem animae a corpore praemia deesse bonis, malis vero supplicia dubitavit. Non ad hos loquitur qui Platonem inter philosophos sapientissimum perlegerunt, qui Ciceronem, romanae eloquentiae habundantissimum fontem, somniantem Scipionem Affricanum penitus inducentem pariter et viderunt, ubi tam illustres scientiarum elegantissimi principes nominantur. Ipse scilicet attamen plurimum utilitatis affert liber iste; introducit enim illustres animas colloquentes, quas memoriae mandare permonuit Caliope in somnis, Tithoni conjuge rutilante. Applaudite igitur, viri optimi, adsit mentibus vestris illud cicero- (1) Albano, presso la Sesia, a sei miglia da Vercelli. Il suo vetusto castello fu donato nel 1152 da Federico Barbarossa alla cattedrale vercellese. — 268 — nicum: Honor alit virtutes omnesque incenduntur ad studia gloria ; praeterea optimum virtutis alimentum est honos. Hoc opus edidit haud invidia motus, haud spe lucri, sed ut virtutis aeternae et solidae sublimentur, vitia deprimantur, prositque posteritati futurae. Estne parum apud Scythas barbaros obversari, et tam illustrissimos Italos introducere colloquentes? Hanc seriem boni judices extimabunt. Non est cultu digna virtus, quae malorum ore hominum commendatur. Usus est levi figura, ne oratio scrupulosa fore nimium videatur. Quisquis igitur hunc librum legis, si non probas, ne contemne, ne obsis, ubi prodesse non optas. METRICA DECLAMATIO TOTIUS OGDOADOS FELICITER INCIPIT. Consule magnifico Jacobo caffensis Adurno Urbis, ad has artes Pieris ipsa vocat. Vulnera quem nobis ajunt jam quina tulisse, Ad placidos portus dirige, Christe, ratem. Hic ducis anguigeri casus et tristia fata, Natorum et divum regna beata canam ; Ipsumque et patruum juvenem tunc multa rogantem Reginam et matrem verba relata simul, Atque alios proceresque duces quoque multa profundi Imperii capiant denique quidque boni. Quid pravi meritasque ferant pro crimine poenas, Huc cursum noster diriget acer equus. ARGUMENTUM HUJUS OPERIS. Adolescens illustris Gabriel serenissimi principis Johannis Ga leaz Mediolani ducis inclitissimi, fere Liguriae ac Tusciae civitatum obtinentis maximam monarchiam, genitus Januam est profectus. Urbem illam florentissimam ac opulentissimam sub nomine legio Bouciquaut vir gallicus jugo scaevissimo opprimebat. Adolescens diu moratus capitur, accusatur, torquetur ; tandem reus capitis condemnatur, ultimo supplicio affligitur. Ejus liber animus ad pati iam sedem defertur. Pater primo filium his verbis alloquitur. CAPITULUM I. In quo introducuntur duo illustres spiritus Johannes Galea?, dux olim maximus Mediolani, et Gabriel Maria ejus genitus. Pater: Ipse es, o gnate, an me tua quidem fallit imago? Quid te cerno cruentum? Vivisne, an huc umbra venisti? Filius : Equidem ille ego sum, nec te, genitor, capio. Hujusce rei cruoris causam agnosces. Nequaquam amplius sum mortalis. Ad te quippe, sanctissime pater, animus liber a corporeo carcere ac vinculis huc accedit. Pater : Quae te fortuna sautiavit indigna ? Filius : Longa est exploratio haec futura. Pater: Cedo, te quaeso. Filius : Dicam. Pater: Cur me trahis in longum? Filius : Horreo. Pater: Domesticorum ne insidiis circumventus? Filius: Non. Pater: In bello? Filius: Nequaquam. Pater: Quis ergo hujus facinoris artifex? Filius: Profecto scies. Pater: Quando? Filius: Ocius. Pater: Ludis ne patrem, o nate, volens tam acriter crastinare? Filius: Dii minime cogitent. Pater: Quid ergo? Filius: Dura est res narratu. Pater: Quid duri animae patiuntur, ossium et membrorum compage carentes, si tu quidem modo spiritus es? Filius : Sine. Pater: Jamdudum desideravi. Filius: Paveo ne te quidem poeniteat audivisse. Pater: Quid faris? Filius : Haec est hujusce rei summa. Pater: Fallax est opinio haecci. Filius: Sic diu suspicatus sum. Pater: Erras. Filius : Autumo, pater sanctissme, ut tu dicis. Pater: Propera, nec me redde suspensum. Filius: Tuo arbitratu edisseram quicquid gliscis. Pater: Libet et audire desidero. Filius : Ut te, clarissime pater, deorum cetui fata vocarunt, totius Italiae regnum est impio gladio cruentatum, His omne ruptum, nequam flagitiosisque civibus paruerunt insontes, bella plusquam civilia per omne tuum imperium acta sunt, urbes suis civibus vacuae , patres, filii, veli ! filiaeque, nepotes laribus pulsi. Quotiens Mediolanum maximis adversae fortunae ictibus est perculsum ! Cumae urbs opulentissima fuit. Pater : Nate, assentior. Filius : Nosti, sanctissime pater. Pater: Vidi. Filius : Aliud nunc est. • Pater : Quid ? Filius : Illi ingentes Penates solo aequati sunt ; Briscia, olim ma-gnipotens, se suaque oppida Marte scaevissimo cruentavit. Quid Pergamum, quid memorem Laude ? Quid olim fertilem Cremonam ? Quid Veronam pulcherrimam, Vincentiam poeticam ? Quid dolosam Alexandriam, quid Terdonam, vetustissimam Papiam, Novariam, Bobium solum exile? Praeteribo ne Vercellas, variis belli temporibus conquassatas? Tacebo Placentiam magnam, Cremam oppidum opimum, doctissimam Bononiam, Regium, Parmam, Martis et Minervae plurimorum virorum alumnam, Feltrum et Belunum urbes exiguas ? Cur praetereo Massam et Grossetum ? Quid referam Senas et Perusium maximas civitates? Accissum equidem praeterire non libet. Non loquor Angferiam, ubi Anglus pater generi nostro principium traditur contulisse; non omnia oppida, quae tuo sacratissimo parebant imperio. Quid plura? Cuncta nosti, ut auguror, dive pater. Haeccine conticuit illa tua inclita conjunx? Nonne - 27T — affata est? Credo equidem mortes hominum, urbium mutationes et fraudes armorum (i). Pater: Vera refers, o nate dulcissime; ergo age, et tui casus adventum edoce. Filius: Attingam breviter. Pater: Te testor. Filius: Tuis obediam dictis. Pater: Edico, si tui quondam nomen diligis genitoris. Filius : Quid dulcius, quid sanctius reputem ? Pater: Sic glorior, sic recte tu quidem ipse concludis. Filius: Seditiosissima Pisanorum urbe potitus, cujus imperium mihi dederas, pro demeritis poenas luere debitas, hos populus flo-rentinus variis crutiatibus saepe torsit, hos expulit, hos misit ad orcum, hos inopes urbe reliquit; nihil dii liquerunt inultum; non semel, sed iterum et tertio insidiis lacessitus, nequaquam dubitavi ingentia facta parare, armis me tueri et libertatem, mori potius quam partam perdere. Saepenumero me ceperunt, multa tuli; eos arbitrabar saepe velle optima pace potiri; fefellerunt; inscium me invadunt; dimicatur; tandem in arcem refugio. Pugnatum est undique; jura cedo poscentibus Florentinis; Januam dirigo gressum; illustres repeto fratres. Quid ulterius loquor? Parens ipsa, ut puto, tibi plura praedixit. Pater: Ita quidem; sed dissere quid venisti. Filius: Agam libenter. Pater: Hortor. Filius: Imperium natorum tuorum undique propulsatur; invidiam patior; Alexandriam proficiscor; inde Januam repeto festinanter. Hac urbe splendidissima moram diu contraho. Quid non mortalia pectora cogis Auri sacra fames ? Heu, pater sanctissime, magnum pecuniae cumulum expectabam ; (i) Ripete qui la favola allora creduta dei re d’ Angera , d’ onde i Visconti pretendevano derivare la loro prosapia. Non mancarono Cronisti, come Daniele d’Angera, Filippo di Castelseprio ed altri, che ne scrissero racconti e storie favolose. utique me populus amitabant (i); cives quamplurimi me pariter venerantur. Heu ingens scelus ! Quam machinam huic facinori parem audiveris ? Illam inclitam urbem deferor prodidisse. Capior, cru-tior, rogor plurima quae nescivi. In medio foro apud praetorium olim ducale, spectantibus civibus multis, quibus odio fueram, ego innocens ultimo mortis supplicio me affligunt ; inhumatus adhuc ad tuam excellentiam sum allatus. Pater: Dii immortales, quis hujus generis supplicii inventor? Filius: Bouciquaut. Taceo plurimos cives, quorum nomina saepe scies. Venient qui me vindicent innocentem. Pater: Flebant ne nonnulli cives? Filius : Ita. Pater: Qui? Filius : Adurni ceterique principes civitatis. Pater: Qui congratulabantur? Filius : Quos auri cupiditas adurebat, quos voluntas pessima extorquebat, quos ingentia facinora oblectabant, qui exitium urbis po-pulique radicitus cupiebant, qui rem publicam maximis olim sudoribus partam minuebant. Pater : Nate, quis mondi rebus fidatur ? Filius: Nemo. Pater: Optime; instabilis est enim rerum mondi conditio. Filius: Fateor, sanctissime pater. Pater: Tu quidem ipse nuper scisti. Filius: Quid verius hoc sermone excogitari potest.'' Pater: Dicis quodcumque est. Filius: Nam verum. Pater: Fuisti victima immatura. Filius: Quid hodie aut cras? Pater : Recte quidem ais. Filius: Tu hoc ipsum solus ipse scis. Pater : Audies, nate. Filius: Flagro jamdudum. Pater: Nescis quid dicere gestiam. (i) Per amabant; voce non registrata nel Forcellini; è il frequentativo di amare■ - 273 - CAPITULUM II. In quo praefati spiritus introducuntur, certis adventantibus animabus. Haec dum religiosissimi spiritus ad invicem loquerentur, ecce adest maxima turba, inter quos adventabant regina ejusque genitor atque parens adolescentis animi tam crudeliter vexati, magnis turmis comitantibus animarum. Illico adolescens expavit, ad patrios pedes continuo se prostravit. Filius : Quid video, sanctissime pater ? Pater : Ne dubita, nate carissime, nam vera vides. Obstupuere etiam spiritus illi novitatis monstro perterriti. Filius : Quis, genitor, senex ille, quem ad te venientem aspicio ? Pater: Nate, ne quaere. Filius: Cur? Pater: Noveris. Filius: Rogo. Pater: Quid precibus opus est? Filius : Pater, quantus hic vir est ? Pater: Vides. Filius: Hic ne nostra de gente? Pater: Fuit. Filius: Parens patriae? Pater: Ita. Filius: Est ne ille inclitus socer et patruus? Pater: Vera edisseris. Filius: Ut tibi mitissimus est! Pater: Utique. Filius: Dic causam. Pater: Optitas? Filius: Quidni? Pater : Fabor. Filius : Siquidem strictim. Pater: Optime. Filius: Videor jam te mansisse quadrimatum. Atti Soc. Lic. St. Patria Serie 2.‘, Voi. XVII. - 274 — Pater: Quo templum hujus orbis, quem praesentes incolimus, praestantius est facie totius ambitus terrarum, hoc me patruus iste minor habebatur. Filius: Quid est hoc quod dicis? Nonne et ipse illustris? Nonne maximus gubernator? Pater: Nate, confiteor, sed me major? Filius : Minime. Pater: Quid si fata dedissent annos quinos excessisse? Filius: Omnem Italiam tuo imperio paruisse. Pater: Quid si decem? Filius: Europam ad usque Tanam Meotidasque paludes. Pater : Quid si bis decem ? Filius: Asiam, Affricam, omnesque hominum nationes. Pater: Utrius imperium potentius? Filius: Tuum. Pater: Uter mitior? Filius : Tu. Pater: Ergo dignior veneratione. Filius: Quid refelli potest? Pater: Quicumque mitis bonis, ellatis rigidus imperium rexerit, rempublicam auxerit, patriam sanctissime servaverit, philosophos veneratus, alienos thoros fugerit, huic hac in regione cernes celsius solium dari, et a cunctis, quos dii boni expectant, excellentius venerari. Qui vero innocens vixit deorum metuens, hic octo penetrans globos caelestes, cum summo rerum artifice ac ministris suis beatissimam continuo capit vitam. Filius : Pater, glorior huc ad te venisse. Pater: Nequaquam ambigo. Filius : Quid beatius hoc ipso regno tuo ? Pater : Aliud. Filius: Quod? Pater: Quod stellis, quod Saturno, quod Jovi salubri optimo, quod Marti horribili, quod soli duci, principi et moderatori reliquorum luminum, quod Veneri dulcissimo sideri, quod Merchurii vellocissimo cursui, quod lunae in infimo orbe sitae, solis radiis illustratae praesidet. — 275 - Filius : Quod regnum est istud ? Pater: Splendidissimum omni beatitudine penitus et refertum. Filius: Qui illuc celerius accedunt, dictita iterum, sanctissime pater. Pater : Dicam equidem, nec te suspensum tenebo. Quae te laetificant decies audita placebunt. Qui vitam celibem perduxerunt, qui nulli fecerunt injuriam, qui, iterum iterumque narrabo, populos sub sanctissimo regimine servaverunt ab iniquis oppressi, qui in vita pauperiem aequo animo pertulerunt, qui suo sanguine martyrium passi sunt ut veteres philosophi, illique viri optimi, qui Geniti Omnipotentis doctiones imitati sunt, qui illecebras mondi ex se ipsis spreverunt, qui pauperibus compatiuntur, qui illum Deum omnium rerum principem proximumque sunt animo piissimo venerati, his vita beatissima cum diis in caelo est. Filius : O beatos rerum orbis terrestris praesides, si se suaque bona futura cognoscant! Pater: Nae. Filius: Et qui hoc fieri potest ut beati fiant? Pater: Quis tam demens ignoret? Filius : Dic, te suppliciter rogito. Pater: Ut ipse concerno, iterum flagitas; quicumque bonis placidis abstinet, deorum consilio post animum a vinculo corporeo resolutum addicitur. Filius: Cur mondi principes non apprendunt? Pater: Nolunt. Filius: Quid? Pater: Sunt enim terrenis voluptatibus revoluti. Filius: Pater sanctissime, utinam scissem! Pater: Quid hoc? Filius : Manu viam ad illud regnum jamdiu sidereum invenissem. Pater: Vix intelligo hos sermones. Filius: Dico propria. Pater: Quid manu propria? Filius : Iterum dico propria. Pater : Abstinendo te ab illicito tactu ? Iustitiam ministrando ? Diis pauperibusque suffragia porrigendo ? Filius: Dico mihi jugulum properando. Pater: Absit; hac via non itur ad astra. Filius: Imo. Pater: Cur ? Filius: Nam vellocius. Pater: Agis ut sophistae. Filius: Quid sophistae? Pater : De recto saepe faciunt indirectum et e converso. Filius: Si fefelli, genitor, veniam posco. Pater: Quis ambigat? Filius: Dicis. Pater: Sic est. Filius: Dic ergo sententiam quam tu habes. Pater: Jampridem flagro. Filius: Crastinitas. Pater: Minime. Filius: Quid me ambiguum facis ? Pater: Non. Filius: Imo. Pater: Didiceris. Filius : Mirum profecto est quod dicere gliscis. Pater : Laudabile est narratu. Filius : Affare; te adjuro per sidera perque illum rerum omnium principem Deum, qui circulos caelestes omniaque creavit, qui bonis praemia malisque supplicia compensat. Pater: Ut video, vehementer affectitas. Filius : Quis hoc abnuat ? Pater: Ordior ergo tui. Filius: Tibi gratias ago. Pater: Ille antistes maximus Romanorum (i) ex dono provintiam tibi dedit; imperium habes; post ingratus munere tanto deorum templa misces incendiis, sacrilegiis, omnes insontes trucidas, virgines adulteras, sacerdotes perimis. Age, te quaeso, quid supplicii apud illum mereris ? (i) Roberto re de’ Romani. - 277 - Filius: Quicquid dici aut excogitari possit. Pater : Ejusne privari aspectu ? Filius: Quidni? Imo in culeo sui et in mare dejici, aut feris dari et ab his obedi. Pater: Quis animum tibi dedit? Filius : Deus. Pater: Quis in tuum corpus infudit? Filius: Deus omnium rerum optimus princeps. Pater : Ex dono ne? Filius : Ex dono maximo. Pater : Utrum praestantius est, an animus, an ipsa provintia ? Filius: Animus immortalis. Pater : Uter potentior est, an qui caelestium, terrestrium, infemo-rumque artifex, an qui antistes dicitur Romanorum ? Filius : Qui antistitem animosque athomo creavit. Pater: Ab antistite ne maximo Romanorum, qui tibi provintiam fragilem et caducam, an ab illo omnium animantium mondi principe , qui tibi animum traddidit immortalem, dignius supplicium merereris ? Filius: Quid me interrogas, sanctissime pater? Nonne est ille, a quo justius plecterer, qui dare et auferre suo potest arbitrio, qui cuncta complectitur? Pater: Ergo manu viam tibi factitabis ad sidera. Filius: Perspicua sunt quae narras, nec ullo modo posse video contradici. Pater: Igitur haud enim fas est hominem semetipsum manu propria violare, ne sprevisse videatur munus a Deo optimo sibi datum, ut etiam tu ipse fateris, provintiam ab antistite largitam incendiis, sacrilegiis ceterisque suppliciis afficere non licere. Filius: Quid sanctius censeri potest? Pater: Praeterea si quis ex servis tuis, cum id nulla de causa committeres, se ipsum interficiat, aequo animo feres? Filius : Nequaquam, immo irascerer et graviter afficerem, si potestas adesset. Pater: Quid ergo diu ore sanxisti? Filius: Fateor, mi pater, admodum deliquisse. — 278 — Pater : His igitur de causis indignum est aliquem sibi prius mortem afferre, quam Deus princeps omnium sibi imposuerit necessitatem. Filius : Ita est et sic esse confiteor. Pater : Assentiris ne Deum curam habere animorum ? Filius : Equidem assentior. Pater: Optime, et cum Deo maximo omnium regi placuerit, fatum dabit. Filius : Quis fari melius possit ? Pater : Scito igitur non esse hominis neque philosophi mortem sibi manu propria invenire, nisi quaeritet offensare illum clementissimum Deum summum omnium principem, seque ab ejus aspectu auferre et illam patriam amittere sempiternam ipse hominum generi animos impedit, et cum volet, accipiet, bonos deorum consortio aggregabit, malos vero detrudet ad ima. Filius : Pater , purissima haec sunt. Pater : Cernis etiam plura , quae tuum animum oblectabant. Filius : Quae haec sunt vehementer exoro. Pater : Equidem proferam apto tempore. Filius : Sic promittis semper. Pater : Sine ad nos venientes tres animas illustres accedere. Filius: Pareo. Pater: Agnoscis ne hanc religiosissimam matronam, auream coronam suo vertice pergestantem, visu palidam, hunc senem sequentem ? Filius: Novi, pater sanctissime, et vera video. Pater : Quaenam est ? Filius : Illa inclita parens regni tui victima nitidissima, perfidorum civium manibus circumventa. Pater: Cernis ne illam moestissimam te tam avido incessu per omnes medios appetentem ? Filius: Quidni, mi genitor? Pater: Quae haec est? Filius : Mater. Pater: Quos de turba? Filius: Plures. — 279 — Pater: Hae tres illustres animae nobiscum, pluribus solibus revolutis, illam urbem caelestem, quae sidereis circulis eminet, adventabunt. Filius : Pater, quando hoc? Pater: Cum omnes huc adventaverint. Filius: Cum omnes huc adventaverint? Pater : Minime quid loquar intelligis ; deorum fata penitus et ignoras. Filius : Adsum novus hospes. Pater: Sic est. Filius: Quid dicis? Pater: Explicabo. Filius : Mihi jocundissimum fuerit. Pater: Quid explicari putas? Filius : Pater, hoc opinor cum ille aeternus Deus miscebit omnia foedera rerum, et uti per diluvium quaecumque demersa sunt, sic per ignem mare, terra elementaque cetera consummentur, et rursus animi induant pristina corpora, atque iterum fiat cahos et mondo gens aurea dominetur. Pater: Nate, quot alis errores? Filius: Haec mei foret opinio. Pater: Falleris. Filius: Conjectavissem hoc omnium fore judicium. Pater: Admodum erravisses. Filius: Expedias oportet. Pater: Expediam et miraberis. Filius : Ut libet. Pater: Moras tollam. Filius: Quam bene! Pater: Hauri quid fari velim. Filius: Dictita. Pater: Vis tandem? Filius: Ardeo et efflagito. Pater: Quam brevissime. Filius: Ergo dilucide. Pater : Ades, o nate. — 28o — Cum mea progenies omnis delata fovebit Hanc sedem, casus genitor miseratus acerbos, Omnipotens cum gente dabit mihi caelica regna, Hic superis mistus mondi praeludia ludam, Ridebitque suos nostrum tunc quisque labores. Hic pax et requies cunctis et vera voluptas. Filius: Pater sanctissime, qui hoc scis? Pater: Qui et tu scies. Filius: Quanti emerem hoc! Pater: Spero equidem multi. Filius: Longa nec haec scientia. Pater: Profecto brevis. Filius: Gratulor. Pater: Potes. Filius: Merito. Pater: Assentior. Filius: Iam haec beata patria est. Pater: Qualem esse cernis, ad quam profecturi sumus ? Filius : Illa beatissima, illa auro, argento, jaspidibus, gemmis, sole ac luna Dei principis solo visu fulgentior fore debet. Pater: Verissima commemoras. Filius : Quando igitur erit, ut quae narras, ut tu sciam ? Pater: Cum luna septies orbem terrarum lustraverit septiesque latuerit. CAPITULUM III. In quo introducuntur dom. Barnabos patruus et Gabriel nepos. Actis his, demum senex adest, quem adolescens digno veneratus honore complectitur. Bemabos : Quis te casus, nepos, ad haec regna perduxit? Gabriel: Humanae vitae incerta conditio; sic omnia fortuna versat. Bemabos: Quid nati nostri agitant? Vivunt ne felices? Gabriel: Luctus ne quaere tuorum. — 281 — Bemabos: Ipsos vivere lugeo, si qui mondo supersint ; qui migraverint ex illa mondi criminosa patria, me laetificant. Gabriel: Pauci quidem superant, et hos horrenda exagitant bella. Bemabos : Iiilaro ut ocius perimantur, et sedem quaerant melioris perpetuitatis. Gabriel: Optimum arbitraris. Bernabos: Quem locum incolunt? Gabriel: Modoetiam. Bernabos: Exigua est sedes. Gabriel: Est. Bernabos: Utinam expugnentur; jocundius enim cogito apud inferos vivere, quam in mondo misero fraudibus habundante, nulla vero humanitate. Gabriel: Hoc enim in regno, ubi praesentes sumus. Bemabos: Efficacissima ratio est. Gabriel: Quid humano exuti corpore huc non accesserunt? Bernabos: Fata non sinunt. Gabriel : Causam redde. Bernabos: Tibi genitor reserabit. Gabriel: Profecto hoc magnum est quodcumque ex te audio. Bernabos: Nepos, dii testes, non utor ambagibus. Gabriel: Est ne forte eis vetitum ad superos viam facere? Bernabos: Nequaquam, si nulli injuriam egerint, si initiati fuerint , si casti vixerint, si quid sibi fieri malint aliis fecerint. Gabriel: Ut videor videre, miser est mondus. Bernabos: Quid abjectius? Gabriel: Quid miserius rectoribus, si justitiam ipsam negligant? Bernabos: Quid beatius si servent? Gabriel : Nihil profecto. Bemabos: Modestissima quidem haec ista sunt quae tu narras. Gabriel: Unde quod non amittant ipsam justitiam? Bernabos: Quoniam ipsum Deum rerum omnium principem contemnunt. Gabriel : Quod fieri potest argumentum ? Bernabos: Se deos fore putant. Gabriel: Errant vehementer. — 282 — Bernabos: Non arbitrantur se esse morituros. Gabriel: Est ne mors illinc isthuc demorare? Bernabos: Separatio animi a corpore. Gabriel : Possuntne mondi rectores penitus insontes vivere, et in nullo Deum offendere? Bernabos: Ipse ego meditor quod non. Gabriel: Quid ais? Bemabos: In nullo peccare deorum est potius quam hominum Gabriel: Iam scimus multos insontem vitam perduxisse. Bemabos : Non illi reges aut gubernatores orbis erant. Gabriel: Quid si id agerent reges, duces, consules ceterique ductores ? Bernabos: Dii celebrarentur in caelo et ut aurea astra lucerent, votisque in terris exposcerentur. Gabriel: Ergo urbium gubernatores admodum plus merentur. Bernabos: Etiam si minus boni egerint. Gabriel: Cedo, te exoro. Bemabos: Esto quod dux quidam maximus Italorum adversus gentem penitus inimicam bellum jugiter motitaverit, viribus maximis dimicatus. Ecce strenuus adest miles, copias hostium validas et aggreditur ; non mora, non requies est viro acri ; saepius vulneratur, sub divo patitur et algorem, saepe est torrens, hostes atque sternit. Quid plura? In Marte emicat, hostile vallum transcendit, plurimum fudit exercitum; tandem palmam adipiscitur; nunc ense, nunc lancea, nunc pugione, quando arcu, quando balista, quando saxis, quando sudibus pugnat adustis ; omnem belli machinam exercuit hic vir fortis. Est qui lente apponit ensem lateri sibi fidum ; cum tuba auditur , trepidus in interiora castra refugit ; deos precatur timore sui fati, in seipso sotios increpat, fortasse et in taberna meritoria, dum pugnatur, moram agitat. Dic, te quaeso, clarissime nepos, utri vallarem dabis coronam : an qui tot ingentia tacta peregit, an qui mortis timorem non pugnando viliter est perpessus ? Gabriel : Quid me, patrue sanctissime , rogas ? Bemabos : Forsitan dubitas. Gabriel : Quis tam demens est, ut de indicio tam certissimo ambigat ? — 283 — Bernabos : Certe quod loquor ignoras. Gabriel: Fortassis. Bernabos : Ut ipse nosti, plurimae religiones atque superstitiones in mondo illo coluntur. Gabriel: Certus equidem ipse sum. Bernabos: Possunt ne aliquo indigere? Gabriel : Perrarum est. Bernabos : Possunt ne delinquere? Gabriel: Nemo sine aliqua contagione vitam ducit. Bernabos : Quid hoc ? Gabriel: Qui aliter similes sunt diis. Bernabos : Hoc istud taceamus. Gabriel : Recte. Bernabos : Sic ipse quidem te interrogo : odium in hac parte gignimus ; quid belli sustinent, ut ita dicam, quos minores fratres appellamus ? Gabriel: Nil. Bernabos: Siquidem. Gabriel : Fare. Bernabos: Ridebis. Gabriel: Forte. Bernabos : Sine forte. Gabriel : Quid hoc est quod explicare velis ? Bernabos : Protinus audies. Gabriel: Ut collationem e vestigio explices te exoro. Bernabos: Libens. Gabriel : Quod certamen tolerant ? Bernabos: Unum illud est. Gabriel: Cedo quod. Bernabos: Improbae libidinis discrimen. Gabriel: Estne aliud? Bernabos : Ignoro. Gabriel: Nonne avarissimi sunt? Bernabos : Ex habundanti. Gabriel: Qui hoc est? Bernabos : Si scires, non me rogares. — 284 — Gabriel: Indubitabilis est relatio tua. Bernabos: Turpis est res ista narratu. Gabriel : Cujus ergo ? Bernabos: Non sui. Gabriel: Cedo cujus. Bernabos : Illius Dei omnium principis. Gabriel: Adapta collationem ad propositum. Bernabos: Optime reminisceris. Gabriel : Sic diu expecto. Bernabos: Sane quod loquuturus sum mediusfidius asseres. Gabriel: Si sanus ero. Bernabos: Operam tibi dabo ut assentiaris. Gabriel : Vix aliud conjectare possem. Bernabos: Quid te caperem? Gabriel : Ad quid ? Bernabos: Et tu animus solus ipse es. Gabriel: Sum. Bernabos: Non licet animis bonis animos fallere. Gabriel: Credo, sed quaestionem reddere non sciverim. Bernabos: Sapies cum tempestivum fuerit. Gabriel: Hoc genitor meus retulit. Bernabos: Ideo sic loquor. Gabriel: Verissime. Bernabos : Ad similitudinem redeamus, ne longi esse nimium videamur. Gabriel : Si preces valeant, rogito. Bemabos: Qui plures transgrediendi ictus perferunt? An reges, principes, consules ac maximarum urbium rectores ? An minores fratres , quos saepius vocitamus, etiam illi clarissimi praedicatores duo lumina mondi, ceteraeque maximae religiones? Gabriel: Reges, principes ac consules civitatum. Bernabos : Qui caelo sunt digniores, si in constitutionibus et Dei praeceptis se bene gerant? Gabriel: Reges, consules ac similes principatus. Bernabos: Fateris ne dari vallarem coronam forti militi acriter expugnanti? — 28) — Gabriel: Fateor. Bernabos : Quaenam ratio est ? Gabriel : Quis tam amens hoc ignoret ? Fatuus enim diceretur is quicumque contradiceret. Bernabos: Sic est. Gabriel: Nequaquam ambiguum est vallarem coronam acrem militem premereri. Bernabos : Igitur consequens est reges, duces ac consules illius orbis magis atque magis a Deo omnium rerum principe venerari et in majori sede teneri, quam qui religiones coluerunt, cum illi nisi solo transgressu transgrediantur; ipsis vero adsint mille speties delinquendi, nec ab ullis major offeretur hostia ipsi Deo principi, quam cum qui possunt transgredi, se abstinent et justitiam cultitant. Gabriel : Errant ne qui eminere inter illustres humani generis viros quaeritant ? Bernabos : Nequaquam, si patriae bona augeant, si afflictis subveniant , si atrocitate efferae caedis se abstineant, si spatium dent irae atque furori, si conservitant saeculo suo pacem, si posteritati futurae quietem nanciscantur. Gabriel: Haec omnia quae ais sanctissima sunt. Bernabos : Non aliter profitereris. Gabriel : Quid reputaverim futurum fore beatius sermonibus his ? Bernabos: Nihil profecto est conjectandum. Gabriel : Quid tu vivus haec non observabas ? Bernabos: Haec ista nesciebam. Gabriel : Quae fuit causa ignorantiae tantae ? Bernabos: Tumor. Gabriel : Omnes regnantes in hoc fere vitio erritant. Bernabos : Ideo plectuntur aut cito aut sero qui in mari, ut qui res auferunt alienas, qui quietos sollicitant ; qui in terris, ut qui aliena sceptra raptitant, qui alienos thoros obstuprant ; qui apud inferos in specu tartareo, ut qui justitiam neglexerunt, quibus data est maxima potestas, qui Deum ipsum contemptaverunt, qui bonis viris ac philosophis praemia debita non tulerunt. Gabriel : Ubi pati supplicium praestat, in terris ne ? Bernabos: Nepos, rem optimam profers cum dicis: in terris ne? — 286 — Gabriel: Si tu ipse quidem hoc probaris. Bernabos: Testis mihi de me metipso ego ipse modo sum Gabriel: Placidum mihi hoc fuerit audire. Bemabos: Quicumque Deo grati acceptantur, in terris miseri corditer ipse plectit. Gabriel : Quid tu in terris luisti ? Bernabos: Regno sum expulsus. Gabriel: Ades. Bernabos : Hoc ne grande supplicium ? Gabriel: Maximum. Bemabos: Equidem putas. Gabriel: Est ne aliquid apud mortales majus quam regnum et divitias perdere ? Bemabos : Quid aliud est ? Gabriel : Affare, te posco. Bemabos : Filiorum ac nepotum visum amittere, et in teterrimo carcere detineri, atque veneno potari et sibi imperari posse. Gabriel : Haec asperrima sunt. Bernabos : Ipse ego Deo omnipotenti gratias ago quod haec ipsa infortunia in mondo pependi. Gabriel: Vix accipio quod tu faris. Bernabos : Equidem spero. Gabriel: Dices. Bernabos: Libenti animo. Gabriel : Affare igitur. Bernabos : Nepos, haec dispendia huc me tulerunt. Gabriel: Ad locum bonum, ubi parens meus est. Bemabos: Hoc istud dignissimum est prolatu. Gabriel: Isses ne ad inferos? Bernabos : Issem catenis ferreis vinctus et divarum infernalium servus vilior omni re vilissima mondi. Gabriel : Ergo felix ego sum, qui subitus hospes ad haec regna perveni. Bernabos: Es et esse confiteor; sed finem sermonibus imponamus , ut ad te veniens illa regina sacratissima alloquatur. Gabriel : Cedo et tuis jussionibus pareo. — 287 — CAPITULUM IV. In quo introducuntur doni, ducissa noverca et idem adolescens dom. Gabriel privignus; et primo introducitur noverca. Mox ut reginam in theatrum adolescens adivit, ipsa noverca (1) talibus sic prior infit : Noverca: Solus tandem huc ne ad genitoris praesentiam pervenisti ? Ubi fratres olim tibi carissimi? Cur hos crudelis nimium reliquisti? Non enim abortis lacrimis caruerunt illae quondam splendidissimae genae. Privignus: Quid faris, regina? Necdum illis Deus omnium pater necessitudinem dedit; ille est largitus, ille auferet cum sibi voluntas aderit; sed lacrimas comprime. Noverca : Bene commemoras. Privignus : Nescis quod istuc migrare et illic permanere nequaquam nostri est arbitrii? Noverca: Sententiam profers rectam. Privignus: Regina, nequaquam tibi adulor. Noverca: Minus sum anceps. Privignus : Haud potes. Noverca: Suntne in regno concordes? Privignus: Equidem ipsi sunt. Noverca: Quam indolem ostentat ille dux maximus Anglus? Privignus: Optimam. Noverca: Degenerarne genitus noster Philippus Maria? (1) Caterina Visconti, riglia di Barnabò e moglie di Gian Galeazzo. Dopo avere sofferto per due anni l’insolenza del partito ghibellino, che opprimeva in ogni modo il guelfo, si ritirò a Monza, dove mori il 14 ottobre 1404 di morte violenta. La storia ne fa reo il di lei stesso figlio Giovanni Maria, rotto ad ogni scelleratezza ; e forse fecesi parricida per togliersi ogni ostacolo alle sue nefandità e censura alla sua vita. Infatti nel cap. V Caterina racconta d’essere stata uccisa da un dardo, circostanza, se vera, finora rimasta ignota. Il malvagio duca morì poi pugnalato in S. Gottardo, cappella del palazzo ducale , il 16 maggio 1412. — 288 — Privignus: Minime, imo vestigia prosequitur genitoris. Noverca: Hujus solius maxima spe animum meum fovi dum ' mondo illo vitam agebam. ’ 111 Privignus: Quivisti, regina sanctissima. Noverca: Ut scis. Privignus: De ipso jam fama viget. Noverca: Ut ipsa meditor, plurimis bellorum stimulis agitantur. Privignus: Verus est hic sermo tuus. Noverca: Quis reintegrare regnum potest? Privignus: Unus quidem solus est. Noverca: Quis est iste? Affare. Privignus: Facinus Canis inter Ligures maximus expugnator. Noverca: Volet? Privignus: Senex est et potissimum pugnare debet pro anima, haud pro regno. Noverca: Si ipse senescit, avaritia fervet. Privignus : Liberis caret. Noverca: Habiturum se cogitat. Privignus: Hoc absit, et si meditetur, ditissimus est. Noverca : Quo plus possidebit, hoc plus ardebit possidere. Privignus: Forsitan seipsum recognoscet. Noverca: Diu novi virum illum. Privignus: Vere difficilis est cognitu. Noverca : Quis possit ambigere ? Privignus: In regno natorum tuorum maximus est. Noverca: Non ex suo. Privignus : Ex quo ? Noverca: Ex alieno. Privignus: Etenim mitius esse arbitror, quam exterorum ducum imperia dominentur. Noverca: Hoc quodcumque ais esse profiteor. Privignus : Ambiguus estne hic sermo ? Noverca: Beatius est patriae civem cerdonem vilissimum imperare, quam exterae dictionis jugo parere. Privignus: Haec notabilis ratiocinatio est. Noverca: Ipse aliud expectabas. — 289 — Privignus : Fortassis. Noverca : Dic, te exoro, si me diligis. Privignus : Quam forte impotens fuisset ad se tuendum ! Reges autem cum copiis maximis regnum illud viriliter tuerentur. Noverca: Ajebam te aliud conjectare. Privignus: Regina, non refellam. Noverca: Quotiens admirata sum illos magnanimos Ianuenses Gallorum imperiis paruisse ! Deerantne cives regimini civitatis ? Quotiens illam Adurnorum progeniem illustrem accepimus promereri non tantummodo januensi urbi maximae ceterisque oppidis, verumtamen potentissimo regno dominari! Quotiens illos crudelissimos Fregosos, gentem Ianuensium imperii gloriam exhausturam? Quid Goarcos loquar? Quid Montaldos reliquosque viros illustres? Non libet nobilissimos Spinulas praeterire. Quid proditores taceo Fliscos? Potentes etiam referam Aurias et Grimaldos. Quid memorem ceteram nobilitatem, ne sub silentio lateant plurima nomina virorum popularium, quorum specimen longa mora fuerit explicare? Privignus: Profecto vehementer erraverunt, et hoc protinus agnosco. Noverca : Quod fuit hujusmodi ignorantiae primordium ? Privignus: Ut ego ipse suspicor, livor ac maximus luxus et pares noluisse. Noverca: Porro. Privignus: Qui bonus est civis, pares habere optitet, invidiam abigat. Noverca: FJic rempublicam semper augebit, colet et virtutes; ubi viri sapientes decorantur et eorum consultis regimina gubernantur, patria est perpetuo duratura. Beatum enim imperium est, cui prae-est sapientia et virtutes; sed haec omnia ommittamus. Privignus: Quid ais, regina? nonne argumentationes sanctissimae sunt ? Noverca: Non est liberorum huc proficiscentium animorum de mondi instabilitate tantam curam agere, sed intuitus nostri sunt ad illum summum omnium Deum principem dirigendi, cui sunt amplissimae gratiarum actiones referendae, quod dignatus est ad hanc sedem aetheream nos perferre. Privignus : Devotissima oratio haec est. Atti Soc. Lig. St. Patri*. Serie 2.*, Voi. XVII. >9 — 290 — Noverca: Utinam huc tecum mei liberi advenissent! Privignus: Regina, ne.... (i). Noverca : Ajo in habitu tui simili. Privignus: Velles tam serenos natos hoc dirum supplicium perluisse ? Noverca: Vellem, et utinam Deus ad ea fata vocasset! Privignus: Ut ipse quoque considero, animi qui his locis commorantur, parvipendunt sceptra mondi. Noverca: Beatior est scintillula hujus patriae quam nunc incolimus, quam toti humano generi imperare. Privignus : Equidem existimo. Noverca: Taceo de illa beatissima civitate, quam dii incolunt immortales. Privignus: Non secus assentier. Noverca: Si principes illius miserrimi orbis perpenderent quibus imperent, suos penitus deluderent principatus. Privignus : Evidentissime cernunt quibus praesint. Noverca: Cedo quibus. Privignus: Corporibus humanis, auro, gemmis ceterisque lapillis. Noverca: Praesunt ne animis? Privignus: Hoc equidem inficiabor. Noverca: Scio, si verum fateri velis, quid in tuo pectore me-diteris. Privignus: Dic, te quaeso. Noverca: Qui tuum corpus affici jusserunt nudiustertius, si potuissent animo imperare, hucne profectus esses? Privignus: Minime, regina sanctissima. Noverca: Habes, ut ipsa conjecto, vel id quod in corde tuo volebas. Privignus : Haud negaverim. Noverca : Quae est igitur haec regum potestas, qui sese caelum lacerare posse arbitrantur, ut de gigantibus habetur in fabulis, qui Iovis imperium bellis lacessere sunt conati? _ 11 ms- ha chiaramente: ne suscese, ma non si intende; forse vuol dire ne timeas o dubites. — 291 — Privignus: Abjectissima, cum minus possint animis liberis imperare. Noverca : Itaque affectitarem genitos meos regnum abjectavisse, et huc gressum ad hanc patriam pertulisse. Privignus: Proficiscentur cum Dei omnium rerum artificis fata disponent. Noverca: Forsitan tardi erunt, et interea admittent; qui in admisso migrat patria, quae a diis immortalibus illustratur, penitus est indignus. Privignus: Et qui hoc fieri potest? Nonne tu, 0 regina, paterque meus sanctissimus atque patruus inclitus admisistis? Noverca: Fateor; veruntamen poenas luimus. Privignus : Ipsi quoque et dabunt. Noverca: Hoc istud pertimeo. Privignus: Hoc est quoniam vehementer diligis. Noverca: Ipsos ideo mecum appeto. Privignus : Efficax est id omne quodcumque refers. Noverca : Ipse tu quidem audacter loqueris. Privignus : Hoc enim liquet, quoniam in hoc loco tuto adsum. Noverca: Ipsi quam procul! Privignus: Quid huic dicto objiciam? Noverca : Hac igitur re hortaris. Privignus : Indolem ostentant egregiam. Noverca : Et qui hoc tu ipse noscis ? Privignus: Sic mihi visum est dum eis commixtus aderam. Noverca : Difficilis res est de homine judicium fieri, nisi post exitum. Privignus: Verissima haec sunt quaecumque commemoras. Noverca : Sub judicio Dei sunt. Privignus: Ipsosmet Deus tutabitur. Noverca : Si plus obedient bono quam malo. Privignus: Quid hoc est quod dicis? Noverca: Dico ductori. Privignus: Minus accipio quid loquaris. Noverca: Est forte. Privignus : Pro me quid hoc est quodcumque mihi narratur, mirabile esse videtur. — 292 — Noverca: Haec est fere omnium viventium creaturarum rationalium oppinio. Privignus : Ex te scire desidero. Noverca: Omne hominum genus postquam ab alvo parentis ad lucem pervenit, sibi praesident nuntii duo, angelus scilicet divinus et demon malus; si boni praeceptiones imitatur initiatione facta, fastigium divinae clementiae aut propere aut sero.....; at si iniqui hostis demonis contagione corrumpitur, illius viam adit. Privignus : Regina, prodigiosa ista sunt quae conspicio te narrare. Noverca: Ades, te quaeso; quis tam ignarus mentis inops hoc possit ambigere? Privignus: Sotios complures haberem. Noverca: Nescio. Privignus : Loquaris palam. Noverca : Est ne tui bonum elligere et malum evitare ? Privignus: Regina, est. Noverca: Si admittis, dic age, ne te quando conscientia tua damnat? Privignus: Hoc saepius evenit. Noverca: Si mereris aut patriam in tuendo , aut rempublicam in augendo, numquid animus hoc percipit? Privignus : Proculdubio. Noverca : Si opus bonum agis, bono ductori adhaeres ; si vero admittis et in malo perseveras, tibi daemon pessimus dominatur. Verumtamen si te conscientia ipsa remordet, necdum a duce bono destitutus es, et iterum reviviscere potes. Privignus: Quonam modo? Noverca: Uno solo. Privignus : Cedo quo. Noverca: Poenitendo si deorum templa exusseris et necem multis struxeris, si ante diem extremum (ipse enim misericors Deus) con-fiteare reatus, nondum te totum destituit; attamen poenas dabis. Non desunt apud Deum praemia bonis, supplicia vero malis. Beati enim sunt qui in mondo admissa luunt; ante vero diem mortis nemo potest felix penitus appellari; sed scilentio opus est. Ecce I... (1) (1) Il Codice ha solo quest iniziale maiuscola di dubbio significato. — 293 — et alloquere genitricem (i). Ipse enim piissimus Deus forsan illos insontes in regni culmine conservabit, et si admittent, hostibus dederunt poenas aut jugulo aut veneno aut phalarica, sic ad nos ocius dillabentur; dein mondi fallaces illecebras deridebunt. Beati quidem erunt qui ante obitum in vita humana, quae mors est, congruentia supplicia dabunt. Habes gratiam quae te mori edixit. Ille enim dum te corpore privat, addicit regno beato et tibi immortalitatem largitus est. Nunc contemplaberis quae dilucidiora sunt, et quae aurum superant et argentum; cum scientia nostra tibi communis erit, protinus terrena despicies et intuitum ad cognitionem rerum caelestium elevabis. Arbitror propterea alterum ex duobus (meo judicio sic fata disponunt, sic jampridem mens ipsa canit ; uter sit, necdum ipsa percipio) te penitus tuo exitui sequuturum. Quid te longo sermone traho? Gradere, jam felix es, et piis ulnis complectere genitricem, ipsamque melioribus auspiciis es sequutus. Beatissimi quidem illi fuerunt, qui te tali imitabuntur exitio, quoniam illam urbem sideream possidebunt, etiam nos ad haec regna tulerunt. CAPITULUM V. In quo introducitur dom. Agnes parens et doni. Gabriel ejus filius; et primo introducitur ad loquendum mater. » Lacrimas quascumque illa egregia parens ediderit maxima perculsa laetitia, quisquis compos est ex animo colligat intuenti; non enim sic in ipodormo armilustrantes spectantur, dum sese ferire conantur, ut fixis oculis os nati sapientissimi opperiebatur. Mater : Ut te libentissime, illustris nate, perspicio, meos tandem pete complexus; vix quivi tantum perferre dolorem dum a te hostibus phalarica perempta discessi. Filius: Adsum, parens. Mater : Dantne tibi poenas qui nos tam acriter prodiderunt ? Filius : Dant, et eis praestaret stygiam paludem incolere. Mater : Misereor, quoniam huc te ad haec fausta regna tulisti. (i) Agnese Mantegazza, che morì in Pisa.nel 1405 per caduta dalle fortificazioni — 294 — Filius: Miserendum est. Mater: Quis hos premit? Filius: Quem minime cogitabant. Mater: Nunquam in Florentinorum imperium adventare conjectavissent. Filius: In hujuscemodi casses deciderunt. Mater: Proh dolor! Dii immortales differunt, minime autem dimittunt. Veh illis, qui humana in vita subito non plectuntur! Veh quorum ad trangressus divina ultio lento pede procedit ! Hi cum minime cogitant, praecipites decidunt in profundum, nequaquam eorum capita erecturi. Filius : Ista haec quae tu ipsa praedicas, speciosissima et memoratu dignissima. Mater : Quid in januensis populi ditionem potius non venerunt ? Nonne illud mitius fuisset imperium? Filius: Fuisset, et o ipsos quoque felices! Ego vero etiam ipse lenius injuriam sustulissem. Mater: Causam ex te scire desidero. Filius : Mater, tua jussa facessam. Mater : Capesso quod me zelas. Filius : Discordiae civium populi januensis ac prophanae partes tvrrhenam urbem ne sint adepti, fuerunt verissima argumenta. Mater: Suntne post casum meum Marte saevissimo cruentati? Recuperaveruntne pristinam libertatem? Filius : Non me hic apud te in hoc regno videres , nec huc hospes tam subitus pervenissem. Bouciquaut imperat, cujus edicto ad capitale supplicium sum deductus. Mater: O vir crudelis! O nequissime hominum ? Tu, qui te Teucrorum rege meis suffragiis redemisti, potuisti ne tam efferam mortem, tam infandum scelus meo sanguini ministrare ? Nil te puduit, vir infelix, tam illustrem indolem trucidare? Non noveras genitorem? Vices ne meritas rependisti? Spero equidem, quoniam apud deos justitia est et rectos pia numina spectant, poenas maximas te daturum. Iamdudum aspexi senem illustrem maximo animi fremitu gloriantem. Filius : Genitrix , ne irascare. - 295 — Mater : Ego plusquam laetor, quoniam meruisti te esse futurum civem patriae melioris. Filius : Nequaquam tibi carissimus essem, si penitus tristareris. Mater : Fare, age patienter, quid illi clarissimi Pisani potius in Januensium imperium non venerunt. Filius: Genitrix, Anthenoridarurn heroi apud Ligures par nemo habebatur. Veronam nactus est. Vir potentissimus agebatur fratrum meorum imperio ferox (ellatos Deus ipse premit); Vincentiam contra dominium Venetorum maximis tellorum ictibus conterebat. Rogatur a Venetis, preces nequaquam adjutant; quicquid spei maximum habuerat, fuit apud populum januensem. Saepe duces falluntur augurio.- In eum copiae praeparantur ; invigilant Veneti ; negligit paratos exercitus, se quoque viriliter et tuetur ; obsidetur, ad Januensium suffragia condescendit, multiplicia consilia celebrantur. Urbs illa inclita in duas scinditur partes ; qui sunt qui omni mora postposita, ellaborant ut gentem anthenoream totis viribus pertutentur, se suosque natos exponere volunt, ut anthenorea libertas minime conquassetur; qui sunt qui consultant; quid, o cives, id vestra interest ? Ipsi suos furores exagitent. Videtis quantis erroribus sitis impliciti ? Anceps est fortuna belli, ipsimet suis ensibus sua fata petant. Inter cives oritur ingens livor ; alitur in urbe dirum odium et acerbum ; ubi enim sanctus senatus desidet, caritas publica exuitur et privata complectitur. Vincitur ut colonis anthenoreis praesidia abnuantur; tandem urbs illa longa obsidione tenetur. Taceo quid ille quondam miles egregius Galeaz, cui Mantua nomen dederat (i), egerit illo Marte saevissimo. Heros anthenoreus praesidiis destitutus, Venetias profectus (mirabile dictu) nusquam est inventus. Ambiguum est an dii maris exceperint, an ima tellus subito hiatu absorbuerit, duobus etiam natis extinctis. Anthenoridae foedissima obsessi fame coactique se Venetis dederunt, antiquum perdunt imperium, urbem invadunt ocius, ac Veronam atque oppida multa ditissima sub dominio addunt. Scaligeri ac Plaustrigeri proceres (i) Galeazzo da Mantova, comandante dell’esercito veneto, che assediava Padova difesa da Francesco da Carrara, 1 'heros anthenoreus. Egli e i suoi figli Francesco III e Jacopo morirono strangolati nelle carceri di Venezia. — 296 — continuo a Venetorum phalangibus conquassantur. Tyrrheni cives a maximis Florentinorum exercitibus undique conteruntur ; utrinque est odiis incitatissimis dimicatum. A Tyrrhenis Januam legati opem mittuntur orantes ; nihil quippe proficiunt ; orant ut urbem capessant ; nequaquam exaudiuntur. Ad Ladislaum (1) regem concursi-tant, plurima pollicentur. Venetorum subsidia tentant ; spe sua privantur. Quid facerent ? Iterum ad Januensium suffragia diffugiunt. Concilium vocitatur, consultatur ; tandem est ita, ut quondam Anthenorei pertractentur. Gens infelix, omni auxilio destituta, mortem orat. Taedet nos olim tam perfide prodidisse; quam vellent nostrum perferre dominium! Fata obstant. Igitur qui cupiebant Paduam magnis suffragiis defensare, abnuunt nunc pisanis civibus aures dare. Legati moestissimi abeunt ; ad duces gallicos gradiuntur. Dux Becundiae tueri illam urbem Pisanorum fidelissimam pollicetur. Oratores ad florentinum populum transmittuntur ; nihil penitus agunt. Interea illa egregia urbs quondam maxima dominatrix diu obsessa, gentis Florentinorum duce viro saevissimo januensi Lucha de Flisco, ad miserabilem sortem deducta, patentem praebuit aditum hostibus florentinis. Qualis nunc sit, percipe corde tuo. Mater: Equidem poenas dederunt. Verumtamen ipsa condoleo; sic ingratos Deus ipse versat. Miserabilis est sors eorum ; poten-tiorem urbem nacti fuimus. Saepe boni ferunt crimina sontium; suspicor tamen eos nunquam paternis laribus regnaturos. Filius : Immo mondo superesse. Mater: Deterius est. Filius : Sic fore considero. Mater: Quid Ligurum proceres agunt? Tutantur ne fraternum imperium ? Filius : Dillacerant et continuo insidiantur ; fratres omnibus praesidiis destituti sunt. Mater : Quid Franciscus noster Barbavaria ? (2) Est ne in regno praevalidus ? (1) Ladislao re di Napoli. (2) Francesco Barbavara, ministro di Stato di G. Galeazzo, presidente del governo ducale di Galeazzo Maria , del quale fu per altro cattivo educatore. Era di mediocre ingegno e abilità nel maneggio della cosa pubblica. - 297 — Filius : Imbicilis omnique spe privatus. Mater : Fare aperte. Filius : Hunc obscurus carcer habet. Mater : Quis eum fortuna ad versante carcerari jussit ? Filius : Facinus Canis (i). Mater : Caveas quid loquaris ; non hoc ipsa conjecto ; sic merita repensantur ? Filius: Absunt mendacia. Mater : Credo. Filius : Non dicerem. Mater: Quid Ottobonus Tertius (2)? Paret ne imperio? Filius: Hostis lethalis est, nec Busiridem aut Diomedem accepimus tam diras strages hospitibus attulisse. Veniet, si justitia est, Hercules qui domitet virum ferum. Quid iste non egit ? Fossas humano sanguine adimplevit, non permittit hominum cadavera sepeliri ; nusquam in eo fides est. Quis Scytha tam ferus ? Quis Getes, aut quis incolens caspia regna ? Quotiens suos hamavit (3) ! Horreo tibi tam grandia facinora pernarrare. Non puduit sacras deorum aedes incendio permiscere. Mater: Metuat necesse est aeterni judicis arbitrium. Filius : Deos temnit et sacra prophanat. (1) Valente e fortunato condottiero d’ armi di G. Galeazzo, dopo la cui morte fra il disordine delle cose dei Visconti, contribuì a spogliare i figli delle terre ereditate e impiccolire il ducato, impadronendosi di Alessandria, Novara, Tortona, Piacenza, Pavia, ove morì improvvisamente nel 1412, quasi contemporaneamente con Galeazzo Maria Visconti. Incitava i ghibellini all’impresa di ricuperare Genova dopo che erane partito Bucicaldo , per ajutare i Visconti a ricuperare le terre perdute, ed odiava mortalmente il maresciallo francese pel supplizio inflitto a Gabriele. (2) Altro de’ condottieri di Gian Galeazzo. Occupò Parma nel 1404 con Pietro de’ Rossi, togliendola al duca di Milano, Brescello e Reggio. Fu uomo crudele, sanguinario e rapace, ebbe guerre col rivale Facino Cane e col marchese di Ferrara Nicolò Estense. Fu ucciso proditoriamente nel 1409 a Rubiera da Michele Attendolo, parente di Francesco Sforza, o da questo medesimo a vendetta delle sue crudeltà. (3) Laniavit! 11 manoscritto ha la parola riferita, ma non ha senso nel contesto. È forse errore dell’ amanuense. — 298 — Mater: Itaque brevis erit ejus improbitas. Filius : Si dii possunt. Mater: Quid Pandulfus (1) ceterique germani? Hine constantissimi sunt ? Filius : Pudet amplius reminisci. Mater: Saltem Montisferrati pater (2) fidissimus esse debuit. Filius : Facini Cani paret obsequio. Mater : Ergo fere omnes Liguriae ductores deseruere ? Filius : Quos genitor meus tulit ad fastigia altiora. Mater : Parem vicem reddiderunt. Filius : Vides. Mater : Quid nobis ? Parum equidem licemur dominia mondi. Quam parentes cuperent, ut hic tecum adessent ! Filius : Jamdudum ipse concepi. Habent adhuc gratiam populis suffragandi. Quam admirabilis adolescit ille illustris frater meus Philippus Maria! Hic, si fata sinent, anguigeram gentem ad astra perducet aetherea, omnibus amabilis. Hic amissum imperium restaurabit. Quantus fulgor in illo est! Non equidem de gente Angli patris , ut fama volat, genitor et uno excepto jamdudum natura produxit, qui tantae indolis specimen inferat orbi. Hic italas urbes necessariorum cessantibus insidiis olim suo premet imperio ; inimicam gentem magnis exercitibus conculcabit, manu sibi viam factitabit ad astra. Dii pii, servate hunc juvenem ; profecto patriae pacem et leges dabit. Mater : Ovo vehementer, quod tam gloriosissimus sit et suo saeculo mitissimum agat imperium, ut posthac cum numina sancta voluerint, plurimorum annorum cursibus adimpletis, hanc aetheream patriam adeat. Nate, huc bene venisti ; jam tempus est meum atrium adventare. Vides ut regina patruusque tuus celeriter festinentur ? Tu quoque repete genitorem. Ille hominum rex ac deorum (1) Pandolfo Malatesta, condottiero anch’egli di G. Galeazzo. Ad imitazione dei suoi colleghi occupò Brescia, e più tardi Bergamo. Guerreggiò anch’egli contro Facino, Gabrino Fondulo e il duca di Milano, al quale dovette cedere Brescia dopo aver perduto altresì Bergamo. Mori nel 1427. (2) Teodoro marchese di Monferrato, che ajut'ava i ghibellini. — 299 — pater aeternum consecravit, ut tu cum ceteris natis illud aureum palatium incolatis, donec deorum numero aggregentur. Ille te docebit omnia fata deum, nec minus animas illustres plurimas, quae in inondo venerandam justitiam coluerunt. Sis felix ; bis te in hebdomada visitabo ; oportet numerum adimpleri. CAPITULUM VI. In quo iterum introducuntur illustrissimi dom. Galeaolim dux Mediolani, nec non ei Gabriel Maria an tedic tus ejus filius; et primo filius. Jam dies quinque praeterierant, et primo Phoebus surgebat Eoo, illuminans coelum, terras atque aequora Ponti, cum magnanimus adolescens inter se vario sermone peracto, tandem divinum alloquitur genitorem. Filius : Quis, pater sanctissime, senex ille, quem per lacteam viam, quam Graeci galaxiam vocant, ad superas sedes pueris candidis vestibus indutis transmeare conspicio ? Minime reminiscor unquam virum tantum in tuo solio conspexisse, neque in ullis urbibus Italiae ; veruntamen italus est. Quam billaris animo ! Quam callidus et quam bene compositus ! Quam pervigil, quam impiger ! Quam natura eum omni virtute donavit ! O senex illustris, quantus in te vigor ! Dignus erat qui regeret imperium magnum. Affare, pater sanctissime, te efflagito vehementer. Pater : Dicam equidem, nate , libentissime , quando haec te cura remordet. Nequaquam injusta commemoras, admittenda est flagitatio tua; attamen Titan celerius occidet in Oceanum, quam magnificas laudes tanti ducis valeam explicare. Ex quo segregatio animi tui a corpore Januae est libata, profecto suspicor Adurno-rum inclitum nomen ad tuas aures saepius pervenisse. Superat rei publicae civis utilis, omnibus mitis, hujus senis frater, Georgius Adurnus (i), .vir illustris. Hic etiam prolem habet egregiam. Senex (i) Commissario e podestà di Savona nel 1389, sedette fra gli Anziani di Genova nel 1399. Intervenne all’atto di dedizione di quella città a Carlo VI di Francia. Fu amato nella sua città e vi ebbe onorevoli magistrature, il con- — 300 — vero, quem tam celeriter ad sidera meaturum cernis, nominatus est Antoniotus. Nequaquam me inferior fuisset post migrationem mei ad haec regna, si necessitudinum insidias evitasset. Dux maximus Januensium lustris labentiblis rempublicam sanctissime gubernavit ; terror erat tiramnis Italiae (i). Quotiens conjurationes pontificum florentinorum ac ducis Venetorum me stravissent, ni tanti ducis suffragia pervenissent ! Apud Alexandriani Gallorum copiis nobis comitantibus, hichic nos contendendo, nostramque rempublicam conservavit. Non deerat huic duci frugalitas magna, huic fortitudo aderat, fuit mirabili sapientia redimitus. Vir popularis, nobilitati tamen ministrans justitiae complementum. Quotiens hostes edomuit ! Nulla est potentia perpetuo duratura. Quis potest diu ab inimicorum insidiis se tueri? Alexander Macedoniae rex Philippi filius, Cassandri manu porrecto poculo, diem clausit extremum. Taceo de castissima olim thori consorte nostri. Sic res humanas fortuna rotat. Qualem ducem, famosissima Janua, perdidisti ! Hic te post excessum meum Italiae caput egisset. Quot bella cessassent ! Quot hominum mortes ! Quot matronarum raptus iniqui ! Non ferres, urbs anthenorea, jugum iniquissimum Venetorum; Pisae suis civibus laetarentur. Jam dormitarent magnorum discordiae sacerdotum ; nequaquam tuus populus cives fleret injuste demissos ad orcum. Maximis incendiis urbes plurimae opulentissimae Italiae caruissent. Medius fidius ipse conjecto, si hunc lata servassent, minus imperium fratrum tuorum foret tam acriter conquassatum, nec tu huc tam subitus pervenisses. Filius : Haec quae tu ipse mihi commemoras, semper assentiar. Clementissiinus quidem esse videtur, parvus tamen, ut adduci possum, statura fuit; pectore vero magnanimus. Aspice, pater san- solato di Caffa nel 1410 e il dogato di Genova tre anni dopo. Uomo di grande considerazione per le sue molte virtù e di grande probità, ricuperò molte terre della Repubblica. (1) Di Antoniotto Adorno, che fu doge quattro volte, si occupano assai le storie, perchè fu immischiato sovente nelle vicende della Repubblica genovese, della quale fu uno degli uomini più eminenti. Lo Spotorno lo dice uomo di gran senno e di animo generoso. Mori di pestilenza a Castelfranco nel Finale il 5 luglio 1398- — 3or — ctissime, quanto comitatu ad caelum graditur ; poli laetitia exultare videtur. Saepius audivi, si civitas Januensium assumptura est pri-stinun libertatem, nisi fallar, quod minime reor, principium libertatis ab Adurnorum progenie exiturum ; mores et leges senis hujus saepenumero memorant Januenses. Quotiens (nunc recolo) eius exitium defleverunt ! Ut ipsi ajebant, dum apud eosdem adhuc superstes essem, civis optimus fuit et pater patriae. At postquam cives aemulari crediti sunt et ingens nobilitas adversa facta est, paululum in hostes saevire coepit. Licet rectori, ut ipse meditor, hostes opprimere et cives iniquos magnis ictibus conculcare. Qui antea inimicabantur, dum vivens erat, ipsum terque quaterque suis sermonibus nunc collaudant. Dulcedo non noscitur facile, nisi prius amaritudine degustata. Habent cives quod tota mente petiverunt : exulant, trucidantur, paternis haereditatibus spoliantur, qui veneno necantur, qui injuste cruce affiguntur. Quot viros optimos populares memini audivisse extinctos fore ! O olim magnifica civitas imperiosa, mavis Gallorum imperiis turpiter famulari, quam civem tuum ad fastigia sublimare ? Quis livor est, quae vecordia ? Ductitabunt tibi extera imperia in urbem ab insulis opulentissimis reges captivos ? Nescis vires tuas, nescis tua maxima facta. Potius te manem factitabunt, tibi in Scythia urbes aut oppida aedificabunt ? An tibi apud Geticos dominabuntur? Tibi Teucros formidabunt? Tibi imperio tuo Graeciae civitates atque insulas subjugabant? Omni in re hac, amentia semota, discute potentiam tuam. Pater : Quam memorabiles sunt sermones tui ! Forte aderunt qui quorum amentiam non sine aliquo civium bono... (i). Hic senex ad astra transcendit. Filius: Pater, possibile sit, ut hunc virum adeam. Pater : Quid ex eo audire desideras ? Filius : Hunc affari vehementer affecto. Pater : Quid celeres gradus ad sidera tardare velis ? Filius : Ipse ego ipsum multa rogabo. Pater : Cum ingressus est lacteam viam, novit atque vidit praeterita , praesentia et futura. (i) Manca qui nel Codice qualche parola. — 302 — Filius : Placet; praestantius informabor. Praeterea quandoque dulce est ab alio audire quorum meminit. Admittetne sermones meos? Pater : Quidni ? Nostrum amantissimus est ; non semel, sed bis et ter huc ad nostrum globum gressus attulit. Filius : Quid ambigo ? Sane dignabitur me videre. Pater : Quis dubitare possit ? Filius : Vis ut vadam ? Pater : Gradere et scitabere quicquid voles praesto. Humanissimus est; mei causa te libenter aspiciet; tibi forsitan futura canet. Hodie sedibus deorum aggregabitur ; cursus exegit suos ; tende celeri gradu. Jam sibi caeli regia aperitur. Videsne ut nubes cedant, et octo circuli relaxentur ? CAPITULUM VII. In quo introducuntur illustres spiritus dom. Antoniotus Adiimus et antedictus Gabriel. Ocior austro inclitus adolescens ad illustrem ducem nomine An-toniotum accessit horatim (i) deorum regiam ingressurum, quem postquam pernicibus alis ad se venientem aspexit, ut olim vir facundissimus, omni tamen majestate retenta, sic ait. Antoniotus : Scimus quae te fortuna, splendidissime adolescens, impellit, ut nos adeas festinanter. Desiderio magno desideras ut tibi certa canamus. Volumus et optamus, et tibi dabimus solamen ingens. Adeo doluimus (jam praeterierunt dies septem), cum innocentiae tuae annuntiatus est casus iniquus. Laetabundus eris cum scieris te facturum esse operam magni boni. Nihilominus adeptus es patriam meliorem. Gabriel : O dux illustris, o Januensium pater, o patriae deus, o mihi instar luminis aetherei, quanto animo tuos disertissimos ex-pecto sermones ! Constat te omnia esse sciturum. Postquam, ut etiam ipse genitor assentitur, galaxiam inivisti, quam placido vultu te conspicio ! Ut mihi placet tua maxima virtus ! Quotiens te cives (i) Faccia a faccia; orativi, voce di bassa latinità. - 303 — deflent. Iu unus es ille, qui poteras rempublicam reformare. Edis-seie age, dux sanctissime ; huc ad te istius ergo profectus sum. Antoniotus: O praestans adolescens, neque enim mihi quicquam jocundius fuerit, quam te fatorum arcana docere. Narrabo , nec te quidem pigebit audire. Gabriel : Noctes atque dies tecum esse desidero. Antoniotus : Tibi tempus dabitur audiendi; ego posthac inceptum peragam iter ; tu vero repetes genitorem. Gabriel : Quae sunt illa, quae mihi consolationem allatura sunt ? Vix ausim sperare ; Gallis dominantibus, urbs nullum salutare est habitura solatium ; nequaquam video ultionem. Cernis ut plebs Januensium conquassata est ? Antoniotus : Demonstrabo, mirifice adolescens, equidem actutum , nec te decipiam. Veniet tempus, quo Gallos pigebit urbis Januae moenia conspexisse, et te arripi et jussisse percuti securi. Gabriel: Quis putet ut tam efficacissimum imperium expellatur? Galli potentissimi sunt armis et equis ; quis eorum copiis obviabit ? Italia est contrita. Antoniotus : Noveris quae tibi dicturus sum. Bouciquaut vir ferocissimus totius Liguriae regnum jamdiu mente concepit se adepturum tore. Iam se regem dicit ; aliter fata texunt. Innumerus paratur exercitus; hac specie pollicetur tuorum fratrum imperium se tutari. Heu demens ibis nunquam rediturus in urbem ; sic astra petunt. Civitatem nostram derelinquet magno hominum comitatu. Cum apud Placentiam venerit, hunc sex millia equitum consequen-tur ; quicquid sibi obvium factum fuerit, ipse sternet. Papiam proficiscetur, etiam Mediolanum; plurimis Liguriae populis terror erit; suam gloriam exaltabit; tui fratres suo obtemperabunt imperio. Interea Theodorus Montisferrati marchio et Facinus Canis, duo fulmina belli, magna equitum stipante caterva, Russilionum celeriter ac callide adventabunt; mixtis civibus compluribus, qui diu exula-verant. Hi primum belli impetum sublaturi Vulturum gradientur, ubi Gallorum opibus fractis, omnes in urbem diffugient. Audito rumore, valles agricolae et monticolae pristina sument arma, libertatem totis nixibus proclamantes. Erit tunc civitas magnis solitudinibus involuta; nescient cives quid facturi sint. Tandem populus r — 3°4 — antiqua recordabitur libertate ; arma capessent. Qui ad naves fugient, qui religionum latebras petent, qui gloriabuntur et introduci Theodorum et Facinum exhortabuntur. Scindentur cives in partes varias. Interea copiae horum duorum ducum neminem laedentes ad viridaria et palatia urbi vicina descendent. Tunc Galli admodum trepidabunt. Cives exules urbem ac lares ingredientur. Diffugient Galli qua impetus feret. Hierlatonus civitatis praefectus trucidatur, nec non viri multi, qui ejus comites fuerant, punientur, qui tam duro te exitio peremerunt. Erit urbs sine rege. Praeterea admittetur Theodorus vir illustris ; multae fient seditiones ; insurgent bella ; plurima gens bellis et incendiis diruetur. Heu quot angustiae ìena-scentur ! Heu facinus ingens ! O impietas, o hominum ingratitudo ! Rolandum nempe Fregosum(i) civem infelicem Saonenses apud eorum moenia trucidabunt. Dii boni, servate patriam et finem imponite malo ! Facinus multitudini hostium obviabit, et Novas suo imperio subjugabit. Bouciquaut vero infelix Galliam repetet, omni totius Italiae praesidio destitutus. Nunc tibi certissima canam. Item Facinus tuorum fratrum imperii vires ferociter occupabit, Papiam inopem faciet. Quod minime reris, Johannes Maria, nunc Anglus appellatus, familiarium manibus interemptus, tuum adveniet genitorem. Ottobonus Tertius, Ferrariensium insidiis circumventus, diis infernalibus suum insolentissimum spiritum dedicabit. Verissima tibi equidem nunc denuntio. Facinus Canis ocius migrabit, fratri legaturus imperium et uxorem. Fiet heros illustris Philippus Maria, recuperabit perditas urbes, expugnabit oppida multa. Adhuc anguigerorum genus dominabitur orbi. Dii (precor), hunc juvenem incolumem reservate. Gabriel : Dux inclite, spes divùm maxima, quam certissima memorasti ! Unum te , dux sanctissime, rogo, quando dignaris tuo sermone facundissimo me fovere. Taceo de fratribus; est ne Theodorus in urbe per lustra plurima regnaturus? Volent ne cives hunc esse ducem ? Digna est urbs nostra, quae civem capiat ducem ? (i) Fratello di Tommaso. Con lui tentò furtivamente di farsi signore di Genova nel 1411, quando questa da due anni era sotto il dominio del marchese di Monferrato, ma la fortuna non Io favorì e dovette lasciare la città; un colpo di vento spinse la sua nave a Savona, ove trovò la morte. ■ — 305 — Antoniotus: Reserabo tibi, magnanime adolescens, deorum fata et certos urbis januensis adventus ; nec te fallam. Gabriel: Te obsecro. Antoniotus : Hic Theodorus (i) heros Ferrati Montis annis quatuor civibus dominatus, arma populo capiente (testis eris , Saona, semper nostris invida factis), sine civium strage sceptrum est penitus relicturus ; tristis repetet oppida sua. Janua degeneres metus ponet et animos veteres sumet. Cives optimi magno turbante tumultu fratrem meum Georgium Adurnum virum piissimum ad ducale fastigium postulabunt. Renuet; ab urbe rogabitur. Tandem hortatu generi mei, cui nomen est Thomas namque Fregosus (2), etiam quatuor magnificis tribubus assentientibus ad exaltationem civium et commodum civitatis, omnibus gloriantibus ad palatium deducetur, et sacra ducalis imperii possidebit. Urbs arma deponet et sub optimo principe requiescet, omnibus dabit fidem, amissa oppida dominatu Theodori marchionis Montisferrati recuperabit. Jacobo viro magnifico ceterisque genitis pro republica viriliter laborantibus, mitissimus jura dabit. 0 urbs nobilissima, nunquam tibi advena dominabitur heros ; de diu serva fies maxima dominatrix ; imperabis paucis labentibus annis qui tibi imperaverunt. Gabriel : Est ne hic frater tuus tam illustris perpetuo duraturus ? Antoniotus : Tibi relatu majora dicturus sum. Mitissimo imperante fratre, cui nomen est Georgius (proh cana fides, 0 furor ingens !), frangentur leges , exorietur bellum plusquam civile. Insurgent Goarchi et Montaldi, pugnabitur undique, vallabitur urbs inclita ; jam incendiis aeterna pallatia diruentur. Nullius Penates hujus belligeri furoris expertes erunt ; ipsa quoque nobilitas et scindetur. Qui Adurnis et Fregosis totis viribus suffragabantur; qui Montaldis et Goarchis pecuniarum loculos apportabunt, qui infestas acies ordinabunt. O dii immortales, compescite tantos fluctus ; recognoscite (1) Principe rinomato fu questo Teodoro li marchese di Monferrato, che morì nel 1418. Aveva occupato Novara e Vercelli, ed essendo divenuto signore o capitano di Genova, mentr’era a Savona per sedarvi una sollevazione, perdette la signoria, che fu conferita a Giorgio Adorno. (2) Avea questi sposato in prime nozze Clemenza, figlia di Antoniotto. Atti Smd, Lig. St, Patria. Serie 2.*, Voi. XVII. 20 bonos ! Erit nobilitas mixta plebi, dabit operam quilibet armis. Heu quam nostrae matronae amarissime flebunt ; fera Herinnis tota regnabit in urbe. Taceo stupra. Quid referam plurimas civium strages ? Nulla erit pietas, nullave concordia ; penitus fas omne rumpetur. Hujus belli civilis facinus ad totius orbis reges adibit; quin .etiam Philippus Maria frater tuus illustris acies subsidio relucentes fratris mei nec non generi amantissimus destinabit. Horreo amplius percurrere civile bellum. Gabriel: Quid, dux sanctissime, vultum tuum abortis lacrimis perhorrescis ? Quid hoc est ? In medio siluisti sermone. Cur anxius es? Quae tam subita tempestas hilaritatem tuam perturbavit? Dubitas ne de fratre atque genero ? Extinguenturne tantorum nomina ducum ? Solare, mediusfidius victores erunt. Dii bonos minime derelinquent. Habent fortissimos nervos in urbe. Quid referam filios et nepotes, fidos pariter et amicos ? Praeterire non libet septem fratres insignes. Pone lacrimas ; non habes quid flere debeas. Memento deos rogare, ut hae duae magnificae tribus pacem foveant sempiternam. Dum concordes erunt, nullos metuent reges, nullae fient seditiones. Civitas inextimabili bonitate fruetur. Fiet Janua altera Roma. Iterum , dux maxime, fles ? Antoniotus : O adolescens illustris, hic opus est fletibus ; nescis quae sanguini meo fata disponant. Dicam, quando diis sic placitum est; vix tamen valeo explicare. Hoc Marte saevissimo lumen Ja-nuensium patriae extinguetur. Quot amarissimos video planctus! O clarissime nepos, o Adurnorum laus, inclita domus, o adolescens mitis, o civium maxima felicitas, o felix parentibus, quae in te impia vulnera cerno ? Quis tam durus hostis tuum exitum non deflebit ? Quis non lacrimans corpus tuum vita defunctum aspiciet ? O pessime hostis, audes ne tantam indolem violare ? Abstine te tanto scelere. O feris edende rapacibus, o maris piscibus devorande, nec dii boni te diu incolumem conservabunt. O Karole (i), mea cara progenies, ad me primus nuntius es venturus ! O nepos frati) Forse quello ch’era detto signor di Grimaut in Provenza. Fu nel I4!4 una delle vittime dell’ implacabilità delle fazioni della guerra, detta guerra di m&\xp dagli Annalisti genovesi. Era figlio di Adornino, figlio d’Antoniotto. — 307 — trum ignare , ut doleo cum te cerno ! Ut te morientem consanguineorum lacrimae poterunt tolerare ? Ut ceterae necessitudines ac affinitates? Ut Thomas gener noster (i) tui maxima cura! Ut tua inclita parens ! Fies lacrimabile funus ; obscurabitur maximum patriae lumen. Quam mirabili virtute gentem nostram, carissime nepos, sublimasses ad astra ! Quid video Goarchorum progeniem egregiam indole simili migraturam ? Hic sodalibus maximos fletus dabit ; hic conquassabit Goarchorum quondam maximum nomen. Praeterea nobilissimi Spinulae pignus tenerrimum Faustae domus injuste peremptum magnis solitudinibus patientur. Quot flebunt cives suas mortes ! Libet spectabilissimos Spinulas, Fliscos praeterire, Aurias et Grimaldos. Taceo Vivaldos opulentissimos, Grillos nostrae familiae amicissimos , Lomelinos egregios , Gentiles antiquos , Cata-neos peritissimos, Salvaticos, Marinos, Lercarios consulares. Quid referam popularia nomina Justinianos ? Non te taceo, Bucanigra , nec sub silentio retinendi sunt Illiones viri antiquissimi, Furnarii admodum populares, Franci, Suprani, Prementorii, Stellae et Ca-muli, viri palladii et mira sapientia redimiti. Equidem memorandi sunt Scipiones notabiles et Negroni. Nulla civium domus indemnis erit. Quem finem das, summe deùm pater, huic labori ? Quis modus est sceleri ? Frater meus Georgius Adurnus insignis pietate sponte sua deponet imperium, nostris undique renitentibus. Ecce dux novus in urbe creabitur, auspiciis non bene faventibus. Hic paucis mensibus regnaturus ducalem apicem derelinquet. Insurgent iterum bella multa , caedes pessimae orientur ; tandem nostris vi ■ ctoria summa favebit. Tum deorum atque hominum consensu proles instabilis sublimabitur ad imperium civitatis. Vir sedulus Thomas Fregosus gener noster erit laus Deo, populo tranquillitas; cives concordes fient, erit mare tutum, tellus latrone carebit, oppida (i) Tomaso di Campofregoso era tiglio di Pietro, il vincitore di Cipro; di vasta mente e di cuore generoso , condusse un dogato glorioso e illustrato di splendidezza e magnificenza , quali non s’ erano viste dopo quello del suocero. Ebbe molta parte nelle vicende di Genova, e le Storie lo dicono uomo di esemplare carità di patria e magnanimità. Sotto il suo dogato Genova venne in potere del duca di Milano. Gli Adorno e i Fregosi alleatisi esclusero dal potere i Guarco e i Montaldo loro rivali. — 308 — multa hostilia, antra facinorum suo imperio subjugabit. Civitas dicetur et aurea, prorsus aetas saturnia imperabit. Quid referam corsicum littus , quod Abraam noster (i) sub asperrimo regimine conservabit? Non loquor Saonam traditam Spinetae viro saevissimo (2). Quid memorem regum legationes et copias, quas parabit, Liguriae (heu facinus!) magna parte favente ? Hujus autem bellicosi tumultus Pul-cifera testis erit ubique. Janua, fies hilaris, fies fertilis, fies maxima imperatrix, nullos metues hostes, etiam te pontifices adorabunt ; tuam gentem tolles ad astra. Tunc temporis vir quidam apparebit nomine Johannes dictus servus Dei, qui multa futura canet. Cum Christus, qui dicitur Jesus Salvator orbis, a Judaeis impiis duceretur ad mortem, hic Dominum impulsu magno vulgi turba maxima consequente commovit. Ait illi mondi Redemptor: « Et tu de me testimoniorum agas ; gradere atque vive quamdiu mondialis machina perdurabit rf. Se quoque in varias formas saepe permutat; nunc juvenis, nunc senex canus efficitur, nunc ambulat invisibilis, omnium nationum idiomata imitatur, omnia loca atque oppida regionum habitabilium ipse novit (3). Qui ipsum hodie alloquitur, die crastino non cognoscit. De principibus ac pontificibus populi christiani plura loti) Àbramo Campofregoso, era fratello di Tommaso, che lo fece governatore di Corsica nel 1416 per debellare Vicentello d’Istria, uomo assai potente e aiutato dal re d’Aragona, che erasi impadronito d’alcuni luoghi dell’isola. Abramo potè vincerlo, e obbligare perciò anche 1’Aragonese Alfonso a sgombrare. Caduta Genova in mano dei Visconti, andò fuoruscito, ma nel 1426 tentò con un colpo di mano di liberarla; non secondato dal popolo, fece nell’anno seguente un nuovo tentativo coll’aiuto di Tomaso; ma ad Alessandria, ove erasi spinto, fu sconfitto da Francesco Sforza. Non riesci nel suo nobile intento nemmeno nel 1433 nell’assalto di Sestri dato da lui col fratello Battista. (2) Spinetta Fregoso, durante il principato di Teodoro di Monferrato, nel 1410 andò capitano a Pera; sotto il dogato di Giorgio Adorno nel 1415 fu eletto castellano a Caffa. Nel 1416 il doge Francesco suo fratello fecelo governatore di Savona e capitano della Riviera di Ponente. Nel seguente coll’ altro fratello Battista, capitano delle due Riviere, fu spedito contro Tomaso Malaspina marchese di Cremolino, eh’ erasi dato a proteggere Raffaele Montaldo ribelle alla Repubblica. Ceduta Genova nel 1421 al duca di Milano, resistette in Savona alle armi ducali, ma poi cedette la città per 15 mila fiorini. Tomaso lo mandò poi governatore di Sarzana. (3) Il famoso prete Janni. - 3o9 — quetur. Qui sanctum, qui Dominum, qui daemonem appellabunt; attamen Judaeus fuit, et tempore aeterni judicis, a quo gratiam est adeptus. Quid dicam quod Januae nunc est, nunc Parisius , nunc Venetiis, nunc in Scythia, nunc in ^Egypto? Velocior est animo a corpore et vinculo qui migravit. Honestissimum induit habitum; felix est eloquio et sanctitate. Est quoque verissimum testimonium fidei christianae. Non sic Protheus in fabulis agitatur, nec Thetis quondam dea aequorea, ut vir iste ore probissimo hominum referetur. Heu quid cerno ? Compescite gladios vos, qui tantum ducem propulsare conamini, tuque, inclite dux , optita Adurnos tibi fore carissimos. Sic inimicorum acies contritabis, sic felix ad astra meabis. Anno tertio imperii tui plurima parabuntur. Heu immane scelus! Plebs tua, quae in eois partibus commoratur, bubonibus et antracibus igneis admodum prosternetur. Vacuabuntur ephebis urbes duae, constantissima pectora regni tui. Caffa morbo, fame atque Marte torquebitur, Palladis virtutibus indigebit. Praeterea tercenti scythici hostes perfidissimi, omnibus armis instructi, caffensem urbem inibunt, qui maxima populi industria ac optimorum civium expellentur. Nunc te, clarissime nepos, caffensis civitas exoptabit, omnes tuum flebunt decessum. Quot fletus in urbe audies ! Quot matronae suis liberis privabuntur ! Prodigiose homines morientur ; multi futura canent. Tu quoque, gener illustris, si hunc urbi pestiferum tumultum evaseris, regnum tuum video stabili in sede repostum. Non expavescas ; audacem te fore necesse est. Iterum reminiscere amicitiis Adurnorum. Praeterea videor videre canes Aminum captos et ab agmine Eumeni dum agitari. Caffa hoc praesagium mali habitura est; Gothia quoque pariter et provincia tomitana (i). Gabriei: Habet ne gener tuus imperium sine fine? Antoniotus : Qui stetit, steterit ; qui cecidit, ceciderit ; ulterius ne rimare ; genus est illustre ; plurimorum falletur opinio ; persaepe falsa sunt judicia hominum. Quot cives januenses esse conjectas, qui me credunt apud inferos obversari ? Errant ; ut tu ipse vides, in caelum gradior sempiternum. Parcae vetant amplius loqui. Ignoti) Tomi, oggi Kiovia, città della Misia inferiore sulla spiaggia del Mar Néro, celebre per 1’ esilio d’Ovidio. — 310 — sce, excellens adolescens. Unum cerno quod latere non cupio al licos scilicet duces ac britannicos magnis bellorum concursibus dimi care ; diruitur ferro imperium opulentissimum, magni trucidabuntur heroes. Video Herinides gloriantes, prestantissima corpora navali praelio necabuntur ; forte duplum fiet simplum. Interest plurimum qualis sit hominum convictus ; dii boni regum errores exterminent Consolare genus humanum; qui tantopere enituntur, canum antistitem procreabunt, qui in sede apostolica bis septem lunales annos explebit. Postquam ad deos optimos migraverit, Saturnia tellus pristina eriget colla; Latium fiet unum et gens bona dominabitur oris. Renascetur enim vir robustus, qui totam Graeciam ad fidem ita-licam restaurabit; Teucrorum principem trucidabit; Asiam maritimam ad usque paludes ^Egypti suo imperio subjugabit; maximis olim Judaeorum urbibus imperabit; ubi sacratissimum Jesu sepulcrum est, qui Christus dicitur, cujus atrium aditurus sum, fabricari ingentia moenia cernes. Judaei de malis fient boni et suum recognoscent Salvatorem. Parthi admodum trepidabunt, justitia diligetur, extimabitur cana fides, vitia deprimentur. O felices quibus licuerit haec beatissima saecula intueri ! Quantis, o Janua, honoribus ha-bundabis magni causa boni! Quot tibi naves rostratae dabuntur! Quotiens de hostibus triumphabis ! Erit praeterea tempus, quo Scythiae imperatores a Januensium ducibus creabuntur ; fama ad usque regna caspia metuetur. Colite igitur virtutes, o cives, iram discor-• diasque deponite, diligite vestram rempublicam puro corde; absit livor, absint luxus inepti; sic vestra civitas imperiosa Oceano imperium terminabit. Facile est bene viventibus iram domare et saevos impetus sibi subjicere. Qui parce praetereunt condictionem humanae vitae, difficile est patriae irasci ; qui partis suo sanguine rebus contentus est, nequaquam suum proximum infestabit; quisquis vero principium naturae considerat, qui vivendum ac moriendum sit penitus non ignorat. Nihil attulimus cum venimus, nihil auferimus cum abimus, praeter gloriam et virtutes; gloria vero inanis, virtutes quippe solidae et aeternae sunt. Este boni cives ; sic liberis famam, vobis apud deos optimos urbem perpetuam parietis ; sic luce, sideribus, planetis, circulis decoratis patriam possidebitis illustrium, sic vobis digna praemia tribuentur. - 3ii — Gabriel : Dux inclite, quid tantum abire properas ? Antoniotus : Quid me iterum flagitas ? Nonne haec tibi sufficiunt ? Jam diem vesper finit Olympo ; gradere ad genitorem ; ego nempe inceptum prosequar iter. Gabriel : Morare, te pauca rogabo. Antoniotus : Fare ocius quid me dicturum fore gliscas ; qui aures audiendi abnegat, porro infidelis est ; turpissimum patriae rudimentum est cum quis deliberationem abnuit exigenti ; quicumque bonus est, pariter mitis et animo. Nihil infelicius est quam cum quis benefacere possit, non velit; multi quippe sunt, qui cum prodesse possint, nolunt, qui auxiliari ferunt plurimum potestas abest. Iniqua lex est suffragium posse, minime autem velle. Confestim dicas quid cupias; me tibi responsurum fore polliceor. Gabriel : Quoniam, ut ipse perpendi, multa te dixisse arbitratus sum de urbe quae Caffa (i) vocatur, quae scilicet olim crutiaretur turpi penuria, iniquo praelio atque morbo pestifero, obsecro te, dux illustris, ut de regione ac consulibus illius reipublicae mihi cupienti omnia scire tuo facondissimo sermone ne dubites recensere. Antoniotus : Ex quo te audiendi avidum conspicio, libenter dicam et sequar summa fastigia rerum. Scytharum gens vetustissima est, cultu aspera et modico contenta paratu. Primus enim rex Thanais fuit ; homines inter sese nullos fines habent. Agros minime colunt, domibus carent ; eorum divitiae sunt armenta per varias solitudines errantia. Conjuges ac filios, quocumque eunt, secum in plaustris ducunt coriis coopertis. Justitiam ingenium facit, non leges. Nihil apud Scythas gravius quam furto vivere. Acetoso quidem lacte vescuntur sibi optimo nutrimento. Rarus est panis usus apud illos. Solemne convivium est proceres equinum lac saepe potare ; quas aeris intemperies necat, pecudes edunt. Plurimum equorum, qui in Marte perimuntur, carnibus vescuntur ; eorum potus est aqua ; quandoque equorum sanguine sitim extinguunt, gladio tactis salientibus (t) Caffa sul Mar Nero , in Crimea, creduta l'antica Teodosia. Goffredo di Zoagli, console di quella colonia commerciale genovese nel 1357, vi riedificò solidamente le mura, eh’ erano semplici terrapieni. L’Oderico nelle sue Lettere Ligustiche ne dà alcune notizie. 11 eh. Canale, nella sua Storia della Crimea, voi. II, parla di quel console. — 312 — venis; quandoque inelle fruuntur. Maximis uruntur membra frigoribus; pellibus ovinis hyemem praetereunt, pauci enim sunt qui veste lanea sua membra tegant. Tot habent uxores, quot habere possunt. Liberos precio vendunt ; nullos colunt deos, excepto naturae principio. Ter dominium Asiae sunt adepti ; ipsi ab aliena potientia aut intacti aut invicti fuere. Quid referam Darium Persarum regem turpi fuga Scythia pulsum, Cyrum cum omnibus copiis trucidatum? Romanos imperatores audiverunt, praeterea non sensere potentiam. Ducem magni Alexandri Sopiriona cum suo exercitu deleverunt, particas ac bactrianas gentes condiderunt. Scythae bello asperrimi extiterunt, eorum tela sunt arcus et sagittae, raro lanceas acutae cuspidis tractant. Vesois rex iEgypti primus bellum Scythis tulit suo imperio parere nolentibus, quem victum in fugamque versum celeritate qua potuit ^Egyptum repetivit. Asia mille quingentis annis fuit scythico imperio vectigalis. Ninus rex Assyriorum impendendi tributi finem dedit. Medio autem tempore Plinos et Scolopitus regii juvenes regno a primatibus pulsi, cum ingenti juvenum comitiva in Capadociae regione apud fluvium Termodentem consederunt, qui per multos annos spoliare finitimos assueti, conspiratione per insidias trucidantur, quorum uxores continuo arma capessunt, suos fines viriliter et defendunt, nubendique animum ommittunt ; tandem suum imperium dilataverunt. Harum reginae duae fuerunt, Martesia scilicet et Lampedo, quarum altera patriam tuebatur, altera augebat. Imperium harum dominarum, quae amazones dictae sunt, duravit usque ad exitium urbis trojanae, ubi Penthesilea regina a Graecis extitit interempta. Taceo herculeam victoriam et balteum in signum praemii sibi datum. Non memoro Ypolitem Tliesaeo nuptam, unde ortus est Hypolitus Phaedrae novercae insidiis circumventus. Vides satis, inclite adolescens, potentiam tam virorum quam Scythiae foeminarum, et quae strenua opera egerint temporibus antiquissimis. Scythia vero arida est, et propter sterile solum Scythae vagi sunt, ubi tot pecora, tot greges pascerentur. Gabriel : Vetera sunt nimium quae tu ipse refers, sic equidem reor; loquere de tempore nunc praesenti. Antoniotus : Digna commemoras, praestantissime adolescens ; attamen hi mores Scytharum sunt; haec est natura, nunquam habitus - 3*3 — mutavit; sed ut certior sis, iterum tibi antiqua enarrabo, quae praetermiseram gratia brevitatis. Discordiae plus quam civiles scytharum regum pene genus illud gloriosissimum quondam radicitus deleverunt ; nunc ad nihilum devenerunt ; omnia quippe quae sub caelo sunt, continuo permutantur ; nulla fides est mondi rebus. Imperatores qui quingentis milibus hominum equitare solebant, nunc gloriantur si duo milia equitum se et sua tentoria imitantur ; saepe boves equitant cum imperator hostes fudit (multi enim sunt juvenes imperiales) ; raptas conjuges connubio suo jungit ; more quidem ferarum cubant. Mortuo fratre, secundus ab illo fraternas uxores colendo matrimonio sibi admittit. In terris pedibus sub ano positis ferino ritu epulas edunt. Nulla pietas est apud Scythas cum bella fremunt, capita enim hostilia in acutis lanceis fixa, cruenta cervice recisa, clamore gestant haec praemia consequentes. Agros pauci colere didicerunt. Non qui regios juvenes imitantur, sed qui apud populos nostros suas posuere sedes, Scythae tamen nobiles (non Scythas appello qui arant, qui ligonizant, qui fodiunt, qui aedificant) genus veterrimum consequuntur. Quotiens Ruthenos opulentissima patria ortos, sed foemineos et enerves invadunt ! Quotiens Histrios turbant ! Quid Geticos referam infelices, quorum numerus potentior in ^Egypto, quam in solo natali ? Themir Persarum imperator , qui universo terrarum orbi atque tuo genitori estitit terror ingens, cujus parens in infantia saepe dicebat, dum puerilia comit-tebat: « Sile, ne defle. Advenient Latini et rex Pannoniae, qui gentem nostram e laribus patriis exportabunt ». Hic qui Basitam Tlieu-crorum ac Graeciae majoris partis regnatorem octingentis milibus equitum in praelio superavit, ad miserabilem sortemque deduxit, qui Damascum civitatem florentissimam expugnavit, qui imperio suo Assyrios, Babylonios ac pene totam plagam orientalem subjugavit, nequaquam potuit scythicis gentibus imperare. Nunc propter ingentes discordias majorum principimi conquassata est respublica Scythicorum, et fecerunt nostro dominio maximum augumentum. Sacerdotes quippe, qui in Scythia sunt, sua membra frigore indurantes nudi ambulant, ferreis cathenis brachia , nares , ramicem , pectora ac aures vincti consistunt; ridentes, jocantes velociter et currentes potius mansuetudinis causa pecoribus abutuntur, quam — 314 - sexu foemineo; sic mos est illis; pauperiem tamen colunt; viri nempe a Scythis vitae optimae appellantur, veteri tamen instituto quatuor uxores praeterire non debent. Lex ista minime observatur. Cum extremum diem adveniunt, sollemnia convivia celebrant. Reges earum gentium super feltro laneo a primatibus creantur. Equos suos in bello non calcaribus sed scuticis exagitant magnis clamoribus incitatos. Amictus quidam fluxos habent; fatigatos itinere equos, cum vesper advenit, laxis habenis pascere se dimittunt. Cum ad consules senatumque adeunt, brevi oratione potiuntur. Cum acies nostras invadunt, si resistimus, retrocedunt, si fugimus, nos sequuntur, magnis clamoribus ortis. Haec est vita gentis scy-thicae sive veteris, sive modernae; urbs vero quam Caffam appellamus , juxta egregium portum in arido* solo posita, opulentissima est, hiberno tempore lutulenta, solis aestivi fervore pulverulenta, Christiani populi maximum tutamen, utilis civibus nostris, reboante borea frigidissima, arthon aspiciens, diversarum gentium linguis culta. Hanc Graeci incolunt, Armeni, Judaei, Nabathaei, omnium gentium genus reperitur in urbe. 7 aceo cives nostros qui eam custodiunt, incolunt pariter et defendunt; illic juvenes vitam ducere stabili sede viros complurimos nobiles et populares, qui continuo matrimonii vinculo se loci illius incolas addiderunt. Hi genus illud rudissimum die noctuque bonis monitis ornant, et apud deos optimos gratiam promerentur. Utinam cives nostri cognoscerent cives habitatores urbis illius et gravamina quae patiuntur, et quanti sint causa boni ! Benignissime tractarentur, et quicquid licita peterent, obtinerent. Non esset, dum senatum adeunt, qui suae reipublicae obtrectaret. Caffensis civitas nunc maxima fulget habundatu, nunc inops est, sicca est et frigida; in ea boni aluntur viri, in ea mali, secundum magni imperii consulum qualitates; talis quippe est populus qualis est rex. Imperio suo Soldajam premit antiquissimam virtute Bartholomaei de Jacob (i), viri palladii quondam familiarissimi (i) Bartolomeo di Jacopo, console di Soldaia, non figura nella serie datane dal Canale, Storia di Crimea, voi. II, nella quale dal 1380 al 1420 s’ incontra appena il nome di Barnaba De Franchi-Pagana console nel 1414. Forse era nipote di Bartolomeo di Jacopo, console di Caffa nel 1365, del quale parla Bei-grano nella Vita privata dei Genovesi, ed. 1875, p. 126. - 3ij - genitoris tui, Januensium regimini acquisitam. Quamquam caffensis civitas in Scythico littore condita sit, tamen oblivioni tradendae non sunt nobiles familiae, quae illic continuo commorantur. Adsunt Auriae, Flisci, spectabiles Spinulae, Lercarii, Salvatici, Gentiles, Romei, genus vetustissimum et in urbe nostra egregium et famosum; adest praeterea Goarchorum progenies magnanimorum, aderunt et Adurni. Quid referam Cimbalum scopulosum, Gotthiae maximam maritimae partem? Ejusdem urbis cultores Matricam fundaverunt pariter et Mapale (i). Usque ad ripam Thanais januensis respublica dominatur, ubi olim consurgere arcem videbis a Petro Vivalda de stirpe fundandam, cujus imperio consulari Scythae, qui apud Thanaim fluvium habitant, in judiciis se subjicient reverenter, et defensorem facient in urbe caffensi. Gabriel: Quibus consulibus caffensis respublica nunc refulget.'' Antoniotus : Jacobo de Auria, Leonardo Marruffo atque Georgio fratre meo (2), civibus optimis ac amatoribus boni communis. Duo cum repetent lares ac patriam (tertius occumbet), aerarium ditissimum derelinquent (flebunt cives omnes), pacem dederint et fama splendidissima ad sidera volitabunt. Gabriel: Qui post tam famosissimos viros consulare imperium obtinebunt ? Antoniotus : Paulus Lercarius (3), civis eximius armis et virtute pollens, qui confestim suum egregium spiritum diis caelestibus dedicabit; Baptista Luxardus (4) etiam animosus, qui liventi invidia undique propulsabitur; Antonius Spinula, egregia de gente satus. Baptista turres inclitas aedificabit, fortuna nimium novercante invisus civibus et maxime nobilitati, arentem urbem inventis aquis plurimis refovebit; vulgi favorem adipiscetur, propugnacula multa condet; in tentoriis vigilabit. Attamen derisus abibit et apud gentes exteras patietur; facilior enim est fortunae lapsus quam ascensus; infelix est qui dum (1) Su questi due luoghi veggansi gli Atti, voi. V, pag. 130, nuni. 98-99, e pag. 260. (2) Giorgio Adorno, come si è già detto, fu mandato console a Caffa nel 1410; Giacomo Doria lo fu nell’anno precedente (Canale, op. cit., voi. II). (3) Paolo Lercari fu console nel 1413. (4) Battista De Franchi, olim Luxardo, fu console di quella colonia nel 1412. — 5i6 - a diis immortalibus sublimatur, se exaltando in dignitatibus non cognoscit. Quisquis semetipsum recognoverit, mitius lapsos premet et modico fine tenebitur; plus appetiverat quam ramusia dederat. Posthac magnum imperium consulare suscipiet Joannes Pipus civis mitis, amantissimus domus nostrae, arma populo capiente, qui justitiam more recto gentibus ministrabit; quorumdam civium conjuratione cognita, benignissimum deponet imperium. Tunc Paulus Pre-mentorius sortibus positis uno die et noctibus duabas populo imperabit. Diis bonis faventibus, qui res humanas non deserunt, quorum imperio mare, tellus et caelorum fulgentia sidera gubernantur, adventabit magnificus nepos noster Jacobus Adurnus (i), magna calliditate refertus, qui urbem illam tunc expugnatam totis viribus restaurare conabitur; gloriosus erit et omnibus metuendus. Hic primum Simonem de Guisulfis (2), civem egregium hostibus captum insidiis, viriliter defensabit, et vitam pariter largietur. Timebunt tunc Scythae consulare imperium tanti viri. Aget consulem, nec infelix fauces helle-sponticas transfretabit. Video duos optimos consules viros magnificos Leonardum Cataneum (3) legum doctorem, Quiricum et Gentilem, qui superis annuentibus caffensis patriae bona plurimum exaugebunt. Felix es, Caffa, et ad sidera aurea meatura; tibi non defuerit sancta justitia et colenda. Hi duo magnanimi consules sapientiam honorabunt, omnia quippe cum deliberatione matura perficient; nulli injuriam agitabunt, a nullo pariter patientur; benignissimi bonis erunt, malis vero rigidissimi. Nullus superiorum consulum imperio detra-ctabunt, cum honestissimis sodalitatibus obversabuntur. Quis Fabius hos praecesserit ? Quis Camillus ? Quis Scipio ? Quis Fabricius parvo contentus? Gaudete, cives optimi, in patriam gloriam perpetuam revecturi. Sentient nepotes vestrorum nepotum vestra praeconia gloriosa. Cum dii optimi vos vocabunt, animos vestros immortales caeli sidera illustrabunt; sic vobis parta praemia. Habes igitur, ma- (1) Giacomo Adorno fd console di Caffa nel 1418. (2) Simone de’ Guisolfì fu anche signore di Matrega nella penisola Tanian (Ved. Atti, voi. IV, pag. CXXVII). Lo fu più tardi anche Zaccaria dell’ istesso casato. (3) Leonardo Cattaneo fu console di Caffa nel 1419, e Quirico Gentile nel seguente. - 317 - gnanime adolescens, quod petisti, duobus exceptis, quae haec sunt: cum Scytharum delata cadavera sunt sepulta, collem ingentem ad instar turris maximae terra et lapidibus cumulatis superimponunt; pauci nostras pyramides imitantur. Caffa vero, quae a Nabathaeis terra infidelium appellatur, eo quod Latinos, Graecos, Armenios ac omnes nationes Christum principem nostrum colentes vocitant infideles, praecipue cum Christi Jesu cultus in urbe illa plurimum veneretur jejuniis sacrificiisque diversis, omnibus est tutum refugium. Cum imperatores in acie expugnantur, illuc celeriter adveniunt, admittuntur, sponte recedunt, persaepe a victoribus ducibus repetuntur, minime consignantur. Quotiens qui bello pulsi sunt, urbem ingressi inde abeunt imperialem apicem assumpturi ! Qui Caffam laesit, quiscumque sit, sive Scythicus, sive Latinus, a diis immortalibus gravioribus aculeis crutiatur, aut in pugna terrestri, aut in freto, optimo malorum magistratuum judice atque digno. Quod Scytharum proceres, qui caffensem rempublicam iniquo praelio turbaverunt, scimus fuisse peremptos, divino auxilio suffragante, laceratosque more et ferarum, laqueis strangulatos, labentes in fluviosque demissos ! Quid tibi referam magistratus urbis caffensis alieni aeris raptores, male justitiam ministrantes, bene promerentibus justa praemia denegantes, deorum maris consortio aggregatos, in terris impie trucidatos, patria pulsos aut a piratis rapinis omnibus spoliatos? Praetereo mercatores nec non et navium rectores, qui injustis mercibus adhaeserunt. Dii omnium piissimi retro speculantur et ante. — Redi itaque ad patrem. Ego per galaxiam viam ad caelites volitabo, ubi perfruar beatitudine sempiterna. Adurnorum inclita gente satus Adurnides, nepos egregius magnanimi Therami nati nostri (i), felicitatem suam suam hoc obitu turbaturi, me sequetur, qui ut tu genitorem tuum consolaris in atrio, ita me postquam sic fata volunt, piis amplexibus refovebit. A genitore doceberis quae non nosti. Iamdudum (i) Teramo Adorno, figlio d' Antoniotto, era capitano generale d’ oltremonti nel 141$; ad onta d’una riconciliazione coi Fregoso, mosse le armi contro il doge Tommaso, indottovi dai Guarco e Montaldi, ma con sua sconfitta. Fu doge eletto da’ fuorusciti contro il legittimo. Era signore di Castelletto d’ Orba per investitura dei marchesi di Monferrato, e d’altri luoghi da lui stesso conquistati, non che di Breme, feudo investitone nel 1437 dal duca di Milano. - 3i8 - tua regna didicit, et a maximis animarum legionibus visitatur. Poteris, si appetiveris, inferioris Acherontis secreta cognoscere. CAPITULUM VIII. In quo iterum pater et filius introducuntur invicem colloquentes. Denique his prolatis, ille in caelum abiit, veri Apollinis et siderum jubare illustratum, ille ad sanctissimum genitorem, quem simul ac complexus est, talibus sic alloquitur. Filius : Etsi, mi pater sanctissime, scio immortalitatem tuam, baratri chaos et dirarum supplicia, nosce, te quaeso, precibus quibus possum, ex quo senex ille peritissimus quaecumque rogavi clementia sua, quae plurima est, mihi retulit, edoceas quicquid posco. Pater: Aviditatem tuam compendiose expediam, nate carissime. Sicut milia impedimentorum nobis affert corpus, sic Plutonis ac Proserpinae multiplices anfractus facilesque aditus regia habet, reditus vero gravissimos. Pauci enim sunt qui letheum amnem agnoverint et ad sidera remeaverint ; te aer ille facile ducit, prona est nimium via. Os unicum ad vestibulum habet locus regni Ditis tenebrosus et bene determinatus, eo quod in medio totius terrae elementalis est, quae genus hominum tollit. Rotundus est ut clibanus, saxis et montibus undique septus. Ab alio ore quidam progrediuntur hiatus fumifici, quibus de ipso notitia habetur. Quatuor labuntur fluvii, Lethe scilicet, Acheron, Flegeton et Coccitus. Nec fabula est olim deos per stygiam paludem jusjurandum sanxisse. Illic nullum perpetuum est ver, nullae florescunt arbores nullaeve pubescunt herbae. Diversa exilia sunt, qui in radiis rotarum plectuntur, qui in flamma torrentur, qui corda roduntur, qui laticem et mala sicco ore concupiscunt. Adest Cerbarus vipereis comis cinctus; adsunt Aletho, Thesiphone et Megera, adsunt Arpiae et Phineus rex infelix. Illic semper est stridor et fletus, nulla est requies nullave concordia; illic fultra manent ignibus apta. Adsunt judices hominum scelera perquirentes, illic fetor sulfureus perpetuus manet. Aeternum deflent animae. Quid referam turbas in frigida glacie poenas dantes? Quot proceres vidi suum dirum exilium deplorantes! Qui miseros in mondo suppliciis afflixerunt, illic majoribus eculeis crutiantur, pari puniuntur exemplo. — 319 — Tu quisquis animam adhuc in corporeo carcere retines, miseris opem praebe, jejunos pasce, indue nudos, carceratos solve, conciliare, quaere discordias; quae sunt opera virtutum toto animo et exerce; ne aliis facias quod tibi fieri non optas. Brevis mortalium est voluptas, sine fine poena. Filius: Adivistine deos infernales, quia dicis: « Quot proceres vidi dirum exilium deplorantes » ? Pater: Absit, nate, quibus concessum est quando tartareum profondimi egredi et sontium ducere poenas. Quo regia caeli splendidior est omni re splendidissima, hoc antrum Orci obscurius est omni re obscurissima. Gravius est flagella Eumenidum semel pati, quam centum annis omnia tirannorum mondi supplicia pertulisse. Clamitant exangues umbrae: Heu me, vae mihi! Cur meum non timui Salvatorem? Cur legem Dei non implevi? Minor est rex servo vilissimo. Illic nullus honos, nullave dignitas; illic nulla redemptio; exagitantur animae dies atque noctes; horror ubique est, plurima bella vigent, omne animalium turpissimum genus adest, omnis et moesta figura. Quid loquar ulterius? Insufficiens sum poenas discurrere infernales. Haec tibi, nate, praedico, quae senex illustris ille non cecinit. Anno millesimo quadringentesimo vigesimo primo exe-crabilis egestas totius orbis terrarum machinam occupabit. Proh dolor ! Infelix fuerit annus ille. Venetorum magnum ducale imperium minuetur aqua, fame, ferro atque peste. Vera tibi denuntio: omnis infidelium gens mutuis vulneribus stragem nimiam patietur. Continuo Graecorum rex parebit magno pontifici Romanorum. Taceo Italiam atque Januam, quae ab optimorum vatum ore canentur. Haec sunt, nate, quae nunc liceat nostra te voce doceri. Intueamur deinceps caelum, solem, sidera atque lunam, et mondi inconstantiae silentium imponamus (i). (i) In seguito all’ Ogdoas, è nel Codice Ambrosiano il seguente carme, che sembra scritto dallo stesso Alfieri ed alluda all’opera sua, della quale mandò forse un esemplare al fratello colla seguente dedica : Primus hiperboreis venientia , candide frater, Frigoribus rigidis haec mea dicta leges. Non Danaum cecini proceres, trojanaque bella, Invisos fratres, tindareumque genus. Scipio quod magnas stravit Carthaginis arces, Qui Thamaris Persas calida Marte feros. Magnus Alexander magnos penetravit ad Indos ; Non sunt ingenii talia verba mei. Non Liber, non alma Ceres, non Herculis acta, Ypoliti mores, impia Phaedra, tui. Ut Xerses claras olim delevit Athenas, Ut Marathon Persis tristia fata tulit. Ast ego divorum sedes et regna piorum, Anguigerosque duces nomina cara mihi. Italiae claras urbes gentesque feroces, Illustresque viros, praelia multa simul. Qui magnis properent poenis Acherontis ad undas, Et quos praecipue sidera clara petant. Ergo age cerne tuum (ne despice, quaeso) libellum, Caliopue monuit mittere nempe tibi. Judice sub tanto sententia justa feretur, Et metuet dictum laedere quisque tuum. Si quid erit vitii, curvata falce recidas; Est opus; ingenio me quoque trado tuo. Si qua tamen possum , Scythiae regionibns istis Utere, meque tibi semper adesse puta. Jampridem (sic fata volunt) nec carior ullus Est mihi; germanus vera referre potest. Per caput anguigeri ducis et memorabile semper Exoro (vatum sic pia fata rogant, Atque omnes dulcis feliciter exigat annos) Mittatur propria littera scripta manu. Parve libelle, tuam venerabilis ibis in urbem, Luminaque aspicient te meliora meis, F«rtunamque meam casu miseratus acerbo Flebis, nec lacrimis tunc modus ullus erit. RENDICONTO MORALE DELL’ANNO ACCADEMICO MDCCCLXXXIV-V LETTO ALL’ ASSEMBLEA ' dal Segretario Generale L. T. BELGRANO Signori e Colleghi, anno accademico 1884-85, vigesimosettimo dalla fondazione della nostra Società, veniva inaugurato nella seduta generale del 21 dicembre, colla ricostituzione dello intero Ufficio di Presidenza. L’otto di marzo insediavasi l’egregio presidente, marchese Girolamo Gavotti; e in pari tempo avea luogo la Commemorazione di Antonio Crocco, il quale governando questo Istituto per lo spazio non interrotto di sedici anni, ci fu specchio costante di elette virtù e lasciò negli animi nostri vivissimo il desiderio di sé (1). Ma già fino dal gennaio si era posta mano al lavoro delle Sezioni ; e ben mi é grato il cominciarne la rassegna, ricordando una nuova contribuzione arrecata agli studi d’epigrafia etrusca dal collega, maggiore Vittorio (i) Alti, voi. XVII, pp. 63-109. Poggi, di cui la Rivista di filologia classica (XlII-yg) lodava, or non ha molto, l’operosità « veramente ligure » ed insieme la bontà dei criteri metodologici chiaramente provata la mercé di risultati sicuri. Sono infatti altre leggende di figuli (.Atranius, Laetus, Sintinius, etc.), che vengono ad arricchire il materiale onomastico raccolto dal dottissimo Fabretti, e ad illustrare la storia di quei piccoli vasi foggiati a guisa di otri, cui i moderni archeologi si convennero di attribuire il nome di ashos. « Tutto concorre a far credere (così l’autore) che questo vasetto di forma si caratteristica, ed i cui esemplari sono quasi tutti di ottima tecnica, costituisse una specialità etnisca, che fu per qualche tempo un articolo di gran moda in tutta la penisola italica, non solo, ma anche al di fuori, per quanto si estendeva il raggio dell’esportazione commerciale etrusca, siccome é attestato dalla copia e dalla diffusione degli esemplari superstiti. V ashos, del resto, riproduce una forma prediletta dall’arte paleoitalica, e figura cosi nella suppellettile della arcaica necropoli Esqui-lina, come in quella del sepolcreto della prima età del ferro scoperto ultimamente a Corneto Tarquinia, e spettante ad uno strato archeologico che risponde a quello della necropoli di Villanova ». Inoltre « la riproduzione del tipo dell’otre, che é quanto dire del vaso antichissimo e primitivo che le più vetuste rappresentazioni figurate ci mostrano sulle spalle de’ Fauni e dei Sileni, in un ninnolo elegante la cui tecnica ci riporta al periodo del più avanzato sviluppo della ceramica, é consona a quella tendenza all’arcaismo che fu una nota caratteristica del genio etrusco, e che si manifesta non pure nell’arte e nell’industria, ma in molti rami dell’attività - 317 — di quel popolo singolare, non escluse le istituzioni politiche » (i). Ciò per la scienza in generale. — Ma alla storia domestica più direttamente conferiscono, per esempio, quei cimeli che gli scavi, cui sovrintende il nostro socio cav. Gerolamo Rossi, mettono di giorno in giorno in aperto. Fecondo veramente quel suolo arenile di Nervia, che si gran parte ci asconde dell’ antica Albio-Intermelio ; mentre a dichiararne la importanza basterebbe a gran pezza il Teatro monumentale, da brevi anni scoperto e degno in tutto della età romana cui appartiene ! Frattanto, a breve tratto dal Teatro, ecco la Via dei Sepolcri: vari di forme, per buona parte fregiati ancora de’ titoli marmorei, e destinati alcune volte a ricetto de’ cadaveri incombusti, ma il più di frequente a serbare , in urne di cotto o di vetro, le ceneri raccolte dal rogo. Qui poi utensili e vasi, calici e patere serviti alle funebri cene; e con essi gli oggetti appartenuti agli estinti, preziosi per materia e per arte mirabili, si da rendere testimonianza dell’ opulenza dei Giunii, degli Apionii, degli Afranii e in genere delle famiglie alle quali appartengono le tombe. Appunto di una patera vitrea trovata in una di queste tombe, ci ragguagliava il Rossi; e la descriveva decorata all’esterno da intagli ed impronte, che disegnano figure di mirabile esecuzione, esprimenti una storia di Tritone. È opinione del Rossi, che questo bel vaso sia da recare all’opera di qualche artista della Magna Grecia, e valga altresì a confermare la sentenza di que dotti, i (i) Poggi, Appunti di epigrafia etrusca — Parte seconda. — In Giornale Ligustico, a. 1885, pp. 202-17. - 3i8 - quali stimano che gli artisti dell’antichità scegliessero ne’ cammei e negli altri lavori d’intaglio i materiali acconciamente colorati secondo il soggetto che si proponevano di rappresentare : il vetro nero per ritrarre Proser-pifia, il ceruleo per Nettuno, ecc. Imperocché se la patera d’Albio-Intemelio è ora in parte iridescente, ben si scorge che in origine essa era invece leggermente azzurrina; e si capisce che su questo campo doveano con ottimo effetto spiccar tutti i contorni e i tratti a punta di punzone, messi bellamente ad oro, si come é palese da alcuni resti sfuggiti alle ingiurie dei secoli (i). Scendendo dall’ evo antico alla età di mezzo, è da rammentare in primo luogo la Memoria dell’ ab. Mar-cello Remondini intorno alle date del 560 e del 1163, le quali si pretesero iscritte in un basso rilievo, ora perduto, della primitiva chiesa o edicola di Nostra Donna delle Vigne, e in un quadretto che tuttavia si mira nella cappella che da lei prende nome. Le conclusioni del disserente, son queste. Rispetto all’intaglio, né il DLX nè altro anno (poscia che vi ebbe chi scrisse invece il DCCCCXVIII), può ritenersi fissato da monumento sincrono ; ma ha carattere puramente tradizionale, e forse venne inciso, come la data di una origine approssimativa, in un marmo de’ bassi tempi murato sulla fronte della chiesa allorché dopo il Mille si die’ mano alla sua ricostruzione. Rispetto al quadretto, lo stile del dipinto lo annuncia abbastanza come opera del secolo XIV, ed anche inoltrato ; né reca data di sorta, (1) Rossi, Di una patera di vttro trov.ìta in un sepolcro deir antica Albo-Inle-melio\ in Giorn. Lig., a. 1885, pp. 225-30. — 319 — ma tre leggende, delle quali il disserente rettifica la lezione. Ma 1’ acume, che Voi siete usi apprezzare da lunghi anni nel nostro egregio collega in materia d’ epigrafia medioevale, non poteva qui starsi pago. Laonde, il Re-mondini seguitava, pigliando a ragionare di una lapide non riferita da alcuno dei nostri collettori, e solamente rinvenuta 1’ anno scorso nelle demolizioni della chiesa di S. Tommaso. Serba essa memoria dei consoli di quel borgo per l’anno 1283 , Ottolino Negro della Fonte, Pietro Cordaro, Giovanni Mettifoco ; e ragiona di certe parziali esenzioni dall’armamento allora ordinato contro i pisani, e da altre pubbliche gravezze, onde i Capitani del popolo si erano indotti a privilegiare quelli abitanti. Dice infatti l’iscrizione : M. CCLXXXIII. V. die madii. Domini Capitami concesserunt Ottolino 'Nigro de Fonte, Petro Cordario et Johanni Metifoco, consulibus sancti Thome, apodixi[a]m infrascripti tenoris : De mandato et voluntate domino-rum Capitaneorum est quod homines consulatus sancti Thome per aliquem magistratum Janue, neque per aliquem civem Janue, occasione presentis armamenti, vel alicuius alterius avarie personalis, non acotumentur; cum ipsi homines coequentur et coequari debeant occasione dicti armamenti et aliarum avariarum; et quidquid collectum est ab aliquo homine dicti consulatus per aliquem constitutum super predictis occasione presentis armamenti seu coturni Jacti super illos qui non fecerunt suam avariam, restituatur consulibus dicti consulatus. Infine il Remondinì toccava pure di quella graziosa statuina della Madonna col Putto, che vedesi commessa — 320 — in uno stipite della porta di S. Lorenzo dal lato di S. Giovanni, e addita il sepolcro dei fratelli Bozolo-perché la leggenda che vi sta sotto, non venne prima d’ora esattamente interpretata, ed egli la rettificava dimostrandola appartenente al 1342. La lettura del Remondini, specie per quanto concerne alla lapide di S. Tommaso, porgeva argomento di svariate considerazioni a più soci. Ma alle cose dette allora siami lecito di aggiungere oggi, che Giovanni Mettifoco figura in un documento del 1250 fra quei genovesi che fornirono in gran parte a Luigi IX di Francia il denaro occorrente alla prima delle sue crociate ; e che comparisce similmente in un rogito del 1267, quale armatore di una galea in società con Antonio di Perctto (1). —- Al periodo delle crociate appartiene anche la lapide di Giovanni Stralleria che a me porse gradita occasione di intrattenervi una sera, pigliandone eziandio anche argomento a ragionare della famiglia di quel cognome. L’illustre Clermont-Ganneau, avea trovato il marmo nello stabilimento di S. Anna in Gerusalemme ; ma datine la descrizione e il fac-simile nel tomo II degli Archives de l’Orient Latin, si era tenuto molto guardingo quanto al soggetto, scrivendo appena in forma dubitativa : « Il semble que c’est l’epitaphe d’un personnage nommé Straller ». — La scomparsa di una lettera e varie altre cagioni tolsero al dotto francese di afferrare intera la parola Strallerie: l’averla cosi restituita è poco vanto per noi, da che nostro istituto sia propriamente quello di ricercare, in materia di storia domestica, i più riposti (1) Belgrano, Documenti inediti riguardanti le due crociate di Luigi IX, pag. 68. — 321 — particolari. Il tumulato si chiamava Giovanni ; e la pietra che ne coperse l’avello dee reputarsi appartenente al 1203. Srallevia del resto, 0 Strakira, fu in origine un soprannome , passato poi, come tanti altri nel secolo XII, a formare il cognome di una famiglia. La quale appartenne alle consolari, grandeggiò nei traffici, e s’imparentò coi Castello, gli Embriaci e gli Zaccaria, tutti diramati da un medesimo ceppo, tutti lupi di mare, tutti decorati d’ alti uffici in patria e fuori, dinasti potenti e temuti nella Soria e nella Grecia. Allorché la comunanza degli interessi, non di rado più ascoltata della voce del sangue, tenea strette insieme le nobili casate, gli Strallerii abitarono tutti alle falde del Castello; mentre su pel colle tenean sede le altre or ora accennate — indizio forse non dispregevole, per lasciarci sospettare che essi pure abbiano da rannodarsi a un identico stipite. E la contrada degli Strallerii fu giusto quella, che poi si disse dell’Olmo; così portando gli eventi che il nuovo appellativo cacciasse 1’ antico, e in una coi forti cittadini, che pur 1’ aveano altamente onorato, lo travolgesse 1’ oblio nella sua notte (1). Da capo il socio Remondini riferiva intorno a parecchie iscrizioni da lui vedute in Bobbio. E prima, quella di un’ ara votiva eretta a Diana da Caio Licinio Vero, già accolta negli Atti nostri (2) ; ma della quale sappiamo ora, che propriamente si custodisce nell’Episcopio, e che mostra le parole frammezzate da cuoricini, scambio di punti. La seconda è incisa nel nodo di un antico pasto- (1) Atti, voi. XVII, pagg. 193-220. (2) Voi. Ili, pag. 231, num. 180. — 322 — rale, e dice che Joannes de Mundanis episcopus Bobiensis et comes fecit fieri 14*79. La terza leggevasi fino al 1788 sulla campana delle ore, rammentando colla data del 1428 il nome dell’abate Pietro che l’aveva ordinata e quello del fonditore Giovanni di Pontremoli, da aggiungere ai molti con sagace diligenza adunati dall’Alizeri e dal Varai. E perché né il rimpianto statuario, né il Zuccagni-Orlandini (1) ebbero modo di riferire esattamente l’iscrizione che pur si leggeva sopra due campane tubiformi ben più antiche già esistenti a Risoaglia, non volle il nostro collega pretermettere, sulla scorta di un documento dell’archivio vescovile, di correggerne la lezione e la data, che sono cosi concepite: Abas Abacuus iussit me fieri. — Placentinus (il fonditore) fecit me et sociam meam . MCCXVI. Commentava in quinto luogo i distici che si leggono sul sepolcro di Giannotto de’ Giorgi, heros, doctor, miles et comes eximius, il quale lasciò il corpo alla terra e restitui lo spirito al cielo il dì 21 febbraio 1462. La sesta, spogliata di certe concettosità che vorrebbero parer peregrine e la rendono oscura, dice in sostanza che i patrizi de JBuellis fecero costrurre in duomo un altare, e lo provvidero di congrua dote ne’ rogiti di Colombano Spezia l’anno 1415. Famiglia bobbiese anche questa, cui appartiene un sepolcro iscritto del nome di Rinaldo e Bernardino de Spixia, colla data del marzo 1372. Tacendomi per brevità di alcune altre leggende poste a illustrazione di devote rappresentanze, non posso però passarmi di quella che ci addita in Domenico da Piacenza 1’ autore delle tarsie onde é bello il coro di S. Colom- (1) Zuccagni-Orlandini, Corografia dell’Italia, voi. Ili, pag. 688 e 1004; Varni, Ricordi di alcuni fonditori in bronzo, pag. 14. — 323 — bano: Hoc opus jecit Dominichus de Placentia, 1488 (1). Nè molto meno è da trascurare 1’ altra deir urna marmorea, tutta istoriata, nella quale venne custodito per quattro secoli il corpo del santo abate : Hoc opus fecit magister Johannes de Patriiarcis de Midiolano, MCCCCLXXX, die ultimo mensis marci. — Ma sopra tutte preziosa dee riputarsi col disserente la lapide che formava il coperchio del sarcofago di S. Cumiano, ordinato da re Luitprando, se possiamo fidarci alla tradizione riferita dalla leggenda. La quale ad ogni modo, restituita come fu dal Remon-dini nel suo testo genuino, corregge il computo della dimora in Bobbio di quel celebre vescovo della Scozia, risultando essa di soli 17 anni, mentre la cronaca della città e le lezioni dell’Ufficio la fanno di venti. Vigilans, ieiunans, indefessus sidule orans, Olimpiadis quatuor uninsque circolo anni Sic vixit feliciter, ut felix modo credatur , Mitis, prudens, pius, fratribus pacificus cunctis. Huic aetatis anni fuerunt novies deni, Lustrum quoque unum mensesque quattuor simul. Depositus est hic dominus Cumianus episcopus xnu Mendas Septembris. Fecit f Johannes magister. Non come per 1’ epigrafia è stata copiosa la messe adunata nel campo della Numismatica ; ma del poco ci compensa la rarità. Imperocché dobbiamo al cav. Cornelio Desimoni il ragguaglio prezioso di una monetina di buon argento, con suvvi impressi la croce e l’aquila, e intorno la leggenda : Fidelium Imperii Janue et districtus. (1) Allievo, 0 imitatore, dei Canozzi di Lendinara; ed autore, con Francesco da Parma, del coro di Santa Giustina di Padova. — Varni, Delle arti della tarsia e dello intaglio, pag. 30 e 35. - 324 — Venne acquistata di recente pel nostro Medagliere Universitario , e fu già del marchese Angelo Remedi, che ne toccò nel Giornale Ligustico (i) formolando conclusioni ammissibili fuorché rispetto alla data. L’erudito sarzanese afferma difatti la monetina essere stata battuta dal Governo ghibellino in Genova, fra il 1334 e il 36, poscia che ne furono cacciati 1 guelfi e cessò la signoria del re Roberto. L’egregio dis-serente opinava al contrario, che di quest’ ultimo tempo sieno piuttosto le monete ben note, le quali portano la leggenda Janua quam Deus protegat, seguita da un aquilino con le ali spiegate; mentre il precedente Governo guelfo avrebbe adottato in luogo dell’ aquilotto un leoncino, e coniate altre monete delle quali é da vedere la descrizione negli Annali di Giorgio Stella (2). Però la monetina di cui si discorre dev’ essere stata coniata fra il 1319 e il 28 da un anti-governo ghibellino, proclamatosi in una sola parte della città, mentre la restante era tuttavia occupata dai guelfi. Di che il nostro collega non mancava di toccar le ragioni e d’accennare i documenti; che sono parecchi atti d’officio, nei quali si fatta specie d’anti-governo assume l’intitolazione di Capitaneus generalis et Consilium credentie fidelium lmpcrii Janue et districtus : proprio la formola impressa nella piccola ed oramai unica moneta. Ma eccovi ancora una nuova testimonianza di bella operosità, fornita dal socio ab. Remondini. — Egli ci ha invitati ad esaminare le origini del culto di Nostra Donna del Soccorso nella cattedrale di Genova, secondo la versione (1) A. 1883, pagg. 392-97. (2) Ap. Muratori, S. R. /., XVII. 1040. — 325 — che se ne incontra negli scrittori di storia ecclesiastica. I quali a una voce affermano, che l’immagine venerata sotto quella invocazione venne posta in S. Lorenzo , e proprio sul quinto altare della nave a destra, dal canonico Giovanni di S. Stefano, correndo l’anno 1399. Nel tempo stesso il pio sacerdote avrebbe istituita una cap-pellania, per esecuzione del testamento di un suo confratello , a nome Lanfranco di Ottone. Ma d’ onde mai, chiedeva il disserente, la prima fonte di questa notizia? Una relazione compilata nel 1682 dal canonico Marana, e inviata a Roma dal Capitolo Metropolitano, per ottenere la solenne incoronazione della sacra immagine. Bisognava provare anzitutto l’antichità del suo culto; e a questo il compilatore si argomentò di provvedere , trascrivendo da un codice membranaceo dell’Archivio Capitolare un breve passo, nel quale é detto che Giovanni da S. Stefano fuit principium devotionis Beatae Mariae Virginis de Succursu. Qui dunque tutto parrebbe chiaro ; ma gli é che non tutti amano 0 possono sincerarsi de visu come D. Remondini. Il quale ha voluto consultare anche lui il codice, ed ha trovato che la parola de Succursu manca nell’ originale, ma fu interpolata nella copia. Per carità, non gridiamo alla mala fede, laddove non è da vedere che un equivoco consigliato da una buona dose di ignoranza. Notiamo piuttosto, che né manco venne intesa rettamente la parola devotio; la quale, nel caso di cui si tratta, non deve spiegarsi come divozione o culto in genere, ma significa compagnia, congregazione, consorzio. Nel fatto, adunque, non di un culto nuovo, ma della semplice istituzione di un pio sodalizio, é da dar merito a Giovanni di S. Ste- fano ; senza che a ciò contraddicano 1’ atto costitutivo della cappellania, e le altre testimonianze diligentemente adunate dal Remondini con quel sottile processo di indagini che l’acume della mente gli venne consigliando. Ma altre particolarità risultano pure da queste testimonianze , le quali giovano a integrare il vero. Difatti Giovanni da S. Stefano, operò non già per mandato altrui, ma nel suo nome istituì la cappellania di che dicemmo poc anzi, e parimente dotolla di beni suoi propri. Nè la cappella fu già quella che ho indicata poc’anzi, ma l’altra in capo alla nave sinistra, poi dei Lercari, intitolata a S. Maria Gloriosa, che è un dire 1’ Assunta. Infine la divozione istituita dallo stesso canonico nella detta cappella è la confraternita dei disciplinanti bianco-vestiti, 1 quali, come sappiamo dallo Stella (i), usavano processionalmente visitare le chiese della città dedicate alla Madonna, cantando lo Stabat Mater. A cagione della cappa bianca que’ fratelli si dissero adunque di S. Maria in vestibus albis; e un rogito di Antonio Foglietta, che sotto il 17 maggio del 1400 serba i patti stipulati da Giovanni di S. Stefano col pittore Agostino Sarrino da Messina, descrive il quadro proposto dal pio fondatore alla venerazione della consorzia (2). — La divozione di S. Maria in vestibus albis precedette di oltre un secolo il tempo, in cui veramente S. Maria del Soccorso ebbe culto nel duomo ; giacché l’effigie di lei vi fu trasferita dalla chiesa omonima nella contrada di Morcento, circa l’anno 1515. (1) S. R. I., XVII. 1170 segg. (2) L’atto fu pubblicato dall’Alizeri, nelle Notizie dei Professori del disegno in Liguria dalle origini ecc., voi. I, pag. 222. - 327 - Questa dello scrutare, in materie di storica disputa-zione, le origini, è per fermo una tra le più spiccate caratteristiche della età nella quale viviamo. E d’ altro canto le agevolezze d’ogni maniera onde s’ aiutano le ricerche, la facilità con cui a tutti è consentito dissetarsi alle limpide fonti, mettendo in disparte le compilazioni di seconda mano, e infine 1’ abbondanza del materiale storico con febbrile lavoro prodotto in luce, pare a me che costituiscano la più ovvia spiegazione del fatto. — Così, delle origini di Umberto Biancamano, delle quali ha trattato il barone Domenico Carutti (i), mentre il Desimoni, rivedendone il dotto libro, ce ne ha dato un lucidissimo rendiconto. L’illustre autore ha anche opportunamente rannodate intorno alle origini Umbertine varie importanti ricerche sulle Case contemporanee e interessate nell’argomento : la famiglia del re Arduino, i conti di Ventimiglia, quelli di Lumello, ecc. Del resto, se lo stipite della Casa di Savoia, prima del barone Carutti era stato non più che adombrato, ora può dirsi veramente che questi ha saputo ritrarne una ben distinta persona, riferendo per intero i documenti che lo riguardano. Oltre di che 1’ egregio storico é risalito, almeno per induzione, ai collaterali di Umberto ed a quel loro ascendente, il quale, come i dinasti contemporanei, dee avere acquistata durevole potenza scacciando i saraceni. Provata dipoi la italianità della Casa, e confutate le ipotesi contrarie, egli scende all’esame di ciò che ha tratto ai figli ed ai nipoti di Umberto, fino a che colla contessa Adelaide e col pronipote suo Umberto II si giunge alla i i (i) Carutti, II conte Umberto I e il re Ardoino; Roma, 1884. — 3 28 — storia ferma e chiara dei marchesi c duchi di Savoia Passando a discutere su la famiglia del ,e Ardir Il Carutti combatte l'opinione di coloro che lo vol erò disceso dagli Ardumici di Torino; mostrando che si ha invece da rintracciarne l'origine dai marchesi d'Ivrea Sia per mezzo di Berengario II, com'egli avea già cercato di provare in un primo lavoro, o sia per mezzo del (rateilo di Berengario medesimo, come propone di pre-sente, almeno per probabile ipotesi. Alcune appendici rischiarano infine varie quistioni le quali addimandano esami speciali ; e per fermo la più importante dee dirsi quella che ricerca se sieno una o più le Adelaidi che sposarono il duca Ermanno di Svevia, il marchese Enrico di Monferrato e il conte Oddone di Savoia. Al quale proposito l’autore, con vigorosa argomentazione , conferma l’antica credenza della unità di persona, confutando il Provana e il De Sonnaz che sostennero la contraria opinione. Da canto suo il Desimoni, lodato l’autore per la sostanza e 1 eletta forma del volume, esponeva alcune considerazioni sul vantaggio che ci deriva da studi si fatti, i quali per quanto possano parere inamabili a chi si tenga pago di uno sguardo superficiale, hanno pure la loro attrattiva e sovra tutto esercitano grandissimo influsso su la storia vera e pratica delle vicende oscure del medio evo. Dove, ad esempio, richiedono pecu-liaie attenzione le quistioni che si ragguardano alla primogenitura e ai diritti delle femmine nella signoria della Marca e del feudo ; diritti quasi generalmente negati, non é gran tempo, ed ora invece quasi generalmente ammessi ; sebbene non^ siano da disconoscere le - 329 - eccezioni nei singoli casi, determinate dall’ ingerenza imperiale. Altre origini ci occuparono ben cinque tornate, senza che il tempo sembrasse soverchio. Trattatasi invero dei Conti di Lavagna, argomento vastoper la materia, e di importanza capitale nella storia ligustica ; talché a ragione aveagli consacrato l’ingegno paziente e indefesso Enrico Bianchi, di cui ci dorrà sempre la morte immatura. Fu il collega Ignazio Reta che, mosso da pietà verso il congiunto, presentò il diligente lavoro, e ce ne diede lettura. In sostanza l’autore si era proposto l’assunto di derivare i detti Conti dal ceppo degli Adalberti, e di studiare poi le loro molteplici ramificazioni, cercando quale fra esse abbia in origine primeggiato per l’antichità del cognome, l’anteriorità dei domini e della potenza, la copia dei documenti. Ciò premesso, avvertiva come i Fieschi, ai quali oggimai ricorre il pensiero sempre che ci avvenga di rammentare i Conti di Lavagna, non abbiano assunto il cognome avanti la metà del secolo XII. Nè prima che il successivo toccasse il suo mezzo ebbero potenza e domini, se non in consorzio coi discendenti di Alberto e d’Oberto, fratelli a quel Rubaldo donde appunto essi Fieschi discesero; chè richezze e gloria diedero a questi ultimi due pontefici, rendendoli capaci di vasti possessi acquistati in Lunigiana da que’ vescovi e dai signori di Carpena. Solamente i Bianchi mostrano in sé raccolti i tre accennati caratteri ; ed essi solo possono anche venir designati come unico anello di congiunzione fra i Conti e la grande famiglia degli Adalberti. Ma seguitare l’autore nel sottile ragionamento condotto a sostegno della tesi, qui non mi é dato: egli Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.‘, Voi. XVII. 22 ha fatto tesoro di quanto nelle vecchie carte, e negli antichi e moderni scrittori parea fornirgli elementi di prova; e Voi lodaste le tavole nelle quali colla pazienza di un benedittino e l’intelletto dell’artista, tracciò le vicende della nobile progenie e l’ampiezza de’ feudi da lei governati. Ben vi parrei timido amico del vero, qualora non toccassi le discussioni che accompagnarono e seguitarono la lettura. No : tutte le teoriche escogitate dal Bianchi non sembrarono in eguale misura basate solidamente, e felici. Il Desimoni, per esempio, di cui tutti conoscono l’alta competenza in sì fatte disquisizioni, non può ammettere col Bianchi la consanguineità dei Conti di Lavagna coi Marchesi di Parodi e di Massa, considerando la dissomiglianza dei loro titoli, e per altre non meno sode ragioni. Fidarsi alle omonimie è troppo pericoloso ; e non basta davvero, a dirli di un medesimo sangue, che tra’ Marchesi di Massa e fra i Signori di Lavagna s’incontrino de’ Bianchi. Né meglio varrebbe la prova della comproprietà, rammentando il condominio che pur si verifica nel contratto enfiteutico, dove il direttario e 1’ utilista, comecché condomini, possono non essere e ordinariamente non sono consanguinei. Dal socio corrispondente dottore Guglielmo Heyd ci venne fornita una Nota sul commercio delle città tedesche del Sud con Genova nel medio evo; donde risulta come i primi e certi indizi di cotesto commercio salgano alla metà del secolo XIV. Ma per lo scorcio di questo medesimo secolo, già si hanno informazioni preziose nella cronaca di Ulman Stromer. Al 1417 appartiene inoltre una ambasciata venuta di Germania a Milano ed a Genova, per ottenere ai mercanti tedeschi la nn- - 331 — novazione dei privilegi ond’ essi aveano già goduto fra noi quaranta o cinquant’ anni avanti. Le città che principalmente esercitavano con Genova il traffico, erano quelle di Norimberga, Augusta, Ulma, Costanza, Raven-sburgo; e il loro commercio durò fino a tanto che Genova, travagliata dalle fazioni degli Adorni e dei Fre-gosi, e ripetutamente assediata da eserciti stranieri, non potè più guarentire ai mercanti esteri la tranquillità e la sicurezza nel territorio della Repubblica. Allora eziandio ì privilegi vennero posti in dubbio da violenti governanti, e impunemente disconosciuti da cupidi gabellieri. Solamente questa condizione di cose ebbe termine, allorché Genova si acconciò sotto il dominio di Francesco e poi di Galeazzo Sforza. Nel 1466 i mercanti tedeschi deputarono a Genova Enrico Fry di Costanza, affinchè si accordasse col governatore ducale e cogli anziani sopra varie richieste, donde ebbero vita le Conventiones Alamannorum promulgate il 23 dicembre di quell’anno. Le quali presuppongono la esistenza fra noi di un consolato tedesco ; e certamente furono cagione che molti qui trasferissero la residenza. Tanto é vero, che Michele Priuli, nel 1501, scriveva non senza maraviglia, come oltre ai particolari, ben quattro società commerciali tedesche prosperassero allora in Genova, e per mezzo delle galee genovesi facessero coll’Oriente il commercio del rame (1). Queste nella sostanza le precipue notizie adunate dall’illustre Bibliotecario di Stoccarda ; le quali a me diedero opportunità di soggiungere altri particolari dedotti in ispecie dalle carte dei nostri archivi. Così ci fu nota una (1) La Nota del prof. Heyd fu stampata nel Giornale Ligustico , a. 1885 , pagg, 3-21. - 332 - ambasciata spedita nel 1424 da Genova a Milano e in Germania,pro agendis mercatorum teotonicorum requirendum venire Januam et habere fondicum ; e ne conoscemmo anche appieno il risultato , grazie a tre documenti pei quali si concede a que’ mercanti un fondaco nelle vicinanze di S. Siro, e si promettono loro molti vantaggi in materia di gabelle. Né fra i cittadini di Ravensburgo i quali nel secolo XV dimoravano in Genova, poteva esser lecito a noi di passare in silenzio quel pittore insigne di cui ci rimane monumento preziosissimo il grande affresco della Nunziata a Castello, segnato del 1451; oltrecché più rogiti prodotti dal compianto Alizeri, ci insegnano che Giusto d’Alemagna di conserva con l’arte esercitava il commercio. Proprio nel tempo stesso di Giusto, vivea fra noi anche Nicolò di Egra, capo di una numerosa famiglia, cosi certamente chiamata dal nome della città boema posta sull’Eger; egli stesso acquistava la cittadinanza genovese ; i suoi discendenti venivano onorati di pubblici uffizi, e del 1528 erano iscritti nei De Marini. Del resto l’Heyd si appose al vero, immaginando in Genova un consolato tedesco anteriore al 1466. Un atto del 1463 ci insegna difatti che Paolo Basadonne teneva allora l’ufficio di console, ed era in questa carica succeduto al proprio zio Bartolomeo. Più altri documenti ci mostrano dipoi lo stesso ministero ereditario nei Basadonne fino allo scorcio del secolo XV ; essendo allora venuto alle mani di Giovanni Francesco Spinola, il quale procacciò alla colonia tedesca il beneficio di una loggia particolare. Né della colonia difettano i monumenti religiosi ; figurando essa come una delle quattro nazioni, le quali costituirono la Consorzia di Nostra Donna della — 333 — Misericordia nella chiesa dei Servi, e ne vollero decorata la cappella di leggiadre pitture, d’invetriate a colori e di finissimi intagli (i). Certamente parecchi di noi ricordiamo tuttavia la rassegna fatta nel 1878 dal cav. Desimoni degli scritti concernenti i viaggi tanto contrastati dei fratelli Zeno (2). Ora una nuova recensione del nostro collega ci ha messi al corrente delle analoghe pubblicazioni seguite dopo quel-l’anno. Fra più altre richiamano in ispecie l’attenzione degli studiosi le monografie dei danesi Krarup e Steen-strup, degli inglesi Major ed Irminger, e del celebre viaggiatore svedese Nordenskiòld. Quest’ ultimo si accorda anche in buona parte colle idee sostenute dal recensente nel suo primo studio; e in particolar modo sul punto così controverso della Carta Zeniana, cagione di grande meraviglia per l’esattezza relativa al confronto delle posizioni di un’ isola 0 terra verso 1’ altra. Imperocché dovendosi ammettere, che la precisione di cui si discorre non poteva mai ottenersi da’ sussidi che la letteratura dei principi ed anche della metà del secolo XV sarebbe stata in grado di offrire, é innegabile la conclusione che la Carta illustri un viaggio realmente eseguito. Dal che dissentono tuttavia gli altri autori. Così pensa il Krarup che lo Zeno, scambio della Frislanda, o come or diciamo delle Feroe, abbia visitata la Frisia del Nord (l’odierno Sleswig) ; sebbene non dia rincalzo di prove alla grave affermazione. L’Irminger a sua volta sostiene, che nella rappresentazione della Frislanda Zeniana sia (1) Belgrano, A proposito deir articolo di G. Heyd; in Giorn. Lig., a. 1885, pagg. 81-90. (2) Leggesi nell’ Archivio Storico Italiano, serie IV, voi. ^2, pagg. 389-477. — 334 — invece da vedere l’Islanda occidentale, e cosi i golfi Mòrderò e Suderò della medesima Carta si identifichino nei due grandi seni Breidifiord e Faxafiord. Risponde il Major al suo dotto connazionale, sostenendo le affermazioni delle quali il recensente ebbe campo d’informarci nella prima rassegna ; ma lo Steenstrup non se ne mostra contento, e per conto proprio ripiglia a sostenere le opinioni del Krarup e dell’ Irminger. Solamente, da che queste opinioni si trovano in opposizione diretta fra loro, in luogo della conciliazione nascerà un assurdo. Ed egli stesso lo vede, il dotto danese, e in parte anche lo confessa ; sebbene creda poi di sbrigarsi da quel viluppo, istituendo una distinzione fra la Carta ed il testo che le giova d’illustrazione. Insomma una cosa sarebbe affatto indipendente dall’altra: fu uno sciagurato raffazzonatore, che tentando di metterle in rapporto ha prodotto il caos. Badiamo a lui : il testo indica la Frisia del Nord, come ha presentito il Krarup ; la Carta rappresenta l’Islanda, come l’Irminger ha dimostrato! — Veramente la é un po’ grossa da bere; epperò il recensente dopo di avere allegate nei loro particolari le qui riassunte sentenze, passava a confutarle, mettendo in . chiaro come né la filologia né la storia porgano alcun appiglio per acquistar credito a sì fatte novità. Laonde, non ostanti i vizi che nella Carta e nel testo Zeniani non si possono dissimulare, la verità del loro assieme appare troppo luminosa, perché altri si attenti di revocarla in dubbio. L’onore di Venezia e d’Italia, l’onore degli Zeno e delle loro scoperte, sono e staranno (i). (i) Desimoni, I viaggi e la Carta dei fratelli Zeno, veneziani — Studio secondo. — In Arch. Stor. Hai, serie IV, voi. XVI, pagg. 184-214. - 335 — A proposito di viaggi. — Dobbiamo pure al cav. Desi-moni la conoscenza di una Relazione presentata nel 1758 da alcuni missionari al governo della Repubblica di Genova, e riguardante uno stanziamento di genovesi nella a Georgia Superiore » : nome già attribuito a quella parte del Caucaso che ora dicesi Cartilinea, e che ha per città principale quella di Gori sul fiume Cur. Lo stanziamento, assegnato al « tempo che il Turco s’impadronì dell’impero e regno di Trebisonda », risponderebbe propriamente verso il 1460 ; ma al Desimoni sembra molto più naturale indugiarlo fino al 1475 » allorché per le conquiste dei turchi nella Crimea venne spenta ogni traccia di colonie e domini genovesi in Levante. È noto il terrore che la notizia di questo totale annientamento produsse nella Cristianità; ed è anche noto che allora parecchie famiglie genovesi si dispersero cercando rifugio in varie contrade. Afferma la Relazione che i discendenti di que’ profughi si distinguono fra i pagani aH’intorno col nome di « Cristi »; ma se questo nome possa avere qualche nesso col monte caucaseo che nelle lingue latine é detto « della Croce », e presso i russi, con identica significazione « Krestovaja Gora », potrà giudicarne chi sia informato dell’origine e della data di questo medesimo nome. Frattanto é da notare la consuetudine di essi « Cristi » di celebrare in chiesa l’unica loro festa il 25 dicembre, con « una gran mangiata »; perché se il Natale festeggiasi in tutta la Cristianità, è però noto che i genovesi lo celebrarono sempre e dovunque con dilezione speciale, anche per ciò che concerne la parte materiale (1). (1) Desimoni, Una colonia genovese nella Giorgia Superiore; in Giornale Ligustico, a. 1885, pagg. 141-46. — 336 — Alle scoperte che per opera del marchese Staglieno arrecarono in questi ultimi anni un cosi prezioso contributo alla storia di Cristoforo Colombo, siamo lieti di aggiungere le comunicazioni fatte dal solerte nostro collega intorno alla sorella ed al padre dello insuperato Navigatore. Imperocché se per un atto del 1489 e pel racconto del Casoni era già noto che Colombo aveva una sorella maritata con Giacomo Bavnrello, nessun ragguaglio però si aveva di lei, e né anche se ne sapeva il nome; ora invece un rogito di Giovanni Battista Parrisola, del 26 ottobre 1517, ci insegna che essa chiamavasi Bianchinetta, che già a quella data avea cessato di vivere, e che in merito alle doti di lei vennero ad accordi il marito e 1’ unico figlio Pantalino, ammogliato con Mariola di Domenico Chiegale. Quanto è poi del padre di Colombo, rilevava il marchese Staglieno che se finora la presenza di Domenico in Genova non si era per documenti potuta dimostrare anteriore al 1451 (il che torna a quattro anni dopo la nascita di Cristoforo), ora uno strumento del i.° d’aprile 1439, ricevuto col ministero del notaio Benedetto Peloso, afferma non solo la presenza di Domenico in Genova a quella data, ma implica la necessità della stabile dimora tra noi per l’esercizio della sua professione. Difatti, in vigore di questa carta, Dominicus Columbus filius Johannis, textor pannorum lanae, riceve e si obbliga di tenere presso di sé, per lo spazio di cinque anni consecutivi, un Antonio Leverone del Ponte di Cicagna, a fine di insegnargli la sua medesima professione (1). (1) Staglieno, Due nuovi documenti intorno alla famiglia di Cristoforo Colombo; Giurn. Lig.,in a. 1S85, pagg. 218-2'. E ved. anche Atti, XVII, pag. 125 e 132. - 337 - Allorché Enrico Harrisse, ricevette dalla cortesia del nostro socio i due atti de’ quali io vi ho riferita la somma, ebbe a scrivere che essi « sont, sans contredit, les documents les plus importants pour l’histoire de la famille de Christophe Colomb qu’on ait découverts en ce siècle ». E perché l’eminente Storico avea già stampato nel primo volume della sua opera monumentale, che dove mai si fosse giunti a fissare avanti il 1445 residenza di Domenico Colombo entro le mura di Genova, niun dubbio potrebbe più esistere intorno all’essere ivi nato Cristoforo ; così nel tomo secondo, con lealtà pari alla dottrina, accoglieva nella loro integrità le conclusioni dello Staglieno, confermando pienamente la nascita dello Scopritore del nuovo mondo, accaduta nella nostra città 1’ anno 1446 al più tardi, sì come d’ altra parte avea proclamato egli stesso nel suo testamento : Siendo yo nacido en Genova — della sali y en ella naci » (1). Caussa dicta est, oramai si dovrebbe proclamare per rispetto alla gran lite che su le origini e la patria dello Scopritor genovese si é dibattuta più secoli. Ma vedrete che la ripigliano (anzi 1’ hanno di già ripigliata) i seguaci irresponsabili di una pretesa critica, alla quale è sempre mancato un piccolo requisito: il buon senso. Lasciamo costoro alla professione infelice che si sono eletti, e rinnoviamo il'nostro plauso all’esimio collega; rammentando altresì ch’egli ci die’ pure un altro frutto delle sue felici ed assidue ricerche, nelle Relazioni di Gio- (1) Harrisse, Chr. Colomb, son origine, sa vie etc.; Paris, 1884; voi. I, pag. 220; voi. II, pag. 401-03 segg. — 338 — vanni Francesco D’Oria con Ldoovico Antonio Muratori. Risultò da queste luminosamente confermato quanto egli già per l’innanzi avea scritto (i), essere cioè la Storia di Genova dagli anni 1745 al 1747 opera del citato patrizio, anziché di Francesco Maria D’Oria, al quale pur venne fin quasi ai di presenti concordemente attribuita; e rimase del pari chiarito, che di essa Storia l’autore ebbe commissione per decreto dei Collegi, e per ragioni di alta convenienza politica. — La prima edizione, abbenchè porti la data di Lipsia, seguì veramente in Modena coi tipi di Bartolomeo Soliani l’anno 1749; e fu non solo diretta dal Muratori, ma talvolta condotta e riformata secondo i consigli di lui. E bene il D’Oria avrebbe desiderato che gli aiuti di quel grand’ uomo lo avvessero sovvenuto nell’ altra edizione, che porta la giunta degli anni 1748-49 e la data di Leida, se il Muratori non fosse morto in sui principi del 50, mentre il Soliani indugiavasi tuttavia nei preparativi. Un ben nudrito carteggio illustra i rapporti del nostro patrizio coll’ insigne Proposto di S. Maria Pomposa ; ed attesta che alla elevatezza del carattere ed alla squisita onestà dei propositi, andò inseparabile compagna la stima di cui si tennero a vicenda onorati (2). Eccoci così pervenuti, 0 Signori, al termine dei nostri lavori, cui fe’ suggello con nobili parole il Presidente, rammentandoci il debito che corre a Genova di prepararsi a celebrare il quarto centanario della scoperta (1) Staglieno, Memorie e Documenti sulla Accademia Ligustica di Ielle arti, pag. 22. (2) Staglieno, Lo storico Gio. Francesco D’ Oria ecc.; in Giornale Ligustico, a. 1884 (fase, pubbl. 1885), pagg. 401-15. - 339 — dell’ America. Ma il disegno che si matura in più alte sfere, e non è finora chiarito, potrà tenerci occupati nell’avvenire. Io seguitando a dirvi di quel che si é fatto, ricordo 1’ eccellente assetto delle nostre finanze dimostrato dai rendiconti del Tesoriere approvati nelle sedute del 31 dicembre 1884 e 21 giugno p. p. ; e interpretando i sentimenti dell’animo vostro, rammento con gratitudine gli assegni di lire due mila e di lire mille continuati a favore della nostra Società dal Ministero dell’ Istruzione e dalla Provincia di Genova. Mi allieto di vedere che un bel manipolo di soci nuovamente eletti, sia venuto a reintegrare le nostre file; e più mi allieterei vedendo la virtù giovanile sottentrai e all’ età faticata e stanca. E un mesto pensiero do pure ai colleglli, che la morte ci ha pur voluto rapire. Salutammo al chiudere dei nostri convegni il Comitato promotore della istituzione di una Società Storica Savonese; ma non ha molto, che il Sindaco di Ferrara partecipava alla nostra Presidenza la creazione di quella Deputazione municipale di Storia Patria (1). Entrando con esse in rapporti amichevoli, accresceremo ancora il cambio delle nostre pubblicazioni; delle quali mi pare che, senza offendere la modestia, possiamo dire ciò che Gabriele Rosa dei Commentari dell’Ateneo Bresciano (2): Passerà senza traccia la colluvie effimera del giornalismo ; ma gli Atti della Società Storica Ligure saranno consultati utilmente anche nell’ avvenire. Onde più che in Genova la sua fama splende lontana, come lo attestano i cambi delle Accademie e i doni di molti illustri scrittori. (1) Nota del Sindaco Presidente della Deputazione, in data 5 novembre p. p. (2) A. 1885, p. 262. — 34° — Di due altri argomenti mi é d’ uopo intertenere ancora la benevola vostra attenzione: i nostri rapporti coll’ Istituto Storico Italiano, e la nostra partecipazione al Terzo Congresso delle deputazioni e società storiche italiane. Dopo le adunanze plenarie del gennaio passato, la Giunta Esecutiva dell'istituto ha a più riprese proposti agli undici sodalizi dotati di rappresentanza presso il medesimo, alcuni quesiti d’ ordine particolare e d’ordine generale, scientifico ed economico. La vostra Presidenza ha fatto a tutti ampia e adeguata risposta: di che ebbe vivi e schietti ringraziamenti. Facemmo anche plauso all’ intendimento manifestato in prima dall’ on. Ruggero Bonghi in Torino (3), e poi colla Circolare diramata il 22 ottobre scorso da S. E. Cesare Correnti, di cominciare prossimamente la nuova edizione degli « Scriptores Historiae Patriae; indicando quali autori per la regione ligure sarebbero da aggiungere alla serie Muratoriana, e quali fra gli editi nei Rerum Italicarum sarebbe utile ripubblicare. Naturalmente per quest’ ultimo rispetto non si potevano tacere gli Annali di Caffaro e de’ suoi continuatori; nè si mancò di prevenire 1’obbiezione che al-l’assoluta deficienza del testo Muratoriano, provvide l’edizione del Pertz, eseguita sulla fede del codice originale nel volume XVIII dei Monumenta Germaniae Historica. Imperocché, lasciando da parte che si fatta raccolta sarà sempre accessibile a pochi, si é rilevato piuttosto come la stampa del dotto tedesco non si possa dire in tutto scevra di mende, e non escluda punto i (3) Il discorso dell’ on. Bonghi si legge testualmente prodotto nell’ Archivio della R. Società Romana di Storia Patria, voi. Vili, pagg. 608-14. — 341 — vantaggi i quali risulterebbero da una nuova riproduzione coscienziosamente assistita da eruditi nostrani, e riveduta in ispecie nella lezione dei vocaboli derivati dal dialetto, e dei nomi topografici e personali. Giusto una Nota del 24 corrente ci informa che la Giunta Esecutiva ha presa cognizione delle proposte, e che le sottoporrà all’ esame dell’ Istituto nella prossima tornata generale. Il Congresso Storico ebbe luogo in Torino, com’era stato annunciato, dal 12 al 19 settembre, nel Palazzo di quella R. Accademia delle scienze. Ventitré furono le deputazioni, società ed altri somiglianti sodalizi che vi si fecero rappresentare. Intervennero, come delegati della nostra i soci Desimoni, Staglieno, Francesco Podestà e Belgrano ; come invitati i colleghi Brignardello, Chinazzi, e Francesco Maria Parodi; e in omaggio alle vostre deliberazioni furono presentati alla dotta adunanza cento esemplari della monografia dello Staglieno su la casa di Domenico Colombo. Questa monografia, di cui già vi é noto il contenuto, venne gradita ed apprezzata come l’importanza dell’ argomento e la diligenza dell’ autore ci aveano fatto sperare; e perché fa parte del volume XVII degli Atti di cui è oramai quasi compiuta la stampa, Voi pure la riceverete tra brevi giorni con esso e con l’appendice al tomo XVI, la quale ha provveduto al bisogno di un indice ragionato delle pubblicazioni prima d’ora eseguite. Ebbe la presidenza generale del Congresso S. E. Correnti, presidente dell’ Istituto Storico; ed ebbero quella delle Sezioni Michele Amari e Cesare Cantù, intitolandosi le medesime dai due temi di Bibliografia e di Topo- v — 342 — grafia, che erano stati concordati per la discussione a cura del Comitato ordinatore, che é quanto dire dell’Uf-ficio direttivo della R. Deputazione storica sedente in Torino. Il tema di bibliografia, proposto dalla R. Deputazione torinese in unione alla Società Storica Lombarda ed alla nostra, e di cui fu relatore il barone Antonio Manno, era del tenore seguente: « Studiare i mezzi pratici per la istituzione di una rete storico-bibliografica, che si estenda su tutte le regioni d’Italia, stabilisca comunicazioni e corrispondenze fra le diverse Società storiche e in generale fra i cultori di queste discipline, e promuova la compilazione di bibliografie locali e speciali, di indici sistematici delle pu-blicazioni documentate e di regesti delle collezioni archivistiche ». Il tema di topografia, presentato dalla R. Deputazione Veneta, e intorno al quale riferi il comm. Federico Stefani, era cosi concepito: « Studiare la uniforme compilazione di un lavoro sulla topografia dell’ Italia all’ epoca romana ». Questi poi i risultati della discussione, espressi in due ordini del giorno : Sul primo tema : « 11 Congresso conferma le deliberazioni dei precedenti Congressi, e specialmente quella concernente la Bibliografia delle fonti storiche edite ed'inedite fino al Mille, un saggio della quale fu presentato dalla R. Deputazione Veneta, lodando le pubblicazioni bibliografiche iniziate e compite dalle varie Deputazioni, e specialmente da quella per le antiche Provincie e la Lom- - 343 - bardia ; in questo nel quale sono rappresentate tutte le deputazioni e Società storiche dell’Italia, rinnova l’invito ad ogni sodalizio storico, perchè voglia procedere a una Bibliografia della propria regione, e vi metta mano con saldo proposito ed animo perseverante, riserbando a ciascuna deputazione e società pienissima libertà intorno al metodo della compilazione ». Sul secondo tema : a II Congresso — udite le informazioni offerte a nome della R. Deputazione Veneta sui suoi lavori riguardanti la topografia romana ; udite le dichiarazioni dell’on. Bonghi e di alcuni altri membri delle Deputazioni e Società storiche nazionali ; esprime il voto : « i.° Che sia conciliata l’azione della Direzione generale degli scavi con quella delle singole deputazioni e Società storiche, affinchè con 1’ opera comune si possa riuscire ad ottenere in un periodo non lungo di tempo una completa carta topografica illustrata dell’ Italia alla caduta dell’ Impero romano ; « 2° Che le varie deputazioni e società storiche presentino nel più breve tempo possibile alla Direzione degli scavi, e si scambino fra loro, una relazione delle relative cognizioni nella loro regione ». Molte altre proposte d’iniziativa privata furono pure convalidate dall’Assemblea, avendo per oggetto il ristabilimento della cattedra di paleografia nell’ Università di Napoli, la necessità di ottenere opportune agevolezze agli studiosi che faranno ricerche negli archivi dipendenti dai Ministeri della Giustizia e delle Finanze , e in quello spagnuolo di Simancas ; la raccolta per singole regioni di tutte le pubblicazioni d’ ordine storico — 344 — riguardanti le regioni medesime, e la raccolta nella capitale del regno di tutto il materiale antico e moderno relativo alla storia nazionale italiana; la migliore conservazione dei monumenti, ecc. ecc. Da ultimo i congressisti mossero al colle di Superga, per deporre in quell’ augusta Basilica una corona sulla tomba di re Carlo Alberto, il magnanimo fondatore della prima Deputazione storica italiana ; e ringraziata la Città di Torino per le dimostrazioni di cortese e splendida ospitalità onde li avea del continuo tatti segno, si sciolsero eleggendo Firenze come sede del futuro Congresso indetto fin d’ora per l’anno 1888. A noi giova aver fede che la Società Ligure anche in cotesta riunione potrà degnamente occupare il posto onorevole che i giudizi concordi le hanno assegnato a Milano ed a Torino. L’operosità passata ci crea l’obbligo di non mostrarci da meno nell’ avvenire. ESTRATTO DAL VERBALE DELL’ADUNANZA GENERALE DBLLA SOCIETÀ, il 27 DICEMBRE 1885 Il Segretario Generale, prof. Luigi Tommaso Belgrano, legge il Rendiconto morale dell’ anno accademico 1884-85; nel quale, oltre al fare ordinata memoria dei lavori stati letti nelle varie tornate delle Sezioni, porge notizia delle relazioni passate fra la Società e l’Istituto Storico Italiano sedente in Roma, nonché dell’ intervento dei Rappresentanti di essa Società al Terzo Congresso Storico tenutosi in Torino dal 12 al 19 Settembre p.p. La lettura del Rendiconto è approvata dall’Assemblea, e seguita da unanimi applausi. Il Segretario Generale legge un Rapporto, nel quale pei incarico del Consiglio di Presidenza rende conto, anche a nome dei colleghi intervenuti con lui al Congresso in Torino, delle accoglienze oneste e liete che essi vi ricevettero, segnatamente per parte della Presidenza di quella R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria; e propone, a nome dello stesso Consiglio, un voto solenne di ringraziamento da spedirsi alla medesima. — 346 — Segue dipoi, accennando alla recente legge in forza di cui 1’ Università di Genova venne pareggiata a quelle di primo grado; e parimente propone un ordine del giorno, con che la Società esprimerebbe la più viva riconoscenza verso le Autorità, gli illustri Personaggi e la Stampa, ai quali va dato merito dell’esito favorevole sortito da essa legge nei due rami del Parlamento. L’ Assemblea, unanime, delibera in primo luogo l’invio del telegramma seguente: Presidenza Deputazione Storia Patria Torino. Società Ligure, inaugurando annuali tornate, udita relazione Delegati terzo Congresso Storico, esprime gratitudine perenne splendide accoglienze loro fatte, congratulandosi esito felice dotta adunanza. Gavotti, Presidente. In secondo luogo, ed egualmente all’ unanimità, approva il seguente ORDINE DEL GIORNO La Società Ligure di Storia Patria, nella solenne adunanza inaugurale del suo vigesimotta.vo anno, addì 27 Dicembre 1885, CONSIDERANDO _ Che allora in cui le leggi del 13 Novembre 1859 e 31 Luglio 1862 vennero a scemare il decoro e l’importanza della Università di Genova, Lorenzo Isnairdi nel seno di questa Società sorse ad illustrarne dottamente la Storia, poi continuata da Emanuele Celesia, col generoso intendimento in entrambi di rivendicarne i diritti; Che la legge sanzionata da S. M. il Re il giorno 13 del corrente mese ha provveduto alla giustizia, richiamando il patrio Ateneo al primitivo splendore ; - 347 - Che la stessa legge, dando sicurezza di vita alla Facoltà filosofìco-letteraria, riaccende tra noi la face degli studi, donde in ispecial modo le Società storiche attendono largo sussidio all’opera loro; DELIBERA UNANIME Che sieno rese vive azioni di grazie : Al Governo del Re, nelle persone delle LL. EE. il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della Pubblica Istruzione, nonché al suo Rappresentante il Prefetto di Genova, pel validissimo appoggio prestato alla legge ed alla convenzione che ne dipende ; AH'ex-Ministro Guido Baccelli, fautore caldissimo dei progressi della Università Genovese; Al Presidente e al Consiglio Provinciale, al Sindaco ed al Consiglio Municipale di Genova, i quali sostennero sempre la causa del Ligure Ateneo, e diedero prova di savia liberalità fornendo i mezzi opportuni al suo pareggiamento; Al Professore Riccardo Secondi, il quale con zelo e costanza indefessi, come Rettore e come Senatore, propugnò la medesima causa, ed affrontando con senno e fermezza le opposizioni, serbò viva in tutti la fede nel trionfo tinaie; Ai soci Senatori Andrea Podestà e Cesare Cabella, e al Senatore Girolamo Boccardo, i quali coll’ autorevole, efficace e brillante parola combatterono per l’onore di Genova e della Scienza; A tutti i Deputati e Senatori, che colla parola e col voto assicurarono alla legge 1’ esito favorevole riportato nei due rami del Parlamento ; Alla Stampa cittadina e italiana la quale mantenne, confortò e diffuse la pubblica opinione. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO Albo Accademico per 1’ anno 1884-85.......pag, 5 Statuto della Società..........» 49 Norme regolamentari per la nomina dei Soci onorari e corrispondenti » 61 Belgrano, Elogio di Antonio Crocco.......» 63 Staglieno, Sulla Casa abitata da Domenico Colombo in Genova . » ni Belgrado, La lapide di Giovanni Stralleria e la famiglia di questo cognome...........» 192 Belgrano, Cinque Documenti genovesi-orientali.....»221 Alfieri, L'Ogdoas, Episodi di storia genovese nei primordi del secolo XV, pubblicati da A. Ceruti......» 253 Belgrano, Rendiconto Morale dell’anno accademico 1884-85 . . » 321 Estratto dal Verbale dell’adunanza 27 dicembre 1885. ...» 345 ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XVII PRIMO DELLA SECONDA SERIE FASCICOLO II. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCLXXXVI LETTERE DI CARLO VI RE DI FRANCIA E DELLA REPUBBLICA DI GENOVA RELATIVE AL MARESCIALLO BUCICALDO PUBBLICATE DAL SOCIO Dott. ANTONIO CERUTI bblicare Y Ogdoas di Alberto Altieri (i), nostra intenzione di allegare a quello :to due lettere patenti di Carlo VI di icia, che demandavano al maresciallo Giovanni Le Meingre, detto Bouciquaut, il titolo e i poteri di governatore e suo luogotenente in Genova. Quelle lettere trovansi apografe in un Codice della Casanatense. Ma la chiusura di quella Biblioteca e la conseguente inchiesta ritardarono troppo, per poter essere allegati al Y Ogdoas, la copia di quei documenti, che ora finalmente compaiono staccati in questo volume a titolo di curiosità storica. Quel codice del secolo XV porta il titolo di Formularium Joannis Vicecomitis duca di Milano, figlio e successore di G. Galeazzo, e contiene raccolti e trascritti molti atti della Cancelleria ducale di quel principe (non (i) Atti, XVII. 253. Litierae Caroli regis Francorum, quibas foannem Moingrium instituit gubernatorem ac dein sui locumtcnentem Genuae. I. GUBERNATOR JANUAE PRO REGE FRANCORUM. Karolus Dei gratia rex Francorum, dominus Januae, universis praesentes litteras inspecturis salutem. Ad reparandum et in melius reformandum regimen clarissimae civitatis nostrae Januae distri-ctusque et territorii ac pertinendarum ejusdem, ac etiam ad tutamen dictae nostrae civitatis et totius dominii nobis ad causam ejusdem pertinentis, quam quidem civitatem nostram civesque et incolas ipsius nostros subditos et fideles furibunda petulantia nonnullorum datoris totius iniquitatis et humani generis inimici virulenta propinante malitia non modicum hactenus, quod multum nobis displicuit et merito perturbavit, sicut decet, nostrae solicitudinis aciem, salubriter providere cupientes, et personam ad hoc idoneam eligere, cuius provida discretio solersque diligentia sciat, possit et velit in eadem nostra civitate illicita refrenare, refrenata pacifice dirigere, directa tueri, et quae minus debite acta sunt, ibidem temporibus praesentibus aequo justitiae libramine, cum moderamine tamen pietatis et dulcedinis, ad statum reducere debitum, pacificum et tranquillum, super hoc pluries cum praecarissimis patruis et germano nostris Bitturiae, Burgundiae, Aurelianensi et Borboni ducibus plu-ribusque aliis principibus de genere nostro et aliis proceribus regni nostri consultationem habuimus, et demum ad personam dilecti et - 35 5 - fidelis militis et consiliarii nostri Johannis de Moingre dicti Bou-ciquaut marescalli Franciae, viri utique generosa prosapia progeniti, in armis strenui, moribus instructi et ornati, consilioque pollentis direximus quoad hoc oculos mentis nostrae. Ideoque notum facimus, quod nos de ipsius militis et consiliarii nostri virtuosis actibus et diligenti solicitudine plene informati, et de ipso gerentes in his et maioribus fidutiam spetialem, ipsum gubernatorem jamdictae civitatis nostrae Ianuae districtusque et territorii ac pertinendarum ejusdem ubicumque stantium facimus, constituimus et ordinamus, sibique regimen, gubernationem et conservationem ipsius civitatis ac districtus, territorii et pertinendarum praedictarum committimus per praesentes cum ejusdem gubernationis officii, potestatis et administrationis plenitudine et cum ceteris honoribus, praeheminentiis, stipendiis, juribus et emolumentis ad ipsum officium spectantibus et quae ad illud possunt et debent quomodolibet pertinere; dantes eidem militi et consiliario nostro plenam, liberam, generalem et absolutam potestatem omnia et singula faciendi et exercendi, quae ad gubernationis officium supra-dictum pertinent. Mandantes etiam et districte praecipientes harum serie omnibus subditis nostris ad causam nostri dominii januensis cujuscumque status et praeheminentiae existant, quatenus dicto gubernatori in his quae ad dictum spectabunt officium pareant efficaciter et intendant, quoscumque nobis confederatos, benivolos et amicos, quos idem gubernator pro quibuscumque negociis dictum officium tangentibus et eorum dependendis duxerit requirendos, etiam ami-cabiliter requirentes, quatenus in hoc sibi praebeant auxilium, consilium et favorem. Volumus insuper et mandamus stipendia et alia jura ad officium gubernationis hujusmodi quomodocumque spectantia eidem militi et consiliario nostro per illos quorum interest plenarie persolvi, ac etiam in solventis vel solventium computis et rationibus integraliter allocari. Datum Parisiis, XXIII Martii 1440 (1400). - 3)6 — II. LOCUMTENENS IN JANUA PRO RUGIi FRANCORUM. _ Karolus rex Franchorum universis praesentes litteras inspectu ris salutem. Licet dilectum et fidelem militem et consiliarium no strum dom. Johaimem de Moingre dictum Bouciquaut Mare scallum Franciae per alias litteras nostras gubernatorem civitatis Januae districtusque, territorii et pertinendarum ipsius fecerimus et ad regimen dictae nostrae civitatis civiumque et districtualium ejusdem fidelium nostrorum duxerimus ordinandum; quia tamen circa regimen antedictum multa possent quotidie contingere, quae ampliori gubernatoris auctoritate forsitan indigerent, et a&d quae in promptu propter locorum distantiam de competentibus remediis secundum casuum exigentiam, sicut esset expediens, providere nequiremus; nos ad hoc ne praedicta nostra civitas civesque et di-strictuales praedicti damnorum multorum, quae ex hoc eis valerent in futurum succrescere, dispendia patiantur, solicitae provisionis antidoto providere cupientes, de magnitudine fidelitatis diligentiaque et piobata providentia in commissis, quibus personam dicti consiliarii ab experto cognovimus exornari, specialiter confidentes, ipsum locumtenentem nostrum in civitate nostra praedicta districtuque, territorio et pertinentiis suis omnibus ubicumque constitutis et in cunctis partibus, ubi dominium nostrum Januae se extendit, facimus, creamus, ordinamus et constituimus per praesentes, dantes et concedentes eidem harum auctoritate plenam, liberam et generalem potestatem praesidendi nostro nomine et pro nobis, ubicumque dominium nostrum Januae se extendit, ut praefertur, consilia congregandi et tenendi, et ad ea quascumque personas cujus-cumque status et praeheminentiae sint nobis subditas evocandi et conveniendi mandandi, quoscumque iustitiarios, castellanos, capi-taneos, stipendiarios et alios officiales pro regimine, custodia et tuitione dictae nostrae civitatis, terrarum et locorum nobis ad causam dominii ipsius subditorum creandi, ponendi, ordinandi et instituendi, ipsosque, quotiens sibi placuerit, ab officiis et stipendiis hujusmodi suspendendi, cassandi et destituendi; quaecumque homa-gia et fidelidates ac juramenta nobis et comuni Januae singulariter - 357 — et divisim praestari debita recipiendi et recipi faciendi, renuentes ea facere ad faciendum et praestandum compellendi; cum omnibus subditis , vassallis et conventionatis dictae nostrae civitatis ac co-munis Januae, etiam et cum quibusvis universitatibus et comunita-tibus civitatum, castrorum, villarum et opidorum aliisque quibuscumque personis ubicumque constitutis, quae ab obedientia dictae nostrae civitatis et communis Januae se subtraxerunt, ut ad obedien-tiam nostram et dictorum civitatis et communis Januae revertantur et redeant omnibus viis et modis opportunis et possibilibus tractandi, easque et eos nec non quoscumque alios ad dictam obedientiam nostram venire volentes, et ad ipsam per tractatus amicabiliter, si fieri poterit, etiam et quoad eos qui a dicta obedientia se subtraxerunt, ut dictum est, vi armorum, si sit opus, reducendi; quascumque conventiones, promissiones et pacta propter hoc faciendi, juramenta quaecumque licita et honesta in animam nostram propter hoc praestandi, et ad tenendum et adimplendum ea quae per eum in praemissis facta fuerint; nec non et bona nostra obligandi, quoscumque bannitos et exules et forescatos a dicta civitate distri-ctuque et territorio ipsius et in ipsis et ad ipsos et ad ipsam revocandi, eisdemque et aliis quibuscumque per generalem abolitionem, vel ad omnes et singulas offensas, rebelliones, inobedientias, incendia, homicidia, raptus et omnia alia et singula crimina et delicta per eos et eorum quemlibet contra rempublicam dictae nostrae civitatis et aliter perpetrata et commissa indulgendi, quie-tandi et remittendi, ipsosque ad civitatem nostram, districtum et territorium praedictum eorum famam, patriam et bona confiscata et non confiscata, prout sibi pro pace et securitate dictae nostrae civitatis communisque, habitantium et districualium praedictorum expedire viderit, restituendi; locumtenentem pro se et loco sui in dicto gubernationis officio in dicta nostra civitate districtuque, territorio et pertinentiis suis praedictis auctoritate nostra, dum et prout sibi placuerit, ordinandi et instituendi, ipsumque etiam dum voluerit revocari ; quascumque ligas, confederationes et conventiones cum quibuscumque dominis, universitatibus et communibus pertinentium praedictarum nobis pro securitate dominii nostri praedicti civitatique et communi praedictis accomodas tractandi, ineundi et firmandi ; et - 358 - generaliter omnia alia et singula faciendi, quae ad officium l0Cum-tenentis quomodolibet spectant, et quae nos ibidem faceremuTsi personaliter interessemus, absque tamen alienatione dominiorum nostrorum et dicti comunis iuriumque dominii nostri supradicti • mandantes omnibus nobis ejusdem dominii nostri ratione subiectis’ quatenus dicto consiliario et locumtenenti nostro tamquam nobis in omnibus pareant efficaciter et intendant, quoscumque nobis confe-deratos, benivolos et amicos amicabiliter requirentes, ut eidem militi et consiliario nostro in omnibus officium praedictum tangentibus, de quibus ipsos duxerit requirere, praebeant consilium, auxilium et favorem. In quorum etc. III. Litterae Caroli VI regis Franciae ad Januenses. Carolus Dei gratia Francorum rex et dominus Januae. Universis et singulis, ad quos sive quorum noticiam has praesentes earumve continenciam pervenire continget, salutem. Cum, prout publica fama refert testanturque plurimi digni fide, Marchio Montisferrati, Dei timore depulso suaeque animae salute rejecta, non contentus quod subdole ac cum proditoriis nefandissimisque cautellis et ma-liciis perquisitis, civitatis, dominii districtusque nostrorum Januen-sium de facto nuper dominium occupavit, in ipsiusque usurpatione illata publice super Evangelia sancta Dei, ut suum intentum nequissimum valeret facilius sub ficticiis adinventionibus perimplere, juravit, atestando quod dilectus et fidelis consiliarius et cambelarius noster Johannes Lemengre miles Franciae malescalus, ac pro nobis in jam dictis civitate, dominio ac districtu nostris Januensium gubernator, qui de novo se ad Mediolani et certas alias Italiae partes utilitate ac bono contulerat, vitam ibi amiserat corporalem, ej usque prorsus destructa fuerat comitiva, detestanda cumulans mala malis, adhuc asserere mendositer non pavescit, quod si ante tacta factura forent, ipsa daret effectui; et praesertim cum praetendat, quamvis falso, eadem nostri ex voluntate fecisse meremus, Nos de praelibato dominio non curare, quodque carissimus noster consanguineus dux Burgundiae sibi scripsit saepius et mandavit quod - 359 - in inceptis continuet ; nam eundem super haec substinebit et probabit , adeo quod nos contenti erimus, habendo eadem tamquam grata. Nos igitur ne talibus nugis ficticiisque coloribus fides atque credentia praebeatur a quocumque, quin imo intentionis ac voluntatis nostrarum et jamdicti nostri consanguinei Burgundiae ducis veredica et a rectitudinis semita nullatenus devians, super et de his inexhitabilis appareat et perveniat certitudo, vobis et vestrum singulis praesentium serie intimamus, testificando sub certo nos dictum consanguineum nostrum Burgundiae ducem, uti dominus consanguineus noster nobis veraciter affirmavit in hac occupatione, usurpatione, mendatiis, coloribus, adinventionibus et ceteris, quae per dictum marchionem facta et aserta sunt, ut praefertur, vehementer nec immerito displicentiam assumpsisse. Horum protestu marchionem ipsum et quospiam Januenses, qui sibi super hoc adhaesisse, subvenisse ac favorizasse adhaerereque ac dare auxilium, consilium vel favorem noscuntur, pro nostris malivolis, rebellibus et inimicis; nec non Januenses hujusmodi tamquam erga nos proditores et a fidelitate ac juramento, in quibus nobis districti erant, devios et perjuros notorie reputando, ipsosque sicut tales haberi volumus ubilibet et teneri, atque ipsis alterique eorum in et super praetactis nullimodam adhiberi fidem, sive alicui ex eisdem aut ipsorum mandatis et jussionibus comodolibet odediri. Quinimo si aprehend; valeant per nostros offitiarios et subditos qualescumque, ordinamus et praecipimus una cum ipsorum bonis quibuslibet eos capi, arestari et sub fida duci custodia, nobis sive gubernatori praefato mittendos secure aut tradendos, prout casus exigerit, punituros. In cujus rei testimonium sigillum nostrum praesentibus litteris duximus apponendum. Datum Parisi lis, die quinto novembris anno Domini MCCCCVIIII et regni nostri XXX. ■ Per regem ad relationem magni consilii, in quo cardinales de Barro, rex Navarrae, domini duces Buturiae, Burgundiae, Olandiae et Borboni, comes sancti Pauli, archiepiscopus ravan..... et plures alii erant. Amen. IV. Sacrae et excellentissimae rkgiae majestati i-rancorum. Videre jam videmur, excellentissime regum, apud regias aures dominum Johannem Lemengre dictum Bunciquaum in partibus citra-montanis regium locum tenentem immeritum et Januensium pro sacra majestate vestra gubernatorem indignum, ut cum gratitudine regia suaque pace loquamur, injustas de nostra innocentia susurare querelas. Sed nil facilius quam absentem, licet insontem, accusationibus deterrere. Quid enim potest innocens coram tantae majestatis aequitate timere, quae legum proverbio utens utramque dignabitur audire partem, nec praeveniens actor in judicio derogabit juri respondentis? At equidem non autumamus eundem ausum nisi per procuratorem ante regiam sublimitatem parere suorum pavidum scelerum ineffabilium, quae omnia seriosius enarrare longissimum foret. Verum pro causa nostra ex acervo demeritorum suorum aliqua brevi perstringemus stylo. Hic Bociquaus in suae gubernationis primordio Januam adveniens , licet favore regio, nostro tamen fulcitus robore armorum et pecuniae, observantiam nostrarum conventionum, prout tenebatur, jurare neglesit, jam animo concipiens in cives saevam exercere tirannidem. Hoc substulit nostra devotio intuitu celsitudinis regiae, in qua tota nostrum pendebat spes, ob cujus reverentia inde graviora perpessi sumus; eundem humillime non ut gubernatorem sed regem coluimus , continuo sibi suaeque gubernationis stipendio triplicato; et quos honores, quae munera, quas congratulationes sibi suaeque consorti velut notissima satis explicare non expedit, ut nil grandius, nil decorabilius ipsi majestati regiae potuissemus efficere. Tantorum ergo ingrata mens ejus altiora recogitans, quorumdam allectus blanditiis, intendere ad obtentum cyprici regni, ut se ipsum regem efficeret, cum maxima nostrum impensa magnum et praepotentem contra paravit exercitum, nobisque invitis se personaliter transtulit potentissima navium et galearum equitumque classe communitus; talisque fuit eventus, ut debuit, quod cypricis muneribus captus contra regem illum bello non usus est, imo turpibus initis foederibus inter ipsum regem et comune nostrum, maximam auri et argenti copiam nostris civibus — 36i - ab eodem rege debitam depositario nomine tenuit, in proprium usum proinde conversam; rediensque cum exercitu ipso pene morbis assumpto, insultum a Venetorum classe incauptus substulit, unde conflictum stragemque nobis ac inter hanc patriam et comune Venetiarum scandalum reportavit; et restaurata statini utrinque pace, tamquam latro subdolus nobis insciis contra Venetos eosdem in mari praedam committi jussit, praedam sibi abjudicans, quod in dispendium nostrum indigne redundat, dum suis culpis sub illustri domino Sabaudiano comite ambarum partium arbitro pro ipsis Venetis contra nos florenorum quatuor et nonaginta milium sententia licet iniqua prolata sit. Ecce optima virtus gubernatoris, ecce laudanda pastoris provisio, qui pro tanto rege gubernans tot scelerum, tot noxarum pervicax non erubuit. Sed nec divinum evadet juditium nec regiam censuram tantorum excessuum caterva. Civibus equidem januensibus omnibus e domibus arma auferri jussit publico recondenda palatio, ut tutius emineret tirannus, quorum armorum valor ultra centum milium florenorum attingebat summam ; ex quo Januensium virtus solita praecipue pro corona illa excellentissima Francorum suis in praeliis laudabiliter agere, usus armorum oblita et pene effoeminata est, armaque illa (heu pudor !) partim aut sublata, aut suo vel suorum officialium commodo fore venundata constat. Quid parvis immoramur? Majora recitari oportet. Urbem pisanam inter urbes italicas famosissimam, auro corruptus immenso, Florentinis subigi inhumanis permisit; nec his opus est testimonio, quae caelo et hominibus patuere. Adsit solum illustrissimus Burgundiae princeps et dux pro Pisanis apud diadema regium intercessor, cujus legatus dom. Girardus de Borbonio isthac pro-pterea festinatus , quid nisi fraudes et dolos ab eodem gubernatore, imo potius destructore nostro potuit obtinere, voto frustratus Pa-risius rediens ; quam ob rem quae Deo ingrata, quae miserandis Pisanis (proh dolor 1) evenerint obticemus, ne lachrimis pietas regia torqueretur. Ommittimus singularum personarum caedes, damna et injurias elloqui, quibus tam in civili quam in criminali atrocissima suae iniquitatis rabies, Deo jureque spretis, delectata est. In creandis et eligendis officialibus communis nostri non merita civium, sed munera diligenter examinans, a rege Laudislao hoste celsitudinis vestrae nuntios et legatos secrete suscepisse comperimus omnia temptantem ut extremae suae avaritiae morem Offert sese tot pravitatum cumulis domini Gabriellis Mariae Vi-cecomitis miserabile fatum, quem in Janua falso accusatum ob seditionem solum decollari censuit, reliquis absolutis complicibus ut ejus amplissimam haereditatem rapax absorberet. Ac ne qua pars probri sibi intentata vacaret, non solum in corporibus sed animabus dispendia struxit, dum pretio auri flexus contra conventiones nostras totam januensem nationem domini Petri de Luna sismatici obedientiae coegerit, unionis Ecclesiae sanctae causam alliciens. O virum vita dignissimum, o saluberrimum corporum et animarum medicum, utinam tantis meritis debita reddantur praemia! Hic octo fere annis hanc gubernavit, imo verius vacilavit urbem, maximis subiectam calamitatibus et aerumnis, cujus vires et peccunias exhausit in tantum ut languenti flobotomato reddatur similis, ultra scilicet summam mille milium et quingentorum milium aureorum florenorum excedente impensa peccunia, quae nec tanta restat huic patriae aere et commerciis vacuatae; innumeras enim pecunias et tesauros sub nomine regiae camerae a civibus acriter exigisse patet, de quibus magistri rationum ipsius camerae nullam, ut credimus, unquam liabuere noticiam. Verum ne prolixitate regias aures detineamus ulterius, mores istius nefandissimi Bociquai, et quae instanti anno patravit, quam breviter expediemus. Hic omnium mortalium arrogantissimus et immitis est, sicut superbiae, ita et suae sororis avaritiae filius praestantissimus, atrox, sagax, inquietus, mendax, versipelex, licet simularet rectum, tamen Dei ac juris neglector fideique fractor, cum opera non sequeretur aspectum. Divitibus ob eorum divitias benivolus et placidus, et pauperibus horridus, quibus nunquam aut raro miserebatur, ad eum aditus erat sub ferreis postibus duro servatis custode, qui regiae celsitudinis vestrae cuique apertissimus est, ut rarissime eidem possit exponi petitio vel querella. Tanta quippe fuit animi sui ellatio, quae superbiae Anibalis statini post canensem victoriam eundem adaequare possumus. Solus in consiliis civium omnia pro libito obtinebat, invitis nobis prae timore coactis, illud tragicum aspernens metrum: Minimum decet libere cui - ^ - multum licet; quod ad non parvam ignominiam nostram accessit , imo quod mirari et obicere possit excellentia vestra, tam enormes injurias et acre jugum perpessa non ausa fuerit sinceritas nostra queri, sed in deterius procidens, et per litteras et oratores nostros contra voluntatem et juditia nostra laudavimus non laudanda, in-visumque tirannum postulavimus nobis praesidere perpetuo. In hac postremo civitate Catalanis aliquot publicam rapinam adegit, inanem obiciens causam, quod Portum marinum soceri sui in Provincia non servassent, cum quibus etiam hanc communitatem inimicam pene effecit, nostrorum non miserator incommodorum , praecipue dum ob argenti cupidinem faverit Vicecomiti Nerbonensi ad obtentum Sardineae insulae, sic quod omnibus mundi nationibus solum culpa sui reddebamur hostes, et nostra qua vivimus industria commerciorum carebamus. Insuper inter nosmet bellum gerere satagebat, impius insulam Chion, diu quibusdam claris civibus nostris a communi nostro comendatam, bellis et injuriis opprimendo. Sed quis calamus scribere, quae lingua digne proferre possit tot scelera, tot incommoda? Tandem nec amicorum nec inimicorum civium consilio adhaerens, praesumpsit quod vix imperatori aut regi licuisset pennis icariis volitare, et quod aegrum et molestissimum nobis erat, nostris peccuniis nostrisque stipendiis alienas subjugare provintias, discordem Lumbardiam variis subjectam tirannis paccare simulans, oppinansque alios vincere, qui se nec sua vincere vitia poterat. Demum nos inde gementes et inermes deseruit, Mediolanum profectus cum equitibus sex milibus ; quo absente, temporis opportunitate captata, aemulas suus et noster comes Blandrate, Facinus Canis hinc et isthinc illustris dominus Marchio Montisferrati nostrae servituti compatiens et ipsius Boci-quai lacessitus injuriis, cum potenti comitiva equitum peditumque ac ruricolarum nostrorum praesidio urbem istam obsederant, clamantes domini Bociquai superbum propelli regimen. Nos quoque non parum et merito perterriti, timentes ipsam civitatem facile ab ipso comite expugnari et praedae committi, eodem statim sua sponte illinc abmoto comite, nostrae saluti providentes, ipsum illustrem dominum Marchionem velut coacti in civitatem advocavimus, quem in capitanium pro magnifico Comuni nostro per — 364 — annum unum elegimus, quemque vestrae majestatis carum et beni-volum arbitramur, dispositi semper ad omnia concernentia regiae coronae decus et gloriam. Has equidem litteras omni veritate refertas pro celeritate rei praemisimus, ore potius nostram relaturi querelam , ita quod ipse dominus Bociquaus a nobis non expulsus est, imo se ipsum expulit regii contemptor honoris. Quocirca clementissima benignitas vestra dignetur, quaesumus, tum pro justiciae cultu, tum honore proprio, dictum nefandissimum Bociquaum, tot patratorem scelerum, tot malorum causam, tot vitiorum vas capacissimum, aut mundo propellere, aut digna de meritis castigatione mulctaie, nosque fidelissimos servitores inclitae majestatis vestrae solita et multo maiori caritate et benivolentia confovere. DESCRIZIONE DI UN AQUILINO D’ARGENTO E CENNI DI ALTRE MONETE GENOVESI PEL SOCIO CORNELIO DESIMONI Atti Soc. Lig. St. Patri*. Serie 2.*, Voi. XVII. 1 qualche anno che nelle nostre adunanze on fu ragionato di monete genovesi ; pur on abbiamo tralasciato, insieme agli amici, i vegliare sulle nuove apparizioni che si andassero traforando fra i mercati nel frattempo avvenuti ; dolenti ogni giorno più, che troppo prematuramente ci sieno mancati i più caldi sostegni della nummografia genovese, quali erano l’avv. Gaetano Avignone e il signor Luigi Franchini. Dopo le mie parole sull’ unico scudo d’ argento di Luigi XII (i) e la benevola discussione intorno ai de- .(i) 1 più antichi scudi d’argento della Zecca di Genova; in Giornale Ligustico, ;i. 1877, pp. 385-415. — 368 — nari minuti col sig. Maggiore Giuseppe R uggero (i), potemmo raccogliere, se non nuove monete, nuove notizie; e prima su di un quarto di ducato genovese del re di Francia Carlo VI, che vedemmo in questa città e che si potrebbe quasi qualificare unico, sebbene già edito dal-l’Hoffmann (2). Seppimo poi dal cortese e peritissimo nostro amico, il Sig. Enrico Hirsch di Monaco, essere stato posto in vendita un genovino d’oro di Tommaso Campofregoso come Doge XX (3), che sarebbe unico anch’esso a nostra cognizione ; mentre sono comunissime le altre sue monete come Doge XIX e Doge XXI. Tale qualificazione di Dux XX non può non imbarazzare i nummografi, i quali per teoria applicavano la cifra XX ad Isnardo Guarco, che fu doge per sette soli giorni dal 28 marzo al 3 aprile 1436, e venne cacciato di sede appunto dalle mene ambiziose di Tommaso Campofregoso che gli successe. Si sa che quest’ ultimo era stato Doge dal 3 luglio 1415 al 23 novembre 1421; e a questo suo primo e non breve dogato si applica acconciamente la cifra XIX. Si sa che all’indomani della sua rinunzia del 1421 fu accettato a Signore di Genova il Duca di (1) Sui denavi minuti iella Zecca genovese; in Giornale Ligustico, a. 1882, pp. 209, 226. E ved. la risposta del eh. Ruggero, ibid., pp. 289-302. Dopo scritto il presente articolo, il lodato signore ha riunito le due note in una serie dei minuti d’ogni Governo genovese finora conosciuti, sottoponendoli a diligente ed esatta critica. Vedi Galletta Numismatica di Como, a. 1885, pp. 41-47. (2) Monnaies Royales de France. Parigi, 1878, p. 51 ; tav. XXVIII. (3) Seppi più tardi dal Sig. Ruggero, e trovai di fatto nella citata Gaietta di Como (1884, p. 9) pubblicato da lui questo genovino, che deve conservarsi nel ricco medagliere del compianto march. Castagnola. Nella stessa Gaietta (1883, p. 67) egli pubblicò pure il grosso di Tommaso Campofregoso, inedito fino allora, ma di cui si conoscono uno 0 due altri esemplari. Le monete di Tommaso piti comuni sono i soldini, le patachine (da mezzo soldo) e i minuti (da 12 a soldino). — 369 — Milano Filippo Maria Visconti. Si sa per quale motivo Genova a costui si ribellò il 27 dicembre 1435; ucciso il governatore milanese Opizino d’Alzate. Per allora furono creati come supremo potere i Capitani della Libertà, che durarono fino al 28 marzo, quando, come dissi sopra, fu eletto Isnardo Guarco e sostituitogli dopo sette giorni il Campofregoso. E nemmeno questi fu al tutto tranquillo; perchè il 24. marzo 1437, un anno circa dopo la sua elezione, fu soppiantato per brevi momenti dal fratello Battista; tuttavia venne alla riscossa, vinse, e durò nel dogato fino alla sua nuova abdicazione volontaria il 18 dicembre 1442. Le numerose monete di Tommaso segnate colla cifra Dux XXI, non possono che attribuirsi a quest’ultimo quieto e abbastanza lungo periodo dal 1437 al 1442; ma allora, come si spiega la cifra XX data a lui nel pezzo sovra accennato? Nel modo suo di pensare egli non volle riconoscere i governi intermedi fra i suoi due o tre dogati (1). Ma, anche supponendo che li avesse riconosciuti, la cifra XX toccava ad Isnardo Guarco, oppure al proprio fratello Battista. In fine se egli non riconosceva l’uno di questi due, egli avrebbe dovuto continuare le coniazioni colla prima cifra: Dux XIX. Questa obbiezione rispettabile mi fu fatta dal lodato Signor Ruggero ; ed io non potrei sbrogliarla, se non coll’ac-cennare ad altre anomalie che sono già note e ad altre che pare debbano venir fuori fra poco. Frattanto una delle apparenti anomalie fu spiegata benissimo daH’avv. Avignone. Vi sono monete del Doge XXVII aventi per iniziali del (1) Cosi dice Oberto Foglietta (Historiae Genuensium, a. 1535, col. 223). Tuttavia vedi qui sotto nell’ Appendice, alla data 20 febbraio 1443' — 37° — doge le lettere L. C., ed altre colla medesima cifra XXVII, ma colle iniziali P. A. Lodovico Campofregoso pervenne al dogato il 24 giugno 1461, durandovi fino al maggio dell’anno seguente; ma la fazione contraria, il '12 marzo di quest’anno medesimo, già aveva creato Doge Prospero Adorno. Ecco spiegate le iniziali L. C. da una parte, P. A. dall’altra, pretendenti contemporanei alla medesima dignità; simili in ciò ai Papi ed Antipapi. Ma tornando al nostro caso, non sarebbe a meravigliare, se a seguito di transazioni molto comuni a quei tempi burrascosi, certe ricognizioni di diritti precedenti possano essere state ora ammesse, ora non ammesse dallo stesso Doge successore; oltreché non é escluso il caso d’un errore materiale per inesperienza o svista in un pezzo forse unico, possibilità ammessa anche dal Sig. Ruggero (1). Dette queste cose ad intramessa, perché finora non furono oggetto di discussione che fra pochi e non per istampa, passiamo al soggetto che ci proponevamo trattare di proposito. E questa una monetina di buon argento del peso di grammi 1,30: del diametro di min. 16; che ha nel diritto 1’ aquila imperiale, e nel rovescio la croce nel campo ehtro un circolo di perline. La leggenda intorno (1) Tommaso potè dopo assunto il n. XX averlo cambiato in XXI, punto dalla coscienza dell’ aver egli stesso cooperato prima alla elezione del Guarco (vedi di nuovo nell’Appendice), oppure persuaso da amici in quel tempestoso periodo di combinazioni e sconclusioni. È un fatto del resto, che il pezzo col 11. 20 descritto dal Ruggero e proveniente, io credo, dalla Raccolta Franchini, è a fior di conio, e così sono l’uno e due altri esemplari; dunque non vennero punto o poco in corso. — 371 — corre continuata dal diritto al rovescio; in quello colle parole Fidelium Imperii; in questo con lamie et districtus. I lettori del Giornale Ligustico (i) rammenteranno la descrizione di una moneta con eguali caratteri, inseritavi nell’ottobre 1883 dal Marchese Angelo Remedi. Egli, che ne fu il possessore, dichiarò essere stata rinvenuta la stessa nelle vicinanze di Savona. Si tratta dell’identico esemplare ; ma nel frattempo la novità del tipo, tanto contraria a quelli così uniformi e noti della Zecca genovese, facea tener sospeso il giudizio a numismatici più di noi autorevoli. Ora che essa é comparsa al pubblico elimina ogni possibile dubbio, consola la vista ed il cuore degli affezionati a questi studi. II eh. Marchese non fu pago di descrivere la moneta (senza però darne l’impronta), ma si studiò di spiegare le ragioni politiche di quella coniatura. Trovò tali ragioni nella lotta fra le frazioni guelfe e ghibelline in Genova nella prima metà del secolo XV; inoltre credette a ragione di poter denominare aquilino la moneta, per l’aquila sovra improntatavi, ad esempio dei governi Ghibellini di quel tempo, come da Alberto e da Martino della Scala. Il Remedi traccia a brevi tocchi le vicende genovesi del predetto periodo, cominciando dalla morte di Enrico VII nel 1313, quando vi era per l’Impero governatore Uguc-cione della Faggiola. I Ghibellini sono scacciati e vien posto a Signore di Genova nel 1318 il guelfo Re Roberto di Napoli, il quale vi dura fino al 13 3 3. La pace fra le fazioni era riuscita nel 13 31 ; ma, dopo la decadenza del Re, i Ghibellini hanno il sopravvento e scac- (1) A. 1883, pp. 392 e segg. § L'Aquilino imperiale di Genova. — 372 — ciano gli avversari, creando i Capitani del popolo della propria fazione. L’ autore pensa che a quest’ultima prevalenza ghibellina sia da attribuirsi l’emissione dell’aquilino, e così dal 1334 al 1336. Ora é soltanto su quest’ultimo punto, che io credo dovermi separare dal suo avviso. Il compianto avv. Avignone, nei suoi profondi studi ed acute osservazioni, aveva rilevato nei genovini d’oro certi caratteri che ben converrebbero a riconoscervi la lotta contemporanea delle due fazioni. Sono questi i pezzi colla leggenda: Janua quam Deus protegat, dei quali a seguito della leggenda medesima alcuni portano un piccolo leone, altri un piccolo aquilino, che sono i noti contrassegni del Guelfìsmo per opposizione all’impero (1). Tali monete, sieno aquilini, sieno leoncini, avendo del resto il tipo consueto, palesano un governo regolare; la dipendenza dall’impero per parte del partito ghibellino era riconosciuta bensi a Genova, ma con dignità e consuetudini proprie; le parole Fidelium Impervi Ianue hanno qualche cosa di più umiliante e d’insolito, che accusa un periodo speciale e una dipendenza più stretta per cagione di necessità. D’altra parte (e questa é secondo me la ragione decisiva) abbiamo appunto un periodo speciale, in cui parecchi documenti ufficiali sono intestati colle parole stesse della leggenda: Fidelium Imperii lamie et districtus, e questo periodo non appartiene agli anni 1334 circa, bensì intorno al 1320. È vero che allora il Go- (1) Il Cinagli (Le Monete dei Papi, Fermo, 1848, p. 105) a proposito di un pezzo di Brancaleone senatore di Roma, avente un leone gradiente, nota: 1 Romani come guelfi sostituirono all’ aquila loro insegna il leone, per opporla ai ghibellini che avean scelto I' aquila. — 373 - verno genovese non era ghibellino, ma guelfo; ma la storia c’insegna che la fazione contraria teneva una parte della città e gran parte del distretto, specialmente Savona che si potea dire la loro capitale. Siccome i documenti che illustrano questi due Governi contemporanei sono poco conosciuti, così giova porgere esempi in buon dato; perché, mentre tornano a capello per la corrispondenza della moneta col Governo analogo, aiutano anche a meglio conoscere quella storia, celebre nel suo insieme ma oscura nei particolari. Vittoriosi i Guelfi col Re Roberto nel 1318, la fazione contraria vi contrappone i Visconti Signori di Milano, Stefano e Marco figli del Magno Matteo; i quali chiamano da tutte le parti d’Italia i loro aderenti, e corrono all’assedio di Genova. Da atti del notaio Giovanni di S. Lorenzo fatalmente perduti, ma di cui resta traccia, sappiamo che Marco Visconti in una carta del 1320 s’intitola precisamente Capitano dà fedeli dell’impero (1). Ma siccome questo ardito guerriero s’impacciava più volontieri d’ armi che di negozi, così troviamo nella stessa qualità più comunemente suo fratello Stefano Visconti. 11 quale in carta del febbraio 1320 si dichiara Capitaneus generalis fidelium ianue; e col Consiglio di Credenza adunato nella sacrestia di San Giovanni di Pré elegge a Capitano per la Riviera di Levante il celebre ghibellino Castruccio Castracani, quindi invia a Lucca ambasciatori a recargliene notizia. Gli ambasciatori vanno ; e in agosto formano con Castruccio le opportune convenzioni (2). (1) Federici, Collettanee e Fasti (MS. dell’Archivio di Stato 11.46 c. 198 v. (2) Federici, ibid.; e in Archivio di Stato a Lucca, Atti di Castruccio, c. 65 — 374 — Il 15 ottobre seguente Stefano Visconti e il Consiglio si trovano adunati di nuovo nel sobborgo di Pré, ma non più nella sagrestia di San Giovanni, sì in quella di San Vittore allo Scaro (ora distrutta). Continuano ad intitolarsi come nell’atto precedente; e fanno procura a Brancaleone D’Oria (il Branca di Dante), conferendogli facoltà di rappresentare i fedeli dell’Impero per ridurre alla loro parte que’ di Bonifacio di Corsica. Ai 4 maggio 13 21 Brancaleone difatti, in conseguenza della carta precedente, si dichiara procurator M.c‘ D.'“ Ste-phani Vicecomitis capitanei generalis fidelium Ianue et districtus (ecco tutta la leggenda). Ed essendo nel suo feudo di Castel Genovese (ora Castel Sardo) in Sardegna, confessa un prestito di danari avuto dai Bonifacini per la causa del partito, e ne promette la restituzione nella città di Savona. Brancaleone nella stessa qualità largisce privilegi ed immunità a quei di Bonifacio (1). Abbiamo dunque in questi atti il titolo identico a quello impresso sopra le monete : titolo che non si trova ripetuto in altri periodi della storia genovese, e che dimostra perciò essere stato battuto l’aquilino da questo stesso Governo. Sebbene Savona fosse il centro dei Ghibellini, e in Genova propriamente il Governo fosse guelfo, tuttavia la storia c’insegna che i contrari esercitavano e segg. indicatimi colla consueta liberalità del eh. Dott. Wustenfeld ; ora poi accennati a stampa nell’ Inventario del R. Archivio di Stalo in Lucca, I. 1872, p. 86, sotto le date 10 febbraio, 8 e 26 agosto 1320. (1) Registro notarile di Francesco de Silva, c. 5 (nel nostro Archivio di Stato) ed ivi stesso atto del 14 marzo 1321, ove se ne cita altro del 17 ottobre 1320. Ma già il 6 febbraio 1320 gli uomini di Bonifazio giurano custodire quel Castello ad honorem Communis Ianue et totius Fidelium Imperii (ved. nell’ Archivio stesso il cod. 50 tra i mss. (Federici) c. 115 v. - 375 - potere coll’appoggio dei Visconti in una parte di questa stessa città e specialmente tenevano il sobborgo di Prè. Ora é appunto a Prè che vedemmo adunarsi il Consiglio chi fedeli dell'impero, ma in due luoghi diversi, come segno di antigoverno passaggero che aveva fuori il suo centro. E naturale che in tale stato di pressione non badassero più che tanto a sostenere quella certa autonomia dall’ Impero, di cui Genova fu sempre gelosa. Nel 1325 i Ghibellini sono in Savona, e al 20 novembre il Consilium Credentie fidelium Imperii, con a capo il priore Nicolò di Gropallo, nomina ambasciatori per recarsi a Venezia e trattare su danni colà inferti dal partito imperiale (1). Nell’ottobre 1327, per testimonianza dello Stella (2), essi sono tuttavia a Savona sotto un Vicario imperiale. Il 24 novembre dell’anno seguente Ludovico il Bavaro scrive al Consilium Credentie fidelium Saonensium e l’indennizza delle perdite sofferte, concedendo a loro favore un dazio sulle merci da Genova, Savona e Noli fino a Pisa (3). Cessano dal 1328 in poi le memorie da me raccolte su questo periodo d’antigoverno opposto al Governo del Re Roberto in Genova; sebbene continuano notizie di ghibellini genovesi a servizio deH’Imperatore : ad esempio Guido de Camilla vicario suo a Cremona nel 1329, ed Anfreonus Spinola fidelis a Cremona stessa nel 1325 (4). • (1) Comunicazione cortese del Dott. Wustenfeld , il quale ha obliato di indicare la fonte; ma non è a dubitarne. (2) Rer. Italie. Scriptores, XVII. col. 1054. (3) Comunicazione del Wustenfeld come sopra. (4) Comunicazioni come sopra. — 37^ — Nel 1331 finalmente s’interpongono le Potenze, e si la pace tra le due fazioni. Cessa una lotta di sedici anni, pietosamente e quasi con lagrime rammentata dai Cronisti, e che per poco non addusse la rovina intiera alla Repubblica. Le persone violate, le famiglie dissipate, i genitori costretti per fame a vendere i figli per ischiavi, uccisioni a vicenda con rabbia e trovato di nuovi mezzi ingegnosi di morte ; le navi, i palazzi, i monumenti più nobili disfatti; e in mezzo ai dolori si elevano tratti eroici, ma anche tratti insani; i pellegrinaggi a S. Maria di Coronata e processioni solenni per la città, a preghiera o ringraziamento di vittoria contro i fratelli. La concordia non durò che quattro anni. I Ghibellini rientrati finiscono col cacciare i contrari nel 1335? e stabiliscono a capitani Raffaele D’Oria e Galeotto Spinola, famiglie della propria fazione; assumendo a Podestà Beccario dei Beccaria , della famosa famiglia ghibellina di Paviani): lo stesso Beccario, figlio di Nicoletto, che nel 1322 fu Podestà dei fedeli dell’impero in Savona(2). Il nuovo Governo finisce anch’esso nel 1339 colla creazione del Dogato in Simone Boccanegra, ma resta d’indole ghibellina. Fu detto in principio di questo scritto che l’aquilino fu trovato nelle adiacenze di Savona. Tale circostanza e l’altra, che cioè Savona fu sede del Governo dei Ghibellini espulsi da Genova, possono indurre il sospetto (1) Oltre lo Stella, vedi Federici Collettame, I. c. 208 ; Caffi, Una lapide medio-evale milanese inedita, in Archivio Storico Lombardo, a. 1881, pp. 522'27’ nonché un articolo di G. Scriba (L. T. Belgrano), nel Caffaro del 12 dicembre 1881. (2) Rocca P. Pesi e misure ecc. del Genovesato; Genova, 1871 ; pp. 74-76, ove una poesia latina in lode di Beccario. - 377 - che la coniazione ne sia seguita colà. Ciò tanto più che l’aquila fu appunto il tipo assunto nella Zecca propriamente savonese. Questa opinione non sarebbe fuori del probabile; tuttavia si noti che il diritto di monetare fu concesso a Savona da Lodovico il Bavaro non prima del 1327; e soltanto al 1350 si trovano notizie di contratti per coniazione di monete colà. È anche noto che nel sistema semplice e rozzo di monetare, a quell’ età potevasi ciò fare in ogni tempo e luogo; abbiamo esempi di battiture operate per ostentazione o disprezzo in campo aperto sul territorio nemico, e perfino sotto i merli minacciati d’assalto. Per occasione noterò che entro il medesimo periodo, e precisamente nel 1320, i Guelfi coniavano in Genova nella Zecca pubblica due specie di monete, una d’oro e una di biglione ben descritte dall’ Annalista Stella (1). D’oro é la monetina, detta terzarolo,, perchè tre di esse equivalevano in peso e valore ad un genovino o fiorino pure d’oro; al contrario delle così dette quartarok, molto più comuni ma battute in altro tempo, quattro delle quali equivalevano a un fiorino. Il biglione indicato dall’Annalista era un pezzo molto vile e quasi di rame con poco argento, che valeva un quarto di danaro, detto perciò e impressovi sopra : quartaro. Lo stesso però fu anche chiamato grifone, per esservi pure impressa la imagine del grifo leggendario ; d’ onde venne l’uso nei ragazzi del gioco a croce e griffo. Finalmente lo stesso fu anche detto chiapuccino, perchè i grossolani lavoratori in rame avevano il nomignolo di chiapucci. (1) Op. cit., col. 1040. — 378 — Di questi pezzi di biglione ho già ragionato due volte, nel Periodico di Numismatica e Sfragistica (i) e nel Giornale Ligustico (2). \i) Sui quarti di danaro genovese, Firenze, 1874. VI. 260-272. (2) Nuove considerazioni sui quarti di denaro. A. 1877, pp. 117-127. APPENDICE Essendo tanto importante la cronologia dei capi di Governo per la classificazione delle monete, e ciò specialmente nella Zecca genovese, ho creduto utile qui soggiungere le date ufficiali e documentate per un periodo che finora non fu ben accertato presso i nostri Annalisti e Storici. 1435, 25 dicembre. Rivoluzione contro il Duca di Milano; il Commissario generale Opizzino d’Alzate è ucciso. J43)> dicembre 27. Eletti i Capitani della Libertà, la Signoria ne dà partecipazione al Papa, al Doge di Venezia e ai Fiorentini (Archivio di Stato, Litterarum Reg. 7 1783). 1436, marzo 28. Eletto Doge Isnardo Guarco (ibidem). x43^> aPrile 3. Eletto Doge Tommaso di Campofregoso (ibid). T437> marzo 24. Eletto Doge Battista Campofregoso (ibid. Diversorum Reg. 23 515). Ma lo stesso giorno è espulso dal fratello Tommaso , che ripiglia il Dogato. 1437, maggio 12. Si elegge a Capitano generale Giovanni Campofregoso, in sostituzione di Battista che si è assentato per le discordie e viene rimosso (ibid. Diversorum Reg. 24 319). 1442, dicembre 19. Eletti otto Capitani della Libertà, perchè il giorno prima Tommaso Campofregoso rinunziò al Dogato (Diversorum Reg. 31 526). T443» gennaio 28. Eletto Doge Raffaele Adorno (ibid. nelle Regole e Leggi di quell’anno; fra i mss. cod. n. 136 c.e 27). — 380 — 1443 > febbraio 20. Isnardo Guarco espone alla Signoria essere egli stato eletto a Doge (come sopra) coll’assenso di Tommaso Campofregoso, sebbene poi questi lo cacciò di Palazzo (ibid. fra i mss. cod. 114 c.e 285 v.). r447> gennaio 4. Raffaele Adorno rinunzia al Dogato : è eletto Barnaba Adorno (ibid. Diversorum Reg. n. 42 537)- r447 > gennaio 30. Cacciato Barnaba, viene eletto Doge Giano Campofregoso (Giustiniani, Annal., ad annum.'). 1447, marzo 3. Tommaso Campofregoso espone alla Signoria, che quando fu eletto Doge, lo fu col consenso di Raffaele Adorno; il quale poi gli cospirò contro; e sebbene questi meritasse la morte, fu liberato dopo breve detenzione nella torre di Capodifaro (Arch. di Stato, fra i mss. cod. 114 c.e 308-310). 1447, marzo 16. Esposizione simile per parte di Giano Campofregoso e di Ludovico suo fratello; i quali si lagnano di violenze sofferte al tempo delle loro elezioni al dogato (ibid. c. 329-330). 1447, dicembre 16. Eletto Ludovico Campofregoso, per la morte avvenuta lo stesso giorno del Doge Giano suo fratello (ibid. Diversorum Reg. n. 44 539; e Reg. n. 46 541). 1450, settembre 8. Eletto Doge Pietro di Campofregoso (ibid. Diversorum Reg. n. 50 545). L’elezione fu consigliata dallo zio Tommaso a cui era stato offerto il Dogato. Pei cambiamenti di Governo in Genova prima e dopo del periodo qui esaminato, si possono consultare le date, che, previa diligente ispezione delle fonti, ho collocato in margine ai luoghi rispettivi della Cronaca di Genova in francese di Alessandro Saivago, da me pubblicata negli Atti della Società, XIII. pp. 365-486. LA BATTAGLIA DI GAMENARIO (mcccxlv) TESTO ANTICO FRANCESE da un codice ms. della Cronica del Monferrato di Benvenuto San Giorgio nell’ Archivio Generale di Stato in Torino CON ILLUSTRAZIONI E SCHIARIMENTI PEL D." GIUSEPPE CERRATO Atti Sue. Lig. St. Patri*. Serie 2.’, Voi. XVII. esto lavoro sulla Battaglia di Gamenario va diviso in due parti. La i.a contiene il testo in antico francese, riveduto e corretto sopra un codice Ms. della Cronaca del Monferrato di Benvenuto San Giorgio , il quale codice si conserva nell’ Archivio Generale di Stato in Torino. Al testo tengono dietro la versione, i raffronti con altri scrittori francesi, le forme e il glossario. La 2.a è tutta storica e, toccato prima alcunché intorno al testo, va illustrando con la maggiore brevità possibile i tempi, le persone e le cose, di cui nel testo è fatto cenno. . LA BATTAGLIA DI GAMENAR10 ( MCCCXLV ) PARTE I. N. B. — Nelle varie lezioni a piò di pagina, Ms. denota la Cronaca Ms. di Benvenuto San Giorgio dell’Archivio di Stato torinese; C l’edizione casalese della stessa Cronaca (per Francesco Piazzano, 1639, p. 156-63); M l’edizione muratoriana (R. I. S., t. XXIII, p. 478-87); T la torinese curata dal Ver-nazza (per On. Derossi, 1789, p. 140-8). A) Testo. « Li maguifici cavagleri gentilhomini cortexani sono braui arditi e fieri sano bene menar le mane li archieri ancor non son uani per difender suo patrone posso dir per condussione tuti quanti e farli honore cl piemonte el primo fiore! a ( Poesia sul Piemonte composta per Maestro Pietro Jacomello de Cherio nominato Lo infelice Ghingbelinghino, sec. XVI, edita dal Co.rc Vincenzo Promis nell’ Augurio, strenna per il capo d’ anno 1878, Torino, Botta, p. 179, sg.). . Sur le doulx temps, que reuerdissent toutes choses et bois fleurissent et oyseaulx a chanter se mettent sur les arbres, qui leur flenrs iettent 5 en l’annee de deux foiz vint 2 Ms. fuerllisscnt, CMT fuerlissent. 4 CM fettent. - 386 - mil et trois cens et cincq aduint qu’en Sicilie ot une royne que haioit la part Gibelline et auoit Guelfez en chierté. io La royne sceut la fiertó d’un chevalier, qui Renforsa D’Agout eut nom, qui s’enforsa fourment tant corame il fut en vie de poursuiuir cheualerie. 15 Celle royne, que ie diz, manda le chieualier gentilz qu’il lui vouilsist faire ung seruise, et lui va dire par tei guise: « Renforsa D’Agoùt, entendés 20 vous, qui de moy estes mandés, vous en irez en Lombardie; partie Guelfe sy me prye que leur enuoye ung seneschault. Desormais fera bel et chault 25 pour cheuauchier et tenir ost, qui face aux ennemiz rihot; specialment ceulx de Quier aydiez les, ie vous en requier, car il ont a fors gens a faire. 30 Allez et pensez du bien faire et a fin qu’il vous en souuieigne, tenez, veez vous icy l’enseigne de noz armes, que porterez, des quelles plus prisié serez. 35 En celles armes difference ny a nesquen l’escu de France qu’un rastei rouge seulement pour faire le desseurement. MCCCXLV. Regina di Sicilia. Guclphi. Cheriensi. Arme di Sicilia. 7 T cut. 9 Ms C chicrtc (c cosi sempre senza l’accento sull'« fin.). 12 Ms. CMT Dago, C sen-forsa, M s enforza. 13 Ms. T fout. 1 ; C jc. 20 Ms. mandez, 26 Ms. Rihot. 27 C quier. 29 C à. 31 Ms C souuiengne, MT souvieiigne. 36 Ms. le scu. 37 Ms. Quii Rastcl Rouge. — 387 — Cestes armes conforteront vous armes, qui moult riches sont, ung loup d'azur ou champ d’or, que vous portez sur vostre corp; et si vueil que vous en ma terre eslisiez gens soubtilz de guerre, hardiz et preux pour traueillier et qui vous saichent conseillier. » Renforsa D’Agout, qui entend ce a quoy la royne tend, si lui respondy voulentier : « Je me mettray, dame, ou sentier, pour faire ce que vous peult plaire et a vous ennemiz desplaire. Je m’en vois aydier ceulx de Quier » dit le seigneur de Folquarquier, qui Renforsa d’Agout eut nom, hardiz et preux de grand renom. « A Dieu » commanda la royne. Renforsa D’Agout s’enchemine. Et bien saichiez qu’auecq lui maine nobles gens et de bon conuoine. Entre eux n’attargierent mie, tant qu’ilz vindrent en Lombardie. Renforsa vid pour le meilleur qu’il lui failloit ung conseilleur de science et de bon estat: il esleut monseigneur Bestet pour le plus saige et scienceux de tous, qui lors feurent entre eux. Illecq eut des preux et des fiers: ung messire Iehan de Cymiers, messire Perceuail de Pontez, Arme de Reforza d’Ago. Signor de Folquarcher 0 MT vouz. 41 Ms. CMT champe. 45 Ms. HaiJiz et prcur, T traveillier. 49 T lu, T respond. Ms. qua, CM vos. 52 C MT à. 53 T Je m’envois. S4 Ms. preur. 57 CM Fol quarquier. 58 Ms. C 1 chemine. 59 C sarcliiez, C quauccque. 60 T connoine. 64 T falloit. 67 T sage. 71 T Percival. — 388 — moult bien et noblement montez. Illecq estoit de haulte chiere de Ricorf le filz conte Pierre: 75 de nobles gens estoit parez. Renforsa D’Agout est errez: > bien sembloient gens de detfence; venuz estoient de Prouence. Ceulx de Quier sceurent les nouelles, cherio 80 qui tres leur sont bonnes et belles. Liement lui vont audeuant e dient: « Sir, ez bien viegnant », car desiré long temps Tauoyent: et les Falletz, quant ilz le voyent, Faiicti. 85 honneur lui font et moult grand feste et en lieuent plus hault la teste. Lors prent le seneschal a dire: « Seigneurs, sachiez que ie la tire, pour vous aidier moult grandement; 9° car la royne mesmement m’en a de tout son cceur prie et pour ce m’a cy enuoyé ». Lors mainent grant festoyement tous les Guelphes communement 95 ceulx des Falletz et leurs amiz, qui sont illecq ensemble miz. Quant Renforsa plain de proesse vid illec si tres grant noblesse, monsieur Bestet va appeller. 100 « Or sa, ie vueil a vos parler; puisque ie suis en Lombardie, ie ny vueil pas faire ojseuie ». E quant le seneschal eut dit, messire Bestet lui repondit; 78 C Prouuence. 79 T novelles. 82 M C Sircz, M Sir'ez. 8; Ms. moul. 86 T lievant. 87 T. sene-schalc. 93 Ms. C mament, T mainerent. 95 C M Icurz. 97 T quand. 100 vous. 102 C vuucil. 103 CMT dite. - 389 - 105 « Sire, parlez a ceulx de Quier, aux Falletz, qui vous tiennent chier, a vous cheualiers Prouuenceaulx ; a ceulx deuez prendre consaulx ». Lors prent a dire Renforsa: no « Je viene de Prouuence or sa; vous des Falletz, et vous de Quier, venez auant, conseil vous quier ». Et lez Falletz, sans attargier, au seneschal vont conseiller. 115 v K Syre, allons ent sans nul respit deuant Albe pour le despit, qu’ilz nous firent encor n’a gueire; voulentier leur ferons contraire ». . Ceulx de Quier pas ne si discordent, 120 et Prouuencaulx bien si accordent. quand ce le seneschal vyt, de tei conseil fort se ioyst: tantost vers Albe s’achemine. Sachiez qu’il 0 ses gens ne fine, 125 tant que deuant Albe logié tous ensemble et l’ont assiegé; illecquez n’eurent gaire esté, quant Albe eurent conquesté. S’on ne leur eust la porte ouuerte 130 soit par cugni ou par cuuierte, ilz pensent la iocquier quatre ans, arneoiz qu’ilz pensent entrer ens. Le seneschal, qui fut leans, appella tous ses poursuiuans 135 et leur va dire par tei guise: « Oez, Seigneurs, que ie deuise et ce que i’ ay en voulenté. Alba. 105 C cclx de quier. 106 C Chier. 107 T vos. 108 CMT devex, T conseaulx. 110 CMT Ay van, Ms. Ay vani. 11$ Ms. Syre Allons. 117 T na gueire. 122 Ms. CM sioyst. 123 Ms. C sa clietnine, 128 C conquiste. 130 CM sort, on. 132 Ms. penssent, C M entrez. 133 T. ceans. 134 C tous, 136 Ms. C Ocz. - 390 -De ceulx, qui plus vous ont greué, prenez en trois ou cinq ou quatte 140 et leur faictes la teste abbatre ius des espaulez: il me plaist ». Ceulx repondirent: « Ce soit fait ». Ilz accomplirent le vouloir du seneschal sans remanoir; 145 en Albe prinrent mains deniers, mains ioyaulx et mains prisonniers, qui estoient de riche priz. Messer Luquin de Braye priz fut cellui iour et retenuz: 150 tous en Albe grans et menuz firent puissance du deffendre; a Renforsa les conuint rendre. Lors dirent Querois main a main au seneschal, qu’ot Albe en main: 155 « Voulez oyr la patre nostre? Nous creons bien que tout est nostre; allons vers Quier nostre pays, car vous ny estes pas hay. Sy yrons deuant le Gamenaire, Gamemm. 160 qui nos a fait tant de contraire, car vous l’aurez tantost concquiz; combien que moeuue le marquiz, il n’aura pouoir du deffendre. » Dit Renforsa: » Gy vueil entendre 165 et, pourtant que dist vous l’auez, conduisez moy vous, qui sauez toute la contree et la terre, car ie ne voy querant que guerre. Allons et cheuaulchons auant, 138 Ms. C nous, CM on. 141 CM fus. 142 CMT se. 144 CMT remavoir. 147 Ms. C estoint. 148 Ms. CMT prinz. 149 Ms. C cellui juor. 151 Ms. puissancie. 152 T le. 153 Ms. qnerois, CMquie-rois. 154 M q’eut. 157 Ms. quier. 159 C sy yront, MT s’y yront. 160 Ms. nos. 161 C nous laurez. 165 Ms. C pour tant. 167 CM Contree... Terre. 168 Ms. qar. — 39i — 170 que nons soyons tantost deuant la forteresse, que vous dittes. Ceulx n’en yront pas ainsi quittes, qui la vouldront vers nous deffendre et qui feront semblant d’attendre. » 175 Le seneschal et ses gens ont tant cheuaulchié, qu’ensemble sont deuant le Gamenaire assiz : la fut leué ost grant et massiz. Leans se feurent ia bouté 180 ceulz, qui ont bonne voulenté de deffendre le Gamenaire et iurent Dieu le debonnaire qu’ilz n’entreront leans si tost; mais mandent au marquis a cop 185 que le siege viengne leuer, ainsi qu’ait pouoir de plus greuer lui ne ses gens a grant puissance. « Secourrez nous sans demourance, gentil marquiz de Montferra, 190 venez voir l’ost de Renforsa, lequel veult voustre honneur abbatre, venez vous tost a lui corabatre. » Quant le marquiz oit les nouuelles, que telles gens sont si rebelles, 195 par tout mande sans nul seiour, qu’il puist auoir a certain iour toutes ses gens et ses amiz pour courrir sus ses ennemiz. Or vous laray de ce ester: 200 de Renforsa vous vueil conter, qui est deuant le Gamenaire. Aux siens commande fort a traire 170 C sayons. 171 Ms. dittcz. 173 Ms. ain si quittcz. 174 Ms. CMT semblent. 176 C quen semble. 181 Ms. deffendcre. 182 Ms. iuren , CT debennaire. 186 Ms. C quait. 188 Ms. se courrez, CMTde-mourrance. 191 Ms. voustre. 198 courriz. 200 CMT dovient. — 392 — vers le castel et assaillir, et si font ilz sans desfaillir. 205 Queroiz forment si les assaillent, et les Falletz fort si trauaillent, au castel mouuent grant descor Prouenceaulx, qui moult font de corps. Moult y ot de ces Pyemontez 210 a piet et a cheual montez, qui aigrement vont bercellant le Gamenaire et assaillant. Mais ceulx de dens les prisent gaire, car il sont gens de bon affaire : 215 moult vaillamment ilz se deffendent, car leur secours adez attendent de Iehan le noble marquiz .Io-1"2 Marchese de Monferra preux et gentilz. Monferr.uo. Car il leur a fait a sauoir 220 que ils doiuent secours auoir de par lui et de par sa gent, et deust couster mil marcs d’argent ou de ses hommes quattre mil, ou plus, si les secourra il. 225 Seigneurs, on doit conter briefment des choses le gouuernement ; que mieulx valent courtes parolles que raconter tant de frivolles. Renforsa et ceulx du castel 230 vont entre eulx faire ung marchié tei: que le chastel seroit rendu, au cas qu’il ne feust deffendu et secouru du bon marquiz de dens un certain iour, qui miz 235 fut entre eux sans repentir 203 Ms. assailliz. 204 C M fout, Ms. desfailliz, C dessailir. 205 C M Quictoiz. 206 T se. 208 Ms. moul. 211 Ms. CMT vous 216 Ms. C adez. 219 Ms. asauoir. 220 Ms. CM T il douient. 224 M secourrat. 231 T castel. 234 C de Dens, M da dens. — 393 — au son des vespres sans mentir. Dit Renforsa: « J’en vueil hostaige de vous qui estes en la caige du castel leans enfremez; 240 si en seray mieulx affermez. » Ceulx du castel, comme il me semble, s’ allerent conseillier ensemble : « Or suz, seigneurs, que dittes vous? Renforsa veult plesge de nous. » 245 La en ot ung hardiz et preux, qu’on appelloit le Rauailleux, hi Rauaiiioso. qui dit: « Moy, quart cinquieme oli tiers, seray hostaige volontiers; car le marquiz, ou i’ ay fiance, 250 nous secourra sans demourance. » Or sont venuz les plesges hors °stagij. au seneschal, qui les print lors. Le seneschal en gre les prent pour le prouffit, qu’il en attent; 255 mais ie ne scay pas le prouffit ou le domaige, qu’il y git. Car le marquiz scet l’aduenture le grant perii et la laidure, ou ceulx sont, qui se sont fié 260 de lui, dont il eut grant pitié. Si dist: « Helas, qu’ayie fait? Le Rauailleux aura mal plait et ceulx, qui sont auecques ly, qu’attendent iusqu’au vendredy 265 vigilie sains George secours. Mon mandement n’est pas si cours; mais il le me fault abbargier, pour secourir sans attargier 257 C hostagie. 239 T ceans. 242 Ms. D ens semble. 243 T distes. 244 Ms. veul. 246 T ravailleux. 247 Ms. cincq™". 2$2 CM les prent (manca lors). 254-5 T profit. 255 Ms. CMT scet. 260 Ms. pite. 261 Ms. C quayge, M qu’ay je. 265 M sains. — 394 — le castel, qui est de mes fiefs, 270 et ceulx qui sont de dens logiez; et ceulx qui sont miz en hostaige vouldray rauoir parmy mon gaige: frans et quittes les rachetray, ou meilleur gaige y lasseray. 275 Se Renforsa veult gaige prendre, il ne m’en pourra ia reprendre, que ne lui en baille de boins de preux de saiges et de coins. Mais ie ne puis mon mandement 280 auoir ensemble entierement, que fait la uoye trop longtaing. Pour ce vous diray pour certain que plus brief il le fault restrandre, se ie veul Renforsa attandre, 285 ainsi qn’il ait prins la forteresse du Gamenaire: trop la presse. » Dit le marquiz de bonne vye: « Il me fault de ceulx de Pauie • aucunes gens auecques moy, 290 car se sont gens de bonne foy ». De pluiseurs lieux amiz acquiz viennent aidier le bon marquiz: aux siens ne doit il pas faillir, car de droit il les doit seruir. 295 Ceulx d’Ast entendent que veult faire le preux marquiz de hault affaire: si disent qu’ilz l’aideront fort. Entre eux ny eut point de discord: armé se sont et fer vestiz, 300 montent sur leurs cheuaux hastifz. Quant ainsi habilliez se sont, vers les marquis tout droit s’en vont, Pauesi* Astensi. Ì71 Ms. sunt... hostagie. 272 Ms. C M T par ray. 281 M T trop long taing. 283 C restandrc. 285 C fortaresse. 286 Ms. prese. 290 Ms. son. 295 C vult. 302 Ms, sen. — 395 — le quel ne peut mieulx souhaidier, quand ceulx d’Ast le veulent aydier. 305 La compaignie d’Ast moult viste au bon marquiz vient en ayde; et quant voit gens de telle geste, le marquiz leur fait tres grant feste. Illecq fut la cheuallerande 310 noble vaillant puissant et grande: Iehan marquiz de Montferra sa compaignie regarda et dist : « Seigneurs, asses nous sommes, se nous voulons estre preud’hommes, 315 et i’ay foison de ma pietaille, s’elle nous peut valoir, que vaille ». Au cheuauchier fort se sont miz, tant qu’ilz sont pres des ennemiz. Lors le marquiz appeller fxt 320 ung sien trompette et lui a dit: « Beau doulx amiz, aller te fault Desfidanza. vers Renforsa le seneschault. Tieng, vecy le gants de battaille: tu lui diras ou qu’il s’en aille 325 hors de mes fìefs et de ma terre, car ie ne m’en puis plus soufferre, ou, s’il veult que battaille face, ie me trouueray sur la place. Va et reuieng ». — « Syre, c’est fait »: 330 le trompette tantost s’en vait vers le seigneur de Folquarquier et lui alla lez gants baillier de battaille, « Par ceste voye », disant, « Monseigneur vous enuoye 335 les gants de battaille, tenez. 303 Ms. sonhaidier, CMT son liaidier. 304 C ceul Dast. 315 C sai, M fai, Ms. T say, Ms. pitaille... valle. 319 CM de marquiz. 321 CM dolx. 325 Ms. frefz. 388 Ms. CMT trouvera. 329 T reving. 330 Ms. CMT la. 332 CM ala. 333 T cette. - 396 — S’il vous plaisent, si les prenez; ou vous vous deslogiez tantost hors de ses fiefz vous et voustre ost. Et s’a lui combattre vous plait, 340 faictes lui place, tant qu’il ait par deuers vous ses gens passez: dictes moy vostre volontez ». Renforsa dit : « Sa sa les gants, de les prendre suy moult contens: 345 et bien, vecy de ma monnoye, pour tant qtie m’as apporté ioye, et ung rouen, que ie te baille : ie ne desire que la battaille. Beau doulx amy, va t’en a Dieu; 350 dy au marquiz qu’il aura lieu et place pour ses gens passer et tourne a lui sans arrester ». Le trompette fort regracie Renforsa de sa courtoisie 355 et dit: « Sire, ie m’en voy donc. loueray moi de voustre don », Le trompette arrier retourne, vers le marquiz son chemin tourne; tant qu’il y fust, point ne s’attarge. 360 Forment se loue du don large, que lui ot fait le seneschault, et dist: « Syres, il est moult chault et desirant de la battaille, et si veult seignier sans faille, 365 pour passer vous et vous giens, lieu ». « Cheuaulchier nous y conuient heu », dit le marquiz de Montferray, « mais d’une chose grant dueil hay, 336 Ms. plaisont. 340 C M faistes. 346 Ms. C tans que mas apportier joye. 347 Ms. Uouem, M Roven. 349 Ms. CMT tcnt. 351 Ms. passez. 355 T don. 356 MT lovcray. 359 Ms. C ma targo. 368 Ms. C dune. - 397 -que nous n’auons ung cheuallier, 370 qui la colee puist baillier a ceulx, qui d’entrer ont enuie en l’ordre de cheuallerye ». Or vous lairay de ce ester: a Renforsa vueil retourner, 375 qui appella monseur Bestet: « Or sa, deuons nous sans debat le Gamenaire abandoner sans l’eure de vespre sonner? » Monseur Bestet dit sans demeure: 380 « Faisons vespres sonner en l’eure ». Il n’estoit gueires plus de none, quant pres de l’ost la cloche on sone: lors s’en vont pres du Gamenaire le seneschal et ses gens traire. 385 Ceulx du castel appella tous: « Or tost, seigneurs, que dittes vous? Vecy l’eure qui est venue, que nous deuez auoir rendue la forteresse par conuenance; 390 ou vous verrez sans demouratice copper la teste a vous hostaiges, qui en noz mains sont miz en gaiges ». Ainsi comme il les flatoient et qu’en paroles les tenoient 395 et que l’unz l’autre se respont, syre Bestet fist faire ung pont et mettre parmy les fossez parmy lequel ilz sont passez. Le chastel prinrent sans deffault 400 et mirent ens le seneschault: tantost fut mise sur la porte l’enseigne, que Renforsa porte, 369 T 11’avons. Dal v. 373 al 457, lacuna solamente nella C e M. 378 Ms. sus, T sur. 38 none. 382 Ms. sone. 390 T demsurance, 392 T nos. 393 T flatvient. 395 T l’un. 401 Ms. mist. Atti Soc. Lig. St. Patri*. Serie 2Voi. XVII. 26 1 Ms. - 398 — et l’enseigne de la royne, ou est la fleur de liz d’or fine. 405 Renforsa tient le Gamenaire, mais il ne lui demoura guaire; car le marquiz s’en vient forment, qui lui donra paine et torment. Le marquiz fait sans delayer 410 sa banniere au vent deployer: bianche et vermeille elle est bauzaine, a Renforsa nyent pas bien saine. Le marquiz et ses gens cheuauchent ; ceulx d’Ast auecques lui s’auancent, 415 dont le marquiz es bien parez, pour ce qu’ilz sont tresbien armez: riches armes ont et cheuaulx et les destriers puissans et haulx. Les bons Paueiz sont sans mentir 420 venuz au temps aux cops ferir: quattre banniers ont au vent, Le marquiz les voit lyement; il a droit, car bien l’aideront et loyaument se maintiendront. 425 Tant ont ensemble cheuauchié, que Renforsa ont approuchié et son ost, qui est très puissans ; moult eut illecq de gens vaillans. Quant Renforsa voit le marquiz, 430 desployer fait la fleur de liz a ung rastei rouge, en semblance que descendue estoit de France. Renforsa eut de coste elle une enseigne moult riche et belle, 435 dont la campaigne estoit doree; d’un loup d’asur estoit gardee. Gamenaria. Bandera del marchese Astesani. Insegne de la Regina Insegna de Renforsa. 408 Ms. piane. 414 CT s’avaucent. 415 T don. 417 Ms. cheualx. 420 Ms. CMT corps. 423 Ms. adroit. 427 Ms. pulsans. 433 Ms. deucoste telle. - 399 -Maintes bannieres apparans sont la au vent de ses aydans: ceulx de Prouence et de Piemont 440 tiennent illecq ung moult grant mont. Pierre Fallet n’y deffault mie et ceulx, qui sont de sa partie. Grosse routte y ont ceulx de Quier et aucuns de ceulx du Soulier, 445 Orset du Solicr et Brandin, chacun sur son coursier bien fin, poursuiuent la le seneschault, et Martin de chastel Haynault et Oberton de Montafie, 450 ou Renforsa forment se fye. Que voulez vous que ie vos die? La fust moult grande compaignie de preux et de hardis gens et de prot foison sergent, 455 qui tous font semblant de combatre, se le marquiz s’y ose embatre. Or maintenant vous tourneray au bon marquiz de Montferray: tant a des esperons brochié, 460 que Renforsa ont approuchié. Le marquiz a sur son enseigne la bauzaine, que Dieu maintieigne, et a l’enseigne de l’empire, dont son affaire pas n’empire. 465 Le marquiz plain de bon aduiz et Renforsa sont viz a viz, si que les ungs voyent les aultres et vont mettre lances sur faultres. Le marquiz ot mains baronyers Prouenzali. Piemontesi. Pietro Falleto. Cheriens. Quelli del Solerò. Martino Je Castel hayaut. Oberton de Montafia. 437 T bannieres. 438 Ms. aut. 439 Ms. Pouuence. 444 T ceux. 44$ Ms. C M T Orcet. 446 Ms. Cium. 448 Ms. Chastel haynault. 450 Ms. fye. 453 T prculx. 454 Ms. CMT pret. 460 C approuchié. 462 M mantiegne 463 C M T sa lenseigne. 464 C M sont 467 Ms. C voyant. — 400 — 470 montez sur leurs cheualx legiers, qui d’une part se sont seurez et ensemble tous assemblez. Leurs cheuaulx vont esperonant, a Renforsa s’en vont bruyant 475 et vont la faire grande hastye de courrir sus a sa partye. Mais quant il virent le pouoir du seneschal et son vouloir, tantost fìrent une retraicte, 480 qui fut une honteuse faicte pour la pietaille Monferrine, qui s’en tourna sans tenir risine ; et pluiseurs de Quier foryssy de la bataille sont yssy. 485 Lors le marquiz son chevai broicbe et Renforsa forment l’aproiche, qui cheuaulche bien fort et roid; vers le marquiz s’en vient tout droit. Sur ung destrier grans et puissans 490 monseur Bestet le va suyvans et messyre Iehan de Mymer : cil ne demeure pas derrier. La cheuaulche de grant maniere de Nicorf le fìlz conte Pierre; 495 de Ponteys monseur Perceual ny espargna pas son cheual. Prouuenceaulx, Piemontois sans doubte viennent tirant a grosse route: Pierre Fallet, ceulx du Solier 500 les poursuiuent sans attargier. « Cabailler saint Antoine », crye 471 C dune. 472 Ms. ensemble. 479 CM retraiete. 480 CM saiete. 483 CM foricy. [484 CM icy. 486 Ms. C la proiche, T laproiche. 489 C puissants. 490 C suivants. 491 C mimer. 492 T il. 493 Ms. CMT cheuaulchent. 495 C Pontes, T Pontez. 496 T point 497 C doupte. 499 T Soulier. 500 C pours vivent. 501 M T Gabailler Antonie. — 401 — le seneschal et sa partye. Le chevai brochie et point auant, le marquiz lui vient au deuant: 505 grans cops se donnent les vassaulx. Or incommencent les assaulx. « Róme rheiter » va escriant le bon marquiz au coeur vaillant. « Rome rheiter, sus, Rome rheiter », 510 dit son cousin de Brunsuuicher, « note quanx ennemiz hustinent ». Aussi fait Thomas Malespine: la se combattent ceulx d’Ancise plains de proesse et de franchise. 515 Zanart d’Ancise vrayement se combat la moult asprement, et Hodeon de la Rochette rend plus grans cops qu’on ne lui preste qui il attant de bonne main 520 encor s’en sent l’endemain, Fort se combattent au hutin Pierre d’Azel le preux bersin: bienfaire doivent par raison, car ilz sont marquiz de Ponson. 525 Sur ennemiz font leur assay les bons contes de Coconay, les preux Ianin et Hottebon et mains aultres de leur renon. De combatre fort s’entremet 530 de Valperghie le preux Huet, aussi fait valent sans doubter. Ceulx de Gabian vy de monter, Duca di Brunsueich. Thoma Malaspina Zanardo d’Ancisa. Odon de la Rochetta. Pietro d’Azelio. |o: et Ottobon de Coconato. Ugeto de Valperga. Gabian. 505 Ms. CMT broiche. 507 C esuiant, M esviant. 508 CMT du coeur. $10 CM causin... C Brun-suuechichz, M Brunswechic. 511 Ms. CMThote, Ms. hustine, C husterie, M Husteric. 511 Ms. C male espine, M Male espine. 513 Ms. C Dancise 515 Ms. C vrayement. 516 CM esprement 517 Ms. CMT Hodeum. 520 Ms. en cor. 522 Ms. CMT Dazel. S23 Ms. CMT dovient. 527 C ler. 528 T renom. 530 C Valperghe, Ms. C huet. 531 C doupter. — 402 — et mains autres de celluy lieu aux ennemiz font grant enneu. 535 Le marquiz aydent de coeur fin Pierre de Septem et Bertin et Francesquel de Chiresy et mains aultres, qui sont d’ainqui. Et Francesquel Can de Casal 540 s’y maintient com bon vassal et autres pluisieurs auec ly, qui de Casal sont autresy. Guy de Camaygne vistement se deffend la ou chaplement. 545 Fort se combat la gent hardye, qui est venue de Panie: entre eux quattre bannieres tiennent et sans reproche se maintiennent. Grant fut la noise et li assault 550 du marquiz et du seneschault: moult ot bonne cheualerie le seneschal preuse et hardye. Renforsa seneschaulx hardiz assaulte fort le bon marquiz: 555 moult eut a faire le marquiz, qui de tei gent est entrepris. Mais ceulx d’Ast ne lui fauldront mie ains qu’il soit nuyt, fiere estremie feront enuers le seneschault. 560 Leur banniere dressent en hault vermeille atout la bianche croix et s’escrient a haulte voix: « Rome rheiter, sus, Rome rheiter ». La voyssiez la gent d’Ast iuster 565 et vont ferir par grant testee Pietro de Septimo. Francesco de Cereseto. Francaschino Cane di Casale. Guido de Camagna. Insegna d’Ast- 533 T celui. 536 C saptem. 537 Ms. e 539 T A Francesquel. 540 MST maintiennent. 542 CMT autre sy, 543 CM iustment, T vistment. 548 Ms. Reproiche, C M T reproiche, CM maintennent. 558 C fyere, CMT extreme. 561 Ms. a tout. 564 CM fusthe, Ms. T fusche. - 403 -tout au milieu de la meslee; pour aydier le marquiz vaillant Renforsa vont fort assayllant. De frapper ens fort se hasta 570 Galyot filz de leur Posta. Iaquon Garret passe deuant, qui la banniere va portant, atant e tous ceulx de Castel, qui entrent ou poingniz mortel $75 pour le marquiz resuertuer: telle gent sont bien a louer. La est Perceuail Gutuer fort combatant sur son destrier, com hom plain de vassellaige : 580 bien y parut a son visaige. Aueques lui fut Bonentin des Guttuers et Odenin. La se combat Huet Ysnard comme homs venu de bonne part: 585 il ne tient pas Taigle en son ny voler la fait par le poingny et Roland Ysnard l’a suiuy, qu’ aux ennemiz fait grant ennuy. Entre lui et Wiglon Ysnard 590 ne font pas semblant de couard, si grans cops donnent et recoiuent: leurs ennemiz s’en appercoiuent. En la battaille tout emmy se va ferir Bertholomy 595 Ture, Palyeron et Olivier; Antonin Ture est derrier, lacobo Garretto. Quelli de Castello. Perceval Gutuero. Bonentino. Odonino. Hugeto Isnardi. Arme de Isnard. Rolando. ■Wiglono Bartholom. Turcho. Paglieron: Oliviero. Antonino. 569 C frappor. 570 posta. 571 C garret. 573 CMT e vous, Ms. CM castel. 574 Ms. T pomgiuz, CM pomgniz. 577 C porcevail gutuer, Ms. Auergues $82 C dos. 583 Ms. C huet ysnard. $8s C leighe. 588 CMT envy. 589 Vviglon. S9° Ms. CMT semblent... MT covard. 591 Ms. corps, Ms. C recou-rent, T donnoient et recevoient. 592 Ms. C sen appercouient, T M appercevoieut. 593 Ms. battaglie. 595 C Ture. - 4°4 — et Francesquin Ture ensement se combat fort au chaplement. Des Pelletes est illecq Brant, 600 qui tresbien se deffend au brant, dont l’allemesle est d’acier fin. Cortason Pellette et Flichin moult de pres tiennent la battaille; et Mathieu des Scaramps sans faille. 605 La est des Buny Andrion, qui est ardy comme ung lion : sur son destrier hault et paré se combat la par gran fierté, et Jaquon le cors compaygnie 610 lui tient, qui ne se spargile mie. Antoine Garret vrayement se combat la moult fierement. Or y vient des Roers Spinot, qu’a Renforsa fait grant rihot: 615 il hurte l’un et l’autre frappe; heureux est qui de lui echappe. Raphael Roer et Wiglermin, George Asinier et Philippin au chaplement tresbien se proeuuent; 620 mais ie vous dy que trop bien troeuuent le seneschal preux et hardy et ceulx, qui sont auecques ly. Grant fut la noise et la battaille: la fierent de stocq et de taille 625 entre eux sans nul reposement; la veissiez fier chaplement. Or se remettent a l’assay li preux marquiz et Renforsay, qui tant par est preux et nobiles, Frnnccschino. Brando Palletta, Matteo Scarampo. Aiidriono de Buneo. Antonino Garretto. Spinoto Rotario. Raphael et Guliclniino. Georgio et Philippino Asinarii. S98 C on. 60: CM lallenresle, Ms. C Dacicr. 608 Ms. part. 613 Ms. roers. 616 Ms. CM cureux. 617 C Vuigliermin. 618 CM Filippin. 619 C proeuvoient. 620 M troeuvoient. 628 Ms. CMT Renforsa. - 405 - 630 et o lui ot giens moult habiles. L’un contre l’autre fort se dressent: ung tresbuchent, autres redressent. Paueis se proeuuent lealment et Astesans moult vaillamment 635 aydent Iehan le bon marquiz, qui assez tost aura concquiz le seneschal preux et vaillant. Les siens lui vont ia defaillant, qui l’auoient illecq attraiti 640 or a le seneschal mal plait, s’il ne se rend, morir le fault. Lors li escrient tous en hault: « Rendés vous, seneschaulx gentilz, se vous voulez eschapper vifz. 645 Renforsa ne se veut pas rendre; iusqu’a la mort se veult deffendre, car il a ung moult bon cheual; en la battaille n’eut egal. Merveilles fait en deffendant 650 Renforsa, car il va fendant la battaille la ou il veult. Mais longuement durer ne peult, car on lui donne au trauerser tei copv dont le conuient verser. 655 Renforsa va la deffinant et son bon destrier declinant : illecques fut feruz a mort Renforsa plain de grant effort. Or est le seneschal mort cheuz; 660 les Prouuenceaulx en sont camuz et demeurent en grant esmay pour la mort du preu Renforsay, Paucsi. Astcsani. 632 T ungs. 633 M Pavois. 63$ T aydant. 636 CM aucz. 637 CM preu. 638 C sciens. 642 Ms. CMT escriant tout. 647 Ms. C ha. 649 Ms, CMT deffendent. 652 C derrer. 655 CMT deffiant. — 406 — et les autres sont retournez, qui l’eurent illecq amenez. 665 Qui ne se rend, est prins ou mors, ou il s’enfuyt du cappleis hors. Le Gamenaire est restorez du bon marquiz et recouurez: grant feste en fait le Rauailleux, 670 qui bien cuidoit aller ailieurx, et les autres grand ioye mainent, qui auecques lui ont eu paine et doubte de perdre la gorge droit la vigilie de saint George. 675 Fut le marquiz en grant reuel entre Gabian et Pontisel, “ÌT,™,SSinTuS mìnclln in la valle tra Gabbiano et qui eut ses ennemiz vaincuz. Montebello. Mais demoura fort yrascuz; car il avoit tres grant enuie 480 de prendre Renforsa en vie: mais il ne peult pour la haultesse; qui fut en lui et la proesse. Le bon marquiz sans seiourner lui et ses gens vont retourner 685 vers leurs pays et leur contree, car il ot sa guerre finee. Fort en mercye ses amiz, qui bien se feurent entremiz de lui ayder sans nul deffault. 690 Plus ne diray du seneschault, qui la fut mort emy la place, sy non que Dieu pardon lui face. 664 T leur ont. 666 Ms. sen fuyt. 670 Ms. cudoit, CM cu dolt. 671 Ms. C mament. 672 CM pairc, Ms. T en paine. 675 Ms. Fuit. 679 T en vie. 680 M 1 envie. — 407 — B) Versione a) Versione compendiosa della Cron. Ms. di BENVENUTO S. GIORGIO nell’ Arch. Gencr. di Stato (fogl. 191-5) L’ Anno MCCCXLV Joanna Regina de Sicilia ad preghere de la parte guelpha, et specialmente de Cheriensi mando in Lombardia Reforza Dago, Senescalco del Re Roberto suo marito (i), in adiuto loro, contro la parte Gibellina che lei haueua in odio, per la grande charita et affectione chella portaua a la parte Guelpha et detteli la Insegna de le armi de Sicilia, la quale non hano altra differentia dal scuto de Franza, che uno rastello rosso, et mando seco per suo consegliere uno Monsignore Bestet, homo sauio et praticho, et alchuni altri valenti homini, cioè, M.r Joanne de Cimiers (2), M.r Perciuallo de Po[nJtes, Il figliolo del Conte Pietro de llicorf, et molti altri Nobili homini Prouenzali esperti de Guerra. Cheriensi et li Falieti, intesa la venuta loro, molto se ne allegrareno, et dettero per conseglio a Reforza Dago et a M.r Bestet che andassero ad mettere lo assedio inanti a la Cita de Alba, dicendo che li Citadini depsa Cita li erano molto contrari) et aduersanti et li haueuano facto molte iniurie et dis-specti. Cheriensi et Prouenzali anchora loro non se discordarono dal conseglio de li falieti, et cum lo exercito loro subito (1) Falitur q[ui]a Rex robcrtus crat Auunculus Joann. — Et obiit Robcrtus 14 Kalen. feb. 1343. ut Onuphrius testatur (Nota in margine di 2.* mano). (2) Nel Ms. Cimici». — 408 — caualcbareno ad la obsidione de la dieta Cita, et in breue tempo la conquistareno, et intrati dentro, el senescalcho domando tutti li suoi Prouenzali, et li disse che lui era de parere che se doues-sero pigliare tre o quatro o cinque de quelli di epsa Cita, che li erano stati più contrari) et se li facesse tagliare la Testa; et cusì incontinento fuo exeguito et facto. Tuttauolta ultra questa executione, non (i) presero in epsa Cita grande quantità de dinari, ne de Gioye, ne de presoneri, excepto che M.r Luchino de Braya, per la cui captiuita tutto el Populo grosso et minuto fece gran forza per deffenderlo, In modo che Reforza fuo costretto ad renderlo. E partendosi da epsa Impresa andò ad accamparsi a la Gamenaria, qual luoco et forteza se gouernaua per la gente de Ioanne Marchese de Monte-ferrato. Quelli che erano a la diffesa del Castello , vedendosi circundati da le genti de Riforza Dago, vennero ad_ parlamento cuin lui, et conuennero insieme, che non hauendo soccorso dal Marchese infra la vigilia de Sancto Georgio, metteriano epsa Forteza in le mane del dicto Reforza. Il quale volendosi assecurare, che tale promessa non li sarebbe fallita, domando che li fuossero dati hostagij, e cusi uno de quelli de dentro chiamato per sopranome al Rauaglioso, cum alchuni altri affezionati al prefato Marchese, se offerse ad uoler essere uno de li tre o quatro hostagij de quelli se hauessero a dare. El Marchese, intesa dieta conclusione, mando ad richiedere in aiuto suo Pauesi et altri suoi amici et subditi Astesani. Poi chebbero inteso el bisogno del prefato Marchese, vennero an-chora loro expeditamente et bene in arme in aiuto suo, et caual-chareno insieme cum laltra compagnia tanto che se approxima-reno appresso li inimici, Reforza accompagnato da Prouenzali et Piemontesi, da Pietro Falletto et quelli de la parte sua, da Cheriensi et de quelli del Solero, Montafie et de Castello Haynault. Poi chel vide spigato el stendardo de le Insegne de lo Imperio, et quella del prefato Marchese, qual era rosso e biancho, fece anchora lui spigare quello de la Regina de Sicilia, cum el scuto de Franza et uno rastello rosso, et quello de le (i) Nel testo francese manca la negazione. - 409 — Insegne suoe, qual era un lupo de Azuro in campo doro, et tra lo exercito suo et quello del Marchese, nel quale erano Tho-maxio Malaspina, Zanardo de Incisa, Oddone de la Rocchetta, Pietro de Azelio, Ioanne et Ottobone de Cochonato, Ughetto de Valperga, quelli de Gabiano, Pietro de Septimo, Fràcesco de Cerexeto, Franceschino Cane de Casale, Guido de Camagna, Aste-sani cum la insegna loro de la Croce Bianca in Campo Vermiglio. Tra li quali era Iacobo Garretto che portava dieta Bandiera, quelli de Castello, Perciuallo Guttuero, Benentino, Oddo-nino et Ughetto, Rolando et Wiglono de li Isnardi, Bartholoineo, Paglerone, Olivero, Antonino et Franceschino de li Turchi, Brando , Cortasone et Flichino de li Pellete , Matheo Scarampo, Andrione Bunio, Antonio Garreto, Spinotto, Raphaele et Gu-lielmino de li Rottarij, Georgio et Philippino Asinarij. Fuo commesso graue et cruente Battaglia, In la qualle non obstante che Astesani molto villanamente aiutassero el Marchese, non resto perho che cum lo aiuto de li nobili et subditi suoi et anchora de Pauesi, quali fidelmente lo servireno, non conquistasse et hauesse gloriosa victoria del valoroso Seneschalco. Et non li manchereno le exhortatione de Otto Duca de Brunsueich suo Cusino che in lingua Todesclia lo animava al combattere cridando « Rome Rheiter su Rome Rheiter » che in lingua italiana vuol dire « Caualer Italiano, conquista el tuo Inimico ». Reforsa adunche, combattendo valorosamente, fuo abandonato da quelli de la parte Guel-pha, che lo haueuano la condutto, et non volendosi rendere fuo ferito a morte. Li prouenzali vedendo Reforsa essere caschato morto se missero in fuga, et molti de loro fuorono facti pre-gioni, et la maggior parte fuo occisa. Et ritrouo che in epsa Battaglia fuorono morti più che Trentamilia homini. La qual finita et conquistati li Inimici, el Marchese reccupero la Forteza de la Gamenaria vicina al luoco de Cherio, et cum summa Gloria se ne ritorno in Monferrato, et il Pontixello, molto se contristo cum li soi cliel non hauesse possuto hauer vivo el Seneschalco Reforza. — 410 — b) Versione letterale Al dolce tempo che ogni cosa rinverde e i boschi fioriscono e gli uccelli si mettono a cantare sugli alberi, i quali gettano i loro fiori, T anno mille trecento (5) quaranta cinque, avvenne che in Sicilia vi fu una regina, che odiava la parte Ghibellina e aveva cari i Guelfi. La regina seppe della fierezza (10) di un cavaliere, che ebbe nome Rinforzato d’Agoùt e si sforzò, quanto fu in vita, di seguir cavalleria. Questa regina, ch’io dico (15), fece chiamare il gentil cavaliere che le volesse fare un servigio e gli parla in tal guisa: « Rinforzato d’Agoùt, ascoltate il perchè da » me foste chiamato (20) : voi andrete in Lombardia, poiché la » parte Guelfa mi prega eh’ io le mandi un siniscalco. Ormai » farà bello e caldo per cavalcare e tener oste (25), che dia » briga ai nemici ; ma specialmente aiutate quei di Chieri, » perchè hanno a fare con gente forte. Andate e pensate a far » bene (30); e, perchè ve ne sovvenga, prendete, ecco qui » 1’ insegna delle nostre armi che porterete e così ne andrete » più pregiato. In queste armi lo scudo di Francia (35) non C1 » ha nessun’ altra differenza che un rastrello rosso, per faie » distinzione. Queste armi daranno lustro alle vostre, che son » molto ricche (40) : un lupo d’azurro in campo d oro, che » portate sulla vostra persona. E voglio che nel mio regno sce-» gliate uomini pratici di guerra arditi e prodi ne’ travagli (45) » e che vi sappiano consigliare ». Rinforzato d’ Agoùt, che ben s’avvisa ciò che vuol la regina, così volentieri le rispose: « Io mi metterò, madama, in viag-» gio (50) per fare quanto può dare a voi piacere e dispiacete » a’ nemici. Io vado ad aiutare quei di Chieri », disse il signor di Forcalquier, ch’ebbe nome Rinforzato d’Agoùt (55) , ardilo - 411 — e prode e di gran rinomanza. — « Addio », fece la regina. E Rinforzato d’ Agoùt s’incammina. Or ben sappiate eh’ egli mena con lui nobil gente e di buon lignaggio (60), e non s’indugiarono punto, finché vennero in Lombardia. Rinforzato vide per il meglio suo che gli bisognava un consigliere istrutto e di buono stato (65) e scelse monsignor Bestet come il più savio e istrutto di quanti erano con loro. Ve ne aveva di prodi e di fieri: messer Giovanni di Cimiers (70), messer Percivalle di Pontez, assai bene e nobilmente provveduti in cavalli. Vi era fiero in sembiante il figlio conte Pietro di Ricorf e seco molta nobil gente (75). Rinforzato d’Agoùt è in via: tutti avevano sembianza di valorosi ed erano venuti di Provenza. Quei di Chieri ne ebbero notizia, che è per loro buona e bella (80) e lieti muovongli incontro e dicono: « Sire, siate il benvenuto », poiché 1’ avevano desiderato lungo tempo. E i Fal-letti, al vederlo, gli fanno onore e festa grande (85) e levano più alto il capo. Allora così prende il siniscalco a dire : « Signori, » sappiate che io qui venni ad aiutarvi con tutto il mio potere, » poiché la regina anco (90) me ne ha pregato di tutto cuore » e qui mandommi per questo ». Allora ne menano gran festa i Guelfi tutti insieme e i Falletti co’ loro amici (95), che si erano colà raccolti. Quando il prode Rinforzato vide così grande nobiltà, va a chiamare monsignor Bestet e « Orsù », gli dice, « ho a » parlarvi (100): da poi che son venuto in Lombardia, non » voglio starvi ozioso ». E quando il siniscalco ebbe detto, messer Bestet gli rispose: « Sire, parlate a quei di Chieri (105), » ai Falletti che vi hanno caro, ai vostri cavalieri Provenzali; » da loro dovete prender consiglio ». Allora così prende Rinforzato a dire: « Io vengo ora di Provenza (no): voi, Falletti, » e voi di Chieri, fatevi avanti, vi chiedo consiglio ». E i Falletti, senza indugio, così consigliano il siniscalco: « Sire, mo-» viamo senza riguardo (115) contro di Alba per il dispetto che » ci fecero, non ha guari: volentieri renderemo loro la pariglia ». Quei di Chieri non discordano e son d’accordo i Provenzali (120). Quando il siniscalco ciò intese, si rallegrò forte del consiglio e s’incammina tosto verso Alba. — 412 — Sappiate eh’ egli con le sue genti non s’ arresta, finché non si son accampati davanti ad Alba (125) tutti insieme e 1 hanno assediata; nè guari vi stettero, che non l’avessero presa. Ma, se non si fosse loro aperta la porta, vuoi per mezzo di scure, vuoi per tradimento (130), potevano ben far conto di rimanere colà quatti-’anni, prima di penetrarvi dentro. Il siniscalco, quando fu dentro, chiamò i suoi seguaci e loro parla in tal guisa (135): « Udite, Signori, quel che io m’avviso e la mia volontà. Di » quelli, che più vi fecer torto, prendetene tre o quattro 0 cinque » e fate loro cader la testa (140) giù dalle spalle : ecco quel » che mi piace ». E quelli risposero: « Sia fatto », e adempirono il volere del siniscalco senza dimora ; presero in Alba molti denari (145), molti gioielli e molti prigionieri di ricco pregio. Messer Luchino di Brayda quel dì fu preso e ritenuto: tutti in Alba e grandi e piccoli (150) fecer lor possa per difenderli; ma li si convenne rendere a Rinforzato. Allora dissero subito i Chieresi al siniscalco, che teneva Alba in sua mano: « Volete » udire il nostro avviso (155)? noi crediamo che or tutto e no-» stro. Moviamo verso il nostro paése di Chieri, dove non siete » punto odiato, e poi andremo contro a Gamenario, che ci ha » dato tanta molestia (160), e bentosto l’avrete conquistato. Si » muova pure il marchese, ma non avrà potere di difenderlo ». Disse Rinforzato: « Ci voglio andare e, poiché 1 avete detto (165), » conducetemivi voi che conoscete tutta la contrada e la tetra, » chè io non vo cercando altro che guerra. Andiamo, via, e » cavalchiamo che si possa essere presto davanti (17°) » tezza che voi dite. Non la passeranno cosi liscia quei che la » vorranno difendere contro di noi e faranno vista di attendere ». Il siniscalco e le sue genti (175) tanto cavalcarono che fermaronsi insieme davanti a Gamenario. Là si levò grande e poderosa oste. Vi si buttarono dentro quelli che hanno buona volontà (180) di difendere Gamenario e giurano per il buon Dio che non li lasceranno entrar dentro sì tosto. Subito però mandano a dire al marchese che venga a levare l’assedio (185), prima che il siniscalco abbia potere di nuocer di più a lui e a sue genti con grande sforzo. « Soccorreteci senza dimora, gentil marchese di Mon- - 413 - » lerrato, venite a veder Poste di Rinforzato (190), che vuole » abbattere 1’ onor vostro, venite a combatterlo ». Quando il marchese udì la notizia di tal gente cotanto ribelle, da pertutto manda ordini senza alcun ritardo (195), perch’ egli possa avere a un certo giorno tutte le sue genti e gli amici suoi per correre sopra i nemici. Ora lascerò stare di questo, perchè voglio contarvi di Rinforzato (200), che è davanti a Gamenario. Egli comanda a’ suoi di trar forte contro il castello e di assalirlo, ed essi così fanno senza tallire. I Chieresi li assalgono forte (205) e forte travagliansi i Falletti : gran tenzone muovono al castello i Provenzali, che molto fanno di persona. Molti anco vi furono dei Piemontesi a piè e a cavallo (210), che vanno aspramente bersagliando e assalendo Gamenario. Ma quei di dentro non li pregiano guari, perchè son gente di alto affare e assai valorosamente si difendono (215), aspettando essi presto il soccorso di Giovanni il nobile marchese di Monferrato prode e gentile. Imperocché questi ha fatto sapere che devono aver soccorso (220) da lui e sua gente e , dovesse anco costargli mille marchi di argento 0 quattro mila degli uomini suoi, certo li soccorrerà. Signori, vuoisi contar brevemente (225) l’ordine delle cose, perchè valgono meglio due parole che tante frivole. Rinforzato e quelli del castello fanno tra loro questo patto (230) : che il castello, salvo che non fosse difeso e soccorso dal buon marchese , sarebbesi reso un dato giorno, fissato fra loro senza rimproccio (235), al suono dei vespri infallantemente. Disse Rinforzato : « Io voglio ostaggi da voi che siete rinchiusi dentro la » gabbia del castello; così ne sarò meglio raffermato (240) ». Quei del castello, come pare, consigliaronsi insieme: « Or via, » Signori, che ne dite? Rinforzato vuole ostaggi da noi ». Uno ardito e prode fu (245), il quale chiamavasi il Ravaglioso e disse: « Per me, o terzo 0 quarto 0 quinto, starò ostaggio volontieri, » perchè il marchese, in cui ho fidanza, ne soccorrerà senza di-» mora » (250). E uscirono fuori gli ostaggi, che il siniscalco allora si tenne. Il siniscalco li prende volontieri per il profitto che ne spera, ma io non so se profitto (255) 0 danno ci tosse. Atti Soc. Lig. St, Patria. Serie 2.*, Voi. XVII. *7 - 414 ~ Poiché il marchese, come seppe l’avventura, l’affronto e il gran pericolo, nel quale stanno coloro, che si sono confidati in lui, ne ebbe gran pietà (260). E disse: « Ahimè, che ho mai fatto? il » Ravaglioso avrà mal gioco e quelli che stanno con lui e at-» tendono soccorso fino a venerdì vigilia di S. Giorgio (265). Il » termine che fissai non è sì breve; ma è d’uopo ch’io lo ac-» corci, per soccorrere senza dimora il castello che è de’ feudi » miei e quelli che son dentro (270); quelli poi che stanno in » ostaggio, io li vorrei riavere sotto la mia fidanza: ma li riscat-» terò franchi e liberi, o vi lascerò pegno migliore. Se Rinfor-» zato vorrà prender pegno (275), ei non potrà rimproverarmi » eh’ io non non gliene dia de’ buoni de’ prodi de’ savi e de’ » gentili. Ma io non posso aver la mia gente tutta raccolta, perchè » la via è troppo lontana (280). Vi dirò dunque per certo che » d’ uopo m’ è contentarmi di meno, se voglio raggiungere Rin-» forzato, innanzi ch’egli abbia preso la fortezza (285) di Game-» nario : troppa è la fretta ». E il marchese di buona vita sog-« giunse : È necessario eh’ io abbia meco qualche gente di Pavia, » poiché sono di buona fede » (290). Da parecchi luoghi vengono in aiuto al buon marchese scelti amici, perche egli non ha da venir meno a’ suoi, ma di buon diritto li deve servire. Gli Astigiani, inteso quanto vuol fare (295) il prò’ marchese di alto affare , dicono che gli daranno forte aiuto. Fra loro non è punto discordia; si sono armati e vestiti di ferro e montano sui loio lesti cavalli (300). Quando si sono così vestiti, vanno diffilato dal marchese, il quale non può augurarsi di meglio, quando gli Astigiani lo vogliono aiutare. La schiera d’ Asti ben presto (3°5 ) viene in aiuto al marchese, e al vedere tal gente valorosa egli le fa gran festa : quella era un’ accolta di cavalieri nobile prode e potente (310). Giovanni, marchese di Monferrato, riguardò la sua compagnia e disse: « Signori, noi siamo a sufficienza, se vo-» gliamo essere prodi, e ho abbastanza di gente a piedi (3*5) > » che ci varrà quanto può valere ». E si misero a cavalcare forte, tanto che furono presso i nemici. Allora il marchese fece chiamare uno de’ suoi trombetti e gli disse (320): « Bel dolce amico, ti » è d’uopo andare da Rinforzato il siniscalco. Prendi, ecco 1 - 4X5 ~ » guanti di battaglia: tu gli dirai o che se ne vada (325) fuori » de’ miei feudi e della mia terra, perchè io non lo posso più sofferire, o, se lo vuole, che dia battaglia ; io mi troverò sul » luogo. Va e ritorna ». « Sire, sarà fatto ». Il trombetta tosto s’avvia (330) verso il signore di Forcalquier e andogli a portare i guanti di battaglia, « In questo modo », dicendo, « vi » manda il mio signore i guanti di battaglia; eccoveli (335). Se » vi piace, prendeteli, oppure sloggiate tosto da’ suoi feudi voi e » la vostra oste. E se vi piace di combattere seco lui, fategli » luogo, finché egli abbia (340) passate le sue genti accosto a » voi: or ditemi il voler vostro ». Disse Rinforzato: « Qua, » qua i guanti, io son molto contento di prenderli, ed eccoti del » denaro per (345) la gioia, che mi hai arrecato, e un rovano » eh’ io ti dono : io non desidero altro che battaglia. Bel dolce » amico, vattene con Dio: di’ al marchese che avrà luogo (350) » e tempo per passare le sue genti e ritorna a lui, senza fermarti ». Il trombetta molto ringrazia Rinforzato di sua cortesia e dice : « Sire, io dunque me ne vado (355); mi loderò del vostro dono ». Il trombetta ritorna indietro e ripiglia la strada verso il marchese e non si ferma, finché è arrivato. Lodasi forte del largo dono (360) fattogli dal siniscalco e dice: « Sire, egli è molto caldo e de-» sioso di battaglia e vuol segnarvi luogo per passar voi e vostra » gente » (365). « Convienci cavalcare oggi », dice il marchese di Monferrato, « ma d’una cosa duoimi grandemente, di non avere » un cavaliere , che possa portare 1’ abbracciata (370) a quelli, i » quali han voglia d’ entrare nell’ ordine della cavalleria ». E ora lascerò stare di ciò ; voglio ritornare a Rinforzato, che, fatto chiamare Bestet (375), « Or bene », gli dice, « dob-» biamo noi senza battaglia abbandonar Gamenario senza suonar » l’ora di vespro? » Monsignor Bestet risponde senza indugio: « Facciam sonare l’ora di vespro » (380). Non era guari più di nona, quando si suona la campana presso all’ oste, e allora sen vanno il siniscalco e le sue genti a trarre contro Gamenario. Chiamò tutti quei del castello (385): « Orbene, signori, che dite voi? Ecco, » venuta l’ora che dovete rendere a noi la fortezza, secondo i patti, » oppur voi vedrete recidere senza dimora (390) la testa ai vostri — 4*6 — » ostaggi, che sono in pegno nelle nostre mani ». E cosi, mentre essi si affiatavano e tenevansi in ciance e l’un l’altro si risponde (395), sire Bestet fe’ gittate un ponte e metterlo sul fossato , sul quale essi passarono. Presero il castello senza fallo ; miservi dentro il siniscalco (400) e sulla porta fu issata l’insegna portata da Rinforzato e quella della regina, in cui è il fiore di giglio d’oro line. Rinforzato tiene Gamenario (405), ma non gli resterà guari, perchè il marchese sen viene veloce, che gli darà pena e tormento. Il marchese fa, senza por tempo in mezzo, dispiegare al vento la sua bandiera (410) : bianca e vermiglia è la balzana e per nulla sana per Rinforzato. Il marchese e le sue genti cavalcano, e gli Astegiani s’avanzano con lui, de’ quali il marchese è ben fornito (415), perchè sono benissimo armati: hanno ricche armi e cavalli e destrieri potenti e alti. I buoni Pavesi senza fallo son venuti in tempo a ferir colpi (420) : hanno al vento quattro bandiere. Il marchese li riguarda lieto e ne ha diritto, perchè l’aiuteranno bene e si diporteranno lealmente. Insieme cavalcarono tanto (425), che son presso a Rinforzato e alla sua oste, che è assai potente, essendovi colà molta gente valorosa. Allora che Rinforzato vide il marchese fa dispiegare il fior di giglio (430) col rastrello rosso, per mostrare eh’ era disceso di Francia. Accanto a questa insegna Rinforzato ne tenne un’ altra assai ricca e bella, il cui campo era dorato (435) e guardato da un lupo d’azzurro. Molte bandiere appariscenti de’ suoi aiutanti son là spiegate al vento: quelle di Provenza e di Piemonte son là in molto gran numero (440). Pietro Falletti non vi manca e coloro che sono della sua parte. Gran gente vi hanno i Chieresi e alcuni pure de’ Solari, Orsino de’ Solari e Adolbrandino (445); ciascuno sul suo destriero ben fine, seguono là il siniscalco; e Martino di castello Haynault e Obertone di Montafia, in cui confida assai Rinforzato (450). Che volete che vi dica ? Eravi grande compagnia di gente ardita e prode e tutti fan sembiante di combattere (455), se il marchese osa attaccare. Ora io tornerò al buon marchese di Monferrato, che tanto ha toccato degli sproni, da essere vicino a Rinforzato (460). Il marchese ha sulla sua insegna la balzana, che Dio mantenga, e an- — 417 - cora quella dell’ impero, per cui i suoi affari non peggiorano. 11 marchese, pieno di buon consiglio (465), e Rinforzato stanno di fronte: così che gli uni yedono gli altri e mettono le lance in resta. Il marchese aveva parecchi baroni montati sui loro cavalli leggeri (470) , che si tirarono da una parte e si raccolsero tutti insieme. Spronando i loro cavalli e schiamazzando muovono contro a Rinforzato e corrono con grand’ impeto (475) addosso alla sua parte. Ma allor che videro la possa di Rinforzato e il suo volere, fecero ben presto una ritirata, il che fu un fatto vergognoso (480) per i fanti Monferrini, i quali si rivolsero a briglia sciolta; e molti fuorusciti di Chieri uscirono della battaglia. Allora il marchese sprona il suo cavallo (485) e gli è ben presto vicino Rinforzato, il quale sta assai bene in arcioni e vien diritto verso il marchese. Sopra un destriero grande e potente lo va seguendo monsignor Bestet (490) e Giovanni di Mimer non rimane indietro. Là cavalca di gran maniera il figlio conte Pietro di Ricorf e messer Percivalle di Pontez (495) non risparmia il suo cavallo. Di Provenzali e di Piemontesi viene appresso un grande stuolo, e Pietro Falletti con que’ de’ Solari lor tengon dietro senza ritardo (500). « Cavalier Sant’ Antonio », grida il siniscalco e la sua parte. Il marchese, spronando e pungendo il suo cavallo, gli è ben presto davanti : gran colpi menansi i vassalli (505). Ora incominciano gli assalti. « Rome reiter », va gridando il buon marchese dal cuor valente « Rome reiter, su, Rome reiter », risponde suo cugino di Brunswich (510) « guarda quanti nemici combattono! » Così fa Tommaso Malaspina: là combattono quelli d’.Incisa, pieni di prodezza e di ardire, Zanardo d’incisa si batte (515) proprio aspramente, e Oddone della Rocchetta dà più gran colpi che non ne riceve: chi ei colpisce di buona mano, se ne risente ancora l’indomani (520). Forte si batte nella mischia Pietro d’Azeglio, il prode baronetto: e devono far bene a buon diritto, perchè sono marchesi di Ponzone. Fanno sui nemici loro prove (525) i buoni conti di Coconato, i prodi Giannino e Ottobono e parecchi altri di egual rinomanza. Nella battaglia ben s’intromette il prode Ughetto di Valperga (530), che si dimostra così per certo valente. Vidi pure cavalcare quelli di Gabiano, e altri parecchi di quel — q*8 — luogo dànno gran briga al nemico. Aiutano di cuor fine il marchese (535) Pietro di Settimo e Albertino c Franceschino di Cereseto e molti altri, che sono di là. E Franceschino Cane di Casale vi si diporta da buon vassallo (540) e altri molti con lui, che son pure di Casale. Guido di Camagna si difende pronto là alla battaglia. E ben combatte la gente ardita (545), che è venuta di Pavia; fra loro portano quattro bandiere e si diportano senza rimproccio. Grande fu lo strepito e l’assalto del marchese c del siniscalco (550): questi aveva assai buona cavalleria prode e ardita. Rinforzato, siniscalco ardito e forte, assale il buon marchese , che non ha poco a fare (555), essendo preso in mezzo da tal gente. Ma gli Astegiani non gli verranno meno e innanzi notte daranno fiero assalto al siniscalco. Drizzano alta la loro bandiera (560) vermiglia con la croce bianca e gridano: « Rome » reiter, su, Rome reiter ». Là vedreste giostrare la gente d’Asti, che con grande ostinazione (565) si scaglia nel bel mezzo della mischia e per aiutare il valente marchese forte assale Rinforzato. A menar le mani assai si affretta Galeotto il figlio del loro Podestà (570); e gli passa davanti Giacomino Garretto, che va portando la bandiera , e dopo anco tutti quelli di Castello, che entrano nella lizza mortale per dar coraggio al marchese (575): tal gente è ben degna di lode. Là è Percivalle Guttuario, che da forte combatte sul suo destriero, qual uomo pieno di bravura, siccome appare dal sno viso (580). Con lui era Bonentino de’ Guttuari e Odenino. Là si batte Ughetto Isnardi qual uomo venuto di buon luogo, nè tiene l’aquila nel suo nido (585)» ma la fa volare dal suo pugno, e lo segue Rolando Isnardi, che reca gran molestia ai nemici. Nè lui nè Guglielmo Isnardi non fanno mostra d’esser codardi (590), sì gran colpi dànno e ricevono: 1 nemici ben lo sanno. Proprio nel mezzo della battaglia vanno a ferire Bartolomeo Turco, Paglierone e Oliviero (595)> Antonino Turco sta lor dietro e Francesco Turco insieme si batte da forte nella mischia. Dei Pelletta là è Aldobrando, che assai bene si difende con la spada (600), la cui lama è di fine acciaio : Cortasone Pelletta e Felicino seguono da presso la battaglia e per certo anche Matteo degli Scarampi. Dei Bunii là è Andreotto (605), il quale - 419 - è ardito come un leone: sul suo destriero alto e vestito di ferro si batte con gran fierezza e Giacomino il forte, che non si risparmia (6io), tiengli compagnia. Or ci viene de' Rotarii Spinotto, che dà gran briga a Rinforzato, urta gli uni, colpisce gli altri (615), beato chi gli può sfuggire. Raffaello Rotario e Guglielmino, Giorgio Asinari e Filippino pr ovansi egregiamente nella battaglia ; ma vi so. dire che trovano (620) il siniscalco troppo ben prode e ardito e anco quelli che sono con lui. Grande fu il rumore e la battaglia: là si feriscono di stocco e di taglio fra di loro senza tregua (625): là vedreste fiero combattimento. Ora rimettonsi all’ assalto il prode marchese e Rinforzato cosi prode anch’egli e nobile, il quale ha secolui gente molto abile (630). Forte drizzansi 1’ un contro l’altro: gli uni incespicano, rilevansi gli altri. I Pavesi molto lealmente si provano e assai valorosamente gli Astegiani nello aiutare Giovanni il buon marchese (635), che ben tosto avrà vinto il siniscalco prode e valente. E già vengono meno i suoi, che 1’ avevano tratto colà ; ora è in cattive acque il siniscalco (640) e, se non si rende, gli toccherà morire. Allora gridangli tutti forte: « Arrendetevi, siniscalco gentile, se volete » sfuggir vivo ». Rinforzato non si vuole arrendere (645) e fino alla morte vuol difendersi; poiché egli ha un assai buon cavallo, che non ha uguale nella battaglia. Per difendersi Rinforzato fa miracoli, perchè egli va fendendo (650) la battaglia là, dove vuole. Ma non può durare lungamente, imperocché gli si dà nel traversare un tal colpo, che gli convien sbalzar di sella. Rinforzato va morendo (655) e il suo buon destriero declinando; ma, per quanto faccia grandi sforzi, Rinforzato viene ferito a morte. Ora il siniscalco è caduto morto e i Provenzali ne sono sbalorditi (660) e stanno in gran pena per la morte del prode Rinforzato e se ne sono tornati quei, che 1’ ebbero colà menato. Chi non s’ arrende, è preso o morto (665) 0 fugge fuor della battaglia. Gamenario è ricuperato dal buon marchese e ristorato: gran festa ne fece il Ravaglioso , che ben si credeva di andare altrove (670) e ne menano gran gioia anco gli altri, che seco lui furono in pena e dubbio di lasciar la vita giusto la vigilia di S. Giorgio. Tra Gabiano e Ponticello (675) fu in grande esultanza il marchese, che aveva — 42o — vinto i suoi nemici. Ma egli fu molto dispiacente, perchè aveva gran voglia di prender vivo Rinforzato (680) ; il che non potè fare per il valore e la prodezza di lui. Senza por tempo in mezzo, il buon marchese e le sue genti ritornano al loro paese e nelle loro contrade (685), perchè la guerra è finita. Egli forte ringrazia i suoi amici, che bene si sono adoperati, perchè il soccorso non gli mancasse. Più non dirò a riguardo del siniscalco (690), che restò morto sul terreno, se non che Dio mercè gli faccia. — 421 — C) Raffronti Battaglia di Gamenario. Estore des Lohtrains: Comme est un arbre piante en I gardin qi par la tina jete fuelles et fruit. (Stengel, Mittheilung. aus fr. Handscr. d. Turin. Univer-sitàts-Bibliothek , Marburg, 1873, p. 12). Iehan de Condè: En le douche saison jolie que toute créature est lie par droit de nature et joieuse et que naist la fiours en la pree, kantent oysiel main et vespree et mainnent vie glorieuse... (Bartsch, Chr. de l’anc. fr., Leipzig, 1884, p. 395, 15). Descort de Colin Musei: Or voi lou douls tens repairer ke li rosingnors chante en mai... (ib., 381, 34). Roman de 7ristati: Li soleil luist et clerS et biaux et j’oi le doli c^ant ^es oysiaux, qui chantenl par ces arbroissiaux, entor moi foni lor chanz noviaux... (ib., 150,39). Chansons du Chatelain de Coucy: Quant li estez et la doucc saisons fait foille et flor et les prés raverdir et li dols chans des menus oisellons... fait as pluisors de joie sovenir. (ib., 242, 8). vv. 1-4. Sur le doulx temps que reucr-dissent — toutes choses et bois fleurissent — et oyseaux a clmnter se mettent — sur les arbres, qui leurs fleurs ieltent. r — 422 — Jehan de Meung : . . . Quant li airs, ert apaisez et li tans douz et aasiez que cil oisel chascun tnatin s’estudient en leur latin a l’aube du jour saluer.... (ib-, 385. 24). Le due Charles d’Orléans: Le temps a laissé son manteau de vent, de froidure et de pluye, et s’est vestu de broderye de soleil luyant, cler et beau. 11 n’y a beste ne oiseau qu’en son jargon ne chante ou crye... (ib. 553, 25 ; cfr. 259, 242). Cfr. Arnold Daniel: .... Puois che botonoill vim e l’aussor cim son de color de mainta flor e verdeia la foilla eil chant e il braill son a Fombraill dels auzels per la bruoilla.... ( U. A. Canello, La vita e le opp. d. trov. A. D., Halle, Niemeyer, 1883, p. 85, II). Cfr. Pierre Vidal: La lauzeta e ’1 rossinhol.... etc. v, 9. et auoit Guellcz en chierté. IVace (Le romun du biut). ^ tant cum jo t’ oi plus en chierté. (B., 114,8)- Romances : dame Iti molt Voi chier. (B., 3 33, 5)- — 423 — Quesne de Bethune: v< 12‘4.....qui s’enforsa ... — de Chascun se doit enforcier - de Dieu porsuiuir cheualerie. servir (in Ch. Nisard, Des chans. popul. chez les anc. et mod...., Paris, Dentu, 1867, I, 202) - de fair e chevakrie (ib., 219) — Trop estiez orguiloux - de monlrcr chevakrie (ib., 219). 2™' p., Paris, Desrez, 1840, p. 129). Crestien, li cbevaliers au Lyon: ja de /aire votre servise. (B., 166, 17; cfr. 316, 1). Huon de Bordeaux: ‘ baron’, dist il, a mi en entendès'... ‘Dans amirés’, dist Hues, 'entendès'.. ‘amis’, dist eie, envers moi entendes’. Bovo d’Antona: Rizardo, disse la donna, intende lo mi’ parli (I. Ulrich, altital. Lesebuch, XIII Iahrh., Halle, 1886, p. 3, 9). Messer, diss’ela, or m'entendé za (ib., p. 5, 102). G. de Villehardouin : vv. 16-8. manda le cheualier gentilz qu’il lui voulsist faire ung seruise. et manie a l’emperour k’il le sivist. (Conq. d. Constant., in Buchon, Recherches etmatériaux,etc., v. 19. ‘Renforsa d’ Agoùt, entendès’. ‘Vasai’, dist il, entendes à moi ga’. (B. 198). Villehardouin: v. 20. vous qui de moy esles mandes. et furent mandò li baron cl logis del empereor, etc. (p. 129). v. 25. pour____tenir osi. Roman i’Alixandre: et conduire les 0{ et sagement mener. (B., 191, 22). - 424 — Moralite du tnaulvais riche: 22. 6. qui face aux ennemiz rihot, trop me faictes avoir riote. cfr. v. 264. (B., 470, n). Renani de Montauban: v. 30. Allez et pensee de bien faire, ‘sire’, dient si frere, ‘del bien faire pensis'. cfr. v. 523. (B., 86, 28). fehan Bodel: .... seigneur, or du bien faire. (Ib., 315,25). Gormund et lsembart: e en bataille faisant bien. (13., 22, 34; 25,11). Chanson de Roland: v. 34.......plus prisié scre{. .....de tut les miels preisiets. (ed. crit., par Ed. Bcelimer, Halle, 1872, v. 1872). Villeliar douin : uns des plusprisiis chevaliers du monde. (p. 106, cfr. 81 etc.). Chanson de Roland: v. 44. esli%ie\ gens soubtili de guerre, Eslisc\ mei unze de vos baruns (v. 877). Le combat de trente bretons, etc. vous estes vaillant hommc et moult soutiff guerrier. (B., 405,21). Quens Guinemer : v. 51. pour faire ce que vous pcult .... sire, ie ferai votre plaisii. plaire. (Stengel, Mitth., 288). Ami et Amiles: v. 56......et de gran renom. .... qui est de grant renon (B., 72, 46). V. 57-v. $8. v. 59-v. 6i. v. 65. v, 67. v. 73. - 425 - ‘ A dieu comanda la reine. Renforsa .... s’cnchemine cfr. v. 50. Et bien saìchie{ . . . . Entre eux n'attargierent mie. de bon estat. ... . scienceux. .... de haulte chine. Vie de la S“ Vierge Marie: Ioachim fu de grant renommee. (Stengel, Mitth., p. 21). ... et de moti grant renon (ib., 24). Jehan de Bodel: .... a dieu demourez (B., 316, 34). Chanson de Roland: Entret en veie, si s’est achiminets. (v. 365). Villehardouin : Et sachiés.... (p. 33). — Or sachiès (p. 123). Chanson de Roland: ... ne s’en targent nient (v. 1415). Villehardouin : ...ne targierent mie (p. 163). Jehan Froissart: ... pour estat et grandeur. (B„ 429, 48). Villehardouin: cfr. poestieus (p. 40) — plentieus (p. 46). Le comlat de p hreton: Messire Iehan le sage, le preu et le seni. (B., 404, 16). Amis et Amiìes: ... a la chiere membree. (B., 74, 14). Renaut de Montaubant: ... au fier vis. (Ib., 81, 1 s ; 82, 22). V. 76. / v. 79- v. 8i. v. 82, — 426 — Huon de Bordeaux: Renforsa d’Agoùt est erré. je vous dirai comment devés errer. (B., 205, 20). Floire et Blancejlor: com feteraent il ont erri. (B., 156,22). Pastourelles : toz seus mon chemin erroie. (B., 33°> 37)- Philippe de Nanteuil: Ceulx de Quier sceurent le quant il satironi la nouvelle. nouueììes. b., 3:7» *6). G. G. Alione: v. 100. Or sa ie vueil a vos parler. Sa dont commen^ons. (Comm. e farse, Milano, Daelli, 1865, p. 38). Or alons dont, n’en parlons plus. (ib., p. 33). G. G. Alione: E choi d’Alba assi... (ib., p. 129). Chrtslien, Li chevalier au lyon: la ou il iert molt chier temi. (B. 475, 32). v. 10$. . . . ceulx de Quier, cfr. v. 79, etc. v. 106. . . . qui vous tiennent chier. — 428 — v. 108. a ceulx deve* prendre consa nix. v. i io. Je viene de Prouence or sa. v. li6. pour le despit. Villehardouìn : Elisi fu li consans pris. (p. 51). Conseil prist li marchis à ses liomes. (p. 115-15). Chrestien, Li chevalier au lyon: vous deiissiez or consoil prendre. (B., 167, 29). Villehardouin : je viens d'ime terre ki mult est riche (p. 121). Chrestien, Li chevalier au lyon: por haine ne por despit. (B., 171, 10). Rustebuef : v. 118. v. 120. voulentiers leur ferons con- tant li aie fait de contraite, traire, cfr. v. 160. ^7> 2&)• Du Cange : Si aliquid eis aut eorum hominibus quis contrarium facere... praesumpseiit. (Lex. med. et inf. lat,). Crestien, Li chevalier au lyon: et Prouuenceaulx bien si ac- bien acordi somes - ensi sont acordé cordent. briemant. (B., 178, 15-6; cfr. 427, 17-8). Villehardouin: vv. 124-6. ... il o ses gens ne fine Que il iert logiis à cinq lieues près tant que deuant Albe logii d’iaus (p. 129) - Li marchis de Mont-tous ensemble et 1’ont as- Feiras sist devant Naples. siegi. (p* I23> c^r- I21)" Renart : ainz ne fina.... - tant que il vint. (B., 218, 12-3). - 429 — Villehardouin : vv. 127-8. illecquez n’eurentgairewté N'i sisent mie longhement quant la quant Albe tarent conquesti. vile lor fu rendile. (p. 123). Le roman du Rou: v. 130. soit par cugni ou par cuuierte. onc ne laissa pour la cuigniee. B., p. 128, 19; cfr. 194, 11). ' cuvert’, funt, ‘mar i venistes. (ib., 129, 29). G. G. Alione: v. 133. Le seneschal qui fu leans. le bon due d’Orleans - qui futleans. (Poesie frane., Milano, ib., 59). Ou est la done de ceans. (Com. e far., p. 337). Villehardouin: v. 136. Oc\, Seigneur, que ie deuise. Si com devisel estoit (p. 127) - Or oès estrange miracle (p. 73). Cfr. (B. 173, 37). Chanson de Roland: vv. 140-1. et leur faictes la teste e flurs e pierres en acraventet jus, abattre — ius des espaules. trenchet la teste. Crestien, Li chevalier au lyon : ... ses abat jus. (B. 173,44). Venganche Jesus-Christ: v. 142. Ceulx respondirent : « Ce Est dist Dauis: <■ Si soit com dit aues ». soit fait ». (Stengel, Mitth., 23, 5). Loherains: Et il respondent: u A nostre volante ». (ib., 26, 75). Villehardouin: v- 144.....sans remanoir. Et pour chou ne remanoit mie (p. 70). Thibaut de Champagne: v. 147. qui estoient de riche prix. Preudome sont et sage et de haut prix. Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.", Voi. XVII. (Nisard, I, 217). 28 — 43° — v. 150. tous . . . grans et menni. Villehardmin: à tous ceux del ost, à petis et à grans (p. 52) — Ior menues gens (122) — li grant li petit (42). G. G. Alione: gros et menni ont Peur ^r"> P- 61) — grans et petits aggravés de souffrance (ib.). Villehardouin : v. 151. firent puissance du deffendre.....s’atournerent de deffendre (p. in). IVace, Rou: et si sunt fort pour els deffendre. (B., 125, 32). Villehardouin: v. 153. Lors dirent Quirois main a Et combatoient tnain à tnain (p. 72). main. Bernier, La houce partie: li chevaliers tout main a main. (B., 307, 18). Amis et Amiles: ius dou palais descendent main a main. (ib., 73,6). G. G. Alione: man a man saré servi. (Comm. e fars., p. 33 5)- Villehardouin : v. 159. sy yrons deuant te Gamenaire. et vont devant la vile (p. 70). v. 168. car ie ne voy querant que guerre. Katharinenlegende: tu vais querant - mari. (Mussafia, Zur K., Wien, 1874, p. 30, 349)- — 431 - v. 172. Ceulx n’en iront pas ainsi quites. v. 174. et qui feront semblant d’at-tendre. vv. 175-6, . . . ont - tant cheuauché 9)- Villehardouin : Li emperere Morcufles o'i ces nouveles (p. 88). Renart le contrefait : De Porphili'as vous lairay et de Athis vous diray (B., 317, 14-5)- Le combat de 30 bretons: De Beaumanoir le noble je vous en vueil compter (ib., 406, 7). Guillaume d’Angleterre: Mais d’aus vous laisse ci la parole: (ib., 162, 13). Villehardouin : Or vous lairons de clieux; si vous dirons de pelerins (p. 45; cfr. p. 89, 119, 126, etc.). - 433 - V. 202. V. 208. V. 210. v. 213. v. 214. FYe la SM Vierge Marie: De Saint Anne lairons ester; d’autre chose, vaurons parler. (Stengel, Mitth., p. 2). Del empereur vos voel avant parler (ib., p. 23, 35). Joinville, Hist. d. S.‘ Louis: je vous lerray icy, et vous diray. Bovo d’Antona: Or lassemo de Dodon, ben l’averemo trovar ; de la moier de Guidon ve vàio contar. (I. Ulrich, Altit. Leseb. p. 5. 98-9). Villehardouin: Aux siens commande fort a li Comain comenchierent a traire traire. sour aux moult durement (p. 129). Villehardouin : Prouuenceaulx qui moult font moult estoit bon chevaliers de son corps de corps. (p. 94). G. G. Alione: de leurs corps deffendans (P. fr., p. 57). G. G. Alione: a piet et a cheual monte{. Gens fort monte% ayant (P. fr'., p. 55). Quens Guinemen: . . . ceulx de dens ne les Car molt vos prisent les gens de prisent gaire. cest pais (Stangel, p. 28,284). Aucassin et Nicolete: mal dehait ait qui jamais vos prisera (B., 297, 29). Robert de Blois: ... ilz sont gens de bon affaire coni plus estes de grant afaire (cfr. v. 296). (ib., 284,5). - 434 — vv. 225-8. V. 230. v. 232. v. 236. Seigneurs, on doit conter briefment .... ; mieux valent courtes parolles que raconter tant de frivolles. vont entre eulx faire ung marchié tel. au cas qu’il ne fust deffendu. .. . sans mentir (cfr. v. 419). Adenel le Koi: gcnt qui de grani afairc estoient (ib. 349.4 5 cfr. 395, 2). V. de 5'. Honorat: una toza de pauvre affar (Raynouard, Lcx,). La Vengeance de N.-Sire J.-C. par Vespasien: Signor niestre m’estuet changier et briement dire et exploiter (Stengel, Mitth., p. 19). G. G. Alione: L' ost m’entretin de parolles a table et de raison frivolles. (P. fr., p. 333). Del Unicorne: Un petit conte vous dirai au plus briement que ie porrai. (Stengel, M., 35, 12). Mystlre d’Adam: unches ne fis tant mal marchié (ib., 94, 23; cfr. 380,16). G. G. Alione: ou cas que nous tenez bien aise (Com. e far., etc.. p. 3 3 5)- Chrestien, Li chevalier au Lyon: .. . san\ mantir (B., 174. 34)- Giacom. da Verona, De Jerus. cel.: .. . setifa nesun mentire (Ulrich, Altit. Les., p. 12,4). e ben ve digo ancor en ver setifa bosia (ib., p. 15, 165). - 435 - V. 237- V. 240. V. 244- v. ?45- v. 249. v. 253. v. 256. v. 258. Chanson de Roland: ... J’cn vtteil hosluige. se’n voelt ostage (v. 40;. Villehardouin : » si en serez mieulx affreme{. pour les convenances (p. 41). — dr. fremerent (p. 70); refremèe (p. 166) — et aseurerent ceste convenence (p. 53). Chanson de Roland: Renlorsa veultplesge de nous. ... Bons pìeges en demand (v. 3846). Loherains: . . . ung hardii et pretti- Et Guinemers li preus et li bardis (Stengel, Mitth., 13,89). Villehardouin : uns chevaliers... moult preus et moult vaillant (p. 109). Chanson de Roland: ... le marquiz, ou i’ ayfiance. En tels vassals deit-um aveir fiance (v. 3009). G. G. Alione: Le senescal en gre le prent. prenci en gre notre folie (Com. e far., p. 353). Villehardouin: . . . le domaige qu’il y git. Or oiés qués damages ce fut (p. 89). Moraliti du Maulvais riche: le grant perii et la laidure. se seroit pour lui grant laidure (B., 471,31 e 472,11). Crestien, Li chevalier au Lyon: se nus le laidenge n’afite, ja por afit ne por laidenges (ib. 166, 26-7). Villehardouin: les misent ens laidemml (p. 69). — 43 6 - Mystèrc d'Adam : v. 262. la Ravailleux aura mal plait deu, tant a ci... mal plait (B., 93, 42) (cfr. v. 640). — cfr. qui me traie del plait a fin (ib-> 95, 5). G. G. Alione: il aus a mal estraim (P. fr., p. 58). Katharincnlegende : Ke sia viale a pleto (Mussafia, Zur K., p. 38, 171 e Gloss.). Villehardouin : v. 265. vigilie sains George. Le veille de le Saint-Martin (p. 49) — cfr. le feste Saint-Remi (ib.) — jour Saint-Martin (p. 50). Jehan Joinville: la veglie de la dite pasque (B., 389,37). L’Alexandre d’Alberic de Besanfon : v. 266. Mon mandement n’est pas si contar vos ey pleneyrement del court. Alexandre mandament (B., 19, 4). Jelian de Joinville: v. 272. vouldray rauoir parmy mon je vous retieing a mes gaiges gaige. 392> 5'^)* Villehardouin: vv. 277-8. ... de boins ... ... sage ki se tient vers le meillour et aveuc les boins (p. 89). G. G. Alione: Di boin s’an trova e di catif.... pr’ amour di boin ameistrament (Com. e far p. 109). Guillaume de Lorris: v. 281. que fait la voye trop long- que t’amie t’est trop lointeigne taing. (B., 322, 33). — 437 — V. 29°* gens de botine foy. v. 298. Entre eux ny eut point de discord. v. 299. armò se sont et fer vestii. v. 300. montcnt sur leurs cheuaux bastifs (ctr. v. 470). vv. 312-3. sa compaignie regarda et dict : Seigneurs, asses nous sommes. v. 314. se nous voulons estre preu-dommes. Sertnoti de Saint Bernard : ... de foit niant finte (B., 212, 14). Villehardouin : Là ot grant discorde de la graindre partie (p. 46). Villehardouin : furent tout artnés et le hiaumes lachiés (p. 68). Estore de Loherens: Que cescuns soit feruestis et armes (Stengel, Mitth., 26,101). Chanson de Roland : ... quatre cents milie armets: hulsberes vestuts e blancs helraes fermets (v. 682,3 ; cfr. 1042. etc.). La bataille d’Aliscafi: isnelement est ens archons montis (B., 75. 26). Chanson de Roland: puisque il est sur sua chevai muntets (v. 896). puis sant muntet sur lur curants destriers (v. 1142). Roman d'Alixatidre: ... ains ont de tout asses fors compagnie d’oume et s’en’est grand plantés (B., 103, 8-9). Chanson de Roland: Grandories fut et prusdum et vaillant (v. 1593). Villehardouin : ki mout fu preud’ons (p. 114). - 43 8 - v* 315- foison de notrc pictaillc. vv. 317-8. Au chemuchiè fort se sont miz, tant qu’ilz sont pres des ennemiz, cfr. 425-6; 459-60. v- 320. ... tmg sien trompette. v. 321. Beau doulx ami\. G. G. Aliotte: Nous et notre pielaille sommes issuz (P. fr. p. 50)., Amis et Amiles ; Et de la gent i ot a grant fuisoti (B-, 73.3)- IVace, Rou: quant il orent chevalcbiè tant qu’as Engleis vindrent apreismant (B., 121, 21, 22). Villehardouin : Et tant chevaucha l’empereres Alexis k’il fu si pres.... (p. 74)* Joinville : un mieti escuier (B., 391, 19)* Floire et blanc jlor : biaus douf amis (B., 156, 9) — cfr. Rustebuef (B., 372, 19). Guillaume d’Angleterre: bias dous amis (B., 159.15)* Beneoit, Roman de Troie : beaui doui amis (ib., 143, n). Chanson pieuses: Beau dous cher Jils (ib., 147-8, 24 etc.). Pastorelles : Bele tres douce amie (ib., 332, 23 ; 289, 22. etc.). Amis et Amiles: Biax tres dou% peres (B., 70, 30) biax sire peres (22) — biaux sire finis (25). - 439 - v. 329- Va et reuieng. v. 332. et lui alla lez gants bailìier (cfr. v. 347. v. 336. s’ilz vous plaisenl, si les prenci• v. 341. par deuers vous ses gens passez. v. 342. dictes moy vostre volonte{. v. 343. ... Sa sa les gants. Moralitè de maulvais riche : mon bel ami (ib., 469, 44) — tres doulx dieu (469, 40). G. G. Alione: Voi me diré mia dolia amia (Farsa de Peron e Cheirina, p. 195). Romancero Frane.-, Doussa res (p. 66). Chanson de Roland: Beìs sire reis (v. 876). Villehardoin : Biau, sire (p. 53) — liti signour (p. 80). G. G. Aliotte: Va e torna tosto (Com. e far., p. 332). Villehardouin : Bailliis nous les vaissiaux (p. 80). G. G. Alione: Hostesse, bailliei moi ma chaine (Com. e far., p. 35. Guillaume d'Angleterre : quant vos plaira, si les prendei (B., I59i 32). Villehardouin : que tout li vaissel fussent par devers le mer (p. 70). Marie de France: eie li dit sun pkisir (B., 268, 3). G. G. Alione: sa a boire (Com. e far., p. 549) - 440 — Katharinenìegende : 'v- 3 5 5-4- Le trompette fort regracie. A grant lionor et à grant grace le tient mult et si le regrace (Mussafia, Zur K., p. 29, 230). G. G. Alione: La cite d’ast qui te vient humblement regrader (P. fr. - Ditz que devoit pro-nuncier, etc.). Chanson de Roland: 356- loueray moi de vostre don Bels sire reis, fait m’avez un grand dm (cfr‘ v* 36°)- (v. 876). Huon de Bordeaux: v- 3 57- Le trompette arrier retourne. torner volrent arrier (B., 196, 36). Disciplina clericalis: chil qui ariete retournerent (ib., 276, 25). Li fabliaux des perdrix: A l’ostel li vilains retorne (ib. 302, 15). G. G. Alione: 36-. . . . Syres, il est moult chault. Vintes tout chault a course de roncins (P. fr., p. 57 — Gaulx lous ardans (ib.;. G. G. Alione: v- 364- • . . vous veult seigner sans un peu fusses sans faille (P. fr., p. 60). faille. Bovo di Ancona: Cosi farà..,. sen\a falire (Ulrich, Alt. Les. p. 5, 97). Huon de Bordeaux: v. 365. pour passer vous et vous gens, a grant dolor morrés vous et vo gent lieu. (B. 203, 28). Chanson de Roland: v. 368. ... d’une chose grant dueil bay. Si grand doel ai (v. 834, cfr. 1588). - 441 ~ Guillaume d’Angleterre : si grant doel a ... . G. G. Alione : Le roi passa vers Milan sans debatre (P. fr., p. 53 — sanidebat (Joinville, B., 390, 29). G. G. Alione : Naples ne veult sans guarde haban-donner (P. fr., p. 57). Villehardouin: li eure de tierclie (p. 69). Villehardouin : par tei couvent (p. 39) ; cfr. it. per tal convegno, Dante (Inf., XXXII, 135) — ensi furent les conveniences faites (p. 53) — li convenence est moult grand (78). Amis et Amiles: la teste cope li pere a son anfant (B., 71,5 e 74,3)- Loherains: Ou tous nous uiegnes tantost les chies coper (Stengel. M., 26, 75). Villehardouin : en maintes manieres i ot paroles dites et retraites (p. 78). Roman d’Aubehi: v. 402. Yenseigne que Renforsa porte. Seneschaus iert, m’enseigne porterà (Du Cange, Lex.). Bovo d’Antona: Dan Arbrigo le confalott porta (Altit. Les., p. 5, 92). v- 376- • . . sans debat. v. 377. Le Gamenaire àbandonner. v. 378 . . .. 1’ eure de vespre. v. 389. . . . par conuenance. v. 391. copper la teste a vous hostaiges. v. 394. et qu’e» paroles les tenoient. - 442 - G. G. Alione: v. 404. ou est la fleur de li% fine. Ayans en coeur la franche fleur de /q (P. fr., p. 51). Gaces de Brulé : v. 406. il ne lui demolirà gaire. se li merirs m’a demourè (R., 280,30). Jehan de Mehung : v. 408. qui lui doma paine et tourment. plain de travati et Appaine (B., 389, 4). Gortnund et Isembart: v- 410. sa lamiere au vent deployer, tut depleiet sun gunjanun (B., 21,33). cfr. v. 430. Jehan Froissarl: Voriflambe fut desployee (B., 430, 44). G. G. Alione: desploier ton estandart luisant (P. fr., p. D-des eslatidars premiers fut le desploy (ib. 52). Guill. de Tudela: cant viron las baneiras desplegadas (Rayn. Lex.). Cannone sulla presa di Paticalieri (i410)- v. 411. bianche et vermeille elle est Nota que lo chastel de Panchaler bauzaine (cfa. v. 462. que tuit temp era fronter E de tute maluestay fontana, per mantenir la bauzjxna E al pay de Peamont trater domage Gli segnour de chel castel nauen lor corage... (Arch. stor. it., t. Il, an. 1878, Docinn. inedd. in ani. diai. Pieni., public. da E. Bollati e A. Manno, P- 379)- Chanson de Roland: gunfanuns blancs e blois e vermeils (v. 999); cfr. 1800). - 443 - Chanson d: Roland: vv. 416-8. . . . tres bien armez: Franceis.... si adubent lur cors riclies armes ont et cheuaulx d'halsbercs e halmes e d’espees a or ; et les deslriers puissans et escuts unt gents e espiets grands e forts haulx; cfr. vv. 480, 607. (vv. 1795-9). li destriers est e curants e aates (v. 1651). Villehardouin : v. 424. ... et loyaument se maintien- '1 s’estoient loiaument maintenut dront (cfr. v. 548. (P- 99)- Villehardouin : v. 427. ... qui est tres puissans. hi moult fu grans (p. 67). Villehardouin: v. 428. moult eut illecq de gens il i ot maint vaillant chevalier vaillans. (l’- 67). G. G. Alione: v. 332. que descendue estoit de France. Subside entre eux de France dessendi (P. fr., p. 57). Roman de Flamanca: v. 435. dont la campaigneesioìt doree. un seinnals.....ab flors jaunas sus el camp blau (f. 121). G. G. Alione: v. 437-8. Maintes banniers... - sont Tost eut remis ses bannieres au vent la au vent, cfr. vv. 410,560. ^r-’ P' 75)- G. G. Aliotte: v. 438. ... de ses aydans. Et ne araener que huit mil hommes aydans (P. fr., p. 57). Guiot de Provence : v. 440. . . . ung moult grant mont. mont de la gent (B., 352, 19). Combat de 30 bretons: v. 441. ... n’y default mie-, cfr. v. Brambroc, vous defaillistes 557, ne lui fauldront mie. (B., 405, 33). I — 444 — v. 450- ou Renforsa forment se fye. v* 453- de preux et de hardis gens; cfr. vv. 514, 522, 621, 637. v. 455. qui tous font semblant de comi atre. v. 456. se le marquiz s’y ose embatre. Chanson de Roland: ... ne li faldronl nient (v. 397). Huon de Bordeaux: qu’en li se fie... (B., 201, 9). G. G. Alione: Fortune tolerne et fol est qui s’y fie (P. fr., p. 59). Villehardouin : il estoit mout preus et moult francs (P- 7i)- IVace, Rou: e de fuir semllant fereient (B., 125, 37; cfr. 125,1). Crestien, Li chevalier au lyon: que sor chiens si fust enlatuz (B., 164, 38). G. G. Alione: car a 1 ’embatre afin de les mieulx batre il fist abatre (P. fr., p. 53). Livre de Sydrac : no s'au{ara embatre (Rayn. Lex.). Renaut de Montaulan, v. 459. tant a des esperons lrochii\ le chevai Iroche des esperon d’acier cfr. vv. 473, 485, 503. (B., 81, 23). lor esperone par delez un rochier (ib., 82, 12). es vos le roi de France Irochant a esparon (ib., 81, 28). Gormund et Jsemlart: Hues puint e Irochet (ib., 22, 28). ~ 445 — v. 462. v. 464. v. 469. v. 474. v. 477. v. 479. v. 482. v. 484. v. 488. Atti Chanson de Roland: le chevai brochet des ories esperons (122$) — sun chevai broches des espe-runs d’or fin (1245), cfr. 1658, 1802, etc. Thibaut de Champagne: ■ ■ . que Dieu mainteigne. Diex en cist point la maintaigne Nisard, I, 217). G. G. Alione: dont son affaire pas n'empire. Doubtant le train d’Alphonse qu’il ne l’empire (P. fr., p. 52). Estores des Loherens: et vont meltre lances sur fau- Lanches susfaulre les frains abandones tres. (Stengel, Mitth., p. 25, 32). Lanches sus fautres, lor escus erabra-chant (ib., v. 115). G. G. Alione: a Renforsa s’en vont bruyant. La vini bruyant sur eulx (P. fr., p. 58). Villehardouin : Mais quantilz virent le pouoir. li empereres... atout son pooir (p. 74). G. G. Alione: tantost firent une retraicte. part contraire honteuse a fait retraire (P. fr. p. 59). Chanson de Roland: . . . s’en tourna sans tenir laschet la reme, des esporuns le bro-risine. chet (v. 1574). Villehardouin : de la battaille sont yssy. issirent de lor miilours une partie fors (p. 71) — issoient plus souvent , hors (ib.) — issirent les set bataìlles fors (74). G. G. Alione: . . . s’en vient tout droit. Il vint en Ast le chemin droit marchie (P. fr., p. 59). Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.“, Voi. XVII. 29 — 446 - 493• Là cheualchent de granì maniere. v. 498. viennent tirant a grosse route. IVace, Rou: a un Normant en vint tut dreit (B. 128, 1). Bonifaci Calvo : drci\ vas els cavalcar (Rayn.. Lex.). Crestien, Li contes del Graal: et sachiez que de grani maniere (B., 183, 22). L’arbre de batailles: Se part d’Angleterre am una gran rota d’Angles (Rayn., Lex.). v. 500. v. 501. Li fabliaus des perdris: les poursuiuent sans attargier. a la dame vint sans iargier (ib., 301,4). Cabailler saint Antoine. v. 503. Le cheual.....point auant. v. 506. Or incommencent les assaulx. Gormund et Iscmbart : ber sainz Denise (B., 24, 7) — ber sainz Richiers (ib., 24, 11) — cfr. baron Ihesus (Pierre Vidal) — dame diex, etc. Villehardouin: monseigneur saint March (p. 47) — madame sainte Marie de le Candeler (r44) — mon signour saint Jolian Baptiste ( r 50). Roman de Fierabras: Punhet-' avant, baro (Rayn., Lex.). Giraud de Borimi; al poigner d’esperons (ib.). Villehardouin : Et lors commenche li assans fors et merveilleux (p. 93) — ensi commtncha li guerre (85). Jehan Froissarl: ainsi se commenda la balaille (B., 431,8). - 447 - 507. ‘ Romme rheiter’, va escriant. 508, le bon marquis au cceur vail-lanl. 510. note quanx ennemiz. ib. ... Quanx ennemiz hustinent cfr. v. 521. Clmnson de Roland: d’hures ad altres si se vait escriant: — « Venez » (2843-4). Philippe de Nanteuil: La dame qui a cceur vaillant (Nisard, I, 212). La batailk d’Aliscan. mar fu vos cors ke tant par ert vaillans (B. 77, 20). G. G. Alione: A cceur vaillant n’est il riens impos-sible (P. fr., p. 55). G. G. Alione: Notei, 0 vous intelligens (P. fr., Le dit du singe) — nota ben tug ista buga (vers., ib.) — note{ le gaige, ou Gaulx sont satisfaiz (ib., 59). Charta 1328: Se il se hustinoient ou faisoient mellée (Du Cange, Lex.) — Se il advient aulcun Hustin ou mellée (ib.). Quens Guinemer: .... ades sont il en noise et en hustin (Stengel, Mitth,, p. 28, 276). Roman de Garin: Hn trente leus, ou en neuf, ou en vint-avoit meillee et merveilleux hutin (ib.). Devant les lices conitnence li hustin (ib.). Roman d’Athis: Ouyent la noise et le husiin de ceulx qui sont moult pres voisin (ib.). - 448 - V. 518. v. 529. v- 53S- remi plus grans cops qu’on ne lui preste-, cfr. v. 591. De combatre fort s’entremel. de cceur fin. G. G. Alione: combatre vault trop mieux que faire hustin (P. fr„ p. 73) — fl*yez ,mstins (P- 79)- Wace, Rou: granz cols receivent, granz cols rendent (B. 123, 23). Chanson de Roland: li arcevesques plus de mil colps i reni. (v. 1414). Chanson contre Aubriot : De tout te voulus entremettre (Nisard, I, 233). Antiche rime volgari: Chi ’ntra noi partimento s'intramise di fare (I, 422). Dante Alighieri: non m’intrametto se non di stringeie le parti (V. N., c. XVI) — non m’in-trametto di più dividerlo (ib. c. XLI). Roman de Floriamont : et veut aimer de fin corage (Stengel, Mitth., 42, 2). Crestien de Troies: fin cuers et bone volontez (B„ 158, 15)- Romances : vostre fin cuer (B., 334, 4°) ~ *a plus fine amour (ib., 42). Due Jehan de Bourgongne: que sa mort venghies de caur bon (Nisard, I, 243). - 449 — 558. qui sont d’ainqui. Audefroi le Bastart: por fine amour loyal (B„ 233, 2, etc.). cfr. de boin corage (Floire et Blancaflor, (B., 156, 10). Villehardouin: d'enki se partirent (p. 56) d' enki chevaucha — d'iluec chevaucha (p. 110). Chanson de Roland: 340. s’y maintient com bon vassal tants bons vassals voez jesir par terre cfr. v. 548. 542. qui .... sont aulresv 544. se deffend là ou chaplement cfr. v. 598, 619, 666. (v. 1694). raeillur vassal n’aveit en la cort nul (v. 231). .... s’il ne fust bons vassals (2136). Franceis sunt bun si ferrunt vassalement (1080). Cfr: vait le ferir en guise de barun (1226, cfr. 648, 1280, etc.). La Chanson des Saines : Francois se deffendirent com noble cheualier (Stengel, Mitth., p. 9). Villehardouin: Autresi com... (p. 96) — cfr. auquant (p. 69). Chanson de Roland: dur sunt li colp e li chaples est grief (v. 1678). li Franceis i fierent e si chaplent (i 347). de lur espees ferir e chaplier (1681). G. G. Alione: tei chapploy de souldards (P. fr., p. 53). Wace, Rou: e d’espees grant chapleis (B., 122, 32). li Engleis bien se deffendent (ib., 123, 21), etc. - 450 - Chanson de Roland: v. 549. Grani fu la noi se et ly as- grande est la noi se par tute la cun-sault. tree (v. 1454), cfr. v. 2151. Villehardouin : La veissiés asaus grans et merveil-leux (p. 73, cf., 93)- Chanson de Roland: vv. 551-2. moult ot bonne clieualerie - de vasselage fut asei chevaliers (v. 26; — preuse et hardie. . . gent hardie (2603). Beneoit, Roman de Troies: v. 556. qui de tei gens est entrepris. molt par fu Hector entreprise (B., 147, 95 cfr- 287. 7)' Moraliié du maulvais riche: de maladie entrepris (B., 472, 13; cfr. 273,33). Chanson de Roland: Cfr. estultie (v. 1725) — legerie (1726) — mar tir ie (1722). v. 558. . . . fiere estremie. iuster. Villehardouin : v. 564. Là voyssiei la gent d’Ast Là peuissiel voir maint biel destrier et maint chevalier desus (p. 64). IVace, Rou: dune veissiei Normandz turner (B. 127, 4)- Chanson de Roland: il e Rolands el’ champ furent justet (2779). pur grands bataille juster et definir (2889). N’i at Franceis se a lui vient juster (3169) etc. - 4SI - V. 566. v. 569- v. S74- v. 579- v. 584. Roman d’Alixandre: en chevai por conquerre ne de lance joster (B, 191,24). IVace, Rou : tout au milieu de la mtslcc. u la bataille estoit plus fiere (B., 124, 16). G. G. Aliotte : De frapper ens fort se hasta. Frapper dedans vous tous (P. fr., p. 58). Renaut de Montauban : qui entrent mpoingnii mortel. la peussiez véoir un estor si mortel (&•> 85, 39)- Roman de Troies: estre au mortel tournoiement, au desfaé, au perillous (B., 137,26). Jean Sire de Joinville, Hist. de S. Louis: et commenda li poingnayi forz et grans (éd. Wailly, Paris, Didot, 1871, p. 101). . . . batailles et poingneis (ib., 277). Chanson de Roland: N’avez barun de si grand vasselage (v. 744). de vasselage est-il bien alosets (898). ambedui unt merveillus vasselage (1094), etc. Roman de Floriamont: Cil qui ont cuer de uasselage (Stengel, Mitth., 42, 1). Chanson de Roland : Cfr.... ne humt a male part (v. 2135). - comme homs plains de vas-sellaige. com homs venu de bornie part. - 452 - v. 589. V. 590. V. 597. v. 600. vv. 600-1 ne font pas semblant de couard. Audefroi le Blistart: qu'aux ennemiz font grant mors fu por bien aimer, dont ce fu enuy; cfr. v. 584. grans anuis (B-> 326, 5). Chanson de Roland: pur tut l’or Deu ne volt estre cuard (v. 888). Li cuens Rolands unque n’amat cuard (2134 )• Wace, Roti : bardi fierent, coard s’esmaient (B., 123 14). cuart gandissent (ib., 18). Amis et Amiles. et Francisquin Ture ensement. la fame Amile s’en venoit ausiment (B., 75, *3). . . . tresbien se deffend. G. G. Alione: Bien se deffend ung sol tant qu’il est prins (P• fr-j P* 72)- Wace, Rou: Mult se fussent bien deffendu (B., 126, 5). Garin de Loherain: qui tresbien se deffend au com il le font as brans d’acier forbis (B., 66, 21). brant, — dont l'alletnesle est d’acier fin. Huon de Bordeaux : l’espee vue dont li brans fu dorés (B., 201, 46). Combat de 30 bretons : . . . qui fier... de bon brano d’acier (B., 406, 39). Gormund et Isembard: en suin puign tint le brant d’acier (B. 23, 11 ; cfr. 182, 25). Amis et Amiles: ... a mon acerin brani (B., 74. 2). - 453 — v. 6o6. v. 608. v. 610. v. 615. v. 616. Wace, Rou: plus de plain pié out d’alemek (B., 127, 23). Chanson de Roland: qui est ardy comme un lion. ■ ■ • sunt Frane si fier cume lenn (v. 1888). plus se fait fier que leuns ne leopard (v. 1111). Combat de 50 bretons: se combat là par grand fierti. et Brambroc lui a dist par moult tres grand Jierté (B., 404, 37; 405, 8). Est or e de Loherens: Li Belizor cheuauchent par fierté (Stengel, Mitth., 26, 54). Chanson de Roland: , Li cuens Rolands est de tant grant fiertet (v. 2152). Huon de Bordeaux : tant hautement et par si grant fierti (B., 200, 15). G. G. Alione: Le roi victeur riens ne s'esparme ... qui ne se spargile mie. ,p ^ Wace, Roux: il hurte l’un et Yautre frappe. li un fierent, li autre butent (B., 122, 25). 4 Jehan de Meung: tuit i hurtent, tuit i bataillent (B., 390, 9). Villehardouin: heureuxestquide lui eschappc. c’onques uns seus n’en escapa (p. 89). Eschapper n’en sceut pas (P. fr., p. 113). 454 ~ v. 623. Grant l'ut la noise et la baiai Ile. v. 624. la fierent de slocq et de taillc. v. 626. la veissiei fier chaplement. v. 629. qui tant par est preux et nobiles. vv. 631-2. L’un contre l’autre fort se dressent: ungs tresbuscbent, autres redressent. Villehardouin : Grans fu li guerre entre les Franchois et les Grieus (p. 87 — cfr. Grani ba-ratas et grans meslees (Wace, Rou) — La bataille est merveilluse et granis (Ch. d. R., v. 1620). G. G. Alione: Le vaillant due vous offrit la bataille de stocq de taille (P. fr., p. 60). Chanson de Roland: La veissiei s* grand dolur de gent (v, 1622). Renani de Montauban: La ot fiere bataille et fiere chaplison (B., 81, 26). Gormund et Isemhard : . . . muli par ert bons chevaliers (B„ 22, 33; 25, 10). Aucassin et Nicolete: tant par estoit blance la mescinete (B., 288, 19). Chanson de Roland: mult est pruds sis cunipain Oliviers (v. 546). tant par fut bels (285) — mult par est grands la feste (3746)-Li cuens Rolands fut nobiles guerriers (v. 2066). Wace, Rou: les uns sur les autres verser, et trebucliier e adenter, ne s’en poeient relever (B., 123, 23-5). , - 455 - v. 641. ... morir le fault. v. 644. se vous voulez eschapper vifs (cfr. 680). v. 649. Merveilles fait en deffcndant. v. 654. .. . dont ie conuient verser. v. 655. Renforsa va la depliant. v. 657. illecques fut feru% a mort. v. 658. . . . plilin de grant efori. G. G. Alione: Illecques trebuclia — D’Alvian tut prins (P. fr., sur le marzocqì. el fossé virent trebuchier qui ne poeient redrecier (124, 1-2). Garin le Loherain : coni plot a dieu, si le convint morir (B., 64, 24). cfr. Roman de Troies (ib., 138, 28). Estore des Loherens: Chi nos couient morir et deuier (Stengel, Mitth., 26, 65; cfr. 7, 11, 22). Villehardouin: Li empereres fu vif pris (p. 130). Villehardouin : Or poès olr estrange fierté et estrange merveille (p. 73). Renaut de Montauban: tant jantil chevalier a la terre verse (B., 85, 41). Estore des Loherains : qu’il le couient morir et definer (Stengel, Mitth. 26. 50). Villehar doniti: Là fu ferus d’une sajete... inorlelment (p. 167). G. G. Alione: Vous vinstes tous ensemble a grani effort (P. fr., p. 59). - 456 — v. 659. Or est le senescal mort cheti v. 661. et demeurent en grant esmay, v 665. Qui ne se rend est prins ou mors. v. 667. Le Gamenaire est restore1. v. 675. Fut le marquiz en grant reuel. Villehardouin : Et li cuens ot esté cheus (p. 129). Amis et Amiles: a la terre est envers pasmé cheui (B., 70, 3). Thibaut IV de Navarre: m’estuet morir.... en grant esmay (B., 279,4). Roman de Troies: crieme et paor et esmaiance (B. 138, 32). Gormund et Isembard: •mult fut dolenz et esinaici (B, 23, 8). V illehardouin : si se comenchierent moult à estnayer et à deconfire et mauvaisement se main-tenir (p. 167). Gormund et Isembard : que jeo sereie u pris u mori (B., 26, 11). Villehardouin: que tout ne fuissent u mors u pris (p. 89). Chanson de Roland: o pris 0 tnorts i fust li reis Marsilie (v. 1730). Villehardouin : Et ensi pora li terre d’outre-mer estre restorèe (p. 81). Pas tourelles: fait changier ire en revel (B., 329, 2). - 457 — v. 678. Mais demoura fort yrascu\. vv. 681-2. . . . pour la liaultesse . .. et la proesse. v. 686. car il ol sa guerre jinee. v. 688. qui bien se feurent entremi\ de . . . v. 691. qui la fut mort emy la place. v. 692. sy non que Dieu pardon lui face. Chanson de Roland: li cuens Rolands il est mult irascuts (v. 777). cfr.... Mis cumpains est iriels (v. 1515). Paien s’en fuient corugus e iriet (2164, etc.). Huon de Bordeaux: ... grains et iris (B., 208, 18). La vengeance notre sire f.-C. par Vespasien: si fu dolans et tristres et pensis (Stengel, Mitth., 19, 9). Villehardouin : pour hauleche ne pour proueche k’il eust (p. 100). La bataille d’Aliscan: vostre proesse et vostre hardemens Chanson de Roland: Li reis Marsilies oul sun cunseill finet (v. 63) — toutes batailles en avtims afinets (1465). Herman de Valencienne: ne s’entremet de rien (B., 97, 36). Chanson de Roland: fier Olivier derere enmi le dos. (v. 1945). Combat de 30 bretons: dieu li face mercy par sa saincte pitié (B., 403, 33). D) Noterelle critiche. Se cercai di riprodurre con esattezza quasi diplomatica il mio testo Ms., devo però avvertire che mi son permesso r.° di ritoccare in buona parte l’interpunzione, per servire alla chiarezza; 2.° di usare l’apostrofo, l’accento sull’ e in fin di parola (come già si è latto nella edizione torinese) e le minuscole, sia al principio del verso, sia nell’ interno, quando la maiuscola non ci va; 3.0 di correggere alcune mende ortografiche, le quali vengono però riportate ne’ loro luoghi a pie’ di pagina. Alcune altre variazioni ho pur dovuto introdurre, delle quali darò qui ragione. v. 19 e passim. — Dago, nome di famiglia di Rinforzato, siniscalco della regina Giovanna, fu ridotto alla vera lezione D’Agoùt (.D’Agoull). — V. Par. II, Illust. e Schiar. v. 93 — mament è manifestamente errato per mainent. Lo stesso errore si replica al v. 671. v. 103 — dite non ha ragione di essere, perchè non femminile, nè voluto dalla rima: dit. v. no — Ay vani (vati) de Prounence or sa. — Non sapendomi dar conto delle due prime parole e trovando in Villehardouin : Je vieng d’une terre là moult est riche (Conqu. d. Cple, éd. Buchon, Paris, 1840, p. 121), ho mutato Ay vaili in Je viene. v. 122 — sioyst fu corretto in se ioyst. v. 152 — les. Le edd. hanno quasi sempre le, che si riferirebbe al solo Luchino di Braida; il Ms. ha il plurale, che si riferisce a tutti i prigionieri. v. 155 — Coll’interrog. il senso corre meglio. Manca nel Ms. e nelle edd. v. 174 — semblent mi parve inesatto invece di semblant. Lo stesso dicasi di dejfendent per defendant, v. 649. - 459 - v. 183 — debmnaire potrà essere forma dialettale: preferii la comune debonnaire. v. 204 — Al dessaillir delle edd. (cessar dall’ assalto) ho anteposto il desfaillir = defaillir (venir meno, perdersi d’ animo). v. 206 — si trauailknt. Quantunque il verbo irauailler qui sia riflesso, e infatti 1’ ed. torin. ha se trauailknt, tuttavia usasi anche assolut., come, ad es., pour traueiìlier, v. 45. v- 211 -— Ms. e edd. hanno vous bercellant per vont b. v. 220 — Nel Ms. e nelle edd. il douient invece di ils doivent. v. 255 — scet (Ms. e edd.) è 3.* sing. pres. e non 1.% come dev’essere: corressi scay. L’errore forse provenne dal trovarsi il scet replicato due versi appresso. v. 286 — I due punti dopo Gamenaire sono miei; nel Ms. e nelle add. non vi è interpunzione. Non panni ben chiaro. Dal contesto, presse non dovrebbe prendersi nel'senso di folla, ma di fretta. v. 303 — soubaidier, souhaitier (augurare, augurarsi), dall’ ant. frk hait (piacere, contentezza). V. Waltemath, Die frank. Eleni, in d. fr. Sprache, Paderborn u. Munster, 1885, p. 83. — Il semplice baitier, vale rallegrarsi, godere (Bartsch, Chr. arie, fr., 266, 13; 469, 19). v. 315 — Ms. e T. say, C. sai, M. fai foison, etc., errati tutti : è facile capire che ci vuole i’ai (ay). v. 328 — trouuera (Ms., edd.) per frontiera)’ (ia s.). v. 330 — La trompette. È sempre usato al maschile; perchè dunque qui dovrebbe fare eccezione? v. 334 — Monseigneur. Forse era meglio moti seigneur, il mio signore; ma così il Ms. e le edd. v. 349 — va tent è invece di va t’en. v. 359 — ma farge (Ms. e C.) per s’attarge. v. 378 — sus (Ms.) sur (T.). Qui non deve aver luogo una preposizione (sus 0 sur), Ina piuttosto una congiunzione , possibilmente disgiuntiva, poiché si tratta di due cose diverse che avrebbero a farsi, cioè 0 abbandonare Gamenario, 0 sonare 1’ ora di vespro, perchè il castello si arrenda, conforme alle convenzioni pattuite (V. testo, vv. 231-6). Ci starebbe bene dunque un on (0, — 4-6° — ovvero). Io, dalle lettere del Ms. (sus), ho congetturato un sds sans, che tornerebbe il medesimo. v* 395 — lln{- Mi piacque serbare quest’ altra forma, sebbene unica, dell’ art. indef. invece di ungs. v. 401 — mist, invece di mis (jnes) fu corretto in mise. v. 417 — cheualx sarebbe altra forma di plur. corretta; ma la rima vuole cheuaulx. v. 420 — corps ferir. Al v. 591 nel Ms. leggesi corps recourent, cioè eorps recoinent, dove corps è per cops. Non potrebbe leggersi anche qui cops ferir, suonando meglio colpi ferire che ferir ccrpi ? v. 433 — deucosie Ielle dovrebbe essere per de coste elle 0 delle. v. 454 — pret foison è anche errato: è a leggersi prot foison (prò, prot, prou, proud, prout, pru, preus = profitto, prò’, e in senso avverb. abbastanza, piem. prou), cioè abbastanza di, bastevole moltitudine. v. 443 — sa. Per avere un senso migliore, ho sostituito a : e a pure V insegna, ecc. v. 485 — broiche sarebbe metatesi di brochie, come nel verso seguente a proiche di approchie, da bro[u]cbier, appro[u]chier. v. 493 — cbeuaulcent. Con un solo soggetto singolare ci va cbeuaulce. Lo stesso dicasi di maintiennent per maintient al v. 540. v. 494 — Nicorf. Tutte le altre volte sta scritto Kicorf; qui solo occorre questa maniera, che forse è la più giusta (JSUcorvum = nidus corvorum? Anche in Italia un Nicorvó). v. 511 — hote (Ms. edd.). Anche prima ch’io avessi sotto gli occhi il Ms., ero persuaso che la voce da sostituirsi dovesse essere un imperativo col senso di vedi, guarda, osserva. Ma ben considerando la maiuscola iniziale del Ms. (H), che, per essere alquanto imperfetta, venne trascritta per h, potei scorgere che dà .abbastanza appiglio a essere interpretata anco per n. E allora si avrebbe noie, cioè, nota, osserva; il qual verbo trovai almen tre volte nelle poesie dell’Alione con identico significato (V. Raffronti'). Nel medesimo verso bustine (3* sing.) male concorda con ennemiz (plur.): ho quindi corretto hustinent. La forma del singolare si spiegherebbe forse 0 per la rima col seguente Malespine 0 da ciò che Ottone di Brunswich, tedesco, siasi fatto parlare sgrammaticato. — 461 — v- 5!7 — Hodeum è forma scorretta per Hodeon, Odeon, Oddone. v. 540 — maintiennent. V. nota al v. 493. v. 564 —fusthe (CM ), fusche (Ms. T). Con 1’una o l’altra di queste parole non vi sarebbe la rima col precedente rheiter (specie se si pronuncia alla francese): d’altronde il senso, dopo voyssieparmi richiedere un infinito. Ho congetturato dunque un iuster (joster, ioster, giostrare, battersi), e il complesso delle lettere e il senso mi sembra che lo diano. v. 574 — pomgiu{ (Ms. T), pomgui% (C M). Non è poi altro che poingnis, poingnipoingnayi, poingneis, pugna, combattimento, v. 581 — Auergues (Ms.), già corretto nell’ ed. torin. in avecques. v. 591-2 — donnent; recoivent; apercoivent al pres. è la lezione del Ms., quantunque siano scorretti i due ultimi verbi (recourent; appercouient). Nella T e M vi è l’imperfetto. — Per il corps del Ms. V. nota al v. 420. v. 609 — cors. Lo interpreto per aggett. V. Glossario, v. 642 — escriant tout. Corressi, come vuole il senso, escrient tous. v. 649 — deffendent. V. nota al v. 174. Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.*, Voi. XVII. — 4 62 — lì) Forme (r). I. Articolo determinato. Maschile. Femminile. Sing. N. le, li, ìy, V (2) la , V G. du D. on, au Plur. N. les, le% (3). G. des D. aux. II. Articolo indeterminato. Maschile. Femminile. Sing. ung, ungs, un\, un ime Plur. ungs, ung. III. Sostantivo (3). a) i.a declinazione (1.® declin. lat.): Sing. royne Plur. cboses — espatrile^ vigilie parolles. (1) Cfr. Diez, Grani, d. Rom. Spr., II3, p. 47, sq.; — G. F. Burguy, Gramm. de la langue d’oil, ou Gramm. des dial. fr. au XII et XIII sièc. suivie d’un glossaire, Berlin, Schneider, 1853-6; — A. Bourguignon, Gramm. de la langue d’oil, Paris, Garnier. (2) « Le XIV' siècle s’est écoulé en grande partie dans ce péle-méle de rè-gles anciennes tombées en oubli, sans qu’on soit parvenu à leur en substituer définitivement des nouvelles » (Burguy, Gr., I, 98). (3) « Le 1 final tendit toujours de plus en plus à usurper, dans les dialectes de Normandie et de Bourgogne, la place du 5 » (Burguy, ib., I, 96). — 463 — b) 2* declinazione (2.a deci. lat. — masch. e n. della 3-a): Notinsi-i plur.: assaulx, oyseaulx, consaulx, Provengeanlx, cbeuaulx (cheualx, 417). Gli altri plurali si formano promiscuamente in .j, x, ^ : hommes, preudhommes, ami{, ennemiz (- icx), Falletz, bannieres, fosset^, lieux. Invariabili quei che finiscono in sibilante : cas, temps , filz, marquis (z), cappleis, liz. Passati in femminili: faicte (faicte honteuse), la patre nostre. La s del Noni. sing. è scaduta sempre tranne in homs, se-nescaulx, sains e Syres (Voc.). Notinsi le forme: a) seneschal - seneschault - senescaulx ; b) messire - messer - monsieur - monseur; c) ber sin, dim. di bers, baron. Nomi proprii: Jean, Janin (dim.), Zanart ( - ardus ) (Jacques), Jaquon (Oberf) Oberton - Berlin. (Phelipes), Philippou (Hues, Ucs), Huet Brant (Aldobrando), Brandin (Francesque), Francesquel, Francisquin (Guilles ?) Wiglon ( Willhelm), Viglermiu (Odcs), Odeon, Odenin (Felix), Flichin (André), Andrion. Sing. s emise Plur. vespres champ (anche campaigne) contraire (1. contrarium) des cor (1. discordia) Guelfe plait — 464 — c) 3.“ declinazione (femm. della 3.“ deci, lat., ma se. e n. diventati fem. in fr.): a) Con la flessione del Noni. sing. (s, x, 1): cours, contcns, puissans, vifs, doulx, gentilx, nobiles, bardi{, prettx, scienceux. b) Senza: bon (plur. boins), blatte, bel, fort (pi. fors), hault (pi. haulx), frane (pi. frans), grant (pi. grans; cfr. quanx), tout (pi. tous). e) Generi: m. bon - f. botine; blatte - bianche', fier - fiere; tei -telle ; beau - belle; mains - maintes; preux - preuse. d) Senza genere: grant feste-, hault voix; hault, bon affaire; grant fier tè; tei guise; difference nesquen. a) Cardinali: deux, trois, quatlre, cìnq, vini, cens, viti b) Ordinati: tiers, quart, cinquicme. Sing. voulentè fleur Plur. voi011 tei fleurs. Passarono alla i.“ declin.: otseuye (oisiveté); estremie (extremité?) IV. Aggettivo. V. Numerali. VI. Pronomi. a) Personali : i.a p. s. N. ie, i’ 2.a tu i.a p. pi. nos (nous) 3*a pers. con generi: Obi. moy, me, m se, s Maschile. Femminile. Sing. N. il PI ili, ih Sing. elle Pi. elles Obi. lui, ly, le etilx, eux lui, Ih. - 465 ~ b) Possessivi: 1.a p. s. mon, ma, mes — PI. nostre, nonos — mien. 2.a — — voustre, vous, vo{, vos. 3.a son, ses — leur. c) Dimostrativi: cil, cellui, celluy, ceulx, ceul% — celle celles ce — ceste cesles. d) Relativi: N. qui, que, lequel. Ob. quoy - dont. e) Indeterminato: anitre - tout - aucun - nesquen (forse nequens = neque unus; cfr. alquens, alcuens, aucuens = aliqui + unus, in Burguy, Gramm. etc., I, 98 e Gloss. - Diez, Gr. d. Rom. Spr., II’, in, oppure ne + usque + unus?) - mains, maintes - quanx. VII. Verbo. a) Auoir: Ind. Pres. 1 s. ai, ay - 3 bay - 1 pi. auons - 3 ont. Impf. 3 s. auoist - 3 pi. auoyent. Pf. 3 s. eust, eut, ot. Fut. 3 s. aura. Cong. Pr. 3 s. ait. b) Estre : Ind. Pr. 3 s. est - 1 pi. somrnes - 2 esles - 3 sont (Ms. son, sunt). Impf. 3 s. estoit - 3 pi. estoient (estoint). Pf. 3 s. feust, fust, fut - 3 pi. feurent. Fut. 1 s. seray. Cond. Pr. 3 s. serait. Impr. Pr. 2 pi. q. Cong. Pr. 3 s. soit - 1 pi. soyons. Part. p. estè. — 466 — c) Coniugazione debole: Nulla di notevole nella flessione. — La 2a pi. Ind. pr. esce * \n-ès (cntendés). - Dittongam. ìieueut. La 3.a pers. sing. del perf. Ind. (2.a coniug.) termina una volta in y = i (respondy). Parecchi infiniti in-zVr : abbargier - attargier - ciydier -souhaitier - logier - approuchier - cheuaulchier - brochier (broi-chier) - cfr. Diez, ib. p. 231). Part. pres. colla flessione del Nom. s. (s) : puissans, suyuans. Part. pas. colla flessione del Nom. s. (.j, : mandis - pare£ erre^ - restare^ - recouvre^ ~ hays - feriti........ però bouté - conquesti - deffendu - suiuy - yssy - foryssy. Verbi isolati: 1. aler: Ind. pr., 1 s. voy, vai - 3 va - r pi. alons - 3 vont; Perf. ala; — Fut. x pi. ytons - 2 ire%; — Imp. 2 s. va; — Cong. pr. 3 s. aille. 2. ester. 3. laissier e laier : Fut. 1 s. laisseray, lairay e laray. 4. prouer: Ind. pr., 3 pi. proeuuent. 5. faillir: Ind. pr. 3 s. fault; — Fut. 3 pi. fauldront. — Com. ([defaillir), Ind. pr. 3 s. default; — Part. p. defaillant. 6. oyr: Pf. 3 s. oyt, olt; — Imp. 2 pi. oe%- 7. (suiuir) Part. pr. suyuans, pas. jwmy; — Comp. suiuir ; Part. pr. pi. poursuiuans. (V) Coniugazione forte: i.a Classe. faire. — Ind. pr. 1 pi. faisons - 2 fai les, faictes - 3 font; — Pf. 3 s. // - 3 pi. fìrent; — Fut. 3 s. fera - 3 pi. feront; — Cong. pr. ) s. face; — Part. p. faict, fait. tenir. — Ind. pr. 1 s. tleng - 3 tient - 2 pi. tene^ - 3 tien-nent. — Con.posti : (maintenìr) - mairitient - maintiendrons -maintaigne; — ('relenir) Part p. retenu^. venir. — Ind. pr. 1 s. viene - 3 vient - 3 pi. viengnent; — Pf. 3 pi. vindrent; — Cong. pr. 3 s. viengne; — Part. pr. vie- - 467 — gnant; - p. p]. venu%. — Composti: (aduenir) aduint; - (convenir') connienc - conuient - conuint; - (souuenir) sonniengne. Voir. — Ind. pr. 3 pl. voyenl; — Pf. 3 s. vid - 3 pl. virent; — Fut. 2 pl. verrem; — Cong. Impf. 2 pl. veissie\, voyssie 2.a Classe. Dire. — Ind. pr. 1 s. di{ - 3 dit - 2 pl. dities - 3 dienl ; — Pf. 3. s. dit, dist; — Fut. 1 s. diray; — Cong. pr. 1 s. die -3 dient; — Part. pr. disant - p. dit. mettre. — Ind. pr. 3 pl. mettent; — Fut. 1 s. mettray ; — Part. p. mi%. — Composti: (entremettre) entremi{. prendre. — Ind. pr. 3 s. prent; — Pf. 3 s. print - 3 pl. prin-rent; — Part. p. prins, pri{. — Composti: (entreprendre) entrepris. respondre. — Ind. pr. 3 s. respont, repond; — Perf. 3 s. re-spondy, respondit, poindre. — Ind. pr. 3 s. point. taindre. — Composti : attandre (attaindre) — Ind. pr. 3 s. attant (attaint). qtierre. — Ind. pr. 1 s. quier-, Part. pr. querant. — Composti: (conquerre), part. p. conquis ; — (requerre), Ind. pr. 3 s. requier; — (acquerre), part. pr. aequi£. soufferre. — Solo ali’ infinito. traire. — Solo ali’ infin. — Composti : (attraire) — part. p. cittrait. manoir. — Composti : remanoir, solo ali’ infin. seoir. — Composti: asseoir, — part. p. assi%. 3.a Classe: choir. — Part. p. eheu mouuoir. — Cong. pr. 1 s. moeuue - 3 pl. mouuent. pouuoir. — Ind. pr. 3 s. peult; — Fut. 3 s. pourra; — Cong. pr. 3 s. puist. sauoir. — Ind. pr. 1. s. scay - 3 scet - 2 pl. sanePf. 3 s. sceut - 3 pl. scenrent; Imp. pr., 2 pl. saichieCong. 3 pl. sai-chetit. — 468 — valoir. — Cong. pr. 3 s. valile; — Part. pr. vaillant. vonloir. — Ind. pr. 1 s. vueil - 3 veult ; — Pf. 3 s. vouilsist. croire. — Ind. pr. s 1. r pi. creons. deuoir. — Ind. pr. 2 pl. deuéx; Cong. impf. 3 s. deust. courrir. — Composti : (secourrir). Fut. 3 s. secourra — Part. p. secouru. morir. — Part. p. mors, mort. gesir. — Ind. pr. 3 s. git. lire. — Composti: (eslire), Pf. 3 s. esleut; — Cong. pr. 2 pl. eslisie paraitre. — Ind. pf. 3 s. parut. — Composti: ('apparaitre), part. pr. apparans. vaincre. — Part. p. vaincu plaire. — Ind. pr. 3 s. plaisl, plait. — Composti : deplaire, solo all’ infin. Anomali : (yraistre). — Part. p. yrascu%. - 469 — F) Glossario. a, prep...... oltre gli altri significati, con: « a gran puissance »; cfr. Dante: a più lieve salita ». Purg., I, 108. abbargier, v. abrlgier, abbreviare, restringere, 267. accomplir, v. compiere, adempiere, 143. accorder, v. s’acorder, accordarsi, 120. acheminer, v. incamminarsi, 123. acquiz, p. p.di acquerre, acquistare, 291. adez, a. adesso, ora, 216. aduenture, s. aventure, avventura, 257. aduint, pf. 3 s. di advenir, avvenire, accadere, 6. aduis, s. avis, avviso, credere, 465. affaire, s. affare, stato, condizione, 214. affermé, p. p. di affermer, rendere fermo, assicurare, 240. Ago, (D’) Agoult, Agoùt, luogo di Provenza, onde trasse il nome la famiglia nobilissima del Siniscalco Rinforzato, 12. aide (ayde), s. aiuto, 438. aidier (aydier), v. aider, aiutare, p. p. aydans, aiutanti, seguaci, 438. aigrement, a. (1. acriter), fortemente, strenuamente, 211. ailleurx, a. aitleurs, altrove, 670. alnqui (enqui), a. là, 538. ains, p. (1. ante + j), avanti, prima; — ains que (1. ante -j- s + quam), prima che, 186. Albe, s. (1. Alba Pompeia), Alba, città del Piemonte, 116 aler, v. alter, andare, 321. allemesle, s alumelte, lama «li spada, pugnale, coltello, 60. amcois = ainfois, v. ains, prima, avanti; amcois que, prima che, 133. amy, s. ami, amico, aderente, 95. Ancise, s. Incisa, luogo del Piemonte, in quel di Acqui, capo di cospicuo marchesato 513. Andrion, s. c. obi. di Andres, Andrea (cfr. Charles Cbarlon, La {are 8 La\a-ron, Pierre Pierron, Diez, Gr. d. Rom. Spr. II5, 48), 605. annee, s., an, anno, 5. Antonin, s. dim. di Antonio, 611. apparans, p. p. di apparaitre, appariscenti, in vista 437. appeller, v. appeler, chiamare, 99. approuchier, v. approcber, avvicinare, arme, t. arald., stemma, 33. ardy (bardy), a. ardito, fiero, 606. arrester, v. arréter, fermarsi, 352. arrier, a. arrière, indietro, 357. Asinier, s. Asinari, nobile famiglia astigiana, 818. asprement, a. dprement, aspramente 516. assault, s. assaut, 506. assay, s. essai, prova, 525. asses (assefì, a. assai, abbastanza, 313. assiz, p. p. di asseoir, assediato, 197. Ast, s. (1. Hasta), Asti, città del Piemonte, 295. - 47° — Astesans, s. Astigiani, 634. atant, a. allora, ora, 573. atout, p. con, 561. attandre, v. citteìndre, colpire, 519. attargier (ad -)- tardare), tarder, tardare, 268. . attrait, p. p. di (attraire), attratto, fatto venire, 639. aucun, p. alcuno, 289. audeuant, a. deuant, davanti, incontro 81. aultre, p. autre, altro 467. auecq (auecques), p. avec, con, 59, 163. Azel, s. Azeglio, luogo di Piemonte, in quel d’Ivrea, capo dei marchesi omonimi, 522. baillier, v. dare, consegnare, 332. banniere, s. bannière, bandiera, 421. baronier, s. baron, barone, 469. bauzaine, s. prov. beauceant, stendardo de’ Templari (Reyn. Lex.), bau\ana (V. Raffr.) 411, 422. Di un Balsannm o Baldanum vexillum parlano le Gesta d'Innocenzo III in Du Cange (ad v.). — Le voci poi Baucens, Beauceant dal medesimo si spiegano per « albo et nigro interstinctus vel bipartitus », citandosi Jac. de Vitriac., che hà a p. 1084: « Vexillum bipartitum ex albo et nigro, quod nominant Beauceant , praemium habentes (ib.) » — Onde bausan, sorta di cavallo, ballano. berceller, v. bersagliare, assalire, 211. bersin, s. dim. di bers, baron, barone, baroncino, 522. Bertholomy, s. Barthèlemy, Bartolomeo, 594. Bertin, s. dim. di Alberto, Oberto, 536. bienfaire, v., cfr. droit faire, far bene, 3°, 523-boin, a. bon, buono, 277. Bonentin, s. Bonentino, 581. bouter, v. buttare, mettere, 179. Brandin, s. dim. di Brand, Aldo —, Ildebrando, 445. Brant, s. v. preced., 599. brant, s. (frane, brand, Waltemath, Die frànk. eleni, etc., p. 66), brando, lama, spada, 600. Braye, s. (1. Brayda), Bra, luogo di Piemonte, in que! di Alba, 148. briefment, a. brièvement, brevemente, 225. brochier, v. esperonner, spronare, 459. Brunswicher, s. Brunswich, ducato della Bassa Sassonia fra I’ Elba e il Weser, 510. bruyant, p. pr. di bruire, strepitare, schiamazzare, 474. Buny, s. Bunei, nobile famiglia astigiana, 605. cabailler, s. chevalier, cavaliere, titolo di nobiltà dato anche a’ Santi, 501. caige, s. cage, gabbia, 238. Camaigne, s. Camagna, terra del Monferrato, in quel di Casale, 543. campaigne, s. terni, di arald., camp, campo, 435. camuz, a., camuso. — In prov. ha il senso di niais, sol, scimunito, stupido (Reyn., Lex.) — Qui sembra voglia dire: intontito, istupidito, 660. Can, s. Cane, primaria famiglia casalese venuta da Pavia, 539. cappleis, s. (cbapkii, chaplement, chapli-son); eliquetis, strepito d’armi, battaglia, 696, 544. cas (au), nel caso che, supposto che, 232. Casal, s. Casale, città del Piemonte detta di S. Evasio, sul Po, sede poi de’ MM. di Monfer., 539. castel (chastel), s, chdteau, castello, 203. - 471 — cens, a. cent, cento, 6. champ, s. V. champaigne, 41. chastel, s. V. castel. chault, a. chauà, caldo, 24. cheuallerande, s. gente a cavallo, 309. cheuallerie, s. chevalerie, cavalleria, 372. cheuaulcher, v. cbeuaucher, cavalcare, 25- cheuz, p. p. di choir, cadere, 659. chier, a. cher, caro, 106. chiere, s. cera, viso, 73. chierté, s. (1. caritate-), amore, 9. Chiresy, s. Cereseto, terra del Monf., in quel di Casale, 537. Cimiers, s. (1. Ccmenehum), Cimici, luogo presso Nizza, 70. Coconay, s. Coconato, terra e contea nel Monfer., 226. coin, a. cointe, instruit, conto, istruito, prudente, grazioso, 278; cfr. Dante: « con cagne magre, studiose e conte », Inf. XXXIII, 31. colee, s. acolade, colpo col piatto della spada, che si dava sul collo al cavaliere il giorno della sua ammissione, 370. combien que , a. quoique, sebbene , quantunque, 162. communement, a. en commuti, in comune, insieme, 89. concquis, p. p. di conquerre, conquistare, 161. conforter, v. relever, rilevare, dar lustro, 39. conquester, v. conquerir, conquistare, 128. consaulx, s. pi. consciis, consigli, 108, 112. contens, a. couient, contento, 344. contraire, s. b. lat. contrarium facere = faire contraire, recar molestia, contrarietà (Du Cange), ii8, 160. conuenance, s. patto, condizione, 389; cfr. Dante, « per tal convegno », Inf. XXXII, 135. conuenir, v. falloir, convenire, bisognare, 152. conuoine, covaine, s. (b. lat. convenium. prov. coven.), rapport, commerce (Burguy, Gloss.), convenzione, condizione 60. cop (a), a. tout a coup, d’un subito, 184. copper, v. couper, tagliare, 391. corp, s. corps, corpo, persona, 42, 208. cors, a. (da cors, corpo, onde 1’ agg. corsus), robuste (Burguy, Gloss.), forte, robusto, 609. Cortason, s. Cortasone, 602. coste (de), a. à còte, da lato, 433. couard, a. codardo, 590. cours, a. court, corto, breve, 266. coursier, s. corsiero, cavallo, 446. couster, v. coùter, costare, 222. cugni, s. (cuignie), cognée, scure, 130. cuider, v. (1. cogitare), ant. it. coilare, pensare, credere, cuuierte, s (cuiverte), da cuvrir, propr. coperta, perfìdia, tradimento, 130. cy, a. ici, qua, 92. Dago, V. Ago (D’). debat, s. combat, combattimento, 376. debonnaire, a. de bon aire = de bonne race (Littré), bonario, buono, 182. deffaillant, p. pr. di defaillir, mancare, 440. defFault, 5 s. pr. ind. di defaillir, mancare, 399. deffense, s.dèfense, difesa, coraggio, 77. deffinant, p. pr. di deffiner, fincr, cesser, mourir, dicesi anche affi ne r (Burguy, Gloss.), finire, morire, 655. delayer, v. (I. dilatare), diffèrer, differire, ritardare, 409. - 472 — demeure (1. de mora), dimora indugio, 379- demourance, V. preced., 188. demourer, v. rester, restare, rimanere, rimanere, 406. denier, s. (1. denaritis), denaro, 145. dens, p. dans, in ; — de dens, dedans, dentro, 234, 270. derrier, 1. de retro, derriire, dietro, 492. descors (1. discordia, pr. aescort), querelle, dbnèlé, discordia, querela, 207. desfaillir, v. défaillir venir meno, mancare, 303. despit, s. dèpit, dispetto (dispitto, Dante, /«/., X, 36), 116. desplaire, v. dèplaire, dispiacere, 52. desployer, v. déployer, spiegare, 410. desseurement, s. (de - separare), disce-vramento, diversità, 38; desseurer, separare. deuiser, v. divisare, volere, 136. Dieux, s. Dieu, Dio, 462. discord, V. descors, 298. discorder, v. ne pas ciré d’accord, discordare, 119. domaige, (b. 1. damn-agium), dommage, ant. dannaggio, danno, 256. don, c. donc, dunque, 355. doubter, v. (1. dubitare), douter, ant. dottare, dubitare, 531. doulx, a. doux, dolce, 1. droit, a. directement, justement, appunto, 674. du, p. = de, di, 30, 151. dueil, s. douleur, dolore, doglia, pena, 368. effort, s. (prov. esfort), ejjort, courage, coraggio, valore, 658. embattre, w.batlre, attaquer, battersi, attaccar battaglia, 456. emy, emrny, p. (1. e medio?), en, sur, in, su, 593, 691. encheminer, v. acheminer, incamminarsi, $8. encor, a. encore, ancora, 117. endemain, (V), a. (1. in de mane), len-demain, l’indomani, 520. enforser, v. s’efforcer, sforzarsi, 12. enfremer, v. metat. di enfermer, chiudere, rinchiudere, 239. ennemy, a. enetni, nemico, 52. enneu, s. (1. in odium), ennui, souci, cbagrin, noia, pena, affanno, 534. ennuy, s. V. il preced., 588. enseigne, s. (1. insigne), insegna, 32. ens, a. (1. intus), 133 , - ent, 115, -dens, 213, de dens, 234, dentro, entendre, v. aller, tendere, andare, 164. entremettre, v. s’entrcmetlre, darsi d’attorno, 529. entreprendre, v. surprendre, sorprendere, prendere in mezzo, 556. errer, v. aller, andarsene, 71. — Usato anche attiv. in un esempio recato dal Du Cange: « Or ne vous chault a demourer, car tout sui prest de vous errer; ubi », dic’egli, « errer, idem videtur quod conducere » (Lex.). eschapper, v. échapper, scappare, sfuggire, 644. escrier, Icrier, gridare, 507. escu, s. écusson, scudo, 36. eslire, v. élire, eleggere, 39. esmay, s. émoi, trouble, souci, pena, affanno, 661 - esinaicr, perdersi d'animo, da ex e frk. magati, forza, potenza (Waltemath). espargner, v. èpargncr, risparmiare, 610. espaule, s. èpaule, spalla, 141. - 473 — esperon , s. (a. a. t. sporo), éperon , sprone, 459. esperonner, v. éperonner, spronare, 473- estat, s. ètat, stato, condizione, 65. ester, v. (1. stare), 199. estoc, s. tad. stock, specie di spada, che serviva solo a colpire,'stocco, 624. estre, v. étre, essere, 314. estremie, s. (1. extremitas), danno,*558. — V. Raffronti, eure, s. beure, ora, 378. faicte, s. fait, fatto, 480. faille, s. (1. fallere), faule (mancanza), dubbio, 364. Falletz, s. Falletti, "nobile casato di Alba e di Asti, 84. fauldront, 3 pi. fut. di faillir, mancheranno, 557. faultre, s. (ant. fili, frh. fclt, b. 1. filtrimi) , lo stesso che fautre, fiautre, onde il verbo fautrer, battersi, azzuffarsi (Waltemath, p. 73), fr. mod. feutre, tapis, partie de la selle-, ma qui resta (di feltro) della lancia, — Di qui anche afautrer, équiper, har-nacher, e desafautrer, deharnacher, mettre hors de selle (Burguy, Gloss.). feruz, p. p. di ferir (fcruto), ferito, 657. feste, s. fcte, festa, 85. festoiement, s. festeggiamento, 93. fiance, s. (b. 1. fidanlia, confiance, fiducia, 249. — Cfr. Pier delte Vigne: Amore, in cui vivo, ed ho fidatila (Nannucci, I, 26). fief, s. (1. fetidumi) feudo, 260. fìlz, s. fils, figlio, 74. fin, a., prov. fin, fine, perfetto, di tutta bellezza, 446. È aggiunto, che i poeti antichi dànno alle loro donne. Ciullo: Donna cortese e fina, etc. finer, v. finir, finire, 124, 686. flater, v. (1. flatus), flatter, car esser, adulare, accarezzare; ma qui identico forse ai nostro it. affiatarsi, 394. Flichin, s. dim. di Felix, Felicino, 602. foix, (1. vices), fois, volta, 5. foison, s. (1. fusione-), copia, abbondanza, 315. foy, -s. (1. fide-), foi, fede, 290. Folcarquier, s. Forcalquier, luogo di Provenza, 54. forissy, a. (fors = hors e issir), fuoruscito, 483. forment, a. fortement, fort, fortemente, molto, 12. fors, a. fort, forte, 29, 202. Francesquel, s. dim. di Francesque, Franceschino, 537. franchise, s. franchezza, valore, 514. Francisquin, a. dim. di Francisque, V. sopra, $97. frans, a. pi. di frane, franco, libero 273. friuolle, a. frivole, frivolo, 228. Gabian, Gabiano, terra del Monferrato, in quel di Casale, 532. gaige, s. (1. vas 0 got. vadi), gage, cauzione, pegno, 272. gaire, 127, 213, guaire, 406, guaire, 406, gueire[s], 117» a. (aat. weigaro, molto), guère, guari. Galyot, n. Gctleol, Galeotto, 570. Gamenaire, s. Gamenario, terricciuola del Piemonte, in quel di Chieri, dove ebbe luogo la battaglia, 177. Garret, n. Garretto. I. Garretti, nobile casato di Asti, 571. gentilz, a gentil, gentile, 16. geste, s. (1. gesta), con due significati, i.° di cronica 0 storia ; 2.° famiglia; -qui nel secondo, 307. Gibellin, a. Gihelin, Ghibellino, 8. — 474 — giens {geni), s. gens, gente, 365. git, 3 s. pr. ind. di gisir, giacere, stare, 256. gouuernement, s. ordine, succedersi, 226. grant, a. grant, 85, a. grand, grande, gre, s. grè, grado; - prendre en gre, agréer, aggradire, 253. greuer, (1. gravare), v. fdcher, aggravare, molestare, affliggere, 138. Guelfe, a. Guelfo, 9. Gui, s. Guido, 543. Gutuer, s. Guttuario, 577. — I Gut-tuarì, derivazione della nobile schiatta de’ Castelli, trinaria domus de Castello, erano potenti ghibellini di Asti, gy, a. y, ci, vi, 164. habiles, a. habile, abile, 130. hair, v., hair, odiare, 8. hardiz, a, bardi, ardito, 40. haster, v. hdter, affrettarsi, 569. hastye, s. (baste, picca, spiedo), assalto con l’asta, lancia, 475; qui non parmi bastie = baste, promptitude, hàte, - fretta, prontezza, hault, a. haut, alto 73. haultesse, s. hautesse, altezza, fierezza, 681. Haynault, s. castrum Aynaldum (Anal-dum), nell’Astigiana? - castello Hainaut in Olanda? v. 448. - V. Schiarimenti, heu (1. badie), a. aujourd’hui, oggi, 366. Hodeon, V. Odeon. homs, s. homme, uomo, 579. hostaige, s. (b. 1. obsidaticum), otage, ostaggio, 237. Hottebon, V. Ottobon. Huet, s. dim. di Hues, Hucs, Ughetto, 530. hurter, v. heurter, frapper, urtare, battere, 615. hustiner, v. combattre, combattere, Sii. - V. seg. hutin, s. battaille, battaglia, 521. — Du Cange : « Hutinus, cognomen quo donatus Ludovicus X Rex Fran-ciae, quod, ut quidam putant, dum adhuc in pueritia esset, rixas et contentiones cum sodalibus crebro excitaret, nam et de pueris vulgo dicimus: Il aime le hutin, id est, le bruit, le tintamarre, les qnerelles....... Hutini nomine prisca nostra lingua turbulentus significatur * (Lex.;. icy, a. ici, qui, 32. illecq, 69 - illecquei, 127, a. (1. illo, loco - illis locis), hi, là. irascutz, p. p., di iraistre (1. irasci, -Diez, Gr. II3, 252), irriti, adirato, 678 : talvolta anche nel senso di triste, come in Bernard de Ventadour, « Sitot fas de joy parvensa, molt ai dins lo cor irat ». Isnard, s. Isnardo. — Gli Isnardi formavano un’altra delle tre nobili famiglie Astigiane de’ Castello, di parte Ghibellina, $83. issy, p. p. di issir, sortir, uscire, 484. ia, a. (1. iam), dèja, già, 179. Ianin, s. dim. di Jehan, Giovannino, 527. Iaquon, s. c. obi. di Jaqties, Giacomo, 57»- Iehan, s. (I. Johannes), Jean, Giovanni, 70. ieter, v. jeter, gettare, iocquier, v.juclicr, appollaiarsi, restare, 131. iour, s. jour giorno, 149. ioyaulx, s. pl. (b. 1. iocalé), joyeaux, gioielli, 146. ioye, s. (I. gaudium) , joie, gioia, 346 - 475 ioyr, v. (1. gutdire), jouir, godere, 122. iurer, v. jurer, giurare, 182. ius, a. (1. deorsum), giù, 141. iusque, a. (1. de usque), fino, sino, 264. iustement, a. justement, appunto, iuster v. (1. juxta), jouter, giostrare, 564. la, a. là, là, 88. laidure, s. affront, affronto, ingiuria, 258. lairay, 1 s. fut. di laier, laisser, lasciare, 199. lealment, 623, loyaument, 424, a. /0-yaulment, lealmente, leans, a. là dcdans, là dentro, legier, a. le ver, leggero, 470. liement, a. (1. laetus), lietamente, 81. liz, s. (1. lirium), lis, giglio, 430. logier, v. (1. locare), loger, metter dentro, 12 5 - delogier, déloger, far uscire. Lombardie, s. Lombardia; — Lombards = Italiani, indeterm. — G. B. Aliotte, Maccaronea ; » Hic me lassasti solum deffendere causam Gallorum contra cacasangues hii Longobardi Ast habitantes....» (Opp. ed. Ven., fol. 2, 9). longtain, a. (longitanus), lointain, lontano, 281. louer, v. lodare, 356. Luquin, s. Luchino, 148. main a main, a., aussitót, à l’instant, incontanente, subito, 153. mainer, v. mener, menare, 93. mains, a. prov. vians, cn gran nombre; molti a. it. mansi, 146. Enzo re: « or si può dir da manti ». Malespine, s. Malaspina, 512. Celeberrimi i marchesi Malaspina signori di Lunigiana. mandement, s. pr. mandamn; - mw-dement, s. prov. mandameli, = mundle, cui chiarisce il scg. esempio: S'il est genlilhomme, et le princeface sa matidée et son armèe, si la dame vent, il ira (Les quinze joyes de mariage . . ., Paris, Garnier, p. 158). mander, a. commander, comandare, far sapere, chiamare a sè, 16 maniere, fafon, maniera, 493. mare, s. marco (moneta), 222. marché, s. marchi, convention, trattato, patto, 230. massiz, a. massif, grande, 178. menuz, a. pi. menus, piccoli, 150. mereyer, v. (1. merces), remercier, ringraziare, 687. meslee, s. mélée, mischia, 566. mesmement, a. de ménte, pure, anche, 90. messire, 70, messer, 148 (mon-sir), messere, V. Sir. mie, pr. mia, miga; part. che rinforza la negaz., mica, 65. mil, a. mille, 223. Mimer, n. di luogo, 491. monnaye, s. mannaie, moneta, 345. monseur, s. (V. Sir), monsieur, signore, 375- mont, s. monde, mondo, copia, quantità, 440. Montafìe, s. Montafia, terra in quel di Asti, guelfa, 449. Montferra[y], s. Monferrato, marchesato nell’Italia superiore dalla riva destra del Po agli Apennini liguri, 189, 367. Monferrin, a. Monferrino, 481. morir, v, motirir, morire, 641 - mors, p. mort, morto, 665. moult, 40, molt, 85, (f. multum), molto, moy, p. moi, me, mi, 247. ne, c. (prov. ni, ne, es. senor, ni par) ; et, e, 187. — 47 6 — nesquen, p. (V. Forme, Pron. Ind.), ducuti, nessuno, 36. Nieorf, Nicorvutti? luogo di Francia, invece di Ricorf, una volta sola nella Cron. Ms. del Sangiorgio, 494. nient (nyent), a. prov. nìens, nient\ rien, point, niente, punto, 412. nobiles, a. prov. nobles, noble, nobile, 629. noise, s. prov. natila, noisa, tiueiia; bruii, tapage, strepito, rumore, 549. none, s. ora di nona, 381. nostre, a. nótre, nostro, 155. noter, v. observer, remarquer, notare, osservare, 311. nouelle, s. nouvelle, novella, 193. ny, v. s nid, nido, 585. o, p. (ob, od, ot; pr. ab, ap),avec, con 124. Oberton, s. c. ob. Obert, Oberto, 449. Odenin, s. dim. di Odes, Oddonino, 582. Odeon, s. c. obi. di Odes, Oddone, 517. Olivier, s. (Oìitguarius, orig. germ.), Oliviero, 395. or, a. prov. ar, ara, er, era; à prèsent, ora, ioo; ores, maintenant. Orset, s. dim. di Ursus, Orsetto, 445. ost, s. amile, oste, esercito, 25, 178. Ottebon, s. Ottobono 527. ou, a. oh, ove, dove. oyr, v. ouir, udire, oyseaulx, s. pl. oiseaux, uccelli, 3. oisevie, s. oisiveté, ozio, 102. Pailleron, s. Paglierone, 595. paine, s. peine, pena, 408. par, pr. per - de par, au noni de, de la part de, a nome di, dalla parte di, 22r - par dcvers, envers, verso, 341 - par che serve a rinforzare, tris, molto, assai; es. par est preux, è molto prode, 629. paré, p.p. di parer, orner. In Du Cange: paratus equus e par amentum — apparatus bellicus. parmy, partui, c. dans, in, 272. parolle, s. parole, mot, parola, 227. part, partie, s. parti, parte, partito, 8, 476. patre nostre, s. (1. pater nostre), pate-tiótre, orazione, preghiera; qui pur estens. parlata, concione, 155. Paveis, a. Pavois, Pavese, 419, abitante di Pavie, 288. Pelletes, s. Pelletti, nobili astigiani, Pelletta stirps, in Grassi, Stor. d. cit. d’Asti, II, 244. Perceuail, s. Percivalle, 71. Philippin, s. dim. di Pbelipes, Filippino, 618. piet, s. piè, piede, 210. pietaille, s. gente a piedi, fanteria, 315. plain, a. plein, pieno, 97. plait, s. (b. 1. placitum), plaid, ant. it. pleto, piato - avoir mal p., perder la causa, finirla male (1. male mulctari, 262. - Leggenda di S.la Caterina: ke sia male a pleto. 171 (Mussafia, Zur Katharinenleg, Wien, 1874, I). — F. Sacchetti : a costoro parve aver mal piato). plesge, s. pleige, garant, mallevadore, .244. poigni, s. (cfr., cugni), poignée, poing, pugno, 586. poingoiz, s. (dal 1. pugna), prov. poi-gna, ponba (ponhedcr — combattente; Raimbaut de Vaqu: Rottati ab sos pon'iedors), pugna, battaglia, 574. point, 3 s. pr. ind. di poindre (1. pungere), pungere, 503; - anche in prov. punger, poigner, ponber nello stesso senso di spronare un cavallo: puniteti avant, baro, (Roman1 de Fierabras); — 477 - al poigner d’esperons (Giraud de Borneil). Ponson, s. Ponzone, in quel d’Acqui, capo di celebre marchesato posseduto da uno dei rami Aleramici, 523. Pontez (-eys) s. (1. Ponte's). Molti i luoghi di questo nome. Pontisel, s. Ponticello (Due altre frazioni di comune - Ponticelli - nel Diz. geogr. - stat. d. St. Sard. dello Stefani), 676. Posta, s. (per poestat, prov. poestati, po-destati )> Podestà, 570. poursuiuir, v. poursuivre, seguitare, attendere a, 14 — poursuiuans, p.p. pi , seguaci, partigiani, 134. pourtant, que, c. puisque, poiché, dacché, 165. pouoir, s. pouvoir, armée, possa, esercito, forze militari, 477. pres, p. près, presso, 318. presse, s. presse, fonie, oppression, tour-ment (Burguy, Gloss.); qui forse in senso di hdte, prescia, fretta, 286. prester, v. préter, prestare, preud’homme, a. prud'homme, sage et prudent; vaillant, savio e prudente; valoroso; 314. preux, 45, f. preuse (e non preude), 552, a. prudent, brave, prudente, prode, prins, 665, prii, 147, p. p. di prendre, pris, preso, prisier, v. priser, pregiare, stimare, proesse , s. prouesse, prodezza , valore, 97. prot, a. (prod, prò, etc.), assei, abbastanza. prouffìt, s. proft, profitto, 254. Prouuenceaulx, a. Provenfaulx, Provenzali, 107, abitanti di Prouence, Provenza, 78. pryer, v. prier, pregare, Pyemontez, Piemontais, Piemontese , 209 - Pyemontois, id. 497. quant, c. quand, quando, 84. quanx, a. pi. di quant, quanti, 511. quart, a. quatrième, quarto, 247. que, p. ce à que, quello a cui, 38 - c. car, perchè, poiché, 227, 28r. - pr. ce que, ciò che, 136. querre, v. (1. quaerere), chiedere, cercare, 112 - querant, ger. chiedendo, 168. Quier, s. Chieri, città del Piemonte, 27. Quieroiz, a. Chierese, 205. quite, a. quitte, libero, 172. rastei, s. ràteau, rastrello, 37. Rauailleux, a. sopranome di un ostaggio di Gamenario, Ravaglioso. rauoir, v. riavere, 272. regracier, w.remercier, ringraziare, 353. reiter (rheiter), s. ted. (reiten, cavalcare), ritter, chevalier, cavaliere, 507. remanoir, v. (1. remanere), rester, rimanere), 144. Renforsa[y], s. (prov. Rinforzai), Rinforzato, 11. renom[-n], s. renommée, nome, rinomanza, 56. repentir, s. reproche, rimproccio, 235. reposement, s. repos, riposo, ritardo, 625. reprendre, v. 1. re-prehendere), reprocher, riprendere, rimproverare, 276. requerre, v. (1. re-quaerere), requerir, richiedere, 28. respit, s. (1. re-speclus), respect, rispetto, riguardo, 115. restorez, p. p di restorer, ristorato, restaurato, 667. restrandre, v. (1. re-stringère), restrein-dre, restringere, 283. 31 Atti Soc. Lig. St. Patri*. Serie Voi. XVII — 47 8 — resuertuer, v. (1. re-ex-virtu-), ranimer, rianimare, eccitare, 575. retraicte, s. retrai te, ritirata, fuga, 179. reuel, s. (b. 1. revellunt-, revellium, revel-latio = rebellio; revellare = rebellare), tripudio, esultanza, festa. — « Revelles, Revelli, Reveli, ab Anglis Revels, sunt ludi nocturni, quales vulgo sunt cho-ieae, catervae personatae » (mascherate. — Du Cange, Lfex.) — Di qui il pieni, rabel? reuerdir, v. rinverdire, 1. Ricorf, s. feudo di Provenza, 494. — V. Nicorf. rihot, s. prov. riota, dispute, querelle, querela, briga, 26. Cfr. it. riottoso. risine, s. rene, in Joinville, regnes, redini, briglia; - sans tenir r., a briglia sciolta, 482. Rochette, s. Rocchetta d’Incisa, feudo del secondo ramo de’ marchesi d’incisa, 517. Roers, s. Rotari, potente famiglia astigiana , per la maggior parte ghibellini. 613. roid, a. (1. rigidus), roide, vivamente, senza esitare, 487. Roland, s. Rolando, Orlando, 587. Rome, s. Roma, 507. - Qui, in bocca a un tedesco, fa da agg. romano, italiano. rouen, a. rouen, rovano, 347; dicesi di cavallo dal pelo misto di bianco, bigio e baio, route (routte), s. prov. rota, bande, compagnie d'hommes armés, banda, compagnia d’uomini d’arme, 443; - routier, prov. roter, era nel M. E. il soldato che apparteneva a bande indisciplinate (cótereaux - pillards - troupes légéres). royne, s. reine, regina, 7. sa, fa, qua - sa sa, fa fa, qua qua, 343 - or sa, sus dono, orsù, 100. saige, a. sage, savio, 278. sains, a. saint, san, santo, 265. say, 1 s. pr. ind. di savoir, sapere, 315. Scaramps, s. Scarampi, nobilissima gente, secondo il Grassi, d’origine fiamminga, ascritti fra i nobili astigiani circa il 1200, 604. scienceux, a. plein de Science, grave di scienza, sapiente, 67. se, c. cond. si, se, 314. seigner, v. (1. signare), indicare, 364. - Nel Du Cange, signare terras, è « cum certis signis non licere in ea animalia pascenda immittere «. seiour, s. séjour, soggiorno, 195. seiourner, v. sèjourner, soggiornare,683. semblance, 431, semblant, 45$, s. sembiante, vista, seneschal, 87, seneschault, 361, sene-schaulx, 553, s. (b. 1. seniscdlcus, frk. seniscalc = famulorum senior, Wal-temath, 97), sènéchal, siniscalco. -« D’abord serviteur chargé de la surveillance et de la direction des esclaves, économe , maitre d’hótel, puis intendant de la maison royale » (Burguy, Lex.). — Il Du Cange lo definisce: «officialis in aulis regis vel Procerum vel privatorum, cui domus cura incumbebat ». Portava in guerra il vessillo del principe suo signore : « Seneschaus iert, m’enseigne porterà... Pepins li Rois volentiers li otrie et l’oriflambe et la Seneschaucie ». (Roman d’AuBERi). sentier s. route, via, cammino, viaggio, 50. Septem, s. Settimo Torinese , antico feudo degli Aleraniici, 536. - 479 sergens, s. (1. serviente-), sergent, serviente , sergente. Nel Du Cange si possono vedere i vari significati di questo vocabolo , di cui i principali sono: ministro, servo - armigero, scudiere - vassallo - gente a piedi (sergeans de piecìs), a cavallo (s. à chevai) - apparitore etc. seruise, s. Service, servizio, servigio, 17. seurer, v. (1. separare), sivrer, separare, 471. si, p. se, sè, si, 119. si, 49, sy, 22, 542, a. ainsi, cosi, si tost, c. aussitót, sì tosto, 183. Sicilie, s. Sicile, Sicilia, 7. sien, a. - ung sien, un suo, uno de’ suoi, 220. sir, 82, syre, syres, 105, 302, s. (1. senior), sire, signore, c. obi. senor, se-nhor, senior, sennur, segnor, segneur. signor, signoar, etc., più tardi sieur, onde monsieur, dal comp. messire, me-sire, messer - monsigneur, etc. soner, v. sonner, sonare, 582. soubtil, a. (1. subtilis), subtil, sottile, abile, 39. soufferre, v. (1. sufferre), souffrir, soffrire, 326. souhaudier, (fut. hait, piacere), souhaiter, augurare, desiderare (Waltemath, 83)) 303- — In Burguy anche le forme: sosbaitier, soushaidier. Soulier, s. Solari, nobili astigiani, numerosi e potenti, di parte guelfa, 444. specialement, a. spécialement, special-mente, 27. Spinot, s. Spinotto, 613. stocq, s. (t. stock), estoc, stocco, punta, 624. sur, sus, p. sopra, contro, 198. suz, p. - or sui, ors^> or v‘a> 243- taille, s. taglio (di spada), 624. tant que, c. jusqu’à ce que, mentrechè, finché, 13. tantost, a. tantót, ben tosto, 123. teste, s. (testa), téle, testa, 86. testee, s. coup sur la téle, projet (Burguy, Gloss.), qui opiniatreté? ostinazione, 565. tiers, a. (tertius), terzo, 247. tirer, v. prov. tirar, s’aller, acheminer, andarsene, incaminarsi: « tiravan e passavan carni tant que podian » (Chr. d. Albig., c. 10). tourner, v. rivolgere, 457. traire, v. (trahere), tirer, tirare, 202. traueiller, v. travailler, travagliare, faticare, 45. trauerser, a. prov. traversier; de traverse, oblique, di traverso, obliquo. — Gerard de Rossilon : « tal cop ferir e drech e traversier » (tei coup frapper, direct et oblique), tres, a. molto, assai. Notinsi le maniere: « qui tres leur sont bonnes et belles », 80 - e « si tres grant noblesse », 98. tresbucher, v. prov. trabucar; tomber, se renverser sur la face, cader bocconi , 362. Ture, s. Turco. I Turchi, altra nobile e potente famiglia astigiana, derivante da quelli Di Castello, 595. ung, ungs, uni, a- ind-, un> uno, 17 -pi. ungs, 632. vaillans, 428, valent, 551, a. vaillant, valente. Valperghie, s. Valperga, capoluogQ di celebre contado nel Canavese, in quel d’Ivrea, 530. vassal. pi. vassaulx, 505 (b. 1. vassallus), — 480 — hotntne de guerre, homme vaillant, intrepide, brave (Burguy, Gloss.); un uomo di guerra, un valoroso > un prode. vasselaige, s. prov. vassalaige; bra-voure, vaillance, courage, héroisme, grandeur d’dine (Burguy, Gloss.), bravura, valore, eroismo, 579. vecy, a. = vee\ ci, voici, ecco qui, 323. vers, p. verso, contro, 273. verser, v. tomber, cadere, 654. vespre, s. vèpre, vespro, 236. vestiz, p. p. di vestir, vètus, vestiti, 299. viegnant, p. pr. di venir ; bien v., bien-vetiu, benvenuto, 82. vifs, a. vij, vivo, 644. vigilie, s. vigile, vigilia, giorno precedente, 265. vint, a. vingt, venti. 5. visaige, s. visage, viso, 550. viste, 205, visteinent, 543, a. vite, presto, viz à viz, a. vis à vis, di fronte, 466. voulentó s. volontà, volontà, 137. voulentier, a. volontieri, 49. voye (noye), s, prov. via; chemin, vaie, voyage, cammino, via, viaggio, 333. vraiement, a. vrainient, veramente, 515- vye, s. -aie, vita, 287. Wiglon, s. Viglono, Guglielmo, 589. Wiglermin, s. dim. di Willhelm, Gu-glielmino, 617. Zanart, s. (Johannes, Johannardus), Za-nardo, Giovannardo, 515. PARTE II. ILLUSTRAZIONI E SCHIARIMENTI A) Testo. «... mieux valent courtes parolles, que raconter tant de friuolles ». Bali, di Gamenario, vv. 227-8. Il testo che do qui della battaglia di Gamenario non è nè inedito, nè critico: non inedito, perchè recato 0 con forte lacuna 0 per intero nelle tre ristampe della Cronica del Monferrato di Benvenuto San Giorgio (1); non critico, ma solo diligentemente riveduto e in qualche luogo corretto. Di un codice originale inutili le ricerche : non trovasi nel catalogo del Pasini (2), non in quello più recente dello Stengel (3) e nemmeno presso il Morbio (4), non infine nell’ inventario delle carte del ducato monferratese nel-l’Archivio generale di Stato in Torino. Ma nell’Archivio di Stato conservasi fortunatamente un codice ms. della Cronaca di Benvenuto, che meriterebbe di vedere la luce 0 nei Monum. Hist. Patr. 0 nella (1) Casale, Piazzano, 1639; • R. I. S., t. XXIII; - Torino, Derossi, 1750. (2) Pasini (Rivautella e Berta), Codd. Mss bibliothecae R. Taurinen. Athenaei, Aug. Taurinor. Typ. reg., 1749. (3) E. Stengel, Mittheilun. aus franzòs. Handschriften d. Turin. Univers. — Biblioth., Marburg, 1873. ( l) C. Morbio, Francia ed Italia, ossia i Mss francesi delle nostre biblioteche..... Milano, 1873. — 4^2 — ristampa testé decretata in Roma dei Rer. Ital. Script., non solo per la tipica genuinità della forma (i), ma perchè anche, come di mano ignota (forse del Vernala medesimo) sta scritto sul primo foglio , « in questo . prezioso antico ms. si sono osservati e registrati diversi passi ed aggiunte che mancano nella stampa ». Non è difficile riconoscere come questo codice del XVI secolo sia il medesimo, già appartenente al marchese Graneri della Roccia gentiluomo della camera del re , che ebbero fra le mani il Chiesa ed il Gioffredo, comesi scorge per alcune poche noterelle apposte in margine e scritte di lor proprio carattere, e da ultimo il barone Giuseppe Vernala, il quale tanto se ne giovò per la sua ristampa torinese del San Giorgio (2). La breve descrizione, che fa il Vernala del suo codice (3), riscontrasi esattissima sul nostro; identico il titolo da lui recato della cronaca (4), identico il numero delle pagine (5) , la postilla latina dell’ amanuense principale nel-1’ultima facciata del volume, le arme colorate di varie famiglie, i margini amplissimi con sopra di quando in quando le note del Chiesa e del Gioffredo. Ma a nulla mi sarebbe servito questo codice, se non ne avessi saputo ritrarre un qualsiasi vantaggio. E questo è , o parmi, che , siccome il Vernala col fedele presidio di esso potè emendare la cronaca italiana di Benvenuto sì deformata e guasta nelle due prime edizioni (6) e, quanto al testo della B. d. G. restituire gli 84 versi mancanti nella casalese e murato-riana fra il 373 e il 457 (7), così potei anch’io, riscontrando il mio testo francese il meglio che abbia saputo , e qualche cosa correggere meno emendata 0 nel Ms. stesso o del Vemana e qualche altra congetturare; del che rendo ragione a suo luogo. (1) Cfr. il sunto della B. d. G. nella parte I, 13), Versione a). (2) Cron. d. Benv. San Giorgio, Torino, Derossi, 1780, nella Vita del S. G., p. 25-6. — Il nostro Ms. sarebbe del 1534. (3) Ib., p. 26. (4) P. 18. (5) 495 numerati sul recto, in bianco il verso; dunque 990 pagg. Ib , p. 26. (6) Ib., p. 27. (7) Ib’> 20- - 483 — La canzone sulla B. d. G. può appartenere al secolo medesimo, in cui la battaglia è avvenuta, ossia al XIV ? Due cose sembrano provarlo abbastanza, cioè, e la forma del francese, che è quello del tempo, e la memoria viva dello scrittore, che doveva essere assai prossimo al fatto da lui con tanta evidenza esposto e forse vi prendeva parte. Egli non è uno de’ Provenzali venuti con Rinforzato o almeno del partito di lui, ma un aderente piuttosto, un seguace del marchese di Monferrato (1). Certo che gli epitheta ornantia, ond’egli distingue i due prodi avversari, sono su per giù i medesimi (2); poiché, come fu benissimo osservato, i diversi epiteti, che nei poemi più antichi si univano ai nomi degli eroi per render chiare e per fermare con poche parole le loro qualità più notevoli, si erano a poco a poco quasi pietrificati in formole fìsse, che si ripetevano ad ogni tratto ed erano adoperate confusamente e senza distinzione tanto per gli amici quanto per i nemici (3). Ma la sua predilezione, non vi ha dubbio, è tutta pel marchese di Monferrato ; e chi sa non sia stato uno dei nobili vassalli di lui, che combatterono valorosamente davanti a Gamenario; quantunque al contrario si dica che nel tempo, di cui si parla, 1’ epopea ornai invecchiata non godesse più di una grande riputa- (1) « Spiacemi che non sia venuto a conoscenza il nome 0 la patria di colui, che scrisse in versi francesi la relazione distinta della giornata di Gamenara; ma questo componimento storico 0 poetico che si voglia chiamare, prova troppo chiaramente che nell’alto Piemonte e nel Monferrato, paese Ligustico, usavasi piuttosto il volgar francese che l’italiano» (C. Bellina, Ist. d. Ital. Occid., Torino, 1809, II, 1. VI, 94). (2) Il marchese è designato: gentil marquii (v. 184), noblepreux e gentili (217J, de bornie vye (287), de hault affaire (296), au cceur vaillant (508)....; e Rinforzato: preux et nobiles (628), preux et vaillant (737), gentili (643), qui s'enforsa fourment.,.. de poursuivir chevalerie (12). (3) « Queste formole fisse e designazioni stereotipate proprie della decadenza, vero vioule épique, son ridotte a sistema e si spargono qua e là, dove per lo più il poeta ha bisogno di alcune sillabe per compiere un verso, e se ne hanno delle varianti a seconda che la rima esige una terminazione piuttosto che un’altra ». C. Nirop, Stor. d. Epop. fr. n. M.-E,, trad. E. Gorra, Firenze, 1886, p. 55. — 484 — zione ed , essendone i baroni annoiati, cercasse allora il suo pubblico di preferenza fra il popolo (1). Inoltre egh si mostra praticissimo e degli uomini e de’ luoghi e delle cose. Quanto ai primi, li ha tutti alla mano e col nome del casato ne dice ancora quello specifico e talvolta perfino il titolo e la paternità (Rinforzato d’Agout siniscalco, messer Giovanni di Cimiers, Percivalle di Pontez, conte Pietro di Ricorf 0 Nicorf, messer Luchino di Braida, Giovanni marchese di Monferrato, Pietro Falletti, Orsino e Aldobrandino Solari, Oberto di Montafia, Tommaso Malaspina, Pietro d’Azeglio baronetto, Giovanni e Ot-tobono conti di Cocconato , ecc.) (2). Distingue esattamente quei di parte guelfa alleati di Rinforzato, dai ghibellini alleati del marchese ; conosce e descrive le loro arme e insegne, come ad es., degli Angioini, dei Monferrato, dei d’Agout, degli Isnardi, della città d’Asti. Chiama il duca Ottone di Brunswich cugino del marchese (3) e, dall’ essere lui tedesco, fa che in tedesco suoni il grido di guerra: Romme rheiter, sus, Romme rheiter, sollevato prima dal marchese Giovanni (v. 507), poi dal duca (v. 509) e più in giù dagli Astigiani (v. 563). Nè gli è ignoto anco il sopranome di quel partigiano del marchese in Gamenario (il Ravaglioso), che non esita un istante a darsi ostaggio nelle mani di Rinforzato (v. 245, sq.). Lo stesso dicasi de’ luoghi. Poiché , senza dire della Provenza, in cui nomina solo Cimiers, Pontez e Ricorf 0 Nicorf, egli mostra di conoscer bene in Piemonte e Alba e Chieri e Gamenario; nello enumerare poi g’i aderenti del marchese Giovanni, ne ricorda sempre con esattezza i loro feudi 0 le loro terre, quali Valperga, Azeglio, Ponzone, Settimo, Incisa, Rocchetta, Asti, Casale, Cocconato, Cereseto, Camagna, Gabiano, e nomina perfino un ponte ehe era nelle vicinanze di quest’ultimo luogo (v. 676). (1) Nirop, o. c., p. 381. (2) Parecchi di questi nomi occorrono nelle carte del tempo , come si vedrà a suo luogo. (3) Anche nt\V Avario è detto Nobilis Miles Dominus Otio de Brunsvich Teutonicus ejus affinis, probus el sapiens (P. Alarii, Noi. Novarien. Chron. de gestis prine. Vicecom., Mediolani, 1771, p. 326). - 485 — E come conosce tutte le cose e si dà pensiero di raccontarle con ordine e sopratutto con brevità! (1). La venuta di Rinforzato in Lombardia, la presa d’Alba, il bottino e i prigioni di guerra, fra cui Luchino di Braida, le gare dei Chieresi con quei di Gamenario , l’assedio di questo castello, gli ostaggi, l’accorrere del marchese in aiuto degli assediati, le forze di lui, la battaglia, la ritirata vergognosa dei fanti monferrini davanti alle milizie di Rinforzato, gli atti di valore de’ prodi cavalieri, la rotta de’ guelfi e la morte del siniscalco, tutto egli racconta con imparziale semplicità. Rinforzato, che passò tutta sua vita in seguir cavalleria, non cessa di esser cavaliere nemmeno coll’ araldo chiedentegli, in nome del marchese, se vuol ritirarsi 0 venire a battaglia, lo regala e combatte e muore da forte : il buon marchese, savio sempre e valente, si parte dalla battaglia col rammarico di non aver potuto prendere vivo il siniscalco. La nostra canzone sulla B. d. G. non è di gran momento, nè letterario, nè storico. Non letterario, perchè nella stessa Francia, come dice ancora il Nirop, i poemi del secolo XIV erano a poco a poco diventati una raccolta dei più scipiti luoghi comuni e si assomigliavano tutti, perchè costruiti sugli stessi motivi e quasi tutti egualmente guasti da fiori retorici, da trivialità e da ogni specie di pessimi riempitivi epici, così che il più sobrio argomento era ampliato e gonfiato fino al punto di farlo diventare di una grandezza smisurata (2). Non istorico , perchè, sebbene la battaglia di Gamenario desse un gran tracollo alla dominazione angioina in Piemonte , essa non fu poi di tutta quella importanza, che le si vuole attribuire. Nè vi potè esser morta tanta gente, quanta alcuni cronisti pretendono (3), non essendovene cenno nella nostra can- (1 ).....on doit conter — briefmeni des choses le gouvernement, vv. 225-6. (2) Salvo alcune onorevoli eccezioni, il cui numero non è grande. O. c., Pag- 5S- (3) Più di 30,000. Così p. es. una nota Ms. all’ Arbore de’ MM. di Mf.‘» di casa Paieoi et Gonzaga, nell’Arch. gen. di St., Due. d. Mf.*°, Mazzo i.°, n.° 2, la quale nota è riportata dal Sangiorgio, Cron. p. 148 dell’ed. Torin-. — e poi anche le Cronachette Astesi, edite da V. Promis, in Misceli, d. St. It., ser. I, t. IV, Torino, 1870, p. 169, etc. - 486 — zone, la quale certo poteva menarne vanto e solo invece registra la morte di Rinforzato ; mentre d’altra parte trovansi nominati vivi, in documenti posteriori, i più degli amici e aderenti del marchese. Ma ricordiamoci che nel secolo XIV sono assai rare le canzoni nella Francia medesima. « Les chansons, così il Nisard, cornine » témoignages historiques en mème temps que littéraires, avaient » commencé et fini au treizième siècle , et quand on aura nommé, » comme appartenant au quatorziòme, une chanson sur le soulè-» vement des barons et des communes sous Philippe le Bel, deux » autres que les flagellant disoienl, quand ils se battoient de leurs » escourgées, et qui sont plutòt des complaintes que des chansons; » une autre sur la construction d’un fort en Bretagne, par les » Anglais, alliés de Jean de Montfort, due de ce pays ; une autre » encore sur les querelles de l’CJniversité avec Hugues Aubriot; » enfili quelques ballades d’Eustache Deschamps et de Christine » de Pisan, ce sera tout » (i). Comunque però, una canzone francese in Monferrato, sebbene di torma aulica (2), ma anteriore per altro al romanzo del Chevalier errant del marchese Tommaso III di Saluzzo (3), anteriore di più d’un secolo alle poesie francesi dell’astigiano G. G. Alione (4), parmi pur degna di qualche riguardo. Poiché essa dimostra almeno che anco sotto i Paleologi non erano spente le gloriose tradizioni degli Aleramici e se, sotto di questi le contrade monferratesi (1) Ch. Nisard, Des chans. popul. chez les anc. et chez les fr..., Paris, Dentu, 1867, t. I, ch. X, p. 222. — Il Kùlmholt{ vi aggiunge « les Chansons, que l’on composa en 1355, à Paris, sur la captività du Roi de Novarre Charles-Ie-Mau-vais; les Ballades, dans lesquelles on déplorait la mort de Bertrand Du Gues-clin, en 1380; les Vaux-de-Vire politiques d’OIivier Bassier, le chansonnier Nor- mand, etc. » (Des Spinola de Gènes et de la Complainte........ Paris et Mom- pellier, 1852, Chans. et compì, du XIV» siècle). (2) « Le lettere francesi da noi non furono mai nè spontanee, nè nazionali, ma semplicemente cortigianesche ». (L.Sauli, Sulla condiz. d. studi nella Monar. d. Sav....... Torino, St. R., 1843, c. VII, 195). (3) Sauli, 0. c, p. 173-178. Cfr. Mem. d. R. Accad. d. Scienc. d. Tor., t. 27. (4) Opp. iocun. no. D. Job. Georgii Alioni metro rnachar. materno et gali, composita, Asti, 1521 ; Venetia, 1560; Asti, 1601; Milano, 1836; Milano, 1865. - 487 — risonarono di lieti canti dei trovatori, sotto gli altri le torbide vicende non avevano cacciato in bando la gentilezza del sapere (1). Il dialetto della nostra canzone è quello letterario del tempo o, propriamente, dell’ isola di Francia (2). Il metro è 1’ ottonario (octosyllabe) e i versi rimano a due a due (rimes plates). — Le rime sono quasi sempre perfette : rarissime le assonanze. B) Dominazione Angioina in Piemonte FINO ALLA BATTAGLIA DI GAMENARIO (1345) (3). Carlo d’Angiò, diventato conte di Provenza per il suo matrimonio con la quartogenita di Raimondo Berengario e di Beatrice di Savoia , non aveva atteso la chiamata di papa Urbano IV of-frentegli la corona delle due Sicilie, per inaugurare la sua dominazione in Piemonte. Già fin dal 1259 gli erano sottomesse le (1) Anche tacendo degli scrittori astigiani, quali i cronisti: Ogerio Alfieri e i Ventura; — i poeti, fra cui 1’autore del Novus Avianus pubblicato dal D.r E. Grosse (nel Progr. des Kòn. Friedrichs-Colleg., Kònigsberg in Pr., 1868, dove l’autore é detto ein Landsmann Alfieris, p. Vili; — cfr. Giorn. de fil. rom., 1878, 13), A. Astesano, G. F. Nevizano, G. G. Alione; — si ricordi che il marchese Teodoro I Paleologo scrisse prima in greco e voltò poscia in latino nel 1330 l’opera dalla disciplini militare (San Giorgio, Cron. ; Sauli, o. c., p. 178) e che sotto i Paleologi vissero e scrissero Galeotto del Carretto, Benvenuto San Giorgio e altri di cui più sotto. (2) Brachet, Grani, hist. d. 1. lan. fr. Paris, Hetzel, 32« éd, p. 47. — Dopo il XII sec. il dialetto francese del centro si solleva a lingua normale e si scrive nel sec. XIV; in quest’ultimo però anco i dialetti del nord 0 nord-est (Nirop, 0. c., p. 381). — L’ uso della \ finale sarebbe proprio de’ dialetti di Normandia e Borgogna (Burguy, I, 96). (3) Cfr. Denina, Ist. d. It. Occ., Torino, 1809, 1.1 e II; Muletti, Mem. stor. d. Saluzzo, t. III; D. Capellina, I Tizzoni e gli Avogadri, Torino, 1842; P. Angius, Famiglie nobb. d. monar. d. Sav., Torino, 1841, t. I, MM. d. Mf.'° e Saluz.; i Cronisti d. Mf.'° ; G. Gorrini, Il Coni. Astig. e la sua storiogr., Firenze, 1884, § 10, I; ecc. — Io seguo qui, tra le altre, una fonte poco nota , gli Annali delle due Sicilie di Matteo Camera, ora esauriti. Peccato che 1’ opera, ricca di documenti inediti degli archivi napolitani, per le vicende politiche del 1860 e per difetto di associati, si sia dovuta fermare al voi. 2.° (i.°, Napoli, Fibreno, 1842; 2°, ib. 1860), e termini col regno di Re Roberto! — 4^8 — città «ii Alba, Cuneo, Montevico e Cherasco (i)- Indi i Provenzali penetravano in Val Sturana, abolendovi la giurisdizione di Tommaso marchese di Saluzzo, da cui staccavano uno de’ vassalli il marchese Enrico di Busca, e dopo la conquista del regno, premendo il conte di Savoia e assottigliando i domini de’ marchesi del Bosco , del Carretto e perfino della ligure repubblica (2). Ma, impensieriti della soverchia potenza dei provenzali, dapprima gli Astesi (3), poi il marcheae di Monferrato Guglielmo, penultimo degli Aleramici, (il quale per lo innanzi, ligio all’ angioino, gli aveva facilitato il passaggio di sue genti in Lombardia e prestati insigni servigi), e da ultimo il marchese di Saluzzo, pur di amico fattosi nemico , raccolti i loro eserciti, non solo recavano molti danni alle terre lombarde di re Carlo, Alba, Cherasco, Savigliano e Cuneo , ma presso il Castello di Roccavione tra il Gesso e la valle di Vermoragia (4) davano tal rotta al siniscalco regio, che per poco non si potè dire cessata la dominazione provenzale in Lombardia (1273). Però Carlo II reintegrava a poco a poco la giurisdizione del padre nelle terre subalpine. Riconciliatosi con Manfredo, marchese di Saluzzo, e quindi con Enrico del Carretto, marchese di Savona, spediva in Lombardia nel marzo del 1305 l’abruzzese Rinaldo de Letto , suo siniscalco, il quale riceveva con la fedeltà e 1’ ubbidienza dei deputati di Alba, Cherasco, Savigliano e Mondovi, (1) Murat., Ann. d’It., ad an.; Durandi, Delle ant. cit. di Pedona, ecc. ecc., Torino, 1769, p. 39, sg. (2) Genova perdeva Ventimiglia, nel 1266; cfr. un sirventese del trovatore Bonifacio di Castellana. (3) « Anno domini 1261 ; D. Carolus........ fecit guerram cum commune Ast per annos XIII et tunc commune Ast plures villas et castra perdidit » (Chron. Astens. ap. Murat., R. I. S., t. XI, p. 143). (4) Vi era pure il Nano marchese di Ceva e Beggiano de’ Beggiani saviglia-nese. — Il cronista astigiano Guglielmo Ventura combatteva per la patria contro gli Angioini nel 1273 e, fatto prigioniero a Cossano, stava qualche tempo nelle carceri di Alba. Poi prendeva parte ancora alle successive gloriose spedizioni del suo connine, che spogliarono gli Angioini a poco a poco de’ loro possedimenti in Piemonte (G. Gorrini, Il comune astigiano e la sua storiografia....... Firenze, 1884, p. 151). - 489 — anche 1 omaggio di alcuni feudi da parte di Giovanni di Saluzzo, signore di Dogliani (1). Di poi, spentasi in Monferrato la stirpe aleramica de’ marchesi e succeduto Teodoro Paleologo dei Com-neni di Costantinopoli, mentre questi si travaglia in ricuperare l’usurpatogli territorio, stipulavasi nel 1306, una convenzione tra il siniscalco Rinaldo e Filippo principe di Acaia per impadronirsi di Asti e di Chieri (2), e le loro milizie collegate a quelle di Giorgio, figliuolo del Nano marchese di Ceva, sconfiggevano le genti monferrine e le pavesi capitanate dal conte Filippo di Langosco, cognato del marchese Teodoro. A cui sebbene si restituissero indi a poco Moncalvo e Vignale, rimaneva però ai provenzali si considerevole stato, che sotto il nome di Contado del Piemonte veniva riunito a quello di Provenza e Forcalquier (3). Maggiore importanza ancora prendevano le cose de’ provenzali in Lombardia sotto il regno del terzo angioino, Roberto. Il quale, mentre l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, per sostenere il partito Ghibellino, preparasi a calare in Italia, partivasi di Avignone, nel 1310, alla volta di Napoli e recatosi in Piemonte vi confermava i trattati conchiusi da' suoi predecessori. Tolto Cuneo e Busca al marchese di Saluzzo, visitate le terre di Montevico, Fossano, Savigliano, Cherasco e Alba, entrava nell’Agosto in Asti, che Filippo d’Acaia aveva tentato invano distogliere dalla lega con 1’ angioino. E questi invece eravi accolto con la moglie Sancia a splendido convito (4), dove spiegavasi un lusso, fino allora ignoto all’ Italia, quello del vasellame d’ argento. Indi per Alessandria ed altri luoghi sul Tanaro, che avevano accettata la sua amicizia e protezione, s’avviava verso la Toscana e di là a (1) Ex regest. neapol., ap. Camera, 0. c.; II, 117. (2) La convenzione fu notificata da Roberto duca di Calabria con lettera patente del 25 aprile 1308 in Aix. Camera, II, 131. (3) Vedine il diploma in Camera, II, 130. — Nel 1307, re Carlo ordinava a Gerardo di S. Elpidio, suo milite e siniscalco nel contado di Forcalquier, di venire a congiungersi con Rinaldo de Letto contro il march. Teodoro di Monferrato (Ib., II, 147). (4) Guglielmo Ventura, cronista astigiano, assisteva a quello, che re Roberto, preparò in onore degli astigiani nel convento de’ Frati minori in detto anno. — 490 — Napoli (i). Due anni appresso, nel 1312, mandava suo siniscalco in Piemonte Ugo del Balzo, il quale impadronivasi in giugno di Casale di Mera ferrato , come si ha anco dalla Cronaca dell’ astese Guglielmo Ventura (2) , e riceveva 1’ omaggio di Pavia, Asti e Alessandria. L anno vegnente, di marzo, secondo lo stesso cronista , Ugo del Balzo, andando verso Alessandria con alquanti astesi e alessandrini , si scontrava presso Quattordio col conte Guarneri e Galeazzo ^ isconti, venuti in Monferrato, e col marchese 1 eodoro: ma lo scontro era di poca importanza (3). Dopo la morte di Enrico \ II avvenuta lo stesso anno, re Roberto rimasto senza rivali faceva sentire il predominio guelfo su tutta l’Italia e mostrava di volerla signoreggiare : a ogni modo imperava su gran parte del Piemonte e vi teneva a sue spese uffiziali e magistrati. Nel 1316 vi era mandato a sostenere la parte guelfa Simone de Beau-lieu, già suo maresciallo in Romagna, con 300 armati a piedi e altrettanti a cavallo ; mentre due altri suoi vicari, Ugo del Balzo e Riccardo Gambatesa, entrati nel territorio alessandrino, s impadronivano de’ castelli di Oviglio , Solero , Quargnento , Bosco e Castellazzo (4). Però, verso la fine di novembre del 1319» U»° del Balzo, avendo posto l’assedio ad Alessandria, dipendente allora dai Visconti e già penetrato con le milizie sue e degli astigiani per tradimento nel borgo di Bergoglio e di là con 500 provenzali a Monte Castello, scontravasi al ponte del Tanaro con (1) Camera, II, 187-8. (2) c Comes Ugo (de Raucio) senescalcus introivit Casale et, posito igne, afflicti sunt Canes et eorum sequaces, et multi eorum expulsi fuerunt inde et fecerunt fidelitatem regi Roberto » (Mem. Guil. Venturae, De gest. civ. Astens., in M. H. P., Scr. Ili, c. 787). — Camera, II, 208). — Galeotto del Carretto lo traduce: « Conte Ugovde Baucio Senescalcho del Re Roberto de Scicilia intro in Casale san Vaso e puostogli el fuoco ruppe quelli dei Cani et gli suoi seguaci et molti ne fuorono cacciati et fecero l’homaggio al Re Roberto » (Ist. Ms. d. Mf'" nell’Arch. d. Stato). (3) « In quo conflictu pauci mortui fuerunt, scilicet Theutonici vigintiquinque et Astenses ttes, Conradus de Brayda, Albensis, fugiendo veluti vilis captus fuit; et ab altera parte quidam nepos ipsius comitis..... » (G. V., ib., c. 788). (4) Camera, II, 245. - 491 — Luchino Visconti, mandato dal padre Matteo con 400 cavalli in solloiso di Alessandria. Venutosi a battaglia, i provenzali rimanevano sconfìtti e Ugo del Balzo ucciso (1). E forse per lavare 1 onta di questa sconfitta e debellare i Visconti, che gli erano di ostacolo per 1 ambita signoria d’Italia, vi chiamava Filippo di Valois, figlio di quel Carlo che, al dire di Dante, giostrava con la lancia di Giuda. Veniva questi con molto sèguito di nobili francesi, spregiatori del valor militare degli italiani, e il 5 luglio 1320 trova vasi in Asti ligia a re Roberto col cardinale Bertrando del Poggetto, legato pontificio in Roma e nipote del papa. In Asti dovevano pur convenire il Delfino di Vienna e il siniscalco di Belcaire con loro genti, mentre i Bolognesi e i Fiorentini allestivano altri rinforzi. Ma la presunzione del Valois, che riputava indegno di sè l’indugio, lo faceva cadere nella rete tesagli da Galeazzo e Marco Visconti, i quali, signori del corso del Po e del Ticino, di Vercelli, Novara, Pavia, Tortona e Alessandria, aveanlo circondato tutto all’ intorno con loro milizie a Mortara e lo tenevano in loro mano. Guai per lui, se non accettava il partito, che Galeazzo era andato a proporgli, coi ricchi presenti, che lo accompagnavano, e se, ceduti al Visconti in ricambio i castelli dati in sua mano dai guelfi di Piemonte, non si ritirava in Francia (2). Ma i Visconti non erano i soli nemici di re Roberto : assai davagli anco a fare in Piemonte Filippo di Acaia, dal quale era stata dapprima ricuperata la città di Fossano (1317) obbediente a Roberto, cacciandone il siniscalco Ugo del Balzo e tre anni dopo conchiuso con Federico di Saluzzo in Lombriasco un trattato, per cui il savoiardo si obbligava di aiutare il saluzzese (1) Vuoisi con più di 20 ferite (Camera, II, 270) — Fra gli altri, ne fa menzione anche il Nostradamus sotto l’anno però 1318: « Hugues de Baulx, capitarne ^énéral de l’armée du roi Robert en Piedmont, fut défait et tué en 1318 par Luquin frère de Galeas, qui l’affronta corps à corps dans une battaille » (L’hist. et Chron. d. Provence, Lyon, 1624, II' par., p. 128). (2) Camera, II, 273. — Su Filippo di Valois venuto a instaurare in Vercelli il partito guelfo e sull'ingloriosa ritirata di lui ai 25 agosto 1320, Vedi Mandelli, Il Com. d. Vercelli, ecc., Vercelli, 1861, IV, 185 ; — e D. Capellina, I Tizzoni e gli Avogadri...... Torino, 1842, p. 45, sq. — 492 - a ricuperare Cuneo , Busca, Valle di Stura e i borghi di Demonte e Centallo, mentre questi avrebbe aiutato il principe nella conquista di Asti (i) e Chieri e del Canavese. Per la qual cosa, vedendo re Roberto minacciata la tranquillità de’ suoi stati in Piemonte e sè costretto a scendere ad accordi con Filippo di Acaia sceglieva ad arbitro papa Giovanni XXII e destinava Giovanni Cabassole suo milite e consigliere qual procuratore e messo speciale con pieni poteri per trattare la pace (2). Nel 1333 gli offriva pur pace ed alleanza Teodoro Paleologo, marchese di Monferrato, ond’è che l’anno appresso, ai 21 di marzo, re Roberto scriveva a Filippo di Castropagano suo siniscalco in Piemonte e a Lorenzo Polderico napolitano dottore di decreti, regii consiglieri, perchè sollecitassero il marchese a osservare le fatte promesse (3). Con gli aiuti pertanto del monferratese, re Roberto riusciva a occupare Torino, ma per poco; chè gli era ritolta con la stessa facilità da Filippo d’Acaia, morto poi in Pinerolo lo stesso anno (27 sett. 1334). Due anni dopo la morte di questo principe stipulavasi un nuovo trattato tra la vedova di lui Caterina , figliuola di Umberto delfino del Viennese, e Loffredo Marzano conte di Squillace, regio siniscalco in Piemonte con rRuggero Sanseverino ; il quale trattato però , alcuni anni appresso, Giacomo d’Acaia uscito di minorità non volle riconoscere (4). Finalmente, nel 1339> ^ dopo essere stata per circa 27 anni dei provenzali (5), scoteva il giogo di re Roberto. Era allora marchese di Monferrato Giovanni (1) Filippo era stato eletto nel 1306 capitano del popolo in Asti per un triennio e poi erasi stretto in lega con Carlo II (Camera, II, I31)- (2) Camera, II, 305, che ne reca 1’instrumento ined. del 27 luglio 1324. (3) Specie di restituire quanto egli 0 altri in suo nome tiene di c:ò che spetta al re o a’ suoi sudditi (Camera, II, 382)' (4) Camera, II, 418. (5) « Il primo tentativo (di dominio) lo fece Carlo I d’Angiò, il quale, stabilitosi ad Alba,..... teneva lo sguardo rivolto su Asti, molestandola continua- mente per più di un ventennio (1260-84)...... Asti potè resistere...... Stabile dominio vi ebbe primieramente re Roberto, chiamato dai Guelfi.....; si concluse un definivo trattato nel 1312, a tenore del quale i ministri del re vengono a stabilirsi in città nel seguente anno; perciò nel 1314 cade virtualmente il comune.....» (G. Gorrini, 0. c., p. 242-3). - 493 - Paleologo, a cui la fortuna non poteva concedere nè migliore, nè più fausto principio di dominazione. Poiché, succeduto appena da pochi mesi al padre Teodoro, nell’anno 1339 e faceva il noviziato dell’ armi alla giornata di Parabiago, movendo in soccorso di Azzone Visconti, contro Lodrisio e Martino II Scaligero, che avevano al loro soldo la Compagnia di S. Giorgio, — e, nella guerra rinnovatasi tra i Valperga e i San Martino e altri nobili del Ca-navese, ricuperava Caluso con tutte le altre terre dai principi di Acaia e Piemonte usurpate, — e infine, in settembre, cacciati di Asti i Solari e gli altri guelfi e introdottivi i Guttuarì e i Rotarì con gli altri ghibellini, veniva dal consiglio e popolo di detta città costituito governatore e difensore di essa per anni quattro con plenaria autorità di amministrazione in ogni causa e giurisdizione così civile come criminale (1). L’ occupazione della città gli tornava facile , perchè il presidio che vi era, avendo per mancanza delle paghe impegnato le armi, non faceva nessuna resistenza. Però la perdita di Asti (2), città importantissima (perchè di frontiera) allo stato del re di Napoli in Piemonte, recando non poco nocumento agli interessi dei guelfi in Lombardia, re Roberto apparecchiava guerra al marchese Giovanni, alleandosi col nipote Giacomo II, re di Maiorca (3): ma non se ne faceva poi nullae Roberto moriva quattro anni dopo il 19 gennaio 1343 (4). Dopo la reggenza di Sancia, non sì tosto ascendeva il trono di Napoli Giovanna I, nipote ed erede di Roberto, che volendo muover guerra al marchese Giovanni di Monferrato, spediva in Lombardia il siniscalco Rinforzato d’Agout. Il quale, il dì 13 maggio 1344, dava già il guasto a Verzuolo presso Saluzzo, e dopo 19 giorni di assedio prendeva quel castello. Quindi in giugno, avendo gli uomini di Savigliano deliberato di unirsi alle genti di lui, tentava insieme una scorreria contro il borgo di Rumeira. Dava poi (1) Benv. S. Giorg. e gli altri cron. (2) Sulle guerre e vicende di Asti sotto la signoria Viscontea, V. S. Grassi, Stor. della città d’Asti; Asti, 1817, II, 41, sq. (3) Camera, II, 463. (4) Qui finiscono gli Annali del Camera. Atti Soc. Lio. St. Patria. Serie 2.*, Voi. XVII. 52 — 494 - il suo consenso alla tregua conchiusa il 16 ottobre tra la città di Alba e il marchese Tommaso di Saluzzo venuto contro di essa con le sue milizie e le compagnie alemanne, che teneva al suo soldo , a richiesta di Petrino ed altri de’ Falletti d’ Alba. Indi, convocati in Savigliano gli ambasciatori delle terra regie nel dicembre e tenuto nell’Epifania del seguente anno (1345) genende parlamento per stabilire quanto di soldati dovesse ogni terra mettere in armi, moveva, sempre a istigazione de’ Falletti, contro di Alba , che prendeva e saccheggiava. Alla fine a istigazione de’ Chieresi, essendosi posto all’ assedio del castello di Gamenario nel loro territorio, quivi, il 23 aprile 1345, venuto a battaglia col marchese Giovanni di Monferrato e i ghibellini di Piemonte e Pavia, come già Ugo del Balzo, valorosamente combattendo , vi perdeva la vita (1). C) La battaglia di Gamenario nella cronaca. Quel po’ d’importanza, che può avere perii Piemonte e specie per il Monferrato, il nostro canto storico, risulta dalle magre indicazioni, tutte dello stesso tipo, che della battaglia di Gamenario ne dànno le cronache. Fra le quali deve tenere il primo luogo quella di Pietro Avario (2), che, avendo incominciato a scrivere del 1350, secondo il Muratori (3), si può dire con sicurezza scrittore sincrono. Or 1’ ultimo capitolo di questa cronaca, che è il 160 e tutto su Giovanni marchese di Monferrato, contiene della nostra battaglia il cenno seguente (4) : « Pluries se armorum conflictui immiscuit (Joannes), in quibus semper obtinuit, et praecipue apud Gamenariam , ubi praelio or- (1) Muletti, Mem. stor. d. Saluz...... III, 314, sq. (2) Vetri Azarii Notarii Novariensi Chronicon de gestis princip. Vicecomitum ........Mediolani, J771. (3) Pref. alVAvario. — Cfr. Sauli, Della condiz., d. st., ecc., p. 101 sq. — Probabilmente l’A. scriveva già qualche anno prima, poiché dice, ad es. : a Joannes marchio Civitatem Astensem abstulit et adhuc eam tenet » (Chr., p. 60). Ora Asti fu del march, dal 1339 al 43. (4) Ib., p. 326. - 495 — dinato, et cum amicis suis Senescalcum Regium de Domo illorum de, Balzano (i), virum magnae potentiae et virtutis occidit, fusa universa hostium acie, auxiliante universa parte Guelpha (2). Cui victoriae multum contulit Nobilis Miles Dominus Otto de Brun-svich Teutonicus ejus affinis, probus et sapiens. De quo plus quam de alio idem Dominus Joannes et quidem merito confidit ». II. Posteriore di circa un secolo alla battaglia di Gamenario è la Cronaca di Gioffredo della Chiesa (3), se è vero, come asserisce il Muletti, che le sia dato incominciamento verso il 1430 (4). Di questa Cronica esiste pure un codice nell’Archivio generale di Stato torinese, da cui tolgo il brano che segue: « Nel 1345 ali 23 di Aprile fuo data una rotta a! Senescalcho Regio per il marchese di Monferrato : doue fuo ucciso epso Sene-schalcho : Et douetti intendere che per la morte dii Re Roberto che fuo nel 1343 una parte de Piemonte che era di epso Re uene ale mane dela Rena Zana sua nepota: Et inlhora le parte de guelfi, et gibellini saltorono suso per le controuersie del reame: Et maxime nel loco de Chiery doue ogni dì se occideuano..... » (5). III. Posteriore di qualche anno ancora è un’ altra cronaca astese (6), appartenente alla seconda metà del secolo XV (7), in cui si registra la battaglia di Gamenario in questi termini (8) : « Anno Domini MCCCXLV de mense aprilis in vigilie sancti Georgii fuit rupta Gamellarum gentium regine Johanne, neptis et heredis quondam regis Roberti, facta per partem Ghibellinam. (1) Si sbaglia: non è Ugo del Balzo (-|- 1319), ma Rinforzato d’Agoùt. (2) Da riferirsi ai nemici. (3) Cronaca di Saluzzo, in M. H. P., Scr. III. (4) Ib., Prefar. (5) Arch. gen. d. St. Due. del Monferrato. Mazzo 1.°, fol. 33, verso, del Ms. — Cfr. ne’ M. H. P., Scr. Ili, col. 979. (6) « Chronicon illorum de Solario et quorumdam plurium aliorum illustrium dominorum » edita dal Comm. V. Promis, nella Miscellanea di Stor. it., Ser. I, voi. IX, Torino, Bocca, 1870. — V. su questa Cronaca il Gorrini, 0. c., 1. II, c. II, § 9, p. 235, sg. (7) « L’ autore viveva e scriveva nel mese di ottobre 1468 » (Promis, ib., prefaz.). (8) Ib., p. 169. — 496 - » Anno Domini MCCCXLV dieta regina Johanna privata fuit dominio Astensi. Nam Johannes marchio, auxilio eorum civium (i) qui erant exules civitatis Ast gravi prelio superavit et occidit dominum Reforzatum Dago senescallum diete regine Johanne apud Gamellarum locum iurisdictionis Cherii, in quo prelio dicuntur cesa fuisse XXX millia virorum et ultra. Quo facto dictus marchio Montisferrati una cum dictis exulibus intravit civitatem Ast, et factus fuit rector et capitaneus dicte civitatis (2), et in memoriam dicte victorie predictus marchio edifìcari fecit ecclesiam in honorem sancti Georgii extra muros civitatis Ast non longe ab ecclesia Sancti Spiritus, et bannivit illos de Solario et eorum sequentes a civitate Astensi ». IV. Un’ ampliazione di questa cronaca de’ Solari paiono essere que’ frammenti, che vengono in appendice del Memoriale di Guglielmo Ventura del codice cartaceo 582 della biblioteca nazionale di Torino, mutili del principio, anonimi e scorretti specie nelle date (3). E infatti la battaglia di Gamenario è posta sotto 1 anno 1339 invece del '45 : « A. 1339 de mense aprilis in vigilia Sancti Georgii fuit facta rupta regine Johanne neptis Regis Roberti et naturalis ipsius Regis per Gebelinos Astenses, quia paulo ante decesserat Rex Robertus predictus cui succedere volebat ipsa regina Johanna. » A. 1339 die XII Septembris expulsi fuerunt illi de Solario de civitate Astensi per Gutuarios, et factus fuit illis D. Marchio Montisferrati Johannes Capitaneus Astensium, qui via ipsorum de Solario intraverat dictam Civitatem expulso Rege Robei to Nea- (1) Guttuari, Asinari, Isnardi, Turchi, Scarampi, Pelletta, ecc. (N. d. Promis). (2) Ciò avvenne nel 1339 e non '45 : dal 1342 al ’49 stette la città ^ Asti sotto la protezione di Luchino Visconti (S. Giorgio, Cron.; Gorrini, ecc.). (3) Pasini e Rivautetla, Codd. Mss. bibi. R. Taurin. Athen., pars altera, Taurini, 1749, p. 140: « Chronica rerum gestarum ab Astensibus, aliisque populis, sed mutila principio et sine auctoris nomine, nec mendis carentia, ad temporis ordinem praesertim spectantia ». — La collezione del Pasini e comp. è giudicata di scarso valore dal Gorrini, che si dice però disposto a scusare la pubblicazione di questi frammenti (0. c., specie, p. 228, n. 1.“). - 497 “ politane» (i) , cujus Regis temporibus D. Hugo de Bautio fecerat certa pacta inonesta cum communi Astensi (2), ex quibus fuerunt multi nobiles et boni cives circa, et qui auxilium dederunt dicto Marchioni ad capiendum dictam civitatem cum dictis de Solario, et ipse Marchio (3) gravi prelio superavit et occidit Dominum Refortiatum Senescalcum Regis Roberti suprascripti. et fregit ejus gentem apud Gamelarium locum jurisdictionis Cherii, in quo prelio decesserunt 30 millia et ultra. Quo facto idem Illustrissimus Dominus Marchio Johannes factus fuit capitaneus Astensium ut supra, et in memoria dicte victorie habite per Astenses fecit ipse Dominus Marchio edificare Ecclesiam Sancti Georgii extra muros Civitatis Astensis prope monasterium Sancti Spiritus et exules postea facti ut supra illi de Solario cum eorum sequacibus a Civitate Astensi et privatus Marchio suprascriptus (4) ». V. Di questo tempo potrebb’essere anco la pergamena dell’Archivio generale di Stato, che ha per titolo : « Genealogia illustr. Marchionum Montisferrati » e arriva fino a Johannes (Giovanni III Paleologo, -+- 1464) (5). Nella quale occorrono presso che le identiche parole della cronaca de’ Solari: « Iste Joannes (I. P.) fuit magnanimus et bellicosus qui cum auxilio exulum civitatis Ast et partis ghibeline gravi prelio supe-rauit et occidit dominum reforza da go senescallum regis Roberti apud gamalarium opidum Jurisdictionis Cherii in quo prelio cesi fuerunt xxxta milia virorum, et ultra, quo facto dictus marchio una cum dictis exulibus intravit civitatem Ast et factus fuit rector dicte ciuitatis et in memoriam dicte victorie fieri fecit ecclesiam sancti georgii extra muros civitatis Ast prope sanctum spiritum et bannivit illos de Solario et eorum sequaces a dicta ciuitate ». (1) Qui la data è giusta; ma c’ è contraddizione nel fatto. Come mai i Solari, guelfi, son cacciati dalla città e per mezzo loro vi entra il march. Giovanni? (2) Questo è anteriore al 1339: il siniscalco Ugo del Balzo moriva un ven-t’anni prima. (3) Si torna alla battaglia di Gamenario (1345). (4) Pasini, 1. c. p. 140-1. (5) Due. d. Mf.l°, Ma-zzo i.°, n.° 2; cfr. anche n.° 1. — In calce sta scritto: « Nobilis Iacobus de Rippa.... fieri fecit ». - 498 - VI. Galeotto del Carretto (secolo XVI) nella sua « Istoria Ms. del Monferrato da Aleramo I marchese sino al 1491 » (1) non fa egualmente che tradurre: « Joanne (secundo), poi la morte del patre suo Theodoro, fuo constituto marchese di Monferrato , il quale nel vero fuo molto belicoso ad Immagine del Patre, et oltra modo ardito et magnanimo. Fuo quello che con 1’aiutto deli Banditti Astesani et con la parte Ghibellina con crudel battaglia supero ed occise Miser Reforza dangio sescalco del Re Roberto apresso Gamallerio nel qual conflitto fuorono trucidati molte migliara di persone, et facto questo egli con gli Banditi entro nela Cita dAsti et fuo Rectore di quella, et in memoria di quella victoria fece hedificare una chiesia de Sancto Zorzo fuori dele mura dela Cita apresso san Spirito et mando in exilio quelli de Soleria con li seguaci loro de Asti». E nell’ altra sua Cronaca in versi così parla del marchese Gio-vannil : « Questo fuo quel che de Agiò el buon Reforza Sescalco del gran re Roberto vinse A piè di Gamalerio : et con sua forza Si come buon guerrer el prese e extinse Et poi de l'arme la sua opima scorza Gli tolse et gli nemici a fuggir spinse Et ruppe : et nel conflitto mille et mille Morti sepulti fur per quelle ville. Poi con la parte gibellina entrò In Asti con gran pompa, fausto et gloria Et de la terra facto rector fuo Come al di d’hogi anchor se n’ ha memoria, La chiesa de san Zorzo edificò In segno de 1’ havuta già victoria, Mandò in esilio tutti li Soiarii Co’ suoi seguaci a lui prima contrarii ». VII. Terminerò questa rassegna con la cronaca Ms. (sec. XVII) dell’ agostiniano Fulgenzio Algbisi casalese (2). Nella quale (p. II, 1. (1) Arch. Gener. d. St., Due. di Mf.‘° Mazzo 2.0 — Cfr. M. H. P., Scr. III. (2) Il Monferrato, Historia copiosa et generale in due parti et in XIII libri divisa, dedic. alle Altezze Sereniss. Ferdinando Carlo et Isabella Gonzaga. — Cod. d. Bibl. Vesc. di Casalmonferrato; una copia anche alla Nazion. di Torino. - 499 - 7.°) la battaglia di Gamenario tiene per certo una lunga distesa ; ma subito si scorge non essere che una dilavata parafrasi del canto storico francese, riportato da Benvenuto, in cui per giunta si fa pronunciare dal marchese Giovanni un’ enfatica parlata ai ghibellini suoi alleati, si manda alla rovescia l’araldo al marchese e non da questo al siniscalco e si ampliano e gonfiano parecchi altri particolari (i). D) I combattenti: i. Giovanni 1 Paleoio go marchese di Monferrato, v. 217. an. 1338-42 (2). Ripetere qui, dico almeno in succinto, quanto è già stato scritto su Giovanni I Paleologo marchese di Monferrato , senza aggiungervi nulla 0 di emendato 0 di nuovo, non mette conto. Tanto più che una fedele e succosa narrazione delle geste di lui si ha già in uno storico contemporaneo, il novarese Pietro Avario, del quale non so tenermi dal recare i brani più importanti. Li tolgo dal capitolo 160 e ultimo della sua Cronaca già citata (3), dove così si parla del nostro marchese : « Johannes Marchio Montisferrati, natus Domini Theodori olim Graecorum imperatoris,.....a suis Illustris Principis nomine nuncupari meruit, et Imperialis Vicarius generalis. Strenuas est probus, sapiens (4), moderati animi, formosus et inquietus (5). (1) Fra gli storici recenti, oltre il Muletti già citato (voi. Ili), si consulti L. Cibrario, Delle storie di Chieri, Torino, 1827, t. I, c. XXXIV, p. 384; — De-nina, Ist. d. Ib. Occid., II, 1. VI, c. VI, c. 3, sq.; — S. Grassi, St. d. città d’Asti, Asti, 1817, II, 1. II. (2) Cfr. P. Avario, i Cronisti del Monferrato e Saluz., Dmina-Muletti,..., opp. citt. (3) P. Alarii, notarii novariensis, Chronicon de gestis principum Vicecomi- tum.....accedit opusculum ejusd. autor, de bello Canepiciano.... Mediolani, ap. Fr. Agnellum, 1771. (4) Come vaillant, bon, sage, nel nqstro canto storico. Notisi il presente est. (5) Altrove è detto: formosus, astutus, (Ib., c. XII, p. 160). — 500 — Terras omnes vel amissas, vel venditas, vel oppigneratas per quondam genitorem suum , qui nullius fuit virtutis, redemit vel pretio, vel virtute bellica (i)... Nil unquam de sua ditione amisit, immo postquam ipse, licet viribus impar, bellum indixisset domino Mediolani, multa acquisivit, et contra voluntatem ejusdem Domini detinet.....Post autem diffidationem factam Vicecomitibus, se ita gesserat circa recuperationem Terrarum suarum, ut Hector ipsi nullatenus praevaluerit. Nam semper bellum habuit cum Illustri Principe Achajae in partibus Pedemontanis, et cum universis Guelphis Pedemontium Astensibus, Iporegiensibus, Canepitii, et Alexandrinis (2), intra quorum vires ipsius ditio includitur. Subditos suos, sive Guelphos sive Gibellinos, amavit et honoravit juxta ipsorum merita. Amavit semper Gibeilinos Civitatum sibi adheren-tium, et praesertim Papiae, Vercellarum, Iporegiae, et Taurini, et Aquarum.... Pluries se armorum conflictui immiscuit,... et praesertim apud Gamaneriam . . . Vindicavit Burgum Caluxinum m Canapicio (3) . . . quae terra multum dominio suo nocebat, nec sine maximis dispendiis fuit acquisita. Acquisivit Valentiam contra voluntatem Guelphorum ipsius loci et circumstantium, illudque oppidum tenet de praesenti cum ponte super Padum, per quem intrant et exeunt omnes sui, per quos turbat statum Papiae, Novariae et Mediolani. Recuperavit etiam Bremidem , quem continuo tenuit cum detrimento Dominorum Mediolani » (4). Certo che qui la narrazione è appena abbozzata e, per finirla, (1) « Marchio dominium suum, quod reperierat laceratum propter stultitias Theodori quondam p.itris sui, jam reintegraverat, et alii Marchiones adhaerentes ipsi de Monteferrato favebant sibi; siculi Marchio Cremolinus de Malaspina, Marchiones de Ponzono, Marchiones Carrettini, Marchiones Cevae....... » (Ib., c. IX, p. 90). (2) Per le conquiste di G. I (Alessandria, Caluso, Gassino, Santena, Novara, Asti, Alba, Cherasco, Valenza, Pavia,....) V. i cronisti in M. H. P. Ser., Ili, c. 989-1215. (3) Per Caluso e la guerra del Canavese, cfr. la monografia dello stesso Azario: De beilo Canepiciano, riportata anche da Benvenuto nella sua Cronaca (p. 126-33 dell’ ediz. torin.). (4) P. 326-8. Questo brano è riferito anche nella Cron. del S. G., p. 224. - 5oi - converrebbe aggiungere quanto altrove si racconta della presa di Asti per il marchese, che la tenne parecchi anni (i) ; indi della di presa Novara, tolta a Leonardo figliuolo naturale dell’Arcivescovo Giovanni Visconti, la prima volta (2), e poi un’ altra aiutato dal novarese Giovanni Savio (3); e ancora della presa di Alba (4). Ed è importante a sapere come il marchese entrasse una seconda volta in Asti tenuta da Galeazzo Visconti, le cui parti seguiva un Ughetto Isnardi d’Asti, forse quello della battaglia di Gamenario e già partigiano del marchese (5); mentre uno de’ Garretti apriva a questo la porta, uccidendo il castellano del Visconti (6). Come pure è da tener conto di quanto si dice e intorno al possesso di Pavia ceduta al marchese dalla potente famiglia de’ Beccaria (7) e intorno al reggimento tirannico da lui esercitato in Novara (8) e alle devastazioni e a’ saccheggi e alle rapine, che facevano i mercenari stranieri al suo soldo (9). I quali accenni tornano ad onore del nostro cronista ; ond’ egli, a ragione, fu detto una « guida preziosa e sicura nella cognizione delle cose a sè propinque o avvenute a’ suoi tempi, e di cui egli fu parte » (10). Ma d’ altronde, di menar per le lunghe il racconto e pubblicare qui i copiosi documenti inediti, che 1’ Archivio generale di Stato torinese possiede su Giovanni I, lo spazio concesso al presente lavoro lo vieterebbe. Poiché, senza contare le sei carte ante- (1) C. IX, P. 88. (2) C. XI, p. 141. (3) P- 170- (4) P. 160. (5) « Domino Ugetto de Isnardis, formoso et expertissimo et Cive Astensi » (p. 161). (6) « Rubeus Garretus Astensis » (p. 161). (7) P- 229. (8) P. 211. (9) P. 160 e specie 189, dove il conte Landò lascia il marchese per Galeazzo, « quod ab eo (Joanne) nil nisi verba habere possent, neque acquisitis communiter potiri possent. Nam Marchio Civitatibus et Locis acquisitis ipse solum gaudebat, et de ipsis se intitulavit. De derobationibus et spoliis et tributis ipse solus fruebatur cum suis avarissimif Monteferralinis, pediculorum decoriatoribus s. (10) L. Sauli, Della cond. d. stud., ecc. p. 104. — 5°2 — riori al 1338, anno nel quale il padre del nostro marchese mori, riguardanti la sua giovinezza 0 le nozze della sorella Violante 0 le ultime volontà del padre (1), ne avremmo ben 32 dal 1341 al bi concernenti le relazioni del marchese Giovanni con Giacomo d Acaia e Amedeo di Savoia, con Giovanni, Bernabò e Galeazzo Visconti, coi marchesi di Saluzzo, Del Carretto, Ceva, Cravesana e loro aderenti, con la città di Alba e coi numerosi vassalli del Monferrato (2). Alle quali carte se aggiungiamo le altre 14 e diverse inserite dal San Giorgio nella sua Cronaca (3), si arriverebbe alla discreta cifra di 52 carte piemontesi, onde vorrebbe andar corredata la vita del marchese Giovanni I. Ma di queste e delle altre a miglior occasione. 2. Rinforzato d’Agout, vv. 11-2. La famiglia degli Agout (Agoult) fu delle più antiche e nobili di Provenza e diede uomini insigni nel culto e nella protezione delle lettere e specie nelle armi. Il De Gatifridi (4) la fa derivare da Isnardo d’Entrevenes , signore di Sault, paese dipendente dai Visconti di Carcassonne e Beziers. Il trovatore Gaucelm Faidit fi 190-1240) mandava a Mompellieri una sua canzone composta nella lontananza ad Agoult, signore di Sault (5) , uno de’ suoi più caldi protettori e forse quello, che il Gatifridi dice uno de’ chiari poeti provenzali (6). Il barone Raimondo di Agoult, uno (1) Arch. gen. d. St., Due. d. Monferrato — Mazzo 30, Diplomi n.° 8, 9, io, 12 e 13; e Addizioni, Mazzo i.°, n.° 10. Il San Giorgio pubblicò solo il n 12 (testam, del M. Teodoro), a p. 123 dell’ed. torin. (2) Ib., Mazzo 3.°, n.° 15 — Mazzo 4.° nn.‘ 1-20 — Addiz., Mazzo i.°, nn.1 11-13 e 16-22. — Il diploma d’investitura dell’imp. Carlo IV con Giovanni I march, di Monferrato trovasi almeno 7 volte, cioè: Mazzo i.°, Diplomi, nn.‘ 6 e 7; Mazzo 2.0 nn.1 364; Mazzo 5.°, n. 1; Mazzo 6.« n.° 6; Maz. 8.°, n.° t; Addiz. Maz. i.°, n.“ 12. — Veramente i diplomi sono due del 1355 e '69. (3) Ed. Torin., pp. 133, 135, 149, 150, 155, 168, 169, 181, 188, 196, 197, 199, 204, 209. (4) Hist. de Provence, par Messire J.-F. De Gaufridi, Aix, 1694, p. 132. (5) Die1, Leb. u. Werk. d. Troubadours, 2.« Aufl., Leipzig, 1882, p. 305. (6) Hist. d. Pr., p. 105. — 503 - che’ principali signori della corte del conte di Forcalquier (i), è lodato per la sua munificenza nella vita del trovatore Blacatz (2) e ricordato in una canzone di Cadenet (3). Trovo ancora un Amelino d’Agout 0 di Curban, regio siniscalco in Piemonte di Carlo I d’Angiò (1272) (4); un Isnardo, cognominato d’Estra-venes, che nel 1291 fa omaggio a Carlo II della sua terra di Sault posseduta con tutti i diritti di sovranità da’ suoi maggiori (5) ; e infine tra gli illustri provenzali, che passarono il mare in servizio del loro sovrano Roberto il saggio, re di Sicilia e Gerusalemme e 17.0 conte di Provenza, lmberto e Bossolino, pure degli Agout (6). Ma del nostro Rinforzato non vedo fatta menzione. Invece, negli Annali delle due Sicilie di M. Cantra, è distesa-mente parlato di due signori provenzali, padre e figlio, entrambi col nome di Rinforzato e al servizio degli angioini. Ma non sono della famiglia degli Agout, sibbene di quella ancor più nobile dei Castellane (7) , a cui appartiene il celebre trovatore Bonifacio, fiorito verso la metà del XIII secolo, uno de’ fieri e bellicosi baroni di Provenza, che mal volentieri si piegarono sotto il giogo di Carlo I d’Angiò (8). Questo fiero barone e trovatore, che odia a morte i Francesi, chiama vigliacchi i Provenzali, muove a ribellione Marsiglia (9) mettendosi a capo de’ malcontenti, rim- (1) Ib., p. 116. (2) Die{, 0. c., p. 322. (3) Ib., p. 439. (4) H. d. Pr. cit., p. 265. (5) Ib., p. 189. (6) Ib., p. 208. (7) « La famille de Castellane ne doit rien en grandeur, puissance et antiquité de Noblesse à la maison de Provence, non plus qu’en fertilità de branches et nobles rameaux ; car les comtes de Grignan et d’Alemagne, les sieurs de la Verdiere, de Montmeyan, de Salernes, de Tornon, d’Alluye, de Sainct Iuers sont vrayment de ceste race, que l’on estime sortie d’un Prince cadet sorti de la Maison de Castille (C. Nostradamus, L’hist. et Chron. de Proven., Lyon, 1624, I' part., p. 128). (8) Diei, Leb. u. Werk. d. Troub., p. 462-4. (9) « Charles I comte d’Anjou, après avoir délivré Marguerite comtesse de Fiandre (le comtó de Haynaut etoit aux Avesne), marche contre Boniface de — 504 - proverà ad Asti la pace, a cui era stata costretta con iattura del paese, e a Genova l’umiliazione della perdita di Ventimi-glia(i), conterebbe fra i suoi discendenti, venuti in Italia a servire Carlo II d’Angiò, Rinforzato di Castellane, milite e giustiziere in Abruzzo nel 1292 , indi capitano di guerra in Basilicata e in Calabria, e signore di Tursi (2). Da lui e da Amelina degli Iblin (3), come risulta da un regesto degli anni 1304-5 e 1308-9, sarebbe nato Rinforzato di Castellane, iuniore, il quale sposava Isnarda del Balzo (4) , figliuola di quell’ Ugo, siniscalco del re angioino in Piemonte, morto in battaglia presso Alessandria nel 1319. Ma, sfortunatamente, gli Annali del Camera, terminando col regno di Roberto (1343), non ci dicono se fosse lui, Rinforzato (5), il siniscalco della regina Giovanna, che venne in soccorso de’ Guelfi in Piemonte e vi incontrava la morte, come già lo suocero, nel fatto di Gamenario (1345). È ben vero che la casa dei Castellane è distinta da quella degli Agout ; ma non potrebbe darsi che, i feudi essendo in quel tempo uniti, i signori si chiamassero ora con un nome e ora con 1’ altro ? Ma il nostro canto storico chiama senz’ altro il regio siniscalco Castellane, qui avoit fomenté et appuyé la rebellion des Marseillois, qu’il avoit dompté. Boniface s’enfuit, le prince lui confìsque sa terre, mais il n’a pas la teste tranchée ». (Gaufridi, H. d. Pr., p. 114). (1) Die%, ib. (2) M. Camera, Ann. d. due Sic., II, 405. — Dallo stesso re e signore di Provenza otteneva la concessione del mero e misto imperio in castris suis Salni, Villaro sai, Forsanfris, ac medietatis Tricastellae, in Comitatu Provinciae, et For-calquerij. Ex regest. an. 1292, lit. E. fol. 306 (Ib., n. 3.0; V. anche a p. 28). (3) Ricchi e potenti signori di Cipro, di cui taluni per discordie e intrighi di corte, vennero a stabilirsi a Napoli, sotto Carlo II e Roberto. Di questi fu Guido iuniore, il cui figlio Ugo, conte di Giaffa, Bayruth, Ascalona , ecc., fu gran Giustiziere di Napoli (1329-36). (Camera, Ann....... II, 356). (4) Camera, ib. (5) Il nome di Rinforzato (Reforciat) è d’altronde comune in Provenza: trovo ancora nel Gaufridi un Reforciat, signore di Vergan (0. c., p. 261). — Però non pare che sia il Castellana, asserendo il Camera, in una sua lettera, che « dal 1331 al ’6o esisteva in Provenga, adibito prima da re Roberto e poi da Giovanna I in vari incarichi di governo. - 505 — Reforsa d’Agout, e così dev’essere. Perchè, quando La regina, fatto venire Rinforzato, gli impone d’andare in Lombardia e gli dà il suo vessillo (i) fregiato delle armi degli Angiò, soggiunge: « Cestes armes conforteront vous armes, qui moult riches sont, ung loup d’a{ur ou champ d’or, que vous portez sur vostre corp ». vv. 39-42. Ora 1’ arnie degli Agout la trovo così descritta : « Un loup ra-vissant d’a^ur en champ d’or » (2), oppure : « D’or au loup pas-sant d’a^ur, lampassé et villené de gueules (3). Mentre le armi dei Castellane sono « de gueules, à un chàteau d’or sommè de trois tours du méme, celle du milieu plus élevée que les autres » (4). Dal che si arguisce che 1’ autore del nostro canto è esatto osservatore e versatissimo ancora in materia di araldica. 3. Ottone di Brunsmch, v. 510. I duchi di Brunswich-Grubenhagen nella Bassa Sassonia vantavano per antenato il celebre Vitichindo, sottomesso poi da Carlo Magno. Di Alberto il Grande nacque quel duca Enrico (1278-32), sopranominato il Meraviglioso, che dalla moglie Agnese, figlia di Alberto lo Snaturato, Langravio di Turingia, lasciava tre figliuoli. Enrico, il primogenito , detto il Giovane e anche il Greco, per i suoi frequenti viaggi nell’ Oriente, era il padre del nostro duca Ottone (5). (1) « Senescalli vexillum principis ac domini in proelia efferebant: Seneschaus iert, m’enseigne porterà (Roman d’Auberi In Ducange, Lex.). (2) Nouv. traité histor. et archéol. de la vraie et parfaite Science des armoi-ries, par M. le Marquis de Magny, Paris, I, 308. (3) Comte Givodan, Livre d’or de la noblesse européenne, Paris, p. 139. (4) Magny, o. c. p. 324. (5) Art. de vérif. les dat., III, 428. — Cfr. S. Giorgio, Cron., p. 208, ed. tor. — « Ebbe Ottone di B. due altri fratelli: Baldassarre, che sposò Iacobella Gae-tani di Fondi, e Melchiorre, che fu vescovo prima di Osnabruck e poi di Schwerin » (Da lett. di M. Camera). — 5 o6 — Quando venisse in Monferrato e come vi diventasse parente del marchese Giovanni I (r), non mi è ancora palese. Il fatto è che doveva essere giovanissimo, essendo morto in Foggia del 1393 (2). e alla battaglia di Gamenario (1345) faceva di certo le sue prime armi, come sei anni prima, il marchese Giovanni a quella di Parabiago. E infatti non trovasi nominato in alcuna carta innanzi ^ 1345 j ma bensì in parecchie dopo, dalle quali si scorge che convisse sempre col marchese Giovanni (3) , nel cui testamento é detto governatore e amministratore e tutore de’ figliuoli di lui (4) e infine esecutore testamentario (5). E saviamente e valorosamente adempie 1’ ufficio affidatogli ; chè fa pratiche di pace coi Visconti e stringe alleanza col conte di Savoia e difende Asti, sconfiggendo Galeazzo Visconti, secondo taluni, mentre, secondo altri, il Visconti lo tiene a bada, rimettendosi alla decisione del papa e del conte di Savoia, onde una tregua di due anni e mezzo e forse un accomodamento. Alla morte poi del primo suo pupillo, il marchese Secondotto (1378), lo fanno andare a Napoli, donde, intesa la perdita di Asti e fattane lagnanze con l’imperatore, torna a nuova guerra col Visconti e raduna un parlamento in Moncalvo per la difesa dello Stato. E dopo aver nominato un consiglio per provvedere al governo e all’ amministrazioae, lo fan partire un’altra volta per Napoli (per taluni nel 1381), col secondo de suoi pupilli, il marchese Giovanni II, che cade in battaglia, mentre egli è fatto prigione da Carlo Durazzo (6). Ma su queste andate e ritorni del brunsvicese c’ è molto a dubitare, anzi la (1) Consanguineus et frater carissimus nel testam, di Gio. II (S. Giorgio, Cron., p. 215), cousin , secondo il canto storico; affinis, per 1’ Aiario. Forse nella Geneal. de’ Paieoi. vi è qualche lacuna. (2) M. Camera, Ann., cit., II, Tav. IV, Geneal. de’ re Ang. di Nap. In una sua lettera però dice nel 1398. (3) B. S. Giorgio, Cren., s. Gio. II. — Abitava in Asti col primogenito del marchese: « in palatio habitationis illustrium dominorum Secundi ottonis mar-chionis Montisferrati et Ottonis ducis Brunsvicensis »; p. 209). (4) S. Giorg., Cr. p. 210). (5) Ib., p. 225. (6) Cfr. su Ottone di Brunsw; P. Aiario, 0. c., 297 e 348, sq.; B. S. Giorgio, con gli altri cronachisti — Deconti, Mem. stor. d. Cas. e d. Monf.‘° v. Ili, ecc. — 507 - prima data si prova falsa addirittura dall’ essere già egli diventato quarto marito della regina Giovanna II di Napoli nel 1376 (1). Fu te di nome più che di fatto (2) fino al 1383, nel quale anno motiva, come già si disse, senza figliolanza in Foggia e ivi veniva sepolto. 4. Gli alleati del marchese Giovanni I (Ghibellini). a) Malaspina, v. 512. I Malaspina, marchesi di Lunigiana, appartengono a una nobilissima famiglia principesca, il cui splendore risale al secolo XI e forse più oltre (3). Obiyjo 0 Opinione I, dopo aver dato il passaggio per le sue terre di Lunigiana a Federico Barbarossa, era poi divenuto il consigliero e la guida principale della lega lombarda. De’ suoi figliuoli, Alberto fu eccellente trovatore e genero di Guglielmo il Vecchio, ma'rchese di Monferrato (sec. XII) (4)- Corrado, quello incontrato da Dante nel Purgatorio e stipite de marchesi di Villafranca, militò sotto le bandiere di Federico II e trovossi in Vittoria, quando fu sorpresa e incendiata dai Parmigiani (5). Dante fu ospite di questa famiglia, eh’ei celebrò co’ noti versi : « La fama, che la vostra casa onora, Grida i signori e grida la campagna, SI che ne sa chi non ne fu ancora. (1) Giacomo d’Aragona, 3.° marito di Giovanna I, moriva nel 1375 (M. Camera, Ann....., II, Tav. IV Geneal.) — È dunque a correggersi anche il Costando , che dice essere venuto Ottone ed entrato in Napoli sotto al pallio nel dì dell’Annunciata del 1366 (Ist. d. reg, d. Nap., Milano, Fontana, 1832, 93; cfr. aned., p. 95). (2) Costando, ib. p. 92. (3) Le case ubertenghe dei marchesi Malaspina, di Massa, di Gavi e Parodi di stirpe Longobarda » (C. Desimoni, Il m. Bonifacio di Monferrato , in Giorn. Ligust., an. V, p. 241). (4) Cfr. Desimoni, 1. c., p. 256-7. (5) Arrivabcne, Il sec. d. Dante, Firenze, Ricordi, 1830, 1,^248. — 508 — Ed io vi giuro , s’io di sopra vada , Che vostra gente ornata non si sfregia Del pregio della corsa e della spada » (i). I Malaspina si divisero poi in parecchi rami (di Villatranca, dallo Spino secco, dal Ramo fiorito) ed ebbero titolo marchionale non solo nella Lunigiana, ma in Tortona, Voghera, ecc., con possessi nel confine di Cremona e di Massa presso il Lucchese fino a Nazzano presso Pavia. II Tommaso M. del nostro canto storico è pur menzionato il primo tra i marchesi aderenti a Giovanni I Paleologo di Monferrato col soprannome solo di Cremolino: «... et alii Marchiones adhaerentes ipsi de Monferrato favebant sibi . . . , sicuri Marchio Cremolinus de Malaspina, Marchiones de Ponzono..., Carrettini..., Cevae » (2). Altrove è detto Thomas Malaspina de Cremolino (3). b) Incisa, vv. 513-15. Famiglia illustre , discendente dai marchesi di Savona e di stirpe aleramica (4). La marca d’Incisa, confinante da una parte con 1’ Alessandrino , comprendeva molti castelli situati per lo più sulle due sponde del Belbo. I marchesi consanguinei (5) del Monferrato ambirono più vòlte questa marca, specie Bonifacio, indi re di Tessalonica, e lo stesso Giovanni I Paleologo ne rinnovava poi le pretese (6). — Gli Incisa si vedono appresso divisi in due rami principali : I. d’incisa e I. della Rocchetta. Dalla linea secondogenita dei primi uscirono parecchi marchesi valenti nelle armi, fra cui non si dubita di collocare quel Raimondo di Cardon a, così celebre (1) Purg., Vili, 124. (2) Chron....., c. IX, p. 90. (3) Ib., p. 260. (4) Sugli I. cfr. il Molimri, St. d’incisa...., Asti, 1810 (piena di carte supposte e falsificate) ; P.Angius, Sulle fam. nobb. d. ant. St. Sard.;eper le carte, Moriondo, Mon. Aqu. e il Codex Asten., ed. dal Sella, oltre, ai M. H. P. (5) « I rami consanguinei ed aleraraici di (Monf.to), Saluzzo e Bussa, d’incisa , d’ Albenga e di Savona, tutti di stirpe salica » (C. Desimoni, in Giorn. Lig. an. V. p. 241 ; e Sulle Marche d. A. Ital...... p. 64, sq.). (6) B. S. Giorgio, ad an. 1355, p. 176; cfr. la revoca in Molinari, I, 262. - 509 — capitano del secolo XIV, a cui sarebbe venuto il nome dal feudo non di Spagna, ma presso a Villadeati nel basso Monferrato (r). E sarebbe suo figliuolo il Zanart o Giovannardo della nostra canzone storica , il quale trovasi nominato col fratello Alberto in uno stromento di permuta del 24 maggio 1342 (2) 0, secondo altri, in un atto d’investitura del 20 dicembre 1349, e in un secondo del 1359 (3)- Ma sono più sicure delle precedenti le indicazioni della Cronaca Ms. del Sangiorgio nell’ Archivio di Stato, nella quale occorre due volte il nome di Joannardo de Incisa o Ancisa, negli atti del marchese Giovanni I, cioè dell’agosto 1350 (4) e del seguente anno 1351 (5). Incisa non fu dei marchesi monferrini che più tardi, nel 1514, più d’ un secolo e mezzo dopo la battaglia di Gamenario. Fu Guglielmo II Paleologo (1494-1518) quegli che, profittando delle contese di successione tra il marchese Alberto da una parte e il marchese Oddone e suo figlio Baddone dall’ altra, tutti d’Incisa, si rese padrone di quel marchesato (6). Il quale fatto venne celebrato , pure in antico francese, da un poeta astigiano contemporaneo con la seguente Louange du marquiz de monferra sur sa conqueste d’Ancise (7). Prince excellent. A louange eternelle tu as conquiz la tressuperbe ancise Oddon Baddon pere et dune prinse (8) cheuz en tes las (9) et toute leur sequelle (1) Fam. nobb...... M. d’Incisa, I, 1496. (2) Molinari, St. d’I., 252. (3), Fam. nobb., I, 1500. (4) fol. 240. (5) fol. 245. (6) 27 luglio 1514. — Oddone sarebbe stato fatto a pezzi; Baddone strangolato (Molinari, St. d’ I. I, 29$, sq. Glnlini, Ann., p. 126, n.° 2). (7) Poés. fr. de /. G. Alione, pubi....... par C. Brunet, Paris, Silvestre, 1836, senza numer. di pag.). — Questa poesia è riportata anco dal Molinari (I, 297). (8) Molinari: Prince. (9) Mol.: lacs. Atti. Soc. Lig. St. Patri». Serie 2.* Voi. XVII. 33 — sio — Oultraige orgueil les a duyz (i) a fin telle non estimans (2) ta presse et vaillance or sont leurs corps au vent qui les balance Lonneur (3) a toy l’exemple a tout rebelle Ancise plus naura tour ne tournelle (4) quoy quelle feust de si fiere apparence (5) quautre (6) seigneur ne exercite de france nont entreprins den taster (7) la querelle O monferrins puis que mars vous appelle laissiez vos (8) boeufz endossez la panciere et les suyvez. quor mais (9) vostre banniere sera dressee a fame universelle. Parafrasi del P. Angius: Prence, cui nome per eterna fama celebrato sarà, perchè ponesti in tue catene dopo irosa pugna il fiero Oddone con Badon suo figlio e i satelliti rei d’ ambo i perversi, i quali con gli oltraggi e con 1’ orgoglio rendeansi degni d’ un destili si tristo : essi non paventar la tua possanza, non temeron tue armi, ed ecco il vento agita morti i corpi lor sospesi. Onor a te, terror a’ ribellanti ! Ecco, prostrate al suol le torri e mura giaccion d’Incisa, che parea si forte e si facea temer, si che nessuno de’ forti prenci tanto ardia giammai da rivolger su lei suo sdegno e acciaro ; e operar non ardian a danno suo con le macchine lor le schiere franche. (1) M. duits. (2) M. estimant. (3) M. L'honneur. (4) M. Tor elle. (5) M. apparance. (6) M. qualre. (7) M. entaster. (8) M. vous. (9) M. soyves pour mars. - SII - Ascolta, o Monferrin, Marte che al campo ti chiama della gloria. Orsù, deponi le cure agrarie e, rivestito il corpo delle forti difese, accorri sotto la gloriosa bandiera che più bella poscia il Nume farà co’ lauri suoi (i). c) Rocchetta, v. 517. L’altro ramo de’ marchesi d’Incisa (1). — Nella divisione della fine dicembre 1203 tra i figliuoli del marchese Alberto I toccavano a Manfredo e a Pagano con ogni onore e giurisdizione i castelli della Rocchetta e di Montaldo : onde la denominazione di questi marchesi, vassalli e di Asti e del Monferrato. Il marchese Oddone (l’Odeon del nostro canto storico) 0 Oddonino della Rocchetta giurava col fratello Baduino, il 18 febbraio 1341, di osservare la pace conclusa poco innanzi fra Giovanni I di Monferrato e Giacomo di Savoia principe d’Acaia (3) ; e in altro stro-mento già citato (2 agosto 1350) compare anch’egli fra i testimoni col nome di Oddonino de Rocheta (4). d) Valperga , v. 530. Dai due figliuoli di Arduino 0 Arditone, conte del Canavese, si fanno derivare i vari rami dei conti di Valperga, cioè da Guido II o III (-j- 1158) i Valperga di Rivara, Valperga, Masino e Borgomasino, e Ardicino i San Martino di Front, Strambino, Lo-ren^é, Agliè, San Germano e i conti di Castellamonte (5). — Per i loro possessi, v. 1’ Avario nella prefazione al De bello Canapi-ciano (6). — Ma, per la storia di questi conti e la loro genealogia è da consultarsi la raccolta importante de’ diplomi, stromenti e (1) Fam. nobb., I, 1482. (2) Fam. nobb., I, 146J, sq. (3) Ib., 1563. (4) B. S. G. Cr. Ms. fol. 240. (5) L. Cibrario, Not. genesi, d. fam. nobb. d. ant. St. d. mon. d. Sav., 2.' ed., Torino. 1866, s. Valperga ; — Cfr. G. B. Adriani, Statut., e monum. stor. d. C. d. Vercelli....., Torino, 1877, p. 388, n. A; 703, n. 1.* (6) Ed. cit., p. 331. — 512 — altre carte dei conti di Valperga e Masino, marchesi di Ca-luso dal secolo IX al XVIII, in io tomi rilegati in 3 , esistente alla Biblioteca del Re in Torino (1). Dalle carte prossime al tempo della battaglia di Gamenario sono tratte le seguenti indicazioni : a) 1339 , 25 marzo. — Ughetto di Mazadio (Huetus de Ma-^adio') de’ conti di Valperga, protesta al marchese Giovanni I di Monferrato che non è tenuto a giurare la fedeltà, che il fu Rai-nerio suo fratello prestò al marchese Teodoro di Monferrato padre di Giovanni, perchè i marchesi non avevano osservati i patti degli stromenti (2). b) 1341, 6 febbraio. — Investitura fatta da Aimone contedi Savoia a Pietro di Mazadio , figliuolo del fu Rainero , conte di Valperga. e) 1342; 3 apr. — Carta, da cui tolgo questi nomi: Martino e Ardizzone di Agliè (de Alladio), figli del fu Giovanni di Riva-rolo (Riparolio) conte di S. Martino ; — Giovanni di Agliè f. di Martino.....; — Giovanni e Pietro figli del fu Uberto di Castel- novo (Castronovo) de’ conti di S. Martino. d) 1344, 26 febbr. — Sentenza arbitramentale per l’eredità di Pietro di Mazadio da dividersi fra Ughetto (Huetum) di Mazadio e Bertolino suoi fratelli e Pietro f. del fu Rainero, fratello ai predetti, tutti de’ conti di Valperga. Dal che si può scorgere chi sia il preux Huet de Valperge del nostro canto storico, cioè il conte di Mazadio, che nel 1339 protestava contro il marchese monferrino, del quale poscia divenne amico (3). I Valperga, ghibellini, furono amici e alleati dei marchesi Monferrato; i San Martino, guelfi, dei principi d’Acaia. (1) Diplomata, Instr.’* atque alia Docutn.“ quibus colligitur et comprobatur series non interrupta Valpergiae Maxinique Comitum Caluxii Marchio- num...... A Guidone Magno Iporediae Marchione a saec. aerae christianae IX ad saec. XVIII, 885-1736. Senza numeraz. e note tipogr. (2) Ib., t. II. (3) Nelle fam. nobb. è chiamato Guido 0 Guidetto e gli son dati altri fratelli; il che non regge (I, 315V - 5i3 - 6) -dzeglio e Pontone, vv. 522-4. I Pontone, erano un altro ramo aleramico, che si diffondevano poi in que3 del Bosco e d’Ussecio (1). La marca di Ponzone esten-devasi in quella parte degli Apennini, che sta nel contado di Acqui tra i gioghi di que’ monti, abbracciando le valli di Spigno e dell’ Erro e altre terre ancora. L’ esattezza del nostro canto storico, che dice i d’Azeglio marchesi di Ponzone, è comprovata da un atto dei 6 giugno 1343 , nel quale si nomina vivo un Ottone de Afelio ex Marchionibus Pontoni con due suoi fratelli premorti Manfredo e Pisano ed i figliuoli esistenti di costoro, cioè Ubertono e Franceschino del primo, Antonio, Guglielmo e Pisano del secondo (2). L’ava di questo Ottone de Afelio era quell’Agnese di Pietro Bicchieri (3), la quale sposava dapprima il conte del Canavese Guglielmo di Masino e rimaritatasi poscia con Ugoccione de Afelio portava in questa famiglia tutti i diritti della casa Bicchieri sul feudo di Azeglio. Il Pierre d’A^el della battaglia di G., non vedesi menzionato nel precitato documento; ma trovasi in un altro del 1354 un quondam Petrus de Afelio, che giova credere sia quello della nostra battaglia (4). /) Settimo, v. 536. Settimo torinese è già uno dei feudi concessi dal Barbarossa, insieme con quelli di Leinico e Caselle, al marchese di Monferrato Guglielmo il Vecchio Aleramico nel 1164 (5); fu espugnato nel (1) C. Desimoni, Sulle marche d. A. It. e s. 1. derivaz. in marches...., Genova, 1869, 'ett' 2•* (2) Arch. civ. Vercel., in Adriani, stat. d. Vere., p. 160, n. 61. (3) Ultimo rampollo della nobilissima casa Bicchieri, fratello dell’illustre card. Guala: fu prode in armi, potente di ricchezze e di feudi e capo de’ ghibellini Vercellesi (Adriani, ib., p. 160, n. 2.a). (4) « Investitura a D."is Bartholomaso, Iacobo, Antonio, Bajo et Perasono Comitibus de Maxino oblata D.no Ubertino de Azelio suo et nomine Ioannis filii qm Petri de Afelio » ; nella Raccolta già citata delle carte de’ Conti di Valperga. ecc. — Cfr. Fam. nobb., 2, 335. (5) S. G., Cr., p. 29 (e. t.). — 5H “ 130Ò da Filippo di Acaia (1). Il nostro canto storico ricorda due signori di questo luogo , Pierre e Berlin, nominati entrambi nel- 1 investitura fatta in Chivasso il 17 dicembre 1346 : il primo col titolo di conte (2). Pietro era già morto nel 1368, come risulta dal testamento del march. Giovanni II, che dispone dei suoi beni : « res et bona, quae fuerant quondam Petri de Septimo...... in villa et posse Clavaxii (3) ». g) Cocconato, v. 524-7. Una delle primarie famiglie del Piemonte era quella dei Radicati, conti di Cocconato, a cui appartennero i fondatori del priorato, di S. Maria di Vezzolano sui colli tra l’Astigiana e le terre possedute da questo casato (4). Assai estesa la contea, che teneva in teudo immediato dall’impero 40 terre all’incirca sulla destra del Po (5). Il nome del casato, forse d’origine longobardica (6), raramente incontrasi ne’ bassi tempi ; e la prima carta conosciuta, che porti il nome di Radicati, è quella del 1178, esistente all’economato di Torino e pubblicata dal bar. Manuel, dove è menzione di un Giovanni qomiti radigate. La denominazione più comune è quella del principale loro feudo : « les bons contes de Coconay ». Si divisero poi ne’ terzieri di Casalborgone, Robella e Brosolo (o Robella , Brosolo e Passerano) (7), ebbero diritto di zecca e (1) S. G., Cr., p. 96. (2) Ib., p. 148: comite Petro de Septimo; Bertino de Septimo. (3) Ib., p. 2. (4) Cfr. D. Promis , Sigil. it. illustr., in Misceli, di st. It., ser. I, v. IX ; — V. Promis, Mon. de’ Radicati e Mazzetti, Torino, 1860; — B. G. Manuel di S. Giovanni, Not. e doc. riguard. 1. Chies. e Preposit. d. Vezzolano, in Mise. It. 1882, ser. 1, v. I; — A. Bosio, St. d. ant., abb. e sant. d. N. S. d. Vezzolano, Torino, 1872; — L. Cibrario, Not. geneal., già citata; — Litta, Fani, cel. itt., Milano, 1844, 7.», ecc. (5) Per il Corderà Casoni, le 4 contee, che chiudevano il Monferrato a’ suoi confini occidentali erano: 1. quella di Porcile dei Biandrate; 2. di Montiglio de’ signori omonimi; 3. di Cocconato de’ Radicati ; 4. di Villamiro glio, Moncestino e Gabiano de’ Miroglio (Annot. al Necrol. Casal., in M. H. P., ser. III). (6) Il Litta, (1. c.) ne fa un ramo spurio degli Aleramici. (7) Secondo Fr. Ag. Della Chiesa, in più di tre rami, cioè : Cocconato, Passerano, Robella, Aramengo, Primeglio, Marmorito, Schierano, Brosolo, ecc. (Ms.), - 515 - fra essi eleggevasi un capitano o rettore, che rappresentava tutto il consortile. Di questa illustre famiglia, amica e alleata de’ marchesi di Monferrato, il nostro canto storico ricorda due prodi, « les preux Janin et Ottobon ». E infatti nello stromento rogato in Asti il 9 ottobre 1339, onde costituivasi il march. Giovanni I governatore e difensore di quella città per anni quattro, troviamo parola dei « nobilibus viris dominis Ghiono, Martino, Oberto, Otlobono, Joannino, comitibus de Cocconato », che erano presenti (1). L’Ot-tobono lo si trova ancora testimone in un atto del 19 giugno 1347 Valenza (2); ma il Giovannino 0 Giovanni occorre in più altri documenti, come in quelli del 1346 (3), 1349 (4), 1350 (5), 1351 (6), e 1355 (7). Del 1357 non vediamo più nè 1’ uno ne 1’ altro, ma un Guideto de C. (8). li) Gabiano v. 533. I signori di Gabiano non trovansi chiamati mai con altro nome che quello del feudo. Cosi figura un Franceschino de Gabiano in carta del 1339 (9) e un Tadeo de G., colla qualità di milite 0 cavaliere in altre del 1350 e '51 (10). In uno stromento poi fatto a Pisa il 21 febbraio 1355 dal march. Giovanni I si vede nominato con lui e Ottone di Brunswick e Giovanni di Cocconato anche un Lancia de Gabiano (11). — Per il Litta, i signori di Gabiano (1) S. G., Cr. (Ms., fol. 189) ed. t., p. 137. (2) Ib , p. 152. (3) Ib., p. 148 (fol. 206). (4) Ib., p. 155 (fol. 247). (5) Ib., p. 170 (fol. 240). (6) Ib., fol. 241 e 245. (7) Ib., fol. 253. (8) Ib., fol. 256. — Nel mazzo 11.°, n.° 29, trovo ricordati, del 1407, un Giovanni di Robella de’ signori di Cocconato e conte di Radicati, un Luchino di Brosolo, un Petrino di Primeglio, un Ottobouo di Passerano, tutti de’ medesimi conti (Arch. gen. d. st.). (9) Ib., p. 133. (10) Ib., fol. 240-1-5. (11) Ib., fol. 253. — Più tardi, nel 1372 son nominati un Simone e un Antonino, « ex dominis Gdbiani » (ib. p. 209). — 5i6 — sono un ramo spurio Aleramico (i). Quelli, eh’ei ricorda di tale famiglia, sono : un Raineri (sec. XIII), indi un Giacomo, contemporaneo del march. Teodoro I Paleologo, intervenuto col fratello Tommaso ai parlamenti di Chivasso nel 1319-20 (forse quelli della battaglia di Gamenario), e un Franceschino nominato nel parlamento di Moncalvo convocato nel 1378 da Ottone di Brunswick (2). i) Cereseto, v. 537. In un protocollo del 14 aprile 1338 uno de’ testimoni del march. Teodoro I Paleologo è il nobil uomo Bertolello de Cerex., verisimilmente, de Cerexeto, in Monferrato (3). E nel testamento del march. Giovanni I (1368) è nominato ben quattro volte un « Henricus ex dominis Cerexeti, filius quondam Gulielmi de Cerexeto scutifer suus », il quale il testatore vuole che sia « francus et immunis a solutione focorum, sive talearum.... (4) »• Ma non trovo ricordato il Francesquel de Chiresy, nè di che famiglia sia. /) Camagna, v. 543. Nel novero de’ vassalli del march.' Guglielmo VII Aleramico (stromento del marzo 1224) leggesi che « dominus Norandus de sancto Na^ario (Sannazaro) et nepotes tenent castrum Cama-neac (5) ». Cosicché il Guy de Camaigne del nostro canto apparteneva verisimilmente alla nobile famiglia de’ Sannazaro, i quali possedevano già in detto tempo e Ozzano e altre terre in Monferrato, stando scritto più sopra: « illi de sancto Anatario, scilicet Bergonius et fratres, tenent Ozanium et in aliis locis (6) ». (1) Gli darebbe ragione il Deconti, Mem. stor. d. Cas., II, 220; mancano però i documenti. (2) Fam. cel. itt., Milano, 1884, VII, tav. III. (3) S. G., Cr., p. 126. (4) Ib., p. 222-35; cfr. Stephano de Cerexeto iurisperito (ib., p. 209). (5) Ib., p. 58. (6) Ib. - 5i7 - /) Pavia v. 288 e passim. Il nostro canto storico non nomina nessuno di Pavia in particolare; ma ne parla sempre collettivamente: ceulx de Pauie (v. 288), les bons Pauei^ (v. 419), ecc. Ma da uno storico contemporaneo sappiamo quanto ci bisogna, e cioè che, « expulso Comite Philip-pono (1) et fratre suo Riccardino mortuo, in ipsa Civitate (Papia) regnavit Domus illorum de Beccaria, non quod Beccarii essent, sed Capitanei et Nobiles.... Pars Comitum, quae Guelpha est, Nobiles Papiae et districtus habet in amicos ; pars vero illorum de Beccaria, tamquam Gibellina, Populares, ut plurimum, intus et extra amicos.... » (2). — E più oltre ne dà particolari ragguagli su questi Beccarla : « Erant de Domo illa his diebus principaliores Domini Florellus, Castellinus, Milanus, Raynaldus, filii quondam Domini Conradini, et multi alii, qui multo nobilissima Castra acquisiverant et construxerant.... (3). — Castellinus et Florellus (4) in regione ultrapadana Arcem Montisbelli, Clastidium, Viqueriam, Bronum, Salas, Casellas, Oppida firmissima.... et infinitas possessiones in partibus illis et alibi habebant.... — Milanus (5) in eadem tenebat regione Arenam.... ultra Padum..... Duas filias maritavit potentio- ribus Castellanis ultrapadanis..... scilicet Simoni de Cogognola de Domo Sanazaria.... et Ludovico Comiti de Langusco.... Ejus frater Raynaldus, qui Castra Plebis Cavae et alibi.... possidebat, amicos plurimos habebat in Conflantia, Redobio, Mortaria, Gar-lasco, Lomello, Vallide.... — Praedictus Dominus Florellus possidebat etiam Castrum Revellini in agro Alexandrino et Castrum Ol^eniani in partibus Montisferrati.... (6) ». — Quanto poi alle relazioni tra il march. Giovanni I e i Beccaria, non potevano essere migliori. « Marchio (Joannes) major amicus erat Domus de Beccaria, quam quisque alius de Lombardia, et e converso. Nec (1) Il conte Filippone di Langosco. (2) P. Alarii, Chron., ed. alt., p. 227; — cfr., S. d. Sismondi, St. d. repp. itt.... Milano, Pagnoni, III, 7, sg (3) ib., p. 229. (4) Ghibellini. (5) Guelfo. (6) Ib., p. 230. - Si8 — antea inter fratres visa fuerat tanta dilectio, sicuti inter ipsos (i) ». Poi il march. Giovanni diventa egli signore di Pavia. « Et ideo praedicti de Beccaria videntes se per necesse guerram habituros cum Domino Galeatio, nisi ei dimisissent Papiam, fecerunt, ut populus dominium illius daret praefato Domino Marchioni.... (2) » E fu nel 1355 che il march. Giovanni otteneva dall’imperatore Carlo IV e il titolo di vicario imperiale e il vicariato di Pavia e Lomello. Venuto indi a Pavia, T anno appresso, con molta gente d’ armi, vi riceveva da’ cittadini il giuramento di fedeltà e, tratti in Monferrato parecchi de’ Beccaria, vi lasciava podestà Antonio di S. Giorgio conte di Biandrate, il quale doveva però dipendere dal celebre fra Jacopo de’ Bussolari (3). — Tre carte del march. Giovanni I nominano il Fiorello Beccaria, una del 135° e ^ue ^ *51 (4). Ma la concordia non sembra durata tanto, perchè lo stesso Azario potè vedere la terra , che Fiorello aveva in Monferrato, assediata dal marchese : « quem vidi obsideri et expugnari per Marchionem.... post exortam discordiam » (5). in) Asti, v. 557 ecc. La parte , che nel nostro canto storico è riservata ad Asti, di ben 65 versi (557-622), farebbe quasi credere l’autore un compaesano dell’Alfieri, dei Ventura e dell’Astesano. Tanta è la conoscenza, eh’ egli mostra di questa città e de’ più illustri suoi figli, tanta la lode, che tributa alle loro prodezze. Gli astigiani menzionati con lode nella battaglia di Gamenario appartengono alle famiglie seguenti, in ordine alfabetico: 1. Asinari. 2. Bunei. (1) ib., p. 229. — E infatti, quattro mesi dopo fa battaglia di Gamenario, il march. Giovanni e Castellino Beccaria tengono in Milano al sacro tonte i due gemelli di Isabella del Fiesco e Luchino Visconti (R. I. S., t. XXIV). (2) ib. (3) S. G., Cron., p. 178 e 180. (4) Ibv Ms., fol. 240-1-5. (5) Chr., p. 230. - 519 - l a) Guttuari. 3* Castelli < b) Isnardi. ( c) Turchi. 4. Garretti. 5. Pelletta. 6. Rotari. 7. Scarampi. Ora si hanno nel Sak Giorgio parecchie carte e specie una rilevantissima, quella dei 9 ottobre 1339, quando il march. Giovanni I venne costituito governatore e difensore della città d’Asti (1), nelle quali leggonsi appunto i nomi non solo delle famìglie astigiane aderenti al marchese, ma anche delle persone che vi appartengono. Gioverà adunque mettere in riscontro gli uni con gli altri, onde meglio risulti 1’ esattezza del nostro scrittore : B. di G. George Asinier (v. 618) Philippin Id. Id. Andrion (605) Buny. Jaquon (609) Id. Anton in (6 ri) Garret Jaquon (571) Id. Bonentin (581) Gutuer Odenin (ib.) Id. Perceuail (577) Id. Huet (583) Ysnard. Roland (587) Id. Wiglon (589) Id. Brant (599) Pellete Cortason (602) Id. Flichin (ib.) Id. Raphael (617) Roers Spinot (613) Id. Doc. 1339 Georgius de Asinariis. » » (Georgius) de Bumis. » » Antoninus de Carretis. » » Benentinus Gutuerius. Hughetus (Vuetus, Huetus), Ysnardus de Castello f. d. Thomaxini (a. 1349). Guiglinus Ysnardus. Brandus Pelleia. (1) Cron. Ms., fol. 186, etc. Wiglermin (617) Id. Mathieu Scaramp (604) Antonin (596) Ture. Bertholomy (594) Id. Francesquin (597) Id. Olivier (595) Id. Palyeron (ib.) Id. — 520 — Guglielmus (-inus) de Rolariis (a. I351)- Matheus de Sccirampis (f- d. Antonii, a. 1349, e *51). » » » » Oliverius Turchus de Castello (1). Gli Asinari formavano una delle più antiche e nobili famiglie d’Asti : i Bunei son designati da G. Ventura come nobili d ospizio (2) : la casa dei Castelli (domus de Castello), nobilissima pure e antichissima era « ternària, quia ex tribus Parentelis nobilium Gibellinorum unita, scilicet Guttuariis, Isnardis et Turchis » (3)-Quella dei Pellctta « tunc personis et pecuniis ceteras Astenses excellebat » (4): i Rotari « nobiles et potentes » (5): 8^ ^'ca' rampi (6) , di origine fiamminga, ascritti nella nobiltà astigiana (1) Di queste famiglie son nominate nel Cod. Asten. Maiali. : gli Asinari (Asinarus , de Asinarijs, Assinarius), i Bunei (Bunius); i Castelli (Castelli hospitium illorum de Castello); i Garretti (Gareti, Garettus, Garretus); i Gutuari [Gauterius , Guaterius , Guttuarius , Gutuerius) ; gli Isnardi (Isnardus, Isardus), i Pelletta (Pelletì)\ i Rotari (de Rotarijs, Roerius)\ gli Scarampi (Sc(h)arampus), i Turchi (Tureus, Turqus). — E ne’ M. H. P.: Axinarius ; Garetus; Isnardus, Pellela ; Rotarius ; Scaratnpus ; Tureus (Ch. II). (2) M. H. P„ Ser. Ili, 745 — « Gli hospites e quelli de hospitio rammentano ancora gli esosi diritti delle conquiste e degli alloggiamenti e contribuzioni barbariche e imperiali » (G. Gorrini, 0. c., p. 403). (3) A^ar., Chr. p. 88. — Cfr. M. H. P., Scr. Ili, 720-743, etc. (4) Ib. — Divisa ne’ due rami di Cossombrà e Cortasone (Contin. d. Chiesa, Ms.). Famosi banchieri. (5) Ib. — Roeri 0 Rotari si divisero in molte linee e possedettero i feudi di La Vezza, Monteu S. Stefano, Castagnito, Monticelli, Cortanze, Ceresole, Piea, Piobesi, Poirino, Pralormo, Sommariva, Calosso, Guarene, Tornavasio e Settimo (L. Cibrario, 0. c.). (6) « Dicti quidem Usurarii publici sub Iohanne rege Fr., qui edicto ejusdem Regis a. 1353 proscripti fuerunt: Contra quas quidem societates Scaramporum, - 521 — circa il 1200. I Turchi erano anco signori di parecchie terre nel Monfenato, quali, ronco, Montemagno e Frinco (i). — Di che casato fosse « Galyot filz de leur Posta » (v. 570), non mi consta: quello, che risulta da questo accenno invece, si è che la città di Asti nel 1345 i reggevasi per un podestà. Del quale però non è menzione nel documento surriferito del 1339, onde rilevasi che la citta era retta da 4 consoli e da 4 rettori del popolo, i quali, avendo convocato, come di consueto, e congregato il consiglio di credenza e de consiglieri del popolo, notificarono a’ credendari l’elezione del marchese Giovanni I a patrono e difensore della città e distretto astese (2). n) Casale, vv, 539-42. Casale di S. Evasio non si diede ai marchesi di Monferrato, se non sei anni dopo la battaglia di Gamenario: dopo essersi sottratta al giogo di Vercelli, si era governata anch’essa in forma di comune. E inflitti fu ai 2 agosto 1351, che Giovanni Cane detto Berretta, sindico della comunità e uomini di Casale santo Evasio, insieme con Giacomino Bianco podestà di esso borgo e Saglono d’Ozano, capitano del popolo, con molti de’ consiglieri nobili e popolari, riconobbero e ricevettero il marchese Giovanni I in vero signore del borgo e territorio della comunità e degli uomini di Casale (« per se et heredes suos, esse et esse debere in perpetuum dominum praefati burgi Casalis et hominum dicti loci et eius territorii cum mero et mixto imperio omnimoda jurisdictione. . ., verum dominum dicti burgi territorii communitatis et hominum ... ») (3). Ma Angoissolorum, ac Faletorum, etc. (Du Cange, Lex.). — Cfr. L. Cibrario, o. c. — Ai 5 agosto 1329 il march. Teodoro I Paleologo, gravato dai debiti, vende a Tommaso Scarampo d’Asti la villa e distretto di Pontestura per 30,000 fiorini d’oro (S. G., Cr., p. 122). (1) S. Grassi, St. d. cit. d'Asti, Asti, 1817, II, 210; — Mg.r Fr. Ag. Della Chiesa, Discorsi sopra alcune famiglie nobb. d. Piemonte, con una giunta di uno scritt. incogn..... (Ms. d. Bibliot. del Semin. d. Casale). (2) Cfr. su ciò, G. Gorrinì, 0. c., 1. Ili, c. II, § 3. (3) S. G., Cr., p. 168. — E Io strumento facevasi alla presenza di Ottone di Brunswich, Fiorello Beccaria, Oberto Turco di Castello cavaliere, conte Gio- — 522 — pure a Casale, in questo tempo, imperversavano le fazioni de’ Guelfi e Ghibellini e, come Vercelli era divisa fra Avogadri e Tizzoni, e Asti fra Solari e Castelli, così Casale fra Cani e Torti da una parte, e Grassi e Bazani dall’altra: ghibellini i primi, guelfi gli altri (i). E Franceschino Cane « Francesquel Can » è appunto uno degli alleati del marchese Giovanni I alla battaglia di Gamenario, con molti altri di sua famiglia e del suo partito (« et autres pluiseurs avec ly — qui de Casal sont autressy » vv. 241-2). E quegli, che diede Casale nelle mani del predetto marchese, si è visto qui sopra che era Giovanni Cane, sindico della comunità. Ma di poi questa famiglia casalese cadde in disgrazia presso il marchese, che la trattò duramente, a quanto ne racconta 1 Azario : « . . . circa finem refriguit amor . . . cuin Canibus de Casale, quorum unum, videlicet Francescbellum Canem, capitis damnavit, aliosque e Casali expulit, eorumque domos expulit » (2). E su ciò ecco quanto scrive Mons. Fr. Agostino della Chiesa : « I Cani in Casale annidati da Pavia, ove erano dell’ ordine de Cavalieri, furono delle prime nobili famiglie, che andarono in quella città . . . , signori della maggior parte di Cella, Frassinelle e Rosignano... Francesco, ossia, Franceschino fu consigliere di Giovanni I marchese di Monferrato, col quale trovossi in condotta di uomini di sua fazione al segnalato fatto d’armi del Gamenaro; ma, perche si mostrò favorevole ai Visconti, con cui Giovanni era in guerra, venutogli in sospetto fu da lui fiuto morire e tutti quelli di sua famiglia dalla patria scacciati. — Giovanni Cane fu eccellente dottore di legge (circa il 1300) ; Rogiero Cane, capitano di Bernabò Visconte, Eugenio, idem; e verso il 1396 Filippino, condottiere di soldati per i duchi di Milano » (3). vanni di Cocconato, Taddeo di Gabiano, Oliviero Turco, Matteo Scarainpo, Oddonino della Rocchetta , Giovannardo d’Incisa, Ughetto Isnardo , ecc„ tutti nominati nella battaglia di G. (1) Teodoro 1 Paieoi. impone pace e concordia ai due partiti nel 1319 (5". G., Cr., p. 102). (2) Chron., p. 326. (3) Disc. Mss. cit. - 523 - 5• Gli alleati di Rinforzato (Guelfi): a) Provenzali (v. 66-74) ~ Haynault (v. 448). Nessuna indicazione di rilievo finora seppi trovare sui Provenzali, che accompagnarono il siniscalco Rinforzato nella sua spedizione in Lombardia; nò su monsignor Bestet, il Nestore dell’esercito provenzale (« le plus saige et scienceux — de tous, qui lors feurent entre eux » vv. 67-8), nè su messer Giovanni di Cymiers (Cimicz, presso Nizza, l’antica Cemenelium) (1), nè su messer Percivalle di Pontez, su^ conte Pietro di Ricort 0 Nicorf. Un altro alleato del siniscalco è Martino di castello Haynault, verisimilmente dell’antico castrum Aynaldum (Analdum), in quel d Asti, nella valle del Borbo (2); tanto più che si nomina nel verso seguente Montafia. — Ma nel regesto dell’angioino Carlo II è menzione di un Fiorenzo di Hainaut (de Annonia), conte d’Olanda e signore di Braine-le-comte, di Hall e di Estroem, figliuolo di Giovanni di Avesnes conte di Hainaut e di Alice d’Olanda. Questo conte Fiorenzo, che vi è detto milite del regno di Sicilia, conestabile e famigliare, sposava nel 1289, Isabella di Villehardouin, cognata del re e vedova di Filippo d’Angiò. La quale portavagli in dote il titolo e le regioni sul principato d’Acaia e di Morea e sul ducato di Atene (3) e, rimasta vedova la seconda volta, nel 1297, quattro anni dopo (1301) dava la sua mano a Filippo di Savoia (4) signore del Piemonte, che diventava cosi principe d’Acaia (5). — Degli (1) A. Longnon, Géogr. d. 1. Gaule au VI siècle, Paris, 1878, p. 460. (2) Codex Astensis, qui de Malabayla communiter nuncupatur, ed. Q. Sella, Romae, 1880, t. II, p. IV, CLXVI. (3) M. Camera, Ann. d. due Sic., II, 20 e note. (4) Ib., p. 55. — Nel 1313 l’unica figlia di Fiorenzo di Hainaut e Isabella Villehardouin , per nome Matilde, già vedova di Guido de la Roche, sposava Luigi di Borgogna (+ 1317) e indi in terze nozze Giovanni, duca di Durazzo, conte di Gravina, ecc., Iratello di re Roberto d’Angiò (ib., p. 219 e 262'. (5) I titoli di lui sono: F. di Savoia, conte di Moriana, di Fiandra, di Hay-naut, signor del Piemonte, principe d’Acaia e della Morea (v. F. Carrone di S. Tommaso, Tav. genealog. d. R. Casa d. Sav.. Torino, Rocca, 1827, p. 167, sq.). — 324 — Acaia dunque, conti di Haynault, poteva anche essere il Mai lino della battaglia di Gamenario. b) Alba, v. 116 , etc. Un po’ prima del fatto di Gamenario e nello stesso anno avveniva la presa di Alba (che teneva pei Ghibellini) , descritta nel nostro canto storico (vv. 115-152). Era la potente famiglia dei Falletti, che aveva istigato a ciò il siniscalco Rinforzato, poiché da tre anni erano stati espulsi dalla loro città. « Nel 1342 al 3 dy aprile — cosi Gioffredo della Chiesa — quely dy Brayda di Alba e quelli del Solevo foriuscity di Ast cum loro seguacy cariarono ly Falletty e loro seguacy ciò he parte gebelina fuory d’Alba e meseno a sacco le case loro » (1). — I Falletti, aneli essi famosi banchieri (2), come gli Asinari, gli Alfieri, gli Scaiampi, i Pelletta e tante altre famiglie d3 Asti e di Chieri, erano, secondo il Della Chiesa , nobili non solo in Alba, donde uscirono, ma anco in Asti e annoverati fra i nobili provenzali dal Nost)adamus. Nel palazzo di questi Falletti astigiani alloggiava Giovanni marchese di Monferrato, quando col favore de Ghibellini entiava contro i Solari in Asti (3). Poi si dividevano in più rami e da loro provennero i marchesi di Barolo e i conti di Villafalletto, Pocapaglia, Rodello e Morra (4). Nella battaglia di Gamenario è ricordato di questa famiglia un Pietro (Pierre Fallet, v. 441). Dei Solari, potentissimi guelfi, si trova menzione presso tutti gli scrittori e anco il fiorentino G. Villani li conosce sotto il nome di quelli dal Soliere (5). Avevano per motto : « tei fiert qui ne tue pas » (6); possedevano sterminate ricchezze e numerose castella ed erano divisi in più rami. Da Asti (dove furono di gran lun&a i più potenti, presero larghissima parte nel governo, nelle asso- (1) M. H. P., Scr. Ili, c. 979. (2) « Fahti dicebantur Usurarii quidam Lombardi et Itali saec. XIV, adversus quos extat edictum Iohannis Francor. Reg. an. 1353 (Du Cange, Lex.). (3) Ms. cit., p. 232. (4) Ib., p. 471- (5) Cron., p. II, 1. XI, c. 403, come nel nostro canto: ceulx du Soulier (v. 444). (6) Della Chiesa, Ms. cit., p. 489. - 525 - ciazioni e negli avvenimenti del paese, armarono una volta da soli 300 cavalieri contro l’intera cittadinanza insorta a tumulto e vendetta, e infine tenevano tavola imbandita per i forestieri e loro partigiani) (1), sciamarono un po’ dappertutto. Ce n’erano in Alba, in Chieri, a Ivrea, a Bra e altrove. In Alba son ricevuti per opera del marchese Odone del Carretto e sembrano di Chieri i due nominati nella battaglia di Gamenario, Orsino e Aldobrandino (vv. 444-5). A queste due famiglie bisogna aggiungerne una terza, quella dei de Brayda , avversari de’ Falletti e quindi Ghibellini. Già si è visto un Corrado de Brayda, di Alba, che «fugiendo veluti vilis captus fuit » (2), nel 1313: e il nostro canto storico ne ricorda un « messer Luquin de Braye priz — ... et retenuz » (vv. 148-9) dal siniscalco e da’ Chieresi. Su questa famiglia così il Della Chiesa: «La fameglia Brajda dal Castello di Bra denominata abitò lungamente in Saluzzo , ove, essendo della città d’Alba sotto la protezione de’ primi marchesi venuti, acquistarono... il Castellar Brandello nella valle di Bronda, Racconigi e Casalgrasso, con parte di Murazzano nelle Langhe ed alcune cose Feudali in Carmagnola , tutti luoghi allora de’ marchesi di Saluzzo. Ma perchè seguirono costoro il partito di Manfredo signore di Cardè , in servizio del quale si trovavano nel medesimo tempo più di dodeci persone di questa casa, furono perciò dal marchese Tomaso II e da Federico suo figlio, dopo che furono stabiliti nello stato, talmente perseguitati, che ebbero per bene col vendere i loro (1) G. Gorrini, o. c., p. 226. — Pei loro fasti, dice il Grassi, ci vorrebbe un volume ; ed ebbero infatti una Cronaca, che già si è menzionata, chronicon ilio-rum du Solario____— G. Ventura lasciò scritto: « Prophetizatum fuit ab antiquis quod supereminenti Guttuariorum pecunia et ignorantium Solariorum stultitia Astensis civitas destrueretur » (M. H. P., Scr. III, c. 763 ; cfr. ib. le loro fazioni contro i Guttuari, gli esigli, che soffrono 0 dànno, Ia tirannide, ecc. (c. 720, sq.). — Secondo il Della Chiesa, 1’ effigie de’ Solari espulsi, come di perturbatori dell’ ordine pubblico, fu collocata col capo pendente sovra le porte della città ed essi dovettero vendere e perdere i loro beni (Ms. cit., p. 215). (2) G. Ventura, in M. H. P., Ser. Ili, c. 72, c. 758. — Nel Cod. Asten. ricorre questa gente : hospitium illorum de Brayda (Bragida, Braya, Braia). Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.“ Voi. XVII. 34 — 5 26 — feudi ritirarsi tuori del marchesato » (i). — Portava il cognome de Brayda anco un ramo dell’antica e potente famiglia de Mon-tiglio in Monferrato (2). La quale, oltre il castello , onde tolse il nome, possedeva Livorno Vercellese, Saluggia, Castelvecchio, parte di Plebata (Piovà) , Cerreto , Calcabò , Castell' Umbero , Ringo (Rinco), ecc., ed era divisa ne’ rami degli Alpantassi, Monaco , Brajda, Palmeria , Malpassuti, Cocconito , Cocastello , Mesclavino ; incerto se tutti d’una famiglia (3). c) Chieri, v. 27, ecc. Al contrario d’Alba, Chieri era proprio Guelfa, travagliata di continuo dalle armi de’ marchesi di Monferrato e di Saluzzo e de fuorusciti, cui non bastavano a rintuzzare nè i deboli aiuti di re Roberto, nè quelli del principe d’Acaia. I fuorusciti di Chieri, pei opera de’ grandi popolani e con 1’ aiuto del popolo, erano tutti nobili, come Antonio Bertone de’ Balbi, Pietrino Balbo e molti de’ Vignoli e de’ Merlenghi, i quali possedevano su quel di Chieri alcune fortezze e casali e quivi come in luogo sicuro si rifuggivano. Onde poi ardevano e rubavano le terre soggette alla repubblica chierese ; e davano loro favore e aiuto i parenti e gli altri di loro setta rimasti in patria ed i signori di Moncucco, che, quantunque vassalli di Chieri, giuravano non molto dopo ubbidienza al marchese di Monferrato Giovanni I (4). Come poi questi, fattosi capo della parte imperiale o ghibellina in Piemonte e cacciati i guelfi Solari d’Asti, venne da que’ di Castello e dagli altri della fazione contraria nominato difensore della repubblica , di cui regolava con assoluto arbitrio il governo, ne adombravano fortemente i Cbieresi. I quali, forte temendo che con l’aiuto del marchese i fuorusciti non venissero a insignorirsi della città, mandavano a Giovanna loro regina ricercandola di pronti soccorsi. (1) Ms. cit., p. 85. (2) Infatti si trova nel testam, del march. Gio. I (1372) nominato un « Io-hannes f. qm. Francisci de Brayda ex dnis. Montilii, che è detto pure marchese di Bremide 0 Breme (S. G., Cr. Ms., fol. 293-4). (3) Della Chiesa, Ms. cit. p. 134. (4) L. Cibrurio, Delle stor. di Chieri, Torino, 1827, I, 1. Ili, c. 33, p. 380-4. — 527 — B veniva infatti in Lombardia il siniscalco Rinforzato d’Agoult, con gente di Provenza, a cui s’accostarono i guelfi Chieresi, i Falletti, feudatari delle Langhe, i Solari (i) e altri, prendevasi Alba e si assediava Gamenario, castello in quel di Chieri. Il mattino poi del 23 aprile 1345 « vigilie de saint George », essendo il marchese di Monferrato accorso in aiuto degli assediati coi fuorusciti di Chieri sopradetti e molt’ altra gente, avveniva la battaglia di Gamenario, con la sconfitta de’ guelfi e la morte del siniscalco. Tale sconfitta abbatteva per sempre la dominazione angioina in Piemonte (2). d) Montafia, vv. 448-50. La famiglia Montafia era una delle antiche e nobili di Asti, come quella che riportava il nome dal feudo omonimo nell’ Astigiana. Un ramo di essa, fermatosi in Asti e in Montafia, vi acquistava castelli e dava origine a cavalieri e altre persone insigni; un altro ramo passava a Carignano (3). Albertino (forse lo stesso Oberton de Montafie della battaglia di Gamenario, in cui il siniscalco tanto si fidava) nel 1375 acquistava, secondo il Cibrario, parte di Montafia dagli Asinari (4) (probabilmente per averne l’intero dominio). E) Le insegne de’ combattenti a Gamenario. « a) Angiò-Sicilia {Regina Giovanna). Écartélé, au 4 d’azur, seme de France, au lambel de guau-les (5). Cfr. B. d. G.: .....l’escu de France ... un rastei rouge, vv. 36-7; .....la fleur de liz — a ung rastei rouge, v. 430-1. (cioè : inquartato , ai 4 quarti d’azzurro , seminato di fiordalisi, con lambfcllo rosso, che il nostro testo chiama rastd, avendone (t) Il Cibrario, li dice d’Ivrea, ib., c. 34. (2) Ib., c. 34 e 35. (3) Della Chiesa, Ms. cit., p. 149. (4) Fam. nobb. cit. (5) Già riportato s. Rinforzato d’Agoult, n. 2. > — 528 — una certa lontana rassomiglianza. — « Le lambel — dice il Mai-gne (i) — est une pièce de longueur, une espèce de tringle ordinairement ornée de trois pendants, un au milieu et un à chaque extrémité..... Le lambel sert à distinguer une branche cadette...) » (2). b) Monferrato-Paleologi. D’argent au chef de gueules. — Ecartelé au 1 de gueules à l’aigle employé et couronné d’or , qui est Paléologue, empire de Orient ; au 2 de Jèrttsaleni, parti d’Aragon; au 3 de Saxe, parti de Bar; au 4 de gueules à la croix d’or cantonnées de 4 B grecs de mème, qui est de Comtantinople (3). O , con qualche variante : Inquartato, nel i.° di rosso coll’aquila bicipite d’argento; nel 2.0, primo partito d’ argento colla croce potenziata d oro accompagnata da 4 crocette dello stesso — e nell’ altro 4 pali rossi in campo d’oro; nel 3.0, primo partito fasciato d’argento e di azzuiro — e nell’ altro due pesci addossati d’ argento, accompagnati da 4 fiordalisi d’oro, 3 in capo e 1 in punta; nel 4.0 finalmente una croce d’ oro accompagnata da 4 B antichi dello stesso in campo d’ oro (4). E nella Cronaca Ms. del Sangiorgio nell’ Archivio di Stato leg-gesi la seguente indicazione : « Le armi del Regno Majoricense in testimonio della debita successione del Regno Contati et Signoria quali spectano ala sublime Casa de Monteferrato (5) sono apposite e incorporate nel scuto de Monteferrato Insieme cum le armi de li Regni et Signorie che per juxta ragione et successione pertengono: quale arme sono uno scuto cum quatro liste doro in campo rosso » (6). (1) Abrégé méthod. d. 1. science d. armoiries----- Paris, 1885, p, 170. (2) Il ramo degli Angiò-Sicilia è infatti secondogenito. (3) Hùbner, Géneal. histor., Paris, 1736, II, 142. (4) Teltoni e Saladini, Teat. arald., t. II. (5) Pel 2.° matrimonio del march. Giovanni I, v. Tav. Geneal. (6) Fol. 276, vers. — 529 - Anche le monete, specie quelle del tempo, possono qui darci lume. E una moneta, ad es., d’argento di Giovanni I porta nel campo del diritto lo scudo Aleramico di Monferrato (continuato sempre a essere l’arme di questo Stato), che era d’argento col capo di rosso, sormontato da elmo avente per cimiero due corna di cervo, frammezzo alle quali alzasi un braccio con manica purpurea foderata di vaio ed impugnante una spada, con attorno iohs . march . montisf ■ • • — In altra moneta evvi nel diritto un cavaliere armato di tutto punto e tenente lo scudo di Monferrato con attorno iohes . marchio ... — In una terza 1’ aquila ad ali spiegate ... (i). Il nostro canto storico si contenta di dire della bandiera di Monferrato : « bianche et verraeille elle est bauzaine » (v. 411). c) Agoult : Un loup ravissant d’azur au champ d’or; — d’or, au loup pas-sant d’azur , lampassé et villenè de gueules (2). (Cioè: un lupo rampante d’azzurro in campo d’oro). Il canto storico ha: « un loup d’azur ou champ d’or » (v. 41); e « La campagne estoit doree d’un loup d’azur estoit gardee « (vv. 435-6). d) Asti: Croce bianca in campo rosso. Nella B. d. G.: « vermeille atout la bianche croix » (561). (1) D. Promis, Mon. de’ Pai., p. 15-6. — Le monete de’ Paleologi raccolte dal Promis appartengono ai marchesi Teodoro I, Giovanni I, Secondotto, Giovanni II, Teodoro II, Gian Giacomo, Giovanni III, Guglielmo I, Bonifacio I, Guglielmo II, Bonifacio II, Gian Giorgio. (2) De Magny e Givodan, 1. c. — 530 — d') Isnardi d’Asti: L’aquila. — B. d. G. (v. 585): « il ne tient pas 1’aigle en son ny ». F) Il grido di guerra. Il grido di guerra (cri de guerre, cri d’armes) usavasi ne’ tornei e nelle battaglie per riconoscersi fra di loro 0 per animare i combattenti (1). Ordinariamente i principi, i cavalieri, i baroni ser-vivansi del nome proprio o della casa onde uscivano (2); talvolta invece adoperavasi una parola d’invocazione (Diex aye), o di risoluzione (Diex lo volt), 0 _d’ esortazione (Passavant li meillor), 0 di sfida (Chevalier pleuventl), 0 di incoraggiamento (Au vaillant due!) e altrettali (3). — Il grido di battaglia a Gamenario è in tedesco, per deferenza forse al valoroso duca Ottone di Brunswich : Rome rheiter, due volte acclamato, come a dire : « coraggio , cavaliere italiano, coraggio » (vv. 507, 509 e 563). (1) Cfr. Da Cange, Dissert, ou reflex, sur l’hist. de Joinville, IH, 238, sq., in Collect. comp. d. mém. relat. à 1’ hist. d. Fr. (2) « el Campanhes crit, Monferrat e Leo, el coms Flamens Fiandre...... (Raimbaut de Vaqueiras, Era pot hom.). (3) Maigne, Abrég. etc., p. 217. <3 -) < di O VO Q O o **N NOTE. Cfr. Alberi Genealog. dei Discendenti d’ Aleramo, in Arch. Gener. di Stato, Ducato del Monferrato, Dipi., Mazzo i.°; — Genealogia delli Principi di Casa Sassonia, Paleologa e Gonzaga Marchesi e successivamente Duchi di Monferrato descritta dal Segretario Giacomo Giacinto Saletta, ibid.; — Pingonio, Inclyt. Saxon. Sabaudiaeque priuc. arb. gentil, 1581; — S. Guichenon , Hist. Généal., de la R. Maison de Sav., Lyon, Barbier, 1660, li, tab. LXIX; — Art. de vé-rifier les dates, Paieoi.; — C. Du Fresile dora. Du Cange, Hist. byzant., Vene-tiis, 1729, XLI, MM. Monf. ex gente Paieoi.; — Hiilmer, Gén. hist., Paris, 1736, II, 142; — Litta, Fatn. cel. it., Milano, 1844, VII, tav, III; — Zuccagni-Orlandini, Corogr. d’It., 1837, II, tav. e testo; — Tettoni e Salatini, Teat. arald., II; — P. Angius, Fam. nobb., etc., II; — Raviola, Monogr. d. Trino, 1879, tav.; — Carrone di s. Tommaso, Tav. geneal. ; — Cron. e stor. d. Monf. (Sangiorgio, G. del Carretto, G. della Chiesa, lrico, Deconti, Sancio, ecc. 1) Secondogenito di Andronico il Vecchio, imperatore di Costantinopoli, e di Violante di Monferrato, ultima degli Aleramici. — Il Du Cange gli dà, dopo Argentina, una seconda moglie, sull’autorità del Duchesne: « N. filia Guidonis Castilionensis comitis Blesensis et Margaretae Valesiae ».— Su Opizzino Spinola de’ Luccoli, cfr. Desimoni, Atti d. soc. lig. d. stor. pat., I, 113; e A. Oliveri, Mon. e med. d. Spinola...., Genova, 1860, test, e doc.; — Per le monete de’ Paieoi., cfr. V. Promis, Mon. d. Piem., Mem. 3.», Mon. de’ Paieoi., MM. d. Monf., Torino, 1836; Arch. gen. di St., Zecche it., ecc. — Teodoro I fu anche scrittore: * nel 1326 compose un elegante libro in Greco de doctrina militare.... e translato poi il di Greco in Latino...; compose anchora una homelia sopra le richeze e pouerta di questo secolo.... degna et elegante ». (S. G., Cron. Ms.). 2) Oltre questo figliuolo legittimo di Teodoro, il Sangiorgio (Cr., p. 230) fa menzione di un altro, pur chiamato Giovanni, a cui il nipote Secondotto concesse in feudo il luogo di Occimiano. 3) Se la prima moglie di Giovanni I era « già d’ avanzata età », della 2.a trovasi scritto : Uxor dicti Ioannis fuit regina Maiorke que erat maxima mulier ut videretur ex genere gigantum et comedebat victualia decem personarum, erat virilis et magnanima » (Arch. di St. Duc. d. Monf. Mazzo 1.°, n.° 2). — 1 figliuoli sono di secondo letto. • - 533 - 4) Ainione il Pacifico, figlio di Amedeo V il grande, sposava Violante Paleo-Ioga il i maggio 1330 e per questo matrimonio acquistava e trasmetteva a* suoi discendenti il diritto alla eredità del Monferrato in mancanza della linea maschile (Carrone, o. c., p. 25 e tav. V; cfr. le carte 9 e 10 del mazzo 3.° Due. d. Mf. in Arch. gen. d. St.). — Violante moriva il 4 die. 1343 d’anni 44 (Pingon., grad. 21, n.° 185. 5) Detto anche Secondo Ottone, nel 1361 promesso in matrimonio con Maria f. di Galeazzo Visconti, d’anni 4 e morta poi l’anno seguente; indi nel 1377 con Violante f. di Galeazzo e Bianca di Savoia, già vedova di Leonello, duca di Chiarenza f. del re d’Inghilterra. Le nozze con questa si fecero in Pavia lo stesso anno di novembre. 6) Signore di Genova (Canale, St. d. rep. d. Genova, Firenze, 1864, ^V, ep. 4_a, p. I, 1. II, c. 5.0, e 1. Ili, c. 1.°) e Vicario imperiale. — Sul celebre condottiero contemporaneo Facino Cane cfr. Serra, St. d. ant. Lig., Torino, 1834, III, 1- VI, p. 82, sq.; —Ricotti, St. d. comp. d. vent., Torino 1845, II, p. Ili, c. 2, p. 218 e nota XV -)-j — C. Tenivelli, Biogr. Piem., Torino 1874. 7) Il matrimonio segui in Chivasso nel 1394: i figliuoli di primo letto; Giovanna muore il 15 gen. 1402. 8) Il Sangiorgio e il Guichenon concordano in chiamarla Margarita e non Costanza, come vogliono altri. Portò in dote tutto ciò che apparteneva al conte di Savoia nei monti e nella pianura di Matthie (Mathi) e ne’ luoghi di Collegno e Pianezza. Sopravisse al marito, da cui fu costituita per testamento tutrice del figliuolo impubere Guglielmo (Carrone, p. 18). Indi si ritirò in Alba, ove nel 1446 fondava il monastero di S.ta Maddalena e moriva: ascritta fra le beate (Pingon., grad. 24, n.° 241 ; Fr. Ag. della Chiesa, Dell’ istor. d. Sav., p. I, p. 159). 9) Cfr. Guichenon. « Nupsit Petro Corniti Urgelitano » (Du Cange). 10) Fido alleato dapprima di Filippo Maria Visconti, aderisce poi alla lega de’ Fiorentini e Veneziani, del re d’Aragona e duca di Savoia contro di lui; ha gli stati invasi da Fr. Sforza e si rifugia a Venezia. 11) Giovanna è figlia postuma del conte Rosso. Nel conto dell’ospizio di Savoia trovasi notato nel 1392 il battesimo di tnaiamoiselle latine de Savoie (Carrone, p. 34). — Promessa al 24 mar. 1407, si sposa con G. G. nell’ apr. 1410 (Du Cange ; Sang.), f 1460. 12) Il Guichenon e il Sangiorgio dànno a Sofia per primo marito e fidanzato Fil. Maria Visconti, poi l’Imperatore Giovanni, dal quale divorzia e viene a morire in Monferrato; f a Torino, 1437, sep. in S. Maurizio di Conzano Monferrato (Irico, R. P., p. 198). 13) Carlo Gonzaga, fratello del march, di Mantova, capitano del popolo in Milano, mentre lo Sforza tenta ridurre in sue mani la repubblica, dà il guasto ai dominii del march. Giovanni III, che faceva parte della lega del re Alfonso, del duca di Savoia e di Venezia. Un articolo segreto della pace di Lodi (1454) dava poi facoltà allo Sforza di ricuperare con le armi le terre occupate durante - 534 ~ la guerra dal duca savoiardo e dal nostro marchese (Muraian. 1454; A. Casati, Milano e i Princ. d. Sav., Torino, 1853, p. 20). Ai 2 lug. 1454, G. IV promettevasi in Ciambery con Margarita di Savoia; dote 100,000 scudi (Angius, F. nobb., II, 788): il matrimonio nel seg. 1455 (5. G.). — Dopo la morte di G. Ili (1464), Margarita sposava Pietro di Lus-senburgo conte di S. Paul e moriva a Bruges, sep. nell’ abbazia di Cercamp (1Carrone, p. 38 et. VI; Du Cange). — V. due lettere di G. Ili in Minoglio (Moncalvo , Br. cen. st., Torino, 1877, p. 37, sq.); una però già pubblicata da V. Promis. 14) Fu con Lodovico del Verme, Guid’Antonio da Faenza, i San Severino, ì Piccinino e Bart. Colleoni, uno de’ più chiari luogotenenti di Fr. Sforza, che fin dal ^ìov. 1448 gli promette segretamente e poi gli dà Alessandria per averlo a’ suoi servigi (Somm. d. ale. pubbl. doc. del R. Arch. d, cast. d. Mil., in Arch. gen. d. St. d. Tor.). Innamorato della contessa Bianca, moglie dello Sforza, e sospettato di parteggiare pel duca di Savoia , sostiene la prigione d’ un anno a Pavia, costretto per liberarsene a rinunziare ad Alessandria. Protesta in Torino, serve i Veneziani, vuol ricuperare il perduto, ma è battuto da T. Sforza e dal Sagramoro. Succeduto al fratello, governa lo stato fino al 1483. — Sotto questo marchese Casale fu abbellita e fortificata e divenne sua dimora; fu cominciata la bella chiesa di s. Domenico (1470) e quattr’ anni appresso in maggio la collegiata di s. Evasio eretta da Sisto IV a cattedrale. — Primo vescovo, Bernardino Tebaldeschi degli Orsini (Deconli, Meni. stor... ., IV, quasi per intiero). — Medaglie di G., in Fam. nobb., II, 793 ; monete, in Raviola, Mon. d. Trino, p. 46; Promis, 0. c. 15) Questo primo matrimonio consumato in Alba (S. G.) nel 1465 (Deconti). Ne nacque Giovanna. j6) Sulla seconda moglie Elisabetta Maria, f. di Fr. Sforza e di quella contessa Bianca amata già da Guglielmo, v. la rettifica genealog. di E. Motta, nel Giorn. Arald., an. XII, n. 7-8 (Pisa, 188-j), secondo il quale E. M. si maritò nell’ag. 1469 e morì il i.° sett. 1472, dopo aver dato alla luce pochi mesi innanzi, una bambina, Maria. Nel Sangiorgio, le date sono sbagliate. 17) Figliuola di Giovanni di Brosse, conte di PontUièvre, e di Nicola di Britannia, 6 gen. 1474, -f- 17 febb. 1485, (S. G.), s. 1. — Vedova, fa testamento il 16 febb. 1885, istituendo erede il cognato march. Bonifacio. 18) Prima ai servigi di Ercole d’Este duca di Ferrara: prese parte alla lega contro Venezia tra il papa, il duca di Milano e vari altri principii. Tutore di Maria, sua nipote, provvede alla successione e ne toglie ogni speranza a Lodo-vico marchese di Saluzzo, al quale dichiara guerra, dopo la morte di Scipione, illegittimo di Monferrato. Continuò, come si legge in memoria del 1487, il « templum permagnificum... sub titulo sancti Dominici..,, dicatum.... ex pecunia tum Gulielmi defuncti, tum praesentis marchionis Bonifacii » (Deconti), IV, 403). P. Cerrato d’Alba dice che i suoi popoli lo chiamavano « horrendum bellis et - 535 - pace verendum » (Opp., Vercellis, 1775. Hpithal. in nup. Gul. et Ann. Mf. pr., p. 82). Sotto di lui e del preced. fratello Guglielmo visse e scrisse Benvenuto Sangiorgio de’ celebri conti di Biandrate, uomo, come lo chiama l’Avo-gadro, d’armi e di toga, scrittore e Ministro (M. H. P., Ser. Ili;, il quale compose la sua Cron. del Monferrato (it. e lat.) « in honore de suoa excellentia..... l’IH.mo Principe sig.or Gulielmo octavo (1» de’ Pai.) marchese de Monferrato ». Dell’italiana possiede un codice 1’Archivio generale di Stato torinese; e della latina esiste il cod. autografo, segnato G. Ili, 9 nella Biblioteca Nazionale pure di Torino, in folio piccolo, cartaceo, di fol. 52 numerati nello scorso secolo, più uno in bianco. Inoltre nel predetto Arch. gen. trovasi ancora la 2.a ediz. di questa Gr. lat. (*) « impressa in oppido Tridini dominii Illustrissimi et Invictissimi domini Bonifacii Marchionis Montisferrati Impensis d.ni Ioannis de Ferrarijs alias de Iolitis dicti loci. Anno nativitatis d.n> nostri Jesu Christi M.CCCCXXI. die XII mensis Martii », - in 4° picc. — Due. d. Mf.t0, Mazzo n. x.° 5). — Sul Sangiorgio, cfr. oltre 1 ' Avogadro, il Vernala, il Sauli, ecc. Ultimamente ne pubblicava il testamento V. Promis (Torino, Paravia, 1885), con tav. geneal. — Alla corte di Bonifacio visse parimente Galeotto de’ marchesi del Carretto (cameriere d’ onore nel 1495 della marchesana Maria, nel 1500 proconsole di Casale, nel 1513 gentiluomo di camera, nel 1515 scalco marchionale e nel 1530 consigliere di Stato), che per amore de’ suoi principi volle tramandarne alla posterità le gesta in due Cronache, una in verso (ined.) e 1’ altra in prosa (Arch. gen. d. St. e M. H. P., Scr. III). Nè è tutta qui 1’ opera letteraria di questo scrittore, chè egli componeva pure la prima tragedia italiana, Sofonisba, dedicata alla Marchesa Isabella di Mantova sin dal 1502 , benché pubblicata solo nel 1546 « in Vinegia appresso Gabriel Giolito de Ferrari » (Bibl. d. Re, Tor.); — la commedia del Tempio d’Amore; — l’altra delle No^e de Psyche et Cupidine (Bibl. d. Re); — una terza I sei contenti, Casale, 1502; — e una quarta, Tintoti Greco, scritta nel 1498 e pubblicata dal Minoglio in Torino, Paravia, 1878;— la Historia di Giuseppe in ottava rima, dedicata alla marchesa di Mf.to Anna d’Alen^on; — le Virtù prigioniere-, le Rime della vita cortigiana,ecc. — Alcune rime di lui pubblicate da R. Renier in Giorn. Stor; d. lett. it. — Anzi il marchese stesso Bonifacio sarebbe stato letterato, per testimonianza di G. del Carretto, il quale riferisce che B., essendo Accademico Peregrino in Parigi e versatissimo nelle sacre carte compose alcuni utili e ingegnosi trattati spirituali (Fr. Ag. della Chiesa, Catal. de’ Scritt. Piem. Sav. e Nizz., Carmagnola, 1660, s. 1’ an. 1467). — Monete di B. in Promis, Angius, Raviola, ecc. (') La 1.» ed. è d’Astì, in 8° « impressura inclita ciuitate Asteusi per majistrum Frauciscum de Silua : impensa Gasparis Canine bibliopole Cataknsis. Anno domini MCCCCXIX, die XXVI maii » (Verna--a, Vita del S. G.)\ — cfr. per la tipogr. monferratese l’Irico, il Napioni, il Dt°rigori, e ancora il Vtr-iia^a (Diz. de’ tip. sardi con agg. mss. nella Bibl. d. Re). I I - 536 - ig) Sorella di Bernarda, terza moglie di G. I. Un Ermellino Rotario, procuratore e mandatario di B., conchiude queste nozze il 31 ag. 1483 , che sono poi ratificate il 13 sett. (Angius-, per il S. G., 1482). — Elena morì di parto. 20) Figliuola di Giorgio Scandenberg despota di Servia, marchese di Sithniza,.., e signore di Albania: la madre sua Angelina, senza casato (S. G., p. 363). — Il Du Cange di questa Maria: « non conveniunt scriptores» Sposata il 17 ott. 1485, fu madre di Guglielmo Gio. (n. nel castello di Pontestura, il 10 agosto i486) e di Gio. Giorgio Seb. n. il 20 gen. 1488, S. G.). Per alcuno, la marchesa Maria fu donna di molto senno: ospitò Carlo Vili, sceso in Italia per l’impresa di Napoli nel castello di Trino, ampliato e ornato di belle dipinture, quando Elena di Pontièvre venne a marito : parlava, oltre la greca natia sua lingua, la latina, la francese e l’italiana. e molti illustri principi e signori vennero in Monferrato a farle riverenza e conoscerla (Sancio, Cron. stor. sui MM. d. Mf. Paieoi., Casale, 1835, p. 56; - Deconti, V.). — Di questa marchesa fu cameriere d’onore G. del Carretto. 2?) Protonotario di Monferrato, creato Cardinal diacono sotto il titolo di S. Teodoro da Paolo II nel 1464 (altri 1466), -j- in Asti feritosi nel levar di mano allo scalco un coltello, mar. 1484, sep. in Moncalvo (Soletta). 22) O Isabella: sposata nel 1436 diede a Lodovico di Saluzzo cinque maschi e sei femmine (Angius, I, 204 e 210). 23) Il Soletta sull’ autorità del S. G., dice il marito di Amedea re di Armenia e di Cipro. Amedea si sarebbe sposata nel 1467: visse poco tempo (Ces. Campana, grad. 27). 24) Naturale di Gio. Ili ; ab. commendatario di Lucedio , uomo di singolare dottrina e prudenza, da tutti amato, accettissimo al march. Bonifacio. — Lodovico march, di Saluzzo, che contava sulla successione del Monf. per il suo matrimonio con Isabella, sorella di Bonifacio, temendo che Scipione non disturbasse i suoi disegni, dopo la morte del march. Monferrino, lo fece togliere di mezzo proditoriamente il 26 marzo 1483; del che fu assai sdegnato Bonifacio (Angius, II, 796 e 1, 113). 25) Guichenon (II, tav. 69) pone il matrimonio nel 1454: il Du Cange, omessa la data, è d’accordo; il S. G., dà il 1453 (Cr. p. 345). 26) Sposata il 6 die. 1479 al march, di Saluzzo Lodovico II, con patto di futura successione al dominio e marchesato di Mf.M, se Bonifacio mancasse senza figliuoli maschi legittimi e naturali (S. G., p. 358. Il matrimonio celebrato in Alba nel 1481 (Angius, I, 213). — Lodovico, uno de’ più celebri marchesi di Saluzzo, fu molto ambizioso, specie del succedere in Monf. (si è già visto Scipione di Mf.'° ucciso per questo da lui); ma fu anche amantissimo delle scienze, delle leggi, della storia sacra e profana, della politica e della tattica. Scrisse e pubblicò nel 1499 il libro Del buon governo dello Stato, e poi anche Della defensione delle rócche assediate, dell’ espugnatone delle medesime e dello guadamelo delle riviere-, ma questa second’opera andò perduta. Alcuni lo vogliono - 537 - pure autore De V art de la chevalerie selon Vegue, e traduttore della Taclica, sive de instruendis aciebus attribuita a Leone IV imper. d’Oriente. — Da Giovanna ebbe solo una figlia , sposata a Claudio di Miolans conte di Montemaggiore (.Angius, I, 216). 17) Di 2.0 letto: sposata a Carlo I il Guerriero, f. di Amedeo IX il Beato, 31 mar. 1485 (5. G., p. 361; Pingon, grad. 27, n.° 294). — Morto il marito (in Pinerolo, 14 mar. 1490), gli fu disputata la reggenza dai conti di Ginevra e di Bressa e dall’arcivescovo di Audi prozii del Duca Carlo II fanciullo; mentre i Piemontesi e i Savoiardi contendevano fra di loro della città, sede della corte. Bianca ottenne dopo gravi contrasti la reggenza (1490), che tenne con forza e risolutezza per 7 anni pieni di torbidi e difficoltà. Diede il passo pe’ suoi Stati a Carlo VIII di Francia e l’accolse molto onorevolmente in Torino all’andata e al ritorno. Trattò per l’alleanza fra Carlo Vili e Lodovico Sforza duca di Milano, non dimenticando gli interessi di suo figlio : si conservò amiche Francia e Italia. Fece di Torino la residenza della Corte, abitò prima il palazzo di piazza Castello, poi il palazzo vecchio presso la cattedrale. Mortole il figlio, si ritirò a Carignano, dove morì il 31 mar. 1519. Gli storici contemporanei la dissero principessa molto virtuosa. Il celebre Baiardo 1’ ebbe in grande stima e tenne un torneo in onore di lei in Carignano nel 1499 (Canone, p. 45), quando accompagnò re Luigi XII alla conquista del Milanese. Anzi il cavaliere sans peur et sans reproche si educò alle armi e alla cortesia, alla nobile scuola del savoino Carlo I il Guerriero, perchè condotto di 14 anni dallo zio Lorenzo Des Allemans, vescovo di Grenoble, alla corte del Duca, questi lo volle per suo paggio (A. Bosio, Not. s. sepolc. d. Bianca d. Mf. duch. de Sav..., Torino, 1870). 28) Naturale, dopo il i.° matrimonio con Gio. Bartolomeo del Carretto dei marchesi di Savona, consigliere di G. Ili, si rimaritò il 2 giugno 1472 a Rai-naldo, figliuolo naturale di Niccolò, duca d’Este, con la dote dei castelli e luoghi di Bestagno, Monastero, Cassinasco c s. Giorgio: un figlio pur chiamato Niccolò d’Este (S. G., p. 356). 29) Sotto la tutela della madre, Maria di Servia, indi di Costantino Cominato, zio materno, fino al 1.503, quando Luigi XII, dopo la vittoria di Novara sopra Lodovico Sforza, diede l’amministrazione al giovane marchese (Angius, II, p. 800). — Questi, fin dal 25 genn. 1501 erasi fidanzato con Anna, f. di Renato duca di Alenqon, e Margarita di Lorena, e la sposa era passata in Monf. Ma le nozze vennero differite fino al lunedi 31 agosto 1508 e si fecero ili s. Salvatore di Blois, diocesi di Chartres (Dal Giorn. d. reg. Maria Luisa di Sav., madre di Francesco I, in Saletta). — Come si leggeva in un’ iscrizione del presbiterio di s. Domenico, Guglielmo « es Paleologis huius nominis marchio secundus sacrarium istud perfecit, picturis quoque et ornamentis decorum jam caeperat anno salutis MDVI » (Decoriti, IV, 403). Ne ornò la facciata di bas-sirilievi in pietra arenaria e sopra 1’ architrave della maggior porta fece scolpire in marmo bianco e a mezzo rilievo (e vedonsi ancora) 1’ imagine propria - 53$ - e quella della consorte e de’ figliuoli, che genuflessi pregano la Vergine seduta e tenente fra le braccia il Redentore (Sancio, p. 59). — Fece la conquista d’incisa (1514) e fu cantato, come si vide, dall Alione. Morto G. II nel 1518, Anna di Alen?on restò reggente e tutrice del figlio Bonifacio attese con cura all’ educazione di lui e a crescerlo degno del principato e de’ suoi popoli. Per sovvenire allo stato, vendette i suoi gioielli e quelli del figlio, perchè il conte di Loudron, a nome di Carlo di Borbone, venuto ostilmente co’ suoi lanzichenecchi in Monferrato, lo andava saccheggiando e taglieggiando (Decanti, V). — Perduto 1’ unico figlio per una caduta da cavallo presso Casale, il 6 giugno 1530 (Marco Guano, Histor., fol. 153; — Conipen. d. fat. nel. causa, d. Monf., ecc., in Saletta), non rimanevano alla madre se non le tre femmine e alla stirpe Paleoioga altro erede legittimo che Gio. Giorgio, il quale aveva abbracciato lo stato ecclesiastico. — Ad Anna d’Alengon G. del Carretto dedicava la sua Historia di Giuseppe in ottava rima. 31) Gio. Giorgio, per desiderio dello zio card. Teod. prese lo stato ecclesiastico, e fu creato protonotario apostolico da Giulio II, abate commendatario di Lucedio, indi coadiutore del i.° vescovo casalese, il Tebaldesco (10 gen. 1510), e, alla morte di questo (22 febb. 1517), successore nel vescovato, a cui lo consacrò Clemente VII. Vi rinuncia poi il 13 gen. 1525 (Ughelli, It. sacr., Epp. Cas.). Morto il nipote Bonifacio e chiamato a succedergli, chiese ed ottenne in matrimonio Giulia di Aragona, f. di Federico, re di Napoli, e Isabella. Era allora sui 45 anni (Saletta, Angius, Sancio). 32) Il matrimonio erasi fatto per procura il 29 mar. 1533. Giulia, venuta in Monferrato, trovava cagionevole di salute lo sposo, che moriva improvvisamente il 30 del seguente aprile,.non senza sospetto di veleno (Angius, ecc.). 33) Aveva 7 anni, quando gli mori il padre; mancò quindi d’anni 19. La madre Anna d’Alenqon avevagli ottenuta dall’Imper. Carlo V il diploma d’investitura e la conferma de’ privilegi concessi a’ suoi antecessori (Sancio). 34) Promessa a Federico II Gonzaga, f. di Francesco, march, di Mantova, e di Isabella d’Este, il 6 apr. 1517: muore prima delle nozze (Saletta). 35) Sposa, dopo la morte della sorella, Federico Gonzaga, il 19 nov. 1531 (Saletta). — Vuoisi da taluni che l’ambizione del Gonzaga affrettasse col veleno la morte di G. Giorgio, ultimo de’ Paleologi, e anticipasse, spenta la linea mascolina, il possedimento del marchesato, di cui aveva chiesta già e ottenuta l’anno innanzi l’investitura dall’imperatore (Angius). — Margarita « ducissa Mantuae et Montisferrati * terminò nel 1566 la chiesa di s. Domenico (Deconti, IV, p. 403). Ma non fu lei, che fece dedicare la stessa chiesa nel 1568, come si rileverebbe dalla suddetta iscrizione, perchè M. moriva il 3 nov. 1566 0 erra la data. — Di M. Pa-leologa abbiamo un’orazione funebre del casalese Stefano Guano, segretario di essa duchessa e poi dei duchi Guglielmo e Lodovico, uno degli uomini più ragguardevoli del suo tempo (1530-93). Poiché e’ fu adoperato dai principi monferratesi in importanti maneggi, e scrisse parecchie opere, fra cui i dialoghi della Civile - 539 - Conversazione, dedicati a Vespesiano Gonzaga duca di Sabbionetta (Brescia, 1574) e instauiò in Casale l’accademia degli Illustrati, fondata verso, il i$6r. La quale, sebbene di breve durata, giovò, quanto consentivano i tempi, ad alimentare 1 amore e lo studio delle buone dottrine nel Monferrato, dove allora fiorivano G. I. Sollazzo, Fr. Pugiella, Annibale Magnocavalli, O. Navazzotti, G. Bor-gogni, G. F. Apostolo e altri. Quest’ accademia era stata preceduta da un’altra, degli Argonauti, promossa un 30 anni prima dal beneventano Niccolò Franco, che, passato a Casale nel 1540 e avutovi inviti e cortesie, vi fermava la sua dimora per circa 8 anni e, mentre la guerra tra Francesi e Spagnuoli desolava il Piemonte, reggeva 1’ accademia col nome di Cloanto e stampava sue prose e suoi versi maledici e osceni (E. Canna, Della vita e d. scr. d. St. Guazzo, Firenze, Bencini, 1872). 36) Naturale di G. Giorgio: signore di S. Giorgio e Caluso, prigione nel castello di Goito, dominio mantovano, 1’ an. 1571 (Saletta). Torino, Giugno, 1886. CORREZIONI ED AGGIUNTE Pag. 409, liti, ter^ult. Monferrato, et il Pontixcllo: Leggi Monferrato, et gionto tra Gabiano et il Pontixello » 415, « 29 senza suonar » 0 suonar » 421, Ai raffronti coi primi versi della B. d. G. aggiungere sul principio: Andre, Cour d1 amour: — Al temps quel rossinhols fai nausa, — que de nueit ni de jour no pausa — desotz la fuellia del cantar, . . . • — avene que .... (A. Thomas, Fr. da Barberino et la litt. prov. en It. au m. Paris, Thorin, 1883, p. 65). » 425, v. 19. Aggiungere il raffronto: La Vision de Saint Paul : Sers Dieu, a mei entent (v. 127 — in Ozanàm, Dante et la philos. cathol. au treiz. sièc., Paris, 1840, p. 348). » 427, 1». 93. Dopo il raffronto dell’Aubade, aggiungere : Cfr. Vis. de Saint Paul, w. 218 e 172. » 427, v. 94. Dopo Jean Bodel, aggiungere: Vision de Saint Paul : Prient Dieu cutnunalmenl (v. 294). a 439, Un. 3. Aggiungere; Cfr. beals amis (Vis. de Saint Paul, v. 318). « 446, » 17. » Cfr. Vis. de Saint Paul, vv. 4, 71, 235, 271. » 452, » 15. » Cfr. Vis. de Saint Paul, vv. 248, 260, 309. » 453, » 26. » Cfr. Vis. de Saint Paul, vv. 221-2. » 457, v. 688. Da cancellarsi, e il raffronto da mettersi sotto il v. 529 a p. 448. » 457, Un, tilt. Aggiungere : Cfr. Vis. de Saint Paul, v. 263. » 458, » penult. Nella nota al v. 174 si dicono inesatte le due forme participiali seviblent, deffendent (invece di semblant, defendant). Però in un libro, posteriore almeno di un secolo alla nostra canzone storica (Les quinte joyes de ma-riage, Paris, Garnier) trovo ancora : « regard trenchent (p. 30) ; vivre en languissent (p. 85 e 132); maintenent (p. 120 e 174); en se merencolient (p. 190); semblent (p. 194). » 459. Tra la nota al v. 2$$ e la seguente aggiungere: v# 261 — La lezione del Ms. quayGE fait ? (v. varianti) è suffragata da parecchi esempi delle « Quinte joyes, etc. », succitate: GB feray une choust (p. 81); et que en puiy-GE mis (p. 92); mais aussi bien ai-GB perdu (p. 94); et encor ne puy-GE avoir (p. 96); non ferai-GE (p. 154). N. B. — V esperto lettore correggerà facilmente da sè gli errori i più semplici, scambi di lettere, ecc. X INDICE La battaglia di Gamenario (mcccxlv). Parte I: A) Testo..........Pag. 385 TT . ( a) compendiosa d. Cron. di B. S. G. . » 407 B) Versione 1 „ . ( b) letterale......» 410 C) Raffronti.........» 421 D) Noterelle critiche .......» 458 E) Forme.........» 462 F) Glossario.........» 469 Parte II: A) Testo.........» 481 B) Dominazione Angioina in Piemonte fino alla battaglia di Gamenario (1345)......» 487 C) La battaglia di Gamenario nella Cronaca . . » 494 D) I combattenti: 1. Giovanni I Paleologo marchese di Monferrato (Ghibellini).......» 499 2. Rinforzato d’Agout......» 502 . 3. Ottone di Brunswich......>505 4. Gli alleati del marchese Giovanni I : a) Malaspina.......» 507 b) Incisa........» 508 c) Rocchetta.......» 511 d) Valperga.......» 511 e) Azeglio e Ponzone.....» $13 /) Settimo.......» 513 g) Cocconato.......» 5T4 h) Gabiano.......» 515 2) Cereseto.......» SJ6 j) Camagna.......» 516 ì) Pavia........» 5J7 m) Asti........» 5l8 n) Casale........» 521 Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2." Voi. XVII. 35 - 542 -S- Gli alleati di Rinforzato (Guelfi) : ii) Provenzali — Haynaut . Pag. 523 1>) Alba........“524 c) Chieri..........» 526 d) Montafia.......» 527 6. Le insegne de’ combattenti a Gamenario . » 527 7. Il grido di guerra......» 530 I Paleologi di Monferrato (Tav. geneal.) . » 531 Note.........» 532 Correzioni ed Aggiunte.....» 540 L’É GL IS E DE BETHLÉEM ET * VARAZZE EN LIGURIE PAR LE COMTE RIANT UNE DÉPENDANCE 1TALIENNE DE L’ÉGLISE DE BETHLÉEM VARAZZE EN LIGURIE (1139-1424). e toutes les églises fondées en Orient par les Latins, l’église de Bethléem est celle dont l’histoire offre le plus d’intérét: car cette histoire se poursuit sans interruption depuis la première croisade jusqu a nos jours — les évé-ques bethléémitains n’ayant cessé (sauf pendant les quarante premiéres années de ce siécle) de jouir, soit en Orient, soit en Occident, d’une juridiction effective - 54^ — et autonome (i); et c’est naturellement aussi l’église dont l’histoire est le mieux connue, surtout des érudits qui se consacrent aux études palestiniennes. Aussi ce ne fut point sans surprise qu’au commence-ment de l’année derniére, ils trouvérent dans l’un des recueils périodiques, les plus justement autorisés, de l’Italie, un travail, dont l’auteur, tout en mettant en lumière certains faits et certains noms peu connus, accompagnait ces faits et ces noms d’assertions ìnconci-liables avec tout ce que l’on croyait savoir de 1 histoire ecclésiastique de l’Orient au Moyen-Age. Ce sont ces faits et ces noms que je me propose d’étudier ici : ce sont ces assertions que je voudrais ra-mener à leur juste valeur. I. Suivant les historiens de Varazze, cette ville fut, au XIIc et au XIII» siècles, la residence des évèques et du chapitre de Bethléem. Dès 1874, M. Bartolomeo Fazio, auteur dune bonne monographie de la ville de Varazze (2) (patrie du cé-lébre auteur de la Legende dorce, le bienheureux Jacques de Voragine, archevèque de Génes), avait publié dans une petite feuille locale hebdomadaire (3), sous le titie (1) Sans en excepter ni le patriarcat latin de Jérusalem, qui, rétabli de nos jours, n’a été. pendant plus de quatre siècles, qu’un siège honoraire, ni 1 archevéché de Nazareth, devenu, depuis le treizième siècle, un simple titre, attaché successi-vement à plusieurs sièges obscurs de la Pouille, et, depuis 1828, à celui de Trani. (2) Varale e il suo distretto (Genova, Tip. della Gioventù, 1867, 12 )■ (3) La Epoca di Varazze, 1874, I, n0’ 12, 13, 15, 17, 19, 26, 27, 29, 31, 33-Je dois la communication de cctte publication très-rare à la courtoisie de M. Fazio, courtoisie d’autant plus delicate qu'il n’ignoiait point l’usage que je de-vais en faire. - 547 — de: I vescovi di Bethlemme in Varale, un travail étendu et non sans valeur sur la question qui va nous occuper. Ce travail parait avoir servi de base à l’article que M. Girolamo Rossi a fait paraìtre au mois de janvier 1885, sous le titre de: Varale, residenza dei vescovi di Bethlemme 11)6-1414, dans l’Archivio storico italiano (1); en effet, si l’on élague de cet article quelques digres-sions étrangéres au sujet, il ne reste, avec un certain nombre d’erreurs en plus, qu’un abrégé des faits ex-posés par M. Fazio: il est donc permis de résumer, en mème temps, les assertions de l’un et de l’autre auteurs. Suivant MM. Fazio et Rossi, à la suite d’une dona-tion, curieuse, mais assez obscure, faite le 27 janvier 1139 ou 1129 (2), par Ardizio, évèque de Savone, à Anseime ou Ancelin, évèque de Bethléem, de l’église de S. Ambroise de Varazze, Anseime aurait quitté la Terre Sainte et serait venu se fixer à Varazze, où il aurait établi un petit diocèse autonome, gouverné en-suite, sans interruption, par ses successeurs jusqu’à la fin du XIII' siècle. Pendant les trois premiers quarts du XIVe siècle, les évèques de Bethléem n’auraient plus fait de Varazze qu’une résidence intermittente, confiant l’administration de cette église à des vicaires, choisis en gènéral parmi des évèques in partibus de l’ordre de S. (1) IV0 sèrie, XV, pp. 55-61; M. Rossi ne cite nulle part le travail de M. Fazio. (2) Je la publie plus loin à VAppendice (IV, u. 1), en en discutant la date exacte: 011 la trouvera dans l’Epoca, n.° 15 (où vj kal. febr. est traduit à tort par 26 janvier), dans 1 'Arch. stor. ital, XV, p. 56 n„ et dans Verzellino (v. plus loin p. 549, n. 1), I ,pp. 509-510. - 54$ - Dominique. Les évèques de Savone, qui avaient vécu en bonne intelligence avec leurs voisins, tant que ceux-ci résidaient à Varazze, auraient eu, au contraire, à se plaindre vivement du gouvernement des vicaires. De là naissance, vers 1380, de contestations aussi vives que prolongées, entre les évèques de Savone et ceux de Bethléem , qui seraient revenus à Varazze pour défendre leurs droits; mais ces droits, soumis en 1424 à l’arbitrage de Pileo de Marinis, archevèque de Gènes, ne sembleraient pas avoir été reconnus; et, à la suite de la sentence (1) rendue par ce prélat, les évèques de Bethléem auraient défìnitivement abandonné leur résidence de Varazze. II. Source à laquelle les historiens de Varazze ont puisé leurs assertions. Il était assez difficile, au premier abord, de contróler ces assertions, M. Fazio n’indiquant presque jamais les sources où il avait puisé, et M. Rossi renvoyant à des copies d’ouvrages inédits de Verzellino et de Paganetti, differentes de celles qui sont à la disposition du public dans les bibliothéques de Gènes (2). Heureusement la publication, faite tout récemment par M. le chanoine Andrea Astengo, archiprètre de Sa- (1) Cette sentence est perdue. (2) Verzellino (f 20 aoùt 1638) est l’autetir de l’ouvrage cité à la note sui-vante, et dont une copie est aux Archives d’État, et une autre à la Civica de Gènes (B. V. 5, 12) — Paganetti i'-J- 1784), Storia eccles. della Liguria, dont les deux premiers volumes parurent à Géne's en 1764 et 1766; l’oeuvre en-tière se trouve manuscrite dans ce dernier dépót, sous le n.“ D. IV, 5, 15. - 549 ~ vone, du premier volume de l’ceuvre de Verzellino (i), volume où sont donnés en appendice tous les documents auxquels faisaient allusion les historiens de Varazze, est venue montrer, sans doute possible, quelle était la source unique d’où provenaient, directement ou indirectement, les assertions de ces derniers. Cette source est un registre, appartenant à la prébende archipresbytérale du dòme de Savone, mais déposé aux archives du chapitre de cette ville: c’est un recueil qui comprend, sous le titre de: Instrumenta antiqua, testamenta authentica, etc., un grand nombre de documents de diverses époques et de mains différentes (XlVe et XVC siècles), en partie originaux, en partie copiés (2), et entre autres : La donation d’Ardizio à l’église de Bethléem ; une bulle de Clément IV (11 mai 1266), confirmant à l’é-glise de Bethléem ses possessions d’Orient et d’Occi-dent (3), bulle de la plus haute importance et sur laquelle je reviendrai plus loin; le procés-verbal d’une enquéte faite en 1383 sur un baptème illicite, auquel avait pris part le recteur de S. Ambroise de Varazze (4); une I (1) Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della città di Savona, di Giov.-Vinc. Verzellino, curate e documentate dal can. arcip. Andrea Astengo, t. I (Savona, Bertolotto e Isotta, 1885, 678 pp gr. in-8°, 1 fac-simile). Cette publication est considérable, mais esigerà, pour ètre utile, des tables très-complètes. (2) Je dois ces renseignements, ainsi que la communication de pièces nom-breuses, à Pobligeance de M. l’abbè G.-B. Fazio, de Savone. (3) Publiée d’abord par M. B. Fazio dans l'Epoca de Varazze, 1884, n. 17-19 puis dans Verzellino, I, pp. 582-586 et ici (App., IV, n. ix): avant la mise au jour de ce volume, M. Astengo avait bien voulu m’envoyer un tirage à part de la pièce; il m’a autorisé ensuite à faire reproduire le feuillet que je joins à ce travail, et enfili m’a envoyé la description que je donne du manuscrit, plus loin, App., IV, n. 1. (4) V. App., IV, n. xxv ; cette pièce est encore inèdite. I 1 ì | I I I I - 550 - longue consultation canonique en faveur de Savone, présentée en 1423 ou 1424, dans le cours du procés soutenu par Bethléem par devant Pileo de Marinis, archevèque de Gènes (1); enfin quelques autres actes relatifs à la mème église (2). Je m’empresse de dire que l’authenticité d’aucun de ces documents ne peut soulever le moindre doute, et qu’ils contiennent réellement les noms, les faits et les dates que leur ont empruntés les historiens de Varazze; mais j’ajouterai qu’il est absolument impossible d’en tirer les conclusions qu’ils en déduisent, et que, par contre, il est très-facile, d’expliquer, dans l’intérét seul de la vérité historique, ces faits, ces noms et ces dates, tout au trement qu’ils ne Pont tenté. III. Histoire générale de Péglise de Bethléem depuis l’année 1099 jusqu’à nos jours. J’ai dit tout-à-l’heure que l'histoire des évéques de Bethléem était trés-connue: sans parler des travaux de Du Cange (3), de Le Quien (4) et des auteurs du Gallici christiana (5), nous possédons, depuis plusieurs années, une monographie de l’évéché de Bethléem, qui peut étre considérée, malgré quelques erreurs de détail et quelques (1) Verzellino, I, pp. 586-594; v. App., IV, n. lxi. (2) Ces documents sont publiés dans Verzellino, I, pp. 5 57'5^°> Vl P*us loin, App., IV, n. xxn, xxm, xxvi. (3) Familles d’Outremer, éd. B. Guillaume-Rey (P., 1869, 4"), pp. 7&4'79h (4) Le Quien, Oriens christ. (P., 1740, 3 v. in-f.), Ili, pp. 1275-1286. (5) XII, pp. 686-699, Inst., pp. 238-246, 372-376; cf. Fisquet, Francc ponti/., Mélrop. de Sens, pp. 147-178; Annmire histor., 1849, pp. 134-138. - 55i - lacunes (surtout pour le XIIP et le XIVC siècles), comme 1 un des bons ouvrages de ce genre qui aient paru en France de riotre temps. C’est de cette Histoire de l’évéché de Bethléem (i), publiée, en 1872, par M. Chevalier-Lagénis-siére, que je m’aiderai dans le cours de cette discussion, sans négliger les documents que fournissent, en abondance, les nombreux recueils de piéces relatives à l’Orient Latin et de lettres pontificales, parus depuis cette époque (2). Je commencerai par esquisser, dans leurs traits géné-raux, les annales de l’église de Bethléem, et j’examinerai ensuite successivement, en m’attachant à en préciser les dates, l’histoire particuliére des évéques de ce diocése, qui ont vécu dans la période embrassée par le titre du travail de M. Rossi (1139-1424) (3). (1) Paris, Dumoulin, 1872, viij-348 pp. 8°, 3 pi. (2) Mon ami, le prof. Ròhricht, a bien voulu raettre à ma disposition le résultat des dépouillements qu’il a entrepris, depuis de longues années, pour son Onomaslicon mediavaie Terra Sancta. J’ai pu, gràce à l’obligeance de MM. Auvray, É. Berger, Digard, Grandjean et Langlois, membres de l’École fran<;aise de Rome, et de M. l’abbé Albanès , de Marseille, profiter de leurs travaux encore inédits, sur les registres pontificaux. Les Fiches Garampi-Pistolesi (sur lesquelles on peut consulter G. Palmieri, Vaticani archivi ma-nuductio [Roma;, 1884, 120], pp. xiv-xv), ra’ont fourni également (bien que difficiles à déchiffrer et se référant d’ailleurs, pour la plupart, à des registres vaticans encore inaccessibles au public), un très-grand nonibre d’indications utiles. Quant aux archives de l'église de Bethléem, qui auraient dù constituer la source principale de ce travail, et qui étaient certainement conservées à Clamecy au Moyer.-Age, elles ont échappé à des recherches prolongées pendant -plusieurs années. On suppose qu’une partie de ce dépòt a disparu en 1356, détruite par les compagnies anglaises (Dom Violle, Mèmoires [Auxerre, n.° 139, t. Ili, p. 2627]) et que le reste, dont les auteurs du Gallia christ. ont eu connaissance, a été emporté, en 1792, par le dernier évèque fran^ais de Bethléem, Mgr de Duranti de Lironcourt, dont je n’ai pu retrouver les traces après cette dernière date. (3) 1139, date de la donation d’Ardizio, et 1424, date de l’abandon de Varazze par les évèques de Bethléem; le titre de l’article de M. Rossi porte: 1136-1414; ce doit étre une simple erreur matérielle. - 552 - Lorsque les Normands de Tancréde, le 7 juin 1099 (1), occupérent Bethléem, ils paraissent ne point y avoir trouvé d’évéque grec (2), le sanctuaire de la Nativité dévant ètre alors sous la dépendance directe du patriarche de Jérusalem. La méme année(io aout), Arnolfo, évéque de Martorano, s’étant frauduleusement emparé de la basilique de Bethléem (3), paraìt avoir pris le titre d’évéque de cette ville, titre sous lequel, aprés quelque temps de capti-vité chez les Sarrasins, il aurait siégé au concile de Jérusalem (1103) (4); mais cette usurpation ne fut pas reconnue. Le Service de la basilique fut confié à des chanoines latins de l’ordre de S. Augustin, gouvernés par un simple prieur; et ce fut seulement en ino, que, sur la demande de Baudouin I, roi de Jérusalem, qui lui avait envoyé une ambassade à cet effet, et du patriarche (1) Raim. de Ag., c. 20; Fulch. Carn., 1. I, c. 26; Alb. Aq., 1. % c. 44*45 (Hist. occ. des crois., Ili, pp. 295, 354-355; IV, pp. 461, 462). (2) En effet Bethléem ne figure comme siège épiscopal, ni dans la Descr. parrocchia Jrhn (460) (Itinera Hier, latina, I, pp. 320-328), ni dans la Notitia patriarci. (s. VI) (Ibid., I, pp. 331-343), ni dans les Ordines thronorum grecs (Hierocles, Synec-demus, éd. Parthey, Berolini, 1866, 8°). Ce ne (ut que beaucoup plus tard que l’église grecque érigea Bethléem en archevéché. Si l’on ne tient pas compte d’un certain Elie, év. de Bethléem, qui aurait souscrit, en 1146, un testament assez suspect (Dosithée Notaras, 'lat. nepi èv TepoooX. Ttxxptapx- 1- XI, c. 7 [Bucarest, 1715, 2 v. in-f.°], I, p. 1168), le premier que nous connaissions de ces archevèques, est un autre Elie, mort en 1348 (B. Johannidès, IIpoaxuvKjtapiov xìji 'Ayiag [Jérus., 1877, 4.0], I, p. 3°° "•)• Le second est Michel, envoyé trois Ibis en Russie, comme légat du patriarcat de Constantinople, en 1393> 1397? et I^00 (Acta dipi. patr. C. P., éd. Miklosisch et Muller, II, pp. 171» *78> l8o> I93-i94» 278, 280, 282, 359). En 1482, le titre grec de Bethléem est réuni au patriarcat de Jérusalem (Le Quien, Or. christ., Ili, 602), puis séparé de nouveau. En 1672, un certain Néophyte siégea en cette qualité au synode grec de Jérusalem (Harduin., Cone. Gallia, IX, 268). Voir pour ces archevèques du XVII' et du XVIII' siècles Le Quien, III, 643 et Tobler, Bethleem (S. Gali, 1849, 8."), pp. 108-109. (3) Raym. de Agil., c. 20 (Hist. occ. des crois., III, p. 301). (4) Alb. Aq., 1. IX, c. 16 (Ibid., IV, p. 599). - 553 - Gibelin de Sabran, Pascal II (i) unit au titre nouveau de Bethléem celui d’Ascalon, dont la sèrie épiscopale grecque remontait au IVC siècle, mais qui était encore au pouvoir des Infidèles, et pourvut de cette église de Bethléem-Ascalon Aschétin ou Ascelin (2), chanoine-chantre de Jérusalem, évèque désignè d’Ascalon seul ; le roi s’empressa, par une charte datée de la méme année (3), de doter le nouveau diocèse. Lorsqu’en 1153, Ascalon tomba au pouvoir des chré-tiens, Tarmée victorieuse voulut y installer un évèque de son choix, Absalon, chanoine du S. Sèpulcre; mais Anseime ou Anselin, successeur d’Aschétin, protesta, et le S. Siége confirma la décision de Pascal II (4). Les évèques de Bethléem-Ascalon se succédèrent ré-guliérement en Terre Sainte, jusqua la prise de la première de ces villes par Saladin en septembre 1187. Quelques années s’écoulérent alors avant que le royàume de Jérusalem, à la suite de la IIP croisade, se reformàt autour de la ville d’Acre; et aprés Pin-succès final de la Vc croisade, l’évèque de Bethléem, qui s’était rendu en Occident, paraìt y avoir cherché, parmi les nombreuses possessions dont la piété des fidéles avait enrichi son église, un asile sur, pour le cas où les Latins seraient obligés d’évacuer définitivement la Terre Sainte. (1) Wilh. Tyr., 1. XI, c. 12 (Hist. occ. des crois., I, p. 472); Peìer. por aler en Jrlm, c. 4 (Ititi, frattfais en T. S., I, p. 92). (2) Aschétin figure dans des actes de 1117 (Cart. du S. Sip., p. 12); 1120 (Ibid., p. 84); 1123 et 1125, 2 mai (Urli. {. Gesch. Venei., II, pp. 79, 93), et à la bataille d’Ibelin, 1123 (Fulch. Carn., 1. Ili, c. 18; Anon. Florin. , c. 12 [Hist. occ. des crois., Ili, p. 451, V, p. 372]; Anselmi Cont. ad Sigeb. [M. G., SS., VI, p. 379]; Alberici Chron., ad ann. 1123 (ed. Leibnitz., p. 245). (3) Rapportée in extenso par Wilh. Tyr., 1. c. (4) Wilh. Tyr., 1. XVII, c. 30, p. 813. - 554 ~ Aprés avoir traverse l’Italie, il gagna le comté de Nevers, où, depuis 1168 (i), Bethléem possédait des biens importants autour de Clamecy, et obtint, en 1224(2), de la cohitesse Mahaut de Nevers, la confirmation de la donation iaite quarante-six ans auparavant par le comte Guillaume IV. La situation exceptionnelle de l’un de ces biens sur la frontière méme de deux dio-céses, Autuh et Auxerre, qui s’en étaient disputé, en 1211, la juridiction (3), permit plus tard aux évèques bethléémitains de donnei' une trés large interprétation à la libéralité toute féodale des comtes de Nevers, et de se tailler, aux dépens des évèques d’Àutun et d’Auxerre, un véritable diocése, ne dépendant que du S. Siége, et constituant comme une succursale de celui de Terre Sainte. Mais ce ne fut point dés 1224 que l’église de Bethléem se transporta à Clamecy. En 1229, l’empereur Frédéric II, ayant obtenu des Infidèles la rétrocessìon des Lieux Saints, et le culte ayant été complétement rétabli à Bethléem, les évèques latins de cette ville, qui, vers 1260 (époque de la ré-daction par Jean d’Ibelin, comte de Jaffa [-f- 1266] des (1) Par le testament de Guillaume IV, comte de Nevers, mort en T. S. le 24 oct. 1168 (Obituar. Nivern. [Paris, 13. nat., Lai. 11478], f. 101); et. Wilh. Tyr., 1. XX, c. 23 (Hist. occ. des crois., I, p. 945) et enterré à Bethléem (Cbarte de Hugues, év. d’Auxerre, 1200 [Abb. de Marolles, Inv. des tilres de Nevers Nevers, 1873, 4-°> P- I01])- Ce testament est perdu; mais la donation, dont la partie principale était la Maison-Dieu de Clamecy, fondée par Guillaume II de Nevers en 1147 (Cbarte, d. Chevalier-Lagénissière, pp. 67-69), est confirmée dans une Cbarte de Gux, comte de Nevers, 1170 (Du Chesne, Hist. de Bour-gogne, II, i, p. 42), et dans une pièce de 1224 c'^e à note suivante. (2) Gallia christ., XII, Jnstr., pp. 372-373; Chevalier-Lagénissiére, p. 76. (3) V. Id., Ibid., pp. 73-74; Gallia ebrist., XII, Instr., pp. 63 et 72; Honorii III Epist., 1218, 28 avr. (Pressuti, Reg. di Onorio III, I, p. 315; Bibliotb. patristica, II, pp. 715-722). - 555 - Assises de la Haute-Cour de Jérusalem), étaient encore feudataires actifs du royaume et tenus à un service de 200 sergents (i), se succédérent de nouveau en Terre Sainte, et n’abandonnérent méme définitivement l’Orient que longtemps aprés la chute de S. Jean d’Acre (2). Une fois possessionnés à Clamecy, ces prélats paraissent avoir cherché à augmenter leurs revenus, en convertissant en rentes les biens qui leur avaient été donnés autour de cette ville (3), de fa$on à réduire leur diocése à une église, Pantenor, à un hotel, et à un hospice (4) pour les pélerins de Terre Sainte, restreignant ainsi, pour mieux la défendre, une juridiction qu’ils sentaient menacée par les évéques d’Auxerre (5). Et, en effet, dès 1395 (6), commencèrent, pour durer jusqu a la fin du XVIIP siècle (7), les réclamations de ces derniers, réclamations dont les évéques de Bethléem ne triomphèrent que par leur importance personnelle, souvent aussi grande que leur domaine épiscopal était exigu. C’étaient, en général, des personnages renommés dans la théologie et dans les lettres, auxquels le petit diocése (1) Assises de Jrlm, Haute-Cour, c. 272 (Hist. des crois., Lois, I, p. 427). En 1231, ces sergents tenaient le chàteau de Montpèlerin, près de Tripoli (Gestes des Chi-prois, n. 167, ód. G. Raynaud, p. 87). En 1276, ils causent une émeute à Acre (Eracles, 1. XXXIV, c. 28 [Hist. occ. des crois., II, p. 474J). Ce service dura jusqu’à la prise d’Acre en 1291 (Gestes des Chiprois, n. 521, p. 260; cf. Marin. Sanut., Secreta fidel. Crucis, 1. Ili, p. VII, c. 1 [Bongars., Gesta Dei per Francos, II, p. 174]). (2) Voir plus loin, pp. 583-585. (3) En 1245 (Chev.-Lagén., pp. 80-84), et 1291 (Id., pp. 103-107). (4) Voir Id., pp. 177-178, 255. (5) Sur l’étendue et la nature de cette juridiction, voir Id., pp. 74, 103, 107, 126, 161, 171. (6) Voir Id., p. 127. (7) Jusqu’au 27 aoùt 1770; v. Id., p. 286. - 556 ~ de Clamecy ne servit presque toujours que de marchepied pour monter à des siéges plus importants. Les quatre derniers ducs de Bourgogne n’eurent pas d’autres confes-seurs qu’eux; et quand ils arrivérent à remplir la merne charge à la cour de France, il leur fut facile d’obtenir du roi des lettres-patentes (i), qui rendirent leur situa-tion tout-à-fait légale, en les assimilant aux autres évèques du royaume. Leur existence indépendante, solennellement reconnue en 1524 (2) par Clément VII, fut, il est vrai, l’objet de quelque défaveur en cour de Rome au XV1C siècle (3); mais il s’agissait là surtout de difficultés relatives à leur nomination, et ces difficultés ayant été aplanies, une fois pour toutes, en 1605 (4), la succession de ces prélats se continua sans interruption jusqu’au Concordat de 1801 (5). En 1840, après trente-neuf ans de vacance du titre de Bethléem-Ascalon, Charles-Albert, ignorant sans doute les prétentions de Varazze, sollicita, en sa qualité de roi de Jérusalem, et obtint du pape Grégoire XVI, la résurrection de Févéché de Bethléem , non au profit de la petite cité ligure, mais en faveur de la royale abbaye de S. Maurice d’A-gaune (6), en Valais, liée par un glorieux passé à la maison de Savoie. La petite juridiction nullius (1) De Charles VI (9 févr. 1413), dans Chevalier-Lagénissière, pp. 135'137- (2) Et le 17 juill. 1560 par Pie IV; v. Id., pp. 187, 200. (3) Voir Id., p. 267. (4) Id., pp. 172, 212. (5) 15 juillet 1801, art. 2; la bulle de suppression est du 29 nov. de la mème année; v. Chev.-Lagén., p. 298. (6) Le 3 juill. et le 4 aoùt 1840; v. Id., pp. 302-309. des abbés de S. Maurice, comtes du S. Empire, devint ainsi le sixiéme diocése de la Confédération Helvé-tique (i). IV. Chronologie spéciale des évèques de Bethléem aux XII», XIII' et XIV' siècles. Jusqu’à présent, rien, comme on le voit, dans Phis-toire générale des évéques de Bethléem ne vient justifìer les assertions des historiens de Varazze. Reprenons main-tenant, pour la période spéciale (i 139-1424), dans les limites de laquelle M. Rossi renferme sa thèse, l’histoire particuliére de ces évéques, pour rechercher si elle pourra fournir, dans ses détails, quelque argument en faveur de cette thése. En dehors de quelques lacunes inévitables que pré-sentent toutes les annales de ce genre, celles-ci nous offrent une sèrie chronologique nourrie de faits et de dates certaines ; et cela gràce évidemment à cette impor-tance personnelle qu’eurent, dans des temps plus mo-dernes, les évéques de Bethléem, importance que je viens de signaler: on dut, en effet, étudier leurs origines avec d’autant plus de soin qu’ils occupaient, dans le clergé de France, une place personnelle plus consi-dérable. Le premier des évèques de Bethléem, Aschétin (iiio* (1) Les cinq autres étaient Bàie, Coire, Lausanne, S. Gali et Sion, les vicariats apostoliques de Genève et du Tessili ayant été créés postérieurement. Celui de Bethléem, dans une paroisse duquel j’écris ces lignes, est gouverné par Msr É-tienne II Bagnoud, depuis 52 ans, 88° abbé de S. Maurice, et, depuis 46 ans, 59“ évèque de Bethléem. Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie i.*, Voi. XVII. - 55^ — 1125) doit ètre mis hors de cause, puisqu’il est anté-rieur à la donation d’Ardizio. Le séjour du second, Anselme ou Anselin (i) (1128, mars-1145) en Terre Sainte, est prouvé par un grand nombre de documents; en 1128 (mars) et 1129 nous le trouvons à Acre (2): de 1130 à 1135, à Jérusalem (3), le 4 aoùt de cette derniére année, à Antioche (4), puis en 1136 et 1137 à Jérusalem ou aux environs (5). Nous savons qu’il assista à un synode qui s’ouvrit à Antioche le 30 novembre 1140 (6), et probablement à la dédicace du Templum Domini à Jérusalem le 21 avril 1142 (7)i qu’il fut, à la fin de cette méme année, envoyé en am-bassade par le roi de Jérusalem, Foulques, auprés de l’empereur Manuel Comnéne, fixé alors dans la principauté d’Antioche (8), et qu’enfin il était encore à Jérusalem le 12 aoùt 1145 (9). D’ailleurs la donation d Ardizio (1) Il ne serait pas impossible que ce personnage ne fìt qu’un avec Aschétin, ce dernier, en effet, se présente sous la forme Ascetinus, et le premier sous celle d’AscELiNUS, et ces deux formes ne diffèrent que par une lettre, je rappellerai aussi qu’en 1084-1085, figure à Alby un: « Anzelinus, magister domus « hospitalis Hierosolymitani » (Bibl. de l’èc. des eh., 1864, XV, pp. 558-559)’ Qu' était probablement un religieux augustin comme les premiers évéques de Beth-léem. Il est possible que ces trois personnages doivent se réduire à un seul. (2) Cart. du S. Sèp., pp. 82, 139. (3) Charles de Josaphat, éd. Delaborde, pp. 44, 47! Innoc. II Epist., 1132,. 2 févr. (Recueil des hist. de Fr., XV, p. 374 — Jaffé-Lówenfeld , n. 75 3 1 ) > Cart. du S. Sèp., pp. 149-201. (4) Le 4 aoùt (Cart. du S. Sèp., p. 167). (5) Paoli, Cod. dipi., I, p. 18; Cart. du S. Sép., pp. 53, 148, So- lò) Wilh. Tyr., 1. XV, c. 15-16 (Hist. occ. des cr., I, pp. 682-683). (7) Id., 1. XV, c. 18 (Ibid., p. 687); sur la date exacte de cette consécration, qui fut suivie d’un concile, voir Arch. de l’Or. lat., I, p. 5^4- (8) Wilh. Tyr., 1. XV, c. 21 (Ibid., pp. 691-692). (9) Cart. du S. Sèp., n. 41, p. 78; cf. Charles de Jos., p. 56; Arch. de l'Or> latin, I, pp. 383, 385. - 559 - elle-mème, {aite aux mains d’un fondé de pouvoirs de l’église de Bethléem, montre bien qu’Anselme n’y as-sistait point; et il est superflu d’ajouter que rien, à cette époque, dans l’état de la Terre Sainte, n’eut justifié la fuite de l’un des premiers prélats du royaume. Gerard I, Gerald ou Giraud, successeur d’Anselme, et ami de s. Bernard (i), figure en mai 1148 (2) au parlement d’Acre, en 1151 (3) à Jérusalem, le 25 janvier 115 3 (4) à l’investissement, et le 19 aout (5) de la méme année, à la prise d’Ascalon (6). Le long épiscopat (1155 ou 6-1174) de l’anglo-normand Raoul I, ou Ralph, ou Raulinet, chancelier du royaume sous Baudouin III et Amaurv, s’écoula naturellement en Terre Sainte dans l’exercice de ces fonctions (7): son (1) S. Bernardi Epist. 188, ann. 1153 (Migne, Patrol. lat., CLXXX1I col. 493-494)- (2) Wilh. Tyr., 1. XVII, c. 1 (Hist. occ. des crois., I, p. 759). (3) Cart. du S. Sép., n. 49, p. 91. (4) Wilh. Tyr., 1. XVII, c. 21 (Hist. occ. des cr., I, p. 796). (5) Id., 1. XVII, c. 30, (Ibid., p. 813). Ardi, de l’Or. lat., II, p. 431. V. plus haut p. 553, n. 4. (6) C’cst probablement Gérard I, qui figure anonyme dans une pièce de 1146-1157, comme ayant octroyé des reliques à Gui de Blond, moine de Grandmont (Guidonis de Blavone Epistola [P., B. Nat., Lat. 12764, f. 70]). (7) Les Annales Cameracenses, (M. G., SS., XXI, p. 551), confirmées par une lettre d’Alexandre III (Alexandri III Epist., 1169, 29 juill. [Martène, Ampi, coll., Il, 750]; — Jaffé-Lòwenfeld, n. 11638), le donneili pour compagnon à l’archevèque de Tyr, envoyé comme ambassadeur en France et en Angleterre, en septembre 1169, et William Fitz-Stephen le fait figurer, en février ou mars 1170, au colloque de Pontoise, réuni pour amener la réconciliation de s. Thomas Becket et du roi d’Angleterre (Wilh. Filius-Stephani, Vita s. Thoma, c. 95 [Mater. of thè hist. of Thom. Becht, éd. J. Craigie-Robertson, Lond., 1877, 3 v. 8.°], Ili, p. 98). L’on pourrait donc supposer que Raoul profita de ce voyage pour entrer en possession des biens légués, l’année précédente (1168, oct.), a l’église de Bethléem par le comte Guillaume IV de Nevers, d’autant plus qu’au colloque de Pontoise, Raoul aurait (suivant Fitz-Stephen), accompagné Bernard de S. Saulge, — 5 6° — noni ligure au bas des nombreux priviléges royaux de cette époque qui nous sont parvenus (i): il prit part d’ailleurs à la plupart des campagnes d’Amaury (2) et tut blessé en Hgypte (1167) (3); il mourut au printemps de 1174 (4). Après une vacance de deux ans, Albert, dont on a archevéque de Sens, et l’évéque de Nevers, Guillaume de Champagne, suffragant de ce dernier, tous deux activement mélés aux affaires de s. Thomas Becket (cf. Herbertus de Boseham, Vita s. Thoma, 1. IV, c. 30 [Ibid., p. 462]). Mais ces deux témoignages ne s’accordent, ni avec Guillaume de Tyr (1. XX, c. 12 [Hist. occ. des crois., I, p. 960], ni avec une autre lettre d’Alexandre III, du mèrne jour (Martène, Op. cit., p. 747; — Jaffé-Lònv., 11. 11637), qui substituent à Raoul, Jean, év. de Panéas; la réalité de ce voyage n’est donc pas démontrée. (1) Voici la liste chronologique de ces priviléges, et des autres chartes de Terre Sainte où figure Raoul; 1156, Jérusalem (Cart. du S. Sép., p. 136); 2 nov., Acre (Docuin. Toscani, p. 7) — 1157, 2 juin, Ascalon (Ibid., p. 8); 4 oct., Acre (Paoli, I, p. 36) — 1158, Ascalon (Cart. du S. S., p. 124) — 1159, 13 mars, Acre (Charles de Josaphat, p. 81) — 1160, 28 janv., Sidon (Strehlke, p. 3); 26 et 27 juill., Acre (Cart. du S. S., pp. 107, no) — 1161, print., Nazareth (Wilh. Tyr., 1. XVIII, c. 29 [H. occ. des cr., I, p. 870]); cf. Alexandri III Epist., 1161 20 jan. [Mansi, Cone., XXI, 1036; - Jaffé-Lòw., n. 10645, cf. 10719]); 31 juill-, Nazareth (Strehlke, p. 5) — 1163, Jérusalem (Bibl. de l’èc. des eh., 1873, p. 656) 1164, 25 avril, Jérusalem (Arch. de l’O. lat., II, 11, p. 140) — 1165, 15 mars, Acie (Documenti toscani, p. 11); 7 avril, Jérusalem (Paoli, I, p. 241); 17 ao'Jt> Acre (Delaville le Roulx, Arch. de Malte, p. 102) — 1168, 19 mai, Acre (Donati. Tose., p. 14); 9 aoùt, Jérusalem (Charles de Josaphat, p. 84); n oct., Jérusalem (Paoli, I, p. 49); 21 oct., Ascalon (Camera, St. di Amalfi, I, p. 204); Jérusalem, s. m. (Cart. du S. S., p. 288) — 1169, 30 aoùt, Acre (Paoli, I, p. $0); 16 sept., Acre (Docum. Tose., p. 15); v. aussi Paoli, I, pp. 229-232, Chev.-Lagéniss., pp. 40-41. — 1170, Acre (Bibl. Cluniacensis, pp. 1421-1432) — 1169-1171, Acre (Paoli, I, p. 283); — 1171, 4 févr., Jérusalem (Arch. de l'Or. lat., II, ir, p. 145)1 *3 mars> Tripoli (Cart. du S. S., p. 329) — 1173, 26 mars, Acre (Strehlke, p. 7) -1174, 14 février, Acre (Arch. de l'Or. lat., II, 11, p. 146); 8 avril, Acre (Paoli, I, p. 244). Une autre lettre d’Alexandre III (20 oct., sans date d’année [1170-1180]) (Paris, B. nat., Lat. 12665, f. 81; — Jaffé-Low., n. 13516), doit proba-blement aussi étre rapportée à Raoul. (2) Wilh. Tyr., 1. XX, c. 19, 26 (H. occ. des cr., I, pp. 974. 992)- (3) Id., 1. XIX, c. 25 (Ibid., p. 927). (4) Id., 1. XX, c. 30; 1. XXI, c.6 (Ibid., pp. 999-1012); cf. Chev.-Lagén., pp. 39-40- - )6i - fait à tort un parent de Pierre PHermite (i), lui succèda en 1176 (2), et gouverna l’église de Bethléem jusqu en 1186. 11 assiste à la doublé bataille de Ramla-Mont-Gisard (25 nov. 1177) (3), et part en octobre de l’année suivante (1178) (4) pour le concile de Latran (5-19 mars 1179) (5); mais nous le retrouvons ensuite en lerre Sainte. En 1182, il accompagne à Antioche le patriarche de Jérusalem (6); et sa mort, advenue avant le mois d’octobre 1186 (7), n’était pas encore connue (1) Erreur venue d’une interpolation de la Continuatio Aquicinct. Sigeberti (Pistorius, SS. RR. Geriti., I, iooi), interpolation que l’édition des Monumenta Germania (SS., VI, p. 430) ne reproduit pas; v. Hagenmeyer, Peter d. Eremite, p. 20 ; cette erreur est passée de la collection de Pistorius dans la plupart des historiens. (2) Wilh. Tyr., 1. XX, c. 30 (H. occ. des cr., I, p. 999) « la seconde année » de Baudouin IV ». (3) Wilh. Tyr., 1. XXI, c. 22 (Ibid., p. 1042); Aboulféda, Ibn al-Athìr (Hist. or. des crois., I, pp. 47-48, 619-620); Roger, de Hovedene, éd. Stubbs, II, 132; Bened. Petrob., éd. Stubbs, I, pp, 130-131 ; Wilh. Andrensis (M. G., SS., XXIV, 713); Rogerii de Molinis, mag. Hospit., Epist., (Rohricht, Beilr. i-Gesch. d. Kr., II, p. 128); cf. Herquet, d. le Wochenbl. d. d. Ord. Ballei Brandenb., 25 oct. 1882. (4) Wilh. Tyr., 1. XXI, c. 26 (H. occ. des cr., I, p. 1049). ! 5) D’Achery, Spicii, XII, pp. 638, 643 ; Mansi, Concil., XXIII, pp. 457, 468. (6) Wilh. Tyr., 1. XXII, c. 7 [H. occ. des cr., I, p. 1073). (7) J’ai admis ailleurs, avec quelques réserves (Haymarus Monachus, De exp. Accone [Lugdutii, 1866, 8.°] p. xxxvij), que cet Albert passa, en 1191, du siège de Bethléem au patriarcat de Jérusalem, opinion regue alors par tous les historiens. Les chartes du 21 octobre 1186, émanées du successeur d’Albert, Raoul II, et publiées en 1869 par M. Strehliìe (v. plus bas, p. 562,11. 2), ont rendu inac-ceptable cette opinion, qui a dù (probablement dans le but d’expliquer une fausse médaille, fabriquée pour la généalogie des l’Hermite [AA. SS. Boll., 8 apr., I, p. 784]), naitre, au XVII' siècle, d’une confusion intéressée avec le b.* Albert Avogadro, de Castel-Galterio, patriarche de Jérusalem après Monaco. Le patriarche Héradius, mort à la fin de 1191, ou au commencement de 1192, eut donc pour successeur immédiat un certain Raoul, élu en juillet 1192 (V. H. Monachus, 1. c., n. 2); et notre Albert était encore évèque de Bethléem, lorsqu’il mourut en 1186. — 562 — en Italie, lorsque l’archevéque de Pise lui fit donation, entre les mains d’un fonde de pouvoirs, de l’église de S. Martino della Vettola, le 23 décembre de cette méme année (1). Du successeur d’Albert, Raoul II, ou Randolph, on sait peu de chose: dés le 21 octobre 1186, il souscrit à Acre trois priviléges du roi Gui de Lusignan (2): l’année suivante, il est probablement témoin du désastre de Hittin (5 juill. 1187) (3). Saladin lui enléve ses villes épiscopales, Ascalon le 5 (4) et Bethléem le 15 septem-bre (5); mais il ne quitte pas la Terre Sainte. Il assiste, dés 1190 (6), au siége d’Acre par les croisés; y souscrit, le 7 mai 1191 (7), un traité conclu entre les Vénitiens et Conrad de Montferrat, et, tombé peu de temps aprés entre les mains de Saladin, expire dans les tourments en 1192 (8). Ici vient l’un des deux seuls évéques, dont nous ignorions absolument le noni, et méme l’initiale: mais (1) Ughelli, ltal. sacra, éd. Coleti, III, 414; cette église est voisine de s. Piero à Grado. (2) Strehlke, pp. 19-21. (3) Cont. Aquic. Sigei. (M. G., SS., VI, p. 424). (4) Eracles, 1. XXIII, c. 51 (Hist. occ. des cr., II, p. 79); Wilhelmi ep. Epistola (Ròhricht, Beitr. Gesch. d. Kr., I, p. 191); Aboulféda, Ibn al-Athìr (Hist. or. des cr., I, pp. 57, 697). La ville fut démantelée quatre ans après (Eracles, 1. XXVI, c. 3 [Ibid., II, pp. 177-178] ; Arch. de l’Or. Int., II, p. 433); v. plus loin, p. 629, n. 3. (5) Rog. de Hovedene, éd. Stubbs, II, p. 321 ; Ann. Pegav., Ottonis Frising. contili. Sanblasiana (M. G., SS., XVI, p. 266, XX, p, 318); Bened. Petroburg., éd. Stubbs, lì, pp. 23, 37; Rad. de Coggesh. (qui seul fixe la date de mois), éd. Stevenson, pp. 22, 239; Wilhelmi Epist., 1. c.\ Aimerici, patr. Antiocheni, Epist. 1187 (Ricardi de Bury Epistolarium [Paris, B. nat., N. acq. lat. 1265, p. 94])■ (6) Rad. de Diceto, éd. Stubbs, II, 80; Matth. Paris, Chron. majora, éd. Luard, li, p. 360; Ludwigs d. Fr. Kieu\fahrt, éd. Hagen, p. 259. (7) Tafel et Thomas, Urli. Gesch. Venedigs, I, pp. 213-215. (8) Eracles, texte Noailles (H. occ. des cr., II, pp. 194, 196, var. G.). — 563 — nous savons que cet Anonyme ne quitta point PO-rient; car nous le trouvons en 1196 (1), à Nicosie, au nombre des prélats consécrateurs du premier métropo-litain latin de Chypre, Eustorge de Montaigu, à la fin de la mème année à Tyr (2), et en 1198 (3) à Acre, où il siége au parlement convoqué pour présider à la fondation solennelle de l’Ordre Teutonique. Cet anonyme dut vivre jusqu’à la fin de Pannée 1202, époque où le légat du pape, Soffredo Cajetani, Penvoya en Ar-ménie (novembre), avec Pévèque de Tortose, pour cher-cher à apaiser le différend qui divisait le roi d’Arménie et la principauté d’Antioche (4). Son successeur, Pierre I, est un personnage trés-connu; agent d’innocent III à la IVe croisade, il figure au premier rang dans les récits des chroniqueurs de cette expédi-tion (5). Il était probablement en Italie, lorsqu’il lut élu à la place de Panonyme; il rejoint les croisés à Zara (6) (janv. 1203), prend part au pillage du trésor de la chapelle • (1) Ccelestini III Epist., 1197, 3 janv. (Mas Latrie, Hist. de Chypre, III, p. 606; m. dans Jaffé). (2) Ccelestini III Epist., 5 aout 1196 (Acta Romanorum ponti/, ined., éd. Pflugk-Hartung, II, p. 400). (3) Exord. Ord. Teutonici, Zammelscbes Chron. (DOdik, D. Ordens Mùmfsammì., pp. 38, 55); Petrus de Dusburgo, 1. I, c. 1, Nicolaus v. Jeroschìn, Cron. v. Prunxjnlant, v. 430 (SS. RR. Pruss., I, pp. 27, 308); cf. Haymarus Monachus, éd. Riant, p. xlv. * (4) Soffredi card. Epist. (Gesta Imi. Ili, n. 118 [Migne, Patr. lat., CCXI\, col. cliij). L’évèque, désigné dans cette lettre, ne peut ètre Pierre I, puisque Soffredo dit episcopum et non electum. (5) Balduini I Epist., 1204, 13 avr. (Ree. des hist. de Fr., XVIII, p. 522); Alberici Chron, [M. G., SS., XXIII, p. 884]); Gesta Trevirorum, éd. ^Yyt-tenbach, p. 274; Exuvia C. P., I, p. 195! Roger, de Hovedene, IV, p. 101 ; cf. Riant, Imi. Ili et Phil. de Souabe (Rev. des <]. hist. 187$, XVIII, pp. 14. 27, 56). (6) Alberici Chron., p. 880. impériale de Constantinople (i); le 9 mai 1204, il est l’un des douze électeurs de Baudouin I (2). Il disparaìt enfin à la bataille d’Andrinople le 14 avril 1205 (3). Cornine sa mort n’avait pas été constatée plus exacte-ment que celle de Baudouin I, un certain temps s’écoula avant qu’il fut remplacé ; et l’élection de son succes-seur, qui donna lieu à des intrigues assez coupables pour ètre déférée à un tribunal ecclésiastique (4), ne fut défi-nitive qu’après l’expulsion (1211) de Pierre, chanoine du S. Sépulcre, intrus protégé par le roi Amaury II (5)-L’épiscopat de ce successeur, Rainerio, sous-diacre de Rome, que l’on doit probablement identifier avec un moine cistercien du méme nom, légat d’Innocent III en Espagne et en Portugal (6), fut long et important. Le (1) Nicolaus Hydruntinus, Tract. de communione (Exuvia C. PII» P' 234)> v. plus loin, p. 576, n. i, et p. 574, n. 3. (2) Albericus, p. 884; Balduinus I, Gesta Trcv., 1!. cc.; Continuatio Adniuti-tensis, ad ann. 1205 (M. G., SS., X, p. 590). (3) Villehardouin, n. 361, éd. Wailly (1874), p. 213: Pierre figure comme souscrivant en sept. 1205 un privilège octroyé aux Pisans de Constantinople (Docuin. toscani, éd. Muller, p. 84); mais ce document est suspect, ou tout au moins mal daté; v. Mètn. des Antiq. de France, XXXVI, p. 4°- (4) Innoc. III Epist. (Migne, Patr. lat., CCXVI, 1239) - PoiTH., n. 1067). M. Potthast, s’appuyant sur une liste de rubriques des lettres des 3 et 4 années d Innocent III (1 heiner, Mon. Slav. merid., I, 50), liste qui comprend, à la 3' année, le sommaire de cette lettre, la place en mai-juin (?) 1200: mais le contexte, qui parie d’un certain Guala, cardinal-diacre de S. Marie du Portique (1205-1211), force à la mettre entre ces deux dates et probablement en 1210, 13' année du pontificat, date adoptée par Bcehmer, Corpus jur. can. Il, 255, 2$2> le rubiicateur aura confondu les chiffres iij et xiij. (5) V. Haym. Monachus, De exp. Accolte, ed. Lugdun., p. Ij. (6) En 1198, 16 et 21 avr. (Potth., 11. 81, 92), il est envoyé en Castille, pour dissoudre le mariage incestueux d’Alphonse Vili de Léon avec sa nièce Bé-rengère de Portugal, et muni en méme temps (24 avril) de pleins pouvoirs pour rechercher les hérétiques Vaudois et Cathares’dans le midi de la France (PoTTH. n.° 95). Il devra pousser jusqu’en Portugal, pour y réclamer de Sanche II le cens - 565 - iòle que Pierre avait joué à la quatriéme croisade, Rai-nerio le joua à la cinquiéme. Dés l’année 1217 (10 juin) (1), j] figure au nombre des prélats qui assistent le cardinal-légat Pélage dans le jugement solennel rendu par ce dernier en faveur des Vénitiens d’Acre, plaidant contre les Génois et les Pisans; en 1218, il signe, avec les autres chefs des croisés, la lettre adressée à Honorius III le 15 juin (2), et apportée à Génes par Pietro de Castello (}). Il était parti pour l’Égypte avec le roi Jean de Brienne et avait abordé à Damiette vers le 12 mai (4): à la bataille du 6 octobre (5), c’était lui qui, par ses discours enfìammés, avait ramené les croisés au combat. Pendant les journées des 17 et 23 mai 1219, on l'avait vu marcher à la tète des Latins attaqués par les Infidéles (6). Il paraìt, aprés la prise de Damiette, y avoir rei;u une maison (7), mais avoir quitté peu aprés cette annuel promis au S. Siège par le pére de ce prince (24 avr. - Potth., n. 103 ; Rog. de Hovedene, éd. Stubbs, IV, p. 79; Gams, Kircheng. Spaniens, II, p. 162; Herculano, Hist. de Portugal, II, pp. 80-81); ses passeports sont datés du 13 mai (Potth., n. 169). En 1201, 12 et 26 juin (Tiraboschi, Vet. monum. Humiliatorum [Medio!., 1767, 3 voi. in-40], II, pp. 137-148 - Potth., n. 25490-1), on le trouve chargé, avec Pietro Capuano, card, de S. Marcel et Graziano di Pisa, card, des SS. Còme et Damien, d’exàminer la règie des Humiliates. (1) Pelagii card. Sententia, 1217, 10 juin (Génes, Arch. d. St., Tratt. polii., mazzo 3). (2) Bcehmer, Acta imp. selecta, II, 642; Hon. Ili Epist., 13 aoùt 1218 (M. G., SS., Epist. scec. XIII, I, pp. 55-56 - Potth., n. 5891-5892). Honorius III y répondit le 13 aoùt (Hon. Ili Epist. [foc. des hist. de. Fr., XIX, p. 666] - Potth., n. 5891 ). (3) Ogerius Panis, Ann. Gen. (M. G., SS., XVIII, p. 139). C’est probable-ment à cette Jettre que fait allusion cette indicatimi indéchiffrable des Fiches Garampi: « Hale.°r, III, 419 ». (4) Oliv. Schol., Hist. Damiat., c. 7 (Eccard., Corp. h. M. JEvi, II, p. 1402). (5) Id., c. 11 (Ibid., p. 1406). (6) Richardi de Jericho Narratio (Marténe, Ampi, coll, I, 1129). (7) Cbarte du 27 aoùt 1220 (Savioli, Amai. Bologn., I, pp. 442-443), où il est parlé d’une « domus de Bethleem » à Damiette. — 566 — ville, avec le roi Jean de Brienne, et étre rentré avec lui à Acre, le 17 mai 1220. Là, il ne cessa point de s occuper des croisés ; c’est par lui que le pape fait parvenir à l’armée d’énormes subsides (1): il est au nombre des signataires d’une supplique ardente (2), adressée au roi de France par le clergé de Terre Sainte le iu octobre 1220. L’année suivante, il est chargé par Honorius III de mettre Jacques de Vitry, le célébre historien, en pos-session de ses droits d’évèque d’Acre, usurpés tant par Pierre, archevéque de Césarée (3), que par les trois co-lonies italiennes (4) d’Acre. En 1222, il parait étre passé en Chypre, où, sur l’ordre du pape, il fait rendre à Cesare d’Alagno, évéque de Famagouste, des dìmes usurpées par le métropolitain de Nicosie, Eustorge de Montaigu (5), et raméne à l’obéissance les schismatiques de l’ile, Syriens, Jacobites et Nestoriens (6). Puis il reto urne à Acre, où nous le trouvons le 15 mai 1222 (7). (1) Hon. Ili Epist., 24 jui 11. 1220 (M. G., SS., Ep. scec. XIII, I, p- 89 - Potth., n. 6310). (2) Publiée dans Chevalier-Lagénissiére , pp. 64-65, et dans les Charles de Josaphat, pp. 123-125; l’original est aux Archives de France (J, 443, n* 2)> avec le sceau de Rainerio, reproduit dans le livre de M. Chevalier-Lagénissiére , pi. I. (3) Honorii III Epist., 1221, 23 mars (Reg. Vatie., XI, f. 99°); ‘c‘> et> ^ans la suite de ce travail, je cite toujours les Registres Vaticans de la sèrie pu-blique, d’après la nouvelle numération donnée par le P. Palmieri (Op. cit., v. plus haut, p. 551, n. 2). (4) Id., 1221, 28 mars (Ibid., f. 984). C’est probablement à cette affaire que Flaminio Cornaro a voulu faire allusion, en insérant, sans renvoi, Rainerio, avec la date de 1221, à 1 'Index episcoporum, placé à la fin de ses Ecclesia Veneta monum., dans le texte duquel il m'a été impossible de le retrouver. (5) Id., 1222, 3 janv. (Ibid., f. i8o“). (6) Id., 1222, 20 janv. (Ibid., f. 191 *; Mas Latrie, Hist. de Chypre, II, 45» III, 618; Card. Pitra, Anal. noviss.,l, pp. 579-580 - Potthast, n. 6773, 6774)- (7) Pelagii card. Epist., 1221, 15 mai (Mas Latrie, H. de Chypre, III, p. 617). — 567 - Ce n’est qu’en septembre de la méme année qu’il quitte l’Orient, avec le roi Jean, pour venir assister, en mars 1223, à l’assemblée de Ferentino (1), où les barons de Jérusalem, le pape et l’empereur devaient régler la future croisade de Frédéric II. Au sortir de cette assemblée, il est chargé par le pape d’une mission diplomatique importante auprés des Pisans excommuniés, qu’il amène à conclure une tréve avec Lucques (2). Il se rend ensuite à Venise, pour réclamer au dog-e Pietro Ziani, la fameuse icone Hodigitria, que son prédécesseur, Pierre I, avait obtenue dans le par-tage du butin de Constantinople en 1204, et que les Vénitiens refusaient de restituer à l’église de Bethléem (3). De Venise, d’après un document encore inédit et sur lequel j’aurai à revenir plus loin avec détails (4), Rai-nerio partit pour la France, s’arrètand au passage en Ligurie. Trois mois aprés (mars 1224), au chàteau de Druyes, il concluait, comme nons l’avons dit plus haut, avec la comtesse Mahaut de Nevers, une convention modifiant la donation, faite en 1168 à l’église de Bethléem par le (1) Honorii III Epist., 1223, 27 avr. (M. G., SS., Epist. scec. XIII, I, p. 153 -Potth., n. 6969. 7035; deux lettres); une troisièrae, de la mème date, adressée au due d’Autriche se trouve dans les Mon. Genti., Epist. scec. Ili, I, pp. 156-157 (m. d. Potth.). (2) Honorii III Epist., 1223, 11 mai (Reg. Vatie., XII, f. 56“); Id., 1223, 14 aoùt-io sept. (Ughelli, lialia sacra, III, 428; - Potth., n. 7080); Id., 1223, 30 nov. (Reg. Vatie., XII, f. 123'') (3) Honorii III Epist., 1225, 4 aoùt (Reg. Vatic., ff. 74* et 75", 2 lettres). Cette affaire était complétement inconnue; v. Métti, de la Soc. des Antiq. de Fr., 1885, XLVI, pp. 225-237. (4) V. plus loin, p. 601, n. 1 et App., IV, n. vi. — 5 68 — comte Guillaume IV (i). En 1225 (5 mai et 5 juin) (2), il recoit d’Honorius III deux priviléges importants, et deux ans aprés/ de Grégoire IX (3), la grande bulle de confirmation des possessions bethléémitaines d’Occident, sans que nous sachions précisément si, comme le veu-lent les écrivains modernes (4), il habitait Clamecy, occupé à organiser la succursale franose de son diocése, ou si plutót, à cette époque, ainsi qu’011 pourrait 1 induire d une lettre d’Honorius III, que nous avons citée plus haut (5), il ne résidait pas auprés du S. Siége pour ob-tenir de lui toutes les faveurs successives qui lui furent alors octro}^ées. lei, en effet, les documents font défaut; la correspondance de Grégoire IX étant encore à peu prés entiérement inèdite, et la crise, que venait de traverser le royaume de Jérusalem ayant arrété les transactions et donations, et rendu extrémement rares les chartes d’Outremer. Aussi ignorons-nous où et quand mourut Rainerio (6), et serions-nous méme (1) Gallia chrisl., XII, Instr., pp. 372-73; v. Chevalier-Lagéniss., pp- 7^"77> cf. plus haut, p. 554, n. 1 et p. 559, n. 7. (2) Hon. Ili Epist. (Reg. Vatie., XIII, ff. 57« et 65*). Par le premier de ces actes Honorius III sauvegarde les droits de l’église de Bethléem, nonobstant 1 occupa-tion de la ville par les Musulmans: nous parlerons de l’autre plus loin p. 631, n. 2. Le 17 dèe. 1224 (Hon. Ili Epist. [Reg. Vatie., XIII, f.22*; Raynaldi Ann. ad ann. 1224, n. 27 - Potth., n. 7332; probablement indiquée par une Fiche Garampi avec le faux renvoi: « H ]. IX. /34 »]), le pape adresse aux évéques suffragants du patriarche de Jérusalem une lettre pour les charger d’intervenir entre le catholicos d’Arménie et les archevèques de Tarse et de Mamistra: mais il n’est pas probable que Rainerio fut retourné alors en Terre Sainte. (3) Greg. IX Bulla, 1227, 21 aoùt (Mittar., Ann. CamaUVI, App., p- 499» et plus loin, App., IV, n.ix; - manqued. Pot rH.); je reviendrai sur cette pièce importante. (4) Chev.-Lagén., p. 78. (5) V. plus haut, p. 567, n. 3. (6) Je ne pense pas que Rainerio, qui devait avoir plus de soixante ans en 1227, soit retourné en Terre Sainte; mais il ne scrait pas impossible qu’il — sb — portés, avec les tréres Saintc-Marthe (i), qui dispo-saient de documents que nous n’avons plus, à supposer qu’il ne survécut que de fort peu à l’année 1227, et qu’il eut, vers 1230, un successeur qui résida en Terre Sainte. C’est, en ce cas, à ce successeur anonyme que ìous rapporterions une lettre, adressée par Gré-goire IX, le 18 février 1233 (2) à Jacques le Brébant, évéque, et à l’archidiacre d’Acre et à l’évèque de Bethléem , par laquelle le pape les charge de juger en appel une cause portée devant le S. Siége, par l’abbé cister-cien de s. Georges de Jubins (3), contre Alberto Rezzato, patriarche d’Antioche et Paul, archevèque de Tarse. Bethléem, d’ailleurs, avait été plus heureuse que Jérusalem. La basilique n’avait point été profanée, préservée qu’elle était par une tradition arabe remontant au ca-life Omar, et aussi en retour de la tolérance dont les Latins, en 1099, avaient usé à l’endroit de la mosquée établie par Omar à Bethléem (4). Depuis le mois de eùt été transféré vers 1230 à quelque siége italien : peut-ètre est-ce le Raynerius qui apparait à Rieti en 1233 (Maroni, De euì. et ep. Reatinis [Rom., 1763, 40], pp. 58-59); malheureusement les listes des évéques des petits diocèses italiens aux XIII' et XIV' siècles laissent encore beaucoup à désirer. (1) Gallia christ., éd. de 1656, II, p. 296; c’est ce qui m’a décidé à inserire dans la liste des évèques de Bethléem un anonyme entre Rainerio et P. (2) Greg. IX Episi. 1233, 18 avr. (Reg. Vatie., XVI, ep. 296, f. 90); je dois la copie de cette lettre importante à l’obligeance de M. Auvray. (3) Dans la Montagne-Noire, près d’Antioche; v. Janauschek, Orig. Cister-cienses, I, pp. 217-218. (4) Cette tradition est rapporté ainsi par le voyageur YakoCt (1218), dans son Dict. géogr. (éd. Wustenfeld, I, pp. 779-780): « A Bethléem est une église qui » n’a pas sa pareille dans toute la contrée. Lorsque le calife Omar fut parvenu * à Jérusalem, un moine chrétien de Bethléem vint à lui, et lui dit: « J’ai » entre les mains un acte émanant de toi, qui garantit la sécurité de Beth-» léem ». — « Je nc sais rien de cela », répondit Omar. Le moine lui montra » la pièce, que le khalife reconnut. Il dit alors : « L’acte est authentique ; mais - 570 — septembre 1192, époque où, cinq ans aprés 1 entrée victorieuse de Saladin, Hubert Walther, évéque de Sa-lisbury , avait obtenu de ce prince le rétablissement du culte latin à Bethléem (1), ce culte n’y avait pas cessé (2); » nous ne pouvons nous passer, dans aucun endroit habité par les chiétiens, d y » établir une mosquée ». Le moine répondit: « Il y à Bethléem une boutique, » bàtie dans la direction où vous vous tournez pour prier; convertis-la en mos-» quée pour les musulmans, et ne détruis pas Péglise ». Le calife accorda au » moine la préservation de l’église, alla prier dans cette boutique, et 1 accepta » comme mosquée. Mais il imposa aux chrétiens la charge de 1 éclairer par des » lampes, et d’y faire les travaux d’appropriation et de purifìcation. Les nmsul-» mans depuis ne cessèrent pas de visiter Bethléem , de se rendre à cette » boutique, et d’y prier. Les anciens racontaient à leurs descendants que c était » la boutique du calife Omar. Elle est restée célèbre jusqu’à notre temps. Les » Francs la laissèrent en l’état , lorsqu’ils s’emparèrent de la région». C est à M. Hartvvig Derenbourg que je dois la traduction de ce passage important. Les Grecs conservent un firman d’Omar (2 mai 636), qui reconnalt aux chrétiens la propriété de leurs lieux de pélerinage à Jérusalem et à Bethléem. la traduction en est publiée dans une Rèponse (des Grecs) à la brochure de M. Bori sur les LL. SS. (C. P., 1851, 8»), pp. 43-4$; mais l’authenticité de cette pièce ne parait pas indiscutable. (1) Itinerarium Ricardi I, 1. VI, c. 34, éd. Stubbs, d. 438. Des firmans de 1203, 1212, 1213, conservés aux archives des Franciscains de Constantinople, auraient autorisé à cette époque la réparation de labasilique; ils sont malheureusement inédits, et l’on ne peut en vérifier, ni les dates, ni la valeur ; Eugène Boia (Question des LL. S5.[P., 1850, 8°J, pp. 5-6,62) les mentionne: l’inventaire s en tiouve dans Man. Garcia, Derechos legales de Tierra Santa (Palma, 1Br4, 4°), PP- 4^~52- (2) Outre le témoignage de Yàkoùt, celui du pèlerin Thietmar, en 1217, est formel sur ce point: « Bethleem , civitas Dei summi, sita est in jugo montis, » in longum, et adhuc est integra, nec a Saracenis destructa ; quam quidem » tenent christiani, Sarracenis subjugales. Et creditur, quod Sarracenis non debet » ibi esse stacionarius; sunt tamen quidam Sarraceni, custodes ad limina mo-» nasterii deputati, a peregrinis introeuntibus pedagium accipientes, qui tamen ibi » residendam non faciunt » (Thietmarus, Iter in T. S., c. x, n.° 1-4, éd. Laurent [1857, in-4/], pp. 28-29). Formels aussi sont les témoignages de 1’inscrip-tion arménienne de la grande porte de bois de la basilique de la Nativité, res-taurée le 11 janvier 1227 (Vogùé, Églises de T. S., pp. 113-114), - de s. Sawa, archevéque de Serbie (1227): « J’ai célébré la sainte messe avec les prétres of- » ficiant dans la maison de la très-Sainte Mère......j’ai donné beaucoup » d’or au clergé officiant sur la place de la Nativité du Christ, et j’ai fait ins- - 57i - et d’ailleurs, dés le 22 février 1229, par une des clauses du traité de Frédéric li avec les Infidéles, Bethléem était complétement rentrée aux mains des chrétiens (1); le chapitre bethléémitain, qui en 1210 (2) était cer-tainement en Orient, n’avait eu aucune raison de fuir aprés cette date; il avait, dés 1229 et peut-ètre aupara-vant, repris ses fonctions dans la basilique de la Nativité, d’où seule dut le chasser momentanément, en 1244, » crire les noms de mon pére et de mon frère, le roi Stephan, pour qne l’on » dise des prières pour les repos de leurs àmes » (Voyage de s. Sawa (en russe) éd. Léonide [Recueil de la Palestine orthodoxe, 1884, V, p. 30]) -- et enfin d’Albéric de Neufmoutier : « Tres sunt ecclesiae, quae miraculose se defendunt : ista de Sar-» denai, secunda illa de Bethleem, tertia S. Katharinae de M. Sinai » (Alberici Chron. [M. G., SS., XXIII, p. 936] ; cf. Jacobi Vitriacensis [c. 12io] Hist. Hier. c. 59 (Bongars., Gesta Dei per Francos, I, p. 1078). Les Musulmans y allaient en pèlerinage, droit qu’ils se réservèrent en la restituant aux Latins (Traité du sultan avec Frédéric II, 1229, 18 févr. [M. G., SS., Ep. scec. XIII, I, pp. 297-298; Geroldi patr. Epistola, 1229, 26 mars [Ibid., p. 301]). (1) M. G:, SS., Epist. scec. XIII, 1. c.\ Annales Stadenses, Ricardus de S. Germano, Atinal. S. Medardi Suess., Annoi, de Southwark, Ann. Wigorn. (Af. G., SS., XVI, p. 360, XIX, p. 354, XXVI, p. 522,XXVII, pp.431, 467); Fred. II Epist., 1229, 17 mars (M. G., Leges, II, pp. 261, 264); Matth. Paris, Chron. major a, éd. Luard, III, p. 174; Annal. de Theokesberia, Annal. de IVavtrleia (Annal. Monastici, I, p. 72, II, p. 306) ; Eracles, 1. XXXIII, c. 8, Contili. Rothelin, c. 74 (Hist. occ. des crois., II, pp. 374, 628). La possession de Bethléem et de ses dépendances fut confirmée aux Latins par le traité condu, en 1241, par Richard de Cornouailles avec les Infidéles. (Richardi comitis Epist., 1241 [Matth. Paris, Chron. tnaj., éd. Luard, IV, p. 142]), puis en 1244 (Gestes des Chiprois, n. 254, éd. G. Ray-naud, p. 146). Les pèlerins du XIII' siècle, jusqu’à la prise d’Acre, ne cessent d’y aller et d’y trouver le culte célébré selon le rite latin. V. Perdikas d’ÉPHÈsE, 1250 (L. Allatii Syinmikta, I, pp. 76-77); le bx Gilles d’Assise, 1250 (Vita I b. JEgidii Ass., c. I, n. 7 [AA. SS. Boll, 23 apr., Ili, 221]); l’Innominatus IV, 1270, c. 5 (Theodericus, éd. T. Tobler, pp. 131-138); Burcard de Mont-Sion, 1283 (Peregrinat. M. JEvi IV, éd. Laurent, p. 79); Philippus, 1285-1291 (Philippi Itiner., éd. W. A. Neumann, pp. 54-57). Les témoignages postérieurs et opposés, comme celui de la Continuatio Sanblas. Ottonis Frising. - 1274 (M. G., SS. XX, p. 378) ne doivent donc ètre regardés que comme des amplifications de rhétorique. V. plus loin, p. 604, n. 3, et 634, 11. 1. (2) V. plus haut p. 564, n. 4 et 5. - 572 - l’invasion Kharismienne (i); et l’évèque, soit Rainerio, soit un autre, avait du, comme ses chanoines, rester, sinon à Bethléem méme, du moins en Terre Sainte (2). C’est en effet là que nous trouvons installò, avant 12 3 8 (3) le chapitre bethléémitain, qui y procède, selon les formes, à l’élection de P. (4), doyen d’Antioche. Sur 1’opposition de trois chanoines, qui n’avaient point voulu prendre part au scrutili, Gérold de Lausanne, patriarche de Jérusalem, annule le vote et remplace P. par un élu de son choix. Grégoire IX évoque 1 affaire, et le 20 dèe. 1238 (5), charge l’archevéque de Mamistra, 1 abbé de Belmont, et maitre Boninus, archidiacre de Va-lénie, d’une enquète à la suite de laquelle P. devra étre reconnu, ou l’élection recommencée à nouveau. C’est probablement ce dernier résultat qui se produisit; car, avant la mort de Grégoire IX, nous trouvons installò à Bethléem, un prélat dont le passage sur le siège de la Nativité manqua étre fatai à cette églìse. Giovanni Romano , avec la complicité des chanoines, avait simple-ment mis à sac les quelques biens de son église, (1) Contili. Rotlielin, c. 41 (Hist. occ. des cr., II, p. 563); Epistola episcoporum T. S., 5 nov. 1244 (Matth. Paris, Chron. major a, éd. Luard, IV, p. 34°); Ies Kharismiens s’emparèrent de Bethléem le 25 avril 1244 (Chronicon de Maiiros, éd. Stevenson, p. 162) et avaient disparu en 1246 (Matth. Paris, Chron. majora, éd. Luard, IV, pp. 537-538). (2) En ce cas, plusieurs letrres adressées par Honorius III et Grégoire IX aux évéques de Terre Sainte dans les années 1224-1239 (Potth., n.°’ 7332, 9>°4' 9505, 10424, 10530, 10774, 26172) devraient étre rapportées à cet évéque. (3) Et après le 17 avril 1237, époque où le siège était encore vacant (Greg. IX Epist. [Reg. Vat.„ XIX, f. 9*. 10«]). (4) Cette initiale est impossible à résoudre: on ne peut que la rapprocher de P., chancelier du patriarche d’Antioche en 1209 (Paoli, I, 98) et de P., cha-noine d’Antioche en 1232 (Charte, d. Mas Latrie, Hist.de Chypre, III, p. 632). (5) Greg. IX Epist. 1238, 20 dèe. (Reg. Vat., XIX, 11. 359, ff. 664-67«). - 573 - échappés aux récentes catastrophes. Avant méme d’étre confìime, il avait hypothéqué ou vendu les maisons, que possédait Bethléem à Acre, et les quelques casaux recou-vrés sur les Sarrasins, et engagé à des usuriers le trésor de la basilique, ses trois grandes reliques (un saint Clou, le Marteau de la Passion et une main de s. Thomas) (i), enfin tous les titres du diocése: lui et ses complices avaient dissipé le produit de ces emprunts illicites. Il avait du étre déposé par Grégoire IX (2); puis était venu l’interrégne pontificai (nov. 1241-juin 1243), enfin l’invasion Kharismienne (25 avril 1244). Le chapitre alors, à bout de ressources, se jeta dans les bras d’innocent IV, et élut pour évèque un des pré-lats de la cour de ce pape, son pénitencier, Godefrido de’ Prefetti, de la puissante maison des préfets héréditaires de Rome (3), seigneurs de Vico, qui était déjà bénéficié en Terre Sainte (4) et avait rempli pour le S. Siége de lointaines missions (5). Barthélemy, chanoine de Beth- (1) Ces reliques avaient du faire partie dii lot de l’évéque Pierre I dans le pillage deConstantinople en 1204; v. plus haut, pp. 564, n. 1/567,n. 3 et plus loin, p. 574, n.4. (2) Il ne le fut certainement pas par Innocent IV, sous les premières années duquel on le retrouve élu, puis évèque de Baffa (voir les lettres de ce pape, citées dans les notes suivantes). Corame Grégoire IX a cessé d’écrire en aoùt 1241, et qu’il a fallu un temps asse*, long pour que toutes ces dilapidations s’accomplissent, pour qu'elles vinssent aux oreilles du pape, pour qu’elles fussent soumises à une enquète, et enfin pour que l'élu fùt déposé, on ne peut piacer l’éìection de Giovanni aprés 1239 au minimum ; on ne peut guère non plus la piacer beaucoup plus haut; car expulsé de Bethléem, ce personnage se fit élire évèque de Baffa, aprés un homonyme, qui vivuit encore en 1237, 2 aoùt (Monum. Patria, Charta, I, 1335). (3) Inn. IV Epist., 24 et 25 janv. 1245 (&?• d’Innoc. IV, éd. Berger, I, pp. 155-156). (4) A Tripoli; v. Inn. IV Epist., 13 janv. et 22 févr. 1245 (Ibid., I, pp. 140, 170); 26 oct. 1250 (Ibid., II, p. 254). (5) En Pologne (Inn. IV Epist., 13 févr. 1249 [Rzysczewski, Cod. dipi. Polon. III, p. 52 - Potth. n. 15220]). Atti Soc. Lig. St. Patri». Serie 2.*, Voi. XVII. 57 - 574 - Iéem, passa la mer pour aller annoncer à Godetrido la nouvelle élection (1244); il le trouva à Lvon avec le pape. En effet, lorsque ce dernier, craignant les ressen-timents de l’empereur, avait brusquement quitte Civitavecchia, pour gagner la France par Gènes, il avait em-mené avec lui son pénitencier (1). Le premier soin de Godefrido, aprés avoir accepté 1 administration du diocése de Bethléem (2), fut de chercher à réparer les ruines amassées, tant par les di-lapidations de son prédécesseur que par l’invasion Kha-rismienne. Le 20 avril 1245, il est à Clamecy (3) et le 23 (4) au chàteau de Druyes, où il conclut avec la comtesse Mahaut un nouveau traité, consolidant les pos-sessions nivernaises de l’église de Bethléem. De là, aprés avoir envoyé en Orient, comme archidiacre d’Ascalon, son neveu Deodato de’ Prefetti (5), chargé de remettre en ordre les affaires si compromises du chapitre, et de faire restituer, par Giovanni Romano, par ses complices et par les préteurs dont ils avaient recu l’argent dissipò, tous les biens, trésor et titres de la basilique de la Nativité (6), il part pour PAngleterre, avec laquelle il (1) Le pape, parti de Sutri le 28 juin, s’embarque le 29 à Civita-Vecchia et arrive à Génes le 7 juillet (Nicolaus de Curbio , Vita Imi. IV, c. 13 [Muratori, SS. RR. Hai, III, 1, p. 592]). (2) Il parait n’avoir jamais voulu recevoir la consécration épiscopale; il figure toujours comme simple élu; v. plus loin, p. 575, n. 7. (3) Cliarte de cette date, citée dans Chevalier-Lagéniss., p. 80. (4) Gallia christ., XII, pp. 237-238; v. plus haut p. $55. (5) Inn. IV Epist., 23 et 25 juill. 1246 (Reg. d’Inn. IV, éd. Bhrger, I, pp- 301, 303) ; ce neveu fut comblé des faveurs du pape; cf. Inn. IV Epist., 26 juin 1246, 26 mars 1248 (Ibid., I, pp. 289, 303, 567). Un autre neveu, Pandolfo, avait regu un bénéfice le 17 nov. 1245 (Ibid., I, p. 244). (6) Inn. IV Epist., 7 et 22 févr., 20 aoùt 1245 (Md., 1, pp. 155, 168; une grande partie de la dernière de ces lettres se trouve dans Guillaume-Rey, Re- - 575 - avait d anciennes relations (i), et, muni d’une encyclique spéciale (2) accordant des indulgences, il organise, pour la réparati on du sanctuaire de Bethléem, une quéte gé-nérale en Angleterre et en Écosse (3): à son passage à Londres, le 23 octobre 1247, il regoit une donation importante en faveur de son église (4). Nous ignorons s’il resta longtemps en Angleterre (5) et s’il put porter lui-méme en Terre Sainte le produit de ses collectes. C’est probablement en effet, un autre prélat (6), que nous trouvons quatre ans aprés en Orient, et dont nous ne connaissons que Pinitiale: G. (7). En 1253 (8 cherches [P., 1877, b°], i.e éd., p. 22, 2.' éd., p. 27). Giovanni Romano est cité à comparaitre devant le pape, le 20 sept. 1245 (IMA; I, p- 233); il s’y rend, mais est encore poursuivi l’année suivante (Inn. IV Epist., 25 juin 1246 [Ibid., I, p. 306]). Toute cette affaire et l’existence méme de Giovanni Romano étaient inconnues avant la publication de M. Berger (1882). Le Marteau de la Passion n’avait été mentionné par aucun docunient authentique plus ancien ou plus récent. V. Mém. des Ant. de Fr., 1885, XLVI, pp. 225-237. (1) Il y avait les bénéfices de Long-Kensington au diocèse de Coventry (Inn. IV Epist., sept. 1245 et 26 mars 1248 [/?«£. d’Inn. IV, I, pp. 233, 566]) et de Coleby, au diocèse de Lincoln (Inn. IV Epist., 11 févr. 1245 [Reg. d’Inn. IV, I, p- 166]) ; dans cette dernière pièce, le chapelain est appelé G. de Romania; mais ce nom me paraìt bien désigner Godefroi. (2) Inn. IV Epist., 3 févr. 1245 (Reg. d’Inn. IV, I, p. 158). (3) Matth. Paris (Chron. maj., éd. Luard, IV, p. 602) qui, à ce propos, exhale sa mauvaise humeur ordinaire. (4) Dugdale, Monast. Anglican., II, 381. (5) 11 y était encore en 1248; v. Inn. IV Epist., 26 mars, 13 avr., 17 et 24 juin 1248 (Reg. d’Inn. IV, I, pp. 566, 612) — bénéfice de Long-Kensington ; continuation de la quéte dont les collecteurs s’appropriaient les recettes, pri-vilège accordé à Godefrido. (6) Est-ce à lui ou plutót à Godefrido, avcc les auteurs du Galìia christ., qu’il faut rapporter une lettre d’Innocent IV (23 juill. 1251) dont iis parient (XII, p. 689) sans en spécifier l’objet ; elle manque aux registres vaticans et a échappé à toutes mes recherches. (7) Inn. IV Epist., 1253, 11 janv. (Strehlke, p. 81). Je dédouble ici le pontificat de Godefroi, qu'on éteudait jusqu’à celui de Tomaso Agni (1257). Mais il est impos- — 57^ - mars) (i) il est à JafFa avec s. Louis, et, l’année suivante, il est nommé par le pape, exécuteur d’un arrét, rendu par le Cardinal Ottobono de Fiesque dans un litige entre les Feu-toniques et Amaury II Barlavs, seigneur de Margat (2). C’est d’Orient que, deux ans plus tard (125 6), il négocie un doublé mariage entre Edmond, comte de Kent, fils d’Édouard I, roi d’Angleterre, et Plaisance d’Antioche, reine-douairiére de Chypre, et entre Hugues II, roi de Chypre et Fune des filles d’Édouard 1 (3). Nous sommes arrivés à l’époque où l’ordre de S. Dominique, aprés le règlement des affaires albigeoises, est amené à étendre aux Infidéles d’Alrique et d’Asie, son zèle apostolique. L’Orient latin parait, à partir du milieu sible d’accorder autrement, d’une part les témoignages formels d’Innocent IV Iui-mème (Potth., n. 13220, et Berger, n. 1049, P-^6)et de Nicolò de Curbio, son biographe (Muratori, SS. RR. It., Ili, 1, p. 592), qui tous deux donnent à Godefrido le titre de capellanus et pcenitentiarius papié, et, de l’autre, la lettre du 10 septembre 1255 (Reg. Vat, XXIV, f. 91J), par laquelle Alexandre IV met en demeure l’élu de Bethléem , G., de se faire ordonner prétre aux Quatre-Temps, et consacrer évéque pendant l’Avent de la méme année. La chancellerie du successeur d’InnocentIV n au-raitpu ignorer l’état ecclésiastique réel d’un personnage aussi important que 1 ancien pénitencier de celui-ci. Il faut donc admettre ce fait curieux qu’il y a eu successive-ment deux évéques de Bethléem, ayant G. pour initiale, refusant de se faire consacrer, et entretenant tous deux des relations importantes avec l’Angleterre. Peut-étre Godefrido n’est-il pas mort immédiatement après 1247, et, transféré àquelque autre siège, plus important que Bethléem, aura-t-il soumis au choix du pape, pour son successeur, quelque clerc de la cour d’Angleterre, non engagé encore dans les ordres majeurs. (1) Strehlke, p. 81 ; voir aussi une pièce du 26 septembre de la méme année (Id., p. 82). (2) Inn. IV Epist., 1254, 27 févr. (Strehlke, pp. 87-8; Potth., n. 1520$); l’évéque n’est point nommé dans l’exemplaire publié, mais dans celui du Vatican (Reg. Vat., XXII, n. 508, f. 68 i). (3) Epist. 1256 (Rymer, Fcedera, I, 592). Serait-ce à lui qu’il faudrait rap-porter la tombe épiscopale, ornée d'anges, dont un fragment, où manque mal-heureusement le nom de l’évéque, a été retrouvé à Jaffa par M. Clermont-Ganneau (Matèriaux pour servir à l'hist. des crois., [P.. 1878, 8.“], VI, pp. 30-37)? 11 ne serait mort, en ce cas, qu’en 1258, le 17 septembre. - 577 - du XIIIC siècle, avoir été considéré comme formant ce que nous appellons aujourd’hui un pays de mission; et, probablement à la suite de la dispersion ou de l’appau-vrissement des chapitres, nous voyons le S. Siège intervenir dans l’élection des évèques latins du Levant, et y faire appeler de préférence des Frères Prècheurs; pendant plus de deux siècles, le siège de Bethléem sera, à peu d’exceptions prés, occupé par des religieux dominicains. A une sèrie de simples élus, vont ainsi succèder de vé-ritables évèques. Le premier de ceux-ci, second successeur de Godefrido de’ Prefetti et italien comme lui, fut Tomaso Agni, de Lentini en Sicile. D’abord prieur de Naples, où il donna l’habit en 1243 ^ s- Thomas d’Aquin (1), il était pro-vincial de Rome, lorsqu’Alexandre IV Fappela, vers 1258, décembre, au siège de Bethléem (2). Mais ce ne fut que le 18 avril 1259 qu’il se rendit en Terre Sainte, où il arriva revétu des pouvoirs de légat du S. Siège (3): il était chargé d’y régler les affaires les plus importantes, les querelles séculaires des colonies de Pise, de Gènes et de Venise (4), des contestations entre le Tempie et (1) Echardus, SS. Ord. Prced., I, p. 358. (2) En 1257, suivant l’inexact Bernard Gui, (BréMOND, Bull. Ord. Prced., I, p. 412; d’autres retardent son élection jusqu’en 1259 (v. Chev.-Lagéniss. , p. 90). (3) Erades (1. XXXIVl c. 3, 4 [Hist. occ. des crois., II, pp. 444-445] ; et. Arch. de l’Or. lat., II, 11, p. 449). Dès les 8 et 9 janvier 1259, il avait re$u d’A-lexandre IV deux lettres où il est qualifié de légat (Charles de Josapliat, pp. 106, 108). Dans la date de la première de ces deux lettres, contenues dans des vidimus de 1260, il faut corriger anno qiuirto en quinto (12/9 au lieu de i2fS); car en 1258, 8 janv., le pape était à Viterbc et non à Anagni. (4) Le procès, commencé le 10 dèe. 1260, fut jugélen janvier 1261: il est publié dans Tafel et Thomas, Urkund. Gesch. Venedigs, III, pp. 38-42; cf. FI. Cornelius, Eccl. Vcn. mommi., Xbis, pp. 232-233. — 578 - l’Hópital (i), entre l’Hópital et l’église de Nazareth (2), enfin les réclamations des moines de Josaphat (3) : ces fonctions de juge arbitrai ne l’empèchaient point de penser aux intéréts généraux du royaume; il lan^ait 1 excommunication contre Bohémond VI, prince d Antioche et comte de Tripoli, qui s’était soumis et allié aux Tartares (4); et nous avons de lui trois longues lettres (1260, 1" mars; 1261, 4 avril) (5), adressées en Occident pour solliciter des secours. Il passa ainsi en Terre Sainte les années 1258 à 1263 (6). (1) 1262 , 19 dèe., à Acre (Paoli, I, pp. 177-179); cf. une Pièce du 31 mai 1261 (Delaville le Roulx, Arch. de Malte,, p. 198). (2) 1263, 17 janv., 1271, 11 mars (Paoli, pp. 173-177, 192-194)- (3) 1260, 27 avril, Acre (Charles de Jos., pp. 106-107, 2 pièces). (4) Urb. IV Epist., 1263, 26 mai (Reg. Val, XXVI, f. 51*); une lettre d’UR-bain IV (1264, 7 juill. [Reg. Vat., XXIX, f. 321]) parie aussi d’actes accomplis par Thomas pendant son séjour en Terre Sainte; il doit en ètre de méme de deux autres du méme pape, indiquées par les Fiches Garampi sous les faux nu-méros: « ami. Ili, ep. », et « Uri. IV, Ber., ep. 1 », et qui n’ont pu ètre retrouvées. (5) Les deux premières se trouvent dans la Chronique de Menco (M. G., SS., XXIII, pp. 547-549), et sont adressées, l’une à tous les fidèles, l’autre aux Fri sons; la troisième, envoyée à Henri III, roi d’Angleterre, est publiée dans Echardus (SS. Ord. Prccd., I, pp. 358-360), avec la date fausse de 1263, et dans Rymer (Fcedera, I, pp. 699-700), qui donne la date véritable. Une quatrième lettre, signée par lui et par les autres prélats de T. S., dut ètre adressée, en 1262 ou au printemps de 1263, à Urbain IV, qui la mentionne dans une lettre à s. Louis du 20 aoùt 1263 (Raynaldi Ann., ad ann. 1263, n. 2-11 — Potth., n. 18624). (6) Voici d’autres pièces qui se rapportent à la légation de Thomas: 1259, aout, Acre. Deux lettres de Thomas Bérard, grand maitre du Tempie (Atti dell Accad. di Lucca, X,p. 271); — 1261, 21 sept. Dédicace du Commentarium de S. Trinitate, de Benoìt d’ALiGNAN, évèque de Marseille (Baluze, Misceli, VI, p. 3 S°) ? 9 dèe., Acre (Charles de Jos., p. 109); — 1262, janv., Acre (Paoli, I, p. 250); — 23 janv., Acre (Charles de Jos., p. no); — 1263, 12 et 26 janv., Acre (Posse, Anal. Vatic., pp. 18, 20); janv., Acre (Delaville le Roulx, p. 22 [1253, par une erreur typographique]). Il figure en 1273 dans la Dèdicace à Grégoire X du De Stata Sarracenorum de Guillaume de Tripoli (Du Chesne , SS. hist. Frane., V, pp. 432). - 579 - Le 15 septembre 1263 (1), il retourna à Rome rendre compte de sa mission (2), et solliciter d’Urbain IV d’abord (1264) (3), puis de Clément IV (1266, 11 mai) (4), deux bulles confirmatives des privilèges et possessions de Bethléem, et de ce dernier, la ratification d’un contrat, conclu le 21 dèe. 1265, entre le chapitre de Bethléem et l’Hópital (5). Nommé vicaire du pape à Rome (6) et chargé (1264) de précher la croisade contre Mainfroy (7), il est encore auprés du pape, à Pérouse, le 21 sept. 1265, où il consacre Pierre de S. Hilaire, évéque élu de Lao-dicée (8). Il fut appelé, le 18 avril 1267, au siége mé-tropolitain de Cosenza (9), et cinq ans aprés (21 avril 1272), au patriarcat de Jérusalem (10). (1) Eracles, 1. XXXIV, c. 4 (Hist. occ. des cr., II, pp. 447); Arch. de l’Or. lat., II, 11, p. 451. (2) Urbani IV Epist., 1264, 7 janv. (Reg. Vat., XXVIII, f. 25« — Potth., n. 18769, fragra.). (3) Voir App., IV, n. x. (4) La deuxième seule nous est parvenue : v. plus haut, p. 549, n. 3 et App., IV, 11. Xi; le 17 avr. 1265, il avait obtenu l’autorisation d’échanger à son gré toutes ces possessions (Clem. IV Epist., ann. I, ep. 30 Vat., XXXII, f. 7a] ). (5) Delaville le Roulx, Arch. de Malte, p. 31. (6) Urb. IV Epist., 1264, 13 févr. (Reg. Vat., XXXII, f. 901). (7) 3 et 27 mars (Posse, Anal. Vaticana, pp. 29, 31); cf. Rayn. Ann. eccles., ad ann. 1264, n. 21). (8) Clem. IV Epist., ann, I, ep. 152 (Reg. Vat., XXXII., f. 37°). (9) Brémond, Bull. Ord. Prad., I, p. 500; cf. Clementis IV Epist., 1267, 10 mai (Martène, Thes. anecd., II, 464), et 1268, 18 avr. et 17 sept. (Reg. Vat., XXXII, ff. 37« et 162b). Il rempla<;a à Cosenza Bartolomeo Piguatelli, transféré à Messine, et à la mort de celui-ci, fut élu (1271) à ce dernier siège; mais le pape ne confirma pas l’élection et nomma à la place de Tomaso, son frère Re-ginaldo. (10) Gregorii X Epist., 1272, 21 avr. (Ughelli Hai. sacra, IX, p. 217); Echard, SS. Ord. Prced., I, P- 358: il revint en T. S., le 8 oct. 1272 (Arch. de VOr. lat., II, 11, p. 456) et mourut en 1277 (Echard, 1. c.). Sur les ceuvres qu’il a laissées, v. Chev.-Lagéniss., p. 93. Le Thomas, de l'ordre des FF. Prlcheurs, que — 580 — Un autre dominicani lui succèda presque immédiate-ment (28 sept. 1267) (1), Gaillard d’OuRSAULT, d’abord lecteur d’Agen (1252) et prieur de Bayonne, puis de Tarascon (1256) (2): dès les 20-25 janvier 1268, sept lettres de Clément IV nous apprennent qu’il est chargé d une mission pacificatrice à Brescia et à Crémone (3). Mais il ne tarda pas à gagner l’Orient, et nous le trouvons à Acre le 2 juin 1271 (4), puis le 24 nov. 1272, époque où Grégoire X le charge, avec l’archevéque de Nazareth, d’examiner les prétentions de Marie d’Antioche à la couronne de Jérusalem (5). Il y est encore en 1277 (:9 oct-)> avec Bonacourt de Gioire, archevéque de Tyr, et procède à la vidimation de copies de titres, que 1 ordre Teutonique, inquiet des progrés des Infi déles, va expédier en Occident (6). 1 éditeur des Familìes d’Outrevier de Du Cange (p. 786) a laissé en 1209 (7 ans avant la fondation des Dominicains) dans la liste des évéques de Bethléem, ne doit ètre autre que Thomas Agni. (1) Clem. IV Epist., 28 sept. 1267 {Reg. Val., XXXII, f. 166*). (2) Brémond, Bullar.. I, 413; c'était un ami de s. Pierre Martyr, (Cavalieri [G.-Mich.], Galleria de’ Predicatori [Benevento, 1698, 2 v. 4°], I p- H9)- (3) Martène, Tlies. anecd., I, pp. 566-567, 569-571 (Reg. Vatie., XXXIII, n. 414-416, 420, 421, 423, ff. 67^-68^ ; Potth., n. 20226-8, 20241-3) Une septième lettre, du 25 janvier, se rapportant à la méme affaire et omise par Martène est au f. 68° du méme registre (n. 422). (4) Paoli, I, p. 194. (5) Greg. X Epist. (Rayn. Amai, ad ann. 1272, n. 19): il faut rapporter aussi à Gaillaid les deux lettres adressées par Grégoire X, les 29 mars et 1 avril 1272, aux évéques de Palestine (Potth., n. 20517, 20527). (6) J’ai consacrò à cette vidimation un article dans le Bull, de la Soc. des Antiq. de Fr., 1877, pp. 61-69: 36 pièces du 19 oct. 1277, portant encore ou ayant porté le sceau de Gaillard, nous sont parvenues : il y en a 1 à Paris, 10 à Kònigsberg, 24 à Vienne et 1 à Carlsruhe (v. Dùdik, D. Ordens Mùn%samml, p. 62). J’en ai publié une avec son sceau (Op. c.) ; dix se trouvent mentionnées dans Strehlke (pp. 280, 342, 358-361, 382, 384, 386), et quatre sont données in extenso dans Hennes (Cod. dipi Ord. Theuton., I, pp. 226-229). — 58i - Gaillard dut mourir peu de temps aprés; car son succes-seur, dominicain comme lui, Ugo de Curcis, de Naples, évèque de Troia, honoré du pallium (i), fut transféré à Bethléem le 5 octobre 1279 (2). 11 fit d’abord le vovage de Terre Sainte, où, en 1283 (3), ildélivre, à Acre, en méme temps que trois autres évéques, une lettre d’in-dulgences pour la construction de Péglise de S.,e Élisa-beth de Marbourg; puis il revint en Italie, et, se trouvant à Pérouse, auprès de Martin IV, le 11 décembre 1284, obtint de ce pape la confirmation générale de tous les pri-viléges de son église (4). Nous le trouvons ensuite chargé, par Honorius IV et Nicolas IV, de recueillir, en 1285, 1286 et 1288, dans la Marche d’Ancóne (5), les décimes de la croisade prèchée pour le recouvrement de la Sicile, et, (1) Depuis le 4 aoùt 1278 (Brémond, Bull. Ord. Prad., 1, p. 573). (2) La bulle porte: « ad episcopatum Bethleemitanum, vacantem, per obitum Ga-» lardi « (Nicol. Ili Epist., 1279,5 oct. [Reg. Vat., XXXIX, ep. 166]: et. Ughelli, Ital. sacra, I, p. 1346, et Nicol. Ili Epist., 1280, 3 mai [Sbaralea, Bull. Francisc., Ili, p. 459]). Il faut donc rejeter de la liste des évèques bethléémitains, le pro-vincial Jagard, que, dans les listes des prélats de son ordre, Bernard Gui (qui pourtant n’écrivait pas un quart de siècle après) place entre Gaillard d’Oursault et Ugo de’ Curcis (Bern. Guidonis, Depr nous le voyons annoncer au pape son départ pour la 1 erre Sainte, et solliciter, à cet effet, des priviléges qui lui sont aussitót accordés (2). 11 est probable qu’il y mourut l’année suivante (3); car dés 13 31 (4) nous voyons apparaitre son successeur, (1) Cliponville, cant. de Foville, arr.i d’Yvetot (Seine-lnfér.). V. Clem. V Epist., I3I2> *3 juill. {Reg. Val., LIX, ep. 816); ce bénéfice passa ensuite à Benoit, év. de Cardica, suffr. de Winchester (Joh. XXII Epist., 1331, 21 juill. [Reg. Vatic., XCIX, f. 177cf. Bened. XII Epist., 1336, 20 dèe. [Ibid., CXXII, ep- 154] et Clementis VI Epist., s. d. [Ibid., CXCIII, f. 296-]). (2) Johannis XXII Epist. tres, 1329, 15 juill. (Reg. Vat., XCI, fi- I23 128 ). (3) L année 133° est assignée à sa mort par une Fiche Garampi , renvoyant à: « Joh. XXII Rat. Cam., CL., f. 90 »; d’autres Fiches Garampi, évidemment relatives à Vulfran, et qui n’ont pii, elles aussi, ètre identifiées, renvoient à. « Clementis V, ami. IX, ep. 181-182 - Rat. Camer., XXVIII, p. 6}, 1; t. LXXIV, » ep. 831 ». (4) lei les annalistes dominicains, Cavalieri, Fontana, Brémond, dont ìien n’égale, sur ces points, l’inexactitude et la confusion, et qu’ont répété ensuite tous les historiens ecclésiastiques de France et d’Angleterre, intercalent successivement, dans la sèrie des évéques de Bethléem, trois noms qu’il convient d’en retrancher sans hésitation: Jean d’EAGLESCLiFFE, Gérard de Gisors et Hugues de Tours. Le premier n’est pas un personnage imaginaire ; le R. P. Palmer , du prieuré des Dominicains de Londres, qui a amassé sur les religieux anglais de son ordre un véritable trésor de documents inédits, a bien voulu me communiguer les pièces qui établissent tout le cursus honorum de Jean d’Eaglesclifte, en 1296, 1305, 1309; le 28 mai 1318, il est pénitencier de Jean XXII, à qui le roi Édouard II propose de l’élever au siège de Glascovv (Rotulus Roma et Fr., 11-14 Edw. II, n. 11); il y est nommé le 17 juillet suivant (Theiner, Mon. Hib., pp. 202, 226), transféré à Connor en 1322 (Ti-ieiner, Ibid.), et le 20 juin 1323 à LlandafF (Cotton, Fasti eccl. Hib. [Dublin, 1849, 8.°], Ili, p. 349)- ^ mourut le 2 janv. 1346, et fut enterré à Cardiff (Frane. Godwinus , De prccs. Anglia [Cantabr. 1743], p- 606; Than. de Burgo, Hibernia Dominicana [Colon. 1763], Guillaume, que Jean XXII autorise, le 20 avril (1) à se faire consacrer par le Cardinal Gocelin d’Ossa, évèque d Albano. Ce Guillaume paraìt s’étre livré uniquement au soin de relever et d’entretenir son église d’Orient; toutes les lettres que lui adresse le pape en font foi. Dans les deux premiéres années de son épiscopat, il n est occupé qu’à recouvrer, et jusque dans les con-trées les plus reculées (2), les sommes dues à son église (3), pour subvenir aux frais de son voyage en Orient et de la restauration du sanctuaire de la Nati- p. 464). L’erreur originelle provient d’une confusion faite par Echard (SS. Ord: Prcedic., I, p. xxv) entre Jean d’Eaglesdiffe et son successeur au siège de Llandaff, William de Bottisham, que Walsingham appelle Jean, par erreur, qui fut réellement évèque de Bethléem, et dont nous parlerons plus loin.— Gérard de Gisors, donné, sans renvoi, par le Gallia chr.\(èd. de 1656, II, p. 297) comme mort en 1321 et enterré aux Cannes de Paris, est Gérard II, év. de Bethléem (f 1403), dont la date d’épitaphe a été mal lue. — Enfin Hugues de Tours, mentiontié par Échard (SS. Ord. Prced., p. 156), d’après Cavalieri (Op. cit., I, p. 60), et par Le Quien (Or., christ., Ili, p. Ili, p. 1284) est un personnage de fantaisie, créé par Laurent Pignon , év. de Bethléem (-{■ 1449), dans son Calai, episcoporum O. S. D. (Paris, B. Nat., Lat. 14582, f. 1374), par une confusion avec Ugo de Curcis, qui avait été évèque de Troia (Hugo Ttironensis, au lieu de Hugo Troia-nensis). (1) Joh. XXII Epist., 1331, 20 avr., (Reg. Vatic., XCVII, ep. 48); le 11 avril de l’année suivante (Joh. XXII Oblig., CCXCVII, f. ii2J) il est exempté des droits afférents au S. Siège. (2) Joh. XXII, Epist. tres, 1332, 21 aoùt. (Reg. Vatic., CXVI, f. 235, ep. 1189-119°) 5 recommandation aux rois d’Écosse et dAngleterre et à l’archevéque de Cantorbéry, d’aider Guillaume, partant pour son diocèse, à recouvrer les revenus en retar'd de l’église de Bethléem dans la Grande-Bretagne. Le 29 juin de cette méme année, Guillaume était à Avignon, où il signe avec onze autres évéques, une lettre d’indulgences pour l’église de S. André de Strasbourg (Liti, indulg., 1332, 29 juin [Schcepflinus, Alsatia diplom., II, p. 148J). (3) Joh. XXII Epist., 1332, 23 mai (Reg. Vatic., CHI, ep. 154); enquète sur l’aliénation des biens de l’église de Bethléem dans les diocèses de Condom et de Lectoure; une autre lettre, de la mème année, indiquée par une Fiche Ga-rampi: « XIV, p. 2 », n’a pu ètre retrouvée. — 588 - vite. Il est probable qu’il put se rendre en Terre Sainte, et qu’il y mourut en 1346. L’année suivante (1347, 5 nov.) (1) Clément VI, qui parait, lui aussi, avoir eu à coeur le rétablissement inté-gral du diocése orientai de Bethléem, le confie proprio motu à un évéque d’Italie, Pierre III, de ì’ordre des Fréres Prècheurs, qu’il enléve au siége de Segni, en lui ordonnant de se rendre en Terre Sainte (2). Nous ne pouvons que supposer que Pierre obtempéra à cet ordre; car ce n est que huit ans aprés que nous le retrouvons à la cour d’Avignon (3), où il mourut à la fin de 1355 (4). Son successeur, Ilario Corrado, de l’ordre de S. Dominique, évéque de Meropolis, transféré peu de mois aprés à Malte (5), ne fait que passer, et est remplacé le 13 juin 1356(6), par Durand de Sauzet, chapelain du pape, le premier frére mineur que nous trouvions sur le siége de Bethléem. Durand, qui passe (1) Clem. VI Epist., 1347, 5 nov. (Reg. Vat., CLXXXIII, I, P- f- I3)5 cf> Clem. VI Epist., 1348, 7 janv., (Reg. Vatic., CLXXXt, f. 58«); Ughelli Ital., sacra, I, p. 1239. J5 ju*n de l’année suivante, son vicaire en Italie, Domenico di Campo, pourvoit à l’église de Varazze (Verzellino, I, p■ S10’ IV, n. xv). (2) Clem. VI Epist., 1347, 5 nov. Pierre avait été élu évéque de Segni, le 26 juin 1346 ; les Fiches Garampi indiquent encore deux autres lettres de Clément VI, relatives à Pierre: l’une de 1348, 29 janv. (exemption de droits): « Obi. t. XXII, * P■ 34 l’autre mentionnée ainsi: « li, 1, p. 372 ». (3) Charte du 21 juill. 1355 (citée par Chev.-Lagén., p. 113); le avr** ’ il avait, d’Avignon, nommé un recteur à Varazze (Verzellino, I, p- 5n)> cf. ci-dessous, App., IV, n. xvi). (4) Innoc. VI Epist., 1356, 15 juin (Reg. Vatic., CCXXIX, f. 671 ; Arch. de l’O. lat., I, p. 281). (5) Inn. VI Epist., Ibid.-, Frederici III Epist., 4 mart. 1357 (Abela, Malta illustrata, II, pp. 25-26). (6) Inn. VI Epist., Ibid. * — 589 — un acte à Sienne le 8 janvier 1357 (1), est envoyé par Innocent VI, le 8 janvier 1361 (2), auprés de l’impéra-trice Marie de Constantinople, à Naples, et meurt en 1363. Urbain V nomme à sa place, le 13 novembre (3) de cette méme année, le prieur des Dominicains de Genève (4) Aimar (Fabri) de la Roche (5), dont nous connaissons un acte, daté d’Avignon (6), 27 mars 1365; c’est là, parmi les familiers d’Urbain V (7), qu’a du s’é-couler son pontificat, sauf un certain temps passe à Genève en qualitè de vicaire-général de l’évéque Guillaume Fournier de Marcossey (8). Peu aprés l’avéne- fi) Emphytéosc de biens à Sienne (Siena, Arch. di St., S. Sebastiano). (2) Innoc. VI Epist., 1361, 8 janv. (Martène , Tbes. anecd., II, pp. 846-847). (3) Urb. V Epist., 1363, 13 nov. (AlbanéS, Hist. des év. de S. Paul [Mont-béliard, 1885, 8°], pp. 24**25* ; cf. Arch. de l’O. lat., I, p. 284): une autre lettre du méme pape et de l’année suivante est mentionnée ainsi: « XXXVI, ep. 82 », dans les Fiches Garampi. (4) Il figure sous ce titre dans un Compie du 11 juin 1357 (Mallet, Libertès de Genève [Mém. de la Soc. hist. de Genève, II, 1843], p. 290). (5) La Roche, arr.' de Bonneville (Haute-Savoie); quant au nom de Fabri, qui était certainement celui de ses neveux (Obituaire de Genève, éd. Sarasin [Mém. de la Soc. hist. de Genève, n. s., I, 1881], pp. 239, 250), famille noble de la Roche, encore existante, il est plus discutable: Aimar, en effet, n’a pris dans les actes que celui de « de Rupe » et peut n’avoir été que Tonde naturel ou matetnel des Fabri. Un autre Adhemarus Fabri de Rupe, probablement onde et parrain de notre évèque, était doyen de Rumilly en 1365 (Pièce de 1365, 26 oct. [Mallet, l. c.]). La transcription Aimar, de son prénom latin, Adhemarus, est donnée par une charte fran^aise du 26 sept. 1379 (Gallia chr., XII, Instr., c. 237-8), qui l’orthographie Emart. (6) Moriondus, Monum. Aquensia, I, pp. 359-363, et ci-dessous, App. V, n. xvm. Je reviendrai plus loin sur cette pièce, par laquelle il institue son vicaire dans l'Italie du Nord, Guido d’incisa, év. d’Acqui. L’année précédente (1364) le pré-décesseur de Guido dans ces fonctions, Pietro de Marigliano, év. de Ténédos, pourvut à la cure de Varazze (Verzellino, I, p. 511; v. App., IV, n. xvn). En 1376, Aimar avait consacré Francisco Morozzo, évèque d’Asti (Gregor. XI Epist., 1376, 11 aoùt Vatic., CCLXXXIX, f. 84°]. (7) Il fut probablement pénitencier du pape. (8) Clem. VII Epist., 1379, 20 juill. (Reg. Vat., CCXCI, f. 196''). Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.‘, Voi. XVII. 38 — 590'- ment d’Urbain VI, et pendant la courte période (mi-juin-juillet 1378) que Robert de Genève passa à Anagni avant de devenir le rivai du pape, Aimar fit solliciter (1) par le Cardinal, son compatriote, le siège de S. Paul-Trois-Chàteaux (2) ou celui de Grasse (3). Il n’obtint pas ce dernier, donne par Urbain VI, le icr juillet 1378 à Artaud de Mélan, évéque de Forli; fut-il alors nommé au premier ? nous l’ignorons (4). Mais, quelques mois aprés il y fut élevé, ou confirmé par Robert de Genève, devenu Clément VII (5) qui le transféra ensuite, le 12 juillet 1385 (6), à Genève où il s’illustra en octroyant à cette ville la célèbre charte de franchises du 23 mai 13^7* Il parait ètre le dernier évéque qui n’ait pas fixé son siège à Clamecy ; c’est donc à lui que j’arréterai cette longue énumération, me contentant de renvoyer, pour ses successeurs, au livre de M. Chevalier-Lagénissiére, qui a suivi, dans ses moindres détails, l’histoire toute francaise de ces prélats, dont la résidence continue, sinon toujours à Clamecy méme, du moins en France, jusqu’à la Ré-volution, ne saurait ètre l’objet du doute le plus léger. (1) Arch. Vatic., Arm. L1V, 15 (De schismate, II, 1, f. 39*); le Cardinal signe: « Vesler lnimilis Gebennensis »; voir sur ces sollicitations de Robert Rayn. Annales, ad ann. 1378, n. 27, (à la fin); il est probable qu’Aimar fut alors un des agents actifs du schisme. (2) Vacant par la mort de Raimond de Castellane (1378, print.). (3) Vacant par la translation d’Aimar de la Voulte à Marseille. (4) Il en put étre de lui comme de plusieurs évéques, nommés par Urbain VI dans les premiers mois de son pontificat, et précisément comme d’Aimar de la Voulte et d’Artaud de Mélan, qui recurent ensuite de Clément VII nne seconde investiture: je dois ces renseignements à M. l’abbé Albanés, (5) Clementis VII Epist., 1378, 13 nov. (Albanés, Op. cit., pp. 2Ó*-27*). (6) Clem. VII Epist., 1385, 12 juill. (Albanés, pp. 27*-28*); il mourut le 8 octobre 1388 (Obituaire de S. Pierre de Genfae, éd. A. Sarasin, pp. 238-239)» une rue de Genève porte son noni. - 59i — V. Impossibili de concilier cette chronologie avec la théorie de Varazze. Si alors je retourne aux évèques dont je viens de dresser la chronologie , je serai en droit de demander en quelle année il est permis de les faire résider à Varazze: l’insuffisance partielle des documents laisse, il est vrai, dans cette chronologie, quelques petites lacunes. Mais ces lacunes se présentent toujours à la fin des épiscopats, lorsque ces épiscopats ne se terminent pas par une translation à un autre diocèse ; alors l’évèque vieilli ne provoque plus de témoi-gnages écrits de son activité, et sa mort, la plupart du temps de date incertaine, est naturellement suivie d’une vacance plus ou moins longue du siége. Vouloir d’ailleurs, que, dés 1139, c’est-à-dire trente ans à peine après l’érection du diocèse, et lorsque le royaume latin de Jérusalem, destiné à durer encore un siècle et demi, n’en était qu’à ses débuts, serait fermer les yeux à l’évidence historique. Puis comment expliquer que, dans cette longue suite d’évéques, ceux qui étaient de natio-nalité italienne, comme Rainerio, Giovanni Romano, Godefrido de’ Prefetti, Tomaso Agni, Ugo de’ Curcis, Ilario Corrado, Pietro de Segni, presque tous per-sonnages historiques connus, n’eussent laissé aucune trace de leur sèjour en Ligurie, s’ils y avaient eu réel-lement leur résidence? Enfin une derniére impossibilité vient du texte d’un document que j’ai signalè plus - 592 - haut (i), de l’importante bulle du 21 aoùt 1227, par laquelle Grégoire IX confirme les possessions de 1 église de Bethléem, et que Clément IV vint renouveler, le 11 mai 1266, par la pièce, mise au jour pour la première fois par M. Fazio, mais prudemment réduite par M. Rossi à une simple mention sans renvoi. Ces bulles, que je reproduis en appendice (2), con-tiennent l’énumération trés longue de toutes les possessions de Péglise de Bethléem en Orient et en Occident. Ces possessions paraissent avoir été de deux sortes : les possessions territoriales, qui se reconnaissent, en général, par les mots « cum pertinendis suis », ajoutés au noni du domaine ou du bénéfice possédé, et les patronats d église. En Italie seulement, quarante-sept diocéses (3) se parta-gent ainsi quatre-vingts possessions, dont environ soixante églises, et vingt hópitaux ou propriétés territoriales. Or S. Ambroise de Varazze est simplement 1 un de ces soixante sanctuaires; dans les bulles, rien ne le distingue des autres. En fait, il constitue un bénéfice moins riche et moins important que beaucoup de ceux-ci (4); et pourtant les bulles ont été obtenues (1) V. plus haut, pp. 549, n. 3, 579, 11. 4, et App., IV, n. ix. (2) App., IV, n. ix et xi. (3) Quarante comptés dans les deux bulles prises ensemble; il faut y ajoutre les possessions acquises postérieurement à 1266, et situées dans sept autres dio-cèses, dont sept dans l’Italie du Nord seulement, savoir quatre données par une pièce de 1365 {App. IV, n. xvm): Génes, Noli, Albenga et Novare, et trois par une pièce de 1389 (App., IV, n. xlii) : Vintimele, Bobbio et Mondovi. (4) Varazze ne rapportait que 4 florins d’or (App., IV, n. XXXVII, lxi; v. plus loin, p. 603, n. 2), tandis que S. Marie de Bethléem à Sienne en rapportait 20 (App., IV, n. lvi-lviii). Au point de vue religieux, Pétablissement bethléémitain le plus important de toute l’Italie était certainement à Pavie ; v. plus loin, pp. 631, n. 1 et 632, n. 1. - 593 - par des évèques italiens, Rainerio et Tomaso Agni, personnages importants, dont le second devint plus tard patriarche de Jérusalem. Faut-il admettre que, ré-sidant à Varazze, ils eussent négligé de faire consacrer, par une mention spéciale, la situation privilégiée de cette église ? ou, ce qui serait plus singulier encore, faut-il sup-poser que, dans lltalie seulement, les évéques de Bethléem eussent créé soixante résidences, soixante juridi-ctions différentes, enclavées dans quarante-sept diocéses ? Je laisse au lecteur le soin de répondre. VI. Sèrie italienne des évèques titulaires de Bethléem. Est-ce à dire cependant qu’il faille biffer d’un trait de piume tout ce qu’ont écrit les défenseurs de Varazze ? Non: car leurs assertions reposent sur un fonds de vérité; ils ont eu connaissance de piéces intéressantes, et, s’ils en ont tiré des inductions trop hasardées, c’est par suite d’une confusion que je vais expliquer, me réservant de restreindre ensuite leurs assertions dans de justes et trés-étroites limites. Ils n’en auront pas moins eu le mérite d’attirer l’attention sur des faits curieux et peu connus avant eux, et d’avoir ainsi jeté quelque jour sur une période importante de l’histoire ecclésiastique de l’O-rient Latin. Lorsqu’en 1378, éclata le grand schisine d’Occident, par la doublé élection d’Urbain VI à Rome (8 avril) et de Clément VII à Avignon (20 septembre), les évéques - 594 — trancais se rangérent, comme l’on sait, de l’obédience de ce dernier, et l’éyéque de Bethléem, dont les prédécesseurs siégeaient déjà aux conciles nationaux de France (i), et dont les lettres-patentes de Charles VI allaient, en 1413, assimiler les successemi aux autres prélats du royaume (2), fut naturellement du nombre. Urbain VI parait alors, les considérant comme vacants, avoir pourvu aux siéges dont les titulaires ne l’avaient point reconnu. Bethléem, occupé par un fonctionnaire de la cour de Clément VII et qui avait une partie de ses revenus en dehois de 1 obédience de cet antipape, dut ètre l’un des premiers; Urbain VI y appela un certain Julianus (3)- De son còte, Clément VII, voulant dédommager au plus tòt Aimar de la Roche de la perte de ses rentes italiennes, le nomina à S. Paul-Trois-Chàteaux le 13 nov. 1378(4)* et (I379> x3 et 27 juillet) (5), pourvut de l’évéché de (1) V. plus haut, p. 585, n. 8. (2) V. plus haut, p. 556, n. i. (3) Urb. VI Epist., 1380, 29 oct. (Lucca, Arch. capito!., ff S. 34> c't^c ^ans Mansi, Diario sacro, delle chiese di Lucca [Lucca, 1753. 8°], p- 389); v- plus loin, p. 607, n. 1). (4) V. plus haut, p. 590, n. 5. E11 l’absence des lettres de provision de Julianus, l’ordre exact de tous ces petits faits est conjectural ; quatre hypothèses pourraient étre formulées, qui, placant successivement la nomination de Julianus vers juin, octobre ou décembre 1378, ou vers la fin de 1379, feraient remonter à l’une quelconque de ces quatre dates de mois, la naissance de la doublé sèrie épiscopale de Bethléem: ci-dessus, j’ai préféré la seconde (octobre 1378) tandis qu’à 1 'App. I, pour plus de clarté typographique, et pour ne point avoir i scinder en deux parties, l’une légitime et l’autre schismatique, l’épiscopat d’Aimar de la Roche, je me suis servi de la quatrième (fin de 1379)- Je ne crois pas devoir aborder ici la discussion, très-ardue, de ces quatre conjectures ; elle m’entrainerait trop loin, sans offrir grand intérét, ni rien changer, d’ailleurs à ce qui va suivre. (5) Clem. VII Epist., 1379, '3 ÌU'H- (R*g- Aven. XIII, f. 528*) et 27 juill. (Reg. Vat., CCXCI, f. 68*). - 595 - Bethléem, fort réduit par le fait, Guillaume II de Vallan, de l’ordre des frères Prècheurs (i). Les deux prélats rivaux devinrent ainsi la souche de deux séries paralléles d’évé-ques de Bethléem (2), Fune franose, trés-connue, parce que les noms qui la composent sont ceux de per-sonnages plus ou moins marquants de l’histoire de Bour-gogne, l’autre, italienne, très-obscure, et qui, à peine soupconnée par les auteurs du Gallia christiana, a été, pour ainsi dire, découverte et mise en lumière par M. Chevalier-Lagénissière. Rien n’est plus difficile, en effet, que de dresser les listes des titulaires de siéges in partibus, listes qui se-raient pourlant si utiles pour établir, dans bien des cas, la date précise de certains documents soussignés par ces titulaires. Pour les époques anciennes, il ne paraìt pas y avoir eu de registres spéciaux de provisions (3); quelques (1) Confesseur et conseiller de Philippe-le-Hardi dès 1371, il ne quitta la cour de ce prince que pour remplir les mèmes fonctions auprès de Charles VI, aux comptes duquel il figure plusieurs fois de 1381 à 1388 (Paris, B. Nat., Lat. 17024, f. 80; cf. Cheval.-Lagéniss. , pp. 118-120). Il est à Clamecy le 26 septembre 1379. En 1388 (24 dèe.) il est transféré au siège d’Évreux, et meurt le 28 avril 1400. 11 eut pour successeur à Bethléera-Clamecy, Guillaume III Martelet, doyen de Nevers (Clem. VII Epist., 1388, 2 dèe. [R^. Aven., LII, f. 252] ; cf. Clem. VII, Oblig., XLIII, p. 118 et Oblig. serv. comm., 1188-1406, f. 3* [1389, 7 janv.]), et non un certain Jean de Genence, personnage imaginaire qu’il faut biffer des listes dominicaines. (2) La sèrie frangaise continue longtemps à se recruter dans l’ordre de s. Dominique, la sèrie italienne, au contraire, dans l’ordre de s. Francois. (3) Ughelli et d’aurres historiens ecclésiastiques du XVII' s. renvoient sou-vent, il est vrai, à des Libri provisionum, Libri de pmlatis, du XIV' et du XV' s., èvidemment différents des Registres consistoriaux, qui ne remontent qu’à 1409; mais il est certain que ces Libri, s’il existent encore au Vatican (?), ne sont pas à la disposition du public, et pourtant, sans leur secours, i'Oriens christ., le Gallia christ., et les autres recueils de ce genre, si mauvais pour le XIV' et le XV' s., et surtout pour Pépoque du grand schisine et des doubles séries épisco-pales, ne sauraient ètre utilement corrigés. — 59^ — bulles de ce genre sont mélées aux autres dans de nom-breux volumes, dont 1’analyse seule demanderà plusieurs siècles. Le P. Gams n’a donc pu joindre à son inap-préciable catalogue des évéques du monde chrétien, cet appendice si désirable ; et l’on ignorerait probablement jusqu à 1 existence de la sèrie italienne des évéques de Bethléem, si M. Chevalier-Lagénissiére, aidé par le P. Rattinger, n’en avait réuni quelques-uns dans un chapitre de son livre (i). A ces noms (2) vont venir s’ajouter ceux que nous apportent MM. Fazio et Rossi (3), et qui, mèlés par eux, à tort, à la liste réguliére de nos évéques, vont nous ramener à Varazze, et, en méme temps nous permettre d’expliquer l'apparente contra-diction que j’ai signalée plus haut, entre l’histoire véritable de l’église de Bethléem et les travaux des écri-vains ligures. Mais avant d’aborder cette explication et d étudier les relations réelles de Bethléem avec sa dépen-dance génoise, je renverrai le lecteur à la liste chrono-logique des évéques de Bethléem-Ascalon, que je donne en appendice. Cette liste lui fera saisir d’un seul coup d ceil (1) Pp. 27-36; une liste de onze évéques italiens de Bethléem se tiouve pp. 30-32. J’ai pu y ajouter treize noms, que j’ai puisés à des sources diverses, Pirri (Sicilia sacra, ff. 670, 1317) m’en a fourni deux; et il est évident que les titres des possessions italiennes de l’église de Bethléem en donneraient d autres, mais je n’ai fait qu’aborder cette étude. Ce qui rend très difficile la recherche de ces personnages (qui devaient tous ètre suffragants ou coadjuteurs d évéques italiens), c’est que les listes épiscopales d’Italie, au contraire de celles d’Espagne et d’Angleterre, passent sous silence les prélats de cette catégorie ; cependant il ne doit manquer à 1 'App. n. I que quatre ou cinq noms de la sèrie italienne de Bethléem ; je n’ai trouvé d’autre part, aucun sceau qui se rapportàt à ces evéques. (2) Le P. Gams en a mélé deux ou trois dans la sèrie frangaise qu’il donne seule. (3) Ces deux noms n’étaient pas, d’ailleurs, incomius; M. Chevalier-Lagé-nissière (pp. 30, 128, 131) parie en eftét de l’un d’eux, Lanfranco, et l’autre est donné par Pirri (Sicilia sacra, f. 1317«). - 597 — 1 existence parallèle des deux séries épiscopales — la sèrie frammise se maintenant sans interruption, bien que dis-cutée quelquefois en cour de Rome (i); la sèrie italienne survivant au grand schisine, et ne s’éteignant qu’à la fin du XVT siècle, lorsque les rois de France se dé-cidérent à contresigner les présentations des ducs de Nevers, toujours contestées jusque là par le S. Siége (2), et obtinrent ainsi la suppression du titre rivai italien. VII. Histoire vraie des relations de Téglise de Bethléem avec Varazze. Si je n’avais eu à ma disposition que les documents, dont se sont servis les historiens de Varazze et que vient de publier le chanoine Astengo, il m’au-nait été difficile d’établir, avec précision, Phistoire des rapports (1) Pour Phistoire de ces péripéties, je ne puis que renvoyer aux détails très-intéressants donnés par M. Chev.-Lagéniss., ì.c. et pp. 172, 187, 200, 212, 267. (2) 11 est assez difficile de déterminer comment cette doublé sèrie a pu ainsi se maintenir après 1447: il y eut là une confusion apparente, dont la cause vé-ritable est très obscure. Outre les deux séries dont je viens de parler, deux ou trois autres se détachèrent de la souche bethléémitaine, l’une portant le titre de Bethléem-Ascaloii, jusqu’au XVII' siècle, puis d'Ascaìon seul : elle s’est perpétuée jusqu’à nos jours; deux autres nommées aussi d'Ascaìon, mais qui paraissent n’avoir duré que pendant le XVI' siècle; la confusion fut telle, à un certain moment, que de 1508 à 1511, il y eut simultanément deux évèques de Bethléem, deux d’Ascalon-Bethléem, et deux d’Ascalon seul. Je ne veux pas compliquer les faits, si embrouillés, dont je m’occupe ici, de cette question adventice, déjà posée par M. Chevalier-Lagénissière (pp. 27-36). Elle est intimement liée à l’origine, encore mal déterminée, des évèques in partibus infidelium, et je me propose de la traiter ailleurs avec détails. Le lecteur trouvera, du reste, au tableau, qui forme 1 'App. I, les premiers résultats de mes recherches sur ce sujet, au point de vue des noms et des dates. — 598 — de Bethléem avec sa dépendance de Ligurie; mais heu-reusement — et, bien que, par une fatalité inexplicable, tous les autres titres du bénéfice de Varazze paraissent avoir péri, ainsi que le dossier du procès, à la suite duquel les évéques italiens de Bethléem, furent dépossédés de ce bénéfice (i) — le trésor inépuisable de l’Archivio notarile de Gènes (2) m’a fourni un certain nombre de pièces assez importantes pour me permettre d’aborder, sans hésitation, l’étude de ces relations jusqu’ici si obscures. Il nous faut revenir en premier lieu , à la donation du 27 janvier n39 (3): elle est faite par Ardizio, évéque de Savone, du consentement du chapitre et des fidéles de ce diocése, à Anselin, évéque de Bethléem, représenté par un fondé de pouvoirs ad hoc (4), et a ses (1) Le dossier de ce procès, dont l’archevéque, Pileo de Marinis, lut le juge arbitrai, devrait naturellement se trouver aux archives capitulaires de Gènes: il en aurait disparu. Si l’on en juge par la numération en cinq séries, A, a, eia, a, et aa, des pièces qui le composaient, et dont un document, publié par M. Astengo a la suite de Verzellino (I, pp. 586-594; plus loin, App., IV, n. lxi), cite quel-ques-unes par les numéros de leurs cotes, il devait ètre considérable. A péri aussi le dossier d’un procès antérieur (terminè en 1390 par une transaction), dossier qui devrait se trouver aux archives capitulaires de Savone. Enlìn la partie des archives de S. Maria delle Vigne à Gènes, relative aux prévóts de cette collégiale et qui aurait pu nous fournir des pièces importantes (voir plus loin p. 614), n existe plus. Ce qui est peut-ètre plus étonnant, (car là les documents existent), c est la stérilitè absolue des registres de l’Archivio notarile de Savone, relativement à notre sujet; cette stérilitè ne peut s’expliquer que par le fait, que toutes Ics aflfaires engagées entre Savone et Bethléem se seraient traitées à Gòues; ce qui nous éloignerait encore de Varazze. U) Je dois l’indication de ces documents à l’amitié de M. le prof. L. Bel-grano et de M. le ch.r C. Desimoni. (3) V. App., IV, n. 1. (4) Prapositus, de fonctions encore mal définies: cent ans plus tard (1211, 15 aoùt) un dignitaire semblable, Giovanni Grosso, représente à Plaisance l’évéque de Bethléem (Plaisance, Arch. cathedr., Conccss. 11. 5 ; acte communiqué par M. l’archiprètre Tononi). - 599 ~ successeurs. Elle comprend l’église de S. Ambroise de Varazze et tout ce qui lui appartient, ainsi que les « officiales » de cette église avaient coutume d’en jouir, L acte comporte deux conditions: i.° les clercs, institués dans l’église de S. Ambroise par le préposé de Pévéque de Bethléem, seront consacrés par celui de Savone; 2° les évéques de Bethléem, ou leurs fondés de pouvoirs, de-vront punir les « officiales » de S. Ambroise, qui auraient manqué à la toi ou aux bonnes moeurs: « qui » catholice seu honeste non vixerint ». Il n’y a là qu’un abandon de patronage, la cession d’un bénéfice ecclésiastique avec les revenus y afférant: il n’y est point question de Pabandon total de la juri-diction (puisque l’évèque de Savone se réserve formelle ment l’administration aux clercs des ordres sacrés), mais seulement de Pabandon de la police ecclésiastique. Cette donation est analogue à cent autres, faites, en Occident, dans des conditions semblables, aux diocéses, ordres religieux et militaires, ou sanctuaires de la Palestine ; pas un mot n’y fait allusion à la nécessité, à Popportunité méme de créer un asile à une église orientale menacée par les Infidéles. En effet, comme nous l’avons vu plus haut, les annales des évèques de Bethléem se déroulent sans incident en Terre Sainte jusqu’à l’occupation de cette ville par-aladin (1187). Les trois croisades, qui suivirent cette catastrophe, prolongent en Terre Sainte une situation extrèmement trou-blée qui dure plus de trente ans: si les clercs de Bethléem peuvent, pendant cette période, entretenir le culte dans la basilique de la Nativité, leurs évéques suivent les années croisées et ne quittent point les camps. Ce — 6oo — n’est qu’ aprés l’expédition d’Égypte, qu ils peuvent songer à reconstituer peu à peu leur diocèse. Pensérent-ils dés lors à s’assurer, en Europe, un ou plusieurs asiles, au cas, plus ou moins rapproché, ou la peisécu-tion musulmane viendrait à leur rendre impossibile le séjour de la Palestine? il est permis de le supposer. Mais ce qui est certain, c’est que, malgré la situation excep-tionnellement favorable de Varazze, voisine de deux points d’embarquement pour le Levant, Génes et Savone, et la sympathie que Rainerio, le premier évèque de Bethléem de nationalité italienne, devait avoir pour cette dé-pendance de son diocèse, la petite cité ligure ne fut point choisie par lui comme pouvant, à l’occasion, servii de refuge à son église orientale. En voici la preuve indiscutable : au temps méme où Rainerio, accompagnant le roi Jean de Brienne et les grands-maitres des trois ordres militaires, siégeait (mars 1223) à la conférence de Ferentino, un procés ecclésia-stique s’engageait entre le bienheureux Albert de Novare, évèque de Savone, et Oberto de Ponzone, recteur de Varazze. Les juridictions respectives des évéques de Savone et de Bethléem n’avaient point, il est vraì, été mises en cause, non plus que le patronat ou l’administration spirituelle de l’église de Varazze; mais il n’y en avait pas moins eu excommunication lancée par Albert de Novare, contre Oberto de Ponzone, à la suite du refus que ce dernier, s’appuyant sur les priviléges de l’église de Bethléem, avait opposé au paiement de di-verses taxes (1) réclamées par le premier; l’église avait (1) La bulle postérieure de Grégoire IX (21 aoùt 1227; App., IV, n.° ix) paraìt en comporter l’exemption; et, sur ce point, elle ne doit que répéter les — 6oi — été mise en interdit. La cause était venue devant le S. Siége, qui avait commis, pour la juger, deux chanoines de Génes, Rainaldo et Bertoleto: et elle avait paru assez grave à Rainerio pour qu’il fut accouru la surveiller en Ligurie. Le 12 décembre 1223 , il était à Varazze, assistant le recteur dans un acte, par lequel celui-ci confiait ses pleins pouvoirs au prètre Guido de Perreto (1). Le procès fut plaidé au mois de janvier suivant ; et bien que Rainerio vint, quelques mois au-paravant, d’exercer, dans une affaire importante, à la-quelle avait été mélé le nom de l’un des deux juges, Bertoleto (2), les fonctions de délégué d’Honorius III (3), bien que le défenseur de Bethléem eùt excipé, entre autres arguments, d’un privilège pontificai « interdisant à » tous les évéques, sous peine d’encourir eux-mémes » l’excommunication, d’excommunier soit ceux de Beth-» léem, soit leurs clercs » (4), la cause fut jugée le priviléges antérieurs, aujourd’hui perdus, de Pascal II, Calixte II, Innocent II, Lucius II et III ; mais le recteur de Varazze ne put probablement produire aucun de ceux-ci. Il est curieux, du reste, de remarquer que, pour Savone, la première de ces sommes, dix sous de Gènes, rédamée au nom de Pietro Bussetto, évéque de Tortone, délégué du Cardinal Ugolino d’Anagni (plus tard Grégoire IX), cbargé alors de prècher la croisade dans l’Italie du Nord et d’y percevoir les décimes votés par le concile de Latran (1215), doit précisement correspondre à la part afférente à l’église de Varazze dans le « secours de Terre Sainte ». (1) App., IV, n. vi-vii. On peut voir par les dates de ces pièces que les que relles entre Savone et Bethléem ne prireut point naissance à la suite de la fondation de l’évèché de Noli (1239) (corame on l’a prétendu), mais bien avant. (2) Honorii III Epist., 1223, 30 nov. [Reg. Vatic., XII, f. 1233): v. plus haut, p. 567, n. 2. (3) Hon. III Epist., 1223,4 mai et 14 aout-io sept. (Reg. Vatic., XII, ff. 56a, 931). (4) Ce privilège, antérieur à 1223, est perdu: mais il nous en est parvenu un à peu près semblable, accordè vingt-six ans plus tard à l’évèque Godefrido de’ Prefetti (Inn. IV Epist., 13 avr. 1248 [$$■. d’Inn. IV, éd. Berger, I, p. 583]); — 602 — 29 janvier en faveur de Savone (1), et Rainerio quitta brusquement la Ligurie. Deux mois aprés (1224 mars) (2), nous le retrouvons en Nivernais, au chàteau de Druyes, occupé à consolider une autre dépendance de son diocèse. A ne con-sidérer que les termes des donations respectives, cette autre dépendance, plus considérable comme étendue territoriale et comme revenus, que l’église de Varazze, se prètait pourtant, encore moins que celle-ci, à la création d’une juridiction indépendante, puisque, consentie par un seigneur la'ique, elle ne comprenait, en fait d établis-sement ecclésiastique, qu’une chapelle d’hópital, et que la donation du comte de Nevers ne faisait pas la plus légère allusion (3) à des droits épiscopaux quelconques à faire valoir sur le territoire cédé. Nous avons vu plus haut que, de cette libéralité purement territoriale, les évèques de Bethléem, profitant de ce que 1 un des bénéfices donnés avait été l’objet d'un conflit de juridiction entre deux diocéses, sur la frontière desquels il se trouvait, avaient habilement ìéduit en 1245 (4) d abord, puis en 1291 (5), par deux conversions en rentes, leurs et de plus, dans la bulle de Grégoire IX (21 aoùt 1227; App., IV, n. ix) la défense d’interdire les églises bethléémitaines est exprimée formellement: « De-» cernimus autem ut nulli hominum fas sit prefatam Navitatis Christi ecclesiam » vel ecclesias, ad eam, in quocumque episcopatu pertinentes, temere perturbare.... » aut in eis divina officia interdicere ». (1) Génes, Arch. di Stato, Arch. notar., Notulario di N. Salomone ann. 1222, f. 1284: je publie cette pièce et les deux citées p. 601, n. 1, à 1 'App., IV, n. vi-vili. (2) Voir plus haut, p. 568, n. 1. (3) Voir le texte de la confirmation de 1224 dans Chevalier-Lagénissière, pp. 76-77. (4) V. plus haut, p. 574, 11. 4. (s) V. plus haut, p. 582, n. 3. — 603 — possessions nivernaises à ce bien unique, et avaient ainsi, aux dépens des évéques d’Auxerre, dont un jugement confirmé solennellement le 28 aoùt 1218 (1) par Honorius III avait pourtant consacré les droits, réussi à transformer ce bien en un diocése autonome, qui dura jusqu’à la Révolution. S il avait eu quelque chance de faire la méme chose à Varazze, Pitalien Rainerio n’eùt-il pas préféré de beau-coup une ville maritime italienne avantageusement située, et en rapports continuels avec le Levant, à une bourgade frammise éloignée de la mer de prés de cent cinquante lieues? s’il ne l’a pas tenté, et cela, malgré les termes beaucoup plus vagues et plus élastiques de la donation d’Ardizio, c’est évidemment qu’il a reconnu ne pouvoir rien faire en Ligurie, et qu’en réalité il n’y a rien fait. Nous avons vu les autres évéques italiens, succes-seurs de Rainerio, encore plus indifférents que lui aux droits de l’église de Bethléem sur Varazze: cette dé-pendance constituait pour eux une rente de quatre florins d’or et rien de plus (2). En 1244, Godefrido de’ Prefetti passe bien, avec Innocent IV, plus de trois mois (7 juillet-24 nov.) en Ligurie, et couche méme à Varazze (3), dans la nuit du 6 au 7 octobre; mais c’est (1) Honorii III Epist., 1218, 28 avr. (Reg. Vatic., IX, ff. 244**245 Pressuti, n. 1223; Bibl. patrist., II, pp. 715-722). (2) Pièces de 1387 (App., IV, n. xxxvn) et de 1424 (d. Verzellino, I, 588 et App., IV, n. lxi). Les bàtiments étaient occupés par le recteur de S. Ambroise; v. plus haut, p. 592, n. 4. (3) Arrivé à Gènes le 7 juillet (v. plus haut, p. 574, n. 1), le pape en part le 5 octobre, va coucher le 6 à Varazze, et se réfugie le 7 au chàteau de Stella, au dessus de cette ville; il y demeure jusqu'au 24 nov. et le quitte pour gagner Asti (Barth. Scriba, Annales [M. G., SS., XVIII, p. 215]; Nicolaus de Curbio, Vita Innoc. IV, c. 15 [Muratori, SS. RR. Ital., Ili, 1, p. 592]). — 604 — pour aller en France, et quelques mois d’ailleurs avant son élévation à l’épiscopat. Une fois évéque, on ne le voit point, bien que favori d’Innocent IV, user de 1 au-torité que le pontife, jadis Sinibaldo de Fiesque, avait conservée dans son pays natal, pour triompher des pré-tentions de Savone et faire à Varazze (ce qui lui eut été certainement très-facile), ce qu’il préféra, à la suite de Rainerio, créer à Clamecy. Tomaso Agni ne paraìt point étre jamais venu à Génes; et c’est en France, et non à Varazze, que s’exerce l’activité d’Ugo de Cuicis. Et pourtant nous voici arrivés à une date cntique: en 1266, le sultan d’Égypte expulse les Latins résidant à Bethléem (1); temporairement l’accés de la ville n est plus permis qu’aux pélerins de passage (2); Acre, leui dernier asile, va tomber (18 mai 1291) aux mains des Infidéles, et c’est précisément pendant le dernier siége de cette malheureuse ville, qu’Ugo de Curcis consolide, par un troisiéme et dernier acte, son établissement de Nivernais (3): il n’a pas été un instant question de transférer l’église de Bethléem en Ligurie. Les trois premiers quarts du quatorziéme siècle vont s’écouler sans que nous trouvions d’autres rapports entre l’église de Bethléem, devenue franose, et sa dépendance de Varazze, que trois nominations de recteurs de S. Am- (1) Minorit/E Erphord. Chronicon; Sifridis de Balnhusen Comp. histor. (M. G., SS., XXIV, p. 205, XXV, p. 706). (2) A la suite de la trève du 24 mai 1271 (Menconis Chronicon [M. G., SS,, XXIII, p. 558]); en 1277, un firmati du sultan d’Égypte serait venu y confirmer l’autorisation du culte latin (Eugène Boré, Question des LL. SS. [P., 1850, 8°J. pp. 6, 62-63); v- P- 571 » n- i- (3) V. plus haut, p. 582, n. 3 : le siège d’Acre dura du 5 avril au 18 mai 1291 et la cliarte de Montenoison est du 27 avril. — 6oj — broise (i), une visite problématique de l’évéque Vulfran d Abbeville en juin 1306 (2) et l’institution, par ses successeurs, de vicaires chargés d’administrer leurs biens italiens: Domenico de Campo en 1347 (3), Martin, évéque de Sébaste en 1356 (4), Pietro de Marigliano, évéque de Ténédos en 1364(5) et Guido d’incisa, évéque d’Aqui, en 1365 (6). Nous avons les pouvoirs de ce dernier : il était chargé de l’administration , tant spirituelle que temporelle, de toutes les dépendances de l’église de Bethléem, dans les diocéses de Génes, Savone, Albenga, Asti, Alba, Acqui, Verceil, Tortone, Pavie, Novare et Turin, c’est-à-dire en Piémont et en Ligurie. Varazze ne figure pas nominativement dans ces pouvoirs, qui, parlant de biens situés dans k diocése de Savone, recon-naissent implicitement que l’église de S. Ambroise apparai Liste de collations, d. Verzellino, I, pp. $10-511; App., IV, n. xiu-xvn. (2) Ibid., I, p. 5*0 Nous n’avons que l’intirulé de la collation {App., IV, n. xiv); l’acte est bien passé à Varazze; mais il a pu Tètre au nom de Vulfran, par un procureur ad hoc. (3) Liste, d. Verzellino, I, p. 510; ci-dessous, App., IV, n. xv. Ces vicaires-généraux paraissent avoir remplacé d’autres fonctionnaires ecdésiastiques, qui portaient, au XII' siècle, le titre de « Praeceptor et procurator omnium eccle-» siarum [Lombardia et Marchia], pertinentium ad ecclesiam S. M. de Bethleem » (Acte du 9 mars x 188 [Plaisance, Arch. comun., Reg. nud., f. 91 £; Reg. mag., f. 134^]). Je dois ce renseignetnent important à l’obligeance de M. l'archipr. G. Tononi, de Plaisance. (4) Ibid., I, p. 257. (5) Ibid., I, p. 511; ci-dessous, App., IV, n. xvii. (6) Moriondus, Monum. Aquensia, I, pp. 359"3^3! ci-dessous, App., IV, n. xyiii-xix. Les pièces, que nous donnons en appendice, en énumèrent pour la Ligurie plusieurs, dont nous parlerons plus loin ; la pièce n. xlii nomme Giacomo de Rivo, c'.erc d’Asti, vicaire-gènèral dans les diocéses pièmontais: la pièce 11. lui (1400, 17 dèe.) nomme vicaire-géuèral en Sicile, Antonio de Boscari qui a rempli ces fonctions dès 1392 et jusqu’en 1401 (Pièces de 1392, 1397, 1401, citèes par Pirri [Sicilia sacra, f. 1317^). Nous trouvons aussi des procureurs en cour de Rome de l’èvèque de Bethléem, en 1386 et 1389 (dpp., n. xl et xliii). Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XVII. 39 — 6o6 — tenait à la juridiction des évéques savonais. Ces vicaires, dont l’administration s’étendait à des possessions apparte-nant à onze diocéses différents, et qui ne devaient pas étre seuls en Italie (i), paraissent avoir exercé paisiblement leurs fonctions: l’église de Bethléem ne se livrait a au-cun empiétement ; ses représentants, qui n’avaient aucune raison de résider dans le diocèse de Savone plutót que dans 1 un quelconque des dix autres, ne vivaient pas en mauvaise intelligence avec les prélats piémontais et gé-nois (2); et le 24 octobre 1356, nous voyons Martin, évèque de Sébaste, siéger comme fondé de pouvoirs de 1 évèque de Bethléem au synode de Savone (3), con-voqué par l’évéque de cette derniére ville, Antonio II, des marquis de Saluces. Vili. Fin de ces relations. Querelle des évèques de Savone et de Bethléem. Nous voici arrivés à l’époque du grand schisme: jus-qu’au dernier moment, les évèques résidant en France, font administrer, à leur profit, les biens italiens de l’é-glise de Bethléem (4) ; mais les choses vont changer de face. (1) Il restait, en effet, en dehors de ces pouvoirs, les biens de la Lombardie, de l’Italie centrale et de la Sicile; par contre il ne parait pas qu’il y en ait eu en France: là où ils rèsidaient effectivement, nos évéques n’en avaient pas besoin. (2) Comme le veut M. Rossi (p. 60) pour les évéques de Savone: les piéces du procès qui suivit ne contiennent pas un mot à l’appui de cette assertion. (3) Verzellino, I, p- 257; on n’a que la date de ce synode, et la liste de ses principaux membres : il faut remarquer que Martin y figura avec les pouvoirs de Pierre III, mort depuis quelques mois et déjà deux fois remplacé. (4) V. plus loin App., IV, n. xvm. — 607 — J ai dit plus haut qu’Urbain VI, avait nommé évéque de Bethléem un certain Julianus, qu’il remplaga bientót, du reste, à cause de ses déportements, par un fran-ciscain, Giovanni Salvuzzi, de Fucecchio (i), tandis que Clément VII avait donné pour successeur à Aimar de la Roche , Guillaume II de Vallan. Naturellement la nouvelle résidence de Clamecy et toutes les possessions de l’église bethléémitaine, situées dans les diocéses de l’obédience de Clément VII, restérent aux mains de ce dernier (2), dont les successeurs paraissent méme avoir pu en conserver quelques-unes situées dans l’obédience d’Urbain VI (3). (1) Urb. IV Epist., 1380, 29 oct. (Lucca, Arch. capitol., -j-fS. 54); je n’ai, de cette pièce, qui n’a pu encore étre retrouvée, que la cote conservée par Mansi, dans son Diario sacro delle chiese di Lucca (Lucca, 1753, 8», p. 389) et suivant laquelle Julianus était « reo di molte iniquità ». Il serait possible que la dé-position de ce prélat ait eu une toute autre cause, et que, mécontent d’avoir été moins bien traité par Urbain VI qu’Aimar de la Roche par Clément VII il eùt simplement passé au schisme et requ un autre siège (V. plus haut, pp. 590, 594). Il y aurait peut-ètre lieu, en ce cas, de Tidentifier avec quelqu’un des nombreux Julianus, qu’offrent, à cette époque, les listes épiscopales d’Italie (Acerno, Bova, Capri, Carignola, Castellamare, Nicastro), sans compter un évéque de Chiron, un de Rethimo et un de Gerapetra, en Créte (FI. Cornelius , Creta sacra, II, pp. 109, 121, 141), et un archevéque de Tarse (Wad-ding., Ann. minor., IX, p. 32). (2) V. plus haut, p. 594. (3) En 1438, nous voyons l’administration des biens siennois de Bethléem, que l’évèque italien, Lanfranco avait en 1413 (v. plus loin, p. 618, n. 4 et App., IV, n. lvi-lviii) emphytéosés pour 29 ans, soit jusqu’en 1442, donnée par l’évèque fran-gais, Jean IV-Raimond de la Rochaz, à un chanoine de Sienne, Domenico Pavolo (Pièce du 30 avr. 1432, citée dans le Diario de Girol. Gigli [Lucca, 1723, in-4°|, I, 390). En t 389 (V. App., IV, n. xlii), les fermiers des biens piémontais de Bethléem font stipuler ; dans leurs baux, une décharge pour le loyer des possessions, situées dans des diocéses qui auraient reconnu ou viendraient à reconnaitre le pape franqais. Cette lutte entre les évéques des deux séries ne parait pas avoir, comme elles-mèmes, survécu au grand schisme. En Sicile, on ignore jusqu’à quelle date gouvernèrent les évéques frangais: une pièce anonvme, citée par - 6o8 - Mais de leur coté, les évéques italiens ne pouvaient négliger ces derniéres, et en particulier celles d’Italie, de beaucoup les plus nombreuses et les plus riches (i); et cela leur était d’autant plus facile qu’ils possédaient à Varazze une copie de la bulle descriptive de Clément IV, bulle qui paraìt (je ne puis dire pour quelle raison) avoir manqué aux archives de Clamecy (2). Ils étaient d’ailleurs dans leur droit en agissant ainsi, puisqu’ils tenaient leurs pouvoirs du pape reconnu comme légitinie en Italie. Nous savons peu de choses de ce Giovanni Salvuzzi, qui, sur la demande des habitants de Lucques (3), fut transféré dans cette ville en 1384 (4). Son successeur immédiat, un anglais, William de Bottisham, référen-daire du Sacré Palais, transféré en 1384 du siége de Canatha (5), vivait en janvier 1385 à Luceria, auprés Pirri (Sicilia sacra, f. 1317") avec le renvoi: « In reg. cance.ll. ann. 1392, ind. I, » /. 120 » et où fìgurait un évèque de Bethléem, dont Pirri ne donne pas le noni, aurait tranché la question : mais M. V. Bozzo, de Paierme, qui a bien voulu la chercher pour moi, ne Pa pas retrouvée. En 1479, c’est l’évèque italien qui ad-minisjre les biens bethléémitains de Sicile (Pirrus, Sicilia sacra, f. 1318). (1) En 1386, elles furent affermées 250 florins d’or (App., IV, n. xxxv); mais cette somme ne parait comprendre que les revenus tcrritoriaux et non les cens ecclésiastiques et le produit des quétes, ainsi qu’il appert de la pièce n. xxxvi. (2) V. plus haut, p. 551, n. 2. (3) Anzian. Lucensium Epist. ad Urbanum VI, 1383, 21 aoùt (Lucca, Ardi, di St., Reg. 530, f. 202*). Il Pavaient dèjà demandò pour évèque trois ans au-paravant, 23 sept. 1380 (Ibid., f. 130). (4) Ughelli, Italia sacra, I, p. 824. Il fit son entrée le 20 janv. 1384 (Consil. Lucens. Deliber. (Lucca, Arch. di St., Cons. gener., IX, p. 20) et re$ut le pallium le 3 mars (Ibid., Arch. arcivesc., I * 76); il mourut le 24 sept. 1393. Je dois ces indications à Pobligeance de M. Giov. Sforza, secr. de PAcad. royale de Lucques, qui m’a fourni les éléments d’une notice, actuellement en préparation, sur ce prélat. (5) Il figure au concile de Londres, 1382, 25 juill. et 21 mai (Wilkins, Condì. M. Brit., Ili, 158; Londres, Br. Mus., Cott., Cleop. E2, f. 153) comme « ep. Na-» natensis ou Natatensis », nom très douieux, qu’011 .1 identifié à tort avec Lem- — 609 — dUibain VI qUi l’envoya comme d’abord nonce en Espagne (2), puis le nomma, le 16 octobre, évéque de Llandaff (3). Aprés lui vient un franciscain génois, Lanfranco , avec lequel vont commencer, et les pré-tendues tentatives d’établissement à Varazze, et les que relles avec les évéques de Savone. Qu un prélat génois, muni d’une donation qui pouvait préter à certaines interprétations plus ou moins discu-tables, ait cherché à faire de cette donation comme la première assise d’une juridiction indépendante, il n’y aurait rien là de très-étonnant. Que de leur cóté, les évéques de Savone, instruits par l’exemple de Clamecy, qu’ils devaient parfaitement connaìtre et dont la guerre avec le diocése d’Auxerre, allait commencer (4), aient vu avec chagrin apparaitre subitement dans leur voisinage, des prélats dont les prédécesseurs vivaient absolument étrangers aux affaires ecclésiastiques de Ligurie, aient craint la création à leur porte et à leurs dépens d’un second Clamecy (5), et aient tout fait pour l’empécher et pour écarter des con- rich (?) en Irlande, ou avec une hypothétique Pavada (Patteas mal lu) mais qui peut doit correspondre à Canatha (Kavo0à), diocése de la province de Bostra, ou à Magnata, (pour Magnèsie). (1) Thomas Walsingham, Historia Anglicana, éd. Riley, II, p. 124. (2) Arch. Vatic., Bonif. IX Divers., Arni. XXIX, I, f. 293 «. (3) V. Rymer , Fccdcra, VII, 478; cf. VII, 542; Rotuli liti, pat., 10 Rich. II, 1, n.° 30 (1386, 21 aoùt); Le Neve, Fasti eccles. Angl, pp. 247, 565. Le 27 aoùt 1389, il fut transféré à Rochester (Th. Walsingham, II, 180) et mourut le 12 fé-vrier 1400; cf. Fr. Godwinus, De praesulibus Anglia, pp. 533,607, et Londres, Arch. de Lambeth, Reg. Arundel, f. 266. (4) V. Chevalier-Lagéniss., p. 127; sur cette guerre, cf. pp. 74, 161, 286. (5) Ils avaient d’ailleurs, en Italie méme, au moins un autre exemple d’une juridiction orientale, implantée dans un diocése d’Occidcnt, depuis le milieu du XIV « s.: les évéques de Nazareth, établis à Barletta; v. Arch. de l’O. lat., I, p, 707, n. 5. — 61 o — frères qui pouvaient devenir génants, on pouvait le re-garder comme une conséquence d autant plus inévitable de la situation respective 'des églises de Savone et de Varazze, que celle de Savone avait déjà, depuis quelques années, pris les devants sur les empiétements possibles des évèques de Bethléem, en empiétant elle-méme sur le simple droit de nomination au rectorat de Varazze, droit à peu prés indiscutable des prélats bethléémitains. et qui n’avait point été mis en cause au XIII" siècle (i). Si l’on ajoutait à cela que l’évèque, qui vint occuper, en 1386, le siège de Savone, Antonio III de Viali, connaissait d’autant mieux le fort et le faible de la partie adverse, qu’il avait été lui-mème recteur de Varazze en 1382 (2), on devait conclure, sans peine, que la querelle, déjà engagée entre Savone et Varazze quelques années auparavant, dut éclater avec une certame intensité entre deux personnages d’intéréts aussi divergents que Lan franco et Antonio de Viali. Et pourtant cette querelle, ainsi que nous allons le voir, se réduisit à fort peu de chose, et comme duree et comme importance; et l’on y chercheiait vainement, de la part des évèques bethléémitains, une véritable ten- tative de convertir Varazze, comme on a paru le croire, en un diocèse indépendant. Reprenons rapidement, à Faide des documents récemment mis en lumière par le chanoine Astengo et de quelques autres, qui malheureusement laissent encore regi etter de trop nombreuses lacunes, l’histoire de ces contestations. (1) V. plus haut, p. 601. (2) Dominici de Lagneto, ep. Savonensis, Epist., 4 janv. 1382 (Verzellino, I, pp. 557-558; App., IV, n. xxii). — 611 — Deux ans à peine aprés le commencement du grand schisine, Domenico de Lagneto, qui venait d’étre nommé évéque de Savone, profitant de l’espéce de vacance, que l’impuissance des prélats de Clamecy et l’absence de leurs rivaux Giuliano et Giovanni Salvuzzi (i) avaient \ produite dans le gouvernement de l’église de Varazze, probablement aussi de l’état d’abandon où se trouvait la ville, absolument dépeuplée à la suite de la peste de 1375 , qui avait peut-étre fait disparaitre tous les fonctionnaires ecclésiastiques dépendant de Bethléem-Clamecy (2), s’empresse de pourvoir (1381) (1) On ne les trouve dans aucun acte génois. (2) Cet état d’abandon est décrit dans un récit fait en 1381, par un témoin oculaire, Simone Maffeo, de Varazze, du passage de s.1' Catherine de Sienne dans cette ville, au retour de son voyage d’Avignon: « [S. Catarina] passò nel detto » luogo di Varagine per vedere la patria del beato Giacomo, arcivescovo di » Genova, col beato Raimondo da Capua, suo confessore, et ambedue dell’ or-» dine de’ Predicatori ; trovò il detto luogo per la strage, che de suoi habitatori » fece la peste, quasi affatto dishabitato, talmente che non vi essendo rimasti » che ben pochi, onde (sic) meno però, che tutte le case erano dishabitate, e » l’erba cresciuta in sin sù le porte, stentò a ritrovare chi l’albergasse, et alla » fine, passando per una strada, dove si ritrova l’ospitale, chiamata hora Dietro » la casetta, s’incontrò con una donna, chiamata Orivetta Costa [Scotta], quale l’al-» bergò in sua casa, e gli ragguagliò la causa della distruzione del detto luogo; onde » sì per tal racconto inhorridita, che per quello havea veduto nelle contrade, » si mosse a pietà con far orazione.... » (Estratto della rela{ione di S. Maffeo [Siena, Bibl. conim., F. Ili, 7], f. 325; pubi. d. le Giorn. Ligustico, 1885, XII, pp. 464-467). L’hypothèse que je formule ici s’appuie d’ailleurs sur ce fait que l’hospice de Varazze, centre naturel du fléau, dépendait du bénéfice bethléémi-tain. S.’° Catherine de Sienne arriva à Varazze, le 2 octobre 1376, poussée par la tempéte, et non, comme on l’a dit (Vita di s. Catarina di Siena [citée plus loin], pp. 44-45); pour y solliciter, en faveur de la croisade, le concours de l’évèque de Bethléem, qui n’y était pas ; elle en partit le 6 pour gagner Génes par terre (Vita di s. Cat., p. 43). Sur son voyage, son séjour à Varazze, et l’état où elle trouva la ville, voir: Legenda minor s. Cath.., II, c. 8; Raim. de Vinea, Vita s. Cath., 1. I, c. 6, 1. II, c. 12 (AA. SS. Boll., 29 apr., III, pp. 877-878 , 919), qui ne nomment pas le port où aborda la sainte; Process. Q — 612 — du bénéfice bethléémitain, son propre onde, Antonio de Viali (i). A partir de cette date, il ne cesse de s ingérei dans les affaires ecclésiastiques de S. Ambroise: le proiecteur Pasquale de Rapallo, qui avait, sans doute, été nommé par Guillaume de Vallan, est cité à comparaitre (1381, 14 nov.), pour faire reconnaìtre et confirmer sa col-lation (2), et, six semaines aprés, pour payer 46 florins d’or (3). Puis, au moment où Antonio de Viali va ètre nommé évéque de Sisteron (4), Domenico de Lagneto lui donne pour successeur ou plutót pour vicane, sur sa présentation, un certain Marco de Guidoboni, de Tortone (5). Viennent ensuite (1382, 26 avril et 18 dèe., et 1383, 30 janv.), des sommations au podestat de Va razze, qui avait voulu juger certaines causes réservées au contest. fr. Bartol. de Senis de sanctit. s. Catharina, n. 67 [Maitène, Ampi is coll., VI, p. 1325); Processus ms. (Siena, Bibl. comm., I, III, f. 126 [citc dans Vita di s. Cat., pp. 45-46]); fr. Stephani Maconis Visio (Siena, Bibl. comm. G. V, 24 [Vita di s. Cat., pp. 47-52]); P- Marcolino Pelazza, Vita e . Giacomo di Varale (Genova, 1867, 12°), pp. 101-102; Vita di s. Catarina Siena, seguita di documenti e note Varatine (Varazze, D. Botta, 1875, 80 pp , in-120), où est citée (pp. 64-65) une note de 1554 dominicain Andrea Testa de Varazze, et (pp. 71-72) une inscription de l’hótel-de-ville de Varazze, relatives à la peste de 1376 (ce petit livre est intéressant et contient plusieurs docu ments inédits); Giani. Ligustico, 1. c.; C“* de Flavigny, Catherine de Sienne (P. 1882, 12°), pp. 245-247- (1) Pièce de 1424, d. Verzellino, I, p. 594- (2) App., IV, n. xx. (3) Ibid., IV, n. xxi ; il l’inquiète aussi au sujet des papiers de son prede-cesseur Giovanni Carrosio (App., IV, n. xxvm). (4) Il figure, en cette qualité, comme témoin du traiti du 19 févriei 1^83 entre Gènes et le roi de Chypre (Carlo Sperone, Reai grandezza, della S. Rep. di Genova [Gènes, 1669], pp. 116-137). (5) Dominici de Lagneto Epist., 4 janv. 1382 (d. Verzellino, I, pp* 557' 558; App., IV, n. xxii). - él3 - for ecclésiastique (i). La méme année (1383, 2 janv.), le curé de S. Ambroise, Leonardo Tiralerco, de Castiglione de Moneglia, ayant commis une faute justiciable du me me tribunal, est cité, soumis à une enquéte, jugé et condamné (2), malgré la concession du droit de polke ecclésiastique sur les clercs de S. Ambroise, concession que la donation d’Ardizio avait faite à l’église de Bethléem, en faveur méme d’un simple prévót. Jusqu ici ce ne sont pas les évéques bethléémitains, qui ont importuné ceux de Savone: ils n’apparaissent méme pas dans tous ces procés. Ceux de France n’ont pas quitté Clamecy, et quant à ceux de l’obédience italienne, où allons-nous les trouver? Giuliano ne fait que passer. En 1384, Giovanni Salvuzzi est transféré à Lucques, et son successeur, William de Bottisham, vit à la cour d’Ur-bain VI ou en Espagne. Aprés ce dernier, vient Lanfranco, nommé en 1384 (3): il avait été auparavant coadjuteur de Giovanni de Fiesque, cardinal-évéque de Verceil (4), (1) Id., pp. 558-560; v. plus loin, App., IV, n. xxm-xxiv. (2) V. App.t IV, n. xxv. Sur ce personnage, v. App., n. xxvm, xxxvn, XXXVIII, XLVIII, XLIX. (3) Je n’a* Pu retrouver, ni son nom de famille (peut-ètre Colombo), ni ses bulles; le 12 dèe. 1386. il est forcé de prendre, envers la chambre apostolique, l’obligation de payer les taxes dùes, non seulement par lui, mais par ses deux prédécesseurs (Urb. VI Oblig., DXC, f. 23b). Ne s’étant pas exécuté, il est menacé de censures ecclésiastiques le 24 dèe. 1390 (Bonif. IX Divers., Arni. XXIX, 1.1, f" 245;’)> mais d’après une Fiche Garampi (renvoi incompleti « p. 297 a), il s’acquitta (55 fior.) en 1402. Une autre Fiche Garampi le mentionne à l’année 1400, avec le renvoi indéchiffrable: « 29, t. I, p. 24; ». (4) Montaldus, Sacra Ligustici cali sidera (Genova, 1732), p. 125; Paganetti, St. eccl.d.Lig. (Gènes, Bibi. Civ., D.IV. 5-15,IV,p. 27; Corbellini, Vited.vesc.di Vercelli (Milano, Malatesti, 1643,4.°), p. 91, il faudrait conclure de cette assertion que, dès 1372 ou 1375, dates respectivement assignées par Montaldo et Corbellini à l’arrivée de Lanfranco à Verceil, ce dernier portait déjà le titre d’un siège inpart. inf., d’où il aurait été transféré sur celui de Bethléem ; mais je 11 ai pu retrouver quel était ce titre. — 614 — et, là, avait restaurò S. M. de Biliemme, possession de l’église de Bethléem (i), dont il était, sans doute, alors vicaire-général pour les pays subalpins Aprés la demis-sion de Giovanni (1385), Lanfranco apparait en Ligurie l’année suivante (21 janvier) (2): mais ce n est pas à Va razze qu’il réside, c’est à Gènes, et nous connaissons méme la maison qu’il y occupe, celle de Pietro de Mulacio, au quartier de Domocolta (3): il vit là en bonne intei ligence avec l’archevéque Jacques de Fiesque, dont e vicaire le laisse passer ses actes aux audiences de la cour archiépiscopale (4), et lui a assigné, poui résidence épiscopale officielle, le cloitre de S. Maria delle Vigne. c’est de là qu’il date un acte de 1387: _ _ . « Datum Janucc, ubi cathedram, de licentia domini vi » carii curia archiepiscopalis Januensis, quoad subjectos » nostros, tenemus , scilicet in claustro ecclesia S. Ma » rle de Vineis (5). Et des piéces authentiques nous montrent cette situa tion se prolongeant au moins jusqu en 1401. Il s éloi0ne si peu de Gènes, que c’est là, que de 1386 à I4J3> et probablement plus tard, il stipule que lui seron. versés les revenus annuels des biens italiens de son (1) P. Britius, Seraph. Subalpina prov. momm. (Taurin., 1637, 4-')> PP- 57‘58> Dionisotti, Memorie di Vercelli, (Biella, 1864, 2 v., 8.), II, P- 2 51 • (2) App., n. xxvni. (3) App., n. xxxii-xxxiv. La partie basse du quartier de Domocolta correspon-dait à peu près à un triangle, dont le sommet serait aujourd hui 1 ang e rues Soziglia et Campetto, et la base la place Deferrari et la rue Carlo Fe L’église de Bethléem possédait d’ailleurs une maison dans Gènes (Pièce de 1371 [Pand. Riclierian. f. B, f. 973])• (4) App., IV, n. xxix, xxxvm-xLii, liii-lv, une fois seulement (n. xuii) 1 acte est passé chez le podestat. (5) App., IV, n. xxvm; cf. xxxi, xxxvn. - 6 r 5 - église (i) et que, pour la Ligurie méme, il nomme, d’année en année, des vicaires-généraux, dont nous pour-rions dresser la liste: Rafaele de Savignone, prévót de S. Maria delle Vigne, Antonio Cattaneo, de Vezzano, Giorgio de Sestri (2), chanoine de Génes, etc. A Varazze, il ne doit prétendre qu’au droit d’étre logé et hébergé quinze jours par an , lui et une suite de deux personnes, par le titulaire du bénéfice; droit que nous le voyons stipuler en 1386, pour une possession analogue, S. Maria del Ponte, au diocése d’Alba (3). Il est vrai que, tout en reconnaissant que Varazze faisait partie du diocése de Savone (4), il émettait, comme ailleurs (5) du reste, la prétention d’y pourvoir à la « cura animarum »; et ce fut certainement sur ce point tout spécial que na-quit le difFérend. Nous le voyons, en effet, se plaindre des empiétements de l’évéque de Savone — le successeur de Domenico de Lagneto, ce méme Antonio de Viali, qui, à la mort de son neveu, était passé (1386, 29 nov.) (6), du siège de Sisteron à celui de Savone — et porter ces réclamations devant le Cardinal Bartolomeo Mez- (1) App., IV, n. xxxi, xxxv, xlii, lvi. (2) App., II; et ces vicaires étaient bien pour la Ligurie seule: car nous voyons en 1386 (App., IV, n. xxxn; cf. n. xli) Antonio Cattaneo nommé vi-caire pour la Lombardie, avec réserve formelle de Rafaele de Savignone pour la Ligurie, et en 1389, à deux mois de distance, Giorgio de Sestri revètu de cette fonction, le 19 février (n. xli) pour la Ligurie, et le 12 avril (n. xlii) Giacomo de Rivo, pour toute l’Italie du Nord. (3) App., IV, n. xxx. (4) App., IV, n. xxvn et xxxvii; v. plus haut, p. 605. (5) App., IV, n. xviii, xxxi (1386, 18 aoùt) ; la pièce n. xxxn (1386, 22 octobre; cf. n. xiii-xvm) donne le détail des droits prétendus par les évéques de Bethléem sur leurs possessions quant au spirituel, et la pièce n. liii (1400, 17 dèe.) quant au temporei: on y voit qu’ils étendaient ces droits jusqu'à Vincarcération des clercs (6) Verzellino, I, p. 269. — 616 — zavacca (7) du titre de S. Martin in Montibus, légat du pape à Gènes. Ce dernier, statuant comme arbitro accepté par les parties, leur fait conclure, en 139° (0* une transaction, aux termes de laquelle l’évéque de Savone reconnait; « que de temps immémorial celui de Bethléem » a droit: i.° à pourvoir à l’église de Varazze; 2. a » percevoir un cens de quatre florins d’or (2) » et 1 é-vèque de Bethléem confesse de son cóté: « que )urt~ » diction episcopale sur l’église, le recteur et les fìdéles » de Varazze, appartient à Savone, ainsi que la nomi-» nation du curé de l’église, et que les pretres de » Varazze sont tenus de se rendre aux convocations » de l’évéque de Savone et de verser, entre les mains » de ce dernier, le produit des collectes ordonnées pai » le S. Siège ». Lanfranco, abandonnant son droit de juridiction sur les clercs de S. Ambroise pour se contenter de celui de collation , cédait évidemment plus qu’il n’usurpait (3). (7) Fait Cardinal de S. Marcel par Urbain VI en 1378 et évéque de Rieti, le 15 oct. 1384; priyé de son titre, il fut créé de nouveau par Boni fece IX, e i dèe. 1389, card, de S. Martin, et mourut le 20 juin 1396 (Ciacconius, Vita cai p. 977). Lorsqu’il fut déposé solennellement, à Luceria, en janvier 1385, William de Bottisham, prédécesseur de Lanfranco, assistait, parmi les favoris d Urbain à cette scène dramatique, et avait pu y jouer un róle dont le souvenir 11 au pas été favorable à l’église de Beihléem (V. plus haut, p. 609, n. i), il y aul peut-ètre là un rapprochement à faire. 0 . (1) Analysée dans une pièce de 1423 (Verzellino, I, p. 5®7)> ma's auÌourcl '1U perdue; v. App., IV, n. xliv. (2) Verzellino, I, p. 588; v. plus haut, p. 592, n. 4 et 603, n. 2. ^ (3) Il ne serait pas impossible que la politique locale ait joué un ceitain rò.e dans cette affaire: Lanfranco était une créature des Fiesque. En I372> était coadjuteur ou suffragant du Cardinal Giovanni de Fiesque, év. de Verceil (V. plus haut, p. 613, n. 4). Or l’évèque Antonio se montra, en 1392, un fougueux partisan des mèmes Fiesque (Giustiniani, Ann. di Genova, ann. 1392, II, 173)-Cette communauté d’intérèts politiques a pu aider à la transaction. — 617 — Mais à Génes, il était voisin de Varazze (i); et ce voi-sinage génait Antonio de Viali. De méme qu’à Clamecy, et précisément à la méme époque, Pinstallation définitive des évéques frangais de Bethléem avait aussitót suscité la lutte entre ces derniers et ceux d’Auxerre, de méme la présence à Génes de l’évèque italien, devait malgré sa soumission, exciter la rivalité de celui de Savone. Mais moins heureuse qu’à Clamecy, quoique plus modeste dans ses prétentions, l’église de Bethléem, loin de triompher en Ligurie, comme en Nivernais, va, au bout de quelques années, succomber dans une lutte iné-gale et fìnalement se voir expulser. Deux ans à peine aprés la transaction, Antonio de Viali reprend ses empiétements et intente des procés aux gens de Varazze (2). Il meurt en 1394, et, pendant la vacance du siége, le chapitre de Savone continue la persécution (3). Le successeur de Viali, Giovanni V de Fermoni, excommunie, en 1397, le prévót de S. Ambroise (4), Leonardo Tiralerco, et persiste à s’im-miscer dans les affaires de cette église, obtenant de Lanfranco une pièce, par laquelle celui-ci reconnait en partie les prétentions de Savone (5), et qui est suivie d’un nouveau compromis (6). Il ne serait pas impossible qu’à cette époque, ces contestations aient dépendu, en quelque mesure, de la (1) Il y est venu le i." avril 1396; en sa présence, Rafaele de Solario fait une importante donation à Péglise de Varazze (App., IV, n. xlviii). (2) Pièce de 1423 (Verzellino, I, p. 588; v. App.,lV,n.i\r, cf. n. xlv-xlvi). (3) App., IV, n. XLVii. (4) App., IV, n. xlix. (5) Pièce de 1423 (Verzellino, I, p. 588; App., IV, 11. lxi) (6) App., IV, n. l-li. — 618 — situation politique où se trouvait la Ligurie, ainsi que nous l’apprend le récit d’un homme de Varazze, Antonio Omodei, qui venait d’ètre, quelquesfannées aupa-ravant, procureur à Rome de l’évèque de Bethléem (i). Les Francais occupaient plusieurs points de la Riviere, et l’évéque de Savone, Giovanni, accusé de les favoriser, fut jeté en prison par les Savonais révoltés (2). Délivré peu aprés, il intenta à ses accusateurs un procés, auquel fut mèle Lanfranco (3), faits malheureusement trop ob- a 1 scurs pour qu’on puisse se hasarder à en tirer que que induction tant soit peu solide. Toujours est-il qu’on trouve ensuite comme une trève de plus de quinze ans, que Lanfranco parait avoir passés à Gènes. Il ne mourut, en tous cas , qu après 1413 (4)- C’est sous son successeur, Guglielmo IH de Mane- (t) V. App., IV, n. xl, XLiii. (2) Récit d’Antonio Omodei de Varazze (d. Verzellino, I, pp- 475 577)- (3) V. Verzellino, I, pp. 185, 274; App., IV, n. lii. ^ (4) II assiste en 1109 (7 aoùt) au concile de Pise (Mansi, Cone., XXVII, co . 3 5 et, en 1413, 9 févr., par trois actes passés à Gènes par-devant Giuliano Canell (App., IV, n. lvi-lviii), emphytéose à Beltrame de Mignanelli, les biens de 1 àa ^ de Bethléem à Sienne; il disparait ensuite, et son successeur ne se montre q ^ 14.21 (Asti) et 1423 (Gènes). Si un évèque bethléémitain eùt continue à habi Gènes entre ces deux dates, on aurait certainement de lui quelques piéces no tariales , puisqu’on en a avant et après. Il faut donc, ou que Lanfranco quitté Génes pour aller mourir obscurément ailleurs quelques années plus - ou qu’il soit mort dés 1413, ce qu'expliquerait son àge, près de 80 ans, et ses 41 ans d’épiscopat - ou qu’il ait été transféré alors à quelque siège d Italie, ou des établissements génois de la Mer Noire, ou à quelque archevéché d’Orient. Dans l’une, comme dans l’autre de ces deux dernières hypothèses, il faudrait admettre, soit que Guglielmo III ait été nommé par Benoit XIII de posé dés 1413 (v. plus loin, p. 619, n. 3), soit qu’il y ait eu, entre lui et Lan franco, un autre évèque, qui a pu étre institué aussi bien par ce pape que par Jean XXIII, et qui serait encore à chercher. scalchi, de Messine (i), qui parait avoir résidé à Gènes comme Lanfranco (2), et sous l’épiscopat d’un autre Viali, Vincenzo, élu à Savone le 2 juillet 1413, que la querelle se réveille, en 1423, pour se terminer, du reste, l’année suivante. Ce Guglielmo, dont les droits à l’évéché de Bethléem n’étaient pas incon-testables (3), avait, par une raison que nous igno-rons, mis en interdit l’église de S. Ambroise : le 12 septembre, Vincenzo de Viali se rend à Varazze, y lève 1 interdit, et y donne solennellement la confir-mation (4). C’est alors que s’engage un dernier procès entre 1 église de Bethléem et celle de Savone. La cause est portée par les deux évéques, devant Pileo de Marinis, archevèque de Gènes, jugeant comme arbitre, en dernier ressort. Bethléem est défendu par un canoniste nommé Nicolò d’Acqui, dont la consultation nous manque, Savone par un anonyme, probablement cha-noine de cette ville (5), et dont le mémoire nous a été conservé. Ce mémoire (6) est trés curieux et nous donne, à vrai dire, les seuls détails sùrs que nous possédions (1) D’après une Fiche Garampi, renvoyant à: c M. S, XI, p. 142 » il était déjà évéque de Bethléem en 1421. Son nom de famille nous est fourni par Pirri (Sicilia sacra, f. 13170). (2) V. plus loin, p. 622, n. 2. (3) C’est peut-ètre l’évéque bénédictin anonyme, que le Gallia christ. (éd. de 1666, II, p. 298), place sous l’initiale M. à l’année 1421, et qui avait di\ étre nommé par Benoit XIII dèposé (1409-1423), à moins que cet M. ne doive ètre intercalé entre Lanfranco et Guglielmo III. (4) Pièce de 1423-4 (Verzellino, I, p. 589; App., IV, n. lxi). (5) Il s’adresse (Verzellino, I, p. 592) à un évéque, que le contexte montre ètre l’évèque mème de Savone: il plaide en 1423 ou 1424 et non en 1390, comme on l’a dit à tort ; car il parie (p. 589) de faits arrivés en 1423. (6) Publiée d. Verzellino, I, pp. 587-594; v. App., IV, n. lxi. — 620 — sur la querelle: il est divisé en deux sections. Dans la première, le canoniste anonyme expose les ìnci-dents de la querelle et les réclamations des deux parties , demandant l’une, Bethléem, que Vincenzo de Viali tut déclaré usurpateur des droits de Guglielmo de’ Manescalchi, et que Varazze fut reconnu dépendre de ce dernier « tam in spiritualibus quam in tempo-» ralibus », comme le prouvaient les collations faites depuis 1297 par les évéques de Bethléem en ces termes formels (i); Pautre, Savone, se refusant à reconnaitre aux évéques de Bethléem aucun droit spirituel quel-conque à Varazze. Puis il discute juridiquement, en faveur de Savone, toutes les assertions de Bethléem. Dans la seconde panie du mémoire, écrite deux jours plus tard que la première, et probablement aprés com-munication de la réponse de Nicolò d’Acqui, il aban-donne à peu prés les arguments, assez peu solides, qu’il avait fait valoir l’avant-veille, et conclut carrément à la nullité de la donation de 1139, à cause de 1 ab-sence du consentement écrit des chanoines d Ardizio la nullité de la donation devant entrainer, dailleurs, celle de la transaction de 1390, consentie par Antonio de Viali. Je m’arrète ici pour signaler deux points curieux. Il est évident d’abord que les plaideurs de 1423 ignoraient absolument la sentence de 1224, qui, tout en reconnaissant la juridiction de Savone sur S. Ambroise de Varazze, n'avait point mis en cause le droit des évéques de Bethléem au patronat et à Padministration spirituelle et tem- (1) App., IV, n. xin-xvii. — 621 — porelle de cette église (i); puis, dans la liste des piéces fournies par Guglielmo de’ Manescalchi, liste donnée par le canoniste anonyme, seule figure comme document émané de Rome, la bulle de Clément IV, simple confir-mation de possessions territoriales, ne contenant que des allusions aux priviléges purement ecclésiastiques (2). Si l’ignorance du procés de 1224 était utile à la cause de Bethléem, le manque absolu de piéces établissant ces priviléges, et, en particulier, l’absence de la bulle citée en 1224 et de celle de Martin IV (3) lui durent ètre encore plus nuisibles. Ils perdirent donc leur procés, faute des archives que détenait, à Clamecy, la sèrie frammise des évèques de Bethléem (4); et ils le perdirent plus complétement encore que ne le demandait d’abord Savone ; car il semble ré-sulter des faits postérieurs que la sentence de Pileo, rendue le 9 septembre 1424 (5) et aujourd’hui malheureusement perdue, adopta les conclusions du canoniste anonyme et cassa purement et simplement, pour vice de forme , la donation de 1139 (6). Les évéques de Bethléem se trou-vérent, ipso facto, expulsés de Varazze, au temporei comme au spirituel, et ceux de Savone débarrassés des craintes (1) V. plus haut, p. 601. (2) Et l’exemplaire de Varazze était incomplet précisément d’une partie de ces allusions; comparez les n. ix et xi de l'Appendice, à la fin. (3) V. plus haut, p. 581, et App., IV, n. xii. (4) V. plus haut, p. 551, n. 2. (5) Nous ne la connaissons que par la lettre (publiée dans Verzellino, I, pp. 595-596; cf. App., IV, n. lxiv), par laquelle Vincenzo de Viali en informe, de Génes, son chapitre, eu lui parlant des frais que va lui coùter sa victoire, près de 1200 ducats. (6) 11 n’est pas impossible que l’irrégularité du titre épiscopal de Guglielmo de’ Manescalchi ait influé sur la sentence. Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.*, Voi. XVII. 40 — 622 — que leur avaient inspirées l’exemple de Clamecy. Quelques années de résidence intermittente, non à Varane, mais à Gènes , de deux évéques italiens, suffirent pour amener la perte d’un bénéfice, dont les évéques fran^ais avaient paisiblement joui pendant prés de trois siècles. Aprés la sentence de 1424, nous cherchons en vain une trace quelconque de l’ingérence des évéques italiens de Bethléem dans les affaires de Varazze: on les voit, jusqu’en 1471 et 1479, administrer des biens éloignés (1); mais ils disparaissent de la Ligurie (2) et n ont plus (1) Ceux de Sicile: v. Pirri (Sicilia sacra, ff. 67oa, 1318“). Un peu auparavant, avait également commencé le passage en d’autres mains des possessions beth-léémitaines. Nicolas V avait octroyé définitivement aux Franciscains (Nicol. V Epist., 1452, 18 avr. [Bullar. pecul. T. S., Romse, 1727, fol. ]. PP- 61-64) ceux d’Espagne, déjà donnés en commande par Martin V (Mart. V Epist., 1421, 18 juin [Wadding., Ann. Minor., X, p. 338] et par Eugène IV en 1436 et 1437 (Fiches Garampi). En 1460, 30 mai (v. plus loin, p. 699, n. 1) Pie II avait converti ceux de Sienne en bénéfices séculiers. Innocent Vili parait avoir voulu consommer l’exhérédation, en comprenant les prieurés bethléémitains au nombre des bénéfices appartenant à divers ordres en décadence, qu’il réunit aux biens de S. Jean de Jérusalem , par sa grande bulle du 28 mars 1489 (Statuts du S. Sèpulcre [P., 1776, 8°J, pp. 106-11$), confirmée par Léon X (Leokis X Epist., 1514, 27 mars [Leon. X Reg., ed. Hergenrother, n. 7560, p. 48oJ)- Cette bulle d’ailleurs , repoussée par le Parlement de Paris, n’eut d effet, ni en France, ni en Angleterre. (2) Guglielmo, pas plus que son prédécesseur, ne figure dans la Chronique ma-nuscrite tré? détaillée du prieuré des Dominicains de Varazze, fondé vers I4'9-Avant le procés (1423), il était peut-étre venu à Varazze , d’où il a pu en-voyer au gouverneur de Génes une supplique contre le podestat de cette ville {Génes, Arch. di Stato, Divers., filza Il.a; App., n. lx; cf. n. lix), pièce en partie illisible, sans lieu ni date, et adressée « prò parte ep. Bethleemitani >. Il était à Gènes en 1424, probablement pour le procés (Acte du 6 mai 1424. [App., IV, n. lxiiJ); mais il disparait aussitót, sans que nous sachions exactement ce qu’il a pu devenir. Eni438, apparait à Acqui un Guglielmo, évéque de Bethléem, siégeant comme arbitre entre cette ville et le marquis Giovanni Malatesta (Pièce, dans Moriondus , Mon. Aq., I, pp. 519-520), sans que nous puissions dire précisément si ce Guglielmo est Guglielmo III de’ Manescalchi, ou Guglielmo IV Bolla d’Acqui, qui figure dans un acte passé à Sienne le 21 oct. — 623 — que les résidences diverses, où les retiennent leurs fonc-tions ecclésiastiques réelles et non un titre devenu à peu prés honorifique. IX. Le chapitre de Bethléem et les religieux bethléémitains. Dans le cours de ce travail, j’ai, à dessein, laissé de cóté presque tous les faits relatifs à une question accessoire, que je me réservais de ne traiter que séparément et à la fin de la discussion. Les défenseurs de Varazze paraissent attacher une certaine importance à une inscription du XVIP siècle, qui décore la fa^ade nord de l’hótel-de-ville de la petite cité, et qui se termine ainsi (1): VARAZZE evi TVNC ECCLESIA BETHLEMITANVS EPISCOPVS VNA CVM EIVS VICARIO GENERALI PLVRIBVS IMPERITANS MONACHIS HIERONYMIANIS IDEMQVE CANONICIS FELICITER PR.ESIDEB AT. POSITVM A PARTV VIRGINIS MDCXLIX. Cette inscription résumé évidemment et met en lumière toutes les traditions et prétentions locales : nous 1440 (v. plus loin, p. 699, n. 1). En faveur de cette dernière hypothèse plaident la présence de ce personnage à Acqui, et la reconnaissance à Sienne, à une époque intermédiaire (1432, 20 avril: v. Ibid., et p. 607, n. 3) de l’évèque frangais. Ce Guglielmo IV, d’après une Fiche Garampi ainsi rédigée: * Pro Guillelmo, Beth-» leem. ep., parrochialis Astens. (A B. Eug. IV, IX, % p. 113) aurait recu d’Eu-gène IV, en 1442, un bénéfice à Asti (?) (1) Arch. st. Hai, 1885, XV, p. 59. — 624 — venons de voir quelle valeur elle pouvait avoir en ce qui concerne les évéques de Bethléem : est-elle plus exacte dans la mention qu’elle fait d’un vicaire-général et de moines hiéronymites, en méme temps chanoines? La réponse sera moins aisée et surtout moins nette que pour la question de la résidence des prélats eux-mèmes, et cela par cette simple raison que, si 1 histoire de ceux-ci (en ce qui concerne la sèrie italienne) est obscure et difficile, celle des chanoines bethléémitains 1 est vingt fois plus. Si nous mettons de cóté ces vicaires-généraux, qui ne sont ici qu’une allusion aux quelques vicaires fondés de pouvoir, que les évéques, résidant à Clamecy, eurent en Italie, à la fin du XIV* siècle, et qui, comme nous l’avons vu plus haut, ne résidaient pas plus à Varazze que ces derniers, et riaccompagnaient jamais des prélats, dont ils étaient destinés, au contraire, à suppléer l’absence; si nous ne nous attachons qu’au reste de l’inscription, nous avons à expliquer ces moines hiéronymites, en méme temps chanoines. Il y là, je crois, le reflet altéré d’un fait véritable ; le mot hiéronymite est im-propre: car il n’y a jamais eu, au Moyen-Age, de chanoines de S. Jéróme (1); mais il y a eu des chanoines bethléémites, et méme un ordre religieux de ce nom, embrassant les deux sexes. Malheureusement nous n’en savons que peu de chose; et il sera assez (1) Les Jésuates de S. Jéròme (Italie) ne remontent qu’à la fin du XIV* siècle, et les Ermites de S. Jéróme (fin du XIV* s.) ne sont jamais sortis d’Espagne; les Hiéronymites ou Frères de la vie commune, établis en Belgique au XV' s. étaient de simples frères enseignants. Aucune de ces trois congrégations n’eut, d’ailleurs, jamais de rapports avec les évéques de Bethléem. — 625 — ardu de démèler quels rapports Varazze a pu avoir avec ces chanoines et ces religieux. La basilique actuelle de la Nativité est, suivant toutes les probabilités, le monument méme élevé par Cons-tantin (1). Elle parait, comme nous l’avons déjà dit (2), avoir, par un privilége unique, échappé à toute profa-nation. Épargnée par Omar d’abord, puis, en 1010, par le farouche destructeur du S. Sépulcre, Hakem (3), elle appartenait donc, avant 1099, au culte chrétien (4). Nous avons de ce fait des témoignages irrécusables : £eux du pélerin Bernard-le-Moine, en 870 (5), de s. Si-méon de Syracuse vers 1010 (6), de s. Bononio, abbé de (1) V. M.1* de Vogué , Églises de T. S., p. 147. Cette basilique fut construite sur la Crypte, où le culte a été certainement antérieur à Constantin (Cf. Eu-sebius, Demonstr. cvang., 1. VII, c. 2 [Migne, Patr. gr., XXII, c. 540] et a pu remonter à une époque beaucoup plus reculée. En effet, dans sa liste des temples payens de Syrie (Lucian., Dia Syria, c. 6 et 7, ed. Teubner, p. 342-3), Lucien (fiu du 11' s.) ne comprend pas Bethléem ; et la célèbre profanation de la Crypte, par l’établissement des mystères d’Adonis (sous Adrien, vers 137) — profanation, qui, d’ailleurs, a pu n’étre que momentanée — n’est pas rapportée par des témoignages plus anciens que ceux de s. Jéróme (v. 395) (Epist. ad Paulinum de instr. mon. [Migne, Patr. lat., XXII, c. 581]) et de s. Paulin de Mole (v. 405) (Epist. XXXI ad Sever. [Ibid., LXI, c. 526]), tandis que le langage d’ORiGÈNE (Contra Celsum, 1. I, c. 51 [Migne, Patr. gr., XI, c. 156J) et peut-étre celui de s. Justin martyr (Diai. cum Tryphone, c. 78 [Ibid., VI, c. 65S]), tous deux pélerins en T. S., l’un vers 215 et en 230, l’autre vers 145, paraissent impli-quer - comme ayant lieu sans obstacles, à ces deux époques, - la vénération par les fidèles du Lieu de la Nativité. (2) V. plus haut, p. 569, n. 4. (3) Chron. de S. Martial de Limogis, éd. Dotlès-Agier, p. 6. (4) Si les firmans inédits de 1023 et de 1059, conservés aux archives fran-ciscaines de Constantinople (V. E. Boré, Question des LL. SS. [P., 1850, 8.°], pp. 5-6, 62, et plus haut, p. 569, n. 4) sont authentiques, ils fourniraient ici un argument sans réplique. (5) Bern. Mon. Itiner, c. 17 (ltiner. Hieros. latina, I, p. 317). (6) Eberwinus , Vita s. Simeonis reclusi, c. 1 (Mon. Gcrm., SS., VIII, p. 87). — 626 — Locedio (1016) (1), de Termite Heimerad (1019) (2), de s. Ulric de Celle (1052) (3). Il y avait, auprés de la basilique, un monastére, où le rapport officiel en-voyé à Charlemagne vers 808 (4), constate la présence de quinze moines, et qui, dédié à la s.'e Vierge (5), portait le nom vulgaire de Maison de S. Jéróme (6). Se trouvait-il dans ce monastére des religieux latins? nous n’avons aucun texte bien précis qui nous permette de 1’affirmer; cependant nous voyons que c’est là que s. Siméon de Syracuse, avait fait profession; et le nom, Hilarius, de son compagnon, est latin. En 1016, s. Bononio, qui restaure, à ses frais, les mo-nastéres d’Égypte et de Syrie, y installe des moines bénédictins (7). L’invasion des Turcs (1070-78), tout en ruinant la ville, laisse la basilique intacte (8). Il n’y aurait donc rien d’étonnant à ce qu’un sanctuaire, assez heureux pour avoir échappé aux catastrophes des Lieux Saints de Jérusalem, ait compté, en méme temps que ceux-ci et avant les croisades, des reli- (1) Anon. Lucediensis, Vita s. Bononii, c. 2 (AA. SS. Boll., 30 aug., VI, p. 627). (2) Egbertus Hersfeld., Vita s. Heitntradi, c. 2 (M. Germ., SS., X, p. 600). (3) Vita altera b. Udalrici Cellensis (Ibid., XII, p. 255); v. aussi le pèlerinage de la princesse anglo-saxonne Salomé (v. 1080) (Vita ss. Salomes et Juditlì, c. 2 [AA. SS. Boll., 29 jun., VI, 492]). (4) Commem, de casis Dei, c. 2 (Itili. Hier. latina, I, p. 303): déjà en 800, l’un de ces moines avait fait partie de la deuxième ambassade envoyée des Lieux Saints à Charlemagne (Ann. Saxo [M. G., SS., VI, p. 564] ). (5) Eberwinus, 1. c. (6) Vita b. Gerardi, primi episc. Chanadiensis (RR. Hangar, mon. Arpad., éd. Endli-cher (1849,8°], p. 208); c’est, suivant la tradition, le couvent actuel des Franciscains. (7) Anon. Lucediensis, 1. c. (8) SjEwulfi Relatio, 1107 (Ree. des mim. de la Soc. roy. de Gèogr. [P., 1839, 4. ], IV, p. 847). — 627 — gieux d’Occident au nombre des prétres qui le des-servaient (1). Ce qu’il y a de certain, c’est qu’au temps de la fondation de l’évéché latin de Bethléem (ino), la basilique formait un prieuré latin de chanoines réguliers de l’ordre de S. Augustin (2), dont le premier prieur fut un certain Bernard, témoin d’une donation de Rai-mond de S. Gilles (3), et le second, d’abord cha-noine séculier et chantre de Jérusalem, Aschétin, fut aussi le premier évéque de Bethléem (4). A Aschétin succédèrent, comme prieurs, une sèrie de dignitaires religieux que nous pouvons suivre jusqu’à la reprise de la basilique par les Infidéles (1266) (5). Ce prieur et ces chanoines réguliers formérent le chapitre méme de la nouvelie cathédrale : il parait ne pas avoir été très-nombreux, si nous en ju^ons (1) Lt probablement originaires de PItalie méridionale, qui relevait encore nominalement de l’empire byzantin: c’est à ce titre que les bénédictins Amal-fitains s’établirent à S. Marie Latine de Jérusalem: presque grecs de natioualité, ils satisfaisaient mieux aux besoins des pèlerins occidentaux que des moines grecs véritables, sans cependant exciter la jalousie du dergé orientai au méme degré que l’eussent fait des religieux frangais ou allemands. (2) Jacoiìus de Vitriaco, Hist. orient., c. 57 (Bongars. , Gesta Dei per Fr., I, p. 1077). (5) Antérieure à une charte de 1106, où elle est rappelée (Cart. du S. Sép., p. 190). (4) Wilh. Tyr., I. XI, c. 12 (Hist. occ. des cr., I, p. 472). (5) Albéric, 1139 (Cart. du S. Scp., p. 184). — Anonyme, qui regoit le ser-ment de Richard Coeur-dc-Lion à Castel-Ernould en 1192 (Rad. de Coggh. , Chron. Anglic., éd. Stevenson, p. 89; M. P.\ris, Chron. majora, éd. Luard, II, p. 386). — David, 1163 (Charte, dans la Bibl. de l'ic. des eh., 1873, p. 656). — Barthélemy , 1245, sinon prieur, du moins en faisant les fonctions (Inn. IV Epist., 1245, 24 janv. [i?«£. d’Inn. IV, éd. Berger, 1, p. 15s] )• — Anonyme, 1265 (Clementis IV Epist. [Delaville le Roulx, Arch. de Malte, P- }>!)• - 628 - par uno charte de 1163, qui nous en énumére les offices (1). Le chapitre — sauf pendant la période de l’occupation musulmane, qui suivit la bataille de Hittin (1187-1229), ou plutót le commencement de cette période (2), — parait ne pas avoir quitté Bethléem, ou tout au moins la Terre Sainte, puisque nous y signalons sa présence en 1163 (3), 1210 (4)» I237 (5), 1239 (6), puis, de 1239 à 1244, — période durant laquelle il se livra aux malversations que nous avons racontées plus haut (7), — 1245 (8) et 1246 (9), puisqu’enfin nous le voyons, en 1265, en l’absence de l’évèque Tomaso Agni, alors en Italie, faire acte d’administration, en louant aux Hospitaliers une propriété de son église, le casal de Zicania, dans la seigneurie du Krac des Chevaliers (10). A]j£és que les Infidéles eurent expulsé les chrétiens de Bethléem (1266) (11), nous retrouvons encore le chapitre en Terre Sainte (12); il résidait peut-étre à Ascaìon, qui avait été, dés 1192, réoccupé par les Latins (13), (1) Un prieur, un cellérier, un trésorier et trois chanoines (tìibl. de Vie. des eli., 1. e.). (2) V. plus haut, pp. $69-570. (3) Bib. de l’èe. des eh., I. e. (4) Inn. Ili Epist. (Migne, Patr. lat., CCXXVI, col. 1239); v. plus haut, p. 564. (5) V. plus haut, p. 571. (6) Greg. IX Epist., 1239, r7 avr- (Rei- Vatic., XIX, ff. 9*-1 oa). (7) V. plus haut, p. 572, 574. (8) Ratification envoyée par lui d’Orient (Chevalier-LagÉNISS., pp. 83-84). (9) Inn. IV Epist., 25 juin, 23 et 25 juill. 1246 {Reg. d’Inn.IV, I, pp. 306,3or, 303). (10) Clement., IV Epist., 21 dèe. 1265 (Delaville le Roulx, /. e.). (11) V. plas haut, p. 601. (12) Clement. IV Epist., 24 sept. 1267 {Reg. Vat., XXXII, f. 166h). (13) Eraeles, 1. XXVI, c. 7-9 (H. occ. des cr., II, pp. 182, 186-187); la trève de Richard Cceur-de-Lion avec Saladin {Eraeles, 1. XXVI, c. 17 [Ibid, II, p. 199]; — 629 — puis tortifìé à nouveau en 1240 et 1241 par le comte Thibaut de Champagne et Richard de Cornouailles (1). Ascalon était bien retombé en 1248 (2) aux mains des Infidèles, mais avait du leur étre repris; et nous constatons la présence des chanoines en Terre Sainte, en 1284 (3). Nous les perdons alors de vue brusquement; ont-ils été transportés, à cette époque, en Occident, et se sont-ils établis à Clamecy, où, jusqu’alors, il ne parait y avoir eu, en fait de religieux, que des fréres, préposés au soin des malades dans l’hospice de Pantenor (4) et dont nous allons parler? Ou plutót ont-ils subi une transfor-mation, dont on ne saurait, faute de documents, établir ni la date, ni la nature précise? On ne peut hasarder là-dessus que quelques conjectures, A partir du troisiéme quart du XI1P siècle, les évéques cf. Moudgìr ed-Dìn, tr. Sacvaire, p. 81) en ordonna le démantèlement, mais non Tabandon par les Latins. (1) A la suite de la trève conclue cette méme année (v. plus haut, p. 571, n. 1 et Moudgìr ed-Dìn, p. 90; cf. Eracles', \. XXXIII, c. 44-45; Contiti. Rothelin, c. 36 [Hist. occ. des cr., II, pp. 414, 421, 556]; cf. Arch. de TO.Ìat., II, p. 440). (2) Eracles, 1. XXXIII, c. 62; Contili. Rothelin, c. 41 (Ibid., pp. 434, 565; Arch. de l’Or. lat., II, p. 442). Ce point est a’ailleurs assez obscur; car une lettre d’iN-nocent IV, 5 févr. 1252 (Paoli, I, p. 273; - Potth., n. 14494), nous montre que les Hospitaliers occupaient, à cette date, le chàteau d’Ascalon. Ce qu’il y a de certain, c’est que le commerce n’y cessa qu’après 1270, époque où le sultan d’É-gypte, Bibars, en fit combler le port (Makrizi , Hist. des sultans Mamlouks, tr. Quatremère, II, 11, p. 84) et que la ville fut encore habitée longtemps après: les témoignages des voyageurs du XIV' et du XV' siècle ne laissent aucun doute sur ce point. Ce n’est donc pas de la fin du XII' siècle qu’il faut faire dater, avec M Guillaume-Rey (Forteresses de T. S., p. 210), la dépopulation actuelle d’Ascalon. (3) Bulle de Martin IV; voir plus haut, p. 581 et plus loin, App., IV, n. xii. (4) Charte de 1211, d. Cheval.-Lagéniss., pp. 74-75; Galterii, jEduensis episc., Epistola, 29 oct. 1211 (Regest. Vatic., IX, f. 245*; Bibl. palrist., II, col. 717*718). — 630 — de Bethléem, qui étaient élus par leur chapitre, au moins jusqu’en 1210 (1), paraissent, comme nous l’avons dit plus haut, avoir vu le S. Siége intervenir dans leur élection. Le traité de 1245, conclu entre l’église de Bethléem et le comte de Nevers, mentionnait expressément la ra-tification préalable du chapitre, et en fut suivie (2). Au contraire, la convention de 1291 est conclue et signée par l’évèque seul (3); et cependant nous venons de voir le chapitre figurer encore dans une pièce de 1284. Ce serait donc entre cette derniére date et 1291 qu’il aurait disparu. D’un autre cóté, dés le commencement du XIIIC siècle, apparaìt un ordre religieux, les fréres bethléémites, qui ont pour supérieur l’évèque de Bethléem. En 1211, et peut-ètre dés 1170 (4), ils sont installés à Clamecy (5); Matthieu Paris, qui signale leur arrivée en Angleterre, en 1257 (6), comme une nouveauté re-grettable, décrit leur costume; c’est celui des Domini-cains, avec la cape brodée d’une étoile rouge à sept rais, ornée d'un centre bleu (7). On les trouve répandu's dans (1) Inn. Ili Epist., citée plus haut, p. 564, n. 4. (2) V. plus haut, p. 574, n. 4. (3) Traiti de 1291, d. Cheval.-Lagéniss.., pp. 103-106. (4) V. plus haut, p. 559, n. 7. (5) V. plus haut, p. 629, n. 4. (6) Matth. Paris, Chron. majora, éd. Luard, V, 631; cf. Cheval.-Lagéniss., p. 87. Matthieu Paris dit qu’ils s’établirent non-seulement à Londres, Bishops-gate, mais à Cambridge, au faubourg de Trumpington; mais on n’a aucun autre témoignage de cette seconde fondation, et M. Edmund Bishop, si compé-tent pour le Moyen-Age anglais, pense que Matth.. Paris les a confondus avec les Fratres saccati, qui se fìxèrent alors à Cambridge. (7) Matth. Paris (/. c.), qui se trompe sur le nombre des rais, qui était de 7 et non de 5; (cf. Charta, 1247, 23 oct. [Dugdale, Monast. Angl., II, 381]). Le méme costume est porté en 1357 par le recteur de S. Marie de Bethléem ù — 631 — celles des possessions de l’église de Bethléem, qui avaient pu former des prieurés (i), et en particulier en Angle-terre et en Italie. A leurs fonctions hospitaliéres, ils joignaient celles de quèteurs pour l’église de Bethléem; et nos évéques se voient souvent forcés de recourir au S. Siége, soit pour les ramener à l’obéissance (2), soit pour leur faire restituer le produit de leurs quètes (3). A Clamecy, ils figurent dans le traité de 1291, dont nous venons de parler, sous la dénomination de « fratres » ecclesia, et conversi, et ei qui se et sua nobis (episcopo) » dederunt ». En 1332 (23 mai), on les appelle fratres stellati (4). Sienne (Pièce du 8 janv. 1357 [Sienne, Arch. di Stato, S. Sebastiano]), en 1386 au prieuré de S. Maria del Ponte, diocése d’Alba [App., IV, n. xxxi), et en 1396 à Clamecy (Compte, cité d. Chevalier-Lagéniss., p. 127). Le contre-sceau d’Ugo de Curcis porte aussi sept rais. (1) V. Cheval.-Lagéniss. , p. 156; en avril 1210, ils occupent l’hòpital de S. Marie de Bethléem, au diocése de Pavie (Othonis IV Privil. [Acta imp. selecta, éd. Bòhmer-Ficker, pp. 223-224]); ils y apparaissent déjà sous la dénomination d'hospitaliers bethléémitains en 1186 (Plaisance, Arch. Comm., Reg. Med., f. 119; Reg. Maj., f. 166 * ; communiqué par M. l’archipr. G. Tononi). En 1188, il y en a à Padoue et à Vérone {Ibid., Reg. Med., f. 91 b; Reg. Maj., f. 134^)- Le Gallia christ. (XII, p. 686) en signale à Eusen, diocése d’Aire; et une bulle de Jean XXII, 1322, 23 mai [Kef. Vatic., CHI, ep. 1549], dans des prieurés des diocéses de Condom et de Lectoure. (2) Honorii III Epistola, 1225, 5 juin {Reg. Vatic., XIII, f. 65*). (3) Ces quètes paraissent avoir été instituées par Innocent IV, le 3 févr. 1245 (Regist. d’Innocent IV, éd. Berger, n. 980, I, p. 158). Le 14 juin 1248, ce pape ordonne aux quèteurs de rendre leurs comptes {Ibid., n. 4043, II, p. 612). En 1308, les « fratres Belhlecmitani », voulant quèter, malgré la défense de leur évéque, Vulfran d’Abbeville, ce dernier le leur interdit par lettres-patentes, qu’il fait signifier au primat d’Angleterre, William Greenfield (Hist. papers from thè north. reg., éd. Raine, pp. 187-189). Mais, à la fin du XIV' s., ces quètes constituaient encore dans l’Italie du Nord un revenu important, comme il ré-suite des n.°* xviii, xxxiv, xlii de notre App. IV; les quastores y fonctionnent encore en 1365 (App., IV, n. xvili). (4) Joh. XXII Epist., 1322, 23 mai, /. c. A còté d’eux, dés 1231, nous trouvons des soeurs, suivant la méme règie (1). Un siècle et demi plus tard (26 sept. 1379), ces religieuses bethléémites, ayant un costume spécial, formaient un monastére à Clamecy: leur existence en cette ville est rendue indubitable par une charte émanée de Fune d’entre elles (2) et un compte du 7 mars 1396 (3). Ce doublé ordre est en pieine prospérité pendant les querelles qui, au XVC siècle, divisérent les évèques de Bethléem et d’Auxerre, si bien que l’un des argu-ments qui fit triompher les premiers dans la lutte, sou-tenue par eux pour assurer, à Clamecy, la parfaite ìn-dépendance de leur juridiction, était d’exciper de leur qualité de « maitre et général de l’ordre, composé de » chanoines réguliers suivant la règie de S. Augustin, » et qui, faisant partie de l’église de Bethléem, est » dispersé par toute la terre (4) ». (1) Au méme hospice de Pavie, où il y avait des religieux des deux sexes (Girol. Bossi, Chiese pavese [ms.], f. 388, cité dans Gius. Robolini, Notizie della st. patria (Pavia, 1822-1838, 8 v. 4.°], Ili, p. 343)- Llue nous ? retrouvons jus-qu’au milieu du XIV' s. (Anon. Ticinensis, Comm. de laudibus Papia, c. 5 et 9 [Murat., SS. RR. Ital., XI, pp. 14 et s.]). Le 24 sept. 1267, Clément IV no-tifie l’élection de l’évèque Gaillard d’Oursault: « Universis fratribus et sororibus, » per ecclesias ad Bethleemitanam spectantes ecclesiam constitutis » (Reg■ Vatic., XXXII, f. 166*). Dès 1247 il y en eut aussi à Londres (Dugdale, /. c.) qui, du reste, n’existaient plus en 1403, 12 mai (Dugdale, II, 1, pp- 381-383), cf. J. Stevens, Hist. of thè ancient abbeys [London, 1723, 2 v. in-f.], II, pp- r74_27S)-Le P. Hélyot, qui ne consacre (Hist. des ord. relig., Ili, 347'348) qu une notice tout-à-fait insuffisante et confuse aux religieux de l’Étoile, ne parie pas des religieuses. (2) Charte, publiée d. Cheval.-Lagéniss., pp. 116-117; cf. p. 127 (1395)* (3) Cité dans Chevalier-Lagéniss., p. 127. (4) Lettre de Pév. Arnauld de Limone, oct. 1442 (Cheval.-Lagéniss., p. 156); cf. (Id. p. 130) une Charle du 26 nov. 1408, où figure un religieux bethléémite de Clamecy, et (pp. 144, 192) Pindication d’autres piéces qui constatent l’existence, - 633 - Il est donc à peu près certain qu’il a du y avoir, vers 1250, et probablement sous le pontificat du premier dominicani, évéque de Bethléem, réforme de ces religieux, dont 1 insubordination avait donné lieu aux plaintes dont je viens de parler, ou plutót création d’un nouvel ordre (1), qui emprunta aux Fréres Prècheurs leur costume et au chapitre de Bethléem sa règie. Il semble également qu’une fois ce chapitre expulsé en 12 66 de la basilique de la Nativité, et de la Terre Sainte, entre 1284 et 1291, on ne crut pas devoir le transporter en Occident, ou il n’aurait d’ailleurs joué, dans un diocése sans ouailles, qu’un róle inutile (2), tandis qu’il est au mème endroit, de chanoines stellifères en 1420, le 19 mars 1445 et le 6 avril 1535. Cette petite communauté fut sécularisée, et transformée en un chapitre de six chanoines sèculiers, les 11 juillet 1555 et 12 juillet 1556 (V. Id., pp. 144, 195). 11 ne faut pas confondre ces chanoines bethléémites, avec plusieurs autres congrégations du méme nom, fondées dans diverses parties de l’Europe, en parti-culier dans les Pays-Bas, et aussi en Amérique. V. Chev.-Lagéniss., pp. 160, 246, 327-339. (1) Schoonebeck (Hist. des ordres religieux [Amst. 1700, 2 v,, 8.°], I, p. 138) et John Stevens (Hist. of thè arte, abbeys, II, p. 274), ont émis (sans citer leurs sources) l’hypothèse de l’existence simultanée de deux congrégations bethléémi-taines de religieux, toutes deux stellifères, mais vètues, l’une de noir, et l’autre de blanc; les frères, hospitaliers et quèteurs, simples convers, auraient porte le premier costume, et les profès, le second. Je n’ai trouvé aucun teste qui confirmàt explicitement cette conjecture: mais je n’en ai point trouvé, non plus, qui la con-tredìt. 11 ne serait pas impossible, en ce cas, que les frères, signalés par les documents, dès le commencement du XIII* siècle, n’aient point été, vers 1250, comme je viens de le dire, l’objet d’une réforme, mais qu’ils aient été simplement juxta-posés et soumis aux nouveaux religieux à costume blanc, qui à partir de la fin du XIII' siècle, auraient représenté et remplacé les chanoines d’Orient. (2) Il est vrai que l’une des bulles, par lesquelles Léon X transfère, le 22 juin 1513, l’évèque d’Arcadia, Martin Bailleux, au siège de Bethléem, est adressée ^N‘ tonio di Cremona (Oxford, Bibl. Bodl., Canonici 220, ff. 18-23). En 1332, le chevalier Wilhelm de Boldensele (G. de Boldensel Itiner., c. v [Canisius, Ant. lect., éd. Basnage, IV, I, 345]). — En 1335, un Anonyme italien (Viaggi in T. S. del s. XIV [Firenze, 1862, 160, p. 447]. et la méme année' 1,august1' nien Giacomo de Vérone , dont le récit très-détaillé constate la présence le 12 aoùt, dans la basilique de la Nativité, de plus de cent pèlerins latins, dont deux frères Mineurs, deux frères Précheurs et plusieurs prètres séculiers, qui tous y célèbrent la messe (Jacobus de Verona, Peregr. T. S. [Cheltenham, n. 6650, t. II, ff. 34-36]). — En 1336, Ludolf de Sudheim, dont le témoignage est détaillé et formel (Lud. de Sudheim, Iter in T. S., c. 37, éd. Deycks, pp. 71-72; De itinere T. S., éd. Neumann, c. x [Arch. de l’Or. lat., II, n, P' 349])j cf- Mandeville (Vers. italienne, éd. Zambrini [Bologna, 1870, 8.], I, p. 89) et Hertel de Lichtenstein (CEsterr. Viertcl-Jahrschrift f. kathol. Theol, P- 53 3)> qui le répètent. — En 1344, trois gentilshommes anglais (Cambridge, Corp. Christ. coll. 370). — En 1346, Niccolò da Poggibonsi , c. 104 (Libro d’oltramare, ed. Bacchi, t. I, pp. 227-228). — En 1375, l’archimandrite - 635 — Le S. Siége procèda désormais, motu proprio, à l’élection de 1 évéque, qui, privé du chapitre (i), resta, d autre part, le supérieur général des religieux bethléé-mites, chanoines de i’Étoile (2), et des religieuses du méme nom, soumis les uns et les autres, à la règie de S. Augustin. Il n y a donc pas lieu d’admettre un seul instant qu il y ait eu à Varazze un chapitre bethléémitain transporté de Terre Sainte. Mais, d’autre part, il a pu s y trouver, à une époque indéterminée, et comme dans beaucoup d’autres possessions de l’é-glise de Bethléem, des religieux, dépendant de Cla- Grethenius (Kiew, Musée Pétrow, n. 574, ff. 106-123). — Vers cette époque, les Franciscains sont installés à Bethléem dans leur établissement actuel; en effet en 1384, Frescobaldi y trouve « sei frati » de cet ordre (Viaggi in T. S. del sec. XIV [Firenze, 1862, 16’], pp. 98-99, 113; cf. 7fói.,pp. 211-212, 354-358, le témoignage de Sigoli et de Gucci, méme année). Ils n’y sont point, il est vrai, depuis longtemps, puisqu’en 1375, 25 sept. (Greg. IX Epist. [Quaresmius , Eluctd. T. S., I, 406; Wadding., Ann, Minor., VII, p. 266]), ils ne songent encore qu à fonder un couvent à S. Nicolas, hors de Bethléem; mais ils vien-nent d en ètre canoniquement investis, à la suite de l’abandon des religieux qui loccupaient (Quaresmius, II, p. 623). Or ces religieux, à mon sens, n étaient autres que les Bethléémites. Mais ici se présente une question aussi obscure que compliquée : celle de la substitution des Franciscains aux précédents religieux, d’abord dans le service, puis dans lapropriétè du sanctuaire. Je compte traiter ailleurs cette question avec les développements qu’elle exige, et j’espère, à laide de documents inédits, et en m’efforgant de concilier des témoignages, en apparence contradictoires, pouvoir déterminer avec précision les causes et la date de l’abandon de Bethléem par les religieux stellifères. (1) La riserve formelle, par le S. Siège, de l’évéché de Bethléem fut prononcée par Clément VI entre 1342 et 1347 (Clem. VI Epist., 1347, 5 nov. [#<£. Val., CLXXVII1, 1, f. 13]). On rétablit bien à Clamecy un chapitre de six chanoines en 1556 (v. plus haut, p. 632, n. |.), mais il n’eut pas à intervenir dans l’élection de l’évéque. (2) C’était, à peu de chose près, la situation actuelle de Pévèque-abbé de Bethléem-S. Maurice: mais l’élection de ce dernier est faite par les religieux, chanoines de S. Augustin, dont il est le supérieur. — 636 — mecy (1): ce serait à eux que ferait allusion 1 insciiption citée plus haut. Seulement aprés le grand schisine, comme ces religieux avaient pour supérieur le prélat francais de l’obédience d’Avignon, il est à penser que, s ils ne furent pas tous enlevés par la peste de 1375 (2), ceux qui échappérent au fléau ne se soumirent point aux éveques de Bethléem de la sèrie 'italienne , les seuls qui aient pu résider à Varazze; en sorte que ceux d entre ces évèques — deux au plus, comme nous l’avons vu, — qui ont pu venir à Varazze, y seraient venus, en tous cas, sans étre accompagnés d’aucun religieux. Tout, en effet, le laisse supposer : absence complète de personnages portant ce titre dans les piéces des piocés avec Savone: absence de pierres tumulaires gravées à leur nom. Au lieu d’un prieur et des officiers ecclésiastiques ordinaires d’un monastére, les documents locaux et méme les cinq collations faites avant le grand schisine, de 1297 à 1364, ne parlent que de « rectores, ministri, clerici » (3)- (1) C’est sous les plus amples réserves que je fais cette concession. car, tandis qu’en 1442 (v. plus haut, p. 632) l’ordre bethléémite était encore florissant en France, aucune des nombreuses piéces, émanées de Lanfranco, et publiées en appendice, ne permettent de supposer que, ni en Ligurie, ni dans le reste l’Ital'ie, il restàt alors des religieux bethléémitains. En 1386 (App-, IV, n. xxxi ), Lanfranco stipule bien un acte au nom de son église et de 1 ordì e qui en relè\e. mais ce n’est là qu’une formule. En effet, tous les prieurés, dépendant de Beth léem, sont administrés par des prètres séculiers; et méme pour celui de Sienne, cet évèque se trouve forcé, en 1413 (App., IV, 11. lvii), d’en venir à une lai'ci^ sation emphytéotique. A Varazze, la fondation du prieuré des Dominicains, qui eut lieu en 1419, mais avait été projetée longtemps auparavant, fut peut-etie déterminée par la disparition totale des religieux bethléémitains. (2) V. plus haut, p. 611. (3) Le mot canonici ne figure que dans la consultation que j’ai analysée plus haut, p. 620 (V. Verzellino, p. 592; App., IV, n. lxi), mais dans la discus-sion canonique et sans application bien nette à un fait réel. — 637 — il parait donc à peu prés certain que jamais la pré-sence, autour d’un évéque, soit d’un véritable chapitre, soit d un choeur de chanoines réguliers, n’a donné à 1 église de S. Ambroise de Varazze, les allures d’une cathédrale. X. Conclusion Résumons, en terminant, les conclusions qu’il est permis de tirer de tous les menus faits que je viens d’exposer. Au XII*, au XIII* et pendant les trois premiers quarts du XIV* siècle, les évéques de Bethléem ri ont jamais résidé à Varale. Deux y sont venus, Rainerio le 12 décembre 1223 (1) et Godefrido de’ Prefetti (mais avant d’étre évéque), le 6 octobre 1244; un troisième, Vulfran d’Abbeville, peut-étre le 27 juin 1306 (2): aucun n’y a séjourné. Leurs vicaires, pour la plupart, prélats dominicains comme eux, ne résidant pas plus qu’eux à Varazze ni surtout avec eux, n’ont jamais eu de démèlés avec les évéques de Savone. A la suite du grand schisme d’Occident et de la créa-tion par Urbain VI d’une sèrie italienne d’évèques de Bethléem, le quatrième et le cinquiéme ou sixième de (1) V. plus haut, p. 6oi. (2) V. plus haut, pp. 574 et 603, et App., IV, n. xiv. Atti Soc. Lig. St, Patria. Serie J.*, Voi. XVII. 41 — 63 8 — ces évéques, ce dernier de titre conteste, ont résidé en Ligurie. Le quatriéme seul, qui était certainement génois, est venu à Varazze, le icr avril 1396, tout en gardant sa résidence ofììcielle à Gènes, à S. Maria delle Vigne. Les évéques italiens de Bethléem n’ont point voulu se créer à Varazze un diocése indépendant, et leurs pré-tendues tentatives d’établissement d’une juridiction autonome en Ligurie, paraissent s’étre bornées à réclamer les droits ecclésiastiques octroyées par Ardizio. ils se sont vus pourtant expulser de leur bénéfice en 1424, et ont perdu probablement jusqu’au modeste cens de quatre florins d’or que ce bénéfice rapportait aux évéques fran^ais. Il y a peut-étre eu à Varazze, avant 1375, des religieux bethléémites de l’ordre de l’Étoile; mais le chapitre de Bethléem n’y a pas plus résidé que ses évéques. Les diverses assertions des historiens de Varazze, quelles que soient les traditions locales, doivent ètre à peu prés entièrement écartées. Je ne voudrais point quitter cette étude sans profiter de l’hospitalité, que veut bien me donner la Société Ligure d’histoire, pour dire quelques mots d’une question presque personnelle. Si au lieu de ne lui consacrer que cinq ou six pages, j’ai discutè avec autant de détails une petite erreur historique, qui aura paru peut-étre ne point valoir la peine d’un examen aussi approfondi et ne pas mériter l’honneur d’une aussi longue réfutation, c’est qu’à tort ou à raison, j’attache une importance extrème aux dé- f - 639 — pendances occidentales des établissements latins d’Orient. Cette importance, je l’ai déjà signalée ailleurs (i), et je ne saurais me lasser de la mettre en lumière: c’est elle que je veux faire ressortir aux yeux des érudits italiens. Les Lieux Saints, les établissements ecclésiastiques et les ordres religieux et militaires de Palestine, furent, en Occident, l’objet de donations considérables, ceux de Jérusalem dés le Xe siècle (2), les autres plus tard: ces donations ont été très nombreuses, et sans vouloir ici les énumérer, ni en discuter la nature, on peut dire qu’elles se sont étendues de la souveraineté politique ou de la juridiction épiscopale indépendante, jusqu’à la vulgaire propriété fonciére ou au simple patronat d’é-glise, constituant ainsi des dépendances d’ordre et d’im-portance très-divers. Chacune de ces dépendances eut naturellement ses ar-chives; et comme elles restèrent plus ou moins long-temps en relations avec les établissements orientaux d’où elles relevaient, il est évident que ces relations ont pu laisser des traces écrites nombreuses dans les dépóts ecclésiastiques de l’Occident. On ne doit point s’étonner que l’Italie, d’où partaient et où arrivaient les navires qui faisaient les grands pas-sages annuels de Terre Sainte, figure, au premier rang, sur la liste des pays, où les Lieux Saints d’Orient avaient des possessions. Nous venons de voir que, pour Bethléem seulement, quarante-sept diocéses italiens se (1) Bull, de la Soc. des Antiq. de France, 1877, pp. 61-69; Bibl. de Vie. des eh., 1881, XLII, pp. 12-18. (2) Mém. de l’Acad. des Inscr. et B.-Leltres, 1884, XXXI, pp. 61-195. 4 — 640 — partagérent plus de quatre-vingt deux dépendances, relevant de la basilique de la Nativité. De plus cette situation exceptionnelle des ports italiens, comme première étape du retour en Occident des pèlerins revenant de Terre Sainte, a amené un autre résultat. Lorsqu’au XIIIe siècle, les progrés des Musul-mans rendirent presque inévitable la chute du royaume latin de Jérusalem, les établissements d’Orient durent songer et songèrent en effet à se créer des asiles, où leurs membres pussent attendre en paix un retoui de fortune, qu’on a cru prochain jusqu’au milieu du XV siècle, et mettre en sureté leurs titres de propiiété pour pouvoir les faire valoir dans le cas de ce retoui, ces asiles, ils les cherchérent le plus prés possible de TOrient, et naturellement en Italie. Or les archives de Terre-Sainte étaient nombreux et importante: nous savons, par exemple, qu’un seul petit seigneur de Palestine possédait, en 1271, quarante-quatre chartes constituant ses titres (1): les ordres militaires, les grandes abbayes comptaient ces documents par centaines. Et comme nous sommes certains que plusieurs d entre ces établissements ont pu, gràce à la longue resistance que Tyr, Acre et Tripoli opposérent aux efforts^ des In-fidéles, avoir le temps de convertir en asiles surs quel-qu’une de leurs dépendances et d’y transporter leurs titres (2), enfin que, parmi ces dépendances, ils ont choisi de préférence celles d’Italie, nous en conclurons naturel (1) Charte du 2 juin 1271, d. Paoli, I, p. 194« (2) V. Bibl. de l’èc. des eh., I c. ; le patriarcat de Jérusalem est transporté Acquapendente, l’archevéché de Nazareth à Barletta, celui de Tyr à Oristano, les abbayes de Josaphat et de S. Marie Latine en Sicile, etc. — 641 — lement que c’est en Italie, surtout dans les archives ec-clésiastiques, que l’on a la chance de découvrir encore des documents inédits, relatifs aux colonies latines d’Orient, soit que ces documents proviennent des relations séculaires des établissements du Levant avec leurs possessions italiennes, soit qu’ils constituent les restes des archives orientales, mises à l’abri par leurs possesseurs à la fin du XIII' siècle. C’est ainsi que les archives si-ciliennes nous ont récemment rendu, provenant de cette seconde source, les chartes de N. Dame de Josaphat et de S. Marie Latine, et que la petite dépendance de Varazze nous a restitué, provenant de la première, la bulle, si importante et jusqu’ici inconnue, de Clément IV. Je suis donc convaincu que des recherches dans ce sens, faites dans les archives italiennes et surtout dans les archives capitulaires, seraient extrèmement fécondes pour l’histoire de l’Orient Latin, qui est comme le coeur de l’histoire générale du Moyen Age et qui, de plus, est liée si intimement à celle de l’Italie. Mais ces recherches difficiles et souvent impossibles pour les sa-vants étrangers, et qui, cependant, devraient setendre à presque tous les diocèses de la péninsule, ne peuvent ètre faites utilement que par les archivistes eux-mémes, ou par les érudits locaux; et c’est à eux que je me permets d’en signaler l’intérèt et l’importance, en leur donnant pour exemple et pour point de départ les bulles de Grégoire IX et de Clément IV, que je reproduis ici en appendice (3). (3) App., IV, n. ix et xi. Appendice N.° I TABLEAU DES SÉRIES EPISCOPALES LATINES DE BETHLÉEM-ASCALON XXIV. XXV. XXVI. XX VII. XXVIII. XXXIII. XXXIV. XXXV. XXXVI. XXXVII. XXXVIII. XXXIX. XL. XLI. XLII. XLIII. XL1V. XI-V. XLVI. xlvii. 1. II. III. IV. V. VI. VII. VIII. IX. X. XI. XII. XIII. XIV. XV. XVI. XVII. XVIII. XIX. XX. XXI. XXII. XXIII. ÉVEQUE DE BETHLÉEM avant Tèreciion canonique du siège en 1109 on 1110. 1099 — 1J03 m: 1109 ou 24 — 112$ 110 av.1- m j 1145 ~- 1128 in --- 1148 IV --- u$3 Vili 1156 --- él. 117$ --- 1186 21 _ (1193) X --- 1203 1 --- él. 1210 --- él. 1210 _ 1233 18 _ IV él. 1237 él. (1238) (1239) --- él. 1244 --- él. i2$8 XII --- él. 1267 28 tr. 1279 IX 5 X - (1299 1303 29 --- 1331 XII 20 tr. 1347 V - 5 XI tr. 13 $6 él. 1356 J_i _ VI **Arnolfo, évéque de Martorano. ÉVÉQUES DE BETHLÉEM-ASCALON Résidence en Terre-Sainte. - Aschétin ou Anselin I, O.S.A., d’abord (aut. 1107-print. 1108) évéque élu d’Ascalon seul. Anselme ou Anselin li, O.S.A., peut-étre le méme que le précédent. 19 11 $3 -- Gerard I ou Giraud, O.S.A. viii Absalon. chan. du S. Sépulcre, év. élu d’Ascalon seul, non reconnu, après 1169. *j* 1174 Raoul I, O.S.A., chancelier de Jérusalem (d’abord élu à Tyr en 1146, mais non reconnu). •f 1186 Albert, O.S.A. Raoul II. 7 1192 1202 xi N. :*j- 1205 — Pierre I, électeur de l’empire de Constantinople. rés. (1211) **Pierre, chan. du S. Sépulcre, intrus. 1227 —— Rainerio, O. Cist., sous-diacre de Rome, vili (1237) N. P., doven d’Antioche. **N., intrus. — tr. 1244 Jean I (Giovanni) Romano, tr. à Baffa. Godefrido de’ Prefetti, chapelain d’Innocent IV. 8 14 tr. 1267 - Tomaso I Agni, de Lentini, O.S.D., tr. à Cosenza, puis à (érusalem, -1277. iv r • IX (*J* 1278) Gaillard d’OssAU, O.S.D., pénitencier de Clément IV. 1298 Ugo de Curcis, de Naples, O.S.D., tr. de Troja. 1302) [Pierre II de S. Maixant, O.S.D.]. *f* 1330 Vulfran de Jac., d’Abbeville, O.S.D., vicaire-g.1 de Rouen. •f 1347 Guillaume I, O.S.D. 21 13$$ Pierre III, O.S D., tr. de Segni, f 1356. 15 2 tr. 1356 ■ Ilario Corrado, O.S.D., tr. de Meropolis , tr. à Malte, •[* 1372 —-— Residence en France. •j* 1363 Durand de Sauzet, O. M. él. 1363 —— tr. 1378 vii, puis- Aimar (Fabri?) de La Roche, O.S.D., vic.-gén. de Genève, tr. à S. Paul-Trois XI XI g Chàteaux, puis à Genève, -J- 1388 - XXIX. 1409 XXX. él. 1411 IL VII XXXI. él. 1412 24 XII XXXII. él. 1423 5 ni É V È QU E S DE BETHLÉEM Residence à .Clamecy. m x3 el. 1379-- y VII tr. 1388 él. 1388--rés. 1394 XII él. 1394 — tr. 1398, apr. le tr. 1395 24 26 M 30 el. 1403 - VII 22 IV t H03 27 *Guili.aume II de Vallan, O.S.D., tr. à Évreux, -j* 1400 23 él. - tr. 1408 - rés. 1409 - f 1410 - f 1411 11 - t H22 - XII -(rés. 1428?) él. 1428- XII él. 24 [433 — - tr. 1433 1436 ,. 26 • 143 IT ~ 1457 él. 1457 ---1463 él. 1464 - vi ■1 *7 el. 1477 — ■Ct 1477) 1482 -— i486 - il. 1488 — tr. 1489 ■ él. 1496 - - v ■ 1 l9 el. 1499--- vm 22 tr* 1S13 — ■ él. 1524 él. 15 $6 él. 1560 él. 1560 él. 1568 1583 4 VII $ XII - (t1499) - rés. 1512 1523 - rés. 1558 - t 1560 - rés. 1 568 - t 'S83 - (+ «587) 'Guillaume I1I-ì(Pierre ?) Martelet, . , 23 -J- i402,apres le — *Phii.ippe Froment, O.S.D., tr. à Ne-. 30 vers, -J- i40(7 " *Gérard li de Gisors, O. Carm., tr. d’Oca. •Jean II Lami, tr. A Sarlat, {* 1410 **Jean Arnaud, intrus. Gerard III, O.S.D. Michel le Doyen, O.M. Jean III Marchand, O.S.D. Laurent Pignon, O.S.D., tr. à Au-31 1432 —, f 1449 1 ÉVÉQUES T1TULAIR.ES DE BETHLÉEM Résidence en Italie et en Espagne. 29 (él. 1379) —rés. 1380 — 29 „2 él. 1380 —- — tr. 1384 — tr. 1384 tr. 1385 (tr. 138$) — 1413 18 1421 —- 1421 1424 • (tr-1426 w) Giuliano, O.M. Giovanni II Salvuzzi , de Fucecchio, , 24 O.M., tr. à Lucques, f 1393 - William II de Bottisham, O.M., tr. de Canatha, tr. à Llandaff, puis à Ro-12 Chester , 1400 - Lanfranco, de Gènes, O.M., tr. de (?), coadj. de Verceil. *M., O.S.B., peut-étre le méme que le suivant. *Guglielmo III de’ Manescalchi , de Messine. [Giacomo I Martini, tr. à Sessa, -f* 1462]. (Union du siège et du titre de Bethléem). Jean IV-Raimond de la Rociiaz, d’Alby , O.M., tr. à Cavaillon, f 1434. Dominique, O.M. Arnaud-Guillaume IV de Limone , O. Carm., gr.-pénitencier. ÉTIENNE I PlLLERAND, O.M. Antoine I du Buisson, O. Carm., coadj. d’Autun. Jean V Pillory, O.S.D., coadj. d’A-miens. Bertrand Brùlard d’ALBiGEY, O.M., tr. d’Ascalon, de Daria, vic.-gén. de Mende, coadj. de Clermont. [Pierre IV de S. Maximin, O.S.D.]. Hubert Liénard, O. Carm., tr. de Daria, coadj. de Liège, tr. à Daria. Jacques Hémeré. Jean VI de I’Apostoile, O.S.A. Antoine II de Crinel, O. Hum., 7 après 1513. Martin Bailleux le Doulx, O.M., tr. d’Arcadia. Philibert de Bf.Aujeu, O.S.B., coadj. d’Auxerre. **Dominique Philélin. Urbain Reverzy. **Antoine Trusson, O.S.A. - **Charles de Borbonnat, O.S.A. **SlMÈON JOURDAIN, O.S.A. — 1442 x445 1447- MS5 25 f 1462 27 él. 1462 —— Vili -j- 1466 av.1 18 ^1465 | él. 1466 après —j •J* 1468 él. 1468 —- — 1471 18 28 él. 1473 - —rés. 1 $00-- II VII él. 1506 — — 1511 él. 1 $ 17- — tr. i$I7 - IV Vili él. 1517 - tr. 1525 - tr. 1525 f. 1527 1534 - 28 el. 1535 —-- él. i$$o ii. is85 éi. 1595 _s_ VII 23 1536 ■ — 1572 — f 1593 — f 1603 Guglielmo IV Bolla, d’Acqui. Giacomo II Bolla, de Chieri. Cristoforo I, des m.is d’iNCisA, archip. d’incisa. [Juan IV de Formentera , O.S.A. , adm. de Valence, sous Alfonso Borgia (Calixte III) (1429-5$)]. Guglielmo V. Giovanni V Berratino, O.M. [Giovanni VI-Giacomo Colombo de Cuccaro, O.M.]. [Marco de Montilio, O.M.]. Fabricio. Francesco de Cavai.leriis , suffr. de Pavie (?) Cristoforo II Amici, O.S.B., d’incisa, abbé de S. Cristoforo de Bergamasco. Matteo. Antonio (di P.P.) Giocchi del Monte, de M.-S. Savino, O. Camald., suffr. de 2 Pavie, tr. à S. Severo, *r 154$ «- XII Cristoforo III del Monte, suffr.de Pavie, tr. à Cagli, à Marseille, à Cagli, patr. d’Alexandrie, card, de S.te Praxède, + 1564 — Tomaso II Albizzi, O.S.D., tr. de Cagli. Leonardo de Vercelli, O.S.A. Luis Soler, chan. d’Orihuela. Cristòbal IV de Arguellada, chan. de Jaen. Mario Bellomo, coadj. de Caserte. Vincenzo Malatesta de Correrio, de Cameriota, O.S.D., coadj. de Muro. ÉVÉQUES DE BETHLÉEM Résidence à Clamecy. i? XLVIII. I él. 1 él. 1 XL1X. | él. 1611 L. LI. | él. 1644 LII. LUI. | él. 1664 ~ 2~ él. 1701 — b. 160$ *7 28 L1V. 29 él. 1702--b. 1713 — -j- 1609 - rés. 1609 20 , CS. Ibi $ - —T 1619 - III b. 1623 —— —- 7 1644 - x — f 1650 ■ cs. i6$i rés. 1663 * m — » 1664 —+ 1701 -vi — rés. 1701 - _-- 1738 XII *9 23 LV. 1 él. 1739 — » 1739 — T *754 — 4 16 , 21 LVI. I él. 1754 — “ « 1754 — —T 1777 Vili 31 IV LVII. | él. 1777 vili — » 1778 — — f 1801 iv i8ci —— — 1840 -~- Louis I de Clèves, O.S.A. **Érard de Rochefort, 7 v. 1646. Jean VII de Clèves, O.S.A. André de Sauzéa. Jean VIII-Franqois Bontemps. 17 Christophe d’AuTiER (Altieri) de Sisgau, O.S.B., f 1667 —~ Francois I Bataillier, O.M. 4 *Louis de Sanlecques, f 1714 *^-Louis II-Chérubin le Bel, O.M. Louis III-Bernard la Taste, O.S.B. Charles-Marie de Quélen. Francois II-Camille de Duranti de Lironcourt, vic.-gén. de Laon. Vacance du siège. ÉVÉQUES DE BETHLÉEM — S. MAURICE Résidence à S. Maurice d’Agaune. LVIII. b. 1840 26 VII Étienne II Bagnoud, O.S.A., abbé de S. Maurice. ÉVÉQUES TITULAIRES D’ASCALON-BETHLÉEM. él. 1390 — 1391 26 1413 — 1416 - (?) él. 145$ 1455 1469 ni Lacune. Matthaeus de Frankenberg. Wilhelm II, coadjuteur de Toul, puis de Trèves. Johann II, suffr. de Bamberg. Lacune. Antonius. Jacques I Fluctre , O.S.D., coadjuteur de Strasbourg. Lacune. él. 1481 _(tr. 1482 ?) Bertrand Brùlard d’ALBiGEY, vicaire-gén. de Mende, coadjuteur de Clermont, tr. à Daria, puis à Bethléem-Clamecy. IX ----------- -------> _____ ÉVÉQUES TIT. D’ASCALON-BETHLEEM Coadjuleurs de Mayence (Erfurt) et de Wilr^burg. 6 él. 1498- b. » -> — t XI 31 xii ì él. i$o8 N 1Q i b. 1509 •— ( 28 b. 1534 19 b. i$$i- f x5 56 VII 31 1 b.- i$70- — rés. 1570- ‘ 11 08 b. 1574-él. 1 $7$ - vi \ _ f i$87 - cs. i$78 ( vni b. 1606 —— — •[* 1608 - vii x cs. nov. I4 b. 1609-- 1 - 20 ' VI cs. 1610* IX él. 161$ -cs. 1616- él. 1633-b. » cs. 163$ * — f 1633 . — 11674 Caspar Grunwald (W). Paul de Huthen (M), et après 1525 (W). Martinus Pictor (Maler?), chan. de S.M. d’Erfurt (M). Lacune Wolfgang Westermeier (M). Lacune. Pedro IV de Coderos. Johann III (M. ?). Nicolas Elgard (M). Johann IV-Valentinus Mohr, O.S.B. , abb. de S. Pierre d’Erfurt (M). Cornelius Gobelius , prév. d’Erfurt (M). Christofer Weber, doyen d’Aschaffenburg, prév. d’Er-furt (M). Wolter Henriquez de Stre-versdorf, O.S.A. (M), et en 1644-$ (W). ÉVÉQUES TITULAIRES D’ASCALON. (i.e Sf.rie). ÌBernardino Vacca ou de Vacchis, abb. de S. Frontigliano d’Alba, doyen de Saluces. v . Coadjuteurs de Constance (Uberlingen). él. i$i8 28 él. 1518 - -res. I$i8 28 u r9 , b. 1$$!----f I $7 ! 27 IO b. i$74— —1606- VII 11 Johann III Spitzer, de Bamberg. Melchior Fattlin. Jacob II Emner. Balthasar Wìjhrer. ÉVÉQUES TITULAIRES D’ASCALON. (2.e Sèrie). él. 1S03-b. 1518 - 28 \ r7—< /Ralph III Heyles- __^ den , O.M., suffr. 1 in Hereford, puis de Worcester. 1522 Pierre « de Albo », coadj. de Clermont. , xv Jànos III Toldy, b* I525 (T i53°) j chan. de Waradin, I coadj. de Sirmisch. /William III Duffid, O.M., coadj. de S. Asaph, de Cantor- él. 1< 31 - VII 1535 b-y|.?33-; d’York (1535). b. 1622 26 -(f !«37) ÉVÉQUES TITULAIRES D’ASCALON. Geronimo Gonzalès. b. 1638—^- — tr. 1641 vn Francisco 1 Garcia Mendez, 'S.J., coadj. de Cranganor, tr. à Cran-ganor, f 1659 ÉVÉQUES TITULAIRES D’ASCALON Résidences diverses. cs. 1679 cs. 1696 él. 1718 ' tr. 1767 él. 1778 él. 1826 él. 1849 30 1802 — 182$ 27 t 1693 t I7°9 tr. 1718 • r 1773 •|- 1801 - 1853 ■ 1853 1866 él. 1867 - — cs. 18 Francois II Deydier, vie. apost. du Tonkin. Alvaro de Benavente, vie. apost. du Kiang-Si. 14 Dominique-Marie Varlet, tr. à Babylone, *j* 1741 Lacune. Joachimo-Maria Pontalti, O. Carm., tr. de Lesina. Jean V-Marie Cuchot d’HERBAiN, coadj. de Trèves. Vacance du titre. Pasquale Giusti, vic.-gén. de Naples, coadj. de Caserte, archid. de Cajazzo. Ignazio, des m.is de Bisogno, auxiliaire de Naples. Vacance du titre. Léon Meurin, S.J., vie. apost. de Bombay-Nord. N. B. — Les dates que ne précédent point une des abréviations suivantes : él. = élu tr. = transféré b. = bulles cs. = consacre rés. = résigne sont les dates extrémes, que fournissent, pour chaque évéque, les documents contemporains authentiques , celles qui sont placées entre parenthèses, ne sont que déduites des mémes documents. Les noms accompagnés d’un astérisque *, sont ceux des évéques nommés ou confirmés par des antipapes ; ceux qui sont accompagnés de deux astérisques **, sont ceux des évéques qui n’ont pas été reconnus par le S. Siège ; ils ne sont pas comptés dans la liste régolière de Bethléem. Les noms entre crochets [ ] sont douteux. APPENDICE II. Liste des vicaires-généraux des évéques de Bethléem; pour l’Italie, au XlVe siècle. 1348 Domenico de Campo Abb. IV. n. App. IV, n. xv. 1356 Martin, O. S. D., évèque de Sé- kaste Verzellino, I,p. 257. 1364 Pietro de Marigliano, O. S. D., évèque de Ténédos App. IV, n. xvii. 1365-9 Guido d’ Incisa, évèque d’Acqui » » n. xvm-xix. 1371 Filippo de Varese, prévót de Gènes » » n. xixi,v. 1372-1385 Lanfranco de Gènes, O. M., évèque de (?), coadj. de Verceil. Plus haut, p. 614. 1386 Rafaele de Savignone , prévót de S. Maria delle Vigne, à Génes (Pour la Ligurie seulement) App., VI, n. xxix- XXX. » Antonio Cataneo de Vezzano, de Plaisance » » n. xxix, xxxn-xxxiv. » » » » n. xli. » » » Giacomo de Rivo, clerc d’Asti (Pour la Haute-ltalie) » » n. xLii. 1 Antonio de Boscari , O. Min. (Pour la Sicilc) » » n. lui. et Pirrus, f. 1317“. - 644 — III. Liste des prèvóts (praepositi, rectores, ministri) Bethléémitains de l’église de S. Ambroise de Varale, aux X11IC et XIV' siècles. H39 N- APP- IV’ n‘ L 1223-1224 Oberto de Ponzone » » n- vi-vm. 1297 Oberto de S. Donato, O. S. D. App. IV, n. xm. 1306 Bartolomeo d’Oci.viiANO, 0. S. D. » » n- xiv. 1348 Guglielmo de Torino, 0. S. D. » » n. xv. 1355 Nicolas de Rhètie » » n- XVI-1364 Giovanni (di Nicolò) Coirolo , de Rapallo » » n. xvn. 1371 » » » » n. xix av.1 1380 [Giovanni Carrosio, prorecteur] App. IV, n. xvm. av.1 1382 Antonio de Viali » » n- xxn. 1381-1382 [Pasquale de Rapallo, prorecteur] » » n. xx-xxi, XXVII. 1382 Marco de’ Guidoboni, de Tortone » » n. xxn. 1383-1397 Leonardo Tiralerco, de Castiglione de Moneglia » » n- xxv, XXVII, XXXVII-XXXVIII, XLVIII, xlix. — 645 — IV. 1 veutaire des pièces qui établissent Jes véritables rapporti de l’église ethléem avec sa possession de Vararle et avec l’église de Savone (i). I. ”39, 27 ianvier (2) Satome. Vé lìlal*°n ^ar y évèque, et par le chapitre de Savone, de Bethlé & ^ ' ^m^ro*se ^aralle, à Aschétin ou Anselin, évéque de em el à ses successeurs. Epoca°(d■ AlCh’ Capitulaires’ Manuscrit de V Archipritri (3) — Publiée dans: La 1 Varale), 7 juin 1874 (Fazio); - Arch. stor. ital, 1885, XV, p. s6 n. documents inè»0 Centesimo trigesimo nono sexio chalet das Februarii iniictione Sala. 3 ° M ^ Me XXX XIII1 s exio lai. februarii iniicione sexta. nuscrlr A c TEt!G0 ' MCXXXV1III sexlo Chat. Ftbruar. iniicione iteunia ; ce que donne bien le ma- 4 “ EnfinV°nC; (V°Ìr Secunda " ^ C°P‘e modeme- i’ai sous les yeus : MCXXXIX sexto kalendas februarii iniicione exnl; P , COndamnat,°n sur les différences orthographiques de l’année et des calendes, mais il faudrait Sriiidiversi,é de i,indicti°n- suppose ’ St ^UX* ^ moins (lu’on ne corrige 1139 en 1129 par la suppression d’un X, et que 1 on ne Par C'U éf>0que’ Savone comptait les indictions i la génoise, soit un an en retard. Ces H°,Ure Secu"da serait corrtct> raiis seulement dans l’hypothèse de l’indiction vulgaire et non génoise. j tCxtes provìennent-ils d’une seule et unique sourcc — le Manuscrit, conscivé & Stvone — s uns de ce dernier, les autres de Poriginal? Je ne puis répondre quo par des conjectures, n’ayant ^ ir exacteraent, ai de quels manuscrits les deux premiers éditeurs avaient tiré la pièce, ni raème 11 en dehors du Manuscrit de Savone, l’originai de la donation existe encore quelque part. et ReSt.P0SSÌble *lue ‘'originai portai sexta et qu’il ait engendré la ou les copies publiées par MM. Fario oss>. puis qu’il ait iti corrigi en seeu„Ja au XIV* s. par le copiste du Manuscrit. Du reste, quelle que soit la date véritable, 1129 ou 1139, je n’ai rien i changer d ce que j’*> exposé nS cours du mèraoire qui précède. (>) Je désigne ainsi le manuscrit, dont je parie plus haut (p. S49)- H. l’archiprètre A. Astsnoo, non content de m’autoriser à faire reproduire un feuillet de ce manuscrit, feuillet dont je donne ici le fac-Slmil°, aux deux tiers de la grandeur naturelle, a pris la peine de m’envoyer la description suivante du _ volume cntier: Sans tt° — Dimensioni : 0,58 X 0,23 — 50 ff. vilin et papier, non folioits. —• 646 — (Rossi); — Verzellino, Memorie di Savona, éd. A. Astengo (Savona, 1885-6, 2 v. in-8.°), I, pp. 509-510]. In nomine sancte et individue Trinitatis, anno ab Incarnatione Domini m°cxxxviiij, sexto leali, februarii, indicione secunda (1), ego, Ardicio (2), Dei gratia Saon[ensis] episcopus, omnibus nostris fidelibus, tam presentibus quam futuris, notum esse volumus, quod i.° Concessions de biens appartenant au chapitre et aux prébendes de Savone (Vélin). 2.0 Donation mutuelle entre l'archidiacre Merlino Niella et Benedetta Niella, à cliarge pour le dernier survivant de tonder une chapellenie A la cathédrale. 5.0 Accord entre Isabella Vegeria et Leonardo Spinardo pour la dotation de la dite chapellenie. 4.0 Concession d’une terre A S. Donato, faite au chapitre par Matteo Carrabono. $.° Convention entre l’hoirie d’Eliana de’ Rainaldi et le chanoine Mazucco au sujet d’un legs de 300 1. 6,° Lettre du chanoine de Arborio, de Gènes, pour le paiement des décimes pontificaux. 7.0 Lettres instituant l’archiprètre de Savone sous-collecteur apostolique pour les diocòses de Savone et Noli. 8.° Enquète et procés contre l’archiprètre Bartolomeo Ricordano. 9.0 Donation «TArdizio (n. I). 10.° Bulle de Clément IV pour Bethléem (Plus loin, n. XI). 11.° Consultativi en faveur de Savone contre Bethléem (Plus loin, n. LXI). 12.0 Pièces relatives au dijfirend entre Savone et Bethléem (Plus loin, n. XXII, XXIII, XXV, XXVI), y comprìs Venquète au sujet du bapteme de 1)8} (n. XXV). 13.0 Déclaration de l’hoirie de Francesco Donati. 14.0 Opposition du chapitre A une ordonnance de l'évèque Valerio de’ Carderini. 15.0 Assignation au nom du mèra e, en la personne d’Odon Scarella, archiprètre et de Lorenzo Sansoni, chanoine, pour comparaitre devant l’év. d’Alba, en vertu de lettres de Sixte IV. 16.0 Testament de Lorenzo Sansoni en faveur du chapitre. 17.0 Fondation par Pietro Gara, év. de Savone, d’une prébende subdiaconale à la cathédrale. 18.0 Citation, au nom du prévót Bernardino de Contrariis contre Pantalcone de Niella, au temps d’Adrien VI. 19.0 Testament d’Emanuele de’ Gìudici en faveur du chapitre de Savone. 20.0 Donation au chapitre de $0 écus au soleil. 21.0 Donation au mème de 28$ 1. 22.0 Bulle de Paul III reconnaissant au chapitre l’administration du monastère de religieuses dé-pendant de la cathédrale. 23.0 Testament de Francesco Becalla. 24-25.0 Mises en possession de prébendes données A Giovanni-Pietro de Salucbs et A Girolamo Daddei, de Mondovi. 26° Transaction avec Giov. B. Lomellini, sous-collecteur apostolique, au sujet de la succession de Frane. Sacchi, prévót de S. Andrea. 27.0 Citation de l’archevèque de Gènes, délégué apostolique, au chapitre, pour la cessiou d’une partie de verger A l’hòpital de S. Paolo. 28.0 Citation faite au chapitre au sujet de la succession de F. Sacchi. 29.0 Procés intente A Mich. Bresciano. (1) sexta (Faz, et Rossi). (2) Arditio (Faz. Rossi). — 647 — nos, inteiventu et conscilio canonicorum nostrorum, nostreque ecclesie fidelium, conce[s]simus et donavimus Anselino (i), sancte Bethelemitice ecclesie episcopo, per manus ejusdem ecclesie Be-thelemitane prepositi (2), ecclesiam nostram , in honorem sancti Ambroxii constructam, necnon fratribus et subcessoribus ejus, que in loco Varaginis hedificata consistit, cum omnibus rebus ad pre-factam (3) ecclesiam pertinentibus, quas similiter officiales ipsius ecclesie, que (4) tenere soliti sunt, eo ordine ac jam (5) supradictus episcopus ejusque subcessores teneant (6) predictam ecclesiam Sancti Ambroxii et prenominatas res, ad eam pertinentes, ad regendum et gu ernandum, et quos (7) prefactus (8) prepositus Bethelem[iticus], c er'cos > in eadem ecclesia, ordinaverit, a nobis nostris[que] (9) su cessoribus consecracionem accipia[n]t. Hec autem concessio sive onacio sub tali titulo ordineque facta cognoscatur, videlicet (10) quando (11), diabolico instigante spiritu, officiales prenominate ecc esie Sancti Ambroxii catolice seu honeste non vixerint, nutu atque potestate Bethelemitici episcopi aut prepositi Bethelemitani id emandetur (12). Testes ad hoc not[is] etc. (13). Scriptum per manus Octonis etc. (O Angelino (Astengo) ; Ansellino (Faz.). (2) ejusdem eoiem belhelimatano preposili. (Ast.) (3) prefata,,, (Faz, Ross,, Ast.). (4) 9«« (Faz.); quo (Rossi). quoi (Ast)_ (s) actam (Ast.). (6) teneantur (Faz., Rossi). (7) 3uod (Ast,). (8) prafalus (Faz, Rossi). (9) que (m. d. Ast.). (■o) ut (Ast.). (h) quos (Faz.); qui (Rossi). (»2) emendetur (Rossi, Faz. Ast,). (13) «olis el rogatis (Ast.); vocali (Faz.); ad hec vocali (Rossi). _ 648 - II. ii39, févr. — 1143* scpt- Bulle d’Innocent II, confirmant les possessions de l’église de Bethléem, (et en particulier, celles de Ligurie?). [Document perdu — Cité dans les n. IX et XI — Jaffé-Lòwenfeld, n. 8285] (0 III. Latran. 1144. sept. — 1145, janv. Bulle de Lucius II, répétant la précédente. [Document perdu — Cité Ibid. — Jaffé-Lòwenfeld, n. 8699], IV. 1181, 1." sept. — 1185, JS nov. Bulle de Lucius III, répétant la précedente. [Document perdu — Cité Ibid., n. IX]. V. 1216, 18 juill. — 1227, 18 mars. Bulle d’Honorius III, répétant la précédente. [Document perdu — Cité Ibid., n. XI] (2). (1) Les n. IX et XI se réferent aussi à des bul'.es analogucs, et également perdues, de Pascli 11 (1099-1118) et de Calixte 11 (1119-1124; - Jafpè-Lowbkfeld, n. 7096); mais, antérieures à la donation d'Ardizio, elles ne pouvaient mentionner Varazze. (i) Il serait possible qu’il y ait cu une crrcur commise par le copiste du n.° XI, et qu’au lieu d’Honorius III, dont les registres ne conticnnent pas cette bulle, il fallùt lire Urbain III (1185, 1 <&. - 1187, 17 dèe.) — 649 — VI. ,M3' 11 dic Procuration donnée, en présence de Rainerio, évèque de Bethléem, par Obeìto de Pontone, ministre de S. Ambroise de Varale, a Guido de Perreto, pour le procès exposé dans le n. FUI. [Gènes, Arch. di Stato, Arch. notar., NotuJarium M. Salomonis ann. 1222, f. I28.a]. Anno Domini millesimo ducentesimo vigesimo tertio, indictione undecima, die martis duodecimo mense decembris, dominus Obertus, minister et rector ecclesie Sancti Ambrosii de Veragine, coram domino Rainerio, Dei gratia Bethleemitano episcopo, constituit et ordinavit presbiterum Guidonem de Perreto, suum procuratorem m causa quam habet cum domino electo Sagonensi, coram do-minis R[ainaldo] et B[ertoloto], canonicis Janue; et domini pape judicibus delegatis, ad proponendas exceptiones racionabiles et probabiles coram eis, et ad petendum terminum ad probandum lpsjs exceptiones, promittens ipse presbiter Obertus, quod quidquid dictus presbiter Guido, coram predictis judicibus supradicto modo feceiit, ratum et firmum habebit. Testes: presbiter Guido de Naulo, Pascal, et Maruellus, et alii. Actum in camera Sancti Ambrosii de Veragino. Villielmus de Meladio, notarius sacri palacii, interfui et rogatus scripsi. VII. I2a4» 7 janv. Sivokb? Procuration donnée, pour la méme instance, par le b.x Albert de Novare (1), élu de Savone, et son chapitre, au clerc Pietro de VegUvaria. [Gènes, Ibid. f. I28.i>]. Anno Domini millesimo ducentesimo vigesimo quarto, indictione duodecima, die dominico, septima idus januarii, dominus Albertus, (1) 1221-1230, — 650 — Saonensis electus, de voluntate fratrum sociorum, Henrici, archi-diaconi, P., archipresbiteri, Gleogerii , prepositi, O., cantoris, presbiterorum.......... etc., constituit Petrum, clericum suum de Veglevaria, auctorem seu procuratorem, vel syndicum, in causa quam habet nomine episcopatus, cum ecclesia Sancti Ambrosii de Varagine, et cum ministro et clericis dicte ecclesie Sancti Ambrosii, coram dominis Bertoloto et Rainaldo, canonicis Januen-sibus, ex delegatione domini pape, promittens se ratum habiturum quidquid fecerit in dicta causa, agendo, respondendo, replicando, et opponendo, et aliis omnibus modis. Testes fuerunt: Phylipus, presbiter de Novaria, et Teotonicus, serviens dicti electi. Actum in domo dicti electi. Vercelus notarius scripsi. VIII. 1214 , 10-19 janvier. GJnes. Procès intenti par ìe b.x Albert de Novare, élu de Savone, et par-devant Rainaldo et Bertoleto, chanoines de Génes, juges commis par le S. Siège, 'a Oberto de Pontone, ministre de S. Ambroise de Varane. [Génes, Ibid. f. 128/]. Die x januarii, ante terciam. Nos Ra[inaldus] et Berto[lotus] , canonici Januenses, delegati a domino papa in causa que vertitur inter dominum electum Sa-onensem, ex una parte, et Ubertum de Punzone , ministrum ecclesie Sancti Ambrosii de Varageno, ex alia parte, habito consciHo sapientum, interloquendo pronunciamus presbiterum Guidonem de Pereto esse sufficientem responsalem ad proponendas legitimas exceptiones, et ad probandum eas, et ad terminum recipiendum super probacionem ipsarum. Iste sunt exceptiones porrecte a dicto presbitero Guidone: Exceptio domini Uberti, ministri Sancti Ambrosii de Verageno, contra dominum electum Saonensem. — 65i — primis dicit rescriptum non valere quia dieta ecclesia Sancti est sub episcopo Bethelemitano, qui habet privile-g ^ continens. « quod aìiquis episcopus non potest illos Bethele-nos interdicere, vel excommunicare, vel ab eis procuracionem <\ am petere, et, si contra fecerit, incidit in penam excommuni-» cationis ». quia fuit impetratum sine speciali mandato domini electi, quia fuit impetratum per mendacium. em quia fuit impetratum per suppressionem veritatis, quam si vile ’ tSSet5 nUn^uam habuisse[t] literas, quia dicta ecclesia est pri- Q. um admitimus secundam; terciam autem non recipimus, fuer' ^rimat CL1^usmodi mendacium, quo cognito, recipiemus, si cipienda, reliquam primam et ultimam non admitimus, que terminum eidem presbitero Guidoni ad probandum se- am exceptionem usque ad octo dies proximos. Si quas voli terius opponere dilatorias, vel declinatorias, usque ad ter- piedictum, eas porrigat nobis in scriptum; et hoc dicimus peremptorie. m eodem die, porreximus libellum infrascriptum dicto procu-. r'’ Prec^P>endo ei sub pena interdicti, quod debeat porrigere psum domino Uberto predicto cicius quam poterit. Tenor libelli talis est: Petrus, canonicus, de Veglano (i), et Bonus Johannes, clericus ecclesie de Viarasca, nomine electi vel palacii Saonensis, cujus prouiratores, seu syndici, vel actores sunt, agunt contra Ubertum de Punzono , clericum seu ministrum ecclesie Sancti Ambrosii de Varagino, nomine ipsius ecclesie, et petunt ab eo soldos » decem Janue, salvo pluri, et ut servet interdictum factum per » predictum electum, hoc imo quia dominus Petrus, Terdonensis » episcopus (2), delegatus domini Ugonis (3), Hostiensis episcopi » et apostolice sedis legati, dedit licentiam et auctoritatem prefato (1) Très-certainement le mème que le Petrus de Vegleverià (nom diffidle 4 identifier, peut-ètre Vìgevano) de la pièce précédente; le libellus a été copié au registre après coup, et probablement mal copié. (2) Pietro Bussetto, évéque de Tortone (1221-1255). (3) Ugolino d’Anagni, plus tard Grégoire IX. — 652 — » electo, ut omnes clericos, tam regulares, quam alios, posset » cogere per censuram ecclesiasticam ad solvendam porcionem » que contingeret singulos, de procuracione, quam dictus Saonensis » electus fecit predicto delegato apud Saonam et in Saonensi » episcopatu ; unde quia dominus electus procuravit dictum dele-» gatum, et soldos decem et plus contingunt dictum ministrum » de ipsa procuracione, quos ipse solvere noluit; et, propter hoc, » per ipsum electum interdictus fuit, quod interdictum dictus mi-» nister non servavit, et observare contempnit. Imo agunt et petunt » ut supra, jure canonum, salvo jure addendi et diminuendi et » mutandi peticionem. » Item petunt ab eodem, predicto nomine , ut det eis soldos » viginti, nomine predicte ecclesie Sancti Ambrosii, hoc imo quia » dictus electus vult ire Mediolanum pro munere consecrationis » habendo, et ea occasione fecit collectam, de qua predictus mi-» nister debet soldos viginti et plus ; quos quia solvere no-» luit, per predictum electum interdictus fuit, quod interdictum » observare noluit et observare contempnit; quare agit et petit » ut supra. » Item petunt ab eodem, predicto nomine, alios soldos viginti, » pro victualibus et vestitu, que dictus electus, de mandato summi » pontificis, dat clericis quinque Papiensibus, in omnibus salvo » jure pluris et alterius peticionis. » Item alios soldos decem, pro expensis legatorum domini Mu-» tinensis et Laudonensis ». Die xviij januarii. Presbiter Guido predictus, interrogatus a dictis judicibus quis fuit ille qui impetravit rescriptum, dixit: « Nescit ». Item eodem die, predicti judices exceptiones infrascriptas non receperunt, nec voluerunt admitere eas. Iste sunt exceptiones, quas secundo porrexit dictus presbiter Guido: In primis dicit: « Quod dominus electus Saonensis excommunicatus » est, quia contravenit privilegium domini pape, quod continetur » in illo privilegio : « Si aliquis excomunicaveril vel interdixit ali-» quem fratrem Bethleemitanum, solo jure excommunicatus est ». p. L --- ••••►/vwftv uovi n % judices pronunciaverunt exceptiones predictas non esse — 653 — Item dicit. « Quod ecclesia est episcopi Bethleemitani, nec aliquam jurisdictionem habet episcopus Saonensis in illa ecclesia ». tem dicit. « Quod non credit quod dictus episcopus Terdo-nensis esset delegatus a domino papa, nec a cardinali, imo non » potuit ipsum interdicere ». dicit. « Quod non est electus Saonensis subdelegatus ab » episcopo Terdonensi ». dicit. « Quod, per ista et quedam alia, non potuit ipsum » interdicere nec petere ea que petit. dicit. « Quod sententia nulla fuit quia non fuit redacta » in scriptis. » u d ' ho,pitale de Quartese> Sancti Panc^f6'11 ^Stensem’ eccIesiam Sancti Georgii, et ecclesiam In episcopatu Aquensi, ecclesiam de Pentema. In e'Vllate Albensi> ecdesiam Sancte Marie de Ponte. MonU ^ ^atU ^ensi, ecclesiam Sancti Pastoris, ecclesiam de i»2°’et hospitale de Gorena-Ragike ISC0PATU Sagonensi, ecclesiam Sancti Ambrosii de Vo- et pr ,C0I)atu Taurinensi, ecclesiam Sancti Michaelis de Coli,...... et eccl«iam in Ysasca. -m, a d S^°Patu ^ niporiensi, ecclesiam de Fontana-Morena, et aliam apua Barbarin. % su-^ ^°n’ s*tum in territorio Neapolitano, cum omnibus pertinentiis Casale Bethleem, cum omnibus pertinentiis suis. eri ani, quam tenent Jerosolimitani burgenses, sitam inter etieem et Jherusalem, cum omnibus'pertinentiis suis. Casale in Galylea, quod Bedar dicitur, cum omnibus appendiciis SU1S’ ^uo quoque casalia in confinio Vallis de Cursu, que Caphra- - 658 — palos et Caxusum vulgariter appellantur, cum omnibus pertinentiis suis. Domos et ortos, quos Jerosolymis habetis, cum pertinentiis suis; unum hominem cum possessionibus suis. Domum, quam habetis apud Accon, inter ecclesiam Sancte Marie de Platea et vetus palatium sitam. Juxta Bethleem, Bethlezan et Artasium, possessiones et terras, et majus stagnum, unde antiquitus aqua in Bethleem solebat defluere, cum omnibus pertinentijs et adjacentiis suis, ab Anselmo de Parentela, de assensu regio, ecclesie vestre, intuitu pietatis, collata. Duas carrucatas terre, quas Geroldus in territorio Phagor pre-dicte ecclesie vestre donavit. Terras quoque in territorio Bethamar, et unutn villanum, cum hereditate sua, in casale Sayr, ab Andrea de Templo vobis donatas. Inter Bethleem et Jerusalem, casale, quod Cadichinos dicitur, cum pertinentiis suis, quod, ex dono Piselli Vicecomitis et Gislh, uxoris ejus, habetis. In territorio Sancti Abrahe, casale Bethenasipli, cum omnibus pertinentiis suis. Ex feudo Radulphi de Fontaneto, casale Bechfassam, cum omnibus adjacentiis suis. In Cesarea Palestine, domum unam, et in ejus territorio, casale Belveir, cum omnibus pertinentiis suis. In territorio Ramensi, casale Thaeria, cum omnibus pertinentiis suis. In casale Sancte Marie, octo carrucatas terre, casalia Bethmelchi, Heberre et Luban. In Joppe, domos omnes et terras, quas ibidem habetis. Juxta flumen Eleutherum, duas carrucatas terre. In Caypha, domum unam juxta portam, qua itur Ptholomaidam, et in territorio ejusdem duas carrucatas terre. In Tyberi de, domum unam, et in ejus territorio, casale Aim, cum omnibus pertinentiis suis, cis et citra flumen (i), quod a mari Cedelee defluit, existentibus. (i) tamtn cod. — 659 — Casale Sembra, ex dono Ulrici, vicecomitis Neapolitani, et casale Capracule ex dono Bernardi Vaccarii. Casale Ramadec, cum limitationibus et omnibus adjacentiis suis. In Ascalona, domum, cum stationibus et appendiciis suis, et balneum eidem domui contiguum; jardinum quoque, extra portam civitatis, que rcspicit ad Orientem, prope murum situm; terras ad plantandum, vineas, furnum, molendinum, venales omnibus et conductitios. Quatuoi carrucatas terre ad Sanctum Michaelem. Casale Bethan-nam, pi ope Ascalonum. Juxta viam Sancti Michaelis, quinque cariucatas terre. Vineam vero, que fuit Guillielmi Ruffi, vicecomitis Ascalonitani, sitam et contiguam jardino Bethleem , quod ■est extra portam Ascalone, ad sinistram. Item Zacharie et Sancti-Georgii casalia, cum omnibus pertinentiis et integritatibus suis, cultis et incultis, quas ex dono Gon-fredi de Turre habetis, cum aliis omnibus ex feudo ipsius, ex dono Hugonis, domini de Sancto Habraham. Casale Bethaleam, cum omnibus adjacentiis et pertinentiis suis. Domos sane , quas in Neapoli optinetis, cum omnibus pertinentiis suis. In Tyro, prope castellum, unam domum. In diocesi Antiochena, Casalia Carcasia, Baldadia, Gabanio, vineas de Norsinac. n Antiochia, sex domos in vico Panticelli, in parochia Sancti rhome, et domus, que est juxta ecclesiam Sancti Petri; et una domus, ubi fiunt caiamite; et tres petie jardinorum , que sunt in parochia Sancti Jacobi. Sane laborum vestrorum decimas, quas (i) propriis manibus aut sumptibus colitis, de possessionibus habitis ante concilium generale, sive de nutrimentis vestrorum animalium, nullus omnino clericus, sive laycus, a vobis exigere vel extorquere presumat. Commutationem vero inter ecclesiam Bethlehemiticam et Nazarenam, super ecclesiam Acconensem rationabiliter fictam, confirmamus et ratam manere censemus. CO 9«os, cod. — 66o — Adjicimus quoque, ut omnes libertates et immunitates, a prede-cessoribus nostris, Romanis pontificibus, ecclesie vestre concessas, necnon libertates et exemptiones secularium exactionum, a regibus et principibus, vel aliis fidelibus, rationabiliter vobis indultas, auctoritate apostolica confirmamus, et presentis scripti privilegio communimus. Decernimus ergo, ut nulli omnino hominum fas sit prefatam Nativitatis Christi ecclesiam, vel ecclesias, ad eam in quocumque episcopatu pertinentes, temere perturbare, aut earum possessiones auferre, vel ablatas retinere, minuere, aut in eis indebitas exactiones facere, vel absque manifesta et rationabili causa, divina officia interdicere, seu quibuslibet molestiis fatigare; sed omnia integra conserventur eorum, pro quorum gubernatione ac sustentatione concessa sunt, usibus omnimodis profutura, salva in omnibus Sedis Apostolice auctoritate. Si qua igitur, in futurum, ecclesiastica secu-larisve persona hanc nostre constitutionis paginam sciens contra eam temere venire temptaverit, secundo tertiove commonita, nisi reatum suum congrua satisfactione correxerit, potestatis honorisque sui careat dignitate, reamque se divino judicio existere de perpetua iniquitate cognoscat, et a sacratissimo corpore et sanguine Dei et Domini redemptoris nostri Jhesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine districte subjaceat ultioni. Cunctis autem eidem loco sua jura servantibus, sit pax Domini nostri Jhesu Christi, quatenus et hic fructum bone actionis percipiant, et apud districtum Judicem premia eterne pacis inveniant. Amen. Amen. Amen. Fac /necum f Domine ses ses Petrus Paulus BENE Grego rius Pp viiii. Signum in bonum. VALETE Ego Gregorius, catholice ecclesie episcopus, ss. f Ego Pelagius, Albanensis episcopus, ss. j Ego Guido, Prenestinus episcopus, ss. — 661 — i Ego Oliverius, Sabinensis episcopus, ss. t Ego Stephanus, basilice duodecim Apostolorum presb. card., ss f Ego Thomas, tt. Sancte Sabine presb. card., ss. + Ego Oc[tavianus], Sanctorum Sergii et Bacchi diae, card., ss. t Ego Raynerius, Sancte Marie in Cosmydin diae, card., ss. "t Ego Stephanus , Sancti Adriani diae. card., ss. f Ego Petrus, Sancti Georgii ad Velum Aureum diae, card., ss. Datum Anagnie, per manum magistri Sinibaldi, sancte Romane ecclesie vicecancellarii, xij kal. septembris, indictione XV, Incarnationis dominice anno M. CC. XXVII, pontificatus vero domini Gregorii pape IX anno primo. X. 1263 décembre — 1264 septembre Viterbe (i). Bulk par laquelle Urbain IV confinile 'a l’église de Bethléem ses possessions en Orient el en Occident. [Document perdu — Cité dans le n. suivant], XI. 1266 ’ 11 mai. Viterbe. Extrait, en ce qui concerne I’Occident, d’une bulle par laquelle Clément IV renouvelìe les confirmations des papes, ses prédécesseurs. [Savone, Arch. capitulaires, Ms. de l’Archiprètré.— Pubi, dans: La Epoca (di Va-ralle)> 1874, 21 et 28 juin, 15 juillet; — Verzellino, I, pp. 582-586; — Clementis IV Bulla, 1266 n mai (S. 1. n. a [Genevas, 1885], 4 pp. in-4.0); — Bullce quibus eccl. Betlileemitana possess. confirmantur (S. 1. n. a, [Genevce, 1886], 8 PP- in-4.0)]. Clemens, episcopus, servus servorum Dei, venerabili fratri [Thome Agni, Bethelemitice civitatis episcopo], ejusque subcessoribus, et (1) Cctte date et ce lieu se justifient par le fait que Tomaso Agni, év. de Bethleem, n’a quitté la Terre Sainte que le 15 sept. 1263 et n’a pu arriver en Italie, pour demander cette bulle, Avant décembre de la mème année, que le pape a cesse d’écrire le 9 septembre 1264, et qu’entre ces deux dates, il n’a pas quitté Viterbe. — 662 — dilectis filiis canonicis Bethelemitanis, tam presentibus quam futuris, canonice substituendis in perpetuum (i). Sanctorum patrum decrevit auctoritas, ecclesiarum et monasteriorum privilegia, intemerata et inviolata omni tempore permanere; quecumque enim Sedis Appostolice privilegiis sunt ordinate disposita, sine aliqua refragatione, perpetua (2) debentur stabilitate servari, vel a quoquam (3), in totum vel in partem, convelli, vel qualibet occasione mutari. Sicut autem ex transscripto privilegii predeces-soris nostri, felicis memorie, pape Innocentii [II], predecessor noster sancte recordationis (4) Lucius papa secundus cognovit, predecessorum nostrorum, Pascalis videlicet [II] et Calixti [II], bone memorie, Romanorum pontificum privilegia, in quibus continebatur quod Ascalone parochia Bethelemitice subjecta permaneat ecclesie, pravorum hominum dolo et malicia, sunt erapsa et corrupta. Ne igitur tanta iniquitas Bethelemitice ecclesie in posterum dampnossa sit, eorumdem predecessorum nostrorum bone memorie, Innocenti [II], Lucii secundi, Lucii tertii et Urbani quarti vestigiis inherentes, ap-postolica auctoritate statuimus, ut, propter erasionem illam Bethele-mitica ecclesia nullam sue justicie diminucionem vel detrimentum substineat, sed eadem privilegia eandem vim et idem robur, ac si erasa non essent, obtineant; propterea quascumque possessiones, quecumque bona eadem ecclesia inpresenciarum juste et canonice possidet, aut in futurum, concessione pontificum, largicione regum vel principimi, oblacione fidelium, seu aliis justis modis, prestante Domino, poterit adipisci, firma vobis vestrisque subcessoribus, illibata permaneant. In quibus hec propriis duximus exprimenda vocabulis: In Messana (5) civitate, ecclesiam Sancti Thome de Contubria. In diocesi ipsius, ecclesiam Sancti Basilii in Melazio , cum omnibus pertinenciis suis. (1) Voir le fec-simile: j’ai respecté le texte détestablc, donné par le mnnuscrit, sauf pour les noms des diocéses qu’il fallait absolument corriger ; presque tous ceux des possessions sont A rcctificr : ce qui sera l’objet d’un travail ultérieur. (2) perpetue cod. (3) a quo quantum cod. (4) recordatione cod. (5) Manna cod. ‘''2. - ■ ■>-• . , {** f*f. *»a / 7~ ~tr ~«4Ss2£££££r •f* .....I1 -fHr^|X« «, S-5, «*S. Awf* ni^S<-* -• . ,-.u >?►■• *^«*# &-• a-fff'*L«- . ' r /V~ 'jftVM^V -j'fct. >*i..|\. ihAtfllfil _J»-‘*" ■" ***** rt^iitWiXnn/^i^jMpt^l > • ' Y$t V+--W ^~"* ^ 'Uijmd vV 1*Li fi ........... .*, J. * q . , r./ ■u+itutr m«i !«•**<'■ ••• fi® ' ^jt^eP^i i^f ~Jr, I ,L> « ■*-•««• he, ! - e» *-* « i* , ^ (*$** °n'r * Sw ,> iftfj -_ iy/M "“':Mh "' a v£6»< éd**-*'' 1 £ ii JS,! M r<* — 663 — Ia Capicio, ecclesiam Sancti Jacobi. In Siracusana (i) diocesi, ecclesiam Sancte Marie de Terrana cum casali ejusdem, et omnibus pertinendis suis. In Moacli ecclesiam Sancte Marie ... et ecclesiam Sancti Petri. In diocesi Hostiensi, prope Ninfa, hospitale Marchionis. In diocesi Sutriensi (2), hospitale Fortasi, prope Vetralam. In diocesi Viterbiensi, ecclesiam Sancti Egidii, ecclesiam Sancti P^uli et hospitale, cum omnibus pertinendis suis. In diocesi Castrensi, ecclesiam Sancti Johannis in Burgis, et hospitale, quod in Asedonio habetur. Prope Tuscanellam, Plebem Sancti Johannis..... In Urbinensi diocesi [ecclesiam Sancte] Marie de Pretorio, cum hospitale et pertinendis suis. In diocesi Balneo[re]gensi, ecclesiam Sancti Benedicti de ... (3). In Tudertinensi (4) diocesi, ecclesiam Sancti Andree de Podio-Gardie, et hospitale Sancti Sepulcri Pontis Fodalie. In diocesi Eugubiensi, ecclesiam Sancti Erasmi de Frata, cum hospitale et omnibus pertinenciis suis. In diocesi Pissana, ecclesiam Sancti Martini de Vetul[a]. diocesi Senensi, ecclesiam Sancti Salvatoris, et ecclesiam Sancte Marie, cum hospitale et pertinenciis suis ; ecclesiam Sanctorum Philipi et Jacobi, cum hospitale; ecclesiam Sancte Marie de Cormiolo; ecclesiam Sancte Marie de Agresto, cum hospitale; et e°desiam Sancti Bartholomei de Graticula, cum omnibus pertinenciis suis. In diocesi Cesenatensi (5), ecclesiam Sancte Marie de Betheleem. In diocesi Bononiensi, Sancte Marie de'Betheleem, de Bari ecclesias. Et ecclesiam Sancte Marie extra civitatem Papie, juxta pontem Ticini. In diocesi Terdonensi (6), ecclesiam que vocatur Casa Dei, et domum Pontis Romuleti, et ecclesiam de Mariaco. (1) Seracusana cod. (2) Sustrien. cod. (3) In Eugubiensi, ecclesiam Sancii Erasmi de Frala, cl hospitale Sancii Sepulcri, effacé. (4) Turdiuen. cod. (s) Cesariat. cod. (6) Tardonen. cod. — 664 — In diocesi Aquensi, ecclesiam Sancte Marie de Pentua; ecclesiam Sancti Donati de Bestagno; et ecclesiam Sancti Michaelis de Nicia. In diocesi Albensi, ecclesiam Sancti (1) Pastoris; ecclesiam de Monexilio, [in] posse (?) Montis Surdi ; ecclesiam Sancte Marie de Ponte de Alba. In diocesi Saonensi, ecclesiam Sancti Ambroxii de Varagine. Ecclesiam que in civitate Mantuana habetur. In Padua, ecclesiam et hospitale juxta portam Pontis-Corvi (2); ecclesiam Sancte Marie cum hospitale de Incurzatorio. In diocesi Taurinensi, ecclesiam Sancti Michaelis de Colis, et aliam in Isascham; hospitale et oratorium juxta Cherium; Hospitale de Falceto ; et hospitale de Mala Muliere. In diocesi Iporrigensi, ecclesiam de Tonacho; ecclesiam de Fontana Morregna; et aliam apud Barbarianum. In diocesi Ver[cel]lensi, ecclesiam Sancte Marie juxta civitatem; ecclesiam Sancte Anne de Palestra, et ecclesiam Sancti Laurencii de Rualto. In diocesi Astensi, hospitale Burgi Sancti Dalmacii; hospitale de Gamalena; ecclesiam de Castro Piati; hospitale de Quatorde. Hospitale, cum oratorio nuper constructo, [que] in Placentia diocesi obtinetis (3). In diocesi Veronensi, ecclesiam Sancte Marie de Betheleem in Monte Sancti Johannis. In diocesi Vicentina, ecclesiam Sancti Michaelis de Val[l]e Crepona. In diocesi Cenedensi (4), ecclesiam de Campo Lungo, et ecclesiam Sancti Simeonis juxta Serravaie. In diocesi Lunensi, duas ecclesias. In Alexandria, unam ecclesiam. In Trevixio, ecclesiam Sancte Marie de Betheleem. In diocesi Augustensi (5), ecclesiam de Duriacam, cum pertinenciis suis. (1) Michaelis .... Sancti souligné. (2) Crorvi cod. (3) oblinentur cod. (4) Cenett. cod. ($) Aucusien. cod. — 665 — In Scocia. In diocesi Sancti Andree, ecclesiam Sancti Germani. In Londenis, oratoria novem Betheleem. In Ispania. In diocesi Palentinensi, ecclesiam Sancte Marie Inter Castra. In Carione, ecclesiam de Pantanello, et villam Ville-Maris. In diocesi Legionensi, ecclesiam de Choamonte. In Gaschonia. De Oscem et Dastans domos et de Maletas, Adurinensis dio-cesis. Ecclesiam de Sanitate et de Bradalem, Agennensis diocesis. Domos de Commensae et de Castoras, Aquensis diocesis. Hospitale de Dolones, Vasatensis diocesis. In diocesi Autissiodorensi (i), ecclesiam Sancte Marie de Betheleem, de capite pontis Clemenciaci. Domum Dei et villam de Cersiaco (2), Edaensis (3) diocesis. Hospitale Sancti Perdimii, Claramon[tensis] diocesis. Ecclesiam Sancte Marie de Betheleem de Castro Dalmatani, prope Ebredunensem (4) diocesim. Sane laborum vestrorum decimas, que propriis manibus etc. Comunicacionem vero inter ecclesiam Bethelemitanam et Nazarenam, sive ecclesiam Acconensem (5), racionabiliter factam, confirmamus et ratam manere censemus. Decernimus autem (comme dans le n. IX). Datum (6) Viterbii, per manum magistri Michaelis , Romane curie vicecanzelarii, v idus madii, indicione VIIII, incarnacionis dominice M . CC . LX .VI, pontificatus vero domini Clementis pape IIII anno secundo. (1) Antidoren. cod. (2) Corsiaco cod. (3) Edunett. cod. (4)^Huredinen. cod. (5) Actoticnscm cod. (6) Dactuvi cod. — 666 — XII. 1284, Il dicembre. TY.rousi'. Confirmalion généralc par Martin IV des priviléges de Véglise de Bethléem. [Pubi, sans indication de manuscrit, d. Chevalier-Lagénissiére, Histoirede Vèvèclié de Bethléem, (Paris, 1872, 8.°), p. 102 n. — m. d. Potthast]. Martinus episcopus, servus servorum Dei, venerabili fratri [Hu-goni] , episcopo, et dilectis filiis capitulo Bethleemitano, ordinis Sancti Augustini, salutem et apostolicam benedictionem. Cum sicut ex parte vestra fuit propositum coram nobis, vos et predecessores vestri, qui fuerunt pro tempore, quibusdam privilegiis et indulgentiis a predecessoribus nostris, Romanis pontificibus, vobis et ecclesie vestre concessis, propter simplicitatem et juris ignorantiam usi non fueritis, temporibus retroactis; nos, vestris supplicationibus inclinati, indempnitati ejusdem ecclesie volentes imposterum precavere, utendi, de cetero, eisdem privilegiis et indulgentiis, non obstante omissione hujusmodi, dummodo eis non sit per prescriptionem vel alias legitime derogatum, auctoritate vobis presentium concedimus facultatem. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostre concessionis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attemptare presumpserit, indignationem omnipotentis Dei et beatorum Petri et Pauli, apostolorum ejus, se noverit incursurum. Datum Perusii, iij id. decembris, pontificatus nostri anno quarto. XIII. 1297, 12 aoùt. Tours. Lettres de provision de S. Ambroise de Varale « in spiritualibus » et temporalibus », délivrées à fr. Oberto de S. Donato par Ugo de Curcis, évéque de Bethléem. [Document perdu — Mentionné dans les Collationes facta de ecclesia S. Ambrosii de Varagine, pièce des Archives capitulaires de Savone, publiée dans Verzellino, I, p. 510]. — 667 — XIV. i5°6, 27 juin. Varazze. Vulfran dAbbeville, évéque de Bethléem, pourvoit fr. Bartolomeo d Ocimiano de l’église de Varale. [Document perdu — Mentionné Ibid.J. XV. 13481 14 Ìuin- Varazze. Domenico de Campo, vicaire de Piene III, évéque de Bethléem, pourvoit de l église de Varale fr. Guglielmo de Torino. [Document perdu — Mentionné Ibid.]. XVI. 13S5» I*er avril. Ayignon. Pierre III, évéque de Bethléem, pourvoit de l’église de Varale Nicolas de Rhètie. [Document perdu — Mentionné Ibid., p. 511]. XVII. 1364, 30 décembre, Varazze. Fr. Pietro de Marigliano, évéque de Ténédos, vicaire d’Aimar de la Roche, évéque de Bethléem, pourvoit de l’église de Varale Giovami (di Nicolò) Coirolo (1), de Rapallo. [Document perdu — Mentionné Ibid.]. (1) Voir plus loin, n. XIX bis. - 668 — XVIII. 13651*7 (Avionon ?) (1). Aimar de la Roche, évéque de Bethléem, constitue pour son vicaire dans les diocéses, de Génes, Savone, Noli, Attenga, Alba, Asti, Acqui, Verceil, Tortone, Pavie, Turin et Novare, Guido d’incisa, évéque d’Acqui. [Document inséré dans le n. suivant]. In nomine Domini; amen. Anno dominicae Nativitatis MCCCLXV indictione III, die xxvij mensis martii, in pontificatu sanctissimi in Christo patris et domini, d. nostri Urbani papae quinti. Cum officii pastoralis cura habeat indagare et episcopali dignitari ecclesiis de Bethlem ac mensas episcopali ipsius quamplura beneficia in multis patriarchatibus, archiepiscopatibus et episcopatibus mundi sint menss praedictae episcopalis dignitatis annexa, qua vi- ' sitatione prassentialiter indigeant diligenti, ideo in mei notarii et testium subscriptorum praesentia constitutus, rev. in Christo pater et dominus, d. frater Ademarus , episcopus de Bethlem, praedictis et infrascriptis interesse non valens, variis occupatus negotiis, sponte et ex certa sua scientia, suo nomine, et nomine et vice dicti sui episcopatus, ac pertinendarum ipsius, ac mensae suae, et omni alio jure, modo et forma, quibus melius et efficacius potuit, et reverentia, sapientia, diligentia ac fidelitate rev. patris et domini, d. Guidonis, episcopi Aquensis et comitis provinciae Mediolanensis, confidens, constituit et ordinavit prefatum Rev. patrem et dominum, d. Guidonem, episcopum, presentem et recipientem, suum, et dicti sui episcopatus, et ecclesiae de Bethlem certum \icaiium, nuncium et procuratorem ad infrascripta, et super beneficiis, ecclesiis, et hospitalibus, et piis locis, quibuscumque sitis, sive situatis, vel existentibus, in civitatibus, sive dioecesibus infralì) Moriendo n’a pu déchiffrer le nom de la ville: mais ce devait ètre Avignon, où résidait probable-ment alors le Cardinal Cui de Boulogne, fils de Robert VII, comte de Boulogne et d’Auvergne et arrière- petit-fils de s. Louis, archevéque de Lyon (1340-1342), card, de Sainte-Cécile (,342), card,-év. de Porto (1350), f 1373. — 669 — scriptis, ad ipsàm ecclesiam de Bethlem, sive ad ipsum dominum episcopum et mensam ipsius spectantibus, videlicet in civitatibus et dioecesibus, Aquensi, Januensi, Savonensi, Naulensi, Albigau-nensi, Albensi, Astensi, Vercellensi, Papiensi, Terdonensi, Taurinensi, Novariensi, civitatibus et dioecesibus, et ad ipsa visitandum seu visitari faciendum , per se, vel alium, seu alios ex ipsis. quaecumque in dictis civitatibus et dioecesibus existentia, mens* episcopali ipsius civitatis et ecclesiae de Bethlem annexa, seu applicata apostolica vel alia quacumque auctoritate, et ad ipsam ecclesiam de Bethlem quovis modo spectantia et pertinentia, et ad ipsa beneficia, cum juribus suis, tam spiritualibus quam temporalibus, locandum, et ad fermam, seu annuam possessionem, vel censum annuum, reddendum quibuscumque personis, quibus eidem domino, d. Guidoni episcopo videbitur et visum fuerit expedire, et cum tenentibus ipsas ecclesias, hospitalia, vel alia pia loca, quaecumque sint, conveniendum, removendum et amovendum, et de novo aliis alii concedendum, exigendum, et debita eidem domino episcopo, seu ecclesiae de Bethlem praedicta;, ratione dictorum ecclesiarum, hospitalium , vel locorum aliorum piorum, et rationem et computimi quaerendum, audiendum et exigendum, et de receptis pacem, finem et quitationem, et omnimodam remissionem et pactum de ulterius non petendo faciendum nomine ipsius domini episcopi et ecclesiae de Bethlem, et beneficiorum praedictorum hospitalium et piorum locorum, in dictis civitatibus et dioecesibus existentium, ad dictum dominum episcopum et ecclesiam de Bethlem, et beneficiorum praedictorum jus spectantium et pertinentium, et ad se nomine ipsorum ecclesiae de Bethlem et episcopi tam bona pignori obligandum , necnon ad visitandum, corrigendum, instituendum , destituendum et ponendum ipsas ecclesias, hospitalia et pia loca, et res, et bona, atque personas quascumque cujuscumque conditionis, ordinis, vel status, inibidem existentes et moram trahentes, quam alias quascumque, necnon quaestores, nomine dictae ecclesiae de Bethlem quaerentes eleemosinas, quaestas, et legata, atque vota, deponendum et de novo instituendum, et ipsos et quemlibet ipsorum corrigendum, et promovendum in ipsis locis, et de personis e.t rebus ipsorum, et, tam in spiritualibus quam in temporalibus, justi- Atti Soc. Lig. St. Patria. Serie 2.a, Voi. XVU. 45 — 670 — tiatn et rationem faciendum, exhibendum et admnistrandum, et generaliter ad omnia et singula in praedictis et quolibet praedictorum, necessaria et opportuna faciendum, quae verus procurator et vicarius, in spiritualibus et temporalibus, facere, corrigere et visitare, seu reformare posset, etiamsi talia forent, quae mandatum exigant speciale, et ea etiam quae ipsemet dominus episcopus de Bethlem facere posset in praedictis et quolibet ipsorum , et dependentibus ab ipsis et quolibet ipsorum, si praesens adesset; dans et concedens dictus dominus episcopus de Bethlem, suo et praedictae suae ecclesiis nomine, eidem d. episcopo Aquensi, in praedictis et quolibet praedictorum et dependentibus ab ipsis, plenam, liberam et generalem potestatem ac mandatum speciale in his, in quibus exigitur, ita quod generalitas specialitati non deroget, nec e converso in his ; totaliter committendo vices suas, donec eas ad se duxerit revocandas , promittens dictus dominus episcopus de Bethlem, suo et dicto nomine, mihi notario infrascripto, ut publicae persona praesenti, stipulanti et recipienti, vice et nomine singulorum quorum interest, intererit, seu interesse poterit, quomodolibet in futurum, se rata, grata et firma perpetuo habiturum, omnia et singula facta, gesta , acta, administrata, seu procurata in praedictis et quolibet praedictorum, et contra ea nullo tempore contra facere vel venire, de jure nec de facto, sub obligatione omnium bonorum ipsius, et ecclesiae praefatae de Bethlem , et membrorum et pertinendarum ipsius, quae proinde et pro praedictis observandis , adimplendis, et non contraveniendis, et firmis habendis, mihi jam dicto notario, quo supra, nomine stipulanti, pignori hypothecaeque nomine, obligavit; renunciando dictus dominus episcopus de Bethlem, suo et nomine dictae ecclesiae suae, in praedictis et quolibet ipsorum, exceptioni metus et in factum, conditioni et exceptioni sine causa vel injusta causa, et rei non ita gestae, doli, mali, et omni alii exceptioni et juri, tam canonico quam civili, seu privilegio aut rescripto, tam impetrato, quam impetrando, praecipiens tam dictus dominus episcopus constituens, quam ipse dominus episcopus, vicarius constitutus, de praedictis omnibus et singulis fieri publicum instrumentum unum et plura prout fuerit opportunum per me notarium infrascriptum ad dictatum unius et plurium jurisperitorum. 1 — 671 — Actum [Avenione], in domo habitationis rev. patris et domini, d. Guidonis , cardinalis Bononiensis , praesente Jacobo Pareti , Leodiensis dioecesis, familiari dicti domini episcopi de Bethlem , presbitero Petro de Camborg, Bisuntiensis dioecesis, et Bartho-lomeo de Baxanis, de Casali, Vercellensis dioecesis, et Laurentio .......dioecesis, testibus vocatis et rogatis. Et ego Antonius Ferroglius, clericus Astensis, publicus imperiali auctoritate notarius, praedictis omnibus et singulis una cum dictis testibus interfui, vocatus et rogatus, et in testimonium praemissorum signum meum consuetum apposui et me suprascripsi. XIX. *369, 13 decembre. Bhtagko. Guido d’incisa, évéque d’Acqui, vicairc d'Aimar de la Roche, évéque de Bethléem, pourvoit, au nom de ce dernier, Giovanni (di Guglielmo) Bava, de Gradano, dit Rogerio, chanoine d’Asti, de l’église de S. Lo-ren^o d Ocimiano (1), au diocése de Verceil. [Moriondus, Monum. Aquensia (Taurin., 1789, 2 v. in-40), I, pp- 5 59"?6i-Ex Chartulario Johannis Quiregii]. XIX lK ■37>i li dicembre. Gékis Giovanni Coìrolo, de Rapali:, prévót de S. Ambroise de Varale, agissant avec le consentement de Filippo de Varese, vicaire-général d’Aimar de la Roche, évéque de Bethléem, bue pour dix-neuf ans, à partir du 1." mai 1372, et moyennant un loyer annuii de set# hvres génoises, à Pietro de Canale, tailleur, une maison appartenant 'a l’éghsc de Bethléem, et stse dans k Contrada S. Maddalena. ]Gèm, Arch. di St., Arch. notar., Theram, de Majolo Notul 1390-1}SS, f. 66» (cccxlvij «)]. In nomine Domini. Amen. Dominus presbiter Johannes Coyrolus (2), de Rappallo, pr CO Voir plus haut 11, XIV. Ce doit Otre le bi‘nifice designi, Ja»s b «* 1X' f <«. ,0U‘ '* "°m * 5. Laurentius i, Biatco, et, d.ns le n-XI. p. «M, de > (2) Voir plus haut, n. xvii. — 672 — positus ecclesie Sancti Ambrosii de Varagine, Saonensis diocesis, spectantis et pertinentis immediate ad dominum [Adhemarum de Rupe], episcopum Betlemitanum, et ecclesiam suam, in presentia, consensu, auctoritate et voluntate domini Philippi de Varixio, pre-positi Januensis, domini nostri pape cappellani, vicarii generalis prediti domini episcopi in Italia et citra mare, nomine et vice dicte ecclesie Sancti Ambrosii de Varagine, et omni modo, iure, via et forma, quibus melius potuit, locavit, et livellavi, et titulo locationis et livelli, concessit Petro de Canali, sartori, civi januensi, presenti et stipulanti pro se et heredibus suis, de legiptimo matrimonio ex ipso natis et nascendis [sic], quandam domum, positam Janue in contracta Magdalene, in Sartoria, in Carrubio recto (1), et cui coheret antea Carrubius rectus, ab uno latere Carrubius, retro domus Anthonii Barberii, et ab alio latere domus Bondenarii Bondenarii, et si qui et prout alii sunt confines veriores. Quam locationem et concessionem, ut supra, dicto Petro presenti et stipulanti ut supra, fecit a kalendis madii de MCCCLXXII proxime venturi, usque ad annos decem et novem proxime venturos, ad habendum, tenendum, gaudendum et usufructuandum titulo et pro dicta locatione, livello usque ad ipsum tempus, pro pensione et nomine pensionis in anno, librarum sexdecim Janue, solvendarum ut infra: videlicet quolibet anno solvere teneatur ex his libras quatuor Janue pro terratico dicte domus, et reliquas libras duodecim Janue quolibet et singulo anno in fine cuiuslibet anni, in quibuslibet kalendis madii, dicto domino presbitero Johanni, videlicet eius procuratori seu successori. Promittens dictus dominus presbiter Johannes dicto Petro , presenti et stipulanti, dictam domum eidem dimittere iur.e locationis et livelli usque ad ipsum tempus . . . etc. Versa vice dictus Petrus acceptans dictam locationem et omnia et singula supradicta, promisit . . . etc. Que omnia . . . etc. Et ad cautelam dictus Petrus, ad Dei sancta Evangelia corporaliter tactis scripturis, iuravit attendere, complere et observare et contra non venire, sub pena librarum quinquaginta solempniter stipulata et promissa, et que possit executioni mandari et cum effectu exigi, tamquam purum (1) Aujourd’hui le Vico drillo della Maddalena. - 673 - debitum . . . etc. cum restitutione omnium dampnorum . . . etc. Ratis . . . etc. Sub hypotheca . . . etc. et obligatione . . . etc. Actum Janue, in claustro ecclesie Sancte Marie de Vineis, anno et indictione ut supra, die xij decembris in terciis. Testes: dominus presbiter Matheus Brondus, prepositus ecclesie Sancti Georgii Januensis, et Johannes de Langascho , canonicus ecclesie Sancte Marie de Vineis, et Petrus de Fontana, sartor. XX. 1381, 14 nov. Savone. Pasquale de Rapallo, prorecteur de l’église de S. Ambroise de Vara%ye, est cité a comparaitre par-devant Domenico de Lagneto, évéque de Savone, pour avoir a justifier de ses pouvoirs. [Savone, Arch. capitukires — Inédit]. XXL 1381, 31 dèe. S*V0NE- Le méme est cité comme débiteur de quurante florins d’or envers Antonio de Chiavari, notaire du bénéfice de Varale. [Savone, Ibid. — Inédit]. XXII. 1382, 4 janv. SiT0“ Sur la demande de son oncìe, Antonio de Viali, chanoine de Gènes, recteur de S. Ambroise de Varale, Domenico de Lagneto, eveque de Savone, pourvoit de la cure de celie paroisse Marco de Guidoboni, de Tortone. [Savone, Arch. capit., Ms. de l'Archiprìtrè - Publié d. Verzellino, I, pp. ^7i58]- XXIII. 1382, 26 avril. Savone. Le incine interdii à Luigi de Benensita, podestat de Varale, de s’immiscer dans ime affaire de sébaration de corps, engagée eulre deux cotijoiuts de Varale. [Savone. Ibid. — Pubi. Ibid., pp. 558-559]. XXIV. 1382, iS dèe. Savohb. Le méme interdii au méme de juger le clero Gerardo Mur^io. [Document perdu, cité dans le n. XXVI], XXV. >383. 2 janv. Savone. Enquète faite par Francesco Magico, vicaire-gènéral de Domenico de Lagneto, évéque de Savone, contre Pietro de Brinonia, d’Acqui, recteur de S. Michel de Celle, Leonardo Tiralerco (1), de Castiglione de Moneglia, redeur de S. Ambroise de Varane, Domenico de Modulo, recteur de S. Antoine d’Alpicella, Pietro de Vico, de Vinlimille, recteur de S. Na^aire de Varale, accusés de scandaìe, à l’occasion du baptème solenne!, fait à Celle par Angelo de Fieno, de Savone, chapelain de S. Ambroise de Varale, d’une file naturelle du recteur de Celle, les trois autres ayant servi de parrains. [Savone, Arch. capitulaires, Ms. de l’Archiprétré — Inédit], (1) Sur ce personnage, voir plus loin Ics n. XXVIII, XXXVI1-XXXVIII, XLVIII-XUX. - 675 - XXVI. 13^3 > 3° janv. Savone. Domenico de Lagneto, évéque de Savone, cite à comparative par-de-vant lui Luigi de Benensita, podestat de Varale, pour avoir jugé et condanni le clero Gerardo Muralo. [Savone, Ibid. — Pubi. d. Verzellino, I, pp. 559-562]. XXVII. S. d. (1380-1384) Savone. Le méme or donne a Pasquale de Rapallo, recteur de S. Ambroise de Varale, de faire restituir les papiers de Giovanni Carrosio, son pré-décesseur. [Savone, Arch. capitulaircs - Inédit]. XXVIII. ' 1386, 21 janv. (1) Génes. Lanfranco de Gcnes, évéque de Bethléem, cite à comparative par-devant lui, dans le delai de six jours, Leonardo Tiralerco, recteur révoqui de S. Ambroise de Varale. [Génes, Arch. di st., Arch. notar., Ant. Folietì Chartuì. ami. 1386, f. 124.0]. Frater Lanfrancus, Dei et apostolice sedis grada, episcopus Be-thlemitanus, presbitero Leonardo Tiralercho, de Monelia, intruso in ecclesia nostra Sancti Ambrosii de Varagine, Saonensis diocesis, salutem in Domino. Te dudum, tuis demeritis exigentibus, ecclesia ipsa et omnibus juribus, que in ea habere noscebaris, privavimus, et ab eis te duximus amovendum, mandavimusque tibi, quod dictam ecclesiam (1) Le ms. porte MCCCLXXXV1I ; mais la pièce n. XXXVII (1387, 30'janv.) pariant de U rivo-cation commc faite Pannée précédente, il convicnt de corriger Ia date d’aimée. — 676 — ;id collationem et provisionem, ac institutionem et destitutionem, sine aliquo medio pertinentem nobis, dimittere et libere relaxares, quod minime facere curasti, in tue anime periculum et nostrum nec modicum detrimentum. Volentes igitur super hiis modo quo possumus providere, harum serie te monemus et requirimus, pro primo, secundo et tercio termino peremptorio, tibique sub pena excommunicationis, quam si mandatis nostris parere contempseris, te, canonica monitione premissa, incurrere volumus eo ipso, et contra te ex nunc, prout: ex tunc, proferimus in hiis scriptis, pre-cipiendo mandamus, quod, intra sex dierum spaciutn, post presentanone m presentami tibi fictam, quarum duos pro primo, duos pro secundo, et reliquos pro tercio termino peremptorio, tibi assignamus, dictam ecclesiam nobis libere dimittere debeas ac etiam relaxare, et post dictum terminum in ea missas seu alia divina officia non debeas celebrare ; et si de predictis senseris te fore gravatum, intra dictum terminum compareas, legitime coram nobis causam tui gravaminis legitime defensurus et justitiam recepturus. Alioquin ad publicationem dicte excommunicationis et aliter contra te procedemus, prout tua meruerit protervitas contumacis, te ob hoc ulterius minime requisito. Has autem ad cautelam in actis nostris fecimus registrare et nostri sigilli munimine roborari, de quarum presentanone tibi facta, latori et nuncio nostro jurato in hac parte credemus. Datum Janue, ubi cathedram, de licentia domini.... vicarii curie arcbiepiscopalis Januensis, quoad subjectos nostros, tenemus, scilicet in claustro ecclesie Sancte Marie de Vineis, anno a Nativitate Domini MCCCLXXXVH, die xxj januarii. XXIX. 1386, 30 mai. Génes. Bail consenti par Lanfranco, évéque de Bethléem, par-devant le no-taire Paolo, de Città-di-Castello, à Antonio Cataneo de Plaisance, à Beltrame (di Bassamino) de Tricio, de Crémone, el a Janono di (Bartolomeo) de Macio, d’Asti, d’une année des rentes de l’église de Bethléem eu Lombardie. [Document perdu; cité dans le n. XXXIV], - 677 - XXX. '386, 7 iuillct. Génes Lanfranco, évèque de Bethléem, die a comparale par-devant lui Ardigino de Milan, qui avait usurpi Vadministration des buspices dé-pendant des églises de S. Damien el de S.“ Anne de Palestro (i), au diocèse de Verceil. [Gènes, Arch. di Stato, Arch. notar., Ant. Folietì Charluhr. ann. 1386, f. 121« ]. XXXI. 1386, 18 aoùt. Gèkes. Le méme nomine administrateur, au spirituel et au temporei, de l’église de S. Maria del Ponte (2), au diocèse d’Alba, Lodisio Tardito, d’Alba, en remplacement d’Antonio de Villanova, et sous la protection de Bartolino Dodolo, abbé de S. Frontigliano (3) et du prieur des Humi-liates d’Alba (4), moyennant lepaiement d’un cens annuel de cinq florins d’or et l’obligation de porter sur la poitrine l’éioile rouge a sept rais, et d’héberger, quinte jours par an, l’évèque et une suite de deux personnes. [Ibid., f. i2i»]. In nomine Domini. Amen. Noverint universi, presens instrumentum publicum inspecturi, (1) Les pièces n. IX et XI, qui mentionnent (pp. 657, 664) la seconde de ces églises, passent sous si lence la première. (2) Mentionnée seule dans la pièce n. IX, p. 657, avec deux autres bénéfices dans la pièce n. XI, p. 664. (3) Il était aussi prévót de S. Spirito de Chieri (v. Fr.-Aug. ab Ecclesia, Carditi., archiep..... Pcdmont. chron. hist. [Taurin., 1645, 40], p. 307). Son successeur, Matteo Faletto figure plus loin au n° LXII (1424, 6 mai) ; et ces deux actes montrent qu’il devait y avoir quelque lien entre l’église de Bethléem et cette abbaye. (4) Il existait certainement des relations, dont la nature exacte a jusqu’ici échappé à mes recherches, entre les Humiliates et l’èglise de Bethléem. A Plaisance, il est certain qu’ils avaient des possessions communes avec les religieux bethléémites; il semble en avoir été de mème dans plusieurs autres lieux, tandis qu’en certains endroits, comme à Bologne, c’étaient les Camaldules qui occupaient les possessions bethléemitaines. Ces relations ne remonteraient-elles pas à l’évèque Rainerio, qui, ovant son élévation à l’épiscopat, avait prèside en 1201 (12 et 26 janv.) A l’établissement desstatutsdes Humiliates? v. Tiraboschi, Vcl, monum. Humiliatorum, II, pp. 137-148; (Potthast, n. 25490, 25491), et plus haut, p. 564, n. 6. — 678 — quod, vacante ecclesia curata Sancte Marie de Ponte Albensi, per privationem et amotionem, factam per reverendum in Christo patrem et dominum, dominum fratrem Lanfrancum, Dei et aposto-lice sedis gratia episcopum Bethlemitanum, ad cuius collationem et provisionem dicta ecclesia noscitur pertinere, de presbitero Antonio de Villanova, olim rectore et ministro dicte ecclesie; idcirco prefatus dominus episcopus, in presentia mei notarii et testium inffascriptorum constitutus, nolens dictam ecclesiam ob ipsius diutinam vacationem pati aliquod detrimentum, tam in spiritualibus quam in temporalibus, eamdem ecclesiam Sancte Marie, cum omnibus suis juribus et pertinentiis, contulit ac confert presbitero Lodisio Tardito, de Alba, presenti et acceptanti, et de ea sibi providit et providet eum de ea omnibusque suis juribus et pertinentiis, per sui anuli appositionem presentialiter investiendo, curamque animarum parochianorum dicte ecclesie, ac administracionem bonorum ipsius ecclesie, eidem plenarie committendo, committens insuper prefatus dominus episcopus, tenore hujus publici instrumenti venerabilibus viris dominis [Bartolino], abbati Sancti Flontariani (sic) de [Alba] et____preposito domus fratrum Humiliatorum Albensis, et eorum cuilibet in solidum, quando idem presbiterLoDisius duxerit requirendum, et quandocumque ab eo fuerint requisiti, seu ab aliis fuerit requisitum, ad dictam ecclesiam se conferant, et eumdem presbiterum Lodisium, seu procuratorem suum, in ipsius ecclesie omniumque iurium et perti-nentiarum eiusdem corporalem possessionem inducant et defendant inductum, sibique de ipsius fructibus, redditibus et proventibus faciat integre responderi contradictores quoslibet et rebelles, auctoritate ipsius domini episcopi, per censuram ecclesiasticam compescendo. Ceterum dictus presbiter Lodisius iuravit in manibus dicti domini episcopi, eidem et suis successoribus canonice intrantibus, esse reverens et obediens resque et bona dicte ecclesie salvare et custodire, et de eis contractus aliquos illicite non facere, necnon singulis annis in festo Sancti Michaelis eidem domino episcopo, vel suo vicario et procuratori, et eius successoribus, Janue vel ubicumque fuerit, nomine census dare et solvere florenos quinque auri, et amodo in pectore suo deferre et poltare (sic) stellam rubeam cum septem radiis, et quandocumque prefactus dominus episcopus deinceps, - 679 - uno semel singulo anno, ad dictam ecclesiam declinare contingat, eumdem cum duobus sociis receptare in dicta ecclesia, et eidem expensas cibi et potus per dies quindecim ministrare, necnon de bonis omnibus dicte ecclesie, intra mensem, confici publicum inventarium per publicum instrumentum. In quorum omnium testimonium.... etc. Actum Janue, in claustro ecclesie Sancte Marie de Vineis, anno a Nativitate Domini MCCCLXXXVI, indictione octava, secundum cursum Janue, die decima octava augusti, in terciis; presentibus venerabilibus et discretis viris, domino Raphaele de Savignono, preposto, et presbitero Paulo de Parma, ac Francisco de Montealto, capellanis dicte ecclesie Sancte Marie de Vineis, et Johanne Bernardi de Magdalena, cive Janue, testibus ad premissa vocatis et rogatis. XXXII. 1386, 22 octobre. Génes. Le méme nomme pour quatre ans Antonio Cataneo, de Vesano, pribendaire de S. Nicolò de’ Catanei, son vicaire-génèral pour la Haute Italie. [Ibid., f. 122“]. In Christi nomine. Amen. Noverint universi, presens instrumentum publicum inspecturi, quod reverendus in Christo pater et dominus, dominus frater Lan-francus , Dei et apostolice sedis gratia episcopus Bethlemitanus, pro se et successoribus suis, et nomine et vice ipsius episcopatus ordinisque ipsius, non revocando propterea dominum Raphaelem de Savignono , prepositum ecclesie Sancte Marie de Vineis Ja-nuensis, ejus procuratorem et vicarium, sed pocius confirmando, et revocando expresse quoscumque alios vicarios, sindicos, yco-nimos, factores, nuncios et procuratores per eum hactenus constitutos, omni jure, via, modo et forma, quibus melius et efficacius potuit et potest, fecit, constituit, et ordinavit, facit, constituit et ordinat suum verum, certum et legitimum vicarium, procuratorem, actorem, factorem, yconimum, sindicum et negociorum suorum gestorem, et nuncium specialem, providum virum, dominum pres- — 68o — biterum Antonium Cataneum, de Vezano, prebendarium ecclesie Sancti Nicolai de Cataneis, seu filiorum Antonii de Placentia , presentem et recipientem, ad intrandum, adipiscendum, nanciscendum, apprehendendum et manutenendum tenutam realem et corporalem possessionem omnium et singulorum beneficiorum, ecclesiarum et hospitalium, sub nomine et vocabulo Beate Marie de Bethlem constructorum, et ad eumdem dominum episcopum constituentem ejusque ecclesiam et mensam quomodocumque spectantium, necnon domorum, terrarum, possessionum, iurium et bonorum eorumdem mobilium et immobilium, ac se moventium, illaque dicto nomine regendum et gubernandum, necnon custodes, personas et rectores ydoneos in illis dimittendum, ac beneficia, ecclesias et hospitalia huiusmodi personis, pro iusta responsione seu pensione locandum et arrendandum, etiam dislocandum , ac feuda et pi ivilegia antiqua , solitis et antiquis conditionibus, renovandum , et si forsan in commissum cecidissent, seu caderent, aut devolverentur, prout expediens fuerit, illa ad suas manus retinendum, vel de novo in-feudandum et emphitoandum. Et ad petendum..... etc. Et de receptis.... etc. Expensas, damnum et interesse petendum... etc. Unum vel plures procuratores etc. Ceteraque alia faciendum.... etc. Promittens mihi notario infrascripto, tamquam publice persone stipulanti et recipienti, nomine et vice cuiuslibet persone cuius interest, vel intererit, seu interesse posset, necnon dicto domino presbitero Antonio stipulanti, tacto pectore more prelatorum, se firmum et ratum perpetuo habiturum, et non contraventurum quidquid dictus eius vicarius, sindicus et procurator, et substituendus, seu substituendus ab eo in predictis et circa predicta, duxerit seu duxerint faciendum, seque usque ad annos quatuor proxime venturos eumdem dominum presbiterum Antonium non revocaturum. Et volens dictum eius vicarium, et sindicum, et substituendum seu substituendos ab eo et quemlibet eorum in solidum relevare ab omni onere satisdationis, promisit mihi notario predicto stipulanti, ut supra, iudicio sisti et iudicatum solvi in omnibus suis clausulis, sub obligatione.... etc. Dans et concedens.... etc. Ceterum dictus dominus presbiter Antonius promisit dicto domino episcopo jurando.... etc. In quorum omnium testimonium... etc. — 68i — Actum Janue, in Domoculta, in domo Petri de Mulacio, residentia prefali domivi episcopi, anno a Nativitate Domini MCCCLXXXVI, indictione nona, die xxij octobris; presentibus venerabili viro, domino Raphaele de Savignono, preposito ecclesie Sancte Marie de Vineis Januensis, domino magistro Johanne Scrivano, in Romana curia procuratore, et domino Antonio de Stracta q. Bar-tholomei, cive Janue, testibus vocatis et rogatis. XXXIII. 1386, , 22 OCt, GÈHES. Le méme donne au nume quittance d’une somme de trenle-deux florins d’or, montani de recouvrements divers faits en Lombardie. [Ibil, f. 123*]. XXXIV. 1386, 22 oct. Génes. Le mane donne quittance a Antonio■ Cutaneo, de Plaisance, de soi-xante fl.orins d’or, montant du loycr du bail consenti a ce dernier, à Beltrame (di Bas santino) de Tricio, de Cr buone, el a Janono di (Bartolomeo) de Macio, d’Asti, d’une amile des rentes de l’église de Bethléem en Lombardie, par-devant le notaire Paolo, de Città-di-Castello, le jo mai ijSG. [Ibil, f. 123“]. XXXV. S. d. (1386, 14 dèe.) (1). S. 1. (Gèses) Le méme ajferme, pour cinq ans et moyennant un loyer annue! de deux cent cinquante florins d’or, la tot aliti des biens de l’église de Bethléem (situés dans les pays de l’obédience de Rome), à Porrina Raineri, gentilhomme d’Urbain VI (1). [Ibid., f. 123*]. In nomine Domini. Amen. Noverint universi presens instrumentum publicum inspecturi, quod (1) Cette date est celle des pièces dont le présent acte est precède et suivi dans le registre. (2) Voir plus loin, n. XXXIX. - 682 - in mei notarii publici et testium infrascriptorum [presentia], reverendus in Christo pater et dominus, dominus frater Lanfrancus, Dei et apostolice sedis gratia episcopus Bc.hlemitanus, nomine suo et ecclesie sue, sua bona, propria et spontanea voluntate, omnibus melioribus modo, via, forma, iure et causa, quibus melius et efficacius potuit et debuit, locavit et titulo locationis dedit, concessit, ac locat et concedit provido viro Porrine, quondam Francisci domini Rainerii, domicello honoris domini nostri, domini Urbani pape VI, ibidem presenti et recipienti, pro se suisque heredibus et successoribus in futurum, omnes et singulos census, pensiones , fictus redditus, proventus, decimas, iura, obventiones et oblationes, et piscationes, eidem domino episcopo et mense sue episcopali de bitos, debitas et debita per quamvis personam, corpus, collegium, universitatem, ecclesiam, hospitale, seu locum pium, spectantem et spectans ad collationem et provisionem eiusdem domini episcopi, per universum orbem, et in quacumque mundi parte, et in quavis civitate et diocesi, ad habendum, tenendum, utendum, fruendum et recipiendum, per ipsum Porrinam et quemcumque suum legitimum procuratorem, a festo Sancti Michaelis de mense septembris proxime preterito, usque ad annos quinque proxime venturos, pro pensione et nomine pensionis, seu fictus, florenorum ducentorum quinquaginta auri boni et iusti ponderis, dandorum et solvendorum singulis annis in festo Sancti Michaelis prefato domino episcopo, seu procuratori et vicario suo legitimo, in civitate Janue, scu in Romana curia, aut ubicumque tunc moram trahere contingat. Promittens..... XXXVI. 1386 ? (1). Génes. Le méme afferme a Giacomo Gonterio, prévót de S. Secondo de Mercato, au diocèse d’Asti, les rentes et aumónes de l’église de Bethléem dans les diocèses pièmoniais. [ Document perdu, cité dans le n. XLII]. (1) Je place cette pièce en 1386, supposant que le bail qu’clle stipulait était de la mème durée que celui (n. XLII) qui l’a reniplacé en 1389; il portait sur des revenus d’une autre nature que ceux af-fermés dans la pièce précédente. - 683 - XXXVII. ■387, 3° janv. Ge„E5. Le menu, reconnaissant avoir outrepassé ses droits, rltablit comme recteiu de Farcire, Leonardo ìirakrco, gai avait abpdé en cour de Rome (i). [Ibid., f. 124*]. In nomine Domini. Amen. Noveiint universi, presens instrumentum publicum inspecturi, quod ìeverendus in Christo pater et dominus, dominus frater Lan-francus, Dei et apostolice sedis gratia episcopus Bethlemitanus, diligenter attendens se, de anno proxime preterito, fecisse certos piocessus contra presbiterum Leonardum Tiralhrchum, de Casti-liono, tamquam prepositum ecclesie Sancti Ambrosii de Varagine, Saonensis diocesis, ad collationem et provisionem eiusdem domini episcopi et mense sue episcopalis spectantis et pertinentis, et eum etiam dicta ecclesia privasse, dictumque presbiterum Leonardum ab huiusmodi privatione ad sederri apostolicam appellasse. Attendens etiam prefatus dominus episcopus se ad predicta minus canonice processisse, igitur prefatus dominus episcopus , in mei notarii publici et testium infrascriptorum presentia, cassans, irritans et annullans huiusmodi processus et privationem, et omnia et singula, ob id secuta ad dictum presbiterum Leonardum, qui propterea dictam, ecclesiam sive preposituram non desiit possidere , sed in ea semper fuit et est, ad hujusmodi ecclesiam et preposituram , omniaque iura et pertinendas ipsius restituens ad cautelam, dictam ecclesiam, sive preposituram ipsius, cum omnibus suis iuribus et pertinentiis, contulit et confert dicto presbitero Leonardo presenti et acceptanti, de eaque sibi providit et providet, ipsumque de ea omnibusque juribus et pertinentiis suis per sui anuli traditionem investivit et investit, curam animarum parrochianorum dicte ecclesie, ac regimen, gubernationem, et administrationem bonorum (O V. le n. XXVIII. - 684 - dicte ecclesie eidem plenarie committendo, ac volendo dictum presbiterum Leonardum, qui in possessione dicte ecclesie est, et quam possessionem ratam et gratam idem dominus episcopus habet, de cetero haberi, teneri, tractari et reputari pro vero pre-posito dicte ecclesie, ac vero possessore ipsius. Quibus sic peractis, dictus presbiter Leonardus juravit ad sancta Dei Evangelia, tactis sacris Scripturis, quod erit fidelis et obediens iam dicto domino episcopo et successoribus suis, canonice intrantibus, res et bona dicte ecclesie salvabit et custodiet, de eisque contractus illicitos non faciet, ac censum debitum et solitum exhibere, scilicet flo-renos quatuor auri, anno quolibet in festo Sancti Michaelis, dare et solvere procurabit. In quorum testimonium prefatus dominus episcopus de hiis presens publicum instrumentum confici et illud sui sigilli appensione muniri mandavit. Actum Janue, in claustro ecclesie Sancte Marie de Vineis, anno a Nativitate Domini MCCCLXXXVII, indictione decima, die trigesima ianuarii, presentibus domino Raphaele de Savignono , preposito dicte ecclesie, domino Gabriele de Castiliono, jurisperito, et Nicolao de Luna, q. Petri, civibus Janue, ad premissa vocatis et rogatis. XXXVIII. 1387, 22 avril. Génes. Le méme constitue le méme son procureur-généraì. [Génes, Arch. di St., Arch. notar., Ant. Foliet/E Chartul. ann. 1387, f. 64«] In nomine Domini. Amen. Reverendus in Christo pater et dominus, dominus frater Lanfrancus , Dei et apostolice sedis gratia episcopus Bethleemitanus, fecit, constituit et ordinavit suum certum nuncium et procuratorem, et aliter prout melius dici et fieri potest, dominum presbiterum Leonardum Tiralerchum, prepositum ecclesie Sancti Ambrosii de Varagine, diocesis Saonensis, presentem et mandatum presens in se sponte suscipientem, ad petendum, exigendum, recipiendum, recuperandum et habendum, omne id et totum, quidquid et quantum - 685 - ipse dominus episcopus habere et recipere debet a quacumque persona, corpore, collegio et universitate, et de receptis quitan-dum.... etc. Item ad agendum, defendendum, cautelandum, contra quamcumque personam... etc. Actum Janue in audientia curie archiepiscopalis, anno a Nativitate Domini MCCCLXXXVII, indictione nona, secundum cursum Janue, die vigesima secunda aprilis: presentibus domino Raphaele de Savignono, preposito ecclesie Sancte Marie de Vineis Januensis, et Andrea Felisii, de Garibaldo, cive Janue, testibus ad premissa vocatis et rogatis. XXXIX. 1387, 9 nov. Gékes. Procuration donnée par Lanfranco, évéque de Bethléem, à Antonio de Strata, de Génes, étudiant en droit canon, pour régkr Ics comptcs de Porrina Raineri (1). [Ibid, f. 129“]. XL. 1389, 19 févr. Gékes. Le méme donne pouvoir a Antonio Omodei, de Varale (2) > de faire pour lui la visite « ad limina Apostolorum,», et de pcrcevoir les rentes de l’église de Bethléem a Rome et aux environs. [Gènes, Arch. di St., Arch. notar., Ant. Folietì Chartut. ann. 1389, f. 44«]. In nomine Domini. Amen. Reverendus in Christo pater et dominus, dominus frater Lan-francus , Dei et apostolice sedis gratia episcopus Bethleemitanus, revocando quoscumque procuratores per eum constitutos in alma urbe, fecit, constituit et ordinavit, ac facit et ordinat, suum et dicte sue ecclesie certum nunciam, sindicum et procuratorem et alias prout melius dici et fieri potest, providum virum, (1) Voir plus haut, n. XXXV. (2) Sur ce personnage, voir plus haut p. 618, et ci-dessous n. XL111 ; d’autrcs mcmbrcs de la méme famille figurent aux n. XLVII et XLV1I1. Atti Soc. Lio. St. Patria. Serie 2.a Voi. XVII. 44 - 686 - Antonium Homodei , Januensem , licet absentem , ad petendum , exigendum, recipiendum et recuperandum omnes et singulos fructus, redditus , proventus, census, iura, et iurisdictiones, et omne id et totum et quidquid ipse dominus episcopus habere et recipere debet et in futurum debebit, tam in alma urbe, quam in ceteris aliis locis et provinciis, dicte urbi adiacentibus, a quacumque persona.... etc. Et de receptis... etc. Expensas... etc. Necnon ad impetrandum... etc. Item ad visitandum, nomine dicti domini episcopi limina apostolica Petri et Pauli et cetera alia facienda, que idem dominus episcopus tenetur, et debet, et promisit tempore consecrationis sue, unum et plures procuratorem.... etc. Et demum ad omnia.... etc. Dans et concedens... etc. Promittens... etc. Sub hipotheca... etc. Actum Janue, in audientia curie archiepiscopalis, anno a Nativitate Domini MCCCLXXXVIIII, indictione duodecima, die xviiij februarii, pontificatus domini nostri, domini Urbani pape VI, anno undecimo, presentibus venerabili viro domino Georgio de Sigestro, canonico Januensi, Andrea de Garibaldo, notario, et Antonio de Rappallo, filio Johannis, civibus Janue, testibus ad premissa vocatis et rogatis. XLI. 1389, 19 févr. • GÈms- Le méme nomine Giorgio de Sestri (1), cbcinoine de Genes, son vicaire-général, en remplacement de Rafaele de Savignone (2), prevot de S. Maria delle Vigne. [Ibid., f. 45*]- In nomine Domini. Amen. Reverendus in Christo pater et dominus, dominus Lanfrancus, Dei et apostolice sedis grada episcopus Bethleemitanus, revocando dominum Raphaelem de Savignono, prepositum ecclesie Sancte Marie de Vineis Januensis, vicarium et procuratorem suum ab hujusmodi vicariati! et procura, fecit, constituit et ordinavit suum (1) Il est témoiii à l’actc précédent et à l’acte suivant. (2) Voir plus haut la pièce n. XXX11 (i;86, 22 oct.); Rafaele apparait ensuite comme vicaire-général de l’archevèque de Génes. — 687 — vicarium generalem, sindicum et procuratorem et aliter, prout melius dici et fieri potest, venerabilem virum dominum Georgium de Sigestro, canonicum Januensem, licet absentem. Actum prout supra, presentibus Andrea de Garibaldo, notario, Johanne de Belvei et Antonio de Rappallo, filio Johannis, civibus Janue, testibus ad premissa vocatis et rogatis. XLII. 1389, 12 avril. GCxbs. Le méme afferme, pour trois ans, moyemant quaranti florins d’or annueis, 'a Giacomo de Rivo, clero d’Asti, les rentes et aumónes de l’église de Bethléem, dans les diocèses d’Asti, Turin, Alba, Aequi, Tortone, Alexandrie, Bobbio, Vintimille, Albenga, Savone, Noli, Mon-dovi, telles que les tenait Giacomo Gonterio, prévót de S. Secondo del Mercato, au diocèse d’Asti, et le constitue pour trois ans son vicaire-général dans ces diocèses. [Ibid., f. 90 *]. In nomine Domini. Amen. Noverint universi quod reverendus in Christo pater et dominus, dominus frater Lanfrancus, Dei et apostolice sedis gratia episcopus sancte Bethleemitane ecclesie, nomine suo et sui episcopatus, locavit et concessit Jacobo de Rivo, clerico Astensi, presenti et recipienti , omnes et singulas questas et elemosinas spectantes et pertinentes ad dictum suum episcopatum, in episcopatibus Astensi, Taurinensi, Albensi, Aquensi, Terdonensi, Alexandrino, Bobiensi, Vintimiliensi, Albinganensi, Saonensi, Naulensi, Montisregalensi et generaliter in omnibus aliis episcopatibus, de quibus fit mentio in instrumento locationis, facte per ipsum dominum episcopum, domino Jacobo Gonterio, preposito ecclesie Sancti Secundi de Mercato Astensi, dumtaxat ad petendum, querendum, et recipiendum, et exigendum, et habendum huiusmodi questas et elemosinas, in dictis episcopatibus hinc ad tres annos proxime venturos, pro pensione annua seu mercede florenorum quadraginta auri boni et justi ponderis, dandorum in civitate Janue dicto domino episcopo, seu - 688 — eius legitimo procuratori. Promittens prefhtus dominus Episcopus, iam dicto Jacobo stipulanti, huiusmodi questas sibi usque ad dictum tempus dimittere, et non auferre, nec alii locare, dicto triennio durante, et quod etiam alii non locavit. Versa vice, dictus Jacobus promisit prefato domino episcopo stipulanti, huiusmodi questas ab eo per dictum triennium solummodo conducere, et dictos florenos quadraginta annis singulis, ut supra, per duos terminos solvere, scilicet dimidiam eorum in festo Pentecostes, et aliam dimidiam in festo Nativitatis Domini ; sane intellecto et hoc pacto expresso inter et per partes huiusmodi, quod, si dicti episcopatus seu aliqui ex eis per dictum tempus adhererent Roberto antipape, et se subtraherent a devotione domini nostri pape Urbani VI (quod Deus avertat 1) pro tempore quo essent in huiusmodi adhe-sione, non teneatur de dieta pensione dictus Jacobus respondere, et, si aliqui et non omnes adhererent et se subtraherent, quod pro hiis solummodo defalcetur ex dieta pensione prò rata ad arbitrium boni viri. Item acto quod dictus Jacobus possit alium quem voluerit ad predicta omnia deputare. Acto etiam quod, si per totum presentem mensem, contingat dictum Jacobum protestari per instrumentum, domino episcopo predicto, se non velle quod huiusmodi locatio duret nisi solum per unum annum, quod amplius durare non debeat, et si vero nou fuerit protestatus, presens instrumentum per tres annos, ut supra, in suo robore debeat permanere. Que omnia et singula suprascripta dicte partes... etc. Et hoc sub pena librarum viginti quinque januinorum, in quam... etc.; ipse vero Jacobus dictam penam incidat, si per mensem unum post dictos terminos dictam distulerit solvere pensionem. Unde aliter... etc. Et sub ypotheca... etc. Preterea prefatus dominus episcopus dictum Jacobum presentem, suum et dicti sui episcopatus dumtaxat vicarium generalem, usque ad triennium duraturum constituit... etc. Et ad petendum... etc. Et de receptis... etc. Necnon agendum... etc. Promittens mihi notario etc. Sub ypotheca etc. Dans.... etc. In quorum testimonium etc. Actum Janue, in palacio mansionis domini [Francisci] (i), potestatis Janue, anno a Nativitate Domini MCCCLXXXVIUI, indictione (i) Francisco del Carretto; v. Federici, Colledan. (Génes, Arch. di St., cod. s. XVII), I, f. 278a. I - 689 - undecima, secundum cursum Janue, die duodecima aprilis; presen-tibus venerabilibus viris dominis: Benedicto Adurno, preposito, et Georgio de Sigestuo, canonico, ac presbitero Jacobo de Nusio, capellano ecclesie Januensis, testibus ad premissa vocatis et rogatis. XLIII. *389. juill. Glhu Le mèrne nomme maitre Pietro de Novare son procurcur 'a Rome, en remplacement d’Antonio Omodei. [ Ibid., h 44.* ]. XLIV. ‘390? ìransaction concine par-devant Bartolomeo Mcjjavacca, Cardinal du titre de S. Martin in Montibus et légat en Ligurie, entre Antonio III de Viali, évéque de Savone, et Lanfranco de Gènes, évéque de Bethléem, au sujet de Varale. [ Pièce signée S au dossier perdu du procès de 1424 — Analvséc dans le n. LXI (Verzellino, I, pp. 587-588]. XLV. 1392. Savone. Proces fait par le vicaire-général d’Antonio de Viali, évcqiie de Savone, au podestat de Varale. [Pièce signée e au dossier perdu du procès de 1424 — Citée Ibid. (Verzellino, I, p. 588 ]. XLVI. 1393. Savom. Autre procès fait par le méme au mente. [ Pièce signée ff au méme dossier. — Citée Ibid.. ]. — 690 — XLVII. (1394-1395?) Savonb. Licence donnée par le chapitre de Savone, sede vacante, a Cristo-foro Omodei, cìerc de Varasse, pour se faire ordonner prétre oh bon lui tetnblerait. [Pièce signée 5o au méme dossier. — Citée Ibid.]. XLVIII. 1396, i.er avril. Varazze. En présence de Lanfranco, évèque de Bethléem, Rafaele de Solario (1), de Varaci donne une terre à l’église de S. Ambroise de Varale, représentée par son recteur, Leonardo Tiralerco, de Castiglione. [Varale, Arch. paroissiales, Copie moderne, faite sur un registre de l’Archiv. notarile (de Gènes?)]. In nomine Domini nostri Jesu Christi, beatae semper Virginis Mariae, matris ejus, beati Ambrosii et totius curiae ccelestis. Arnen. Anno Domini millesimo trigesimo nonagesimo sexto, indictione quinta, die prima aprilis, Raphael de Solario, natus q. Antonii de Solario, de Varagine, et Catharin^e, iugalium, in presentia, auctoritate, consensu, et consilio, et voluntate reverendi in Christo presulis nostri et domini, fratris Lanfranchi , Dei et Apostolica sedis gratia Bethelemitani episcopi, ibidem pactis in omnibus et singulis infrascriptis consentientis et auctorisantis, volens ob Dei, beatissimaeque matris ejus, semper virginis, Mariae reverentia, et ad meritum et remissionem animarum dictorum parentum suorum, necnon q. ThoMjE de Solario, de Varagine, et q. Luchino, uxoris dicti q. Thom£, providere, et ecclesias infrascriptae Sancti Ambrosii de Varagine sub conditionibus elemosinaci infrascriptam elargiri, (1) Voir plus loia n. LX, LXII. — 691 — idcirco ipse Raphael, per se, haeredes et successores suos, et habentes et habituros causam ab eo, sub pactis, modis et conditionibus et reservationibus infrascriptis, et non aliter, nec alio modo, dedit, cessit et tradidit, seu quasi, d. presbitero Leonardo Tira-lercho , venerabili preposito ecclesiae Sancti Ambrosii de Varagine , praesenti, stipulanti et recipienti, nomine et vice dictae ecclesiae, necnon praepositorum ac presbiterorum futurorum dictae ecclesiae, et habentium et habiturorum causam a dicta ecclesia, in perpetuum et in saecula saeculorum, sine temporum praefinitione, quamdam terram ipsius Raphaelis (i), vineatam et arboratam olivis et aliis diversis arboribus, positam in territorio Varaginis, loco ubi dicitur Firrius, cui coheret superius via, inferius haeredes q. d. de Salvo, Constantinus Vinderchi et terra dictze ecclesiae Sancti Ambrosii, ab uno latere Jacobus Bolinus et Andreas Bolinus , ejus frater, et ab alio latere via et si qui aliqui sunt confines, ad habendam, tenendum, gaudendum........ etc. Cedens ipse Raphael , mandans et transferens dictae ecclesiae, et in ipsam ecclesiam omnia jura, actiones..... etc. Quam terram promitto et convenio vobis presbitero Leonardo, presenti et stipulanti, et prout dictae ecclesiae, de caetero non impedire, nec subtrahere , nec impedienti vel subtrahenti modo aliquo consentire > et praedictam donationem et in saecula saeculorum, sine temporum praefinitione, servandam, videlicet quod praepositus, seu presbiter et quaecumque alia persona, quae in perpetuum curam dictae ecclesiae habebunt, et divina officia in dicta ecclesia Sancti Ambrosii celebrabunt, cujuscumque preminenti® et dignitatis fuerint, teneantur et debeant, cum ceremoniis et solemnitatibus, quae ab ecclesia in divinis requiruntur, singulis annis in perpetuum et in secula seculorum, dicere, et celebrare, et decantare quatuor in quolibet anno anniversaria, cum missa solemni et cum duobus candelis apprehensis, quarum candelarum quelibet duarum librarum ponderis excedat, in dicta ecclesia, ut moris est anniversariorum , temporibus infrascriptis, videlicet: unum anniversarium cum sua missa solemni et ceremoniis consuetis et debitis, pro anima dictorum (1) Voir plus loin, n. LX. — 692 — q. Antonii de Solario , patris dicti Raphaelis , in quibuscumque chalendis septembris, et caeremonia; officii fieri debeant super sepulturam dicti q. Antonii, quas est in dicta ecclesia, cum scriptis designatis ad nomen dicti q. Antonii. Item aliud anniversarium pro anima dicta; q. Catherin/e, matris dicti Raphaelis, cum sua missa solemni et caeremoniis consuetis super sepulturam praedictam, singulis annis in perpetuum, die prima martii. Item aliud anniversarium pro anima dicti q. Thoìvle, cum missa solemni et’ ceremoniis consuetis super sepulchrum dominorum Disciplina; de Varagine, in quo jacet corpus dicti q. ThoMjE, die prima decembris. Item aliud anniversarium pro anima dicta; q. Luchinve, cum missa solemni, et caeremoniis [consuetis] super sepulchrum Dominorum Disciplinae de Varagine, in quo jacet corpus q. domina; Luchino, prima die junii. Quibus presbiter Leonardus antedictus, suo nomine, et sive nomine omnium et singulorum qui in perpetuum in dicta ecclesia Sancti Ambrosii de Varagine divina officia celebrabunt, et, pro dicta ecclesia acceptando praedicta, ut supra et infra promisit et convenit dicto Raphaeli , ha;redibus et successoribus suis, et habentibus et habituris causam ab eo, dicta anniversaria in dicta ecclesia, singulis annis in perpetuum et in saecula saeculorum, facere, dicere et decantare pro animabus anteadictis, modo et forma quibus super scriptum est; sane tamen intellecto et acto in praesenti instrumento et contracto, et qualibet ejus parte, etiam ante oblationem et dationem suprascriptam, et reservato quod si unquam ullo tempore cessaretur dicere et celebrare dicta anniversaria in dicta ecclesia pro animabus praedictis, modo et forma suprascripta, et cum solemnitatibus debitis et consuetis; et semper de cheterò, quandocumque defectum seu ommissum fuerit dictum officium, quod liceat dicto Raphaeli , haeredibus et successoribus suis, et habentibus et habituris causam ab eo, ejus et eorum propria auctoritate, sine decreto judicis vel magistratus ecclesiastici, vel civilis, dictam terram recipere et rehabere a dicta ecclesia, et eam a dicta ecclesia auferre, et de ea facere quidquid voluerit dictus Raphael et heredes, successores sui, ex tunc ex eo cum dictus Raphael et successores sui, habentibus et habituris (sic) causam ab eo, de et pro dicta terra, remaneat in statu, gradu, quibus fuisset, si dicta - 693 - terra nunquam per dictum Raphaelem data fuisset dictae ecclesiae. Item acto et reservato, quod, deficientibus haeredibus et succes-soribus dicti Raphaelis, et habentes et habituri (sic) causam ab eo usque in perpetuum, electio auferendi dictam terram a dicta ecclesia remaneat in duobus ex burgo illorum de Solario, qui tum per illos de Solario ad hoc electi fuerint, quibus omnibus de Solario deficientibus, (quod absit 1), dicta electio remaneat massariis communis Varaginis, qui in perpetuum fuerint. Item acto in praesenti instrumento quod liceat dicto Raphaeli lapidem marmoream, J,ni litteris impressis et scriptis, praedicta continentibus, apponere in sacristia Sancti Ambrosii de Varagine, qui lapis in perpetuum in dicta sacristia permanere debeat, ut praedicta perpetuo memoriae revocantur (i). Item acto, in praesenti instrumento, et contracto, et qualibet ejus parte, quod dictus Raphael ad defensionem dictae terrae ecclesia; non teneatur, salvo si dicta terra impediretur, et per ipsum Raphaelem, et habentes vel habituros causam ab eo, et sub et cum conditionibus, pactis et reservationibus suprascriptis data esset, et intelligatur dicta terra dictse ecclesiae ut supra. Quae omnia et singula supradicta dictus Raphael , ex una, et dictus presbiter Leonardus, dicto nomine, ex parte altera, invicem et vicissim et ad cautelam, mihi notario infrascripto...... promiserunt ......etc. Actum Varagine, in ecclesia Sancti Ambrosii supradicta, praesentibus Constantino Vinderchi et Luchino Homodeo, ambobus de Varagine, necnon Montariesso de Plebanis, habitatore Varaginis, testibus ad premissa vocatis et rogatis. Ego Ansaldus de Coronata (2), de Stella, pubblicus imperiali auctoritate notarius, praedictis omnibus interfui et rogatus perscripsi. (1) Cette inscription subsista jusqu’à la fin du XV« s., époque où un curé de S. Ambroise la fit enlever : mais le texte en a été conservò à la suite d'une copie du présent acte; v. Fazio, d. YEpoca di Varale, 30 aoùt 1874. (2) Ou de Cornatis. — 694 — XLIX. ,397 Savone. Lettres de Giovanni V de Femioni, évéque. de Savone, exeommu-niant [Leonardo Tiralerco?]', prévót de S. Ambroise de Varale. [ Pièce signée eli au dossier perdu du procès de 1424 — Citée dans le n. LXI (Verzellino, I, p. 588] (1). L. x 397 ^ Varazze. Pétition de Lanfranco de Génes, évéque de Bethléem, au vicaire de Giovanni V de Fermoni, évéque de Savone, contre le lieutenant du prévót de Varale; Lanfranco y reconnait que l’église de S. Ambroise dépend de l’évéque de Savone « quoad curam animarum ». [ Pièce signée F au méme dossier — Citée Ibid. ]. LL 1397 (?) (Savone?) Compromis entre Giovanni V de Fermoni, évéque de Savone, el Lanfranco de Génes, évéque de Bethléem, au sujet de Vara^je. [ Pièce signée h au méme dossier — Citée Ibid. ]. LII. 1398, 25 juill. Savoke. Procès inienté a Bartolomeo Ricaldone, archiprétre de Savone, pour diffamation de son évéque Giovanni V de Fermoni; Lanfranco de Génes, évéque de Bethléem, y dépose. [Savone, Arch. capitili. — Inédit — Cité d. Verzellino, I, p. 185 n,; cf. PP- 273. 575-577]- (i) Cette pièce est datee de MCCCLXXXV1I dans le raanuscrit, mais par erreur, probablement l’oubli d’un X: elle fait partie , en effet, d’un inventale chronologique, où elle suit une pièce de 1395 (notre n-.XLVl). - 695 ~ LUI. 1400, 17 die. Génes. Lanfranco, évèque de Bethléem, nomme fr. Antonio de Boscari, 0. M., son vicaire-gènéral el son procureur en Sicile el en parliculier à S. Maria de Terrana, pus de Calatagirone, au diocèse de Syracuse (1). [Génes, Arch. di St., Arch. notar., Ant. Foliet^e Ornrtul. ann. 1401-1402, f. 107“]. In nomine Domini. Amen. Noverint universi, presens instrumentum publicum inspecturi, quod nos, frater Lanfrancus, Dei et apostolice sedis gratia, sancte Bethleemitane ecclesie episcopus, in presentia notarii et testium infrascriptorum, ad hoc specialiter vocatorum et rogatorum, revocando primo quoscumque vicarios et actores per nos in insula Sicilie hactenus constitutos, omni meliori via, modo et forma, quibus melius potuimus et possumus, fecimus, constituimus, creavimus et ordinavimus ac facimus, constituimus, creamus et ordinamus, nostrum vicarium et officialem generalem, ac actorem, et procuratorem, et alias, prout melius dici et fieri potest, venerabilem religiosum fratrem Antonium de Boscari, de Calatagirorio, ordinis Minorum, professorem, presentem et suscipientem, dantes et concedentes dicto fratri Antonio, vicario et procuratori, potestatem et bailiam ac mandatum, omnia et quecumque ecclesias, hospitalia, domus et beneficia ecclesiastica ac casalia, in insula Sicilie consistentes et consistentia, ad nostram collationem et provisionem spectantes et pertinentes, et spectantia et pertinentia, et maxime ecclesiam Sancte Marie de Terrana, Calatagironi, Siracusane diocesis, regendi et gubernandi, et eas et ea ac eam, personis ydoneis conterendi, et de illis providendi, ac etiam ubi id ad nos competit, electiones, vel presentationes per collegia, vel particulares personas, tam ecclesiasticas, quam seculares, ad quas id alias pertineat, factas, vel faciendas, (1) I.e mcme fait est signalc par Tinnì (Sicilit sura, f. 1JI70), qui reuvoie à trois piéces sicilieanes : Jffg. cane. 1. 120, 'J97i ‘401■ — 696 — approbandi... etc.; et ad ipsa beneficia, ut est moris, admitti, si-bique de ipsius beneficiorum fructibus, redditibus et proventibus integre responderi faciendi.... etc. ; ac uniones, annexiones et incorporationes de beneficiis ecclesiasticis canonice faciendi, et alia exercendi, que.... etc.; ac etiam ex officio inquirendi et puniendi subditorum quorumcumque excessus, privandi quoque et amovendi a suis beneficiis quoscumque nobis subditos, clericos, rectores et prelatos, et a suis administrationibus suspendendi, carcerandi, etiam tam pro pena, quam pro custodia, et aliter puniendi, prout nobis a iure permittitur, omnemque ecclesiasticam censuram exercendi, absolvendi etiam personas, que in sententias vel censuras aliquas incurrerent, ab huiusmodi sententiis, et censuris, et interdicti relaxandi, seu suspendendi, de iniunctis etiam penitentiis, omnibus vere penitentibus et confessis, ecclesias nostras in festis Conceptionis, Nativitatis, Annunciationis, Purificationis et Assumptionis Virginis gloriose devote visitantibus, et ecclesiis hujusmodi, et hospitalibus manus adiutrices porrigentibus, septuaginta annos et septenam partem peccatorum relaxando, prout in privilegiis, concessis a sede apostolica (1) continetur, omniaque alia faciendi et exercendi, que quilibet vicarius generalis episcopi facere posset et etiam exercere ; necnon petendi... etc. Item in omnibus et singulis causis.... etc. Unum et plures procuratores substituendi.... etc. Et demum ad omnia.... etc. Promittentes.... etc. Sub jpotheca.... etc. Dictus vero frater Antonius, sic constitutus, promisit dicto domino episcopo et iuravit ad sancta Dei Evangelia, corporaliter tactis Scripturis, bene et fideliter huiusmodi sibi commissum officium exercere, et dicto domino episcopo sue administracionis per seipsum reddere, aut per litteras et scripta sua, singulis annis, in festo Nativitatis Beate Marie. In quorum testimonium... etc. Actum Janue, in audientia curie ^rchiepiscopalis, anno a Nativitate Domini MCCCC, indictione octava, die decima septima decembris; presentibus testibus, domino presbitero Nicolino de Val-letarj, preposito ecclesie Sancti Petri Januensis, Johanne de Ca- (i) L’un de ces priviléges est la bulle octroyéc par Innocent IV il Godefrido de’ Prefetti, le 17 juin 1248 (Reg. dd’lnn. IV, n. 4044, I, p. 612). - 697 - ugnano, notario, et Thoma Fatinanti, filio Jacobi, civibus Janue, ad premissa vocatis et rogatis. LV. ■401. 14 juin. Gèkes. Le méme nomine son procureur, noble homme Ingo de Grimaldi (1), de Génes, docleur-es-ìois. [Gènes, Arch. di St., Arch, notar., Ibid., f. 154*]. LVI. 1401, 17 juin. Génes. Ingo de Grimaldi transmet sa procuralion à Giovanni de Diano, noiaire à Génes. [Ibid., f. 155*]. LVII. 1413 (9 fòvr.) GÉNES. Lanfranco, évéque de Bethléem, donne en emphytèose de vingt-tieuj ans, ponr une mite annulli de dix-buit florins d’or, à noble homme Beltrame de Mignanelli, de Sienne, représenté par noble homme Dino de’ Guinisi, de Lucques, ks maisons et terres dépindant de l’église de S. M. de Bethléem, prìs de la Porte-Nenve de Sienne. [Gènes, Arch. di stat. Arch. notar., Juliani Canell.e Notular. 1412-141], f. 310»]. In nomine Domini. Amen. Pateat omnibus evidenter, hoc presens publicum instrumentum inspecturis, quod reverendus in Christo pater et dominus, frater Lanfrancus, ordinis Beati Francisci, Dei et apostolice sedis gratia (1) Voir plus loin u. LXII. — 698 — episcopus Bethelemitanus, sciens et sic dicens se teneri, racione sue dignitatis et ecclesie episcopalis prefate, ad multa onera et so-luciones multarum quantitatum peccuniarum, tam camere apostolice, quam etiam diversis personis particularibus, propter debita antecessorum suorum, et alia in utilitatem dicte ecclesie episcopalis concessa , ad que persolvenda facultates dicti episcopatus et ecclesie prefate nequaquam sufficiunt; sciens, etiam dicens et considerans quod ecclesia Sancte Marie de Bethelem, in Senensi diocesi constituta, prope Portam Novam ipsius Senensis civitatis, ad ordina-cionem dicti domini episcopi pertinens, propter guerras et alios casus fortuytos, quampluribus sit hedificiis diminuta, que certam minantur ruinam, in tantum quod, nisi reparentur in proximo, in desolatione hedificiorum dictorum totaliter deveniret; considerans, eciam dicens, quod possessiones dicte ecclesie indigent auxilio et subsidio bonorum temporalium, ne efficiantur inculte et infructuose, nec idem dominus episcopus habeat, sicut dixit, de bonis temporalibus, unde predictis occurrant, et diligenter quesiverit, nec invenerit clericum volentem predictis intendere, vel curam et administra-tionem dicte ecclesie et bonorum eius assumere, aliter presbiteris non valens occurrere, nec celebrationi in divinis officiis ipsi ecclesie providere, prout exigitur, nisi fiat prius commissio, prout de iure melius potest, attento quod propter non solucionem canonis per biennium et ultra per eum, cui dominus episcopus locaverat dicta bona, eadem reciderunt in comissionem, ipsarum possessionum, reasumpto nomine dicte sue ecclesie ad quam spectant, et ad cautellam, in quantum opus sit, ex dicta causa et aliis iustis causis et legitimis, primo cassando et irritando quamcumque locationem, ad hinc retro factam cuicumque persone de dicta ecclesia et possessionibus suis, quocumque et qualitercumque et per quemcumque contractum facta sit, Christi nomine invocatione, dedit et concessit in emphiteusim, et locavit per se et successores suos, et, prout de iure melius fieri potest, nobili viro Dino de Gujnixiis, q. Lazari, civi Lucano, procuratori speciali et procuratorio nomine recipienti, nobilis viri Beltrami , filii olim Leonardi de Mignanellis , de Senis, ut de procura cum speciali bailia ad infrascripta constat, instrumento publico scripto et composito in Senis, manu Johannis - 699 - Fr ancuscini de Bonconvento, civis Senarum, notarii publici, mille simo quadringentesimo decimo secundo, ab Incarnatione Dominica, die tertio septembris, secundum consuetudinem notariorum civitatis Senarum, indicione quinta, viso et lecto a me notario infra-scripto, et seu ad cautellam mihi notario publico, recipienti et stipulanti vice et nomine dicti Beltrami et successorum eius, et pro me, eidem nobili viro Beltramo, filio olim Leonardi de Mi-gnanellis, de Senis, pro se, et suis heredibus, et successoribus, hinc ad annos viginti novem proxime venturos, inceptis in kalendis aprilis proxime preteriti, anni proxime elapsi, omnes possessiones predicte ecclesie Sancte Marie de Bethelem, videlicet: vineam et terram laboratam, cum orto et caneto, et cum omnibus domibus, sitis super dictis possessionibus, et cum omnibus redditibus et proventibus dicte ecclesie, que ecclesia cum dictis suis domibus et possessionibus pertinet ad episcopatum predictum dicti domini Lanfranci, episcopi predicti, ut dictum est, quibus possessionibus et ecclesie ex parte, videlicet antea, est strata publica, qua itur Romam, existit monasterium Sancti Martini, existit hospitalis Sancti Lazari et existit via communis, que vocatur via Porte Justicie, existit Nicolai Gheri Bolgarini, et si qui essent veriores confines, ad habendum, tenendum et possidendum annis viginti novem integris, ut supra inceptis, et quidquid.... etc., cum omnibus et singulis que habent infra se, supra se et intra dictos confines vel alios si qui forent, cum accessibus et egressibus suis usque viam publicam, et cum omnibus iuribus et racionibus, et cum omni usu et recognitione, ipsi ecclesie modo aliquo pertinentibus, salvo tamen in predictis iure dominii et proprietatis, et salvis pactis et conditionibus infrascriptis, et hoc pro quantitate florenorum decem octo auri boni et iusti ponderis, pro quolibet anno persolvendorum ipsi domino episcopo vel eius certo nuncio vel procuratori in civitate Janue, et ut infra; quam quidem quantitatem peccunie florenorum decem octo boni auri et iusti ponderis, dictus Dinus, dicto procuratorio nomine... etc., promisit.... etc. dare et solvere, singulis annis, in fine cuiuslibet anni dicto domino episcopo, vel eius certo nuncio aut procuratori, et seu eius successoribus, Senis, Pisis, Florende, Janue et ubicumque loco in electione dicti domini epi- — 700 — scopi, et seu successorum... etc. Quas possessiones et domos dictus dominus episcopus seipsius (sic), hemphiteoticario nomine, constituit possidere, donec ipsarum rerum possessionem accipere corporaliter [possit], quam accipiendi et sua auctoritate retinendi deinceps dicto Beltramo licentiam omnimodam dedit. Promittens... etc. Sub pena dupli... etc. Sub hypotheca... etc. Acto inter dictas partes, per pactum expressum solemni stipulacione valatum, nominibus quibus supra tam in principio, medio, quam in fine, quod pensionem seu censum, quem dictus Beltrames solvere teneretur primo et secundo anno, ad racionem predictam vel residuum pensionis, si quam partem solvisset, solvat dictus Beltrames, a kalendis aprilis proxime preteriti, ad duos annos proxime prosecuturos ; ita quod interim dictus Beltrames non possit cogi ad aliquam solucionem dicte pensionis seu census, videlicet nisi usque ad finem dictorum duorum annorum, et similiter pro tempore venturo, durante tempore dicte locationis; ita quod solucio fiat, de duobus annis in duos annos, ad dictam racionem, fiorenorum decem octo pro quolibet anno, et fiat semper in fine quorumlibet duorum annorum, et infra duos annos dictus Beltrames non possit cogi, ut dictum est, nisi elapso fine cuiuslibet biennii, sub obligationibus piedictis. Et insuper dictus dominus Lanfrancus , episcopus prefatus, co[m]misit dicto Beltrami, seu dicto Dino, dicto nomine, ordinacionem, conservationem et reparationem dicte ecclesie ut, eo Beltrame mediante, dicta ecclesia in temporalibus et spiritualibus gubernetur opportune, et in ea divina officia cele-brcntui, et in edificiis necessariis ìuxta ipsius Beltramis conscientiam , reparentur, prout dicte ecclesie fuerit opportunum , ipsam ecclesiam manutenendo, et conservando, et de bonum in melius reformando, et hoc maxime faciat dictus Beltrames de redditibus, elemosinis et oblationibus, que dantur et dabuntur in futurum dicte ecclesie, iuxta ipsius Beltramis conscientiam, ut dictum est, durante tempore dicte locationis supradictarum possessionum et do-motum, et reservato semper censu predicto, prout supradictum est promisso, per dictum Dinum, dicto procuratorio nomine, sub obligatione bonorum predictorum. Et rogaverunt dicte partes nominibus quibus supra, de predictis confici publicum instrumentum... I — 7oi — Actum Janue, in Bancis, ad bancum quod teneo ego, notarius infrascriptus, anno dominice Nativitatis MCCCCXIII, indicione V, secundum cursum Janue, die ix februarii in terciis, presentibus testibus Francisco de Franciscis, de Senis, Seva Grillo, Aga-bito Grillo et Ansaldo Maraboto, civibus Janue, ad hec specialiter vocatis et rogatis. LVIII. ■4'i. 9 févr. Cinti. Quittance délivrée par Lanfranco, évéque de Bethléem, a Beltrame de Mignanelli d’une somme de vingl florins d’or, complément de deux ans de loyers échus des biens susdits. [Génes, Arch. di stat., Arch. notar., Ibid., f. 311 — Inédit] (1). LIX. 10 mai. GNes Giovanni Bolla (2), d’Acqui, procureur de Guglielmo III de’ Ma-nescalchi, évéque intrus de Bethléem, fait appel d’une sentence rendite sans droit par Scipione Doria, podestat de Varale. [ Document perdu — Cité dans le n. suivant ]. (1) En 1452 (30 avril) l’administration spirituelle et temporelle de ces biens fut donnée à Domenico di Paolo, chanoine de Sienne, par Jean IV-Raimond de la Rochaz, év. de Bethléem-Clamecy (Pièce des archives Bulgarini [Gerol. Gigli, Diario Senese, Lucca, 1725, 40, I, p. 390]) — acte confirmé, le 21 oct. 1440, par Guglielmo IV Bolla, l’un des successeurs de Lanfranco (Sienne, Arch. di st., Riforma-gioiti). Par une bulle du 30 mai 1460 (Ibid., Fonds Borghesi) adressée à Francesco Piccolomini (plus tard Pie III), Pie li convertit en prebende l’église de S. M. de Bethléem à Sienne, y nomme son fa-railier, Antoine Blockel, de Tournay, et en donne à perpétuité le patronat au dit Francesco Piccolomini, à Antonio d’Aragona, duc d’Amalfi, à Andrea de Castiglia, et à leur descendance en ligne masculine. Je dois tous ces renseignements à Pobligeance de M. le D.r Fortunato Donati , bibliothécaire de la ville de Sienne. (2) En 1438-1442, Guglielmo IV Bolla, d’Acqui (V. plus haut, p. 622, n. 2), et en 1445, Giacomo II Bolla, de Chieri (V. Meyranesius, Pedemont, sacrum, App. [.A/oh. hist.patria, SS., IV, p. 1835]) furent évéques de Bethléem (sèrie italienne). Atti Soc. Lig. St. Patbia. Serie 2.a, Voi. XVII. 4^ — 7°2 — LX. , . .v GAnes. (1423? m»i) Lellre de Giovanni Bolla à Francesco de Carmagnola, gouverneur de Génes, el à son conseil: rappelle le n. précédent. [Génes, Arch. di St., Diversorum filza II, n. 228]. Illustri domino [Francisco] (i), gubernatori Janue, etc. et venerabili eius consilio. Exponitur pro parte reverendi patris et domini, Guillielmi, sancte ecclesie Bethelemitane episcopi, quod de anno millesimo quadringentesimo vigesimo tertio, die decima mensis madii, Johannes Bulla, de Aquis, procurator et procuratorio nomine dicti domini episcopi, a quadam sententia iniqua et iniuste lata, nulla et invalida per Sipionem de Aurea, potestatem tunc loci Veraginis, nulla cause cognitione, et ex a[b]rupto, et de facto, non visis nec discussis allegationibus et iuribus ipsius domini episcopi, de quadam domo et orto iacente in dicto loco Veraginis, ubi dicitura Solarium (2), in favorem Alexandri Barboti, de Stella, habitatoris Veraginis, suam appelacionem interposuit et ad Magnificentiam vestram apparuit, petens et repetens semel, bis et tercio, appella- ciones et literas dimissorias sibi.....dari et tradi. Qui Sipio dictos (3) .... et literas dimissorias ipsi Johanni tradere non curavit.................supp.....quorum dicta prelibata........magnificentia........qui predictam causam summarie et de plano, sine strepitu et figura judicii, omnibus cavillationibus et frivolis exceptionibus, cum conscilio iurisperiti, partibus non suspecti, decidat, pronunciet et judicet, prout iuri et honori vestre Magnificentie videbitur convenire. (1) Francesco Busonc, comte de Carmagnola. (2) Probablement la propriété léguée par la pièce n. XLVII1. (3) Le document est en partie rongé. - 703 - LXI. S. d. (1423, 12 sept. _ 1,(24, 10 sept, GP.xes. Consultation faite pour Vincenzo de Viali, évèque de Savone, par un chanoine anonyme de cette ville, contre les prétentions des évéques de Bethléem, défendus par Nicolò d’Acqui. [Savone, Arch. capit., Man. de l’Archiprétré — Publiée dans Verzellino, I, pp. 586-594], LXII. '424, 6 mai. Gèj|ES Acte passe par Guglielmo III de' Manescalchi, tvéque intrus de Bethléem, comme fondi de pouvoirs de Matteo Faletto, abbi de S. Fronti gliano, au diocèse d’Alba. [Génes, Arch. di St., Arch. notar., Nic. Garumberii Foli.it. 7422-1431, I], Prorogatio compromissi. In nomine Domini. Amen. Reverendus in Christo pater et dominus, dominus Guillielmus, episcopus Betelemitanus, nomine suo proprio et sive ecclesie Be-telemitane et Sancti Ambrosii de Varagine, membri diete ecclesie Betelemitane, et tamquam procurator et procuratorio nomine reverendi patris, domini Matei, abbatis Sancti Frontaliani (1), Albensium diocesis, prò quo domino fratre Mateo , idem reverendus dominus episcopus, de solempni ratihabitione promittit et se facturum et curaturum, ita et taliter cum effectu, quod dictus dominus frater Mateus attendet, complebit et observabit omnia et singula dicenda, laudanda et pronuncianda per infrascriptum dominum arbitrum, sub pena infrascripta, sub ipotheca et obliga- (1) V. Fr.-Aug. ab Ecclesia, Card,, archiep.....Pedemonl chron, historia, p. 307, et plus haut, n. XXXI. — 7°4 -* cione bonorum omnium ipsius domini episcopi, presentami et futurorum , ex una parte, et Johannes de Solario, filius et heres Raffaelis de Solario (i) suo proprio nomine, et tamquam fideicommissarius testamenti et ultime voluntatis quondam Galvani de Solario, dicto nomine et tamquam procurator et procuratorio nomine Juliani de Solario, alterius fideicomissarii executoris dicti testamenti, dicto nomine, ut de dieta procura apparet, publico instrumento, scripto manu quondam Guillielmi de Conradis, millesimo quadringentesimo vigesimo tertio, die decima sexta marcii, et prò quo, ad cautellam de solempni ratihabitione, promixit sub ipotheca et obligatione bonorum ipsius Johannis , presentium et futurorum, ex parte altera. Dictis nominibus et quolibet, habentes plenam no-ticiam et scientiam de quodam compromisso facto in dominum fratrem Andream de Sancto Ambrosio, priorem Sancti Matei, et contentis in eo anno, die quarta aprilis, manu Rolandi de Laneriis, notarii, et de quadam prorogatione de ipso facta, scientesque egregium utriusque iuris doctorem, dominum Ingum de Grimaldis (2), de proximo icturum esse legatum Ispaniam, secundum cuius consilium, una cum consilio domini Antonii de Oldoinis, utriusque iuris doctoris , locumtenentis illustris domini [Francisci], gubernatoris Janue, et domini Caroli Lomelini, debet dictus dominus arbiter pronunciare virtute dicti compromissi et prorogationis inde facte. Idcirco dicte partes, sponte, et ex certa scientia, et nullo iuris vel facti errore ducti, sese compromisserunt de novo et largum, liberum et generale compromissum fecerunt in dictum dominum priorem, tamquam ipsarum partium arbitrum, arbitratorem, amicabilem compositorem, et comunem amicum, ellectum et assumptum per se et inter ipsas partes, ac de ipsarum communi accordio et voluntate, de et super illis de quibus in dicto compromisso, scripto manu dicti Rolandi , continetur, et cum illis potestate et bailia, modis, formis, et conditionibus, de quibus in eo continetur, ac sub illis penis et ipotecis in ipso contentis. Acto tamen in presenti instrumento, quod dictus dominus prior (1) V. plus liaut n. XLVIII et LX : il doit y avoir connexité entre ces actes. (2) V. plus haut n. LV-LVI. - 705 - non possit pronunciare, nisi primo habito consilio a dictis dominis Antonio de Oldoinis, legum doctore, locumtenente illustris domini gubernatoris Janue, et Carolo Lomelino, quo habito, possit et valeat pronunciare et sententiare. Et duret presens compromissum per dies octo proxime venturos inclusive. Actum Janue , in contracta Predoni, videlicet in domo Petri de Marcho, in qua presentialiter dictus dominus Antonius locum-tenens residentiam tacit, anno dominice Nativitatis millesimo quadringentesimo vigesimo quarto, indictione prima, secundum Janue cursum, die vj madii, hora Ave Marie, presentibus testibus: dominus (sic) Petrus, filius dicti domini locumtenentis, Gabriele Senestrario et Michaele de Sancto-Cipriano, Bartholomei, vocatis et rogatis. LXIII. 1424 (9 sept.) G£ses. Sentence rendile par Pileo de Marinis, archevéque de Génes, juge-arbilre entre les évéques de Savone et de Bethléem, par laquelle ce dernier est débouté de ses demandes et condonine aux frais du procès. [ Document perdu — Cité dans le n. suivant ]. LXIV. 1424, IO sept. Génes. Vincendo de Viali, évéque de Savone, annonce a son chapitre le gain du procès engagé contre Guglielmo III de’ Manescalchi, évéque intrus de Bethléem. [Savone, Arcniv. capitul. — Pubi. d. Verzellino. 1, pp. 595-596]. SIRO II ULTIMO VESCOVO E PRIMO ARCIVESCOVO DI GENOVA COMPILAZIONE DEL SOCIO Canonico LUIGI GRASSI AVVERTENZA i pubblicano qui due letture state fatte or è molto tempo alla Sezione Archeologica della nostra Società dal eh. socio canonico Grassi (i); le quali formano seguito alla sua erudita Compilazione de’ Vescovi di Genova (2). Ma 1’ argomento, per ciò che ha tratto al primo arcivescovo genovese , é ben lontano dal rimanere con sì fatte letture esaurito. Il ministero esercitato da Siro li in un periodo di più che trent’ anni è pieno d’avvenimenti importanti alla storia civile ed ecclesiastica ; e veramente non sapresti quale altro de’ successori di san Siro abbia (0 Seduta dell’8 febbraio 1873 e 18 luglio 1879. (2) Genova, Tip. della Gioventù, 1872. — 710 — esercitata in grado maggiore di lui l’autorità e l’ingerenza ne’ pubblici negozi. Di che molte son le ragioni ; e senza fallo non ultima 1’ appartenenza di Siro II, come mostra il Grassi medesimo, ad una delle famiglie che diramarono dagli antichi Visconti, e volgendo il secolo XII raccolsero quasi esclusivamente nelle lor mani il Consolato e 1’ altre insigni magistrature della repubblica. Or 1’ egregio Autore ha ripigliate su questo soggetto le indagini, per varie cagioni lungamente intramesse, e si propone comunicarne via via i risultati. Frattanto la Società manda alle stampe le due letture, che possono far corpo da sé. L. T. Belgrano. Siro II chiude gli ultimi tre anni dell’ episcopato genovese ; e come primo Arcivescovo incomincia le prime tre decadi di reggimento metropolitico. Dalla morte di Sigifredo vacava la nostra Sede da circa un anno, quando venne eletto Siro II. I nostri Annali all’anno 1130 riferiscono: Syrus electus fuit presente Papa Innocmtio, qui tunc Januae erat; et in eodem anno ab eodem Papa apud Sanctum Aigidium consecratus fuit. Quest’ autentica relazione c indica, che Siro fu eletto non mota proprio del Papa, ma secondo la disciplina allora fra noi vigente; ed ebbe l’immediata approvazione, in Genova stessa, del Papa, il quale, volendolo onorare assunse di consacrarlo egli medesimo. Ma qui noi potè nei cinque 0 sei di (al più dal 2 al 7 agosto) di sfuggevole ed occupatissima sosta; obbligato a partire in fretta per Francia diretto a S. Egidio (St. Gilles) ; dentro 1’ anno stesso colà il consecró; e tanto più riesce ragionevole 1’ averselo seco recato, considerando che Siro era Cardinale, e doveva perciò essere ben opportuno che accompagnasse il Papa, come forse lo aveva accompagnato da Roma a Pisa, da Pisa a Portovenere, — 712 — ove fra giugno e luglio il Papa consecrò la chiesa di quella genovese recente colonia; e quinci a Genova. Chi pretese che la piccola chiesa di S. Egidio in Genova, sita laddove poi sorse la chiesa di S. Domenico, e poi il teatro, fosse il luogo di quella consecrazione non vide bene. In ecclesia, o in templo S. JEgidii (seppure essa fosse già stata esistente a quel tempo), non apud S. /Egidium sarebbe stato scritto ; forinola inoltre usurpata istessamente nella Bolla innocenziana dal Papa stesso, nella quale accenna alla sua repentina partenza da Genova alla Francia per allo stesso S. Gilles: apud sanctum JEgidium. Oltracciò 1’ accennata brevità della fermata del Papa tra noi, ove egli più non tornò, avrebbe escluso nella summenzionata narrativa 1’ espressione eodem anno , onde viene a notarsi chiarissimamente nella consecrazione un atto più o meno posteriore, non già per nulla immediato e nel luogo stesso della elezione. Il P. Spotorno è pur egli non per Genova e per la supposta, a quel tempo, chiesuola di S. Egidio, ma per S. Gilles di Francia ; ma non é al postutto tollerabile la ragione eh’ egli ne dà come precipua, cioè che il Papa « dovè pensare che l’arcivescovo di Milano troppo » sarebbesi sdegnato, che un eletto a sede suffraganea, » ricevesse 1’ ordinazione dal S. Pontefice senza far conto » di lui metropolitano e nella sua provincia ecclesiastica ». Dell’ autorità di cosi fare nel Papa ni un dubbio sano può ammettersi certamente, come niun dubbio può nascere che i milanesi metropoliti non demeritassero da lunga mano quei riguardi che pur sempre scrupolosamente usano i Papi, rispettando le canoniche attribuzioni ; ove non divenga necessario l’immediato loro supremo intervento. D’altra - 7'3 - parte, in questo fatto, com’ egli mai lo Spotorno potria con espresse testimonianze o buone congetture mostrare, che ciò avvenisse senza aver tenuto conto veruno del- 1 arcivescovo di Milano ? Senza di lui notizia ? Senza almeno la sua rispettosa acquiescenza canonica, che prescrive ubi major minor cessat? Ma un’altra assai più strana opinione dello stesso Spotorno qui vuol essere esaminata ; conciossiaché tocchi della dignità arcivescovile della sede di Genova, della quale dobbiamo or ora occuparci. Parve adunque al P. Spotorno d’ aver fatto un’ insigne scoperta: vale a dire che, prima della Bolla inno-cenziana del 1133, la sede genovese avesse già goduta una qualche preminenza 0 dignità metropolitica. Se questa corriva opinione non fosse per assaissimi speciosamente avvalorata dalla rispettabile autorità estrinseca d’ un tant uomo, e non fosse stata in verbo magistri abbracciata da alcuni seguitatori di lui, per le guaste fonti onde venne dedotta, io non la degnerei d’ uno sguardo. Esaminiamola. Premettiamo adunque un po’ di storia di quel concilio, da cui lo Spotorno volle dedurre la sua strana sentenza, per meglio e più chiaramente discuterla. Egli giunse insino a noi il testo di quel Concilio VI generale sotto Papa S. Agatone concluso in Costantinopoli nel 681, stampato G. L. nelle collezioni dei Concilii. Ognun sa, e cel dice Anastasio, biografo dei Papi, nella vita di S. Agatone, e cel confermano gli atti stessi di quel Concilio, che esso non è che una intesa risultanza di varii concilii occidentali suggellati dal concorso d’ un Concilio orientale celebrato sotto la presidenza del Papa rappresentato colà da quattro Le- — IH — gati da lui spediti, eletti nel Concilio Romano del 679, mentre il Concilio stesso, ove erano rappresentati tutti i varii Concilii nazionali e provinciali d’ occidente, delegava esso pure a Costantinopoli tre vescovi italiani, cioè quel di Porto, quel di Paterno e quel di Reggio. Questo Concilio Romano, presieduto dal Papa in persona, già componevasi dei vescovi d’Italia, e dei delegati del Concilio d’Inghilterra, e dei Concilii provinciali delle Gallie celebrati nel 678; nel quale anno anche la provincia milanese erasi pur adunata allo scopo stesso di condannare il Monotelismo. Ciò non ostante i nostri vescovi tornarono a radunarsi in Roma, e soscris-sero dopo il Papa, agli atti cogli altri vescovi ; in tutti al numero di cento venticinque; atti che in forma di Lettera sinodica, rimessi ai Legati Pontificii, furono inviati dal Papa a Costantinopoli ; a questi Atti fecero la dovuta adesione quei padri orientali, e gl’ inserirono voltati in greco nella quinta Azione o Sessione del loro Concilio. S. Leone II, successo ad Agatone, confermò quel Concilio ecumenico, e ne tradusse gli Atti in latino. Ben inteso che non ebbe duopo d’interpretare il riferito Concilio Romano, né di occuparsi della versione delle originali latine soscrizioni episcopali, le quali quindi, nonostante alcuni scorsi dei greci copisti riguardo ai nomi propri, pervennero sino a noi in tale stato da riconoscerle genuina derivazione dall’originale latino , non come traduzione dalla serie rappresentata dal greco; la quale, dedotta dai Sinodici greci, alterata nelle forinole, sia nella primitiva traduzione dal latino, sia nelle successive copie, sia nelle edizioni occidentali, venne allogata in colonna a lato delle segnature originali. Rispetto alle - 7i5 - quali debbo nonostante notare trovarvisi anche maggiore esattezza ed integrità che non sogliasi comunemente trovare nelle soscrizioni appiè di assaissimi altri antichi atti e diplomi che possediamo per copie posteriori. Ciò stabilito, di leggieri riconosciamo la nullità del grande argomento spotorniano, dedotto dalla segnatura in greco dal nostro vescovo (Giovanni I), che trovasi fra quei cento venticinque vescovi sottoscritti, che nel Romano Concilio rappresentavano tutta la Chiesa occidentale. Vide là dunque il P. Spotorno la segnatura del nostro Vescovo Giovanni I, Joannes episcopus genuensis nel testo latino, eh’ era infine come vedemmo la soscrizione autentica ed originale vide nella greca traduzione Iwàvvri; eùasfka xoO 0eo5 iufaxoTO? 'rijg y.a0oXtr/.rjs Iz-vlrpiaq xrjg TevoùoLC, e secondo altri codici in luogo di eùaepfe la voce radum Sabinensem Episcopum, quem vicarium in Urbe reliquit: et faucium » Tiberis difficultate transvecta ad civitatem Pisanam.... pervenit. Ibique ali-» quandiu moram faciens, de gravi guerra, quae inter Pisanos et Januenses, » agitabatur firmam treugam, Domino cooperante, composuit. Quibus r>te Pe‘ » ractis , iterum mare intravit, et Januam transiens, apud S. jEgidium prospere » applicavit ». E dopo, trattando del ritorno del Papa: « ad Urbis reditum se » accinxit, transiens per S. ^Egidium et per montem Ianuae (cioè Montem » Genevae), fines Lombardiae intravit ». - 723 - il nostro Siro cardinale, allo scopo della tregua fra Pisani e Genovesi nella quale occasione il Papa, venuto in Genova, ivi aveva preso l’imbarco per S. Egidio. È qui il luogo di dar il colpo definitivo di grazia all’opinione che nell apud S. JEgidium del nostro diligentissimo primo annalista volle e vuole indicarvi una chiesa in Genova nel il30; e la vuole quella, ove fu consecrato Siro II vescovo, collegiata e consacrata poi da Siro già arcivescovo, « la quale chiesa (son parole del Giscardi, art. San » Domenico) consacrò Siro II arcivescovo di Genova » con grande solennità, alla presenza d’Innocenzo 11 » 1 anno 1132, in occasione che detto Pontefice ritrovavasi » in Genova la seconda volta di ritorno dalla Francia » con le galere dei Genovesi ». Tutto erroneo. Il povero Giscardi è compatibile; troppi sono quelli che lo spinsero in fallo per metter fuori una farraggine di errori e proprii ed altrui, concentrati in si poche parole. Il fatto sta che allora non esisteva a Genova alcuna simile chiesa ; assai più tardi fu costrutta quella di S. Egidio, ed assai presto rifatta più solenne col titolo di S. Domenico. Infatti il B. Giacomo più vicino ai tempi, quantunque asserisca per sua supposizione che Siro II fu consacrato Januae, si guarda gli bene dal nominare S. Egidio, che, come contemporaneo, sapeva che la chiesa in discorso non era antica, ma era stata fabbricata per primo oratorio 0 cappella ad uso dei Domenicani, innanzi che potessero dedicarne una più splendida al proprio fondatore canonizzato nel 1224. Egli stesso il Varagine, avendo vestito l'abito religioso nel 1244 nel luogo stesso, ebbe cognizione pienissima della storia sulle origini e fatti relativi a S. Egidio e a S. Domenico succedaneo. — 724 - L’errore incomincia da Giorgio Stella, il quale mutò la forinola di Caffaro, dicendo apud templum S. /Egidii. E venne seguito dal Giustiniani, dal Malvenda, dal P. De-Augustinis domenicani e da un lungo codazzo di copiatori fino ai nostri tempi. Dico lino ai nostri tempi giacché un giornaletto religioso, che aveva ripetuto 1 errore, avvisato da me che ciò non era vero, facendo esso la suggerita correzione, credette di consultarne il Giustiniani ; e lo citò in contrapposto della mia correzione. Un esplicito documento toni ogni dubbio in questo punto. Nel 1222 vennero a stanziare in Genova i PP. Predicatori, e presero albergo nei pressi del luogo, ove in seguito fu edificata la chiesa di S. Domenico ; ed in via provvisoria si procurarono una cappella per le loro religiose funzioni, che dedicarono a S. Egidio. Attesa la vicinanza di S. Matteo, dipendenza dell’ abbazia di Capodimonte, 1’ abbate si credette in diritto di opporsi all’erezione d’una chiesa nel territorio del suo ordine, ed avea a suo favore la disciplina ecclesiastica. È assai utile leggere il relativo istromento, rogato da maestro Saio-mone e conservatoci dal Muzio e dal Giscardi, giacché l'originale pare perduto, mancando alcune pagine al fo-gliazzo del detto notaro. Non sappiamo come venisse sciolta l’opposizione; ma il fatto mostra che i Domenicani furono vincitori nella vertenza. Ecco l’atto di detta opposizione : « Dominus Albertus abbas monasterii S. Fructuosi de » Capite Montis denonciavit vobis Bonifacio pro vobis et » fratribus vestris de ordine Praedicatorum ne oratorium » vel ecclesiam quameumque aedificetis, vel aedificare » faciatis, super terram quam comperastis, vel alii pro- - 725 - » vobis comperaverint, vel vobis donata est a Nicolao » Auriae, vel ab alio, quae terra posita est in loco ubi » dicitur Domoculta; hoc ideo quia terra praedicta sita » est in parochia S. Mathaei, cellae dicti monasterii » S. Fructuosi, et quia dictum oratorium, seu ecclesia, « si construeretur in terra praedicta, surgeret in praeju-» dicium et gravamen non modicum dicti monasterii. » Ideo denunciat vobis ut supra, et appellat ad domi-» num Papam, ne contra praedictam denunciationem » laciatis aliquo modo. Testes Wilielmus de Clavaritia » et Wilielmus Placentinus. Actum Januae in ecclesia » S. Pauli, millesimo ducentesimo vigesimo secundo, » indictione nona, die vigesimo aprilis inter vesperas et » completorium ». Ed eccone la conseguenza. Non esisteva in quel luogo né S. Egidio, né altra chiesa prima del 1222 0 1223: poiché se vi fosse stata sul luogo una chiesa da più di cent’anni, non potevasi tare alcuna opposizione, qual fece il predetto abate Alberto contro una chiesa da edificarsi. Giacché altrimenti nulla ostava, che i Domenicani entrassero in una chiesa già fatta ed aperta legittimamente al culto, loro dovuta come venne asserito. Ed il fatto mostra che l’opponente o dalla famiglia Doria, 0 dall’autorità ecclesiastica fu indotto a recedere dalla sua denuncia d’opposizione. Dalla chiesuola di S. Egidio passiamo a S. Egidio del Rodano, ove fu consacrato vescovo il cardinale Siro dal Papa, per entrare nello scopo primario di questa lettura; dico primario, chè il detto sopra, appartenendo alla storia di Siro nostro arcivescovo, è il itema appunto, onde, come sopra accennai, già vi intrattenni, e spero continuare. Siro adunque apparteneva al ramo Porcello fra le famiglie genovesi di — 726 ~ origine viscontile. Leggesi nel Registro vescovile pubblicato dalla nostra Società, al tomo II, parte II degli Atti, a pag. 276, la seguente intitolazione: Hoc libellum (sic) fecit dompnus Syrus archiepiscopus Porcellus ; e trattasi di un livello dell’agosto del 1143. Quantunque la precisione adoperata dal benemerito editore il chiarissimo cav. Tommaso Belgrano, mi fosse sicurissima malleveria dell’esattezza perfetta della tipografica riproduzione, per esserne eziandio testimonio oculare io medesimo del fatto volli consultarne il Ms. nell’Archivio di Stato; e trovai che la stessa mano che trascrisse il codice, ne aveva scritto anche il titolo sopracitato. Titolo, che quantunque non fosse stato aggiunto nell'originale (il che non pare probabile), il volume é abbastanza antico per accettarne la quasi coeva testimonianza. Il prezioso brano, da chi ne avesse vaghezza, può cercarsi nel Ms. citato nel verso della pag. 131. Ora la famiglia dei Porcelli apparteneva alle derivate dai Visconti, ed era la stessa famiglia che pur cognomavasi Porco. Ma il cognome Porco, che é il primitivo, cessò più presto che il cognome Porcello; mentre non é più annoverato fra le famiglie viscontili in documento testimoniale esistente nell’Archivio di S. Giorgio, riferito a pag. 281 del I voi. degli Atti della nostra Società. Quanto al resto della famiglia Porcello, cedo la parola al nostro onorato socio sopracitato cav. Belgrano, nelle sue Tavole Genealogiche in appendice all’illustrazione del precitato Registro. Riguardo al nostro Siro Porcello, l’averne riconosciuta la famiglia dà buona ragione per congetturare sopra alcuni fatti a lui relativi. Un anonimo suo antenato, allorché - 727 - la famiglia usava il cognome che dicesi Vicedomino, era padrone del monte di S. Benigno; e viene accennato , come suo avo da Guglielmo Porco, in una donazione a quella chiesa nel 1155, riferita nel voi. Il Chartarum, pag. 295, della R. Deput. di Storia Patria che riscontrai sul Notulario di Giovanni Scriba. Ora il monastero di S. Benigno mostra per avventura la ragione, per cui cosi presto Siro, allora vescovo, volle occuparsi di esso, chiamandovi i monaci di Fruttuaria. Oltracciò si scorge che i Genovesi avevano grandi relazioni coi conti di S. Egidio, e che la città loro capitale era centro d’una gran concorrenza di commercianti fra i quali primeggiarono i Genovesi. Ora considerato che il Papa Innocenzo II portò seco a Santo Egidio l’eletto nostro vescovo Siro, ciò poteva avere non solo per ragione la fretta, ma anche il profittare dell’influenza delle genovesi famiglie che colà si trovavano domiciliate, alle quali apparteneva il card. Siro eletto Vescovo di Genova, cui il Pontefice determinò di onorare assumendosi egli stesso di consacrarlo vescovo anche in precedenza del privilegio, di cui voleva rimeritare Genova erigendola in arcivescovato, già forse promesso. Gli scismi dei milanesi arcivescovi, i contrasti con Pisa, i servizi di piena fedeltà alla S. Sede del comune di Genova, furono il gran motore nei sommi Pontefici, che il vescovo divenisse il primo degli arcivescovi che furono separati dalla milanese metropoli. E tornando a S. Gilles, qui non credo necessario arrecar prove delle intime ed estese relazioni che cominciarono per avventura innanzi alla prima Crociata. Per ottenerne la persuasione personale basta consultare la cronaca del nostro Caffaro, an- — 728 — teriore agli Annali, pubblicata nei nostri Atti, il Liber Jurium ed i volumi Chartarum della precitata R. Deputazione di Storia Patria. E qui per ora fo punto, riconoscente a questo nostro Istituto d’aver dato un grande impulso agli studi storici segnatamente nostrali, diretti ad opportune ricerche, e pubblicazioni, in buona via d’esatta critica. E ce n’era bisogno. Ricordo un fatto al caso : ero bibliotecario nel nostro Ateneo, quando per la collezione del Pertz si presentò il celeberrimo Bòhmer per raccogliere documenti. Visto il Baronio in un pluteo ed in un altro il Muratori esclamò: questi cominciarono e noi continueremo. Se in quel tempo fosse esistita la nostra Società di Storia Patria avrei risposto: ed anche noi. INDICE del volume decimosettimo degli atti DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (primo delu seconda serie) Albo Accademico per l’anno 1S84-SJ .... Pag. / Stallilo approvalo dall’ Assemblea Generale addì 18 novembre (riprodotto dal voi. I, serie I) . . . » ^ Norme regolamentari per la nomina dei Soci onorari e corrispondenti (riprodotto dal voi I, serie I) . . . » 61 Elogio di Antonio Crocco, già Presidente della Società, letto nell’ Assemblea dell’ 8 Mary 188/ dal Segretario Generale L. T. Belgrano.......» 6] Sulla Casa abitata da Domenico Colombo in Genova, Memorie raccolte dal socio Marcello Stagliato . . , » j j 1 La Lapide di Giovanni Stralleria e la Famiglia di questo cognome, Memoria del socio L. T. Belgrano . . » /92 Cinque Documenti genovesi-orientali, pubblicati dal socio L. T. Belgrano........» 221 L Ogdoas di Alberto Alfieri, Episodii di storia genovese nei primordii del secolo XV, pubblicati dal socio Dottor Antonio Ceruti........» 2/; Rendiconto Morale dell’ anno accademico 1S84-S;, letto all' Assemblea dal Segretario Generale L. T. Belgrano . » pi Estratto dal verbale dell’adunanza Generale della Società, il 27 dicembre i8Sj.......» 34$ - 730 - Lettere dì Carlo FI re di Francia e della Repubblica di Genova, relative al maresciallo Bttcicaldo, pubblicate dal socio Dottor Antonio Ceruti . . . . • Pag* 349 Descrizione di un aquilino d’ argento, e cenni di altre monete genovesi, pel socio Cornelio Desimotii . . . • » 3 6j La Battaglia, di Gamenario (1345), testo antico francese da un codice ms. della « Cronica del Monferrato di Benvenuto San Giorgio » nell’Archivio Generale di Stato in Torino, con illustrazioni e schiarimenti pel Dottor Giuseppe Cenato........»381 UEglise de BethUem et Varale en Ligurie, par le Comte Riant (membre honoraire)......» 543 Siro II ultimo vescovo e primo arcivescovo in Genova, Compilazione del socio canonico Luigi Grassi . • » 7°7 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO VOLUME Ceruti , Lettere di Carlo VI re di Francia e della Repubblica di Genova, relative al maresciallo Bucicaldo.....Pag. 349 Desimoni, Descrizione di un aquilino d’ argento, e cenni di altre monete genovesi..........* 3^5 Cerrato, La Battaglia di Gamenario (1345), Testo antico francese, con illustrazioni e schiarimenti.......» Riaxt, L’Eglise de Bethléem et Varazze en Ligurie .... » 543 Grassi, Siro II ultimo vescovo e primo arcivescovo in Genova . » 7°7 IN CORSO DI STAMPA. Secondo volume del Registro Arcivescovile di Genova, pei socii L. T. Bei-grano e Luigi Beretta. Iscrizioni medioevali della Liguria, raccolte e postillate dal socio Marcello Remondini — Testo e tavole — (continuazione del voi. XII). Collezione dei monumenti genovesi di Pera, pel socio L. T. Belgrano. Avvertenza. — Nella legatura di alcuni esemplari del volume II, parte I (Cartarie Genovese), scambio del foglio 8.° di stampa (pag. 105-120), si trova il 13.'’ (pag. 185-200), che è poi nuovamente inserito al suo proprio luogo. In altri esemplari invece è ripetutamente legato, scambio del 13.° il foglio 8.". La Segreteria della Società si adoprerà a riparare allo sbaglio, se i possessori delle copie degli Atti nell’ una 0 nell’ altra di queste condizioni , vorranno rinviarle il foglio eccedente.