L ATTI f DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XI. - FASCICOLO I. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. I. DE' SORDO-MUTI MDCCCI.XXV ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XI. TIPOGRAFIA DEL R. I. DE’ SORDO-MUTI MDCCCLXXV SECONDA APPENDICE ALLE ISCRIZIONI ROMANE ED ISCRIZIONI CRISTIANE DELLA LIGURIA DAI PRIMI TEMPI FINO AL MILLE raccolte e illustrate DAL SOCIO CAN. PROF. ANGELO SANGUINETI AGGIUNTAVI UNA DISSERTAZIONE SULLA LAPIDE DI FERRANIA l’UL M li 0 ESIMO Come fu già notato nell’Avvertenza premessa al tomo XII, il cui principio è stato pubblicato lino dallo scorso anno 1874, i volumi degli Atti, alla cui edizione rimane provveduto in tutto od in parte col generoso assegnamento stabilito dal benemerito Consiglio Provinciale a favore della Società Ligure di Storia Patria, portano in fronte lo stemma della Provincia. INTRODUZIONE l\el pubblicare la prima nostra Collezione delle epigrafi romane (1) abbiamo avuto in mira di salvare dal pericolo d’andar perdute quelle che ancora rimanessero inedite, e di aggregare al nostro Corpo epigrafico le altre che, quantunque pubblicate, alla nostra Liguria si riferiscono. Ognuno che sia mediocremente versato in Epigrafia sa bene che queste Raccolte non si possono mai riguardar come compiute e chiuse; cliè la sorte, quando meno ci si pensa, olire agii amatori materia più o meno preziosa da accrescere il loro tesoro. Or come questo è sempre suscettivo di nuovi aumenti, coìì il tornar sugli studi -già fatti presta occasione a rettificar qualche sentenza (') Atti della Società Ligure di Storia Patria, volume III. ( X ) o lezione meno accurata e l'elice. Se v‘ ha dunque lavoro d’erudizione che ammetta, anzi richiegga accrescimenti e correzioni, è questo; e noi procediamo nel nostro in quella misura che ci è dalle condizioni nostre prescritta. I grandi raccoglitori tedeschi fanno in questi tempi stupire il mondo per l’arditezza delle loro imprese, pei mezzi che vi adoperano, per la scienza di cui illuminano i loro lavori, per la finezza della critica, per lo splendore e la perfezione a cui conducono le loro edizioni. Lo stesso intendiamo dire di quel valentissimo archeologo che è il comm. Giovanni Battista De Rossi, lustro e decoro di Roma e d’Italia per le tante sue sapientissime opere, ma specialmente per lo stupendo volume con cui ha iniziato la pubblicazione delle Inscriptiones Christianae. Non parlo della sua magnifica Roma sotterranea, perchè riguarda la topografìa e l’arte anziché l’epigrafìa. Ha con essa molli punti di contano l’opera pregevolissima del P. Garrucci, cioè la Storia del-l'arte cristiana nei primi otto secoli delta Chiesa; benché, come indicano i rispettivi titoli, 1’ uno si addentri più in una parte, l’altro si allarghi più in un’ altra. Ma del Garrucci fo menzione, perchè oltre ai suoi meriti verso la scienza epigrafica per molteplici ed eruditissimi lavori, è venulo ora in campo con una nuova Silloge delle iscrizioni beneventane di cui è uscita la prima parte ; e I’ opera sarà compiuta colla seconda. ( XI ) Dopo le Raccolte del De Vita e del Mommsen si scopersero antecedenti Collezioni mss. e nuovi monumenti, per cui il dotto illustratore potè stabilire nuovi canoni archeologici e contraddirne di antichi; come era quello, per esempio, riconosciuto ed accettato, che fuori di Roma non fossero mai stati Consoli Municipali. Accenniamo di volo questa cosa; non essendo qui il luogo, nò il proposito nostro di entrare in cosiffatte discussioni. Di maggiore interesse poi, siccome di argomento generale, è l’altra opera del Garrucci medesimo, di cui venne testò pubblicala la prima parie, e che ha per titolo Syllogp inscriptionum latinarum aevi roncarne reipublicae usque ad C. Julium Caesarem plenissima (Torino, 1875). Ma fin dall’ anno scorso è venuto a prender posto fra i più chiari raccoglitori di epigrafi romane il valoroso nostro concittadino P. Luigi Bruzza colle sue Iscrizioni antiche vercellesi, cui aggiunse anche l’Epigrafia cristiana sin verso il mille. Egli non aspetta i nostri elogi per la diligenza praticata nelle indagini e per la dottrina spiegata nelle illustrazioni, da che riscosse quelli del Mommsen e dell’ Henzen. Quest’ ultimo ne fornisce conto nel Ballettino dell’ Instituto di Corrispondenza Archeologica (IN. X di ottobre 1875); e benché in qualche punto di erudizione si chiarisca dissenziente da lui, pur gli rende un’alta testimonianza di stima, e riporta lo splendido giudizio del Mommsen che si legge nel Corpo dt'lle iscrizioni latine (voi. Y, pag. 75G). Dopo il giudizio di tali uomini non ( ™ ) occorre aggiungere allro. Piace però di riferire la notizia di cui c informa l’Henzen medesimo, che cioè i colti Vercellesi indolii dal libro del P. Bruzza hanno decretalo l’istituzione di un museo <1' amichila patrie, onorando l’autore della loro cittadinanza e di una medaglia d'oro appositamenle coniala. Noi lungi dal volerci mellere in linea coi cosiffatti, ci rinchiudiamo nella modesia piccolezza nostra, paghi di soddisfare al doppio scopo, che abbiamo indicato, di salvare cioè dall' obblio c dalla dispersione le epigrafi inedite, e di richiamare ad unilà di corpo quelle che riguardano la Liguria. Ora periamo noi presentiamo quelle che dopo 1’ ultima nostra pubblicazione ci venne fatto, coll’aiulo dei nostri amici, di radunare. Fra questi è cospicuamenie benemerito il socio cav. Cesare De’ Negri-Carpani, il quale in questi anni e lino a questi ultimi giorni ci andò somministrando e copie e calchi e marmi appartenenti all’ Epigrafia così pagana come cristiana. La più parte di tali monumenti sono in condizione di frammenti; ma pur fra questi ve n’ ha parecchi, che non mancano di slorica importanza. 11 terreno delle sue scoperte è il Tortonese, e specialmenle lungo lo stradale che uscendo di Tortona tende a Voghera. Già in altro luogo abbiamo dichiaralo che non intendiamo di abbracciare per PEpigrafia ligure tulli i paesi ( XIII ) che in alcun tempo si dissero liguri, ma di ristringerci tra la Magra ed il Vnro dalla parte del mare e di inoltrarci dentro terra fin dove si stendeva il dominio dell’antica nostra Repubblica. Cadono perciò sotto la nostra giurisdizione epigrafica le antiche e sepolte città di Cernendo, di Luni e di Libarna. Or per quella continuità che è tra i territorii libarnese e tortonese, le novità archeologiche (se cosi è lecito esprimerci) che occorrano in quest’ultimo, ci pare che possano andare non iscompagnate da quelle dell’ altro. Lo stesso si dica di ciò che per avventura possiam prendere ad imprestilo dagli antichi nostri vicini, gli Stazielli ed i Va-gienni, pel dominio che vi ebbero nel medio evo i Marchesi Aleramici Conti di Savona e 1’ omaggio prestato per le Langhe dai Marchesi del Carretto della stessa famiglia, benché poi quelle terre passassero ad altre dominazioni, come si vedrà nell’ illustrazione che daremo della Lapide di Ferrania. Nè dobbiamo defraudare d’ un tributo di lode il socio cav. prof. Tammar Luxoro, che ci comunicò i disegni o le copie d’alcune iscrizioni da lui rinvenute nelle sue peregrinazioni artistiche. E in modo particolarissimo nomineremo a cagion d’ onore 1’ egregio nostro collega Ab. Marcello Remondini; il quale non solo con 1’ additarci nuovi monumenti, ma coll’ eseguirne cortesemente i facsimili ed i calchi, concorse ad arricchire la nostra Raccolta, e con perenne dili- ( XIV ) gcnza sopravvide all'opera delle incisioni che la corredano. Nò da lui possiamo disgiungere il eli. Preside della Sezione Archeologica avv. Pier Costantino Re-mondini, il quale graziosamente si assunse I’ incarico di fotografare i calchi mandati dal cav. De’ Negri-Carpani o somministrati dal detto Ab. Marcello , appropriandone la misura al formato dei nostri Alti, e mantenendo nello stesso tempo la relativa proporzione cogli originali. In questo modo al rinvenirsi di qualche frammento si potrà sempre instituire ragguaglio coi già pubblicati, se per avventura i nuovi venuti si collegassero cogli antichi. Di singolare riconoscenza siam debitori eziandio al benemerito socio professore Alessandro Wolf, non solo pei marmi e le copie che trasmise alla Società, come si può vedere a suo luogo; ma perchè egli fu veramente il primo ad iniziare le ricerche nell’ agro Tor-tonese, e quando ne parti per ragione d’ impiego, raccomandò al cav. De’ Negri-Carpani di continuare, come infatti continuò con quel zelo e quei frutti di cui siam testimoni. Quesie scoperte ci porgono motivo di fare una riflessione, che d’ altra parte si presenta ovvia a chiunque sappia che esse non procedono già da scavi regolari e ordinali al line di rintracciare vestigi di antichità, ma sono al tulio casuali, provenendo da rivolgimenti di terreno praticati a semplice scopo agronomico. E qui comincia appunto 1 opera del cav. ( XV ) De’ Negri-Carpani, il quale veglia onde nulla si perda di ciò clic può interessare P Archeologia ed acquista ciò che si va ritrovando. Anzi la cosa è cosi intavolata, che i contadini quando s’imbattono in alcuno di quegli oggetti che sanno essere di sua predilezione, si danno premura di recarglielo; ed egli ne li rimunera, mettendoci del suo per amor della scienza. Ora noi diciamo: se questi scavi, fatti così ad altro line, hanno fortuitamente dato di siffatti risultati, che cosa non produrrebbero se fossero diretti ad uno scopo archeologico e praticali con metodo e intelligenza? E qui anche per P agro Tortonese dobbiam rinnovar le antiche querimonie, che più volte a voce nelle nostre tornale e per iscritto in questi Alti abbiam mosse, sull’ abbandono in cui furono sempre lasciali gli avanzi di quelle velusle città della Liguria, che già diedero preziosi frulli e avrebbero polulo darne dei maggiori se non fossero siati lasciali in balìa di chi che si fosse; e li darebbero ancora, se fossero affidali per pubblica autorità a persone da ciò, e ne venisse impedito lo sperpero. Le relazioni che abbiamo dal prelodalo cav. De" Negri-Carpani riguardo ai luoghi che somministrano ad ora ad ora oggetti d’archeologia, consuonano con ciò che fin dai suoi tempi ne diceva Filippo Cluverio, parlando appunto di Tortona nella sua opera Italiae antiquae eie. (lib. I, pag. 81): « Haud postremi fuisse splendoris, adparel ex veterum sepulcrorum monumentis, quae Atti Soc. Lio. St. Patru. Voi. XI. 1" ( XVI ) juxta viam Postumiam ab ulraque urbis parie etiam nunc semiruta conspiciuntur ». Si vede elio allora esistevano ancora, benché mezzo rovinati, i monumenti, che poi il tempo fece al tutto scomparire. Ora soltanto qualche rottame di pietra incisa esce di quando in quando dalla terra a confermar la testimonianza del Cluverio; della quale peraltro niuno vorrebbe dubitare. Quanto alla sua Italia, per non parlar delle altre sue opere, i moderni studi archeologici hanno trovato a rettificar qualche cosa; ma il fondo del lavoro sarà sempre grandemente pregevole ; come fa maraviglia che in così breve corso di vita egli abbia potuto compiere tanti viaggi e dettar opere di tanta erudizione. E giacché il discorso ci ha condotto a far menzione del Wolf, credo che sia non solo debito mio, ma di tutta la Società il richiamar nuovamente l’attenzione dei lettori sopra un’immeritata censura che gli fu mossa dal fu cav. prof. G. F. Muratori, e da cui vittoriosamente lo purgò in un suo Rendiconto il Segretario generale cav. Belgrano. Mi piace riprodurre le parole stesse della detta Relazione che si leggono nei nostri Alti. « E poiché siamo entrati in materia di epigrafi, mi si conceda che, sorvanzando alquanto il confine traccialo al presente Rapporto, io completi 1’ esposizione di ciò che la Società Ligure è per rispetto alle medesime venula sinora operando; e ricordi come nell’ adunanza del- ( XVII ) l’il gennaio 1809 il Preside della Sezione Archeologica presentasse alla stessa, in nome del socio professore Alessandro Wolf, un manoscritto oggi posseduto dall’ avv. Perelli tortonese, ed intitolato Illustrazione della Diocesi di Tortona, del conte Carnevale, già altrove da me citato (Atti, voi. Ili, pag. LX) e nel quale si leggono tutte quelle iscrizioni dell’agro tortonese, che il prelodato socio copiò e trasmise all’ Instituto, e veggonsi oggi pubblicale fra gli Atti del medesimo. Dacché il eh. cav. G. F. Muratori, con una lettera inserita eziandio in questi volumi (Appendice al voi. cit., pag. 58) ebbe a provare che alcune fra esse lapidi erano inesattamente trascritte e, che più monta, esistevano nell’ agro dell’ antica Bagienna anziché nelle circostanze di Tortona, il socio Wolf, comunicando il Codice, donde le aveva desunte, giustamente desiderava di non dividere col Carnevale la malleveria in-. torno alla legittimità della fonte a cui siffatti monumenti erano stati da quel raccoglitore attinti. Il Preside però, dopo aver aderito alle richieste del prof. Wolf, si affrettava a soggiungere come la Società non avesse mai avuto mestieri di questa prova per rendere a lui la ben meritata giustizia; la sua esattezza, l’instancabilità nelle ricerche e sopra tutto la credibilità delle sue indicazioni, essere fuori di ogni questione. Del resto è nòtissimo come lino da quando ebbe a trasmettere all’ Instituto le epigrafi in discorso, egli lasciasse solo giudice il medesimo circa la convenienza d’ammetterle r ( XVIII ) lifiutaile. Ma ninno avrebbe allora poluto nutrire sospetti nè riguardo alla buona fede del Carnevale, Uico c conosciuto magistrato, nè riguardo al luogo le lapidi si dicevano esistere, perocché delle cose loitonese sapeasi da tutti assai pratico. Onde se una parte il socio canonico Sanguinei!* ebbe a sco-ln,vi ^ravi pecche, dall’ altra fu tuttavia deciso di eccitai le nel Corpo epigrafico, accompagnate dalle °PP0ilune annotazioni c da quei tentativi di correzione furono suggeriti dal prelodato illustratore. Nel che lutto, aderendovi unanimi i mèmbri della Sezione, a parere del Preside, saviamente adoperalo, seguendo anche 1’ esempio di quanto si pratica da non poche illustri Accademie, le quali non solo pubblicano necessarie avvertenze le iscrizioni dubbie, ma quelle eziandio che si ritengono onninamente spurie, poiché non è nuovo il caso che un’ epigrafe, appai cniemenie illegittima, scoperto più lardi l’originale, ja con piccola variante riconosciuta sincera; e si per-e,# come ^ appunto avvenuto di questa nostra in ? azia del eh. Muratori, la loro pubblicazione fornisce gomento a riscontri e correzioni, mercè cui si tolgo nu i duplicali e si prevengono ulteriori dubbi ed er-( )• Fin qui il Bclgr ano, la cui ne Ita e convinte parola non solo vale a dissipare qualunque ombra fede letteraria del prof. Wolf, ma al medesimo (') Atti della Società, voi. IV, pag. LXXX o segg. ( XIX ) tributa quella lode che ben gli è dovuta per 1’ indefesso suo zelo nelle ricerche archeologiche, e per l’amore onde egli ha sempre proseguito gli studi della nostra Società. Nomineremo pure fra gli altri benemeriti il socio canonico Grassi, il quale colla finezza della sua erudizione ha sempre in pronto qualche opportuno rilievo. Ma dobbiamo grazie particolari al cav. avv. Cornelio De-simoni, che andò rovistando antiche e nuove raccolte per razzolar ciò che alla Liguria nostra si appartiene, e singolarmente trovò ancora da spigolare qualche cosa nel Marcanova, che pur avevamo corso e ricorso più di una volta. Abbiamo avuto e avremo ancora occasione di correggere in alcuna cosa questo Raccoglitore; ma ciò non toglie che gli si debba molta riconoscenza per aver salvalo buon numero di epigrafi, e non minore ammirazione pel tempo in cui viveva, nel quale, tranne qualche raro ed isolato esempio dopo l’impulso dato dal Petrarca, non si sentiva ancora l’importanza e il bisogno di cosiffatte raccolte: oltre che la materia era al lutto estranea alla sua professione di medico. L’ Hiibner nella Prefazione alla Collezione delle Iscrizioni Romane della Spagna, che fa parie del gran Corpo Berlinese, dice che la Raccolta del Marcanova cade tra il Hov e il 14-60. Noi possediamo ed abbiamo perciò sotto gli occhi il prezioso Codice nella Civica Biblioteca ; e da una nota dello stesso rileviamo che fu compiuto Atti So:. Lio. St. Patria. Voi. XI. 1" ii) C xx ) 11 ollol»'e del lios. In ,nr Pollante: notia,110 ',Tenza non è molla nè im-'CZ2a- Fu Poi coni" ,° a. cosa Per di esat- nconoscere a/fa sennìr ' '' mani’ come è faci,e necuralissini0 Des: k° ,sl)ez,one della scrittura; ma M debbano cotali oj1a ln(*agaio e scoperto a chi frizione di GELLIVS ° Verzellino riferendo la nota Collezione (i)f a ’ clle è aI nuni. SS della nostra 601,0 ^ pila delj’i ' ° )G ^uesla epigrafe già esistente Savona, fu « ‘;C(JUa Sania neU’ amica Cattedrale di del 1 iSb fja p botata (cioè coni’ei la produce) li,)r° di epjVPam . ° 3n° ^av°tto, che accrebbe un Marcanuova medico r manoscr,*ltl* raccolti da Gio. di quale ora si ritrova ì,ln° ,lel fine di esso libro 11 Verzellino Ser,VfJ),,fSS0 H sig. Angelo Gavotlo» (*). ^ mani dei sioJI* ,nlorno «J 1650. In appresso 11 Cristoforo Maria i • °VOtl° ^ Codice passò a quelle !1l>P°se il suo noniè • ^n,cIìesi di Clavesana, che vi posseduto dai cann • ^ ^ princ!Pio di questo secolo era Vgure, erudito ri ^ ^ ^°mrnaso Cavanna di Novi-esaniinò il cjK ^o((CC°^ll0re di libri. Fu allora che lo Zl°ni istonc0.Criti h ***'’ C ne PapJò nelle sue Osserva- ie ** ruderi di Liburna (pag. 15). ^ J Di questa n • “°m; perci4 vi *«l ritti * «®wrte , ° 11 «TO- 23, pag. <89. Monti, nei M»a; ms. d |( u> 1 e spezialmente degli uomini illusili «“»»». «97 *"»***> *’/« ! '“ W «• A«*. » dal Gavotto * ^ 3^’ riferisce J’e • ,llstoriche della città di Savona P'grafe di Gellio desumendone la lezione ( XXI ) Morto ii Cavanna, i suoi eredi lo cedettero alla Biblioteca Civica di Genova. Ora venendo alla presente nuova pubblicazione di epigrafi, s’intende che debba constare di due parti. La prima sarà semplice continuazione della prima nostra Raccolta: la seconda offrirà le iscrizioni cristiane, a cui non si era ancora posto mano per noi. Per procedere in ordine cronologico, queste avrebbero dovuto andare innanzi alla pubblicazione di quelle che datano dopo il mille, delle quali si assunse il compito il eh. Ab. Marcello Rcmondini. Siccome però una parte del suo lavoro colle relative tavole era già in pronto, si stimò di guadagnar tempo e licenziarla alla stampa avanti della nostra. Ora questa viene a riempire il vuoto e a soddisfare alle giuste esigenze degli eruditi coll’ordinato andamento dell’ opera. II lavoro del Remondini presenta ancora della latitudine in ragione dei limiti che si prefisse e che è ancora lungi dall’ aver raggiunti : il mio dipende dal caso fortuito e fortunato che esca dall’ob-blio qualche iscrizione o sepolta tuttora nella terra o sfuggila come che sia alle passale ricerche. Per quanto poi il mille sia la linea di confine tracciata fra i miei sludi e quelli del eh. Remondini, le parli non sono così divise che non possiamo giovarci a vicenda. Anzi io me gli professo obbligatissimo per gli schiarimenti somministratimi su diverse iscrizioni, e gli opportuni indirizzi per calcolare lo spazio delle lettere mancanti ( XXII ) (nel che egli è abilissimo), che serve mollo a congelimene, (.on più o meno probabilità, ciò che può riempici e i vuoii. Cosi viceversa, se mi occorrerà di ag-0iun0eie alcuna cosa a qualche lapide di sua giurisdizione, mel consentirà non solo pel titolo di quella amiuzia che regna fra noi, ma anche per l’amore ( * sc,enza che ci riunisce in un solo sentimento. Oltie ,ille latine abbiamo anche parecchie epigrafi ©leihe, le quali, insieme ad alcuni frammenti rinvenuti nell agro lorionese, daremo pure in luce fra non molto, coll opportuno corredo de’ fac-simili, giusta gli intendimenti della nostra Società. Siccome nel pubblicare le iscrizioni cristiane seguiremo il jnetodo che abbiamo adollalo per le romane, <- che modernamente con saggio consiglio si pratica da tutti i collettori, cioè di distribuirle secondo la o appartenenza geografica ; perciò abbiamo pensalo che non sarebbe fuor di proposito il riunire gi'afi} perchè si possono ve- e*inio tempo alla lue 16 S0re^6’ essendo venute in un me-anni, questa -c che /ia procacciato, or fa pochi c^ìe s’imprese (lea)] D^UiSta a^ epigrafia, è stato lo sgombro ^td per innalzarvi ant,co palazzo Fieschi in Via- ^ vede che alcuno ri // nU°V° ec^c,o ad uso di abitazioni. 0:>P‘talità a questi i -a no^J'l'ss‘ma casa dei Fieschi avea dato ^eSl‘ altri a que’ (em C 1 e^]* ^orse ve ne saranno stati Sa,à accaduto di essi ^^ Poss,amo immaginare che cosa mento, jn quejja ^ ,n f*ue* tramestio, in quello sconvolgi- e'Hfìzio condannato ^ ^ n°* doveva presentare un L una (255) è no!/ j^^'co decreto a//a demolizione. dal/a moglie al marito 3 ' ^ marit0 a,,a moglie , l’altra (256) i soggQtti dell’ una e Perciò sono iscrizioni mortuarie. Tanto zi°ne : n c/ìe ^ anto quelli delTaltra sono di umile condi- numenti, che sono 1 ‘ ^ S0^ant0 f*a^a modestia de’ due mo-dei nomi, come osse/6 PlCCOl‘ cippi; ,na anche dalla natura che appartengono entr^^™0 part'tamente• Non so/o si direbbe am JG me(lesimo tempo; ma si potrebbe GENOVA quasi dire che furono incise dal medesimo scalpello. Il secolo a cui appartengono, o per meglio dire a cui si possono assegnare, è il terzo. Or venendo alla prima delle due, si legge nella prima riga distesa la formola IMS • MANIBVS che comunemente si esprime colle sigle D • RI. C • VABEBIVS • STACHVS. Quest’ultimo nome é preso dal greco spiga, e perciò in latino dovrebbe scriversi STACHYS; ma dall’Y all’V, specialmente nei nomi proprii, il passaggio è comunissimo. STACHYS é facile trovarlo in epigrafia, come si può vedere nel Grutero 639. \ e 587. 2. 1Ma se dallo STACHYS più vicino al greco passiamo a STACHVS colPV alla latina, troviamo pur questo nome dato a persone di origine greca. Si vegga il Muratori 1502. 7, ove uno STACHVS si dice contubernalis di THYMELE, nome indubitatamente greco. La nomenclatura C ■ VABERIVS • STACHVS ci informa della condizione di questo soggetto, il quale era un servo di origine greca e che essendo stato di proprietà di un Cajo Va-berio, fu poi dal suo signore donato della libertà. In tale circostanza i manomessi solevano assumere il prenome ed il nome gentile; e cosi il primitivo nome, che conservavano, occupava il terzo posto. Quanto alla gens Vaberia, ch’io sappia, non ha lasciato in epigrafia traccia di sé , se non per questa pietra di cui parliamo. Questa circostanza mi fa nascere il dubbio, che per I’ affinità che esiste strettissima tra il B e il V , questa gente fosse BABEBIA, di cui abbiamo memoria, anziché VABERIA, di cui, da questo infuori, non abbiamo esempio. E se non vi fosse la G ripiegata in un certo modo, che accenna ad Impero avanzato, e anche il giudizio dell’ illustre Mommsen che la vide e la giudicò del terzo secolo ; io sarei tentato di trovar GENOVA ( 6 ) <] lies lo SOffrcp/fn Tn ' --------- gare sotto ìa denomT m0nu,nento de]r anno 70 dell’era vol-“onninoiito a ti a73aZ,°ne ,di C ' «^EmVS • STACHVS. I, sostenere Ja statuì ^ baSG pandissima che dovea PACI AETERNA p '' espasiano- Jn prospettiva ha la dedica vi “no a parecchie ' VESPAS[AN' elc- Ai hti P°‘ alla spesa e cp k °nne 1 nom‘ dl coloro che concorsero senta anche i nomile’ ^ Tribù Sucasana‘ Pre' C. Cecina Peto Consoli, che sono L. Annio Basso e molti concorsi al/ ,appresentano l’anno 70. Ora fra i Ruberìa e fi- ^ sPesa ce ne sono cinque 0 sei della gente a j che Sm °d preso 'nsieme col prenome dal suo pa- (') GnutEno, 943. )2 GENOVA trono L. Ponzio. Egli porta in fronte il suo carattere greco nel suo primitivo nome AMEMPTVS, che vuol dire irreprensibile ed anche non querulo. Si unisce pure alla pietosa opera un altro, che è L • PONTIVS IANVARIVS, il quale si nomina liberto; ma avendo il medesimo prenome e nome dell’altro, lascia dubbio se fosse liberto di lui o di quel medesimo patrono, da cui l’altro aveva acquistato la sua libertà. Quest’ultimo è d’ origine latina, come ci attesta il suo nome lanuarius. Infine dobbiamo osservare che trattandosi di piccoli monumenti , che sono facilmente asportabili, può nascere il dubbio se sieno originarii di qua o se vi siano stati recati d’ altra parte, come di alcuni abbiamo notato. I due piccoli marmi, delle cui iscrizioni la nostra Società possiede un calco in gesso per cortesia del comm. Santo Varni, al presente si conservano nel gabinetto del Sindaco al Palazzo Municipale di Genova. 257. D M VETTI HERMADIO NIS QV1 VIXIT ANNOS XVI MENSES III ET HERMIO NIS QVAE VIXIT ANNOS Vili ET HERMETIS Q VIXIT ANN VII QVORVM LABOR HVMANITA TIS ET STATVS PIETATIS IN MATREM SVAM ABREPTVS EST HVNC TITVLYM ALBI A APHRODISIA MATER PIIS PlENTISSIma posuit GENOVA ’( 8 ) Questa iscrizìònTT~scnInif3 ~ ---—— °on ornamento inciso n.i r. .U" C,ppo di pietra friabile, per di larghezza * ,0ntispiz,0> deir altezza di contini. 88 mend. Santo Varni ° 1 Spessore- cosi nota il eh. corn- che si poneano ritti C,,° " CÌPP° “ " di qi,eUi forma identico a \ V,C,no ai cadaveri, e per la rovesciato sopra un i f P, da,i’ ^ggieri (')• Fu trovato della cascina dei si» ^ a. ^ aprde <851, in prossimità stanza dal ./i00'1 ^ailo (m Serravalle), ed a poca di- *> di !;r:a:ia.di sant’An“»i° » «• la prima molto in lei,ttl due v°lte nel/a nostra raccolta: prof. D. Capurro °m^etamente giusta due versioni dei signori una lezione ritrattai] ran0niC° *8rrari' ^ la seconda dietro in proprietà dei J T° t0i5t° ^ ^ C,ppo Pervenne a Genova P"lito e collocato i„a',lP„rof;._''arnÌ- ma innanzi che fosse rivedrà che questa ^ ^U°*’° 0pporluno e lace conveniente. Si (,a quella che ora 62,0116 8 aSSai meno delIe altre discordante e che accertai n P°SS° ^naimente produrre conforme al vero, che il Varni laT 3 anC,ie co,,’a,uio di un calco, dopo con molti marmi 606 mUrare nePa sca,a della sua palazzina si compiace di r n^1C^11 de Quali ha dovizia. Egli medesimo scrive del cippo^1001601^6 Una taIe circostanza, laddove cosi pillustre Teodor \r L° V,d6 mio Studio, ove si conserva, vamente nel febbra' °mmSen neIla Priraavera del 1871 e nuo-quella stessa che l8~3’ 6 ,a ,ezione ciie ne riPorto é Prof. Sanguineti /V n6.ritrasse in compagnia dei canonico mente la mia r * 1 ^ Clonon(1imeno chi confronti diligente-iproduzione con quella del Varni, noterà una parte seconda, p3g. 3j* tverse Q^e fatte nel territorio dell’antica Libai-na 0 voi. in f pa 0 0 Variy^ Joc CJ-j ’ num- 187, ed Appendice, pag■ 28, num. 252. GENOVA piccola variante nella penultima riga, avendo io PUS laddove egli pose P1ISS. 258. FAVSTA____ H • S • E • ANN . XXXXV L VALERIVS • FELIX 7 • COH • LIG • F La pietra ove é scolpita quest’ epigrafe appartenente a Libar na, si trova presso il nostro socio comm. Santo Varni. Misura centim. 70 di altezza per 56 di larghezza e 10 di spessore (4). Le sigle comunissime H • S • E • tutti sanno doversi leggere hic sita est. FAVSTA è il soggetto della nostra iscrizione. 11 dedicante è L. Valerio Felice, come si rileva dall’ultima sigla F cioè fecit. A qual titolo egli rendesse quest’ultimo tributo alla Fausta, siccome la lapide noi dice, così noi non possiamo saperlo. Dopo il nome FAVSTA la pietra presenta un’ abrasura e tracce d’ una curva che sembrerebbe un avanzo della lettera C. che potrebbe appartenere alla figliazione. . A chi guarda questa lapide la prima volta, occorre un abbaglio. Il tempo probabilmente si è divertito qui ad obliterare qualche parte di lettera, là a solcar qualche linea che par condotta espressamente per confondere il lettore. Per uno di questi scherzi, 1’ I di Felix si vede prolungato fino a toccare la linea trasversale dell’F sottostante, e poi per un altro scherzo del tempo è obliterata la parte inferiore dell’ F, così che GENOVA ( io ) di questa forma rimTI ~ --- gamento dell’I n 6 CU,Va’ C,,G UnUa aI detl° prolun~ Queste pJtLLTTr *"* “'""'k * d mi"USC0,°-battesse a veder n n ° n0tare’ perché chi s’im' ingannare da quel hV! S"M’ avvis0 a non lasciarsi Questa lapide nei ™ appar,sceDza-nostro territorio- " 6 tant0 nostra perchè trovata nel milizia li.TUre E’fr|ma anC,ie perc,lé n dedicante appartiene al/a sulla pietra il 61 ^ centunone di una Coorte ligure. Qui l’ordinario U°J 0SS8,e un 3 a rovescio o due linee che dritta Hi /.i • ? °nnare un angolo col vertice rivolto verso la urna ai chi leetre Oni io r l’inferiore 1 •' 6a suPerj’ore è alquanto curva, guarda bComparsa> per forma che a chi non ci Posizione disuZ^6 SfUgg6 ^ apparisce soltanto la curva in formano p, ! d;. ma in rea,ta le due linee s’incontrano e ng°lo in quel modo che abbiamo detto. Questa iscrizione ci Porge occa ' • ^ CU' S* n°mÌDa Una delle C°°rti ,ÌgUrÌ’ pubblicati aSJOne dl accennare a varii monumenti già da noi nate. \Dna ’ n°nche a due altri in cui sono esse pur nomi-in metallo h^0 QUeSti U,timi ai decreti imperiali incisi bio. Benché ° ° rjgUarf,ano 1 privilegi di cittadinanza e connu-zione berlinespUeStli 'j0CretÌ SÌen° d,stribuiti ne,,a °ran C°ììe' pensò sagffiampnf ? 1U°ghÌ rÌSpettÌVÌ’ il profeSSOr M°mmS6n quelli che f< nUnÌrJÌ anche tulti insieme’ siccome scrizioni rhP ri?dn0 Un corpo di uniforme argomento. Le derelazione coll/""'"0 l° ^°nete Ut cle Vecunia necessaria pro emptione P 01 ni eat, et hanc prorsus deliberationem exequi faciat (l). C) Archivio di Statn ■ r j-1105. — Già un ait' dlce tersorum Ilaphaelis Panzoni, anni i5o7, X. dal Banchero (Gen^ ^ Ch0 S' ,egS6 cUat0 Codice H°8’ 0 fU prodotl° (Atti, ///. 363) e>WVa e le due Riviere, pag. 349), e da noi a suo luogo mento della prezio.'6''1 ^r0vveduf0’ ,n data dei 27 dicembre 1507, al coll oca- celliere BenedetiT? TaV°,a Sa" ,orenzo> commettendone il carico al canr o da Portnmanri-j.v VALLE DI niSAGNO ( 19 ) QUEZZI VALLE DI BISAGNO QUEZZI 263. YRRICVS ONESTE 10CATI VERNA 'ANNIS V xir Si legge negli Annali Ecclesiastici mss. dello Schiaffino al capo 1. Questa è la genuina lezione quale usci dalla penna dell''autore, perchè fu tratta dal suo manoscritto autografo, che si trova presso gli eredi del compianto nostro socio l’avv. Francesco Ansaldo. Lo Schiaffino indica il luogo, ove fu letta questa iscrizione, con queste parole: « Nella detta valle (di Risagno) nella parrocchiale di Quezzi vi fu una piccola arca, nella quale si legge ecc. ». Quei due verbi vi fu e si legge non armonizzano fra loro. L’espressione vi fu.farebbe credere che al suoi tempi non esisteva più, altrimenti avrebbe detto vi è. E se non esisteva più doveva dire non già si legge, ma si leggeva. In altre copie vi sono varianti, come VRBICIVS in luogo tli YRBICVS, ad ONESTE è apposta I’ H, e si osserva VALLE DI BISAGNO ( >90 1 ________________________^ -U > WE/7.1 pure qualche alterazione nelle cifre numeriche. Ma anche allo s ato in cui er\o nato in casa di un Onesio evocalo, come si chiamavano i veterani richiamati alle armi. Andando dietro alle ipotesi, si potrebbe anche dire che quel primo 0 dovesse essere Q, il quale rappresenterebbe senz’al-una difficolta il prenome. Non si potrebbe dir cosi del nome gentile che bisognerebbe formare in Netto o Nestio, nomi meramente strani e, per quanto io sappia, sconosciuti; mala nomenclatura correrebbe alla romana. Si dirà che i cambiamenti proposti sono arbitrarii. E chi lo nega? Ma l’iscrizione come sta è un solenne guazzabuglio, da cui non si cava costrutto. Chi la potesse trovare nel suo stato primitivo, ci sarebbe da trasecolare. Cosi la seconda riga presenta ANNIS V ' • Chi non vede che queste cifre non possono correr cosi? ° CrP,l° che i! v precedesse ANNIS, e significasse vixit. IlIVIEHA ORIENTALE ( 21 ) POLANESl RIVIERA ORIENTALE POLANESl 264. D ■ M • AGATHEMERO .ET EVTYCHETI ALVMNIS • B • M CN . LVCRETIVS LVCRETIANVS Questa, che fino ad ora era Fimasta ignota, fu trovata dal Rettore di sant’ Antonino di Gasamavari Don Angelo Remondini , diligente cultore delle patrie memorie e benemerito della ligure epigrafia. Si legge incisa in una piccola urna marmorea, nella sacristia di san Martino di Polanesi in quel di Recco (*). A giudicare dal solo dettato, non dubiterei di assegnarla al miglior ('; Ved. in proposito una lettera dello stesso Remondini inserita nel Giornale degli Studiosi del 28 ottobre 1871. Il IVI EH.V ORIENTALE ( 22 ) SPAZIA tempo, come pure per l’ortografica scrupolosamente osservata. Agatemero ed Eutiche, ecco due graziosi nomi e di buon augurio. Il primo dice buon giorno, il secondo suona felice. Son chiamati alunni. Alumnus dai Romani e ^perciò; dai Greci era detto un bambino nato libero ed esposto, e poi raccolto da qualche pietosa persona, e da questa nutrito ed allevato. Si trova nulladimeno dato questo titolo anche a soggetti che non erano in queste stesse condizioni; ma che vernano soltanto benignamente educati. Se questi soggetti il buon Gneo Lucrezio li trovasse già provvisti di nome, o se abbia dovuto pensare a provvederne!! egli stesso, dalla lapide non risulta. I nomi sono greci, e se a lui piacque imporli cosi, ciò significa che era addimesticato con questo linguaggio e che amava di grecizzare. Quello che si sa è che che i due alunni gratamente corrisposero alla bontà dell’educatore, che lor sopravvisse; giacché quando morirono dichiarò che aveano ben meritato di lui, il che é compreso in due sigle B • M •, che vogliono dire bene merentibus. SPEZIA 265. LIAE Frammento in marmo carrarese trovato alla Spezia negli scavi fatti per la fabbrica dello Arsenale, ed ivi esistente presso I Lfficio del Genio marittimo. IU VI EH A OHIENTALE ( 23 ) LUNI LUNI 266. D M OPPIAE • DEMETRIDI TEDIA • SALB1LLA MATER • FILIAE • PIENT1SSI MAE•BENEMERENTI FECIT 267. D M T • CLAVDIO • CALISTO CLAVDIA • RESTVTA CONIVGI • OPTIMO • CVM QYO • VIXIT ANNIS • XXVIII Riferiamo queste due iscrizioni accoppiate insieme, perchè [ter una loro particolarità poterono supporsi cristiane, quantunque sieno indubitatamente pagane. Fra I’ una e l’altra sigla della forinola Dis Manibus si vede rappresentata la figura di un cuore o di una foglia, che si trova frequentemente usata o per punto o per semplice ornamento qua e colà fra le parole delle iscrizioni de’ tempi già incamminati verso la decadenza. Ora la detta figura che in queste due iscrizioni sta fra le sigle DM potè prendersi per 0, e interpretarsi Deo Optimo Maximo. Ma questa non è forinola mortuaria cristiana; e non v’ è nulla nel corso di queste due epigrafi che accenni a Riviera ohientafp —-_(24 ) costumi cristiani c ----^ non si attagli. D’altra6»110»0 I ° nUlla Clie all° stile 1 )a£ano nano ad età caduta in l ° SUIe ° lortografìa non accen-registrò nella sua Collez' & 11 rimP>anto Carlo Promis le di Bonaventura de’ Rossi'06 ^Unej,e’ derivandole dal manuscritto qualora nella prima / • 6 ^ ^isse Udentemente cristiane del /{ossi. Si vede d i 6(1 non Sla occorso sbaglio per parte spetto venne anche a 1 -^Ueste u^,me parole che un pò di so-del Bossi, che si mno * ma C1 pass<^ sopra. Ora il manuscritto diligentemente esaminai Vi • ^IV,C0"®er,ana in Genova (f), senta nella iscrizione rr'p S°C1° ^ ^arce^° Remondini pre-un segoo che, per (|ua ' ,aUdÌ° Ca,isto non già un 0, ma n°n poter essere che ' ^ ^ ma*amente delineato, si vede lJiam detto. Questa co^^ ^ ^°rma ^ cuore o di foglia, che ab-iscrizione di Demetri^081- eraZ,0ne C1 Persuade che anche nella chiaramente il dp’ r" ^ S' debI)a rigettare l’O che un po’ più Q"es,e <•« iscril? V‘ hl P“Sto-tan° cosa alcuna che ah^i™0 n't,de 8 reg°,ari> né. Presen' Quel nome di RESTVT\ ^ 3IS°*no d’interpretazione. Soltanto avventura Restituta e | PU° ,aSCÌare i! dubbio che fosse per abbaglio del copiatore ° T ° ^ 6rrore del quadratario o per sincope. Afa nel fatto ,? ’ ^ trasse dalla pietra, subisse quella guardinghi prima di h n°mi froPrji, fa d’uopo andare mollo apparisca, strano. Nej nand'r ,a croce ad alcuno, per quanto a supposizioni, da che^0 ^ P°' n°n occorre aPPiS,iarsi ® 'Jon é raro il trov.ir| * ,COgnome Astutus era fra i Romani in conto di parola sincopataSi Può benissimo avere ,tj Ue fiossi, CtofefltoaB di dl Clizie ecc., voi. ,( pag. 32. RIVIERA ORIENTALE ( 25 ) TREBIANO TREBIANO 268. ÀHVS • PETI____ VIAE • POSILLA . . . VILIC • COMP____ ARAM • LARI S • V • L • S • L • M II signor Agostino Falconi nel suo libro intitolato: Iscrizioni del Golfo dulia Spezia (Pisa. 1874, pag. IO, n.° 5) dice: « A Trebiano nell’oratorio di S. Gio. Battista il marmo che serve per pila dell’acqua benedetta, era già un’ara degli Dei Lari, sulla quale è incisa la seguente iscrizione » ecc. Non dubitiamo dell’ esattezza del signor Falconi, ma essendo l’iscrizione tanto pregiudicata, non ci assumiamo il compito di tentarne un restauro qualunque. Le ultime tre sigle sono in tutta regola e presentano la nota formola Solvit Libens Merito. Ma le tre precedenti nè rispondono a formola usata, nè si vede come si colleghino colle seguenti. Quel COMP che sia compitalicium da accordarsi con ARAM ! Quel primo frammento di parola si potrebbe supporre il terzo nome di costui che s’intitola VILIcus. In quelle parole che sono tra ARVS e V1LIC potrebbero essere i nomi della padrona di questo fattore di campagna; ma se invece di quel V al principio della seconda linea fosse un L, ci darebbe il nome Petilliae Posillae. Supporre che sia desinenza di Salviaè, Liviae e simili forse noi consentirebbe lo spazio. E che cosa si farebbe del precedente frammento? Pertanto non potendo trovar cosa che ci soddisfi, amiamo meglio passarci sopra. HIMERA ORIENTALE ( 26 ) SA H/ANA SARZANA Pezzo di lastra di bronzo proveniente dagli scavi di Luni ed esistente in casa del signor marchese Angelo Alberto Remedi a Sarzana. RIVIERA ORIENTALE ( N ) CEPA1IANA CEPABANA 270. I) M VETT1AE APHRODISIAÉ SEX ANNAEVS * UBENALIS CONIVGI CARISSIMAE BENEMERENTI POSVIT QVAE VIXIT ANNIS X.... MENS1BVS XI DIEBVS • X... Questa iscrizione si conserva nella tenuta dei signori Irateili Grossi presso Ceparana. Dienne notizia recandone un disegno il cav. laminar Luxoro; poi ne trasse il calco l’abate Marcello Remondini il 2 di marzo del corrente anno '1875. Tra le sigle I) • M esiste un buco fatto nel marmo da’ contadini che se ne servirono per impernarvi una ruota da molino. Ora è riempiuto di calce. Parimente è riempiuta di calce una spezzatura del marmo che corre da dritta a sinistra e per gran parte sovra la quarta linea. Le parole danneggiate per la rottura della pietra non lasciano però alcun dubbio di lettura. La leggenda é contornata da un cordone in rilievo, e poi rimane ancora un margine, che nella parte superiore si eleva a formare una cimasa. Nella parte inferiore rimane ancora molto spazio vuoto, e sotto il cordone che forma la cornice vi è un altro quadro della stessa larghezza, ma basso presso a poco nella proporzione di 3 a II, nel quale sono rappresentati in basso rilievo un paio di sandali, due vasi unguentarii, uno de’ quali capovolto, una specie di paletta ed una scatola d’ unguenti. RIVIERA ORIENTALE ( 28 ) CISPADANA Quanto ai nomi, la donna, alla cui memoria c dedicato il monumento col secondo nome, clic è greco, si manifesta d’origine servile, e nel primo apparisce aver appartenuto alla cospicua gente Vettia da cui ebbe colla libertà anche il nome, come si solea praticare. Il marito poi presenta un anomalia , ma soltanto di scrittura, al principio del cognome, il quale dovrebb’essere IVVENALIS. Ora per una di quelle stranezze che cominciarono a prevalere colla decadenza del buon gusto, s’innestò P I con 1’ V e se ne fece una sola forma di lettera, quindi per quell’ affinità che passa tra il V e il B » questo prese il posto di quello. Ogni altra cosa corre in tutta regola. Questo frammento di epigrafe fu tratto dal marino originale per 1 abate Marcello Remondini il 2 di marzo dell’ anno cor- 1 ente* Questo marmo egli trovò impiegato ad uffizio di scalino nella scala della casa colonica dei marchesi Giacomo e Stefano fratelli Giustiniani a Ceparana. Fa d uopo separare I L dalla parola seguente, come sigla del prenome Lucio. L ultima asta di quella riga bisogna riguardarla come parte di un R , del cui resto si vede ancora una piccola traccia in quella lineetta obliqua che segue. Il nome sarebbe Autronio, che é noto in epigrafia. Cosi giudicò 271. IIVIRCK ì n rnivrcTAT \\ RIVIERA OR1ENTAI.IO ( 29 ) CEPA RANA il eh. prof. Hùbner, collettore delle iscrizioni romane di Spagna e d’Inghilterra pel grande Corpo epigrafico berlinese, quando al suo passaggio per Genova gli cadde sotto gli occhi questo inedito frammento. La linea poi doveva continuare almeno pel cognome, e la riga dissotto poteva prolungarsi ancora in qualche altro titolo. Così la terza che contiene il nome, come pare, del dedicante. 11 prenome di questo sembra alquanto obliterato dal tempo, ma si riconosce ancora per C cioè Cuius. Il nome gentile poi potrebbe apparir nuovo, come pare a me, che quanto è comune Considius altrettanto sarà difficile trovare Consinius. Ma non ci deve essere difficoltà ad accettarlo : fa d’ uopo accoglierne dei più strani assai. Il Duumvirato delle Colonie era un’ immagine del Consolato di Roma, come i Decurioni ne rappresentavano il Senato. Nel Muratori (1424. 4) si ha un Autronio Prisco, e (92. 4) un’ Aulronia Priscilla RIVIERA OCCIDENTALE ( 30 ) VARAZZF. RIVIERA OCCIDEiNTALE VARAZZE 272. CN • ARRIO • CN • F • PVB • AXIMIO III VIR JVAVAL • PROC • AYGG • NN • IN • BAETJC • ET • IN . ILLVRICO • ET HISPAN • CIT • ET • VLTE • HEREDIT • CADVC • PATRONO . ORI) • ET • COLON • PLEBS • HON • VSI • D • D. , 10 r‘ca'° dall Orelli (3647), che alla sua rolla Fa-inavvpHpUn a* Faljrettl- 0nJe d lettore non fosse tratto per inauti'f eir°re d' trovarvi un Triumviro Navale, nmhtum sane munus, egli si affretta a notare sembrargli Am° 6SSere s(af0 »o Triumviro Municipale in quella RIVIERA OCCIDENTALE ( 31 ) SAVONA borgata della Liguria detta Ad Navalia, die noi traduciamo per Yarazze, accedendo alle ragioni esposte dal signor avvocato dio. Bartolomeo Fazio e convalidate dal eh. cav. Pietro Bocca (*). Ma PHenzen tronca ogni questione con questa laconica e severa sentenza. Spurius; desumpsit eum Fabrettus ex Schedis Vaticanis. L’ Orelli nel suo Supplemento delPArte critica lapidaria aveva scritto Vaticanae schedae, quibus Fabrettus singulis fere paginis utitur, Ligoriariis, idest subditiciis refertae sunt. E veramente il nome di Pirro Ligorio è un avvertimento per mettersi subito in guardia. SAVONA 273. V • L • F • SEVDO EMILIANVS SIRI - ET D • M • ATTILIAE CHERESIjE CONIVGIS • CARISSIMA Era a Savona. « Nel 1840 presso la porta Quarda, ora distrutta , di Savona in un magazzino si trovò una specie di piedistallo con questa iscrizione e con due scolture ai fianchi che rappresentavano la prima un cocchio con due persone tirato da un cavallo, la seconda due uomini giocanti ai dadi ». Iscrizione e notizia trasse P abate Marcello Remondini da un manoscritto del cav. sac. Francesco Caorsi nostro socio in Savona. Forse il Ms. appartenne al fu avv. Gio. Battista Belloro. (') Veti. Fazio, Varàzze e il suo distretto, 118; Rocca, Giustificazione della Tavola Peni nigeriana ecc., pag. 18. IIIVIEIIA occidentali: ( 32 ) VADO Qui abbiamo tutte le desiderabili notizie del fonte a cui fa capo questa iscrizione; ma quella parola SEVDO , che viene topo le ti e sigle, ci fa troppo desiderare l’ispezione dell’originale , il quale non sappiamo che cammino abbia preso dal magazzino che I ospitava. Qui ci é indubitatamente errore. uanto alle sigle, si possono leggere: cosi Vivens Libens Fecit; n annunzio a trovar nulla che mi soddisfi riguardo alla patì a che .segue. Tutto il resto, tranne Emilìanus senza dittongo ittonghi (inali collegati in AL (se pure era cosi l’originale), corre senza intoppi. VADO 274. dall’ eerplirt a *n.occas,one di scavi fatti praticare z*one alla nostr^Soc6 r61 ^i1080’ Ne fU comunicata rimita' Varni e fu ‘ J 10 d Pel chiaro nostro socio comm. Santo "V fu nuovamente riletta sul calco dalP abate Remondini. niVlEHA OCCIDENTALE ( 33 ) VADO Come si riconosce a prima vista, il tempo ne ha trionfato nel modo più infausto per la scienza: P ha mutilata e quasi ritagliata tutt’alP intorno con malignità, per forma che non ne ne avanza altro che la parte centrale. Manca la testa e perciò siam privi del nome del personaggio, a cui il monumento fu dedicato. È rotta dalla parte sinistra di chi la legge e perciò, se eccettuiamo per avventura tre righe, le altre mancano del principio. É rotta dalla mano dritta e perciò di niuna riga si vede il fine; ma si può argomentare che la parte che manca non è punto minore di quella che rimane; anzi si può dire che tutto ciò che manca alla lunghezza delle righe è quasi tutto da questa parte. Manca finalmente la conclusione. Con tutto ciò, benché sia maggiore e di più importanza ciò che è perduto di quel che rimane, noi possiamo ancora ricavarne che appartiene all1 epoca delP Impero avanzato e che era dedicata a un personaggio d’ alto grado e insignito di cospicue dignità militari e civili. Quanto al tempo ecco le ragioni per cui dico questo. In primo luogo me lo fa credere la forma delle lettere. So bene esser questo un argomento molto fallace, da che in ragione della diversa mano delP artefice se ne trovano tali che appartengono ai tempi migliori e sono male scritte, mentre altre presentano piuttosto eleganti caratteri e sono di età molto avanzata verso la corruzione. Nulla di meno questo indizio, quando va di conserva con altri, non manca di avere il suo peso. Non dirò di qualche accento che si vede in questa iscrizione, perchè anche in quelle dei tempi Augustei se ne trovano. La forma dei caratteri è bella e accurata; ma non ha quella maestosa semplicità che hanno ordinariamente quelle del buon tempo. Per es. la linea trasversale del T invece di essere retta è leggermente serpeggiante , e posa alcun poco obliquamente. Il G invece di avere all’ estremità inferiore quel piccolo taglio orizzontale col festonetto che se ne diparte, va Atti Soc. Lio. St. Pmu. Voi. XI 4 RIVIERA OCCIDENTALE ( 34 ) VADO ricurvandosi verso 1’ interno. Finalmente FA ha una piccola lineetta orizzontale sul vertice. Ma ciò che specialmente si riporta al tempo, a cui abbiamo accennato, è F unione di parecchi titoli di dignità civili e militari, di cui l’ignoto soggetto della nostra epigrafe andò insignito; la quale unione si riscontra in molte epigrafi d'età conosciuta, colle quali la nostra ha molta analogia. Dopo d’ aver dato 1’ epigrafe allo stato di mutilazione, come si trova, l’esponiamo con quelle poche aggiunte, che senza sforzo e contorcimento si possono proporre a ristorarla in piccola parte. procos ASIAe leg • leg xxii pRIMIC.Eniae piae fidelis leg PROPR • PROVinciae (alicujus) {et alterius) CVRATOR1 OPerum locoruraq. publicorum LEGATO AVgusti in ÌTALI A CVratOTÌ («• a1'- annonae vel viae alicujus tic.) Tra le epigrafi poi che sono analoghe a questa, ne scelgo due di data certa che bastano al nostro scopo. L • MINICIO • L • F • GAL • NATALI QVADRONIO • VERO • COS • l’ROCOS • PROV • AFRICAE • AVGVRI • LFG • AVO PR • l'R • PROVINCIAE • MOESIAE • INF • CVRATORI • OPERV.H • PVBLICORVM ET • AEDI V\l • SACRARVM • CVRAT • VIAE FLAMINIAE etC. (') C) Henzen, 6498. RIVIERA occidentale ( 35 ) VADO P • MVMMIO • P • P ■ GAL ■ SI SENNAE • UMILIANO COS (') • AVGVRI • PHOCOS • PROVINCIAE • ASIAE • LEGATO • AVG • PI! • PI» • MOESIAE • SVPERIORIS etC. (2) La prima parola leggibile nel frammento dopo ASIA, frammento aneli’esso di parola, ci mette sulla via di riconoscere che il soggetto della lapide avea tenuto un grado nella milizia, e questo, ragguagliato cogli altri titoli, doveva essere dei più elevati, come Legato, Prefetto, Tribuno. La legione è indicata pel nome di /jRIiMIGEm'ae, la quale si sa essere stata la XXII, la quale ora si trova chiamata Primigenia XXII, ora colla giunta di pia fidelis. Segue l’abbreviazione di PRO PR e poi il principio di di PROVinciae, di cui l’ultima parte é troncata per la rottura della pietra. A compiere la riga ed il senso naturalmente succedeva il nome della provincia, ove il nostro personaggio aveva esercitato l’uffizio di Propretore. Continua a capo CVRATORI OPE. Qui nulla di più ovvio che di compiere la formola in OPErum publicoTum i il che secondo l’economia delle righe potrebbe bastare. Ma se si avesse bisogno di più parole , sono comunissime le formole di curator operum locorumque publicorum sacrarumque aedium. Quanto al titolo di Legalo di Augusto, che viene in appresso, mi piace riferir le parole dell’Henzen : « extra ordinem ab imperatore in provinciam aliquam mitti solebant ut statum ejus corrigerent. Ita Plinium a Trajano in Bithyniam missum (') Consul an. p. C. 133. (*) GntiTFRn, 1097. 7. RIVIERA OCCIDENTALE ( 36 ) VADO esse constat, quoniam multa in ea emendanda apparuerint (Ep. X. 41). Ejusmodi generis legati sunt C. Julius Proculus, qui sub Trajano Imp. LEGafws fuit W Gusti PRO PRaetore REGIONIS TRANSPADANAE, cui alio modo fieri non potest ut legatus imperatoris praefuerit (Orellius 2273) et P. Pactu-meius Clemens, cujus inscriptionem vide n. 6483 ». Nella riga disotto apparisce iTALIA benché guasta nella sua lettera iniziale; il qual nome doveva essere preceduto dalla preposizione in. Succede poi un C a cui, come chiaramente risulta dal calco Remondini, tien dietro una linea obliqua, principio, per conseguenza, di V. Da questa frazione di parola è lecito argomentare che ci fosse nuovamente CVRATORI. Una tal ripetizione non dee far difficoltà; che, cambiato l’oggetto della cura, in epigrafia é comunissima. Se il soggetto fu detto disopra curatore delle opere pubbliche in generale, qui può essere chiamato curatore d’una via, d’ un’ acqua ecc. in particolare. Nell ultima riga del calco Remondini si vedono queste Ietterà IANO. Noi non ci proviamo nemmeno a tentarne il ìistoio: sono troppo solitarie, non hanno un appoggio né a diitta né a sinistra, e perciò lasciamo ad allri l’onore di leggerci qualche cosa di probabile. Ili VI K HA OCCIDENTALE ( 37 ) VADO ■m. Frammento marmoreo ritrovalo nel iiinne di Vado , or fa parecchi anni. Si conserva presso il M. R. Arciprete di Vado cav. Cesare Simone Queirolo nostro socio. Le righe cominciano, ma non finiscono; perciò non si può aver nemmeno la norma della loro lunghezza. Per dare un saggio di possibile , se non probabile ristoro, ecco come si potrebbe leggere: P • VATINIO ■ p • f • gal ■ SECVNDO • 1 • vatinivs L • F • QVARTus ■ heres EIVS • MOnumentum p-c Ho supposto una tribù qualunque per riempiere lo spazio. Così il secondo Vatinius é totalmente arbitrario ; non cosi il RIVIERA OCCIDENTALE ( 38 ) HERZEZZI prenome Lucius, che desumo dal prenome paterno come usava al tempo dell’Impèro, a cui secondo i caratteri par clic appartenga questa iscrizione. Invece di heres poteva esscie ncpoò o allro. 276. Frammento marmoreo trovato in Vado ed esistente nella casa canonicale del prelodalo signor Arciprete. BERZEZZI 277. IVNIAE C • F . SVMMAE MATRI IVNIAE Q • F • SECVNDAE SOROR1 C • 1VNIVS Q • F • OPTATVS V- F. Stando agli Scritti Letterarii dell’ab. Torteroli (I859,.p. 38) questa lapide fu ritrovata nella grotta di Rerzezzi. Il luogo ni VIBRA OCCIDENTALE ( 39 ) ALBENGA non pare il più opportuno ad offerire cotali monumenti, come la frequenza dei visitatori rende poco probabile il ritardo di tale scoperta. Le escursioni poi del Torteroli sono rappresentate in aria piuttosto di novella che di serio racconto, per cui non so quanta importanza si possa concedere al suo monumento. Lasciandolo dunque tutto alla sua responsabilità, non* v’ò nulla di certo che intrinsecamente lo renda sospetto. L’ e-pigralìa è semplicissima ed in ogni sua parte regolare. È un C. Giunio Optato figlio di Quinto, che dedica il monumento a sua madre Giunia Summa ed a sua sorella Giunia Secunda. V • F. Queste due sigle veramente si sogliono usare quando uno prepara la tomba a sé stesso vivendo ancora, in luogo di lasciarla per testamento. Uno che ponga un monumento ad un altro, sfido io che non sia vivo! Se ci fosse soltanto et sibi, il Vivens Fecit sarebbe totalmente giustificato. ALBENGA 278. M • VALEIUVS BRADVA MAVR1CVS C • M • V • COS • FONT SODALIS ADRIAN ALIS CVRATOR OPERYM PVBLICORVM CVRATOR AQVARVM SACRAE VRBIS ET MINICIAE CENSITOR PROVINCIAE AQVETANICAE PRO • COS • PROVINCIAE AFRICAE BALNEVM QVOD VIVOS INCHOAVERAT QVINTVS EGNAÌTVS SVLPICIVS PRISCVS CONSVLARIS PONTIFEX ET FLAMEN DIVI SEVERI CVRATOR AQVARVM SACRAE VRBIS ET MINICIAE EODEMQVE TEMPORE PRAEFECTVS AL1MENTORVM PERFECTVM ALBINGANENSIBVS ASSIGNAVIT RIVIERA OCCIDENTALE ( 10 ) Al'.BRNGA Questa iscrizione è razzolata dalla Raccolta più volte da noi sfruttata del Marcanova. È registrata a pag. 126 sotto questa intestazione : Albi Ingauni in Ecclesia S. Caloceri extra inoenia. K probabile die delle epigrafi che il Marcanova adunò, molte egli non abbia vedute co’suoi occhi in originale, ma che abbia dovuto contentarsi delle schede che gli erano trasmesse. Non si vuol con questo disconoscere il servizio da lui reso all’epigrafia: soltanto s' intende di assegnare una probabile ragione degli errori che non di rado vi s’incontrano. Or se anche in brevissime iscrizioni egli fu tratto in errore, è lecito immaginare quanti gliene devono essere occorsi in questa, che come si 'ede, è discretamente lunga. Per non riprodurre gli evidenti errori che la deturpano nella lezione del codice, io la presento corretta in quei luoghi che mi parvero bisognosi di correzione : i quali andrò indicando, acciocché il lettore conosca lo stato della lezione del codice, ed anche perché potrebbe per av-\entuia rilevare qualche cosa di più opportuno di quello per ( ui io mi sono ingegnalo di medicarne le non poehe e non leggiere piaghe. Comincia M. Valerius lìraduam Auricus. Bradua è cognome comunissimo nella nomenclatura romana ;■ ma non ha il privilegio di mettersi in aperta rivolta contro alla grammatica, come fa qui. Tutti i nomi, e i titoli che seguono, sono in nominativo ed egli solo spicca in accusativo. Si tolga I’ M da lìraduam e si dia ad Auricus e avremo un bel nominativo in buona concordanza con tutti gli altri. Si dirà forse che /a d uopo vedere se Auricus è disposto a ricevere quell’ M; ed io lispondo in primo luogo che basterebbe la convenienza, anzi la necessità grammaticale a fargliela accettare : in secondo luogo, che M auricus è un bel nome romano, romanissimo; e se ciò non basta dirò che posso credere d’aver proprio afferrato questo personaggio. Si prenda l’iscrizione Orelliana n.° 890. Sono due IUVIEUA OCCIDENTALE ( il ) ALBENGÀ congiunti e due amici di M. Antonio Anzio Lupo, personaggio d'alto aliare, che era stato ucciso per ordine di Comodo ; i quali compiono il sepolcro da lui stesso incominciato ed interrotto per la violenta sua morte. E Elio Lampridio che registra la sua disgrazia nella vita di Comodo, ed è Giulio Capitolino, che nella vita di Pertinace ci fé’ sapere che questo Imperatore revocavit etiam, eos qui deportati fuerant crimine majestatis, eorum memoria restituta, qui occisi f'uerant. Lascio di arrecare tutta intiera la epigrafe perché troppo lunga; ma non debbo lasciar le seguenti parole, perché troppo bene consuonano colla storia che ho accennalo. Cujus memoria per vim oppressi in integrum secundum amplissimi ordinis consultum restituta est etc. Andiamo alla conclusione : sepulcrum ab eo coeptum etc. perfecerunt at fines M • VALERI VS BBADVA MAVRICVS PONTIFEX et Antonia Vitellia, amici Q. Fabius Honoratus 7. Annaeus Placidus. Si vede cospirare il prenome, il nome e cognome e ancora questo Mauricus colla sua qualità di Pontefice, come è nell’ iscrizione del Marcanova. Se ad onta di tutte queste note così convenienti fra le due epigrafi, si ha ancora a dubitare dell’identità di questo Valerio Bradua, io non so che dire, ma so che niuno potrà negare che l’M appiccicata dal Marcanova per coda al Bradua, tocca di pien diritto al Mauricus. Dopo la nomenclatura di questo personaggio seguono tre sigle : C • M • V. Non sarebbe difficile dar loro un’ interpretazione che cadesse a proposito, come clarissimae memoriae vir, formola usata in epigrafia; ma che in quel tempo già si adoperasse, per me tornerebbe difficile tanto l’allarmarlo quanto il negarlo. Segue COS. che comunemente si prende per consu, ma si può anche interpretare per consularis. Che per que’ tempi un personaggio di quei nomi che sono registrati nell epigrale riviera occidentale ( 4-2 ) ALHI5NGA sia stato console ordinario, fa d’ uopo negarlo 1 icisamente, ma si sa che moltissimi vanno ornati di questo titolo che in darno si ricercano nei fasti consolari. Ci è la scappatoia dei Consoli Suffetti, e non saprei se potesse avervene alti a da che oramai é riconosciuto clic i Consoli Municipali sono una chimera. Non faccia poi maraviglia che il nostro Bradua. Mauncus fosse pontefice PONTi/èx. Allora un onorevole particolare, un militare poteva essere sacerdote e pontefice, passar dalle cure della famiglia all’ara, dall’ara al campo. Ed egli apparteneva pure ad uno di quei minori sacerdozi, che erano stati istituiti ad onorar la memoria di quegl’imperatori, che dopo morte ciano stati ascritti al numero degli Dei. Quindi gli Augustali, i ria viali, i Tizii, gli Adrianali ecc. Ecco perchè é detto SODALIS ADRIANALIS. Seguono quindi parecchi altri titoli e tutti onorevolissimi, cioè: CVRATOR AQVARVM PVBLICARVM , CVRATOR AQVARVM SACRAE VRBIS ET MINICIAE. Di tutte queste parole l’ultima soltanto riclama un po’ di spiegazione. Che cosa dunque cotesta Minicia? Era in Roma una porta cosi detta perché in vicinanza, come ci fa saper Festo, del Tempietto del Dio Minuzio: ma di questo non èqui il caso. Già questo nome ha subito diverse modificazioni, trovandosi presso gli antichi ora scritto Minitia o Minicia, ed ora Minucia. Che cosa era dunque cotesta Minucia o Minitia? Nel IV volume del Thesaurus del Muratori pag. 2120 si legge un antica descrizione di Roma nelle sue dodici regioni : donde venne l'attuale denominazione dei Rioni. Ora alla Regione IX leggo MINVTIAS DYAS VETEREM ET FRVMENTARIAM. Insomma il sostantivo di questo aggettivo (giacché Minutia è tale) non è altro che porticus, ed era un luogo nella detta Regione presso il Circo Flaminio, ove si distribuiva frumento al popolo. Ecco donde traeva tanto interesse questo locale. Se poi si volesse RIVIERA OCCIDENTALE ( 43 ) ALBENGA indagare l’origine di cosiffatta denominazione, credo che forse si troverebbe rimontando alla prima creazione di quel Magistrato a cui fu dato l’incarico di provvedere la città di cereali a rispingere la fame clic dominava in Roma. Ciò avveniva l'anno av. P E. V. 400, alla qual carica fu chiamato il patrizio L. Minucio. Postremo perpulere plebeii, haud adversanto Senatu, ut L. Minutius praefectus annonae crearetur etc. {Lio., lib. IV, d. I). Da questo personaggio io crederei derivato il nome di Minucia o Minicia. Si sa che più tardi questo uffizio fu esteso alle provincie, e che quando s’introdusse l’uso di distribuire al popolo frumento dapprima e poi pane bello e fatto, anche questo uffizio ebbe i suoi prefetti: di che si ha frequente memoria nelle iscrizioni. CENSITOR PROVINCIAE AQVETANICAE. Aquetanicae si sente subito essere in luogo di Aquitanicae : o imperizia dell’in-. cisore o svista del copiatore. Censitor è stato dichiaralo a suo luogo nella Raccolta delle Iscrizioni, ove é occorsa questa parola. Era colui che straordinariamente veniva incaricato di presiedere alla riscossione dei censi ed a rivedere ogni cinque anni l’estimo dei beni, in ragione dei quali i proprietarii pagavano il rispettivo tribulo. PROCONSUL PROVINCIAE AFRICAE , cioè governatore con suprema autorità in una provincia di tale importanza, non è piccola cosa. BALNEVM QVOD VIVOS INCHOAVERAT. Vivos per vivus in epigrafia non è raro. È un’anomalia, se si vuole; si può anche dire che taluno abbia usato questa desinenza come per grecizzarlo, e che altri poi l’abbiano adottata per imitazione senza saperne il perchè: in qualunque modo sia la cosa, qui non c’ è che dire. A questo luogo il senso rimane sospeso. Questa prima parte dell’ epigrafe si può ridurre a questo senso o protasi del pe- riviera occidrntale ( 4.4 ) aluenga riodo: Balneum quod M. Valerius Bradua inchoaverat. Ora deve venire l’apodosi che compia il senso, e ciò doveva essere che un secondo personaggio finisse l’opera cominciata dal primo. Come si legge ora racconciata presenta il suo senso legittimo e regolare: non cosi come è nel Marcanova, come si vedrà in seguito. Il personaggio a cui l'u dato di compiere quel lavoro , che dovea tornare di vantaggio agli Albinganesi, si annunzia cosi: QVIETVS EGNAT1VS SVLPICIVS PRISCVS. Quel Quietus al posto del prenome non mi soddisfa e P ho cambiato in Quintus. Noi vorrei veder disteso, ma accennato soltanto per la sigla Q. -Ma questo passi, perchè dei prenomi distesi se ne trovano. Dopo i nomi cominciano i titoli, e il primo che si presenta è considaris. Qui il diffìcile non é l’indovinare da qual parola provenga questa storpiatura, si sembra impossibile che il Marcanova abbia sonnecchiato al punto o di storpiare consularis in considaris che non significa nulla , o di non riparare lo sconcio, se proveniva da altrui. Anche questo soggetto è Pontefice e Flamen Divi Severi. Egli apparteneva pertanto ai Sodali Severiani. L’ Henzen dal- 1 esempio, che ha potuto trovare dei Sodali Augustali, che eleggevano Ira di loro i Flamini del Divo, ne argomenta che ciò si praticasse anche negli altri simili sodalizii. Ora Settimio Severo, che era succeduto all’ impero di Didio Giuliano, Clodio Albino, Pescennio Nigro comparsi sulla scena dopo Pertinace e scomparsi in meno d’un anno, regnò 18 anni, cioè dal 193 al 211. Ora se questo secondo personaggio della nostra epigrafe era Marnine del Divo Severo, vuol dire che questo era già salito al cieio della Mitologia : condizione richiesta per essere ascritti al libro dell Olimpo. Anch’egli é CVRATOR AQVARVM SACKAE VRBIS ET MINICIAE, di che non occorre più parlare, EODEMQVE KIVI Kit A occidentali:. ( 4-5 ) AI.BENO A TEMPORE PRÀEFECTVS ALIMENTORVM. Anche questo si collega con ciò che si è detto di sopra intorno alla Minicia. La parola che segue, disgraziatissima nelle mani del Marcanova, racconciata in modo da non lasciar dubbio alcuno, rende all iscrizione un senso giusto e perfetto, mentre con queU’.er-ronea lezione tutto rimaneva sfasciato e sconnesso e facea nascer dubbio che fosse stata, guasta o rabberciata da qualche impostore. Dove noi ora leggiamo PERFECTVM nel Marcanova è scritto ppfectum : la qual parola ci farebbe passare dal bagno, di cui aspettavamo un esito qualunque per qualche verbo, all’assegnazione d’un sotto prefetto fatta agli Albin-ganesi. Oltre al non aver più senso l’iscrizione, vi sono anche altre inconseguenze. Già questo assegnare un pubblico funzionario era attribuzione del governo centrale, ed il verbo più proprio era designare anziché assignare. Poi pro praefeclo comincia a trovarsi assai tardi: propraefectus soltanto negli autori di legge de’ bassi tempi. E poi non sarebbe al tutto da ammettersi che la medesima abbreviazione P servisse per prò e per, come si sarebbe dovuto per necessità interpretare il ppfectum. del codice. Il felice rilievo di leggere perfectum lo debbo alla perspicacia dell’ avv. Desimoni il quale propostomelo come un’ipotesi, mi fece chiaro balenare alla mente netto e compiuto il senso di tutta l’epigrafe. Prendendo la seconda lettera per un R, che è facile scambio, verrebbe a mancare soltanto la E (che sarà stata obliterata) per avere l’esatto ristauro della parola. Quindi risulta che Valerio Bradua cominciò la costruzione di un bagno e che Ignazio Sulpizio Prisco compiutolo, lo assegnò agli Albinganesi. Nel Codice in luogo di ALBINOANENSIBYS si legge Albin-ganesibus. Un’ N può essere sfuggito allo scrittore e non glielo vogliamo imputare a grave fallo. Dice il Marcanova che questo marmo è in San Calocero RIVIERA OCCIDENTAEE ( 40 ) ALBENGA fuori le mura. Or che n’è stato? Come si è dileguato? Perche di tanti raccoglitori delle iscrizioni albinganesi nessuno lo ha registrato? La risposta è in pronto: perche quella chiesa più non esiste; ina soltanto se ne additano le rovine. L ìs-cri zione subi le vicende della parete in cui era incrostata, pio Labilmente andò in frantumi e questi si dispersero. Ecco la ragione per cui non si trova nelle moderne collezioni albin ganesi. Queste sono posteriori alla caduta di quella chiesa. Potè accoglierla nella sua il Marcanova, perché anteiiore alla catastrofe Caloceriana. 279. M • MVC1VS M • F • PYB • ALBI • PVD MI - LEG • XXII • AI XXX STIP • IX H • S • E È registrata nel Brambach (Corpus Inscript. Rhen. al n.° 121 '>), donde l’estraggo siccome appartenente ad un soldato della no stra Liguria. Ciò io deduco da quella parola abbreviata ALBI che si presta all* interpretazione naturale di ALBINGAVIVO. A questo paese consuona il nome della tribù, che é la PV Blilia. ed è al suo posto. Il terzo nome che in buona regola dovrebbe essere disteso, qui è abbreviato, probabilmente per le angustie dello spazio, in PVD che si può interpretare per Pudens o Puclentianus. .MI.. è per miles. Nella Raccolta si osserva qualche punto, credo io, messo per avvertire che é perita qualche lettera. Infatti non so se si adoperi I’ abbreviazione di questa parola come sta qui, usandosi (quando non si metta il nome disteso) o semplicemente M, che é comunissimo, op- RIVIERA OCCIDENTALI! ( 47 ) AI.BENGA pure MIL. Dopo LEG • XXII succede un''A ed un’asta, che rimane cosi senza lasciar conoscere di qual lettera faceva parte, bisogna dire che qui la pietra avesse subito un guasto dal tempo. Siccome la Legione XXII fra gli altri titoli ebbe pure quello di Antoniniana, si risveglia subito l’idea che in quel-l’asta si abbia da riconoscere il primo elemento dell’ N per cominciare la detta parola; però la cifra che segue XXX fa che si accetti l’N ma per un’altra parola, la quale mi par che non lasci dubbio ed è ANnorum. Questo soldato mori a trentanni dopo nove anni STIPendiorum cioè diservizio. I/iscrizione si chiude colle nota formola H ic Silus E st. Non dee poi far meraviglia che un Albinganese morisse sul Reno, e che a tanta distanza dal suo paese gli si ponesse un monumento , quanto si voglia modesto. La cosa sarebbe certamente strana ed inammissibile se si trattasse di un guerriero caduto o di morte violenta o di malattia in una escursione militare; ma questo non é il caso. Si sa che Augusto stabili in varii punti delle frontiere dell’Impero eserciti stanziali, i quali rispingessero le incursioni dei barbari e li tenessero in rispetto. Siccome il Reno per un tratto del suo corso limitava il dominio romano, perciò anche sul Reno, com’ ó storicamente certo, stanziavano Legioni Romane, le quali si reclutavano da tutte le provincie dell’ Impero. 280. 11 signor Lodovico di Vauzelles, Consigliere onorario alla Corte d’Appello d’Orléans, ebbe l’ottima ispirazione di tradurre in francese e stampare a parte, a comodo de’ forastieri, il vigesimo capitolo della bella Storia di Ventimiglia del prof, cav. Girolamo Rossi, il qual capitolo contiene la descrizione della detta città e del suo territorio. L’opuscolo é intitolato riviera occidentale ( 48 ) ventimiglia Description de la Ville de Vinlimille; e l’illustre Autore vi ha aggiunto ciò che può interessare anche il viaggiatore erudito, unendovi i tesori epigrafici che la lunghezza dei secoli 11011 ha invidiato alla gloria di quella terra. Siccome v’ è qualche cosa che viene la prima volta alla luce e v’ è anche qualche censura sulla prima nostra pubblicazione, noi profitteremo cosi delle aggiunte come delle osservazioni a nostro riguardo. È questo un genere di lavoro, in cui non si può mai dire d aver raggiunto la fine 0 la perfezione. Rimane sempre qualche cosa da aggiungere 0 da riformare. Notiamo qui intanto che la Description, pag. 43, n. 21 , riferisce dopo le iscrizioni ventimigliesi quella tra le più notevoli d’Albenga, .che comincia P • METILIO ; e che il cav. Rossi aggiunge che egli la riproduce come P avea già data nella sua Storia d’Albenga, pag. 371. Giacché egli ha creduto opportuno di nominare qui i varii collettori che la rile- 1 irono prima di lui, e tra essi l’illustre P. Spotorno, avrebbe potuto rammentare che questi diede F iscrizione con rilevanti differenze ; mentre egli preferi la lezione quale era stata ristorata ed illustrata nella nostra Collezione., pag. 141, num. 90. fecondo il Rossi, questa iscrizione fu trovata nel Ifi02 tra le 1 ovine della chiesa di san Lorenzo. Ili VIBRA OCCIDENTALI! ( 49 ) VENTIMIGLIA VENTIMTGLIA 281. Q • MÀNTIO • Q • IL PALAT • PLACIDO EQ • PVBLICO • AEDILI 1IVIR • SACERDOTI • LA NVVINO I • POLFIEN N1VS CERDO ET MAN TI A LVC1DA CVM LIBE RIS SYIS MANTIS LVCIFE RO ET ZENIONE PO SVERVNT • S • P. Togliamo quesla iscrizione dalla Gazzetta Ufficiale dell’anno 1870, num. 196, colla relativa illustrazione fatta dal eli. prof, cav. Girolamo Rossi, a cui perciò cediamo la parola. Il detto foglio la riferisce dal Corriere Mercantile di Genova. « Pochi giorni or sono, mentre il signor Secondo Aprosio nella sua proprietà di Nervia faceva estrarre grandi massi quadrangolari con proporzionati cornicioni di pietra calcarea, i quali rivestivano la base esterna di un antico monumento, trovava rovesciato nella direzione di Sud a Nord un bel piedestallo della pietra della Turbia, dell’altezza di un metro e 20 centimetri e della larghezza di centimetri 26. » Tale piedestallo destinato senza dubbio a reggere un busto ed a coronare il monumento, porta incisa in un suo lato una iscrizione, la quale rimonta ai più bei tempi della romana dominazione, quando parte dell’antico Enti meli o, che Strabone Atti Soc. Lig. St. Patria Voi. XI. 5 riviera occidentale ( 50 ) VENTIMir.UA diceva città grande, sorgeva nella pianura che si stende ad Oriente dell’ attuale Ventimiglia. » Si è questa adunque un’ iscrizione posta in onore di Quinto Martio Placido figliuolo di Quinto della tribù Palatiti a, cavaliere, edile, decemviro e Sacerdote Lanuvino. da Giulio Polfennio Cerdone, da Mantia Lucida e dai figli Lucifero e Zenone. Dal nome di famiglia Mantii, che questi assumono nell1 iscrizione, appar chiaro che essi erano figliuoli di Quinto Mantio e di Mantia Lucida, e che il Polfennio era forse il secondo marito col quale questa era passata a nozze. » Il dirsi Quinto Mantio della tribù Palatina ci indica non essere questi ventimigliese (avendo il Municipio Ventimigliese podestà di suffragio nella tribù Falerina), ma bensì romano e senza dubbio d1 origine assai oscura, sapendosi che la Palatina, per essere una delle quattro tribù urbane, accoglieva tutta la feccia del popolo, e rimanendoci in Cicerone il rimprovero ch'egli fa d'uomo ignobile a Caio Claudio pel solo fatto di trovarsi ascritto alla Palatina (Cic. in \err., lib. II, c. 43). » Elevato il Quinto Mantio al grado equestre (EQ • PVBLICO donato), alle cariche onorevoli di Edile e di Duumviro, la quale ultima era la suprema nelle colonie e nei municipii, aggiungeva pure quella di Sacerdote Lanuvino, per cui era forse addetto al culto del celebre tempio di Giunone che in Lanuvio si ergeva, e del quale parlano Tito Livio e Plinio ed Ovidio e Silio Italico. Coincidenza degna di essere avvertita si è il sapere come a Ventimiglia il tempio pagano di maggior considerazione fosse pure consecrato alla Dea Giunone. » Oltre lo stile dell'epigrafe che ci attesta essere stata dessa composta in buon secolo, troviamo pure un carattere cronologico nella memoria della tribù, dal che si è indotti ad assegnarla prima del tempo in cui la cittadinanza romana RIVIERA OCCIDENTALE ( 51 ) VENTIMIGLIA fu estesa a tutto l’Impero, cioè prima del 200 dell’èra presente. » Questo prezioso cimelio, che proseguendosi gli scavi, verrà senza dubbio seguito da altri, è un nuovo fregio che aggiunoe lustro alla Yentimilia Romana ». A compimento di illustrazione aggiungeremo qualche parola sopra alcune sigle che occorrono in questa epigrafe. E la prima è un I che comparisce tra LANVVINO e POLFIENNIVS. Quest’ I non ha ragione di congiungersi col nome precedente ; ma ne ha una importantissima col seguente, il quale riclama il suo prenome. 11 cav. Rossi legge Julius che traduce in Giulio: potrebbe leggervi anche Junius ; ma tanto 1’ uno quanto 1’ altro sono nomi gentili i quali, come tali, nè si abbreviano, nè si usurpano come i prenomi, se non fosse per qualche caso di anomalia, che non si dee invocare senza assoluta necessità, lo pertanto preferirei supporre che non I si dovesse leggere, ma L : cambio facilissimo ad aver luogo per la brevità delle linee di traverso come si usavano allora, e la facilità di scomparire per poco che la pietra fosse corrosa dal tempo. La lettera L ci darebbe adunque il comunissimo prenome di Lucius. L’iscrizione si conchiude con queste due altre sigle S • P ; le quali non credo che presentino difficoltà se le interpretiamo sua pecunia. Erano già scritte queste ultime nostre osservazioni quando ci venne alle mani l’opuscolo Description de la Ville de Ven-timille di cui parlammo sopra, e dove a pag. 37 con Pol-fennius invece di Polfienius vediamo con piacere mutato appunto in L quell’ I inopportuno da noi notato. RIVIERA OCCIDENTAI K ( 52 ) VENTIMir.UA 282. Il cav. Rossi al num. 8, pag. 38 della Description, lipio-duce il frammento DEDIC • A ■ T • Q • EP, e in nota appiè di pagina aggiunge : M. Sanguinei a reproduit inexactement cello insci'iplion à la page /79 de ses « Iscrizioni Romane ». Il faut la rétablir telle que nous la donnons ici et qu’on la trouve à la page 27 de l’IIisloire de Venlimille. E ben ba ragione il Censore; che al proto ed all’autore sfuggi una lettera, cioè quel Q che è dopo il T, ed ancora il punto che è tra C e A. E noi per ricambiare cortesia con cortesia gli facciamo osservare che o il traduttore o lo stampatore hanno riprodotto inesattamente in questo fascicolo la lezione data nella Storia, a cui 1 Autore si richiama, nella quale è un E dove qui ne prende il posto un Q. Quest’ultima io ritengo essere la vera lezione, per cui il signor Rossi invece di rimandarci alla lezione della sua Storia, meglio avrebbe fatto ad accusare insieme alla mia anche la sua inesattezza. A comodo dei lettori metto qui a confronto le tre lezioni : DEDICA • T • EP..... . . Iscr. Rom., p. 179 DEDIC - A • T • E • EP . . . St. di Vent., p. 27 DEDIC • A • T • Q • EP . . . Descrip. de Vint., p. 38. Quest’ultima presta almeno occasione di tentar per ipotesi qualche interpretazione. Siccome non mancano esempi di quadratarii ghiribizzosi, che, non so per qual vezzo, divisero per punti lettere appartenenti ad una sola parola, e cosi può aver adoperato il compositore di questo mosaico; si presenta ovvia l’idea di leggere dedicat senza tener conto dei punti, che distinguono le ultime due lettere. Il Q è la sigla del prenome Ili VIBRA OCCIDENTALE ( 53 ) VENTIMIGLIA Quintus. che va abbreviato cosi. L'EP dovrebbe essere il principio del nome gentile, come per es. a prenderne uno ovvio, Epidius. Questo troncamento non è certamente normale; ma potrebbe dipendere dal guasto del mosaico, o se fosse così ab origine, si potrebbe attribuire a rottura, perché il signor Rossi ci rappresenta l’iscrizione come un frammento. Ora siccome in epigrafia ciò che parla agli occhi non hassi ad esprimere , perciò il dedicante non aveva da farci entrare nè il mosaico, nè la Divinità a cui veniva dedicato, che si suppone essere ivi stata rappresentata. L’ epigrafe dunque sarebbe nel suo genere completa e perfetta se dicesse veramente così : DEDICAT ■ Quintus • EPidius. Chi desiderasse avere un’esatta e minuta descrizione di questo mosaico, cioè qual fu trovato e qual rimanga adesso, non ha che a leggere la lettera che il lodato cav. Rossi indirizzò al prof. Teodoro Mommsen su questo proposito il 27 febbraio 1873, e che fu pubblicata nel Ballettino deW Instituto dì Corrispondenza Archeologica l’anno stesso, a pag. 26 e seguenti. Non vogliamo però passar sotto silenzio la notizia storica, che ricaviamo da quella lettera, intorno al sito del-1’ antico Intemelium. A cominciare dalle indagini ed osservazioni praticate dal P. Angelico Aprosio, uomo eruditissimo del secolo XVII, sino a quelle del Rossi, autenticate anche dalla presenza del prof. Mommsen, risulta che l’ubicazione dell’antica città bisogna cercarla ad un piccolo miglio dall’ attuale Ventimiglia in quella porzione di territorio che è inchiuso tra il fiume Roja, il torrente Nervia, la montagna delle Maurc ed il mare. Ci informa il Rossi che il popolo a quel pezzo RIVIERA OCCIDENT AI F t ?;/. \ 1MALt ( 04 ) VENTIMIGLIA che confina colla Nervia conservò il nome di Città Nervina. L Aprosio attesta che quando era giovinetto, una straordinaria piena di quelle acque portando via con violenza gran parte di una possessione della Mensa vescovile, rimasero scoperte alcune stanze nelle quali si rinvennero monete, lucerne ed altri oggetti d’antichità. Lo stesso cav. Rossi ebbe occasione di descrivere in varii giornali altre scoperte che si fecero in di-Nersi tempi, e si proponeva in detta lettera di ordinarne, quando che fosse, una completa relazione. E non solo questo è da aspettarsi dagli amatori di studi archeologici ; ma che pur si elìettui il voto che esprime, e che fu appoggiato dagli uffici dell illustre Prussiano, onde per pubblica autorità si promossero scavi regolari nella pianura di Nervia, che non potrebbero certamente fallire ad ottimi risultati. Non so se il 'oto sia stato esaudito. Colla nuova legge per cui si creano ispettori di scavi in ogni città, il quale onore a Ventimiglia non può toccar ad altri che al sig. Rossi, il disegno potrà <»\ere un principio di esecuzione. 283. Lo stesso Rossi poi, a pag. 38 della Description, num. 0, propone una giusta correzione ad un’altra epigrafe, che al/a pag. 178, num. 120, noi avevamo riprodotta sulla relazione di Giacomo Navone nella sua Passeggiata ecc., pag. 148. Rossi esaminò la pietra originale in compagnia del Mommsen, il quale rilevò doversi leggere cosi: apollin V-S. M • C•AN0VS HlVlEItA OCCIDICNTALE ( 55 ) VENTIMIGLIA La differenza sta nelle tre ultime lettere dell1 ultimo nome, scritto dal signor Navone ANTON. Per quanto anomalo fosse quel troncamento, pur prendendolo come ce Io avevano dato, non poteva rendersi altro che per Antonius. Ora invece osserviamo che non esiste il T, e che quel che si prendeva per un 0 non è altro che un thela greco colla linea orizzontale all1 interno ©. Ci é un po1 di mistura di caratteri (cosa che non manca di esempi); i primi due possono essere ugualmente greci e latini, benché si trovi in epigrafe de1 bassi tempi qualche esempio di 2 alla forma di S. Ora ad esser normale non mancherebbe altro a questa epigrafe, che il nome gentile disteso dopo il prenome abbreviato di Marco. Forse per la ristrettezza del marmo si accorciò quel nome, non lasciandogli che la sua iniziale C che poteva essere per es. : Caecilius, Caetonius, Cominius, Canidius, o uno dei mille altri che cominciano per questa lettera. Anthus, che significa fiore, era il nome di questo Greco allo stato servile; quando poi lu messo in libertà avrà assunto il prenome e il nome gentile del suo patrono. 11 prenome vuol essere abbreviato, non il nome ; ed il posto di questo è appunto dov' è il C, che perciò stimiamo essere stato per qualche ragione abbreviato. Questa scoperta del Mommsen, benché ci faccia conoscere l’esistenza d1 un’anomalia, toglie una troppo grave irregolarità, che era quella di due sigle premesse al nome gentile, qual sarebbe Antonio. 284. Dalla Description ricaviamo pure il seguente frammento registrato al num. 5, pag. 36, che fu trovato nel 1842 sotto il pavimento del coro della Cattedrale, ove eleganti finestrini attestano 1’ esistenza d1 una confessione. Ora è incrostata nella sala del Municipio. •«VIBRA OGGI DENTALE ( 50 ) VENTIMIGLIA RAT 1•CVRAT PVTEOLOS R • AEDIVM DVM Questa iscrizione è in onore di un personaggio insignito di molte orrevoli cure, come erano quelle delle acque, delle biade, delle vie, dei ponti, degli edifizi ed opere pubbliche. Questo titolo di curatore nel poco spazio lasciato ancora sopravvivere alla perdita del resto, si vede ripetuto tre volte in quella sii laba RAT (cuRATor), poi in CVRAT che può egualmente essere abbreviazione o guasto, e poi infine in quell’ R che precede AEDIVM che non può essere altro che l’ultima lettera di cu rator. Ciò che non mi finisce, e che credo non essersi potuto leggere esattamente per difetto della pietra, è l’ultima sillaba DVM, la quale credo che dovesse essere RVM per la com^ nissima formola di curator aedium et operum publico? um. studii piire ; ma per quanto ci vedo io , il dum non dà alcun costrutto. Non dico che non si possa trovare una parola ter minala in DVM e molto acconcia allo stile epigrafico, conio sarebbero faciendum, ponendum, restituendum e le mille altre simili; ma ci vorrebbe, o in sigla o per disteso, il verbo che compiesse la formola, come curavit o curaverunt. Si, e po sibile che il detrito obliteri una lettera; ma qui quella vici nanza di AEDIVM par che domandi il compimento della lor mola usata, e non comporti il salto ad un’altra di tipo cosi diverso. Cosi quell’I, secondo gli esempi, potrebb’ essere desinenza d’alcun nome proprio di Municipio in genitivo, di cui questo personaggio fosse curatore. Si trova anche frumenti curator. riviera occidentale ( 57 ) ventimiglia Maggior difficoltà mi fa quel PVTEOLOS accusativo, clic suppone un verbo di moto, mentre il titolo di curator domanda il genitivo, o l’ablativo di stato in luogo, quando si avesse da esprimere il luogo ove il personaggio esercitava il suo uffizio; quantunque ciò in generale non si praticasse pel luogo stesso ove si erigeva il monumento. Se fosse lecito avventurare una supposizione, che non posso confortare d’alcun esempio, direi che posto il sopraddetto frumenti, si potrebbe aggiungere Puteolos vehendi o deferendi. Questo giustificherebbe l’accusativo. Ma non si attacchi a questa ipotesi maggior importanza di quella che merita, e si cerchi qualche cosa di meglio. 285. M • AEMIL1VS CLEMENS ALBI • MIL E questo un latercolo che il Bossi riporta al rium. IO, pag. 38 della sua Description, tolto dai Monumenti, dei Fratelli Arvali del Marini, pag. 333, e dal Kellermann nei suoi Latercula Coelimontana. 28ò. M • SABVBIVS ■ LIGVS FAL • ALBENTIM ILI EVOC • AVG • SAL • VI VIX • ANN • XXXVIII PROFECIT ■ EX • COTI • V P • B Questa iscrizione che noi togliamo dal num. 12, pag. 39 della Description, fu suggerita al prof. Bossi dal eh. P. Bruzza che RIVIERA OCCIDENTALE ( 58 ) YEN i 1MK.LIA l’incontrò nel Fabretti (pag. 133 c. 3). Si trova anche, come egli dice, nello Spon e nel Poleno, ma con lezione men buona. E noi l’abbiamo difatti nei Miscellanea eruditionis antiquae dello Spon, inserite nel voi. IV del Poleno (Supplementi al Grevio ecc., pag. 058). Ecco come lo Spon leggeva 1 iscrizione. M • SABINIUS FAB • ALBINTIMILII EVOC • AUG • SALUT VIX • ANN • XXXVIII PROFECIT EX COH • V p-T. Senza fallo la lezione del Fabretti è migliore, ma anche essa lascia qualche dubbio. Di quelle abbreviazioni SAL egli non dà spiegazione alcuna, e noi rinunziamo a inteipre tari e. Quel PROFECIT si potrebbe prendere nel significato di essere stato promosso; ma per quante iscrizioni di Evocati io abbia veduto, non mi occorse mai questa espressione. Le u time sigle poi mi par che dovrebbero essere unite per si0m care PRaetoria, l’aggiunto naturale di COHorte V. Separate non hanno più significato. Quanto agli Evocati, è nozione comune che erano soldati c ìe avevano compiuto i loro anni di milizia e che per qualche bisogno dello Stato venivano richiamati al servizio, al qua e però non erano obbligati. Cosi pur si chiamavano quelli che sì offrivano spontaneamente a ripigliarlo. Quelli poi che si chiama vano Evocati dagli Augusti, dovevano certamente aver privilegi sugli altri Evocati; ma che da un certo passo di Svetonio se ne debba dedurre che i cosiffatti avevano la guardia della stanza imperiale, non mi par chiaro a sufficienza. Ecco il passo dell’autore nella vita di Galba (c. 10): « Delegit et equestris Iti VIBRA. OCCIDENTALE ( 50 ) VENTIMIGLIA ordinis juvenes, qui, manente annulorum aureorum usu, evocati appellarentur, excubiasque circa cubiculum suum vice militum agerent ». Ciò potè essere cosa speciale di quella circostanza; anzi si vede che Galba diede loro il titolo di Evocati, ma non par che fossero veterani, sì giovani cavalieri, dei quali volle farsi una guardia, come si suol dire, del corpo, lasciando Joro il proprio distintivo dell’ annello d1 oro. 287. Nella nostra prima Raccolta avevamo derivato dalla Storia (li Ventimiglia del prof. Rossi la seguente iscrizione (num. I22, pag. 179) in questa forma ed ordine : C • ALBYCIVS • C • F • FAL D • INTEMELII • M CHOOR • Vili • P • R • M A • XVII VA- XXXV Facevamo allora l’osservazione che quelle due lettere PR erano erano state mal disgiunte per un punto come se fossero due sigle separate; che invece volevano essere unite a significare PRaetoiiae. Ora la ritroviamo riprodotta qui nella Description, al num. 11, pag. 39 con qualche piccola variazione, come si può vedere dal confronto: C • ALBVTIVS • C ■ E FAL • D • INTIMIL M • CHO • viTÌ • l’il • M • A XVII • V • A • XXXV Il • S • EST «IVE-A OCCIDENTAL* ( 60 , VKKTMGUA Albuhus in luogo di Albucius. La tribù é portata alla se-con a riga. Invece di Domo INTEMELII è D • INTIAIIL. La M ia e di Miles ò a capo della riga colla sua coorte, e questa ce ti e^eie iniziata come nella prima lezione con due 0 j , non presenta altro che CHO. Siamo poi contenti di ve- I f.6 (OI'retto ^ ei[ore di quel punto che divideva le prime due ere f i PRaetorias, come avevamo rilevato nella nostra col-ezione. t n ajlra vanan(e ^ nejJa couocazjone fjeIIe sjgje ^i* u avit Annos, che qui sono unite alla fine della medesima riga, entre nell altra lezione l’una è alla fine e l’altra al principio e a riga seguente. Da ultimo v’é una quinta riga, cioè tìic Situs , formola comune che nell antica lezione mancava totalmente. » 288. Il ca\. bossi nella Description, pag. 40, num. 13, riproduce dizione L. VALERJYS ecc., che abbiamo dato a pag. ISO, num. ir de||a nostra collezione. Vi é però una differenza alla qUinta ,inea’ ne,,a Parola VALIVS, che noi vi abbiamo posto Y\Rvfede ,el G,oirredo e r1el Grutero. Egli vi sostituisce S, e chiesto della fonte onde trasse questa lezione, nsponr e che cosi ha trovato nelle più antiche memorie eli Ventimiglia che gli vennero alle mani. 289.' La Description, pag. 36, num. 4, aggiunge due lettere alla nosra iscrizione num. 213, pag. 323, nel modo che segue: IMI* antoninvs I’. . . HI VIBRA OCCIDENTALE (61 ) SAOnOIO e dice clic essa si trova ora sulla pubblica passeggiata della Colla. Il signor Rossi ci avverte che queste due ultime lettere sebbene sieno in cattivissimo stato, non sono però obliterate. SAORGIO 290. Val poi la pena di mettere a rincontro la lezione del num. \ 46, pag. 206, della nostra Raccolta col num. 19 della Description, pag. 42: dal qual confronto il lettore intelligente giudicherà se la lezione del Durante, da cui la tolse il signor Rossi, meritava di essere preferita a quella del Zaccaria, da cui l’avevamo presa noi. (Sanguineti) IVI • ATILIO • L • F • FAL ■ ALPINO . AED VALTILIÀE • M • F • VEAMONAE L • ATILIO • M • F • CVPITO C • ATILIO • M • F • ALPINO M • ATTILIO • M • F • PRISCO ATILIAE M ■ F • POSILIAE ATILIAE • M ■ F • SECVNDAE LICINIAE C • F • CVPITAE • NEP T • F • I RIVIERA OCCIDENTALE ( 02 ) SAORGIO ( Durante e Rossi) N VATILIO • I • F • E • ALPINO • AED VATILIAE . N ■ V • E • VEOMONAE L • ATILIO • N • V • CVPITO CÀTILIO N • V • FALPINO M • ATILIO • N • V • F • PRISCO ATILIAE • N • V • F • POSILIAE ATILIAE N • V • F • SECVDAE LICINIAE • C • F • CVPITAE • NEF T- F- I La sola ispezione della prima riga, secondo il Durante, ba stava a fare accorto il lettore che quella era lezione errata. Infatti che cosa può essere quell’ N a capo della prima riga . Chi conosce il prenome che si rappresenta per questa sigla? Poi con tanti Atilii ed Atilie, come possono accettarsi il "N atilio della prima riga ed il Catilio della quarta, il quale per 1 assorbimento del C rimane senza prenome? E nella prima n0a che cosa sono quelle altre sigle I ed E. Si veda ora come quella del Zaccaria corra in tutta regola. Marco ATILIO Lucii Filio FALerina ecc. Peccato che il Durante non abbia dato la spiegazione delle sigle N • V • E della se conda riga e delle altre compagne nelle seguenti f E questo basti. Noi continueremo ad attenerci al Zaccaria. Ciò che anche in questa lezione mi lascia un po dubbioso è il nome della donna Valtilia. Siccome vi è una serie di Ogh e di figlie di Marco Atilio, ed essa pure è figlia di un Marco, io sospetto che anche qui ci dovesse essere semplicemente Adirne. Una sola donna é d’altro nome e d’altro padre; ma questa si qualifica nipote (il Durante ha NEF) ed è fuori della riviera occidentale ( 63 ) CIMELLA serie dei figli, cioè all’ultimo posto. Probabilmente era figlia di una sorella di M. Atilio maritata con un Cajo Licrnio. Rimane poi la difficoltà già da me accennata nella nostra Raccolta, che cioè manca il soggetto o nominativo a compiere la proposizione Titulum Fieri lussit o jusserunt. Dal Durante rileviamo che questa lapide fu trovata a Saorgio sopra la porta laterale della chiesa. Ved. Corographie du Covile de ice; Turin, 1847, pag. 181. CIMELLA 291. MATTVCIAE • PATERNAE• EX • PAGO LIGIRRO • VICO • NEVELIS • IMMATV RA . MORTE • SVBTRACTAE ■ ANN • XXV M • V • L • MATVCIVS • VARINVS • ET AELIA • MATERNA • PARENTES Quest’ epigrafe cavò il Muratori dall’ opera del GiolTredo , allora inedita, pubblicata poi a’ giorni nostri fra i volumi dei Monumenta Historiae Patriae ; e la registrò nel suo Tesoro a pag. 1054. 3, con questa indicazione: Niciae in monasterio Sancti Pontii ex Joffredo. Gerolamo Rossi nella sua Storia di S. Remo la riporta alla pag. 69, ritratta dal Bouche nell’ opera intitolata La Chorographie et ihistoire de la Provence, Aix 1664, voi. I, pag. 107. Quest’Autore afferma che ai suoi tempi esisteva a Cimelio. Mi limito a notare che quelle tre sigle al principio della quarta riga M • \ . [„ non fanno causa comune, ma le prime «Ine si riferiscono ancora all’ età di Mattucia che mori di 25 anni e mesi 5 : la L è il prenome Lucio del padre. Sulla diversa ortografia nel nome del padre e della figlia, sulla di- finzione di pagu^ e vicus.ecc., mi piace di cedere la parola al Muratori, dal quale niuno può ricusare di prendere un po di lezione. « Aut MATTVCIAE scribendum est, aut MATTVCIVS. Postremum plus arridet. Atque hinc discas errare illos qui pagum sumunt pro vico. Fuit pagus tractus regionis mullas \illas si\e complures vicos complectens. Quam significationem nivatam etiam vidi in libris et chartis barbarici aevi. In agro Niciensi verisimile est extitisse Pagum hunc Ligurum et Vicum Ne velis eec. ». 292. A Pao- 41, num. 16 delli /)/><* .• • fihe noi abbiami Jn, , escripl>on è ripetuta riscrizione IMP- CAESA H DIVI e i* C°Uezione a Pag- 325, num. 218. linea, che é cerlan ^aSC,an^° af|dare il Nerva della terza sta in ciò che il Ros^6 U° errore l'P0grafico, la differenza guente riprodUCe |a ^Sl _aIla sett,ma linea e principio della se- tolotti, e critica il DurmT Rflubta che avea già data n Ber~ dicendo che questi c che’ Come noi, lesse Trebbia, zare la sua lezione j,™miSe Un error manifesto. Ma a rincal-spendervi più Parou , i Ul0re Description avrebbe dovuto 0 Trebia esiste non in ar°0me,ltl* ^vero la lezione di Trebbia ripe Iute ai numeri ?I8 ,scr,z,0ne ma in tre, da noi cola Scoivi, Boileau e Spita/j ^ ^ confermata dai dotti pietre migliari e fatt ^ * ' ^t;>SC)*e’ 1 f/uali scoprirono quelle ,C ^sero nella I 1 va rii pezzi con calce, l,',0‘eCa ) ENNIO SEX(tó) ['(ilio) CAM(ilia) VETRANO PATRONO OR MERITA • ET • VIBIAE Q(wmft') L(ibcrtae) FAVSTAE • M(«m) L(ibertae) QVARTAE • SORORI M(cw’cws) ENNIVS • M(ara) F(ilius) GERMANVS • X(ivcns) F(epii) SETTENTRIONE ( 76 ) SPIGNO 299. SEHTOIUO P • L TVLLO • PATRONO VI VIRO •• V • F p • SERTORIVS • P . i LARGVS VIVIR . ET • AVG SERTORIAE • SEVERAE VXORI CANDIDO • L VRBANO • L HERMETI • L Riorci ^rdClUe nchiama questa Slia compagna, dove il (luto i Seriora I 'Tu'"'9™ ^ a*Citate sne Parole’ 'ia Ve‘ Ebbene ’ •' famiglie romane di gran distinzione. ed Perl- ’ n0n rea,tr° che un semPlice Sertorio Tulio liberto: eu eg*i, secondo il snlìin ridi fa mini- , no’ dl un nome personale fa un nome ha nresn 'I Cam iand° ^ullo in Tullio. In un liberto poi che ~e^^vdrpatrono’eg,ivedeil rap- tempo p . s an famiglia, anzi di due nel medesimo che erpeti6™ f he C0S‘ saccesse ai buoni Padovani nel 14-13, mano. Ci voUero 2T '""'r"0 '* “““ ^ Srant'e S“>r'C° e fu Mprm i n S e più a far,i uscire d'inganno, i PadS ; Ua da‘a cenno ner ,1-T^ ,apide’ dl Cui si ofrri l’occasione di far ‘i bramasse averla soli’occhio per curiosila. SETTENTRIONE ( 77 ) ACQUI V • F • T • LIVIVS 1.1 VI A E • T • F • QVAHTAE • I. . HALYS CONCORDI AL1S l'ATAVI SIRI • ET • SVIS OMNIBVS. ACQUI 300. POLLI A • M • F • MARCELLA M • POLLIOM • L • CERTO • PATRI AVFIDIAE • T • F • TITVLLAE • MATRI L • ET • L • ET • T • ET • PROCVLAE • VIBVLLIS • FILIS L • VIBVLLIO • MONTANO VIRO Vi • VIR • AVG • FLAVIALI V • F Quest’ epigrafe fu ritrovata sopra una tomba (secondo la relazione che ne ebbi) presso il Seminario d’Acqui dinanzi alla Cattedrale. Il territorio degli Stazielli apparterrebbe aneli1 esso alla Liguria presa in un senso più ampio di quello che s’intese poi. Noi nel raccogliere le nostre iscrizioni, ci limitammo ad un senso più ristretto chiudendoci ad oriente ed occidente tra la Magra ed il Varo, e a settentrione limitandoci ai confini della nostra Repubblica. Ad onta di questo fu data cittadinanza nella detta Collezione anche ad altre epi- SKTTENTniO^E ( 78 ) ACQUI grafi, che uscivano dalla periferia di cosiffatta Liguria , ogniqualvolta si trattò di mettere in luce qualche monumento ancora inedito, per farlo conoscere al mondo erudito. E questo è appunto il caso nostro riguardo all’ iscrizione acquese, che non trovò finora luogo, per quanto io mi sappia, nelle raccolte stampate , e neppure nel Biorci , che bene o male ha pubblicato quante ne seppe trovare in quel paese. Il soggetto dell’iscrizione è una Pollia Marcella figlia di Marco, che prepara la tomba al padre, alla madre, ai figliuoli ed al marito. I na piccola irregolarità si osserva in POLLIOM, che io ho conservata perchè la credo una svista del quadratario, provenendo questa copia dalla mano dell’ accuratissimo avv. Avignone socio nostro. Fa d’uopo soltanto tra POLLI0 ed M segnare un punto, onde POLLIO tenga la sua desinenza di dativo e M si metta in relazione coli’L seguente a significare Marci Liberto. f n altra copia di epigrafe ci fu trasmessa dal nostro socio il sacerdote Giambattista Rastero professore di filosofia nel Seminario Acquense. Fra i due esemplari corre questa sola differenza , che dove I’ avv. Avignone ha letto POLLIOM, il prof-hasteio ha POLLIONI. Quest’ultima lezione o deve attribuirsi a guasto della pietra, per cui i’ M non apparisca bene spiccata, oppure il prof. Basterò suppose un nesso di N e di I in ciue" -^a da ciò che abbiamo detto, ci pare di non do\er uscire dall’ M. Cosi questo nome gentile Pollius ha il suo riscontro nel nome della figlia Pollia Marcella. E non 'i è la speranza di andarlo a verificare sull’ originale ; perché 1 iscrizione, scoperta mentre si riparava P acquedotto sotto la piazza, non fu poi più trovata, ed è voce che i muratori 1 abbiano sepolta di nuovo riponendola come materiale per le spalline dell' acquedotto medesimo. TT na particolarità degna di osservazione ci presenta la riga SETTENTRIONE ( 7 VIRO AVO • FLAVIALI V • F. A Quanto alla scrittura di FLAVIALI è da osservare che ^ ed il V sono incorporati insieme , per forma che la seco obliqua dell’A serve per prima del V: unioni frequentissim dopo l’Impero, né disusate anche innanzi. Ecco infine coinè si ha da leggere distesa : POLLIA M(ara) Y(ilia) MARCELLA M(areo) POLLIO • M(am) Liberto) CERTO • PATRI AVFIDIAE T(iti) F(iliae) TITVLLAE • MATRI L(ucio)ET • L(acio)ET • T(ilo) ET • PROCVLAE • VIRVLLIS • FIL . L(ucio) VIBVLLO • MONTANO • VIRO VI • VIR(o) AVG(listali) FLAVIALI • X(ivens) F(ecil)- Intreccio di molte e diverse parentele espresso con semph cita e chiarezza. sr.TTRNTIUONE ( 81 ) ACQUI * 301. (Marcanova) VESIDIAE ME- RYFAE METTIAE • COMANI • F • iMRl VESIDIAE • M • F • TERTIAE • CL F - STRI • ET • SVIS (Biorci) VESIDIAE M • F • RVFAE METTI A • ECOMAVI • F MATRI VESIDIAE • M • T • F • TERTIAE C • L -, V • T SIRI • ET • SVIS Questa iscrizione é registrata nel Codice Marcanova, benché scritta in margine e di carattere diverso ; ma appartenendo alle acquesi, è riportata anche dal Riorci (voi. I, pag. 42). Due trascrittori, due lezioni diverse. Ora ci piaccia di ravvicinarle per vedere se fra P una e P altra se ne può cavare alcun costrutto. Prima di tutto cerchiamo il nominativo. Nella lezione Riorci abbiamo METTIA ; ma pel Codice Marcanova diventa dativo, associandosi all’ A la lettera E con cui nel Riorci comincia il seguente nome proprio. Qual dei due avrà ragione? A dire il vero quel nominativo preceduto e seguito da un dativo non mi pare a suo posto; mentre il dativo del Marcanova va in ischiera coi suoi simili. Dove si prenderà egli dunque cotesto nominativo? Io credo doversi supporre che sia perita la prima riga delP epigrafe, la quale contenesse appunto il nominativo in discorso. Il chiedere alcuna relazione sulla condizione del marmo ai detti Att. Sor. Lig St. Patria. Voi. XI SETTENTRIONE ( 82 ) ACQUI due raccoglitori è inutile. Il Marcanova non si è proposto altro compito che quello di registrar le lapidi coll1 indicazione del luogo ; dunque a lui ed a chi gli ha fatto qualche giunta non è giusto chieder di più. Ma il Biorci che si permette di far delle osservazioni o illustrazioni, che vogliano dirsi, a modo suo, sarebbe stato in dovere di dare ai suoi lettori qualche relazione dei marmi, di cui registra le parole. Egli invece di nessuno tiene discorso, non dice se l1 abbia veduto co suoi occhi, o se si riferisca all1 altrui testimonianza : soltanto di alcuno accenna essere stato trasferito a Torino. Se qui si dicesse che il marmo é tronco nella parte superiore, o che 1 caratteri ivi sono così pregiudicati dalla vetustà da non potersi più leggere, sarebbe tolto ogni dubbio. Ora non avendo noi alcun sussidio da questa parte , ci dobbiam ristringere alle nostre congetture. Il nominativo, ossia il nome di colui clic pone il monumento, non é sempre assolutamente necessario. Un1 infinità di epigrafi presentano il nome soltanto di colui al quale il monumento é dedicato,- ma le circostanze della presente richiedono anche quello del dedicante. Infatti vi è un1 F, che vuol dire Fecit; a cui seguono queste parole: SIBI ET SVIS, che con fecit danno una formola tanto nota quanto comune. Questo è appunto il verbo che riclama il suo nominativo. E vero che in luogo della sigla F del Marcanova il Biorci ha I ; ma questo, come vedremo, è manifesto errore. Togliendo 1 E all1 ECOMAYI del Biorci, rimane ancora una piccola differenza in questo nome, che il Marcanova ci dà per COMANO ; ma oltre che lo scambio tra V e N é facile, per un nome oscuro tanto vale una forma come 1’ altra. Nella penultima riga dopo VESIDIAE nel Marcanova è M • F, che naturalmente s1 interpreta Marci Filiae. Il Biorci tra 1’ M e l1 F introduce un T, che non ci ha luogo, nè vi può stare. Anche nelle sigle dell1 ultima riga occorre qualche differenza. SETTENTIIIONE ( ^ ) ACQUI Nella lezione Biorci si hanno queste quattro lettere C • L • V • T. Nel Marcanova sono tre soltanto, cioè: C • L • F. Le prime due, che sono uniformi nei tino esemplari, si possono facilmente interpretare per Cai Libertae; e 1’ F del Marcanova sarebbe il Fecit da collegarsi in formola col SIBI ET SVIS. Il V del Biorci potrebbe benissimo precedere 1’ F e significherebbe Vivens Fecit, formula comunissima. Ciò che non ammette possibilità d’interpretazione è P ultimo T del Biorci, contro di cui grida con ragione P F del Marcanova. Lo scambio di queste due lettere fra di loro è facilissimo, ed è più volte avvenuto. Ai tempi dell1 Impero avanzalo (abbiamo avuto altra volta occasione di osservarlo) le lettere E-F-T-L- s’incidevano colle linee traversali molto curte, e perciò dove la pietra sia alquanto logora o corrosa dal tempo, o non sia bene in avvertenza il lettore, riesce facilissimo lo scambiarle fra di loro e coll’I. Ora a metterci come no il Vivens, è certo che- il Fecit ci vuole; e così un esemplare corregge e compie l’altro. 802. SEX • NAEVIVS SEX • F • TROM AQVIS MILES LEG ■ XÌIII GEM NAE ANN • XXXV STIPNDIA XI USE T • LICINIVS IXS TESTAMENTI FO RMVLA POSIT La riferisce il Brambach, nel Corpus Inscriptionum Rhenanarum num. 1185. SETTENTRIONE ( 84 ) • ACQUI È un Sesto Nevio figlio di Sesto, soldato della Legione XIIII Gemina. La tribù Tromentina è indicata per le prime quattro lettere, TROM, secondo l’uso più comune. L’età di questo soldato è. come io leggo, di 35 anni; ma il trenta é espresso in un modo singolare. In luogo di tre X, vi è un’ asta prolungata obliquamente dall’alto della sinistra al basso delle desila di chi legge e poi tre linee più brevi che obliquate nel senso opposto tagliano questa. Di queste tre la più alta è anche la più breve, e le altre due vanno crescendo gradatamente. Alla parola STIPENDIA manca l’E. Hic Silus.Est solita formola. Che cosa poi voglia dire 1’ unione di quelle tre lettere IXS, confesso di non intenderlo: nè il Brambach vi ha apposto alcuna interpretazione. Quello sarebbe il posto del cognome di questo Licinio; ma il cognome non si abbrevia, e poi qual potrebbe essere? Sarebbe un titolo! Qui cadrebbe quello di HERES. E questo titolo o disteso o abbreviato in HER , o indicato colla semplice sigla H, si trova appunto in simili casi di sepolture date a soldati. Lasciando i molti esempi che si potrebbero adduire e che tornerebbero superlini, preferisco l’epigrafe del- 1 Orelli (num. 4356), la quale è dedicata ed un Q. Pompeo Severo da Verona soldato della Legione XIV Gemina Marzia, L'd appartiene pure alle iscrizioni germaniche. L’ultima parte è tutta in sigle cosi : H-S-E.T.F.I.H.F.C., le quali s interpretano: Hic Silus Est Testamenti Fonnula Ipsius Heres laciendum Curavit. Ora prendendo, per norma TI e l’H, cioè ipsius heres, si potrebbe sospettare che nelle sigle della nostra epigrafe cioè IXS il primo I si avesse ad interpretare per ipsius, che 1 X sia stato posto erroneamente dallo scarpellino pei H, che unita all S stia per heres. Confesso che sarebbe anche anomala quest’ abbreviazione ; ma 1’ ammetterei per mancanza di meglio. Il MafTei che la riporta (Muscum Veronense, 451. I), a questo luogo si contenta di apporre SETTENTMONE ( 85 ) ACQUI un sic. Il Donali (Supplementum etc. , 295. 6) ne tenta una correzione ed interpretazione proponendo: EX SVI. Egli accompagna la sua congettura con un modesto forse : ed io rinunzio volentieri alla mia, se questa possa parer più plausibile. Ma qual caso si possa fare della coltura o dell’ epigrafista o del marmoraio, si può anche argomentare dal modo con cui fu divisa la parola formula, cioè FO e poi a capo dell’altra riga RMVLA. POSIT in luogo di posuit, si trova usato frequentemente. Forse in origino era scritto coll’I prolungato, che si adoperava per due, come in FILlS per filiis. POSIT dunque, cioè posiit, potè essere un’altra forma di quel preterito perfetto in luogo di posuit. 11 passaggio poi dall’ 1 prolungato all’ I uguale alle altre iettere facilmente s’intende. Infine come un acquese e soldato potesse avere tomba e monumento al Reno, non occorre ripeterlo. Si vegga ciò che accenniamo al num. 279. 303. Q • VETTIO M • F • AMA DOM AQVI .... ATIENS EREDES EX TESTAMENTO Cosi la riporta l’Hubner al num. 2993 delle Inscriptiones Hispaniae Latinae, che fanno parte della Collezione di Berlino. AMA è troncamento di Amabili, un poco (adir vero) irregolare in un cognome. La prima lettera della parola seguente si presenta come un D, ma qui fa d’uopo prenderla pel noto monogramma composto di TR, prime lettere, le quali o da sè o in compagnia delle due altre OM si adoperano a significare la tribù Tromentina, a cui erano ascritti gli Stazielli. SETTENTRIONE ( 86 ) ACQUI La seconda riga è guasta nel mezzo; e si osserva un’alterazione anche sulla line dell’ultima voce della stessa riga. E cominciando da questa fa d’uopo ridurre quell’N in LI. Fatto questo se metteremo in capo a questa parola ST, come richiede lo spazio rimasto vuoto avremo Staliclis, che accorderemo con AQVIS, a cui non manca altro che l’S finale pelila nel guasto che ha lascialo quel vuoto. ^ L ultima riga non presenta altra irregolarità che quella di EREDES senza l’aspirazione H. 304. L • CASSIVS • L F • TROM • MARTI ALIS • AQ • ST MIL LEG • XI C • P . F 7 P YLPI D F SIL VESTRIS STJP • XII • AN • XXXV T • F • I • H • F • C È nella Collezione Berlinese, voi. Ili, pari, al num. 2833; e noi la riportiamo perchè appartiene ad un Acquese. II marmo, tabula magna, come la nomina il Mommsen, si trova nella piazza principale (in foro) di Kistagne borgo della Dalmazia nel circolo di Zara. L I che nel marmo si riscontra sovrapposto al T in Martialis, è un puro ghiribizzo. Sarebbe stato un ripiego di necessità se Ja parola fosse stata tutta distesa nella stessa riga; ma trovandosi MART in fine di riga, ci poteva stare un I di più. AQitis STaliellis MIL» LEGionis XI Claudiae Viae Videlis. SETTENTRIONE ( 87 ) ACQUI Fin qui ogni cosa corre col vento in poppa. Ora viene l’osso duro. La prima cosa è il segno che significa Centurione ; c il nome del Centurione che segue essendo in genitivo, si potrebbe dire che quel soldato apparteneva alla Centuria di tllpio. Per leggere in qualche maniera ogni cosa, si potrebbe dir così : Centurionis VLPh' Decimi Filii SILVESTRIS. Oli esempi non mancano. Eccone uno : Q • IVLIVS • Q • F • GALATVS • THYSDIiO MIL • COH • VI • VIG1L • 7 L.VCANI• AYGVRINl MILIT • ANN • XIV • IN E1S SECVTOR • TRIBVNI • ANN • VI ClC. (Ordii, 6813). Il resto credo che non possa recare difficoltà, e significa che a dodici anni del suo servigio militare ed a trcntacinque di età si ordinò il monumento, cui fece eseguire l’erede. Titulum Fieri I ussit H eres F aeiundum Curavit. 305. Fra i decreti imperiali riguardanti i privilegi di cittadinanza e connubio, di cui abbiamo già fatto menzione, ne troviamo uno di Vespasiano dell’anno 76, 2 Dicembre, che appartiene ad un Acquese. Fu trovato nel 1867 fuori di Kustendje sul lido, ov’era anticamente Tomi. La comprò il medico Cullen del luogo e la cedette al Museo di Vienna. È nella Collezione Berlinese, voi. Ili, par. I, al num. X, pag. 853. Ne riferiamo soltanto ciò che ci interessa. SETTENTRIONE ( 88 ) STREVI IMP CAESAR VESPASIÀNVS AVGVSTVS PONTIFEX etc. L • ENNIO • L • F • TRO • FEROCI • AQVIS • STATELLIS etc. i Dice il Prof. Mommsen clic questa riga fu aggiunta dopo il tempo nello spazio lasciato prima vuoto. TRO e come al solilo il principio del nome della tribù Tromentina. STB EVI 306. P • VLATT • P . F• CALPVRNIA • C • F • VXSOR Di questa iscrizione, che esiste a Strevi in quel di Acqui e ci fu trasmessa dal compianto socio Avignone, abbiamo già fatto breve cenno sotto il num. 154. Ma ci parve non inutile aggiungere ancora qualche parola circa il nome del soggetto a cui è dedicata. In primo luogo si osservi che il prenome di questo é identico a quello del padre. Quando a’ tempi dell’Impero s’introdusse il costume di riprodurre nei figli il prenome paterno, il cognome ó terzo nome, quello cioè che tenea dietro al nome gentile, cominciò a prendersi per nome individuale^ ossia distintivo della persona. Qui si vede che verificandosi il fatto di questa identità, ci voleva il terzo nome personale, che distinguesse il figlio dal padre. É certo che Pavrà avuto, e se nell epigrafe non fu espresso, credo che dovelt’essere pura- SETTENTRIONE ( 89 ) STREVI mente per economia di spazio. E alla stessa causa si può attribuire un1 altra anomalia, di cui se si ha qualche esempio, questo sta come eccezione alla regola generale; la quale anomalia consiste nell1 abbreviazione del nome della gente che vuol essere distesamente scritto. E questo nome ha qualche esempio, ma raro. Anzi si trova con la L raddoppiata in questa del Muratori (1767. 1), M • VLLATIVS • M • F • Ma nel Donati (257. 7) l’abbiamo con L semplice, in un’ epigrafe che comincia DM- ET • MEMORIAE • AETERNAE C • VLATT1 • MELEAGRI etc. A tale proposito lo stesso Donati osserva che questa lapide riferita dal Grutero (389. 4.) presentava tutta unito, come se fosse un solo nome, CVLATTI. Il Reinesio, dic’egli, peritissimo dell’ antichità si torturava il cervello su questa gente « cum nulla sit familia CVLLATIA, neque Romanorum videatur nomen ». Anche lo Spon dava ragione al Reinesio. Ma tolse ogni dubbio, continua il Donati, un frammento che si trovò e dice così : C • VLATTI ASPR .... SEGVSIA. . HONO____ FV..... C . VLATTI Mi - rincresce che di questo frammento non dica altro, cioè dove si trovi : non che ci sia a dubitare della forma di di questo nome, perchè la nostra lapide toglierebbe ogni dubbio ; ma perchè in tali materie si ama di saper ogni cosa e sopra lutto di poter rimontare al fonie. Quanto poi all’as-serire che « nulla sit familia CVLLATIA neque romanum vi- SETTENTRIONE ( 1)0 ) STHEVI deatur nomem », direi non doversi in questa inateiia correre con troppa franchezza. Noi non abbiamo mica delle fami-, io romane così completo il catalogo, da poter affermare che ques o o quel nome non può farne parte. Abbiamo il catalogo famiglie conosciute finora per mezzo delle storie e dei monu menti; ma ciò non toglie che oggi stesso o domani, o che sia, si scuopra un’epigrafe che porti il nome d una ai glia non ancor conosciuta. Questo non potrebbe avvenire r guardo alle tribù, di cui sappiamo il numero ossei a trentacinque, e di tutte le quali è conosciuto il nome, così de’ nomi gentili. Ma il nome non sembra romano? di grazia? Ce ne ha tanti di cosi strani, e direi alle n orecchie così ridicoli, che questo ad avere un C di più meno ci dovrebbe parer la cosa stessa. 307. L • FAD1ENVS • L • F • POMP FVSCVS • DOM • DERT VET - SPECULATOR • V • F • SIBI ET • CAMVRIAE • POLLAE • VXORI L FAD1ENO • PATRI • VIBIAE • PRIMAE ■ MATRI FADIENAE • POLLAE • SORORI • FADIENO TERTIO • FRATRI • SIGNIFERO • LEG • XVIII G SVISO VE • OMNIBVS • OSS1BVS • INFER IN • FR • P • XV IN AGR • P • XXXI i Registrata nella Collezione Berlinese, voi. III> Par* ’ nnm. 2915. Appartiene all’ epigrafia di Zara. Noi la regi striamo nella nostra, perché il soggetto è Tortonese. II r0 • Mommsen la trae dal Bartoli (Inscriptiones antiquae in Dal malia reperlae, pag. 18; Cod. ms. della Marciana di Venezia, SKTTENTMONE ( 91 ) STHEVI Lai., cl. X, num. 219), e no riporta l’illustrazione, dicendo: -Compendia solvit Barloli: 1. Lucius Fadicnus Lucii filius Pomptina. 2. Beri. Dcrtus. 3. Veteranus vivens fecit. 5. Ludo. 7. Legionis XV111. 9. In fronte pedes XV in agro pedes XXXI. Aggiungiamo ancora qualche osservazione. Il Prof. Mommsen gli passa senza muovere difficoltà DERT in Dcrtus. E DOM non conta niente? E Fadicno non ebbe già il suo terzo nome in Fosco? Vuoisi pertanto leggere DOMo DERTona, colla qual città consuona la tribù Pomptina. Ma non si creda che il Mommsen approvi il Dcrtus del Bartoli; chè nell’indice si richiama a Tortona. Il Mommsen corregge il numero della Legione XVIII in XIIII in ragione, credo, di quel G che segue il numero, di cui il Bartoli non si occupò, e che vuol dire Geminae. Ora questo titolo compete a molte Legioni, ma non più oltre della XIV. Il Mommsen ha scelto piuttosto questa cifra XIIII che un’altra, perchè contiene il medesimo numero di caratteri che XVIII, ed è probabile (almeno suppongo io) che sia occorso lo sbaglio di cambiare il primo I in V. L’ultima parola clic vuol essere compiuta e che al Bartoli parve abbastanza chiara da non doverne parlare, è INFERendis. Quest’ epigrafe ci presenta lo stato della famiglia Fadiena clic si può tradurre in albero genealogico cosi : Lucio Fadieno Vibia Prima L. Fadicno Fosco aut. del mon. Fadiena Polla Fadieno Torzo Camuria Polla SETTENTRIONE £ (|2 j STHEVI Si capisce benissimo che al fratello di Fosco fu soppresso il prenome, perchè era sempre lo stesso di Lucio e che i due fratelli si distinguevano pel terzo, chiamandosi l1 uno Fosco, l’altro Terzo; ma non capisco come la figlia prendesse il secondo nome non dalla madre, ma dalla cognata. 308. C • CORNELIVS • C • F POM • DERT • VERVs YET • LEG • Il • ADI ■ DEDVC ■ C • V • T • P • MISSION • AGR ■ fi (sic) MILIT • 13 • COS • ANNOR• L • H • S • E • TEST • FIER • IVS HERES C • R1LL1ENIVS • VITALIS F • C Fu trovata nel 1843 a Petlau, piccola città della Stiria, e fu collocata nella Chiesa Parrocchiale. Il soggetto e Tortonese, ed è a questo titolo che, secondo il nostro metodo, I accogliamo nella Ligure Epigrafia. Questa volta il Prof. Mommsen s incaiica dell’illustrazione, e noi con riverenza cediamo la parola a un tanto maestro. La riporta nella-più volte citata Collezione, voi. Ili, par. ^ num. 4057, e Paccompagna riempiendo le parole abbreviate, che in questa è il tutto. Cajus Cornelius Caii filius — Pomptina Dertona Verus — veteranus Legionis II adjutricis — deducius coloniam Ulpiam Traianuin Poetovionem — Missione agraria (?) U> — mili' SETTENTRIONE ( 93 ) TORTONA tuvit (?) beneficiarius consularis, — annorum L, hic silus est Testamento fieri iussit; — heres — Caius Billienius Vitalis — faciendum curavit. La quarta riga abbisognava d’una mano maestra. La quinta non è ben chiara nemmeno al maestro. Il resto poi corre ila sè. TORTONA 309. AVBEL ‘VETERA NVS \BENEF * LATI CLAVTLEG'XIII- GÈ MIN- ACTAE -DESI DERATVS • QVI VI XIT ANNIS -XXVI MENSESVII’DIES XV* AVREI' SECV NDIANVS* IMA GINIFER-LEG-S-S-COIN Questa ci fu favorita dal socio nostro l’Ab. Marcello Re-mondini, ricavata per lui stesso dal marmo originale esistente SETTENTRIONE ( 94 ) TORTONA a Tortona nella corte del Palazzo vescovile. Noi abbiamo con tutta ragione tanta fede nelP esattezza del nostro coltissimo amico, che qualche anomalia che s’incontra nella pietra dobbiamo senz’altro ascriverla o all’autore o all’incisore della lapide. Ometto che la mancanza del prenome e il troncamento del nome non è secondo le norme comuni; ma il VETERA.NVS, che che vien dopo, lascia dubbio se sia un cognome o la qualità di antico soldato. Veramente l’età in cui mori il soggetto dell’epigrafe, cioè 26 anni, non gli avrebbe ancora dato diritto a quella qualifica. È vero che dagli storici talora si chiamano veterani, per contrapposto dei tironi, quei soldati che per parecchi anni di servizio militare (che cominciava all’età di 17 anni) erano agguerriti; ma comunemente si dicevano veterani quelli che aveano compiuto i legittimi stipendii, che erano dieci per la cavalleria, il doppio pei pedoni. Noi diciamo campagne ciò che i Romani chiamavano stipendii, i quali si possono risolvere in anni a motivo della sospensione che comunemente si praticava pei quartieri d’inverno. Al tempo di questa lapide, cioè dell’Impero avanzato, ci erano già gli eserciti stanziali e perciò il servizio era continuato. Io dunque qui lascio correre il VETERANYS per quel che può essere. BENEFi'mn'iw. Questo termine si applica a diversi significati. Si chiamavano Beneficiarii, per es. , quelli che servivano di scorta al duce, di cui erano, diremmo, le guardie del corpo. Vi erano quindi i Beneficiarii dei Consoli, dei Pretori, del Perfetto al Pretorio, come prova l’epigrafia. Ma in regola comune e generale si chiamavano Beneficiarii quelli che erano stati promossi per benefizio dei Tribuni. Ora non si creda che (piel L VTICLAVI sia abbreviazione di Laticlavius, e che questa qualifica sia da applicarsi ai nostro Reneficiario ; ma è un genitivo che si accorda con un sostantivo, che qui è vano SETTENTRIONE ( 95 ) TORTONA cercare. Glie si potesse sopprimere un tal sostantivo, io non vorrei nè affermar nè negare. Ciò che posso affermare è che io non so d’ essermi mai imbattuto in una tale soppressione, e per conseguenza inclinerei a credere che fosse rimasto nello scalpello all1 incisore. Ciò che qui manca è Tribuni. Il titolo di Laticlavio competeva ai Tribuni che erano anche Senatori, perchè questi avevano il Lalielavo di pieno diritto. Lo assumevano i Tribuni cavalieri, perchè il Tribunato schiudeva loro P adito al Senato. Infatti i Tribuni che non erano nelle dette condizioni, si dicevano Angusticlavii. Clavus in questo senso era un fregio o lista di porpora, cioè di color porporino, corrente lungo la tunica .in direzione perpendicolare dinanzi al petto. L1 esser larga o stretta cosiffatta lista costituiva la differenza tra i Laticlavii e gli Angusticlavii. Il nostro soggetto adunque era Beneficiario di un Tribuno Laticlavio, e perciò si sente il bisogno di quel sostantivo. ACIAE DESIDERATVS. Questo genitivo Aciae non si accorda colla Legione XIII Gemina, che è nel medesimo caso. Partiamo da questo principio che DESIDERATVS qui non si può prendere in altro senso che di deceduto. Dunque quell1 Aciae è nome di terra, genitivo di stato, e rappresenta il luogo ove morì il nostro veterano. A rintracciare una terra di questo nome non ho allro indizio che quello che mi dà Plinio col nominare gli Acienses, popolo che egli novera fra gli abitatori del Lazio {Hist. Nat., lib. HI. c. 9); ed è per questa epigrafe che un tal nome geografico fa la sua prima comparsa in epigrafia. IMAGINIFER era colui die portava fra le squadre l1 immagine dell1 Imperatore. S. S. Supra Scriptae; s1 intende Legionis. Nelle ultime parole è un po1 di guasto; ma non tale per cui sfugga alcun che all1 integrità del senso. Aurelio Secoli- SETTENTRIONR ( 90 ) TORTONA diano è colui che pose il monumento ad Aurelio Veteiano, che nomina suo cugino. Dico cugino pel senso più ovvio e comune che ha il consobrinus dei Latini, senza pregiudizio del senso più largo di parentela che ha anche presso i buoni scrittori. Osserviamo l’ortografia speciale della parola sciitta CONSVBRINVS in luogo di consobrinus. Di benemei'enli rimane BENE. 11 MEMO con cui termina l’ultima riga superstite non lascia dubbio ve n’avesse un’altra che contenesse il testo i MEMOriam e P cioè Posuit, che suppongo in sigla; perche se fosse stato disteso, qualche resto di lettera nella parte supe riore sarebbe rimasto, per quanto si può argomentare a condizione della rottura. 310. / che aPPartiene alle t xtri **N^- desinenza di una nli 1 T apparjsce ,a traccia sono VR, la forma intieri Se ^ d’una linea superior» S' |)0‘eSSe s"PP°rre r esistenza Jeggervi uni ri; ’ °n V1 sarebbe nulla d-i più facile che sepulcro in /,oc loeo 0 tumul° 0 due lettere sarebbero \ ! ’ come si mk’ quelle d> questa snpposta rin , ,e““ del verl)0- A“zi al dis0')ra aiie sigle religiose- n « k anc,le '/“Ila destinata chio nulla arrp ì 1 ‘ nel ca,co che abbiamo sotV oc-che un fondo Z* -?na r°ttUra suPeriore> e non campeggia Perficie di mioii 10 3 qUaIe fa credere che tale era la su- ^Z;n^r^iiapiein-C0SÌ ,a P-a rAb- Re' vuoi nulla al rio ’ osservatore com’è, non solo non «me dinanzi i Questo ^ S'' S|>aZÌ ’ "°" C°"' a] “mmo. Chiuso r' 6 " pos,° di due 0 tre le“ere S'nare die un primo „ <1“e8‘l io.non so allro imraa' come nomi pmL „ “JT ’ Per “• ÀU°ur ° LÌ9W' ^ colla sigla se si v froncamento di Aurelius o di Funus M . FVR J ."r16; del Prenome avanti, in questo modo: troncato in AVR s' ^ ^ d aV6r mai vedut0 Aurclius di epigrafi di a * AVREL 6 AVIÌL- Ma trattandosi difficoltà. Il Senere’ non ci (dobbiamo arrestare a tali nome ridotto a quest? f° ^ S' trova’ <]uae (licum incedo regina, lovisque Et soror et coniux, etc. (AeneidI. 46). In epigrafia poi nulla più comune che IVNONI REGINAE. Cusi quando non ne è espresso il nome ed ha il titolo di re0ina si può intender di Giunone, come in questa del Muratori (112. 9) : IN • H • D -vD DEAE REGIN VICANI SE GORIGIENSES La prima riga significa in honorem domus divinae. Con tutto ciò altre Dee pretendono al medesimo titolo, come Diana ed Iride e perfino la cieca Fortuna. Presso i Greci anche Nemesi avea quest' onore. Come poi in questa sua preghiera il votante ci faccia entrale il petto, non essendoci altra parola che somministri alcun lume, sarebbe inutile mettersi a indovinare. SETTENTRIONE (113) TORTONA 319. Per calco del cav. De’ Negri-Carpani. Ciò che possiamo supplire con certezza a questo misero avanzo di una bella iscrizione è la parola saceLLA M sulle reliquie delle due LL e del V, come pure irapenSA chiamata dall’ultima sillaba e da SVA; parole di formola che si accompagnano. ATRIVM è preceduto da un avanzo di linea retta obliqua, che non potrebbe appartenere se non a un A ed é seguito dalla frazione di un altro A. Quanto all’A che precede atrium è inutile tentare alcuna ristorazione, perchè una sola lettera finale è un indizio troppo debole ed incerto ; ed una cosa che si volesse supporre non avrebbe più probabilità di un’ altra. Per esempio, si potrebbe supporrò sacellum restiluit cura ara marmorea. Quanto all1 A che tien dietro ad atrium si può con più probabilità supporre che fosse l’iniziale di Aedificavit. Ho supposto che, se l’ara avesse ad entrarci, dovrebbe aver luogo prima, anziché iniziarsi in questa seconda A; perchè Tara conviene più al sacellum che ali’ atrium ; perciò io inclinerei a credere che quell’A fosse la prepositiva del dittongo, onde si inizia il verbo \edificavit. Prendiamone una ad esempio (Muratori. 133. 2): Atti Soc. Lir.. St. Patria, Voi. XI. 9 SETTENTRIONE ( 114 ) TORTONA VOTO SVSCEPTO BONAE DEAE ASTRAPTON CAESARIS VILIC AEDICVLAM ARAM SEPTV.M CLVSVAf v etvstate dirvta RESTITVIT die corrisnn i ^ <*'ìam tien dietro immediatamente a aediculam, stata al suo iwsto Jclla noslra epigrafe : non sarebbe sunna l’afr&w della P° Seplum clusum’ a cui con' conosce rijw °”° f'* occuPano le parole impsnSA ■ SVA, si rilarghezza, perchè lSUPW,0r‘ S' stei>devano a molto maggior suo dov’ è il vuoto, si leggerebbe Niger, terzo nome di questo soggetto. Nella linea disotto ci sono dei vani, ma nelle lettere che restano par che si riproduca il nome Pactu-rtieio in dativo. Il P. con cui comincia la riga potrebb’ essere il prenome Publio e l’asta seguente potrebbe appartenere alla prima lettera del detto nome. II V che se^ue unendosi alle due note della riga dissotto VI potrebbe significare Quinqueviro; oppure, con maggior probabilità , si potrebbe supporre che fosse svanita in fine di riga, la nota I per far Sexviro. Il resto poi presenta una tal combinazione di lettere, di avanzi, di traccie, che io rinunzio a qualunque tentativo di ristorazione. Anche dal calco poco si può ritrarre VELLEIA 331. CN • MVSIVS • T • F • GAL • VELEIAS • AN • XXXII • STIP • XV • AQVILIF • LEG • XlTTl • GEM M • MVSIVS 0 • FRATER • POSVIT SETTENT MONE ( 121 ) VELLEIA Questa, che è registrata nelle Iscrizioni Renane del Bram-bach (num. 1183), appartiene alla periferia della Liguria più largamente presa di quello che ci siam proposti noi nella nostra raccolta. Velleja antica città verso Piacenza, della cui precisa posizione si è eruditamente discusso, specialmente da Pietro de Lama e da altri più recenti, ha avuto nello stesso Lama il collettore delle iscrizioni locali. Questa non poteva figurare fra esse, siccome quella che si trovava in 'Germania; e perciò noi la riportiamo come per richiamarla alla vita del suo paese, come abbiamo fatto di Q. Vettio che dalla Spagna ravvicinammo a’ suoi Stazielli (num. 303). Il monumento è posto a Gneo Musio, figlio di Tito, Vellejate. Da siffatta epigrafe risulta chiaramente che quest’antica città era ascritta alla tribù Galeria, e così si conferma che le sigle R • V • in una iscrizione a L. Sulpicio, che è detto della tribù Galeria, si possono con probabilità maggiore interpretare per lidpublicac Vellejatium. È vero che questo soggetto era Flamine Àdrianale, Giudice e Duumviro in Augusta de’ Bagienni e Duumviro in Piacenza; ma Augusta era ascritta alla tribù Camilia: di Piacenza non so se finora risulti dai monumenti; ma è probabile che appartenesse alla stessa tribù di Velleja. Questa iscrizione è registrata al num. 3805 dell’Orelli dal Lama. Ora in questa di Gneo Musio tutto è così esplicitamente espresso, che non lascia più luogo ad alcun dubbio. Questi morì giovane a 32 anni ed avea già militato per lo. Era giunto al grado di Aquilifero, cioè portatore di quella gloriosa insegna che percorse col suo volo e strinse fra’ suoi artigli tanta parte del mondo antico. Gli pone il monumento suo fratello Marco Centurione. Gneo apparteneva alla Legione XIV Gemina; e siccome per Marco non è nominata altra Legione, si deve intendere ch’egli esercitasse il suo grado di centurione nella Legione medesima. SETTENTRIONE ( -12 2 ) LIHARNA LIBARNA 332. ____ECP____ . . . AF . . . am mento in marmo posseduto da! sig. canonico Costantino Ferrari di Serrava Ile. Il comm. \arni che lo riporta nei suoi Appunti di diverse sol nd ienÌl0rÌ° dell'antica ZMama (Parte II, pag. 34) ooulnc,e. « Non posso però ben discernere le ultime lettere entrambe le righe; cioè se sieno un P od una 15, ed una E piuttosto che una F ». ( 123 ) ADDENDA ADDENDA Crediamo opportuno di dare qui luogo eziando alle iscrizioni graffite di due tegoloni trovati negli avanzi di un edilìzio, che probabilmente era una villa romana, nel territorio di laggia scoperto nel 1839 presso al mare tra il capo Don e S. Siro, luogo che probabilmente risponde al Costa tìalenae della la-vola Peutingeriana. Di questa scoperta diede notizia il Canonico Lotti nell1 Appendice della Gazzetta Piemontese del 3 Giugno 1842; e la troviamo ora rammentata dal eh. P. Bruzza nella sua bellissima raccolta delle Iscrizioni antiche vercellesi (pag. 61-62), il quale adduce i detti graffiti ad illustrazione d1 un simile monumento vercellese. Per la somiglianza degli oggetti e delle epigrafi, ne tacciamo un numero solo. ADDENDA ( 124 ) 333. CXX PROB IL ET RASI XX II dotto Barnabita, arrecando anche il parere emesso dal Letronne riguardo alle note numeriche che si vedono graflìte sotto il piede di molli vasi, crede potersi ritenere che queste indicassero il numero dei pezzi commessi o lavorati, e che fossero una memoria del padrone per sua norma od un conto reso a questo dal lavoratore. Ora nel primo dei due pezzi abbiamo due righe. Nella prima si legge CXX, e questo doveva esprimere il numero dei pezzi di quella forma lavorati o da lavorarsi secondo la commissione. Nella seconda riga per quella congiunzione ET si vede che si tratta di altri oggetti diversamente modificati. Questi sono XX in numero, e la loro modificazione è espressa coll’aggiuuta RASI. Se questa parola abbia ad aversi per intera o per abbreviata, ciò dipende dal sostantivo sottinteso, che non facea d’uopo esprimere perchè era rappresentato dall’oggetto stesso, ed era nella mente di chi apponeva quella nota per sua norma. Rasi adunque concorderebbe con imbrices o lateres, che son nomi maschili. Se poi quell’aggettivo fosse chiamato da tegulae, allora bisognerebbe supporre che questo fosse abbreviato da RASI/es. Tanto 1 una quanto l’altra forma di aggettivo qui servirebbe a significare liscio, levigato, rispianato. E sappiamo che i cosiffatti mattoni si adoperavano pei pavimenti mezzo rozzi. Nella seconda epigrafe PROB IL non si potrebbe leggere che probati o probatae secondo il sostantivo sottointeso, come abbiamo detto. Questa nota forse graffiva il padrone prima di mettere i pezzi alla fornace, accettandone dal lavoratore 49. ( 125 ) ADDENDA oppure ve 1’ apponeva nel riceverli cotti il committente mostrando di accettarne quel numero. Ma o dell1 uno o dell1 altro, quella era nota di approvazione. 334. I, • GLAVDIVS • SP • F GEMELLVS VIXIT ANNIS • VIIIl • MENSIBVS 1111 • DIEBVS XV T • GLAVDIVS ACTES L HERME ET CLAVDIA IANVARIA MATERTE RA FECERVNT Questa iscrizione, siccome asseriscono il comm. Varni e il cav. Belgrano, che la videro, si leggeva incisa sopra la fronte di un1 urna proveniente dalla Sardegna. Fu serbata in Genova per qualche tempo presso di un antiquario; poi fini per essere spedita all’ estero. Non essendo nostra nè per origine, nè per sede , nè per alcuna allusione alla Liguria, secondo il metodo nostro non dovrebbe entrare in questa Collezione pel solo fatto di essere stata in Genova qualche tempo di passaggio. Tuttavia non sapendo noi dove sia andata, in quali mani possa capitare e qual destino correre; giudichiamo che non sia fuor di proposito tenerne memoria per sottrarla al caso possibile di esser distrutta o di rimanere nell1 obblio. E di questa basti. QUISQUIGLIE ( 126 ) QUISQUIGLIE 335. HAEC EST VERA IMAGO POMPEI MAGNI Scrive il Ganducio che i genovesi volendo onorare Pompeo « fecero scolpire la sua effigie in un marmo, che poi fu posto nella lorre appresso all’antica porta del soccorso con questa inscrittione ». Ved. Discorso sopra l'inscrittione overo epitaffio ritrovato in Tortona ecc., pag. 76. ( 127 ) QUISQUIGLIE 336. POMPEI SECVNDI.... ROMAE TRANS TIRERIM . . . Frammento di lapide scavato in un finestrone dell’ antico castello nel 1452, mentre si demoliva per costrurre il monastero di S. Silvestro in Genova. Così 1’ Acinelli nella sua Liguria Sacra (MS. della Civico-Reriana, par. I, pag. 472). 337. LVCRETIVS VERRINA HOMO IVSTVS VSQVE AD FINEN Facendosi uno scavo verso 1’ anno 1850 in un campo presso Borghetto in Valle Rorbera, si scoprì un avello, il cui coperchio aveva la suddetta iscrizione. Così in un MS. del Carnevale. 338. ROMNO • P • MARCITO CVRIO MVNCIO SCEVOLA La riferisce il prof. Rossi (Descriplion de Vinlimille, pag. 42, num. 20) dal Durante, Chorograpb'e de Nice, pag. 171, che dice averla letta su due medaglioni trovati a Tenda. QUISQUIGLIE ( 128 ) 339. DÀTVM Q P. SEX FVN M OPERACIONE ET PRO AMORE Dal prof. Rossi, che dice scoperto questo frammento in Novembre 1865 vicino ad una sepoltura nella proprietà della Mensa Vescovile a Nervia, ed a lui donato dal vescovo monsignor Riale. \ed. Dcscription etc., pag. 37, num. 7. ISCRIZIONI CRISTIANE DAI PRIMI TEMPI FINO AL MILLE Atti Sue. Lig. St. Patria. Voi. XI in Tavola I. GENOVA GENOVA P HIC REQVIESCIT BONAE MEMORIAE SANCTVLVS SVRDIAC IN PACE QVI VIXIT ANNOS PM LXXX DP EIVS VI KAL M.MAS CONS ALBINI VC • CONS P £ P Questa iscrizione scolpita in- marmo fu trovata verso il 1015 nell’ antico cimitero annesso alla chiesa di S. Stefano , e passò alla nostra Metropolitana, i Curatori della quale la fecero incrostare nella parete ove al presente è il monumento del-P Arcivescovo Andrea Charvaz, apponendovi la seguente epigrafe : GENOVA ( 132 ) EPITAPHIVM HOC a CONSTANTINI MAGNI temporibvs editvai e vetvstissima SACRA AEDE IIVIVS VRBIS EFFOSSVM ET A Fft‘ G,IIM-D° lvcae OLIAI ... (l) REIP.cae DVCIS F. DONO ACCEPTVM TEMPLI CVRATOHES l'ERPETVO HIC SERVANDVM COLLOCARYNT MDCXLIII quindi affissa da qualche anno in qua sulla, porta del campanile a mano destra, ove tuttora si trova. . ^ra(‘llC0 Pei fino la sigla f, che vedo distesa dalTAIizeri in fruire nella Guida Artistica di Genova (ediz. 1846), voi. I, Pao- 73. Luca Grimaldo olim De Castro, Doge di Genova nel lenmo 1605-07, ebbe un solo fratello, di nome Raffaele, rancesco unico maschio, nato dal matrimonio di esso Luca oh Nicoletta Grimaldi dei Duchi di Terranova, mori senza l ole, e cosi in lui si estinse la linea dei Grimaldi di Castello (2). Vuoisi poi imputare all’epigrafista l'equivoco che posa su lue do,\o acceptvm. Fu Francesco Grimaldo che l'ebbe in dono a c ìi avea^ingerenza sul cimitero ove l’epitafìo fu rinvenuto, ° 1 Gurat°ri del tempio che V ebbero in dono dal Gri- 'na fo. Io pero starei per quest’ultima versione. a il peccato maggiore di questa epigrafe è rillustrazione " l C^e ^ autore ha voluto fare dell’ epitaCio con quelle .. A C0NSTANll^i magni temporibvs editv.m. Essendovi stati pr r (Ù 0nS0*' '^ìn di cognome, si domanda perchè T epi-con tanta sicurezza, senza mostrare il menomo moeratica del 1797 1 SEREMSS,SME’ sca>poIIata nei tempi della rivoluzione de-rale delle scienze 'ori; '']^Car,° ’ nM'EncicloPedia 9enc' ( 133 ) GENOVA dubbio l’abbia ascritto al Consolato del 335. Perchè non potè essere l’Albino del 345 o quello del 444, o finalmente quello del 493? I Fasti seguiti dal Cantù non riconoscono quello del 444 ; quelli seguiti dal Muratori e dal nostro Gaspare Luigi Oderico si. Quest’ultimo poi suppone che anche Federico Federici sia stato indotto nel medesimo abbaglio di assegnare il monumento ai tempi di Costantino, dall’aver creduto di vedervi scolpito il Labaro Costantiniano. Ma che cos’ è ch’egli ha preso pel Labaro? Forse il mnnogramma di Cristo :£? Questo però si usò nelle pietre sepolcrali molti e molti anni dopo l’età di Costantino, e non era il Labaro. Che cosa fosse il Labaro ci occorrerà vederlo poco appresso, colle parole dell’Oderico medesimo; il quale dubita che il Federici sia stato tratto in errore dall’Agnello vessillifero che sormonta l’iscrizione. Anzi poiché quel dottissimo Archeologo imprese ad illustrare di proposito il nostro monumento con una elegante dissertazione latina, noi stimiamo utile di riprodurla qui sotto nella sua in-grità. È vero che essa fu già pubblicata fino dal 1828 nell' antico Giornale Ligustico (‘); ma oltre che un siffatto Giornale è da buona pezza diventato rarissimo , la nostra ristampa acquista maggiore interesse per questo, che, come si vedrà più oltre, noi pubblichiamo anche dello stesso autore una dissertazione finora inedita, intorno ad un’altra epigrafe. Gli studiosi, crediamo, ci sapranno buon grado di averle entrambe riferite. Qui premetteremo semplicemente questa nota che l’illustre Dissertatore aggiunse al suo lavoro nei seguenti termini : « Quarta linea hujusce tituli pro HVS legerem libentius EIVS, atque DP EIVS interpretarer depositio, ejus. Sic apud Marango-nium (Act. S. Victor., p. 125) : DEPOSSO • EIVS • VI • KAL., pro depositio ejus; sic apud Mabillonium (Dc cultu ss. ignot., (’) Voi. Il, pag. 244-251. GENOVA ( 134 ) p. 26): CVIVS- DP • EST SVB DIE Vili KAL. IVN1I. Si quis taraen illud HVS pro HVIVS positum velit, non repugnabo ». Ed ora noi siamo lieti di confermare, che cosi appunto come sospettò 1’ Oderico si legge nel marmo; dovendosi pertanto ascrivere l’erronea lezione di HVS non a lui, ma piuttosto al lciiptis dedere an ex ipso lapide descripta sint vehementer dubito. Huiusmodi porro sunt quae Odoardus dedit (2) : ( HIC • REQ VIESCIT • IN PACE B • M • MAGNVS • MIL • N°MI' ' ELICI,‘ETO • QVI • VIXIT • IN • SAECVLO • ANN PL • M • XXXV • DEP • EST • SVB • D • VII • D • AVfi IMF DOMINO • NOSTRO • MAVRICIO TIBERTO • P • P • A\C • ANNO • OCTAVO • INDICTIONE OCTAVA -f* -j- i* Anno post Ganducium septimo et vigesimo ecclesiasticos (') Augustinos Justinianus, Armi. i. 'LA’ ^mone e sepolcri che sono nelle chiese di Genova, raccolti l unno 1G10. Ms. GANDU:,US’ Dlscmo sui governi antichi di Genova. Stamp. IGI i, Ms. ad a 386 S ' ^mpea(it0 Storico de’ Governi della città di Genova. AuRELm!1'^'^’ AnmU Ecclesiastici della Liguria scritti fanno 4641. Ms. Giscardii'A JNUA C_APUC-> Cronologia Urbis Genuae. Ib. 1720. Ms. in-4.*". s, ■- ona Ecclesiastica della Liguria. Ms. 1750 o ~;!7Zia *"•Ms-rom- *"■,773i Tom- ■■ i44- ( U7 ) GENOVA Liguriae Annales (1641) dum scriberet Schiaffinus eadem fere verba sic expressit (*). f IIIC • REQVIESCIT • IN • PACE • Ii • M • MAGNVS • MIL • NOME EUGE LETO • QVI • VIXIT • IN • SAECVLO • ANN • PL • M • XXXV • DEP • EST SVB • 1) ■ VII • AVG • IMP - DOMINO,- NOSTRO • MAVRICIO • TIBERIO P • P • AVG • ANNO • OCTAVO ■ INDICTIOME • OCTAVA • f f f. » Quatuor uti video versibus ea comprehendens quae quinque Ganducius descripserat. Uter ex ipso lapide ignoro. Neuter fortasse, uti suspicor, quamvis Schiaffini aetate lapis adhuc in S. Sabinae extaret, quemadmodum ipse testatur. Hanc porro suspicionem inicit mihi Julius Pasqua qui annis ante Gandu-cium quatuor (1610) quum titulos atque epigrammata nostrarum ecclesiarum colligeret, haec tantum habuit, quae de illo in suam collectionem derivaret (2) HIC • REQVIESC1T • IN • PACE......... QVI • VIXIT • IN ............. MAVRICIO • TIBERIO • IMP • AVGVS • ANNO • OCTAVO • INDICTIONE OCTAVA, f f f. Quae si ipso e lapide ea fide ac diligentia qua veterum monumenta transcribi par est, Julius dedit, non modo Titulum ea aetate corruptum fuisse ostendunt; sed et aliam luisse versuum divisionem ab iis quas Ganducius et Schiaffinus dedere. Ut simillimum veri mihi videatur neutrum ex lapide, sed ex aliquo apographo sua desumpsisse. Ut ut sit, sic sentio se- (') Op. cit., tom. I, p. 398. (5) Op. cit., p. 239. GENOVA ( 148 ) pulcralem illum lapidem jam inde ah ipsa Justiniani aetate corruptum fuisse. Quis enim credat liaec illum scribere potuisse: L’anno 58G era Imperatore Maurizio... e in detto anno la chiesia di S. Sabina in Genoa già era edificata ed in quella fu sepeli ito un gran Cavaliere nominato Eligeto, come pare in 1’ Epitaffio della sepoltura sua scritto di lettere magiuscule nella predetta chiesia nel muro dell’ altare in una tavola lapidea » ('), nisi prima secundi versus verba , ita vetustate vel alia de causa deformata fuissent, ut quid illa sibi' vellent intelligi nequaquam posset? Ut enim alia peccet eo loci Justinianus, tum illud praecipuum quod pro NVM • FELICI • LAETOR • quae in lapide incisa pro certo habeo, legerit NOME ELIGETO atque interpretatus sit nomine Eligeto, quod a vero longissime abest. Sed antequam de hoc disputem, et reliqua, quae peccavit, ostendam, Titulum ipsum eo pacto restituam, que restituendum plane censeo. t HIC • REQVIESCIT • IN • PACE • B • M • MAGNVS • MIL NVM - FELICI • LAETOR • QVI • VIXIT • IN • SAECVLO • ANN PL • M. XXXV • DEP • EST • SVB • D • VII • ID • AVG -IMP • DOMINO • NOSTRO • MAVRICIO • TIBERIO • P • P AVG • ANNO • OCTAVO • INDICTIONE • OCTAVA P P P « Quin haec in lapide incisa fuerint minime dubito: idemque mihi facile persuadeo futurum neminem qui Titulo sic restituto non intelligat Magnum proprium esse militis hujus nomen, quod Justinianus in oppositam convertit, ut de milite magnum optimatem (un gran cavaliero) nobis effingeret. Hominem la-tinis, graecis, haebraicis, chaldeis, arabicis, utinam et italis litteris eruditum, fugit Magnum praenominis ac cognominis (>) L. c., p. xxv v. GENOVA loco a Romanis usurpatum; quo nihil profecto certius. Spurium Postumium Albinum Magnum et Gneum Cornelium Cinnam Magnum consules, alterum anno U. C. G06, alterum anno 758, norunt quotquot nunc Fastos norunt. Ignorasse Justinianum minime miror, Fastis ea aetate nondum illustratis et Romanorum antiquitatibus multis adhuc tenebris obvolutis. At cui non dictus Gneus Pompeius Magnus (l) ? Idem cognomen non Cornelios modo et Pompeios et Postumios, sed et Fonteios et Pactuleios usurpasse, ex Glandorpio scribit MafTeius (2) , qui tota hac de re docte disseruit. Ast ubi cognomina quaedam in praenomen abire coeperunt quod serius factum, Magnus quoque praenominis loco habitus est. Eo usus Maximus ille qui Gratiano Augusto impie occiso, Imperium in Occidente arripuit et Magnus Maximus dictus est, in cippo milliario apud ipsum Maffeium. Sed et plurimos sequiori aetate invenimus, qui non aliud quam Magni nomen gessere, quorum plu-res, ut alia monumenta praetermittam, Ecclesiae Fasti Justiniano Sacerdoti et Pontifici suppeditassent. Magnum Episcopum Anagninum et Decio imperante Martyrem invenisset XIX Augusti in Romano Martyrologio ; Magnum Subdiaconum cum Xysto II Papa occisum Valeriano imperante 6 Augusti ; Magnum Episcopum Mediolanensem 5 Novembris; Magnum Episcopum Opitergiensem 6 Octobris, aliosque quos non est necesse a me commemorari, quos omnes Justiniano ignotos miror. Xam quod minime animadverterit in antiquis militum titulis post vocem miles adseribi Classem seu militiae Corpus, in quo Defunctus militavit, excusari facile poterit; non enim ea aetate tot illae extabant veterum titulorum collectiones, quarum praesidio, quum alia praeclara didicimus, tum hoc etiam quod (') V. Appiani , init. Belli Mithrid. (') Maffm, Osser, Lctt., T. Ii, art. VIII, p. 299 ot seqq. GENOVA ( 150 ) dicebam, post vocem miles Legionem, vel Cohortem, vel Alam, vel Numerum, in quo quis militaverat, adscriptum. Innumera sunt hujusce rei exempla, atque ultro se olTerunt vetera monumenta consulenti, ut supervacaneum sit lieic a me proferri. Non possum tamen quin Lapidem istum labcnto anno 1796 Romae repertum lieic dem. d • m • M • CATTIO • M • K SECVNDO• CALER GENVA • MIL • CIIOR X • VRB • 7 • NIGRI VIXIT • ANN • XL (GALERia; MILiti; CHORtis pro Cohortis; X VRBanae Centvriae NIGRI). « Lapis quantumvis per me pretii, licet mutilus; unus enim est, ex quo discimus Galeriae Tribui Genuam adscriptam, atque in ea Genuenses suffragium Romae dedisse, quod hactenus ignorabamus. Plura de eo scripsi ad V. C. atque amicum optimum Caietanum Marinium Vaticanae Bibliothecae Praefectum, quae non sunt hujus loci (’). Ad Magni Titulum revertor. Hujusce Tituli igitur scriptor voci MIL, scilicet MILes, adjecerat NVM • FELICI • LAETO, nempe ut interpretor NVMeri FELICIvm LAETOrvm, ut nemo non ignoraret quos inter milites Magnus militasset. At exesis corruptisque vetustate litteris, levi forte sulco incisis; nec satis oculorum acie validus Justinianus legit NOME ELICILETO, turpique errore interpretatus est nomine Elicileto vel Eliceto. Errantem ducem secuti sunt in- (’) V. loti, dei 6 Uen. 1798. Mas. num. X, quint. 12. ( 151 ) GENOVA considerate, pene dixeram stolide. Schiaflinus, Aurelius, Gi-scardus, Accinellius, aliique qui Elicetum, Eliciletum, Eligeum militem hunc appellavere. Sed his relictis, antequam dicam qui fuerit Numerus iste Felicium Laetorum, perstringenda mihi Ac-cinellii nimia confidentia, ut levissime dicam, qui lectoribus suis persuadere se posse existimavit militem hunc Genuae mortuum unum ex iis fuisse quos Mauricius Imperator ad Childebertum Austrasiae regem legatos miserat. Sic enim minime timidus scribit (*): « Passando per Genova gli ambasciatori di Tiberio Maurizio Imperatore diretti a Childeberto re di Francia, per sollecitarlo contro de’ Longobardi, e fra loro un gran capitano Eliceto mori e fu sepolto nella chiesa di S. Sabina con epitafìo, quale siccome fu fatto da’suoi compagni, perciò vi apposero Imperatore D. "° N.r0 Mauricio Tiberio, mentre erano al di lui servigio ». Somniabat profecto epitomator hic, quum ista scribebat. Mitto militem in Magnum Ducem (un gran capitano) tam facile, tam inepte transformatum: errorem hunc ex iis quae legit apud Justinianum fortasse hausit, qui eum, ut vidimus, appellaverat un gran cavaliere. At undenam desumpsit fuisse Mauritii legatum? unde Genua transiisse, ibique in transitu mortuum ? Mauritium legatos ad Childebertum 11 Austrasiae regem misisse, ut Longobardos Imperii hostes armis aggrederetur, atque Italia expelleret, utique novimus, at hoc ut serius anno factum 584. Novimus Mauritium spe sua, quam ingenti pecuniae summa emerat, frustratum ; novam sequenti anno 585 legationem misisse, ut aurum recuperaret; quae, re infecta, Constantinopolim reversa est. Haec sane novimus. At legationes hasce Genua pertran-siisse nemo, quod sciam, scripsit, sed nec transeundi locus ullus erat, quando brevior ac tutior legalis Constantinopolitanis (’) Comp. delle Storie di Genova, T. I, p. XXVII et p. 15. I GENOVA ( 152 ) ad Childebertum Metis aut ConJluentiae degentem, per Istriani et Rhetiam patebat via, quarum haec Francis, illa Graecis subdita erat. Quo igitur teste, quo monumento edoctus epitomator ista asseruit? Sed transiise fingamus, quum anno, ut serius, 585 contigisse id oporteat, undenam didicit Magnum qui anno tantum 590 obiit, ut Titulus docet, undenam didicit per annos quinque Genuae aegrotasse? Sed pudet ista diutius refutare, epitomatorem suis eum somniis dimittamus, et quinam fuerint Felices Laeti, quorum in Numero Magnus militavit videamus. Ac primum Laetos Galliae populos fuisse docuit Zosimus. « Magnentius vix erat apud Laetos , quae Gallica natio est » apud Pancirolum ('). Quam Galliarum partem occuparent definire non ausim ; nihil de hoc Pancirolus, et Zosimus m promptu mihi non est, ex quo colligere id possim. Laetorum plurimos inter Occidentalis Imperii copias meruisse video; siquidem Utriusque Imperii Notitia XII Laetorum Praefecturas recenset per Galliarum Provincias distributas, quibus praesidio forent. Singulis porro Praefecturis admixti erant ex Barbaris aliisque Imperio subditis populis, milites alii, qui Jina cum Laetis Praefecturae nomen dabant.—Praefectus Laetorum rFeu-tonicianorum Carnunto Senoniae Lugdunensis. Praefectus Inactorum, Batavorum et Gentilium Suevorum ctc. Praefectus Laetorum Francorum etc. Praefectus Laetorum Lingonensium ctc. Sic porro Notitia (2) ubi Pancirolus commentatur. Teutoniciani vero sunt nuncupati, quia Teutonicis mixti erant; ut et sequentes Laeti Batavi et alii hujusmodi. Zosimus scribit (lib. IV) Valentinianam maximam juvenum multitudinem, tum de Barbaris Rhaetiae accolis, tum de subjectarum Imperio Romano (') Pancirolus, in Not. Utr. Imp., p. 180. C) Noi. Utr. Imp., p. 169 v. I (i E NOVA gentium agricolis collegisse et Numeris militaribus adseripsisse (*). A Praefecturis istis alius, uti reor, Numerus Laetorum, cujus lapis hic meminit, ex iisdem sane populis, sed aliud militum Corpus. Quid in Romana militia forent Numeri disputatum est a viris doctis, neque nunc disputandi locus adhuc sublatus. Numerorum meminere Tacitus et Plinius Junior (2), sed, si quid video, non alio sensu quam pro quibuscumque militum copiis, quo eliam Marcellinus (3) quum refert Valentinianum et Valentem partitos cum Imperio Militares Numeros. Sequiori aetate Cohortibus ac Legionibus datum hoc nominis censuit Lipsius (4). — Scis Numeros inferiori aevo crebro legi sive de Cohortibus, sive de Legionibus ipsis —. Turrius vero (5) vexillationes ex legionariis militibus Numeros dictos aexistimal, atque hoc sensu legi Gruleriano in lapide (p. 1096, n. 6). Martium Plaetorium Numerorum Tendentium in Pontum a Saro. Alii aliter. Cohortes, Legionesque Numerorum nomine quandoque designatas negare non ausim. At quum videam in Breviario copiarum quibus Magister Militum in Praesenti praeerat et in Notitia Utriusque Imperii exhibetur (6) una cum Legionibus, Cohortibus, Vexillationibus, Alis, Cuneis, Auxiliis, videam, inquam, separatim referri Equitum Peditumque Numeros, non temere fortasse conjecerim Numeros Theodosii Junioris aetate, qua Notitia prodiit, ut communior sententia fert, Numeros, inquam, aliud omnino fuisse a Legionibus, Cohortibus, aliisque quae supra nominabam militum Corpora. Fuisse nempe Corpus quod peculiarem militum classem con- (') Not. Utr. Imp., I. c. (a) Tacit. , Hist., lib. VI; Pun. , lib. X, cp. 38. (=) Marcel., lib. XXV, § V. (') Lipsius, De Mil. Hom., lib. Il, Dial. IV. C) Tubhius, AIoii. Vet. Ant., p. 129. C) P. 123 v. GENOVA ( 154 ) stitueret, ab iis populis nomen sortitum ex quibus collectum fuerat. Ut enim Legiones, Cohortesque etc. Parthicas, Thcbaeas, Hispanas etc. extitisse scimus, sic Numerum Dalmatarum Divitensium. Numerum Jungrorum, Numerum Armeniorum, Persarminiornm, Veronensium, Genuensium, aliarumque gentium in veterum monumentis (') invenimus; quibus addes ex hoc nostro Lapide Laetorum Numerum cognomento Felicium, quo honoris vocabulo alia militum Corpora decorata novimus. Felices Theodosianos, Honorianos, Arcadianos habes in Notitia, Felices Persarminios in veteri papyro apud Maffeium C2), ac multo antea Legionem tertiam Felicem in Valeriani epistola apud Vopiscum (3) saeculi octavi initio, quum Ravennates ab Justiniano II defecissent, militesque multos queis defectionem suam tuerentur, collegissent, eos varias in classes divisisse memorat Agnellus apud Zirardinum (4) quae Bandi aut Numeri dictae sunt. Harum unam Laetorum Numerum nuncupatam invenio. An a Laetis nostris, an aliunde nomen acceperit, ignoro. Sed antequam Laetos dimittam, illud addam suspicari me quum Magnum Numeri Felicium Laetorum Genuae depositum videam, Numerum hunc Mauricio Imperatore Genuae praesidio datum, jurene an temere alii statuent (J). (’) Vid. Maffei, Hist. Dipi., p. 170. O lb., p. 156. (*) Vospicus, in Vita Probi. (*) Zirardino , Degli antichi edi/izi profani di Ravenna, p. 119. (s) Quanto all’ uso di Numerus in questo senso, la dottrina doli’ Odqrico non ha bisogno di essere rincalzata per noi da altri esempi, essendo cosa che da niuno si può rivocare in dubbio. Noi a semplice titolo di curiosità facciamo osservare che anche i Greci del tempo adottarono questa denominazione, non solo adoperando ipifyióg, che è il corrispondente di numerus, ma anche introducendo nel linguaggio militare il nome stesso latino grecizzato in vov/xspos. Serva d’esempio per 1’ questa lapide, che è nel Museo di Parigi, pro- veniente non si sa ben donde, ma probabilmonto dalla Grecia o dall’Asia Minoro, ( 155 ) GIONO VA Age nunc nonnulla de Tituli aetate attingenda. Anno vulgaris aerae 590 obiisse Magnum superius dixi, hunc enim annum chronologicae Tituli notae manifesto ostendunt; ut non satis mirari queam eorum ignorantiam dicam, an oscilantiam qui de hujusce Tituli aetate scripserunt. Aurelius a Genua in sua Chronologia anno 575 positum contendit; eo enim anno sic cd è nel Corpus Inscriptionum Graecarum dei Bocckh, voi. IV, pai;. 500, num. 9449. EN0AAE TON ArPHTOPON rnNON KAOErAEI «MAE ErrNQMONIOS IIPOTIKTOP TQN TENNAI0TAT2N APISMOr MAPTH2IQN x. x. X. Essa appartiene all’anno 518, perchè porta la data del Consolalo di Fabio Magno vna.?ia<; v Xsyo^juvav KayStSàrojv (an. 3. Gord.). E Arcadio ad un Numero, che creò per sè stesso, diede il proprio nome: ’Apxiìhog 5È i /2ctffiX.Ev$ enotuotv iììtov àpibfxòv kv Kn ous èxxXeaev 'Apxaàixovs (Theophanes an. 5 Are.). Arcadius vero Imperator fecit proprium Numerum Constantinopoti quos vocavit Arcadicos. 1 Martesii nominati nella citata Iapide greca e nella storia di S. Acacio prendono il loro nome da Marte. L’altro aggettivo yewMOTcLTmv si può credere che sia piuttosto un elogio che fa loro l’epigrafista, cioè generosissimi o fortissimi, anziché un titolo aflìsso legalmente a questo Numero; ma non v’ è indicazione di paese. Che Ma.pTnoiav venga da Marte, ce Io insegna la storia citata di S. Acacio: tp/jiov nvòs Ta^ap^ovvTog tov ipiò^ov xarà /xev tg3v ’Pa>fj.aiav yXarrav MapTVOtav, y.ark "èè tìiv ‘EWnv&v ’ Apet&v (n. 2). Firmi cujusdam praefecti numeri, juxta quidem Romanorum linguam Martensium, juxta vero Graecorum ’Apetav. Questo vocabolo ’Apelcvv viene da ’ Acon cui i Greci indicano lo stesso Dio delle armi detto Marte dai Latini. Dopo questo, se non fosse troppa audacia, avventurerei una supposizione, che cioè quel Laetorum della lapide non fosse necessario di prenderlo per nome di popolo. È bellissimo il rilievo dell’Autore, che ha trovalo cosi denominarsi una gente; ma tanti Laeti che si trovano sparsi di qua e di là, mi par meno probabile che si abbiano tutti a riferire ad un paese particolare dello Gallie. E perchè non si potrebbe prendere per un secondo aggettivo da far compagnia al primo? Sono duo parole che stanno tanto bene insieme, come pia fidelis accordate a tante Legioni, alcune delle quali ne vantano anche tre o quattro. Ma ciò valga quanto può valere un sospetto. (’) Aurelius a Genua, Op. cit., ad an. 573. ( 457 ) GENOVA turpius errat Aurelius. Ut enim anno 575 indictio octava decurreret, Mauritius Imperium nondum adeptus fuerat. Imperabat eo anno Justinus junior, quem anno 578 mense oc-tobri Tiberius Constantinus excepit. Hic pridie quam moreretur anno 582 Mauricium, data Constantini filia in conjugem, Imperii successorem sibi destinavit die XIII Augusti. Vide quam turpiter Chronologus hic a vero deflexerit. Nec meliores calculos subduxit Schiaffinus, qui anno 593 Magnum mortuum statuit; neque animadvertit eo anno Mauritium VII Id. Augusti annum Imperii numerasse XI decurrente pariter indictione XI. Atqui nec arduum nec difficile scriptori non oscitanti cognoscere quem annum datae chronologicae epitaphii notae (?). Depositus est Magnus VII Id. Augusti anno Manritii octavo, indictione item octava. Quum vero Mauritius, ut nuper dicebam, et Petavius docuit (*), Imperator creatus sit die XIII Augusti anni 582, indictione XV, qui ab hac die, mense atque anno calculos deducet, ut deducendi sunt, is inveniet annum Mauritii octavum desiisse die XII Augusti anno 590, quinque vel sex dies postquam Magnus depositus fuerat. Quo anno 590, eodem Augusti mense decurrebat indictio octava, quae eodem cum mense desinebat. Indictiones enim quibus tunc Itali utebantur, Graecae erant a Kalendis Septembribus initium desumentes, qua re nihil notius. In fine epitaphii tres eadem linea cruces occurrunt. Has ego tria Christi nominis monogrammata fuisse reor, sic ellor-mata P P P ex greco X et P, cujusmodi in aliis veterum Christianorum monumentis videri solent. At temporis vetustate vel alia de causd, detrita curva linea quae graecum P efior-mabat, tres Cruces visae sunt, antiquarum rerum et monumentorum Christianorum non satis peritis. (’) Petavids,,Rat. Temp., Part. I, lib. VII, c. IX. ORNOVA Sed antequam manum de Tabula tollam ad Justinianum paullulum revertar, qui ex bocce Magni lapide Ecclesiam sanctae Sabinae ante annum 586 aedificatam sibi persuasit. Omitto titulum anno 590 non vero 586 positum, ut paulo ante docui; quaero unde habeat lapidem eo ipso anno quo Magnus obiit in Ecclesia S. Sabinae collocatum. Dubitabunt qui non tacile sibi persuadent saeculo sexto laicos homines in Ecclesiis, nedum prope altare sepultos. At inquiet Magni epitaphium in S. Sabinae repertum fuisse. Esto. At quo primum tempore? Annon aliunde multis post annis potuit illuc transferri? quum tot veterum epitaphia sedibus avulsa suis alio deportata sint. Extat in Ecclesia S. Laurentii vetus Sanctuli epitahium Albino Consule scriptum; subjecta Titulo tabella marmorea ubi primum ellossus, cujusve munere illic stet edocet. At si forte tabella deperdita, quod non uno casu accidere posse nemo diffitebitur, rectene quispiam concludet Sanctulum in S. Laurentii depositum et templum ante illius mortem et Albini, quisquis ille sit, Consulatum aedificatum? Minime reor. Quae quum disputo non ego Ecclesiae S. Sabinae antiquitatem impugno; sed illud contendo, dubia atque incerta ex re nimis confidenter • ei tam conclusionem deductam. Quo argumenti genere scriptui es nostros, cum in hujus Ecclesiae, tum in aliarum antiquitate statuenda adeo facile uti nollem. Caeterum Ecclesiam S. Sabinae a Saracenis pene dirutam Johannes IH Episcopus initio saeculi XI Benedictinis Monachis tradidit, ut facilius, opinor, restauraretur et coleretur decentius. Cujus rei testes Johannis litteras citat Paganettus (') datas anno IV Henrici, indictione M. Indictio haec ad annum 1008 pertinet, quo quartum Italici sui Regni agebat Henricus, anno quippe 4004 (') Paganettus, llist. Eccl. Ligur., T. II, p. 168. ( 159 ) GENOVA Ticini coronatas fuerat ; si tamen notae illa recte descriptae sunt (1). 4. i i : ; Cinque frammenti di epigrafi nei loro marmi originali trovati a Tortona furono trasmessi alla nostra Società dal benemerito collega cav. Cesare De’ Negri-Carpani, che la giovò poi anche di copie e di calchi d’altre iscrizioni, come si nota a suo luogo. -Di questi cinque pezzi il più considerevole è il presente ; il quale é però monco da tre parti. Il nome del soggetto é scritto così : NEGVTS, di cui la più benigna interpretazione sarebbe NEGVTivS. La terza riga probabilmente diceva qui vixit. in, etc.; la quarta naturalmente leg- (!) Su quanto concerne alla chiesa di S. Sabina ed a quest’ultima parte della Dissertazione dell’Oderico, sarà bene vedere quanto scrisse il cav. Belgrano nella sua erudita Illustrazione del Registro Arcivescovile di Genova ; Atti, voi. 11, parte I, pag. 297, 423 e 453 B f M E/M QsVìXrtil c EQvf/ cv$ P.TS' -An h ? Vi jvb:d?kj PO) T (pj -IV HsVCnNDfXìi GENOVA ( 400 ) — • il pIip p domandato ila ciò gevasi con questo principio: cm. p., n tuo ^ ... i nrr • è il principio ‘lei che segue, cioè annis plus M mus L • -.opnii verbo UECessit, usato per formola. La quinta liga^non P c ,nn v e indizio ai- altro che il nome del mese di marzo; ma _ ^ ^ da dar la preferenza piuttosto alle None che a e n cuno Calende di esso mese. Quanto all’ anno, rappresentato ^ del Console Paolino , fa d’ uopo osservare due essere sta solidi questo nome, l’uno cioè Decio Paolino nel - ? Teodoro Paolino del 534, il quale fu 1’ultimo elei on cidentali. Questo secondo per distinguerlo «lai primo o ^ mavano Giuniore. Ora sarebbe difficile indovinare se co ^ di Paolino finisse il marmo, o se vi fosse ancora lina^g(fja ove si leggesse junioris. La rottura della parte iuferiore ^ libera l’una e l’altra supposizione. Vuoisi ancora os.e ^ che il caso genitivo, in cui è posto il nome del onso avverte doversi innanzi ad esso supporre post consu come si trova in molte iscrizioni : la qual formola si quando, scaduto col finir dell’anno, il Console vecchio, no^ si conosceva ancora il nome del nuovo o per la lentezza nominarlo o per la dilazione della comunicazione u eia Finché questa non era pervenuta si notava la data coll accen nato metodo. Si osservi come, supponendo che di Marzo fossero notate le Calende, noi avremmo la facoltà di retrocedei e sin alla metà di Febbraio; e perciò se si trattasse dell’antico I ao lino, questa pietra apparterrebbe al 499. Il simile potrebbe supporsi anche riguardo al Giuniore pei primi mesi dell’ anno o <>, ma poi conosciutasi la determinazione di non più eleggere Conso i d’Occidente, fu assunta la denotazione del Console orientale. SECVL, è troncato da SECVLO ; il frammento di N, che precede questa parola appartiene alla preposizione IN che regge SECVLO. Quanto poi a quel segno in cui finiscono parecchie righe, non vuoisi prendere per un S. Potrebb’ essere tale dopo Tavola III. L ( 161 ) GENOVA NEGVT come ultima lettera di Negutius; e cosi anche dopo MART, potendosi leggere Mariias o Martiis, aggettivo accordato ad alcuno de’ suoi naturali sostantivi che sono Calende, None, Idi ; ma non potrebbe prendersi per S dopo la sigla P che significa Pace, nè dopo SECVL a cui deve seguire o. Rimane dunque che si tenga per un segno a indicare abbreviazione. Se si volesse dal più al meno accostarsi alla integrità del marmo, si potrebbe credere che dicesse presso a poco cosi, supponendo il Consolato di Paolino Giuniore. Per 1’ antico si sopprima 1’ ultima riga. P in hoc loco reqvieSCIT IN Pace bonae memoriae NEGYTivs q. vixit iN SECVLo annos plvs Minvs L RECessit svb die Kalendas MARTias post consvlatvm PAVLINI ivnioris viri clarissimi indictione xn. 5. Questo frammento, secondo dei cinque anzidetli, per una parte stuzzica la curiosità, ma per l’altra è troppo povero per poterla soddisfare con qualche probabilità. Se in quelle quattro lettere ISPI si potesse riconoscere il nome di Crispo figlio di Costantino, il frammento acquisterebbe importanza, da che il Comm. De Rossi non ha trovato finora un sasso che presenti questo nome. Io non oso affermare che questo sia nome di Console; Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi. XI. 45 GENOVA ( 162 ) ma nemmeno saprei se si potesse con sicurezza negare. Crispo u tie 'olte Console, cioè nel 318, 21 e 24. Le prime due ettere bisogna supporle alla fine della linea precedente, ed il genitivo sarebbe giustificato dalla formola Post Consulatum, rappresentata frequentemente dalle sigle P • C • Nella prima linea superstite si vede ANN, a cui succede una piccola reliquia d’altra lettera, che era certamente 0, e che doveva essere seguita da S per esprimere annos. 11 sasso è rotto non solo in alto , dove era naturalmente il nome del soggetto ed altri particolari, ma è mancante ancora dalla parte dritta del lettore, per forma che non si vede la fine d’alcuna riga. Dopo 1SPI viene RECV; dove la lettera C é formata a un dipresso di questa guisa [. Questo darebbe facoltà di leggere RECessit; ed il V sarebbe Quinto Hai. o Id., come é lecito supporre secondo la parziale ristorazione che presentiamo, in «onformità della Tavola III, dove la lapide è prodotta al quinto delle sue dimensioni lineari. hic sitvs est bonae memoriae...... • . . . qvi vixit in secvlo ANNos plvs minvs lx post consvlatvm cr ISPI RECessit V idvs maj Teqvi ESCAT IN pace. ^ ode bene il lettore che si è determinato il mese di Maggio per riempiere lo spazio, mentre si poteva assumere il nome di qualunque altro mese. Lo stesso si dica dell’ età attribuita al soggetto.. ( 163 ) GENOVA 6. Quest’ epigrafe, come si vede, non ha capo ; comincia da QVI, che teneva dietro al nome e forse alle qualità del soggetto. — VI che segue è il principio di VIxit: e l’S per cui comincia la seconda linea è la finale di annos o annis, a cui segue la formola plus mìnus abbreviata in PL MS. La terza linea cominciava colla cifra degli anni; e probabilmente seguitava la formola recessit o depositus est, o altra simile; il che è ugualmente richiesto dal senso e dalla capacità della pietra, di cui è chiarita massimamente la mancanza al principio delle righe. L’ ultima di queste non contiene altro che PRIDS, il che potrebbe intendersi per pridie idus dividendo così: PR IDS. Ma potrebbe anch’ essere che quello che pare un S non fosse altro che un fregio in fine di riga o segno di abbreviazione. Lo stesso si dica di quel segno, oppure S o fregio, che viene dopo. Questo è del pari uno dei cinque frammenti di marmo donati alla nostra Società dal cav. De1 Negri-Carpani, come si disse al num. 4. GENOVA ( 164 ) 7. ordinale doni i la nostra Società possiede il marmo ™Z°z:rr?cav- » *»*• pli« ipotesi unirei quell’S rh 'k"’aSr° TortoneSe- PerSem‘ tere precedent' veramenle pare staccata dalle let- <*• é preceduto dTu'n "?a„desi"enza l>™babi,e a ?“el,’V iJ nome &CMnDVS f, r* , qUeSt° Ini porla a suMorre spondere è per ciò'a ’ a CUÌ non sapre/ come ri' del precedente q ^ S6gUe alJ S* Pare un V de,,a fattura saprei come spiegarlo 6 1'niZÌale d’un secondo nome’ non modo seguente • ° ^ marmo si potrebbe leggere nel t b t M f secvnDVS V . . . vixi TANNOs . . . . . iN SECOlo ( IB5 ) GENOVA 8. 11 primo frammento di parole pare che appartenga a reqWEScit. L’ altro avanzo presenta la parte superiore di B unito ad M, che si potrebbe prendere per la sigla BiM cioè Bonae Memoriae. Segue GV, e questo sarebbe il principio del nome proprio del soggetto. Ma che diacine di nome si potrebbe continuare da questo principio? L’Ab. Remondini osserva che nell’iscrizione di Castrofino si legge Hic requiescit B.'M. Sundo. Questo Situilo potrebbe avere un bel corrispondente in Gundo. Poteva aneli’ essere un1 abbreviazione dei nomi Gundobaldus o Gun-domarus.; e per quello che ne sappiamo, giacché la pietra é rotta, uno di questi nomi poteva essere disteso. GENOVA Qucstcì pietra è * mandata in dono dT ,P°SSeSS0 de^a nostra Società, a cui fu che la raccolse neir fr<3ncmento socio prof. Alessandro Wolf, mutila nel cann o ^ortODese. Questa come si vede , é '-'«'PU (3 UQpniA n' Oppiamo nulla di men nasconde il nome del soggetto; e che era delizia d ^ ^ fU Una bambina morta a tre anni Presenta quanto bast ParGntl' non é intero, ma uscendosi, non r 3 a ^£ervi quello che è. Se anche co-una trienne fanciuU SOntere^Je &rande importanza il nome di r** »‘^eZtc',:ffrirebb„e il nome della famiglia, il benché imperfetta édi 3 CUna' 'ue^° che ha di notevole, e questa l’abbiamo n I ^ICSe,,tare *a data certa del suo tempo, more il guaje S0s( n°me del Console che è Paolino Giu- Anzi questo fu p uJ[^ 9"eWa carica ranno deir E. V. 534. osservato al numero i° ‘ ^ ^°nsob 0cc,denfali, come abbiamo PL M. Pius j\finuS' . nelle epigrafi cristiane recessit; formola usitatissima tertio nonas Augusti ri ^ ^ ~~ 111 ^°N AGT> ossia Clarissimo. CoNL ° corr‘sPon^e al 3 di Agosto ; VC Viro Emione di Consule, ( «67 ) GENOVA Si osservi che quelle curve che si avvicinano alla forma deir S e che si vedono disseminate qua e colà, non hanno altra ragione di figurare che come punti o fregi o meglio segni di abbreviazione secondo che dicemmo già al numero 6. Questo marmo ora è nostro, perchè lo abbiamo in Genova; ma la sua provenienza è da Roma. Fu depositato presso la nostra Società dal eh. socio avv. Avignone, che ha lasciato fra noi tanto vivo desiderio della sua dottrina e cortesia. La brevità dell’epigrafe e la mancanza di ogni intestazione ci lascerebbe nel dubbio se si dovesse avere per gentile o cristiana; ma ogni dubbio svanisce, pel fatto d’essere stata rinvenuta nel Cimitero cristiano presso la Villa D’Oria fuori porla S. Pancrazio. 10, H, r: Questa lapide, in marmo carrarese, fu trovata li 7 aprile 1858 dietro la Pieve di Libarna (cascina della prebenda par- ( 168 ) GEN0VA ____4-—---------~ rocchiale di Serravalle) ed è posseduta dal eli. Coinm. Varili. Le mancanze al principio delle due righe ed il troncamento della prima di esse si possono facilmente supplire leggendo. in hoc loCO REQuies cit b - m - DEODATA Siccome sotto il nome del soggetto la tavola apparisce tron cata, si può supporre che vi fosse ancora qualche tiga, ma così con quella piccola giunta, potrebbe aversi per completa nella sua breve semplicità. Però la qualità del marmo e ^a grandezza dei caratteri lascia supporre che non si trattasse persona volgare , ed è perciò probabile che , se non qu elogio, seguissero almeno i dati cronologici, cioè la dui ala della vita e 1’ epoca della morte pel nome dei Consoli. Quel REQS supponiamo compiersi alla riga seguente^ in reqscit per requiescit; mostruosità che non fa paura a pratico dell’ epigrafia de’ bassi tempi, in cui questa paro singolarmente è stata in tutti i modi malmenata. Ma Sl l trebbe anche supporre che qui finisse per abbreviazione , che a capo deir> altra riga , in luogo di ciò che vi abbi. ^ supposto, vi fosse altro, come per es. un primo nome di que. Deodata. ( 160 ) GENOVA 42. Questo frammento nel suo marmo originale si conserva nel piccolo Museo Libarnese della nostra Università, ceduto con altri oggetti d’ antichità del canonico Costantino Ferrari. È mancante del principio delle righe, o almeno di alcune, e probabilmente manca di qualche sillaba dall’altra parte. La difficoltà maggiore è sul nome proprio del soggetto, che è rappresentato da quel RINIA. Che così cominci non si potrebbe dubitare, giacché innanzi apparisce uno spazio vuoto; ma è la desinenza che non potrebbe esser questa, si bene di forma maschile. Ciò si deduce da quell’I che precede vixit, ultima vocale di qui. È vero che non si può sempre fare assegnamento sulle concordanze, ma la presunzione è in favore di queste. Ora supposto che si dovesse prolungare quel nome (per quanto possa parere strano) in RINIAmw, questa sillaba non par che si potesse portare a capo della seguente riga che GENOVA ( ITO ) vuol essere già accresciuta di Qui. Che se sembra che il nome cosi prolungato vada troppo oltre, si rifletta che anche 1 ultima riga non può terminare in queir A. Due sono 1 mesi che cominciano per questa vocale, Aprilis o Augustus. Oia non si può supporre tanta storditaggine nell’ autore, da non aggiungere qualche lettera per togliere 1’ equivoco. Di modo che questo inoltrarsi del nome RINIANVS mette assai bene per aver luogo a supplire dicevolmente anche le altre righe. stendendo, oltre l’Aprilis ovvero Augusti nell’ultima, la parola Requiescit nella prima, aggiungendo nella seconda le solite B • M, che dicono bonae memoriae ; nella quarta mettendo annos che col P in capo alla quinta darebbe benissimo la consueta formola qui vixit annos p. ni. (plus minus) : la clua* quinta riga si agguaglierebbe anche con somma facilità alle altre, tanto solo che si supponesse gli anni segnati in questa non essere soltanto i trenta che appariscono nelle tre X ma trent’ otto o trentanove. La R con sopra la trattina di abbreviazione di cui è traccia in capo all’ ultimo verso dà certamente la parola di formo a recessit e l’S che la segue, quando non si voglia attribuii e alla parola medesima, va interpretata per SVB preposizione che si riferisce alle seguenti calende. Infine il nome del mese non presentando, per la rottura del marmo, altro che l’iniziale A, rimane il dubbio se si debba leggere Aprilis o Angusti. Nel primo caso la data sarebbe il 18 di Marzo, nel secondo il 18 di Luglio: il che non c d alcuna importanza. Tutto il marmo perciò si potrebbe leggere distesamente cosi. ( 17\ ) GENOVA hic REQviescit iN PACE b • m qviRINIAnvs qrt VIXIT annos p • M • XXXviiii R S XV KL Aprilis Le due iscrizioni sopra riferite ci richiamano a quanto abbiamo già scritto nella nostra Raccolta (*), laddove provammo che il nome di Libarna passò al medio evo leggermente modificato, ed aggiungemmo che la Pieve di Serravalle-Scrivia portava il titolo di Plebs de Livorno o Linverno. Ora ci piace confermare anche questa asserzione con documenti che il cav. De-simoni nuovamente ci comunica. — ' « Il socio Prof. Alessandro Wolf viaggiò parecchi anni pel Tortonese e pel Piacentino di terra in terra, raccogliendo da ogni parte, ma specialmente dagli Archivi delle Curie, de’ Capitoli e delle Pievi , una grandissima quantità di estratti di documenti, atti ad illustrare la storia di quelle due Diocesi. » In quello dei due volumi manoscritti da lui compilati che riguarda il Tortonese, si trovano a pagine 94 e 95 due documenti che fanno al nostro proposito. » Pag. 94. 1295, indictione octava, julii 26. In Serravalle sub porticu domus Ecclesie Sa.ncti Martini. Dominus Guil-lerinus canonicus Plebis de Lynvmio consensu dominorum ipsius Plebis canonicorum investivit, ipsius Plebis nomine, ad fictum de petia terre vicentis in poderio Montiscuclii ubi dicitur in Valle etc. Pag. 95. 1490, februarii 12. In civitate Terdone, i'i porta (’) Atti, voi. III, pag. 236-37. GENOVA ( 172 ) dorata, in sala magna Palatii Communis Ter (ione. Dominus presbiter Petrus de Vicecomitibus, Archipresbiter Ecclesìe Sancii Stephani de Linverno de Serravalle parte una, et dominus presbite)’ Marlinus de Burgo . . ., se compromise) unt in dominum Antonium de Gentilibus et dominum Johannem Bai -tholomeum de Darnixio tanquam arbitratores etc. ( )• » Un terzo documento mi pare potersi indubbiamente attingere dal Liber Jurium, tomo I, col. 666, 695,691,719-20, 76J. Ivi sono gli atti di una causa vertente tra F Arcivescovo di Genova e gli uomini di San Remo, che comincia nel 1222 e termina con sentenza nel 1225. Gli arbitri in questa causa delegali da Papa Onorio III sono il Vescovo di Tortona ed i costui diocesani il Prevosto di San Martino di Gamundio (Castel-lazzo presso Alessandria), e Vicino Arciprete di Liverno (come è chiamato correttamente nell’ultimo atto a col. 769: sebbene nelle precedenti sia stampato per errore Livurno, Livorno, Luurno. » Si sa che le carte ecclesiastiche conservano a lungo i nomi e titoli antichi. Per simil guisa il Durando potè dottamente identificare parecchi luoghi del Piemente, il cui nome suona ora diverso. Vedasi per esempio il suo Piemonte Cispadano, pagg. 113-15, ove l’antica città d’industria nominata da Plinio è ben collocata nel piano tra le colline di Monteu di Po e la destra riva di questo fiume. E ciò non solo perche vi si son trovate rovine; ma in particolare perchè documenti e bolle nominano ivi Allustria, Dustrica, Plebs Dustne; e nelle investiture del Parroco di Monteu di Po la sua Pieve è delta Sancii Joannis Baptisle de Lustria ». (') Archivio della Curia Vescovile di Tortona. // TAVO LA IV. / / ;\ E N E I In FA ce : RIVIERA ORIENTALE ( 173 ) ALBARO RIVIERA ORIENTALE ALBARO 4 3. IRENE IN PA CE Questa iscrizione stava sotto la mensa dell’ aitar maggiore nella Chiesa di S. Giuliano in Albaro, ove tuttavia é il corpo della Santa. Di là fu rimossa per sostituirvene una moderna, e si trova ora nelle stanze del convento. Questa semplice epigrafe nella sua dignitosa concisione richiama subito alla mente i monumenti cristiani delle Catacombe. E tale è appunto la provenienza di questo marmo, che fu qui trasportato da Roma insieme al corpo della Beata Irene vergine e martire. Questa epigrafe noi mettiamo nel novero di quelle che d’ origine estranea alla Liguria, presero in essa stabile domicilio e per questo titolo divennero nostre. Il nome greco di questa RIVIERA ORIENTALE ( I 74 ) PIEVE DI SOR1 Santa, che significa pace, ne manifesta con probabilità la patria. Vedasene il facsimile nella Tavola IV, ridotto al quinto delle sue proporzioni lineari. PIEVE DI SORI % - 44. RODANVS PACE Venne da Roma anche questa, insieme al corpo del Santo martire di cui porta il nome; e si trova nella Chiesa arcipresbiterale della Pieve di Sori, incrostala nel muro della cappella allo stesso dedicata. Ricavo dall’ autentica che le sacre reliquie col detto marmo furono donate nel I7G4 al P. Carlo Pinceti d. C. d. G. Se da questo o da altri sieno state collocate in detta Chiesa è ciò eh’ io non saprei, né credo importante il sapere. Non so se la fretta abbia fatto dimenticare all’incisore la preposizione in, o se abbia creduto poterne fare a meno per amor di concisione. Vedi la Tavola V, dove il marmo è riprodotto nelle dimensioni di un quinto dal vero. Tavola V. o RODANVS PACE innn*- Tavola VI. lUVIEnA ORIENTALE ( 175 ) RUTA RUTA 15. HIC REQVIESCIT IN PACE B M•IOHAN NES QVI VIXIT PLVS MINVS AN NOS XXXIIIII ET TBANSIIT SVB DIE IIII KAL OCTOBRES FAVSTO IVNIORE VC • CONSVLE « Nella Chiesa parocchiale di S. Michele di Rua (o Ruta) nell’ orientai Riviera è un1 urna di marmo collocala sopra un altare a mano manca di chi entra nella Chiesa, ed in quello si conserva il corpo del beato Martire Giovanni, colà venerato con festivo culto nel mese di Settembre. Presso l’altare in cornu Epistolae vedesi incassata nel muro una lapide rozzamente scolpita in marmo e dice come appresso » ecc. Cosi il dotto P. Spotorno nel Giornale Ligustico, anno 1827, pag. 84. In seguito all’ esatta relazione del eh. Ab. M. Remondini, questa notizia vuoisi correggere dove dice a mano manca, dovendosi invece dire a mano destra. Aggiunge quindi lo stesso Spotorno che le copie di questa iscrizione, che giravano prima, erano imperfette e che egli recatosi sul luogo in compagnia dell’ avv. Cristoforo Gandolfì nel 1816 , avendo diligentemente ripulito il marmo dall’ imbiancatura che vi èra passata sopra, ne trasse la prima copia genuina. Emette pure il suo giudizio sul Console, di cui l’epigrafe presenta il nome, e perciò sull'età della < '7fi ) HU I A stessa ; ma qui credo che è facile vedere come non siasi appos al vero, quantunque non mostri di dubitare punto ec a ^ asserzione. Egli dice che Fausto il giovane fu Console nc^ Io non so su quali Fasti si sia fondato , perchè i nomi ( e ^ soli che corrono in quest’ anno, sono Lucio Aronzio 1 Anicio Paolino. Un primo Fausto fu bensì trovato all anno ma l’Oderico nella sua dissertazione suH’epitafio di^ an i ^ noi pubblicata ('), e toccando occasionalmente dell epig ^ questo Giovanni, prova che i veri nomi del supposto ^ Fausto Paolino Console del 325, sono M. Giuri0 Ceson Nicomaco Anicio Paolino. Ma dato ancora e non conC<3^° Q jj avesse pure il nome di Fausto, rimarrebbe tuttavia i . v ultimo era principio che in quella moltiplicità di nomi , 1 ^ quello che s’invocava nei monumenti, come a seguito autorevoli Archeologi afferma il MalTei. Ora e in Cassio o ■ n mieli anno, negli Atti del Concilio Niceno, celebrato appunto in 4 Q(je_ si nomina il Consolato di Paolino e di Giuh«>n0- 2 4-90 omo neo poi assegna l’iscrizione di Giovanni all’ anno piavi0 l’anno 153 dopo la morte di Costantino;, nel qual ann°vrel)be Avieno Fausto fu veramente Console in Occidente, a . i /8^ in Aini('lu avuto un predecessore dello stesso nome nel ^ ^ Fausto, unico Console in quell’anno. Quello del *' ' v t'ilc qudii ratori è chiamato juniore; e noi l’accettiamo Pei ’ v0]taj tunque quello dell’ 83 si potesse chiamare juniore alla sua rispetto ad altro Fausto più antico, cioè del 4-38. ^ Che questo Giovanni morisse martire si sarà dedotto^ tradizione ; ma nell’ epigrafe non vi ha cenno alcuno La sua morte cade ai tempi del regno di Odoacre , | benché Ariano, si sa essere stato moderatissimo e nl ojta festo ai cattolici. La storia però di quel tempo è cosi a C) Vedi innanzi al num. 1. RIVIERA ORIENTALE ( \ 77 ) RUTA nelP oscurità, che sarebbe temerario l’affermare o negare una cosa di tal fatta. Anche sotto un principe equo ed umano, si possono incontrare degli agenti inferiori che spingano il loro zelo al di là delle viste del padrone; come pure vuoisi anche osservare che in un signore barbaro non tutti i momenti sono eguali e che un’ora di mal umore può lasciare dei segni ben funesti. Dice pure il P. Spotorno che è' notabile il monogramma di Cristo, ossia Labaro, scolpito al principio dell’epigrafe, potendo giovare a decidere qual fosse la vera forma di quell’ insegna memorabile cotanto nella storia di Roma e della Chiesa. Per amor del cielo, che cosa vuole imparare da una pietra rozzamente scolpita, com’egli riconosce, e scolpita in Occidente? A propriamente parlare, il monogramma non era il Labaro, ma era impresso nel Labaro ; e Labaro e monogramma si vedono così comunemente nella serie metallica, che non mi pare occorra attinger lumi da un monumento si poco acconcio come è questo. D’altra parte il monogramma di Cristo, formato dalle prime due lettere greche di esso nome, cioè X e P, fu adottato anche in antico, non come Labaro, ma come simbolo di Cri. stianità, sotto il quale aspetto si usa in buono stile tuttavia. La copia che offriamo di questa iscrizione alla Tavola VI è tratta dal calco preso appena or Sono due anni dall’Ab. Marcello Remondini ; e per conseguenza possiamo dire di aver quasi sott’ occhio Io stato attuale della pietra. Le dimensioni sono di un sesto al vero. RIVIERA ORIENTALE ( 178 ) CHPARANA GEPARANA 16. QVAE VIXIT ANN PLM XXVIII DT EST D VIIII KAL OC TVBR III PC BASILI VG IND Vili tpnnto ,^?a ^6r [ac’s*m^e di questa iscrizione esistente nella lunor» iK- lat6,ii mapchesi Giustiniani-in Ceparana, del qual ffant 3 • fam° fatt° inenzione al num- 270 delle iscrizioni pa- ticahìlpCak** JJroCurata dall’ egregio cav. Luxoro e poi dall’ infa-rrinfQ r " em0ndiDi- secolo scorso esisteva invece nella vpdpri 1 (^e i antlc,llssima chiesa di S. Venanzio, ov’ebbe a tampnf arslon*'Tozzetti, che la pubblicò, sebbene scorretti ■ 6’ne t0m° ^ de’suoi Viaggi (pag. M). Manca del nome sroln f0.6 ° a CU* ^ de(^cata’ essendo decapitata la pietra ov’ é hj» * ’ ma 01 COn^Pensa coi dati, che ci fanno afferrare indu-crpno ®nte’ ^a sua età. Sappiamo il soggetto essere stato di nn r emmim,e’ da che chiaramente vi si legge QVAE VIXIT, l’ili h^11,6 ^uesta l)r,ma linea sia tagliata orizzontalmente nel-[Tp • pV,6^8 SU6 ^eltere- Visse dal più al meno ventotto anni. lrì v, reyazi°De di deposita. Deposita (est) nono Kal Octu-J ai 23 di Settembre. Segue IH P - C, cioè: nnfn d °-i °Sl ^‘onsu^aturn BASILI,- Yiri Clarissimi IN Dictione insiWf TV0 ^IUn’0re i’ultimo che uomo privato#fosse Co„“!° ° di Conso,e' Per™ girato l’anno del suo ao, ne essendo altri sostituito a lui, s’intavolò V uso PLMMYVIIIDP ESPD'VIUlHWlOC TV8R osserveremo che niun Nè la dÌ7ìnno S* conosce ne,,a serie episcopale di Luni. cristiana antichità cf^h ralTl'0nta,a con allri monumenti di semoliciià d» i- ra C0Dforme alla pratica ed alla semplicità de, secoli che precorsero al Mille. RIVIERA OCCIDENTALE ( 189 ) SAVONA RIVIERA OCCIDENTALE SAVONA 23. Al numero 88 della nostra Raccolta delle Iscrizioni Romane avevamo riportato dal Compendio di memorie storiche del Monti la seguente epigrafe, come già esistente in Savona, osservando che a prenderla come sta era impossibile accettarla per sincera. C•GELLIVS ■ CFR PONTIFEX. MAX UH ■ 1D • DECEMBRIS V • A • LI Inutile ripetere le incongruenze che in essa rilevammo per emettere cpiel giudizio. Ora siam lieti di poter offrire di RIVIERA OCCIDENTALE ( 190 ) ALRENGA questa epigrafe una tutt’altra lezione, che la rende normale di strana e inammissibile che era, e di gentile la converte in cristiana. Questa lezione ci é comunicata come ritratta da un MS. che è presso il socio cav. Ab. Francesco Caorsi a Savona, proveniente , dicesi, dal Belloro. C . GELLIVS • C •F V • A • P • M • Li DEC • HI! • ID • DECEMBRIS La nomenclatura quadrerebbe anche ad un’epigrafe pagana; ma le forinole seguenti Yixit Annos Plus Hinus e DECe-s-rò sono comuni alle cristiane. ALBENGA 24. CONSTANTI Y1RTVS STVDIVM VICTORIA NOMEN DVM RECIPIT GALLOS CONSTITVIT LIGVRES MOENIBVS IPSE LOCVM DIXIT DVXITQVE RECENTI FVNDAMENTA SOLO IVRAQVE PARTA DEDIT CIVES TECTA FORVM PORTVS COMMERCIA PORTAS CONDITOR EaSTRVCTIS AEDIBVS INSTITVIT DVMQVE REFERT ORBEM ME PRIMAM PROTVLIT VRBEM NEC RENVIT TITVLOS LIMINA NOSTRA LOQVI ET RABIDOS CONTRA FLVCTVS GENTESQVE NEFANDAS CONSTANTI MVRVM NOMINIS OPPOSVIT Questa epigrafe che si trova affissa al muro nel portico di casa Costa-Balestrino in Albenga, appartiene al secolo V ; è CONSTANTI VIRTV S SIVDIV/MVICTORIA NOMEW DV/ARECIPITGALLO S C0NSTI7Y1TUGVKES MOEKIIBV5IPS H.OCVMDM DVXITOYEREC.ENTI FVNDAMENTASCXO IVRlACXVfPAKTADEDIT CIVESTECIAFORVMPORm COMMERCIAPORTAS CONDJTOREXTRVCTI.Sa’EDIBV.SINSTITVIT DVMCXVER EEERTOR.BFM M EPRllAAfAPROTVLITVR BEM NJECREMVIITITVIOSE1MIMAW05TRALOOVI fTRABID OSCONTR AFLVCT VSCEHTESaVEWEFA WDAS COWSTAKjmvRVMNOM(NlSOPPOSVIT . _ _ _ ----- - _ —------- ------------------- — . ~ Tavola X. RIVIERA OCCIDENTALE ( 494 ) ALBENfiA encomiastica di un Costanzo, che poi indagheremo chi sia, e rammenta i benefizi da lui fatti, come pare, alla città di Al-benga. Quantunque non v’ abbia espressione alcuna che la chiarisca piuttosto cristiana che pagana, pure il tempo e la persona encomiata non permettevano che si noverasse fra le pagane. Le diamo dunque cittadinanza fra le cristiane ; e'con ciò viene risposto al cav. Rossi che nell’ Appendice alla sua Storia d’Albenga (pag. 377) pare brami sapere la ragione per cui non la mettemmo nella Raccolta delle Iscrizioni Romane. L’ epigrafista, che si può supporre albinganese e del-l’epoca, preso al sentimento della riconoscenza pei benefìzi compartiti da quel personaggio alla sua patria, versò in poesia la piena del grato suo animo e della sua ammirazione in questi cinque distici, i quali, a dir vero, presentano un’onda di verso franca, armoniosa e ben sostenuta più di quello che porterebbe l’età; quantunque poi per la lingua, la frase e la chiarezza delle idee non si possa dire altrettanto. Ma se questo componimento non è al tutto immune dalle macchie del mal gusto dominante, e barbarica è la forma dei caratteri, trionfa però sugli altri dì quel tempo. Il soggetto di questa epigrafica poesia si manifesta alla prima parola, cioè CONSTANTI. Guardiamoci dal prenderlo per dativo*di Constans, che riclama in contrario la sintassi. Qui si richiede un genitivo sostantivato dei nomi che seguono virtus, studium etc. È dunque genitivo colla desinenza con tratta in luogo di Constantii. Abbiamo dunque un Costanzo, ma quale? Non è 1’Augusto Costanzo, figlio del grande Co-tantino, molto meno il suo avo Costanzo Cloro; è un altro Costanzo, della cui storia accenniamo brevemente i principali tratti, da cui emerge che a lui si appropria 1’ elogio. Questo Costanzo, personaggio non barbaro, ma suddito dei Romani, era nato nell’ Illirico in Panese, ossia Naisso, cittadella ? ■* RIVIERA OCCIDENTALE ( 192 ) ALBENGA Dacia novella. Da giovinetto avea servito gli eserciti romani sotto Teodosio il Grande e per varii gradi era giunto ad avere il titolo di Conte. Regnando in Occidente l’imperatore Onorio un ribelle, per nome Costantino, avea sollevato gran parte delle Spagne e delle Gallie e ne aveva usurpato il comando. Onorio Panno 4M intavolò una spedizione contro I’ usurpatore, e ne affidò il comando al Conte Costanzo. La scelta non poteva essere più felice. Egli era uomo che riuniva in sè consiglio, coraggio, moderazione, maestosa figura, tutto che si richiede a imporre rispetto e ad ispirare fiducia. Andato in Gallia, prima battè Geronzio, già fautore di Costantino, che poi si era rivolto contro di lui ed avea proclamato imperatore un Massimo; quindi pose P assedio ad Aries ov’ era Costantino, e dovette sostenere un fiero assalto di Edobico, generale di esso Costantino che veniva in suo soccorso; ma lo sconfisse, prese Arles ed avuto in mano Costantino, per ordine di Onorio lo fece decapitare. L’anno 414 il Conte Costanzo fu promosso al Consolato in Occidente, mentre in Oriente era assunto alla stessa dignità Costante generale di Teodosio II. Sotto quest’anno il Muratori nei suoi Annali dice: « Che poi Costanzo Conte anche in altre maniere attendesse al bene dell’ Imperio si può raccogliere da un’ iscrizione di Albenga da me data alla luce (697. 3). Si rileva da essa che Costanzo ristorò e fortificò di mura una città (verisimilmente Albenga stessa) con porte, piazza e porto. Né può questo applicarsi a Costanzo Augusto figliuolo di Costantino il Grande; ma sì bene a Costanzo Conte, avendo egli ritolta parte della Gallia a varii tiranni ». .Costanzo ebbe poi il titolo di Patrizio, e nel 417 fu fatto Console per la seconda volta, avendo a collega lo stesso Imperatore Onorio. Questi nella solennità della presa di possesso, #• RIVIERA OCCIDENTALE ( 103 ) albenga gli diede la mano di sua sorella Galla Placidia, la quale, forse per alterigia, vi si prestò alquanto malagevole. Nei Fasti Consolari a quest’anno Costanzo è nominato Cesare: il che vuol dire che o in quella solenne occasione o qualche tempo prima era stato promosso al Cesarato. Da costoro nacque Valentiniano che fu Imperatore, terzo di questo nome. Nel 420 Costanzo fu Console la terza volta, e 1 anno appresso fu dichiarato Augusto e associato all’Impero; ma sei mesi dopo mori. DVM RECIPIT GALLOS sono le sole parole su cui poggia tutta l’ipotesi che il soggetto dell’iscrizione sia questo Costanzo; come l’essere stata la pietra (a quel che si dice, giacché ora è in casa privata) incrostata ad un antico ponte in Albenga, lascia credere che questa sia la città in essa indicata. DIXIT e DVXIT, PORTVS e PORTA, ORBEM e VRBEM sono quei giuochi di parole che agli orecchi dei poeti di quel tempo formavano tanta parte di eleganza, e preludevano alla futura moda dei versi leonini. MOENIBVS IPSE LOCVM DIXIT. — Se la città esisteva, il luogo delle mura era già bello e disegnato; ma forse quel DIXIT allude al decreto che le ordinò, e forse chiama recente il suolo perchè nuovo a quella costruzione. IVRAQVE PARTA DEDIT potrebbe significare che Costanzo confermò agli Albinganesi qualche privilegio acquisito. Tutto il terzo distico poi, se si avesse da prendere come suona, indicherebbe una città fondata intieramente ove prima non esisteva. 1NSTITVIT TECTA, cioè le case, per sineddoche, ed anche i cittadini : CIVES etc. PORTVS. — Questa voce nelle circostanze in cui si trova, sì può prendere per genitivo di commercia, i commerci del porto; oppure per accusativo plurale; e ciò lascerebbe supporre che Atti Soc. L?g. St. Patria, Voi. X!. 14 RIVIERA OCCIDENTALE ( '194 ) ALBENGA Costanzo avesse ristorati altri porti ancora, benché 1’ epigrafista faccia risaltare in modo speciale la sua città : ME PRIMAM PROTVLIT YRBEM. E tutto questo verso, a interpretarlo il più benignamente possibile, si può tradurre cosi : E mentre rinnova il mondo, me prima città pose in luce. Prima si può intendere o per la precedenza del tempo fra le altre città ristorate, o per privilegi o per magnificenza. Il pentametro poi che si accompagna a questo esametro par che voglia dire che il suo eroe non vietò che iscrizioni e monumenti rammentassero i suoi meriti. Le parole, letteralmente prese, si prestano a doppia costruzione ; per cui (sempre benignamente interpretate) possono significare che egli permise che i monumenti parlassero per mezzo delle iscrizioni, o le iscrizioni rendessero loquaci i monumenti. Ad ogni modo 1 e-spressione latina é abbastanza strana; ma appunto per questo non discorda affatto dal suo tempo. Infine se noi cerchiamo il nominativo di quell’ ultimo verbo OPPOSVIT, troveremo dover essere lo stesso che presiede a tutti gli altri verbi, cioè Constantius; e perciò qui si viene a dire. Constantius opposuit murum nominis Constantii contra etc. II nome poi di Costanzo poteva bene incutere timore e rispetto ai barbari; ma quanto ai flutti non serviva certamente il muro poetico del nostro epigrafista. Abbiamo qua e là esaminato alcuna espressione, per mostrare che nell’ anfibologia e nell’ oscurità del concetti, nei bisticci, nelle parole tirate a senso già un po’ diverso da quello che avevano prima, si riconoscono i caratteri del gusto dominante in quell’età, contro al sospetto che l’iscrizione possa essere stata un’ esercitazione rettorica di tempi posteriori. Yeggasi la Tavola X ov’ essa è prodotta al decimo delle sue misure lineari. f +HIC [\ EdVI E S CIIIN PAt E B'M< H 0 N 01WAC LAM S SI M AET i PFCONIVNXTZITTANlCOMimi&QVAEV/XITlNHOCSAEO \ ANN'Xi DEPOS-ESTSVpD‘KAbFEbftIND‘PKIMA IMPETO» J D'NiVSTINIPP AVG'A NÉOT E 1\T IO t f + -4? 'f/f i ^0G0TErEPvDMOMNPM£TIHM'XP‘NAtAl\ENVNNEMETANCASNEGEPVLCPsVMMEVM /J ^ VIOLI5NAMANT£T|Ì>VNALA£TERNIIVDlCI5MFCVMCAV5AMDICJSt 0 $> + ://\ RIVIERA OCCIDENTALE ( *9"> ) ALBENGA 25. f HIC REQVIESCIT IN PAGE B • M • HONORATA CLARISSIMA ET P • F • GONIVNX TZ ITT ANI COM • ET TRIB • QVAE VIXIT IN HOC SAEC • ANN • XL • DEPOS • EST SVB D • KAL • FEBR • 1ND ■ PRIMA IMP • ET CONS • D • N • IVSTINI PP • AVG • ANNO TERTIO f f f ROGO TE PER DAI • OMNPM • ET IMM • XM • NAZARENVM NE ME TANGAS NEC SEPVLCRVM MEVM VIOLIS NAM ANTE TRIBVNAL AETERNI IVDICIS MECVM CAVSAM DICIS f f Trovasi questa lapide nell’ atrio di casa Peloso-Cipolla in Albenga. La riporta il Muratori (429. 2), e ne cita le prime quattro righe l’Oderico ne’ suoi manoscritti che sono nella Biblioteca della R. Università (voi. V, pag. 41). In questa epigrafe abbiamo tre dati cronologici, cioè l’indizione prima, e dell’Impero e del Consolato di Giustino l’anno terzo. Due furono gl’ Imperatori di questo nome : il primo che regnò dal 518 al 527, il secondo dal 565 o 66 al 578. Al primo non si possono applicar questi dati, perchè primieramente egli non assunse il Consolato che due volte e interpolata-mente, cioè nel 519 e nel 524; quindi perchè l’indizione prima cade nell’anno sesto del suo Impero. Neppur pel secondo Giustino corrono al tutto liscie le cose; ma non v’è fra di esse tanta discrepanza da non poterle comporre. Stando al-1’opinione più probabile sostenuta dal Baronio, dal Noris e dal Pagi, a cui sottoscrive il Muratori, che mettono il principio del suo Impero ai 13 o 14 di Novembre, l’anno III corrisponderebbe all’ indizione XV. Però vi sono antichi scrittori, come riviera occidentale ( 196 ) ALBEMOA T autore della Cronica Alessandrina, Mario Aveticense , Vittor Tunonense ed altri antichi citati dal Muratori, i quali portano questo avvenimento all1 anno seguente. A noi, senza voler dare alcuna importanza a questa opinione, basta di notarla, perchè, se non altro, serve a provare che qualcuno potè seguirla nell1 usurpare le note cronologiche. Quanto poi all1 anno del Consolato, ecco ciò che occorre premettere. L1 anno 541 in cui fu Console Flavio Basilio giuniore, si chiuse la serie dei Consoli. Ma Giustino II salito sul trono, subito si propose di ristorare la dignità del Consolato, come ci fa sapere Crippo nel panegiricio poetico di questo Imperatore : ...............nomenque negatum Consulibus consul post tempora cuncta novabo. E infatti prese il titolo di Console e lo ritenne sino alla morte, che fu l1 anno XII dopo il suo Consolato. Questo costume fu poi seguito dai suoi successori fino alla morte di Eraclio avvenuta Tanno 641. Dopo di che non ne apparisce più vestigio. Ora siccome Giustino II assunse il Consolato nel 566, al 68 correva l1 anno terzo di tal dignità. L1 indizione I era cominciata nel Settembre del 567, dunque nel Febbraio del 68, in cui cade la morte del nostro soggetto, continuava la stessa indizione. L1 anno 568 inoltre si poteva chiamar terzo del suo Impero, poggiando sull1 opinione che Io fa cominciare nel 66, ma, anche ammesso il principio alla fine del 65, il quart anno non sarebbe cominciato che alla metà di Novembre, ed il monumento è del 1.° Febbraio. Per queste ragioni noi possiamo comporre in Giustino li le tre note cronologiche , ed assegnare la morte di questa illustre matrona al \.° Febbraio del »68. Il P. F. della seconda riga sì vuol leggere Pia o Piissima Foemina. COM. Comitus. TRIB. Tribuni. IHM XM sono abbreviazioni di Jesum Christum. Due volte poi s incontra I lUVIERA OCCIDENTALE ( 197 ) ALBENGA ove anelerebbe E, cioè VIOLIS e DICIS invece di violes e tlices. Non ci è certamente da scandalizzarsi per tali errori nel latino di quel tempo. Vedasi la Tavola XI, in cui l’epigrafe si ha ridotta al decimo delle misure del marmo. 26. f HEC TIBI EGO MARITVS......M • QVOTeGITVRIVA • MEMBRA IMRERES • XPE • INCLIDE.....NIME • NOSTRE COD UBI EGO MARINACES • VVRABR.........NNOVAVI..... Questo avanzo d’iscrizione si trova affisso al muro nel portico del palazzo Peloso-Cipolla in Albenga. L’Ab. Remondini, che la copiò esattamente dall’originale il 17 Dicembre 1874, afferma che è quasi inintelligibile ; e ci volle tutta la sua abilità a cavarne ciò che qui riproduciamo. Oltre al guasto materiale, 1’ epigrafe si vede essere all’ infimo grado sotto 1’ aspetto della grammatica e dell’ ortografia. Il vuoto che è nel mezzo della prima riga si potrebbe riempiere con queste o simili parole : extruxi o fieri feci sepulcruM. Dove è IVA non ci dev’ essere difficoltà a riconoscere che quell’ I in origine fosse un T. Questa lettera si faceva talora colla linea trasversale cosi piccola, che appena si poteva vedere; ed in molti monumenti è scomparsa per la corrosione della pietra. Può aneli’ essere sfuggita alla diligenza dell’ incisore. Ma si vede chiaro che qui si ha bisogno di TVA da unirsi a MEMBRA. Se il nominativo discorda dal verbo in numero — TVA MEMBRA TEGITVR — fa d’uopo passar sopra a quest’innocente abbaglio; tafìto più che in greco è fior di lingua RIVIERA OCCIDENTALE ( 198 ) ALUENGA che il neutro plurale goda del verbo singolare. E anche quel HEG del principio bisogna che se l’intenda con SEPVLCRVM. La prima parola della seconda riga che a stento si legge, dovrebb’ essere martyres ; e la parola che segue, XPE, sarebbe P abbreviazione di Christi. Di quell’ INCLIDE poi non saprei che fare se non leggervi inclyti : a meno che non si voglia concordare con le parole clic seguono, cioè aNIME NOSTRE. COD vale quocl. Il marito, che parla nell’ epìgrafe, torna all’idea del sepolcro; ed il quoti sarebbe l’accusativo del veibo iNNOVAVI. Infine le terza riga ci presenta due strane parole, ma siccome queste vengono dopo EGO, io non avrei difficoltà di prenderle per due nomi di questo marito autore del monumento. Si vegga la Tavola XII. Riduzione al decimo delle misure lineari. 27. HIC REQVIESCIT Bonae Memoriae HELIADES HOC TE PETIMVS XPE VT AVXILIARE DIGNERIs .... IC I . . . TVAE .... YOCAR................... ERIPE EAM DomiNE.......QV.....IT DIEBVs VITAE SVAE VT I............ VITA MISERICORDIA SVA ,........... LIBERA EAM XPE DE ORE DRACONIS INTRODVCERE DIGNERIS IN LOCA BEATITV DINIS TVAE • ANTECEDAT PIETAS TVA QVIA IN VITVTE (ne) A TE SVA PERMANSIT IN AMORE TVO ÀNN......DA EI DomiNE IN FVTVRA VITA QVOD ... TE PETIEBAT IN PRESENTI ... NE RETRIBVAS .....IM SVA FACINORA SED TV REQVI .......DIGNARE V 4 •, t < i/"' 11 ; , i i HlCRVOViESC? BM HELIADES H0CTPUAV5Xi;E YA/XIUA REDICE RI ^ A ■ I 1W yorADk " - h ■ «/////nru ' eripeeamow 1 ovvi : \vv0.....T,ir DIEBJ>VIT\E9VAEVT>*'V^ v x. VI TAM! SE RICORDI A S VA UBERAEAM^T DEOPEn^ACOM ! S^ ^’fc ' INTRODVC E fi DIGNERISINLO CA B E A TIT V-DIN IS T A E ^ AJNFCEDAT PITAST\A ©VI AI N VIT V "EAI,S\APERMM Si T iNAMOR IVO ,1nN DAETDNEINFVTV?AJITAOVOD (/ l'EIEBA.TIN>RE5KTI NERIRTBXAS, ' SEDTV KEQVl DlGNARf . Iti VIIillA OCCIDENTALE ( 199 ) ALBENGA Questa lapide è riferita dal Navone come già esistente nel-F antica chiesa di S. Calocero alla Doria. Il Rossi, che dal Navone la derivò nella sua Storia d’Albenga (*) , si lagna di lui perchè non indicò dove si trovi al presente. Ora il nostro chiaro socio, l’Ab. Marcello Remondini , l’ha trovata smossa nel portico del palazzo Peloso-Cipolla e ne ha tratto il calco il I 7 Dicembre dello scorso anno I874. Si confronti il nostro fac-simile alla Tavola XIII (le cui proporzioni sono ridotte al quinto del vero) con quello del Navone e ne appariranno le differenze , che non fanno l’elogio dell’esattezza di lui. Ciò che di questa iscrizione rimane è tutto leggibile. Noi 1’ abbiamo posta a capo di quest’ articolo in iscrittura piana, il che equivale ad ogni altra illustrazione. Essendo un’ epigrafe al tutto deprecativa senz’ alcun dato storico o cronologico, non vale la spesa a tentare di riempierne le lacune. 28. .... E MISERTVS . . . AS ANCILLE TVAe qvae vixit pi. M • ANN • L . . . RECEP .......INDICTioae . . . O VOS OMNEs qvi transitVRI ESTIS PER DevM PATREM pei filiVM Del ET SAnCtvm • SPIRlTvm . . HOC SEPVLCRVM NE VIOLA RE PRESVMAT Non possiamo fare grande assegnamento sull’ esattezza di quest’iscrizione, perchè l’abbiamo dal can. Navone, il quale (’) Navone, Ingannici, voi. Il, pag. 125; Rossi, Storia della città e diocesi di Albenga, pag. 383, num. 4. RIVIERA OCO1DENTA L E ( 200 ) CONTADO DI NIZZA non dice o\e si trovi, accennando soltanto essere stata un tempo nell antica chiesa di S. Galocero. Di questo difetto si lacna pure il Rossi nella precitata sua Slot'ia di Albenga (*). -■on tante lacune che presenta e sul dubbio, che è quasi ceitezza, di a\er sotto gli occhi un testo infedele, non oc-corie pto\ait,i a ristorarla. Per esempio, quell’ AS si potrebbe -upporn e^seic stato nell’originale AE desinenza di animae. a AI che precede la sigla L (cinquanta) ci suggerisce le paro e che doveano precedere cioè quae vixit plus M inus ANN os L. parola che segue voleva essere RECEPrò (in luogo di recessi!) , forinola consueta che precede l’indicazione della morte, viu per disgrazia non abbiamo altro che INDICT : ciò che più ileiesserebbe, cioè il nome dei Consoli o altra indicazione ronoloDica, se era posteriore al Consolato, o non era indicato o peri per invidia dei secoli. O VOS OMNES qui transiti RI ,pTIS l>ER PAI REM per filini Del ET SAnCtum IRITwm eie. La sintassi o vos non presumat é uno dei gioie li del tempo, quando non ci abbia la sua parte di merito il can. Navone. CONTADO DI NIZZA 29. P HIC REQVIESCIT RONAE MEMORIAE SPECTABILIS EX PECTAT VS • VIXIT ANNOS L • MEN • VII • CVIVS DP EST SVB DIE Vili KAL IVNII DN LEONE IVNRE VC • CS. (') Navone, loc. cit.; Rossi, Op. cit. , pag. 382, num. 3. riviera occidentali: ( 201 ) CONTADO DI NIZZA Abbiamo questa epigrafe dal Paganetti nel suo Supplemento alla Storia Ecclesiastica della Liguria (voi. II, car. 84 verso, num. 21), che la registra come esistente nel Contado di Nizza. Prendendola coinè sta non manca d’importanza, perchè porta la data precisa del suo tempo e perchè chiarisce un punto dubbio di storia. Ed ecco qual è. L’anno 474 mori Leone I imperatore d’ Oriente e mori, secondo la testimonianza di Teofane , in Gennaio. In detto anno fu Console un Leone Augusto; ma fu egli, il detto imperatore, che mancò al principio dell’anno. quegli che assunse il Consolato, oppure vedendosi già preso dal morbo che lo condusse alla tomba, nominò il nipote del medesimo nome? V’ha fra i moderni chi cita questo Consolato sotto il nome di Leone Augusto per la VI volta, e questi sarebbe il seniore. Al contrario il Muratori, senz’accennare altrimenti a dubbio alcuno, ci dà per Console di quest’anno il giovane Leone figliuolo di Arianna figlia del detto imperatore e moglie di Zenone Isauro. Se vi fosse dubbio sul Consolato di Leone giuniore, questa lapide lo torrebbe. Questo imperatore fanciullo poi non giunse alla fine dell’ anno. La malvagità di Zenone fece che venisse ammessa l’opinione ch’egli ne avesse accelerata la morte per impossessarsi della corona. L’epigrafista, per fare una bella cosa, al nome del soggetto che è EXPECTATVS ha accoppiato un epiteto di elogio, cioè SPECTABILIS, onde ne risultasse un giuoco di parole: cose che fanno fortuna in tempo dì gusto corrotto. DP Depositus. Vili KAL 1VNII : 25 di maggio. VC CS: Viro Clarissimo Consule. SETTENTRIONE ( 202 ) CREM1SNO SETTENTRIONE CREMENO 30. CRVSER OTI FILIO BENEME RENTI MATER FECIT IN P ACE Questa pietra sepolcrale stava già nelle Catacombe di Roma; ora è nella chiesa parrocchiale di Crerneno in Val di Polce-vera. Essa consta di due pezzi, i quali erano stati congiunti per formare il monumento al Santo martire, di cui porta il nome, e ricevere l’iscrizione, la quale veniva distribuita di qua e di là nelle due parti come si vede a colpo d’ occhio nella Tavola XIV, dove essa è prodotta al decimo delle sue CRVSER BENE Mi: MATFH IN P OjflflUO REHTI ftcìr AC F wpoooci ~'cooC OÒD SETTENTRIONI! ( 203 ) CREMENO dimensioni lineari. Queste due parti, non si sa nè quando nè come, ma forse per franamento , si separarono 1’ una dall’ altra e presero diverso cammino per poi ricongiungersi contro ogni aspettazione, per non più separarsi, come è lecito sperare. Nel 1839 il sac. Andrea Grasso, allora parroco di Cremeno ed ora canonico nella Collegiata di N. S. del Rimedio, trovandosi a Roma, ottenne per mezzo del cardinale Lambruschini questo corpo colla sua ampolla del sangue e l’iscrizione in pietra, per portare al suo popolo un sacro pegno ed esporlo alla pubblica venerazione. Nel decreto autentico rilasciato insieme alla consegna del sacro deposito al Parroco di Cremeno da monsignor Giuseppe Castellani Prefetto Sacrista e Vescovo Porfi-riense, si leggono fra le altre queste parole : Corpus v. Oti-fili martyris nominis proprii cum vase sanguinis et lapide marmoreo hanc epigraphen exhibente OTI FILIO RENTI FECIT ACE. E nello stesso decreto è concesso il privilegio dell’Uffizio e della Messa. Il corpo del Santo martire fu deposto nella detta Chiesa parrocchiale al primo altare a destra entrando ; la lapide fu murata lateralmente in cornu evangelii, e dalla parte opposta fu in altro marmo scolpita la storia di quest’avvenimento. Come si vede, la lapide consegnata col corpo non non era che la mèta, la quale presenta la finitiva delle righe e rimane alla destra di chi legge. Non sembrerebbe credibile, ma pur questo Santo d1 allora in poi ebbe culto sotto il nome di Otifìlio; e Otifilio ripete la lapide commemorativa del fatto. Siccome io andava razzolando materia per questa Collezione, il eh. Ab. Marcello Remondini mi fece pervenire copia di quest’ iscrizione. Stupii al vedere una tale stranezza, e non seppi allora, nè so ancora adesso, se quel nome fosse stato così abborracciato per ignoranza, o se per qualche norma che prescriva di stare a ciò che si trova scritto. Ma se a quelle reliquie che si trovano senza nome, se ne assegna uno qualunque, SETTENTRIONE ( 204 ) CREMENO il che volgarmente si dice battezzare, mi par che meglio va lesse comporre un nome dativo cadente in OTI, che fai assoi bire da questa desinenza ed incorporarsi la parola seguente i n.io che sta pur da sè. In qualunque modo poi andasse la cosa, siccome era chiaro che non si aveva altro che una metà del r iscrizione, perciò io mi rivolsi all’illustre comm. Gio. Batta De Rossi, che è l’oracolo dell’epigrafia cristiana, per averne lume, mandandogli copia di questa metà. Ed egli non solo^nn si mostrò cognito di questa parte , ma mi seppe dire che 1 a ra metà si trovava nella Biblioteca del Re a Torino. Mi sommi nistrò anche un’altra cognizione, che cioè le due parti erano state separatamente illustrate da due insigni eruditi senza eie 1’ uno sapesse dell’ aitro, cioè da Costanzo Gazzera la Prim^ colonna, che era a Torino, da mons. Cavedoni di Modena seconda, di cui non so come venisse in cognizione. Egli con^ getturò che il nome fosse Niceroti o Anteroti. Non indovinai nome preciso, ma vide la cosa sotto il suo vero aspetto, lora interessai la gentilezza del marchese Giacomo Spinola ^ cui poco dopo piangemmo la perdita) il quale, alla sua esposto a S. M. il Re Vittorio Emanuele lo stato delle cose, ottenne dalla generosità sovrana che la sua parte dell iscrizion si andasse a congiungere colla sorella ed a compiere il monumento Così quel Santo martire, deposto il falso e ridicolo nome Otifdio, riprenderà il suo vero e genuino di Criserote. Ques è di formazione greca da aurum ed èpws, epwxo? amor, che torna lo stesso che aureo amore. Vuoisi notare uno glio ortografico. La lettera greca X essendo gutturale aspirata, vuol essere riprodotta in latino per CH. Del resto questo e nome proprio che si trova facilmente in epigrafia. Negli spazi laterali sono grafite due figure simboliche. A de stra di chi legge è un uccello che becca un grappolo d uva, a sinistra un arnese, in cui il comm. De Rossi riconosce un settentrioni; ( 205 ) lirarna secchio; ma il can. Grassi in una memoria letta alla Sezione Archeologica (*), in cui trattò del nome di Criserote, pensò invece di riavvisarvi una cista da riporvi il pane. E veramente questa consonerebbe meglio coll’uva; perché così avremmo tutta la materia remota dell’ Eucaristico Mistero. LIBARNA 31. Questo meschino frammento ci fu conservato dal Bottazzi nella sua opera Osser unzioni storico-critiche sui ruderi di Libarna (Novi 1815, pag. 173). Riportiamo le sue osservazioni che ci sembrano giuste. L’ avanzo dello scritto persuade che il marmo era lungo e stretto, e che comprendeva soltanto due righe. La croce ci mette subito sulla via di dichiararlo cristiano. Il principio del x \ (') Tornata del 12 aprilo 1872. Ved. il rendiconto inserito dal cav. Belgrano ne\V Archivio Storico Italiano, Serie Terza, voi. XVII, pag. oli. SETTENTRIONE ( 200 ) TORTONA E SUOI DINTORNI _________ nome IVS ci lascia supporre che questo fosse Justinus o Ju-stina. Ciò che riempiva il resto della riga saranno stati i dati della vita del soggetto, ossia gli anni vissuti e la formola decessit o depositus est o simile altra. E questa formola chiamerebbe per la seconda riga il nome dei Consoli. Siccome dopo 1 A si vede V avanzo d1 un’obliqua che non potrebbe appartenere che a un X ; ciò suggerisce al Bottazzi il nome di Mas-simino Erculeo che dal 287 al 308 sostenne ben dieci volte la carica consolare. Conchiude però che con cosi pochi dati tutto rimane incerto e dubbioso. TORTONA E SUOI DINTORNI 32. B f M HIC REQVIES CET IN PACE VIGILIA H P QVÀE VIXIT IN SECVLO AN P M XGL RS SVR DIE KS IANS PS CONS ETERVM LONGI NI ET FAVSTI VV CC IND’ XV Di questa iscrizione fu mandata copia per calco alla Società dal più volte lodalo cav. De’ Negri-Carpani La pietra originale venne trovata nel territorio Tortonese, presso a poco ove Tavola XV. SETTENTRIONE ( 207 ) TORTONA E SUOI DINTORNI lo stesso signore ebbe la ventura di trovarne altre parecchie, di cui o ci forni i marmi, o i calchi, o le copie. La posizione, egli scrive, « é per la più parte intorno alla giacitura della antica ed ora distrutta chiesa di S. Simone, cioè in prossimità della Via Postumia, che ora é la postale tendente a Voghera ». Che i Romani praticassero i sepolcreti lunghesso le vie pubbliche é cosa indubitata. Cosi facevano anche i Cristiani dei primi secoli ; poi adottarono l’uso di deporre i cadaveri presso le chiese. Che nel luogo di cui parliamo sorgesse già nel quinto secolo una chiesa, sarebbe difficile il provarlo ; ma neppure il negarlo avrebbe solido fondamento. L’iscrizione é intera, ma sente nella rozzezza dei caratteri la barbarie del tempo. REQVIESCET anziché prenderlo per futuro, possiam ritenere essere scritto erroneamente per requiescit. VIGILIA soggetto della lapide, è seguita da due sigle H P , le quali si possono interpretare per Inonesta Puella. Dopo SECVLO si vede un nesso di due lettere, A ed N, che significa XSnis. Infatti succede il solito plus minus in sigle P M. Dopo queste sigle segue la nota numerale degli anni, cioè prima un X e poi una specie di G che significa sei, quindi L e che sarebbe cinquanta. Non so che usassero ancora in quel tempo di mettere una cifra minore avanti ad una maggiore , per sottrarre da questa il valore di quella, come si usa adesso. In tal caso sarebbe trentaquattro. L’Ab. Remondini crede (e mi par che si possa essere con lui), che questo non sia altrimenti la lettera L ma due I, 1’ uno un po’ più lungo dell’ altro, e che per guasto o del tempo o dello scalpello sia venuta fuori quella specie di linea trasversale che unisce le due aste. E ciò apparisce tanto più probabile in quanto che le tre L che occorrono in questa epigrafe sono di tutt’altra forma di questa sigla. La somma SETTENTRIONE ( 208 ) TORTONA K SUOI EINTORNI perciò degli anni sarebbe di dieciotto. Quell’abbreviazione HS non può significare altro che Recessit; ed è al suo posto, indicandosi subito il giorno e l’anno della morte. E circa all indicazione del giorno, vuoisi osservare che è alquanto stiana e fuor d uso. lutti sanno che a cominciare dal \ 4 di Dicembre per esprimere il giorno corrente si computano i Oiorni che mancano per giungere alle successive calende ossia il primo dì di gennaio. Ogni giorno va scemando d’ una unita la ci fi a, finché giunto il 31 si dice pridie hai. Janna-im. Qui con quel SM3 DS KS IANS par che voglia dire nei Oioini sotto alle calende di gennaio. È possibile che l’autore ignorando il giorno preciso della morte, prendesse questo partito, come noi in un caso simile diremmo: presso al fine di icembre. Non si creda però che questa formola fosse inusitata in que’ tempi. Il Muratori all’ anno 269 degli Annali (alia cita un iscrizione dell’anno stesso in cui, fra le altre note cronologiche, ha DEPOSITA SVB DIE KALENDARVM . ^MBRIVM. Il soggetto dell1 iscrizione é I’abbadessa Giustina fondatrice di un monastero in Capua. La nota dell’ anno é cosi espressa : POST CONSVLATVM ivn RVM L0NGINI ET FAVSTI YIRORVM CLARISSIMORVM INDICTIONE XV. ETEREI per iierum è uno scambio facile a capirsi. Fausto ],£ °yO'n0 ^6r secon^a v°Ita furono Consoli l’anno del- 1 Yiir ^ in^‘z*one costautinopolitana di quest’anno é , che giunge fino al 1.° di Settembre; dopo il qual giorno comincia la XIV. Ora se dal i.° di Settembre del 490 • Settembre del 491, passiamo all’indi- li /0J morte di Vigilia cadde sul fine di Dicembre • , tunque in quei mesi correva l’indizione XV. Piut-oso ci ee far meraviglia il vedere come alla fine dell’anno non s. conoscesse il nome del Console, che si sa essere stato ---- . Tavo la XVI . i i 1! B M HICREQVyfSCfT INPACESEMDEfÀ I RA^VjvìXITAA/ pivsmnsxxxV RECE5SIT.SVB DIEIDVSIANV IVNio!{EVnes chrislianae urbis Romae, voi. I, nani. 876, pa- ShTTENTRION E ( 217 ) TORTONA E SUOI DINTORNI 39. ....A-QVAN .... ELISINNO MINE Queste parole sono incise, come attesta il cav. De’ Negri-Carpani, nella medesima lastra, ma nella faccia opposta a quella ove è incisa l’epigrafe num. 38. Anzi osserva che questa è più levigata e presenta traccie di più accurata quadratura. Ma non c’ è quasi nulla e non so come vi sia tanto spazio vuoto; a meno che la scrittura primitiva non sia stata abrasa per farne altr’ uso, e che a mezzo lavoro lo scarpellino abbia abbandonata quella faccia per attaccarsi all’ opposta. Del resto ciò che rimane è ben poca cosa e di niuna importanza. Il primo A è probabile che sia la finale del nome del soggetto di genere femminile o di qualche suo aggiunto, per es. honesta puella, femina piis sinici etc. Quae Xixit AN nos. È vero che tra l’A e l’N non ci andrebbe quel punto; ma già ne vedemmo altri esempi ai numeri 19 e 35. L’altra riga, scritta in carattere più piccolo forse di due terzi, ci presenta elisinno mine , lettere di stribuite, come si vede, in due gruppi. Cominciamo a levare elis che può essere parte di fidelis ; e ciò che rimane ci dà chiaramente in nomine. Veggasi la già citata Tavola XVIII. SETTENTRIONE ( 218 ) TORTONA li SUOI DINTORNI 40. b m in hoc loco reqviescIT in pace.....qvi VIXI t annos 1 r svB D PRIDE idvs ivnii HIC REQVIES cit in pace ALBINVS INNOX qvi viiit IN SEQVOLO ANNV s VI MES VI DIES XV_R SV D idvs IVLIAS SIMMACO VC C Ciò che rimane di questa iscrizione trovata nel Tortonese, e comunicata egualmente per calco del cav. De’ Negri-Carpani, lascia conoscere quanta parte e quanto importante manchi alla stessa. Si può ben supporre che quei due tronchi d aste che compariscono nella parte più alta alla destra siano gli gli avanzi delle ultime lettere del verbo requiescit, che piece duto dalle parole di formola in hoc loco riempirebbe bene la riga. La seconda nella parte mancante poteva contenere, oltre il solito in pace disteso od abbreviato, il nome del soggetto, e ciò sembra anzi indicato dal pronome relativo col suo verbo qui VIXIt. È vero che di qui non abbiamo altro che una parte dell'ultima lettera, e che a vixit manca il T finale; ma questo o é sfuggito all’ incisore o lo ha portato alla riga seguente . il qui è richiesto dal verbo. Al dissopra della riga che abbiamo ricostrutto per la prima, con tutta probabilità possiam suppone che ve ne fosse ancora un’ altra occupata dalle sciite sigle B M col monogramma iì nel mezzo. Abbiamo detto che il nome del soggetto doveva essere come SETTENTllIONIi ( 219 ) TORTONA E SUOI DINTORNI antecedente dinanzi al qui: alla sua volta il vixit doveva chiamare il numero degli anni vissuti da quello, ed occupare la prima parte della riga di sotto. Ciò che di essa comincia ad apparire sembra la frazione di un B seguita da un D ; le quali lettere potrebbero rendere sub die, e chiamerebbero innanzi a sè la parola recessit, che supponiamo espressa colla sola iniziale R, a cagione del poco spazio. Segue quindi quel PRIDE che è, come pare, invece di pridie ; e perciò gli dovea tener dietro o Kalendas o Nonas o Idus, a precisare il giorno della morte, occupando una di queste parole con quella del mese la prima parte della seguente riga. Or questa, presso a poco verso la metà, vien fuori con un altro HIC REQVlESaJ, di cui le ultime tre lettere erano probabilmente portate alla linea dissolto, ripetendo la formola in pace. Del resto vi poteva essere anche un’altra breve parola, come per es. puer, arrivandosi in tal modo sempre ad una competente lunghezza. Preferiamo puer ad un’altra parola per la sua brevità; benché potrebbe esserci stato infans; ma non usciamo dalla tenera età per consonare a quell’ INNOXms, che è titolo dato a questo secondo soggetto della lapide, ed equivale ad innocens, tanto sovente usurpato nella cristiana epigrafia. Cerio parrà strano che in una sola epigrafe si parli di due soggetti separatamente, colla storia propria di ciascheduno; ma di sopra abbiamo veduto che qui vixit non non può riferirsi che al nome di un soggetto, e qui abbiamo un nome, a cui doveva succedere un altro qui vixit da collegarsi colle parole in sequolo annu. Quest’ultima parola io credo che stia qui per annos, in cui 1’V sia stato barbaramente sostituito all’ 0 e poco men barbaramente trasportata la S alla seguente riga. Questa riga che supponiamo cominciar per quest’ S nel con- • fine della frattura presenta, come si vede, la frazione d’una curva v_kr'quale è di tal forma che non saprei ascriverla me- SETTENTRIONE ( 220 ) TORTONA E SUOI DINTORNI glio che a quella sigla che in quei rozzi tempi si adoperava a indicare il numero sei, e che si vede pur nella riga stessa ad indicare il numero dei mesi. Segue un gruppo di quattro lettere RSVD con una lineetta tias\ersale disopra per avvertire esservi abbreviazione. Io proporrei di legger cosi: RecesSft Quinto Die IdVs IVLIAS. Del- 1 ldus sopravvive a capo del verso seguente un resto del V e tutta 1’ S: Julias é bello e disteso. Ciò che non lascia luogo a dubbio è il nome del Console sci itto distesamente e scampato dalla rovina di tanta parte di questo marmo. Egli è Simmaco; ma il semplice nome senza 1 aiuto, almeno dell1 indizione, fa nascere il dubbio a qual dei quattio personaggi così denominati si debba riferire questo monumento. Sono consoli nel 391 Taziano e Q. Aurelio Simmaco. Nel 446 Flavio Aezio e Q. Aurelio Simmaco. Nel 485 Q. Aurelio Memmio Simmaco, solo in Occidente. Finalmente nel 522 Simmaco e Boezio. E pi imieramente non cercheremo di alzare la presente epigrafe sino al Consolato del 391, perchè lo stato di decadenza nei caratteri e nell1 ortografia à avanzato di troppo. I Consoli del 4i6 furono entrambi d’Occidente, e perciò non e da ammettersi che si nominasse l1 uno e si tacesse 1 altro, tanto più che Aezio pel suo valore e le sue geste riempiva del suo nome l’Occidente, ed in quest’anno sosteneva la dignità per la terza volta. Per simile ragione vogliono essere esclusi Simmaco e Boezio del 522; i quali furono fratelli, figli del famoso ed infelice Anicio Manlio Severino Boezio. Siccome la madre era figlia di quell illustre Simmaco che fu trascinato nella disgrazia del Oci.ero, così il maggiore de’ suoi figli, oltre ai nomi di famiglia, portò anche quello dell’avo Simmaco, l’altro quelli di _ _ SETTENTRIONE (221 ) TORTONA E SUOI DINTORNI Severino Boezio come il padre. Essendo entrambi in Occidente, essendo fratelli e perciò ugualmente noti, non si può ammet tere che vi sia ragione per cui 1’ uno fosse nominato col suo titolo di \iro Clarissimo e 1’ altro taciuto. Rimane pertanto che noi ci fissiamo sull anno 485, in cui vediamo esercitare il Consolato (e solo) in Occidente Simmaco. Q. Aurelio Memmio Simmaco è detto giuniore per distinguerlo dal Simmaco Console nel 446; il quale chiamandosi pure Q. Au relio, si vede essere stato della stessa famiglia; e non ci è nulla d’improbabile che fosse padre di questo che troviamo Console al 485. Vedasi la Tavola XIX. Dimensioni di un quinto al vero. 44. p b P M P in hoc loCO REQVIESCIT in pace cRESCENTIA que vixit in ssc aN SEPTE MEN decem dieb sex defON K AGVST ariovindo ET ASPARE vv cl coss L’originale si conservava presso l’antiquario Rosselli in Tortona. Parrebbe a prima vista che 1 M campeggiasse nel mezzo fra quelle due specie di monogrammi di Cristo, ma siccome esaminate bene le parole, e specialmente la prima e l’ultima riga, si riconosce che si dev’ esser perduta una pai te considerevole del principio delle righe per una rottili a a erti cale; perciò ci è lecito supporre che nella parte mancante si fosse trovato il B corrispondente all’ M per la forinola in sigle di Donde Memoriae. Quell’M isolata sarebbe un anomalia. SETTENTRIONE ( 222 ) TORTONA E SUOI DINTORNI 1 accompagnamento del B si dissipa l’anomalia e si riempie il uioto che rimarrebbe a scapito della simmetria'. La prima reliquia di parola CO ci comanda di supplire in ì>oc lo, e così si ha la formola comunissima in hoc loco requiescit. Al nome del soggetto non manca altro che un C a capo per fai Crescentia; ma per raggiungere la lunghezza della riga a sinistra e pareggiarlo alla superiore, rimane ancora tanto spazio da potervi allogare una parola. A riempiere siffatto spazio si può supporre che questa fanciulla avesse un altro nome oltie quello di Crescenzia; ma si potrebbe anche con più probabilità ammettere che precedesse semplicemente il titolo di puella o meglio ancora la solita formola in pace. La tersa riga ci lascia supporre, per ciò che resta, che cominciasse per yue vixit in seculo. Infatti segue un nesso di lettere, da cui si può cavare ANNIS in abbreviazione. Si noti clie l’S finale di annis serve di iniziale a SEPTEM, come l’ultimo M di questa parola é il capo di MENsibus di cui non abbiamo altro che la prima sillaba in fondo della riga. 11 re^to o era portato a capo, o inteso per abbreviazione. Dovendo riempiere la riga ho supposto arbitrariamente men clecem dieb sex. Presenta quindi qualche difficoltà ciò che Mene appresso, uscendo dalla rottura la frazione di una curva e quindi un N. Possiamo supporre che questa curva facesse parte di un 0, e che questa vocale appartenesse alla parola abbreviata DEFONcta con quell’errore ortografico non raro a que’ tempi. Infatti segue un V e poi una K quindi AGVST, il che non par che lasci dubbio a leggersi Quinto Kalendas Augusti, li che, come data della morte, si collega colla precedente parola DEFOXCTA. L’ultima riga finalmente esce dalla rottura con un ET a cui succede un nome proprio. Questa congiunzione ci dice Tavola XXI. SETTENTRIONE ( 223 ) TORTONA E SUOI DINTORNI chiaramente che un altro nome proprio precedeva, che ci é dato di aderrare con tutta facilità e certezza in grazia del superstite ASPARE. L’anno dell’E. V. 434 furono Consoli Ario-vindo ed Aspare. Ecco come rimane riempiuta la prima parte della riga perduta, e come questa epigrafe riesce interessante per la data precisa che porta in fronte, cioè 28 Luglio 434, giorno della morte della fanciulla Crescenzia. Doveva esserci ancora una riga che portasse presso a poco queste sigle YY • CC • GOSS ■ cioè viris clarissimis consulibus. E se fosse stata notata l’indizione, sarebbe stata la seconda. Ma questa nelle epigrafi ora si trova espressa, ora è taciuta. Veggasi la Tavola XX. Le dimensioni sono di un quinto, giusta il consueto. 42. B M HIC REQVIESCIT IN PACE PILICTIC1V S QVI VIXIT ANNVS PLS MIS XXX ET FECET CON COIOG1E SYA ANNVS v(?) RECESSIT X KLS M ARTIAS Questa iscrizione fu scoperta nel territorio Tortonese, ed inviata per calco dal cav. De’ Negri-Carpani alla nostra Società il 9 Gennaio dell’anno corrente 1875. Nella seconda riga occorre il comune solecismo di ANNVS per annos; ma nella terza oltre la riproduzione dello stesso vi son pur quelli, aneli’essi frequentissimi, di FECET per fedi e CON per cum. Anche più storpiata è la voce conjuge in COIOGIE. Non men barbara è la frase per esprimere quanti anni visse in matrimonio, che suona fecit cum conjuge sua annos etc. E qui evidentemente manca una cifra : forse V SETTENTRIONE ( 224 ) TORTONA E SUOI DINTORNI o se si vuole anche X, perchè Ia finitiva delle altre righe, che è intatta, non consentirebbe d’allargarsi di più. Quanto alla data X KLS MARTIAS, essa corrisponde al 20 di Febbraio se Tanno non é bisestile, al 21 se è. Quando noi avessimo o il nome di un Console o V indizione, poti cinnio determinare il giorno preciso. Senza questi sussidi non è possibile. Veggasi la Favola XXI. Le proporzioni sono le consuete. 43. CORPVS. S•MARTI ANI • EPI • ET • MR • Questa iscrizione è rozzamente incisa su di un latercolo chiuso nella cassa che contiene le reliquie di S. Marziano primo vescovo di Tortona. La lezione che qui ne diamo ci è favorita dal diligentissimo cav. De’ Negri-Carpani, e si scosta alquanto da quella che fu stampata dal eh. signor canonico Pollini ( ). San Marziano subì il martirio verso Tanno 4 20; e l invenzione del suo corpo avvenne a’ tempi del vescovo S. Innocenzo (a. 326-353). Ma oltre il contesto della iscrizione, anche i caratteri (i quali, per quanto possiam rilevare, sono ti barbara forma e presentano un miscuglio di lettere che già inchinano al gotico), ci vietano di attribuire il latercolo ad età si remote. Xon sarà poco se potremo ascriverlo con qualche verosimiglianza alla metà circa del secolo X, quando vescovo Giselprando intese a viemmeglio promuovere il culto (’) Cenni storici intorno n San Marziano ; Tortona 1873 ; pag. 36 e 39. -- -------- Tavola XXII SKTTUNTR ION F, ( 22T) ) TOnTONA E SUOI DINTORNI del Santo, ed introdusse i monaci benedittini nella Basilica intitolata al nome di lui (*), Nel secolo XIV le reliquie di S. Marziano furono trasferite nel vecchio Duomo di Tortona, il quale sorgeva sull’altipiano ora detto del Castello; e nel 4 575 vennero trasportate nel nuovo in cui tuttora si conservano. Iri tale circostanza (così ci fa notare il cav. De’ Negri-Carpani) fu redatto un inventario nel quale il detto latercolo trovasi ricordato; e similmente se ne vede fatta memoria nei verbali delle diverse ri-cognizioni che ebbero luogo in tempi posteriori. 44. HIC E SEPVLCRSrBEATORV RVFINI ET VE NANCII. Questa iscrizione in marmo si conservava nella chiesa di Sarezzano presso Tortona. Nella medesima chiesa si custodisce un antichissimo Codice Biblico, il quale fu creduto autografo del medesimo B. Rufmo nominato in questa tavola. Di questo Santo anacoreta si ignora F epoca e i particolari della vita, come confessa il Ferrari, che è l’unico che ne abbia fatto menzione. Una cronaca di anonimo tortonese pubblicata non ha molto dal signor Salice (2), ed un manoscritto del secolo scorso posseduto dal canonico Scaglia penitenziere nella Cattedrale di Tortona, dicono esser vissuto tra 1’ Vili e il IX secolo. Ma re-pitaffio sopraddetto esaminato dagl’illustri Archeologi Comm. G. B. De Bossi e Dottor Luigi Biraghi sopra il calco cavatone dal sac. Guerrino Amelli Vice Custode della Biblioteca (’) Op. cit., pag. 41. (*) Annali Tortonesi, 1870, f.isc. 2.", pag. 103. Aiti Soc. Lig. St Patria. Voi. XI. 16 SETTENTRIONE ( 226 ) TORTONA E SUOI DINTORNI Ambrosiana, fu giudicato risalire al VII secolo o tutt’ al più potersi far discendere ali’ VIII. Ora dalla tavola stessa risulta che quando essa fu posta, Rufino risedeva già la venerazione de’ fedeli ed aveva titolo di Beato. Perciò fa d’uopo ammettere ch’egli fosse molto più antico. L’egregio Bibliotecario ammettendo pure che la scrittura del Codice possa essere contemporanea al B. Rufino , trova nondimeno inconciliabile la splendidezza di quel cimelio coll’oscurità di un cosiffatto scrittore. Datosi ad indagare se per avventura v’ avesse alcuna memoria sulla sua provenienza, trovò nell’Archivio della Chiesa una copia del 1635 d’un atto del -15S5 fatto in occasione dell’invenzione dei corpi dei SS. Rufino e Venanzio e della visita pastorale di Mons. Cesare Gambara Vescovo di Tortona, nel qual documento la scrittura del codice è attribuita allo stesso S. Rufino. D’allora in poi continuò a correre queir opinione senza che il detto documento presenti alcun valido appoggio. Allora l’erudito Disserente prese le mosse dall’alto. Egli aveva osservato che i caratteri del codice erano uniformi a quelli dei famosi Codici Bobbiesi, come il Cicerone, il Frontone, il Simmaco, il Teodosio ecc. È comune opinione che essi sieno anteriori alla fondazione del monastero di Bobbio ; anzi è probabile che sieno stati raccolti da S.» Colombano e dall Abate Bertolfo nel loro viaggio a Roma per arricchirne il nuovo Monastero, e nulla di più probabile che con quelli fosse anche questo de’Vangeli. Le relazioni poi tra Bobbio e Sarezzano sono storicamente fuor di dubbio. Tra i beni donati all Abbazia di S. Marziano dal suo fondatore Giselprando, figuia anche questo castello. Giselprando era Abate di Bobbio e Ve-scovo insieme di Tortona; e nulla di più naturale che coi monaci fatti venire da Bobbio, facesse anche trasportare qualche manoscritto, specialmente un cosiffatto che non era di semplice lusso, come sarebbe stato un Cicerone. Anzi il Disse- Tavo la XXIII 46. 47 TTUtTì sfN-NV'5’ DUO t lAINSSE UNO \\ \il F 5\ XX T\ P l.E S / r— - , IIC T"' iNP W QV1BAW1 J’BQ.VIN! S$J.S£r ilVJ 58. ^1' r0 )é. SETTENTRIONE ( 227 ) TOI1TONA E SUOI DINTORNI rcnte cita un brano di diploma di Ottone III, da cui risulta essere stato fatto da Giselprando qualche ritaglio alle ricchezze di Bobbio. Alla catastrofe poi di Tortona pel Barbarossa nel 4 155 , il castello di Sarezzano servì di rifugio ai fuggitivi, e nulla di più naturale che dal monastero di S. Marziano, che aneli’ esso fu danneggiato, i monaci riparando in Sarezzano vi recassero il prezioso Codice e lo nascondessero nel sotterraneo di S. Rufino, donde fu messo in luce nel 1585 quando si trovarono i corpi dei due santi. Questa contemporanea scoperta è quella che probabilmente ha dato origine all’ opinione che fosse scritto di mano del Santo. Il fin qui detto risulta dalla dotta Dissertazione critico-storica ecc. del lodato sac. Amelli, stampata in Milano nel 1872. Noi veramente abbiamo alquanto deviato dal nostro assunto; ma le ragioni del Codice erano troppo connesse con quelle dell’iscrizione perchè dovessimo darne un cenno. Veggasi la Tavola XXII. Dimensioni di un quinto al vero.. 45. . . QV1. . . . FLOR . . Ognun vede la meschinità di questo frammento. Se si potesse leggere in questo avanzo di parola FLOR il principio del nome proprio FLORento, potrebbe in esso riconoscersi il nome di un Console. Due ve ne furono così chiamati, senza controversia, l’uno nel 429, ch’ebbe per collega Flavio Dionisio e furono ambi in Oriente: l’altro del 515, che fu in Occidente ed ebbe a collega in Oriente Flavio Antemio. Nel 518 poi, SETTENTRIONE ( 228 ) TORTONA E SUOI DINTORNI secondo il Muratori, non vi sarebbe stato che un solo Console per nome Magno; ma, secondo il Baronio, questi avrebbe avuto in Occidente un collesra di nome Fiorenzo. Il Cantù nei O suoi Fasti Consolari aderisce al Baronio. Se si accetta la frazione FLOR per nome di Console, e se si vuol evitare la controversia che può cadere sull’anno 518, ve n’ ha in pronto altri due. Per un monumento occidentale, quando noi fossimo certi che fosse citato il solo nome di Fiorenzo, sarebbe da abbracciare quello dell’anno 515 perchè fu Console in Occidente, mentre raltro del 429 fu, ugualmente che il suo collega Dionisio, per l’Oriente. iMa dalla meschinità di questo avanzo non è permesso istituire siffatto argomento. Quello che possiamo tener con certezza è che il Fiorenzo del 421 non potè essere quello del 515, correndo niente meno tra l’uno e l’altro che 86 anni; mentre invece quello del 515 potè benissimo essere tre anni dopo rieletto, se il 518 potesse vantar due Consoli secondo l’ordinario costume. Ma dopo tutto questo, ci è forza avvertire che la seconda lettera di ciò che abbiamo letto FLOR pare dal calco piuttosto un I che un L. Si sa però che in quel tempo le linee trasversali si potevano spesso appena avvertire, tanto erano brevi; e poi l’opera dei secoli può aver fatto scomparire quel piccolo avanzo di linea. 11 frammento proviene per calco da Tortona. Ved. Tavola XXIII. 46. LE VT N. . . ISTA Memoria IN IST . . . . IMI...... SETTENTRIONE ( 229 ) TORTONA li SUOI DINTORNI Frammento mandato per calco dal solito donatore cav. De’ Negri-Carpani. Ma troppo ristretta materia ci presenta a poterne parlar con cognizione di causa. Due cose possiamo rilevarne, cioè che le due abbreviazioni, o vogliasi dir nessi, che ivi occorrono fanno discendere di qualche secolo l’epoca, del monumento, e che lo stile si allontana da quella rozza e schietta semplicità de’ tempi anteriori e prende un non so che di declamatorio. Il nesso LE per lem, può essere desinenza di laudabilem; e questo aggettivo suppone un elogio, come egit vitam laudabilem. Segue VT N ; ed a questo possiamo aggiungere VT Non periret ISTA ME moria; e di nuovo a capo IN ISTo loco, con questa o simile aggiunta. Non pretendiamo con ciò di determinare l’intendimento dell’epigrafista più in un senso che nell’altro: abbiamo soltanto vestito di qualche significato quelle tronche parole per giustificare la nostra asserzione. Del resto potrebb’ essere che si parlasse di cosa al tutto diversa, come, per esempio, di un’apparizione miracolosa, mirabiLEM, e che fosse posto quel monumento onde non se ne perdesse la memoria. II campo è libero, vi entri chi vuole. Ved. Tavola XXIII. 47. . . ANNVS DUO . . MENSSE UNO dlES XX HECES SIT XI K JLAS Abbiamo questo frammento per calco dalla solita provenienza di Tortona. Benché questa iscrizione abbia patito ol- SETTENTRIONE ( 230 ) TORTONA lì SUOI DINTORNI traggio dal tempo, così in alto come da sinistra, pure non dobbiamo lamentare altro che la perdita del nome del soggetto; che quanto al principio delle righe, la mancanza è cosi lieve che si supplisce anche ad occhi chiusi. Infatti la quarta riga non lascia dubbio che sia intiera, perché, come si vede, la sillaba SIT si collega colla finitiva della riga superiore e ci porge intiero il verbo di formola REGESSIT. Perciò possiamo esser certi che alla prima riga manca FA di annus, di cui però si vede un piccolo avanzo, come si vede una parte dell M iniziale nella secónda riga. Alla terza manca intieramente il D di dies. Crediamo poi che in alto non manchi altro che il nome del soggetto e la formola qui o quae vixit, perchè una creatura di due anni ed un mese può dar poca materia ad un epigrafista, specialmente della forza di questo, che scrive ANNVS DUO e MENSSE Lasciamo anche la sua parte di merito all’incisore, che può aver concorso a sparger di tali gemme questo, benché cosi ristretto monumento. La data che presenta è XI KA JLAS, ossia com’io leggo Juhas; quantunque vi sia un certo arzigogolo all’ I che fa nascere qualche sospetto. Se poi la lettera che precede AS non fosse L, come si supporrebbe a prima vista, ma I, allora si potrebbe ugualmente leggere junia-s. Nel primo caso sarebbe il giorno 22 di Giugno, nel secondo il 21 di Maggio. Ma ognun vede quanto poco importi che il soggetto di questa lapida sia morto piuttosto in un mese che in un altro: quello che c’importerebbe sarebbe l'indicazione dei Consoli, la quale ci condurrebbe all’epoca precisa del monumento (Tav. cit.). 48. COGNATO • PIO SETTENTRIONE ( 231 ) TORTONA E SUOI DINTORNI Questa pietra oltre all’essere rotta e mancante dall’ alto e da sinistra, cioè al principio delle righe, è anche danneggiata in quei pochi caratteri che rimangono, per forma che rimane dubbioso se la prima parola sia cognato o altro. Anche questa e le seguenti quattro iscrizioni provengono da Tortona (Tavola citata). 49. P reqviesCET ELiades in pACE L’ultima riga, benché rotta, lascia pur riconoscere gli avanzi di PACE. Più arduo è il leggere la riga superiore, la quale dal monogramma P, che le sovrasta, apparisce indubitatamente esser la prima. Quelle due lettere EL si potrebbero supporre il principio del nome, come a dire ELIADES o simile (Tav. cit.). 50. ES . . . . . HAV . . . . cET . . Le prime reliquie lasciano chiaramente leggere requlEScit. La seconda riga con quell’ H avrebbe bisogno di qualche lettera di più per avventurare una congettura. L’ultima presenta prima un frammento di curva che potrebb’ essere C o S. Nel secondo caso si potrebbe leggere recesSET per recessit; ma se fosse C, non saprei che cosa cavarne (Tav. cit.). SETTENTRIONE ( 232 ) TORTONA lì SUOI DINTORNI 51. . . AHF QVI . . VI CL . . . D una sola parola qui siamo padroni che é QVI ; il resto e linde nel mistero. Il primo A potrebbe essere la finale di un nome femminile; e le due sigle seguenti che equivalgono ^ possono bene interpretare per Honesta Femina. 'tio che succede QVI maschile ; ma di questi qui per quac a ontano le lapidi di quel tempo. Siccome la pietra é rotta tutte le parti, noi possiamo darle tutta quella estensione e vogliamo, e supporre che dopo quel QVI venisse recessit equi\alente, ed a capo il nome del Console, a cui succe-quel \ I che sopravvive, il quale seguito da G, ci dà la consueta giunta onorifica di Ylro Clarissimo (Tav. cit.). 52. . « • EM • • . . . PACe . . Crederei che la prima riga potesse psesenlare le ultime lettere di seplEAI numero o parte del numero degli anni ; quindi i soprappiù dei mesi o dei giorni vissuti dal soggetto. Le ultime letteie poi non lasciano dubbio sulla solita formola in e. anzi del 1 si vede chiaramente la curva (Tav. cit.). SETTENTRIONI* ( 233 ) TOltTONA li SUOI DINTORNI 53. . . . KAL . . . fi • VALErio • max vC CONsvle Su questo frammento tortonese rileva aculamente l’Ab. Re-mondini che sotto quel VALE può nascondersi un Console. Infatti nella riga inferiore si vedono gli avanzi del C che dovea tener compagnia al VC, cioè viro Clarissimo. Poi la sillaba CON, benché in parte danneggiata, è ancora abbastanza intelligibile. Ma quanto al nome la disgrazia ha voluto che la pietra si spezzasse appunto dopo l’E, per lasciarci nel dubbio se si abbia a leggere Valerio o Valente o Valentiniano. Quanto a Consoli Valerii ve n’ha un diluvio, perché vi fu un periodo in cui era moda che lo assumessero gl’ Imperatori a cominciare da Diocleziano. Furono Valerii Massimiano, Costanzo Cloro, Galerio, Costantino, Licinio, Costantino giuniore : e tutti questi furono Consoli più volte, assumendo tutti il prenome di Flavio. Tra i Consoli Valerii non Imperatori furono anche Flavio Valerio Massimo del 327, Flavio Valerio Delmazio del 333, e infine un altro Valerio del 521 , collega di Flavio Giustiniano. Ma, come accennai, entrano in ballo anche i Valentiniani e i Valenti, che furono Consoli più volte; e de’Valentiniani ve ne furono tre, 1’ ultimo dei quali finì alla metà del secolo V. Or si vada ad indovinare 1’ età del frammento. Avessimo ancora P Indizione ! Questa ci servirebbe ad eliminarne una gran parte e forse ad avvicinarci al vero. Ma che giova lamentare una deficienza, a cui non è lecito riparare? (Tav. cit.). SETTENTRIONE ( 234 ) TOIITONA lì SUOI DINTORNI 54. . . Recessti SDK... ANA .... FI VV cl Che sotto questo meschino frammento Tortonese si nasconda il nome d’un Console? Dopo le lettere AN si vede ancora il principio di una linea obliqua, che ci svela Y esistenza di un A. Perciò né gli Anicii, nè gli Antemii possono pretenderci. Non rimangono che i nomi di Anatolio e di Anastasio Imperatore. Ecco le date di questi Consoli : 440 Anatolio collega a Valentiniano Augusto, terzo di questo nome. 492 FI. Anastasio Augusto, con Rufo collega. 497 FI. Anastasio Augusto senza collega. 507 FI. Anastasio e Venanzio. 516 FI. Anastasio e Agapito. Ora esaminando la riga dissotto, dopo FI si vede nettamente V e poi il principio di un’obliqua, che ci fa conoscere come dopo questo V ne seguisse un altro ed entrambi fossero legati dalla lineetta soprastante, come si usava a significare viris, cui necessariamente teneva dietro la sigla di clarissimis-Dunque i Consoli in quell’ anno erano due ; perciò resta eliminato il terzo Consolato di Anastasio che fu solitario. Quanto poi al FI, tutto ciò che si potrebbe ammettere in via di congettura sarebbe che fosse desinenza di RVFI, supponendo il nome dei Consoli in genitivo, come si trova talora SETTENTRIONE ( 235 ) TOIITONA E SUOI DINTORNI SVB CONSVLATV ; ed allora saliremmo ai Consoli Anastasio Augusto e Rufo del 492. Le lettere superiori S D N servirebbero in questo caso al-P indicazione del giorno del mese Sub Die Non. etc. (Tav. cit.). 55. vixit annVS PL • m . . . rECESSET . . . . OCTVBR . . . symmACHO Non dubito che sia giusto il rilievo dell’Ab. Remondini, che quell’ ultimo avanzo di parola contenga il nome del Console Simmaco. Ma anche qui, per mancanza di altri dati, dobbiamo recitar la litania di cinque Consolati senza poter propendere più verso 1’ uno che P altro. Gli anni di questi Consolati sono il 330, il 391, il 446, il 485, il 522. La meschinità del frammento non ci consente dirne di più. E sempre Pagro Tortonese che desta la nostra curiosità, e per avarizia di dati la delude (Tav. cit.). 56. . . . IVNIORI . . Questa lapide portava certamente il nome del Console; ma il frammento che ci è rimasto non ci offre più altro che 1’ ag- SETTENTRIONE ( 236 ) TORTONA H SUOI DINTORNI giunto di giuniore, che compete a quindici o sedici personaggi, alcuni de’ quali furono Consoli più d’una volta. Ora che giova tesser la litania di tali nomi, se questi tanto tornerebbero inutili allo scopo di fissare Pèpoca del monumento! Credo che si possano prender le mosse del 319, in cui è Console Licinio Cesare, figlio dell’Augusto Licinio e perciò detto giuniore, fino a Flavio Basilio che fu, de’ Consoli veramente detti, I’ ultimo. Anche questo avanzo ci viene dall’agro Tortonese (Tav. cit.). 57. • • . HIC Tegitvr IN P RVsticvs QVI B AN . . . SB QVINto kal (?)... v e"f° e k*1 altri frammenti sino al num. 69 inclusiva-e provengono dal territorio Tortonese; e di essi favori ‘ c ii alla Società 1 usata cortesia del cav. De' Negri-Car-J,tCfIuc erucIito Ab. Remondini studiare il modo di 1 etarne parecchi, immaginando talvolta i nomi e le date p eano più probabili compatibilmente collo spazio; e noi ajjiam fatto di questo primo, verremo pure riferendo « “armento i successivi. Qui sembra al lienwnclini che la ■ CìG S* r'scontra al principio della prima linea potrebbe ponevo mente supplirsi col monogramma di Cristo Il P j- p a seconc^a r,oa non v’ ha dubbio che sia F iniziale n- -, . J come ® chiaro che il B della terza è F iniziale di bari Vmt’ ^)er 11110 scanibio che fu nei tempi bar- ai acile e comune. Cosi in una iscrizione del De Tavo la XXIV SETTENTRIONE (237 ) TORTONA E SUOI DINTORNI Rossi (*) si ricorda Ilelias argentarius, il quale bixet annis triginta quinque e morì die Beneris (Tav. cit.). 58. IN Hoc loco rsqviescit IN PACe .... QVI Vixit annos ...... MENses...... Vedasi la Tavola XXIII più volte citata. 59. in PACE..... . . kAL SEPTembris Veggasi la Tavola XXIV, anche pei frammenti successivi sino al numero 68. 60. B m hIG REqvi esCIT In pa ce iRene (?) (') Dn Rossi, Inscriptiones christianae etc., voi. I, ann. 40G, pag. 23G. num. 558. SETTENTRIONE ( 238 ) TORTONA E SUOI DINTORNI Gl. b, ra hic reqviescit in pACE AQVilia nvS • INNOcens qvi vixIT . . . . 62. b. m hic in pa CE Qviescit ILARivs (?)... 63. b ra in HOC Loco reqviescit 64. • ••••• IOHANNIS A ^ Q honORÀbilis SETTENTRIONE ( 239 ) TORTONA E SUOI DINTORNI 65. Bi!m 66. . . INI P . . . PLV PV . . A qVI VIXit ANNVS XV 67. B m HIC REQViescit IN PAce..... b. M hic REQVI esciT IN pace . . . . « SETTENTRIONE ( 240 ) TORTONA li SUOI DINTORNI 69. QVi vixit an . . . PL - min ... . Vedasi la Tavola XXV. 70 — 94. Nella citata Tavola XXV rappresentiamo parecchi altri frammenti tortonesi, i quali per la massima parte non contengono che lettere o sillabe affatto isolate. Il nostro scopo è quello di non perderne le traccie per tutte le possibili eventualità di ul teriori scavi, i quali valgano a mettere in luce altre parti delle lapidi cui i detti frammenti appartengono. Del numero /0 seiba il marmo originale la nostra Società, cui lo inviava il cav. De’ Negri-Carpani ; e degli altri possede i calchi. Le loro di mensioni, al solito, sono di un quinto al vero. Tavo la XXV. — ' ___— DELLA LAPIDE DI FERRANIA DISSERTAZIONE LETTA ALLA SEZIONE ARCHEOLOGICA NEl.l.F TORNATE DF.I. IX E XXX GF.NNAIO E VI MARZO MDCCCI.XXV Atti Soc. Lio. St. Patria, Voi. XI. fkrrania § I. f HAC • RECVBANT • FOSSA • MATRIS • VENERABILIS • OSSA • CVIvs • ERAT • PATVLVm • VITA • BONI • SPECVLVm • IIEG • PIGTAVORVra • GOMITVm • STIRPS • NOBILIORVm • pVLCRA • FVIT • SPECIE • NVRVS • ADALASIAE • deFVNCTOQve VIRO MVLTO POST OrdinE MIRO • mvnDVm • DEsemt Hicqve sspvlta tvit Questa epigrafe che trovasi murata nell’ Abbazia di Fer-rania, e di cui si può vedere il fae-sìmile nella Tavola IV, fig. delle Iscrizioni medioevali della Liguria raccolte e postillate dal socio Abate Marcello Remondini ('), é stata soggetto di molte discussioni più o meno erudite, ed anche più o meno leggiere. Perciò crediamo di aggiungere qualche cosa al cenno che ne diede il predetto eh. Remondini, ed insieme alla lapide offrire anche qualche nozione del luogo di Férrania; il quale in ragione della sua epigrafe, e della lite che si agitò nella seconda metà del secolo scorso sul pa- (') Atti, voi. XII, par. II. FERRANIA ( 244 ) tronato di quella Chiesa e sue pertinenze , ha acquistato an-ch1 esso qualche rinomanza. Fra quelli che con maggiore leggerezza e non minor pretensione hanno discorso di questa lapide, pare a noi che sia da scriversi in capo di lista il Barone Giuseppe Vernazza di Freney in una sua lettera al dottor Francesco Ravina a Gottasecca, di cui ha fatto cenno 1’ abate Remondini. Dai brani che citeremo emergerà chiaro il ragionamento dell" autore. In primo luogo egli ringrazia 1’ amico delle importanti notizie che gli era piaciuto scrivergli. Noi non sappiamo che cosa gli avesse scritto il sig. Ravina, ma possiamo facilmente congetturarlo da ciò che egli ne deduce. Egli primieramente si conferma nella sentenza prima d’ allora espressa, che la lapide di Fer-rania non sia intera. Padroni l’uno e l’altro di avere la loto opinione in questo senso; ma basta leggerla senza prevenzione, per persuadersi esser questo un sogno. Infatti 1’ epigrafe comincia coll’ annunziare che in quella tomba riposano le ossa di una veneranda femmina che lasciò belli esempi di virtù. E questa è la materia del primo distico. Passa nel secondo ad indicare il casato da cui proveniva, cioè quello dei Conti di Poitiers, e la casa in cui fu maritata, cioè quella di Sa\oia, accennando che fu nuora di Adelasia : per cui si viene in cognizione del nome della donna stessa e del marito. Nel terzo ed ultimo si dice che, morto il marito abbandonò il mondo e in quel ritiro ebbe il riposo della tomba. Ora quando di una persona si ha 1’ origine, la prosopografia (pulcra futi specie), 1’etopea, il matrimonio, la vedovanza, il ritiro dal mondo, la morte e la sepoltura, non so che cosa di più fosse obbligato a dire quel poeta epigrafista a pascolo degli ozn letterarii dei due sopraddetti archeologi. E si noti die 1’ autoie quasi descrivendo un cerchio, a persuaderci che non manca nulla, finisce, si può dire, dove ha cominciato, cioè dopo ( 245 ) ferkania aver preso le mosse con Ime recubant fossa etc. conchiude : liicquc sepulta fuit. Non encoraierò io certamente questa iscrizione per eleganza di latino ; ma sostengo che in quanto a condotta non ci è che dire, e che quanto a integrità é perfetta. Che c’importa che l’abbia stampata lo Sciavo? Voglio che il suo nome suoni falsificatore di documenti ; ma questa lapide non fu mica conosciuta per lui, nè accettata sulla sua testimonianza. La lapide esiste, benché per frattura danneggiata in qualche parola, e fu pubblicata fin dal 1582 da Francesco Sansovino nel suo libro delle Famiglie illustri di' Italia, pag. 220, da Samuele Guichenon, voi. I, pag. 204, dal senator Lodovico Della Chiesa, Hist. Pierri., pag. 63, dal Mabillon, Annales, toni. V. pag. 428. È registrata nel Cartario di Oulx, in nota ad una Carta del 1083, e fu riprodotta negli atti della famosa lite di Ferrania. E quando pure dopo quel tempo l’avessero portata non solo al vicin Cairo, ma al Cairo d’Egitto, che cosa avrebbe perduto della sua autenticità? La lapide esiste, fu sempre conosciuta e riprodotta ; non avea perciò bisogno di essere scoperta. Continua il Vernazza riferendo le parole proprie della lettera del Ravina, che cioè essa « era incastrata in tavola di legno che serviva di coperchio a poche ossa chiuse in un sepolcro, trovato in occasione di spianare una piazza, e che sono tuttora in Cairo parecchie persone viventi, le quali intesero tale rapporto del contadino che la scopri e la ruppe ». Qui sì parla di una lapide trovata in Cairo, ove citansi sulle generali testimoni di veduta. Non abbiamo niente in contrario ad una tale scoperta. Ci fa bensì maraviglia che due archeologi , senza informarsi d’altro, sentenziino essere quella la lapide di Ferrania. Essi non sapevano che nell’Archivio di casa Scarampi, possessori di Cairo per parecchi secoli e pa- FERRANIA ( 246 ) troni dell abbazia di Ferrania, in un atto d’inventario ordinato e fatto eseguire dall’abate Innocenzo Scarampi-Crivelli rettore abate nuncupato della Chiesa ed abbazia dei ss. Pietro c Paolo etc., e firmato di sua mano l’anno -1743 ai IO di settembre, si leggono queste parole : « Una cassa e pietra sepolcrale in diversi pezzi. » Questi pezzi, a dir vero, non erano tenuti come meritavano di essere ; erano però circondati d una certa tradizionale riverenza, per cui si conservavano come oggetto da tenerne conto e farlo figurare nell’ incutano. La rottura della lapide fu, non v’ha dubbio, cagionata dalla rovina in cui andò cadendo quella Chiesa : onde fu poi interamente rifatta sopra tutt’ altro disegno dall’ antico. Gli Scarampi, autori del ristauro, forse non abbastanza ap-prezzatori di cotali monumenti, o forse procrastinando nell’ intenzione di riattare il marmo e collocarlo dove che losse, non vennero mai al fatto, benché sentissero il dovere, se non altro, di rispettarlo e conservarlo. Questa cassa e questa pietra si trovarono dal marchese Marcello Durazzo, quando nel '1819 divenne possessore di quei tenimenti, e si trovarono allo stesso stato in cui erano state lasciate dall’abate Innocenzo Scarampi. Or egli era pure giusto estimatore di cosiffatti tesori; nulladi-meno passarono ancora ventisei anni prima che assegnasse luogo conveniente al monumento. Ma aveva anch’ egli da eseguire lavori nella Chiesa e suoi accessi, e finalmente nel 4 845 i pezzi furono riuniti e decorosamente incrostati nella parete di un andito attiguo alla Chiesa colla bellissima iscrizione del professore Rebuffo rammentata dall’abate Remondini. Il march. Marcello Durazzo visse fino al 1848; e perciò fu indotto in errore il Remondini da chi gli fece supporre che quel ristoramento fosse ordinato dal march. Ademaro De Mari, che era il genero di lui, marito della marchesa Nicoletta, che ereditò dal padre quelle terre. ( 247 ) ferrania « Egli è dunque evidente non esser questa la prima scoperta della lapide di Ferrania ». Ma, che il Cielo benedica questi due archeologi : di che scoperta si parla qui ? Prima sognano che una pietra disotterrata da un contadino in Cairo sia la lapide di Ferrania, e poi suppongono che qualcheduno abbia detto essere stata quella la prima scoperta della lapide. E che c’ importa e che fa al nostro argomento 1’ erudizione che il Vernazza sfodera all’amico, di lapidi dimezzate, di lapidi capovolte, di lapidi bucate per ricevervi i ferri delle grati ed altri simili cose? « Ora e la sua lettera di cui la ringrazio,' e una copia della presente mia risposta conserveranno ai posteri la notizia delle diligenze che ai nostri tempi si sono adoperate ». Le diligenze ed il raziocinio andarono veramente di pari passo. Ciò premesso , come richiedeva il richiamo dell’ abate Be-mondini alla lettera del Vernazza e 1’ erronea indicazione sul rislorarore della lapide, che voleva essere rettificata ; passiamo a dar quelle poche nozioni, che abbiamo promesso, intorno al luogo, il cui nome si è attaccato a questa lapide. Ferrania è una valle fra monti boscosi nella comune e parrocchia di Cairo nelle Langhe, posta come a centro d’un triangolo formato da Cairo, Carcare e Altare. La Chiesa dei ss. apostoli Pietro e Paolo siede in una vallicella, dove il rivo denominato Ferranietta, proveniente da Montenotte, entra nel più orientale dei due rami, che poi unendosi insieme tra Carcare e Cairo formano la Bormida Minore, detta altresi orientale e talora anche la Bormida Clarasca. 11 più antico documento, in cui sia nominato questo luogo, è Tatto di fondazione del -1097, per cui il conte Bonifacio marchese di Savona, insieme al suo nipote Enrico, donano ai canonici regolari di sant’ Agostino collocati nella chiesa e convento di santa Maria e dei ss. Pietro e Paolo e san Ni- FERRANIA * ( 248 ) etSa:;::rnde esiensi,:,ne * te#n° o meno lontani lese. c cortl Poste in diversi luoghi più lue’tempi s.V ’ V! tr° & USat° in simi,i investiture di cordato a’qualcZ13 P°‘ “ ‘h fmdatore era Ialora »«-cune volte ’ • ms,®ne c,onatore o ristoratore; così al- prendere qaùtJtiM ’ PW 'UOg° Ji donatori S1 contentavano di quello di oblatori o cooie ^ cionazioue fu più volte riprodotto in data del IMoVITnm ““i'4' °Ue"e C,'e P°rtan° '* autentiche • n°n S* Possono emettere coinè che furon * ^ ^ l310^^ che ne sieno stati desunti i testi daremo un m<3SS' a Stam^a ^er ^a Sovradetta lite, della quale testo aute t"611110 SU° tem^)0‘ ^ueste antiche copie e con esse il furono '1C° ^1(3 °ra n0a es's(;e 1}‘11 che per una terza parte) Cairo s®rvate piesso i marchesi ch'ebbero la signoria di zaro ? ^lln,CI PassaroQo all’ Archivio dei ss. Maurizio e Laz-dine In ° ^enania *u convertita in commenda di quell’Or-vano quei a^reSS° ^U6Ste 0 tutte a^re carte che riguarda-comm ^0SSGSS1 ^P01'c^® Ferrania era stata svincolata dalla rimesse H ^ ^ marcJl* At}emaro De Mari, furono del mnvi a,fa consorte ^a marchesa Nicoletta figlia ed erede Palazzo del loro'fir ^ °ra S' tr°Van° °a‘r° NeN’pcom i 10 6 erec^e il march. Marcello De Mari. mati fonda^ ^ aUt6ntlC0 Bonifacio ed Enrico non sono chiarente offllTT,Jn a,cuna deIle dette copie’ma semi),ice_ biamo detto n ° onaiores- AIa da questo, per ciò che ab-fondatori S-' °° ^ COnsefiue c^le non possano esserne stati Ferranim m SSerVÙ Pure c*ie nella carta autentica si dice trebbe C°P,'e si ,eJ Ciò ^ falle, quando ,1 nomeAnT ^ ‘1Ua circostanza rilevante l atto seguente. , , " ^ A ,r Panzone procuratore di Manfredino marchese A,. . 6 ® Ottone sao figlio con istramenio del 1- di n ‘ di Nofemvende a Manlio mar-ozia quanto appartiene ai detti Marchesi del Car- sMUrì vili. ... ‘ino feodo, sia in allodio, cioè ca-telisi* di c!!'Ti J‘ Corl'“raVl11' fastello, Tiliau aommi e * .ìoeìb i'*mìr Altare ew \ ^ ^nona fise fanno m « diritti dì patronato COH . L1G . F Centuno Cohortis Ligurum fecit 258. > LEG. VI. Centurio Legionis VI. 297. C. M. V Clarissimae memoriae vir? 278. COS. Consul vel Consularis 278. DEDIC . A. T . Q. EP. Forse DEDI CA T. Quintus EPidius o altro nome con esse iniziali 282. EVOC. Evocatus 286. F. C. Faciendum curavit 318. FRlBVS fratribus 297. H . S. E . hic sita est 258. Hic situs est 302. IXS. Forse IPSIVS HERES. II Maffei appone semplicemente un sic; il Donati propone EX SVI testamenti formula 302. LEG XX.V.V. Orelli: Valentis Victricis. Henzen c Hùbner: Valeriae Victricis 261. M. V. S . Manor voti suscepti? 295. M. A Militavit annos etc. 287. MIL . LEG . XI. C . P . F Claudiae Piae Fidelis 304. N . E. FAC. Nomini eius faciendum 316. PIETIS sbaglio dell’incisore per ! pietatis 311. P C ponendum curavit 289. POSVERmw* 256. P. R. Vanno unite per far PRae-toria (cohorte) 286. 287. PRI. Orelli: Principibiis. Iivbner: Princeps. Henzen : Primipilus 261. PVD. Pudens o Pudentianus? 279. S. S Suprascriptae (Legionis) 309. S. P. Sua pecunia 281. T . F . I. Titulum fieri iussit 290. 297. T. F. I. H. F. C. Titulum fieri iussit - heres facienclum curavit 304. TEST . FI ER . IVS. Testamento fieri iussit 308. V. F. Vivens fecit 277. 300. V . L. F. Vivens libens fecit 273. V. S. Votum solvit 283. V. S. L . M. Votum solvit libens merito 261. ( 285 ) ISCRIZIONI CRISTIANE I numeri sono quelli delle iscrizioni. NOMI DI UOMINI Albinus 40. Aqu(ilianu)s 61. Benenatus 20. Constantius 24. Crhisafus 2. Cruseros 30. Expectatus 29. Gellius 23. Ianuarius 21. Iohannes 15. 64. Iustinianus Caesar 19. Tustinus (imp.) 25. Iustus 22. Magnus 3. Martianus (S) 43. Martinianus 35. Mauricius Tiberius (imp.) 3. Negut(ius) 4. Pilicticius 42. (Qui)rinia(nus)? 12. Rodanus 14. Ruffnus (B) 44. Sanctulus 1. (Secun)dus? 7. I Tzittanus 25. Venantius (B) 44. Vigilius 18. NOMI DI FEMMINE (C)rescentia 41. Deodata 11. Heliades 27. Honorata 25. Irene 13. Livia 10. Manilia Yictria 34. Proiecta 37. Sendefara 33. Stefaniata 19. Thais 10. Vigilia 32. CONSOLI Albinus 1. Anastasius et Rufus? 54. Ariovindus et Aspar 41. Basilius 16. Basilius Iunior 33. Crispus (?) 5. Faustus Iunior 15. Leo Iunior 29. Longinus et Faustus 32. Placidus 38. Paulinus 4. Paulinus Iunior 9. Simmacus 40. 55. Valerius 53. DIGNITÀ GRADI E TITOLI Armipotens 17. Diaconus 21. Episcopus et martyr 43. Miles Numeri Felicium Laetorum 3. Subdiaconus 1. Vicedominus «>0. INDIGE DI LATINITÀ Coiogie (coniuge) 42. Dec(essit) 23. Depositio 1. 29. Depositus 17. 21. Ecclesia sancta lunensis 22. In hoc loco sancto requiescit in paco 18. 19. In manus tuas Domine com(mendo) spiritum meum 22. In pace 2. In pace quiescet 36. Maritus 26. Filio benemerenti mater fecit 30. Mater 30. Hic est sepulcrum 44. Hic in (?) pace quiescit 62. Hic requiescet 35. Hic requiescet in pace 32. Hic requiescit 1. 27. 29. Hic requiescit in pace 3. 12. 15. 25. 33. 42. 60. 67. 68. Hoc sepulcrum ne violare presu-mat 28. In hoc loco requiescit 11. 17. 41. 63. In hoc loco requiescit in pace 4. 20. 58. Pace 14. Penitentiam egit 33. Recesset 55. Recessit 54. Rogo te per Deum Omnipotentem etc. ne'me tangas nec sepulcrum meum violis etc. 25. Si quis voluerit violare hoc sepulcrum set illi d(ictum?) anathema 20. Transiit 15. abbreviazioni e sigle B. Bixit per vixit 57. B. M. Bonae Memoriae 44. DEP. Depositus 3. DP. Depositio 1. È. Est. EPI ET MR. Episcopi et Martyris 43. EGT. Egit 3S. H . P. Honesta puella? 32. INDI PMÀ Indictione prima 20. KSIANS. lialendas Iamtarias 32. LOCO SCO. Loco sancto 18. i PM. Plus minus passim. PLS MIS. Plus minus 42. PS. Post 32. Q . V. A . N. Q(ui) v(ixit) an(nos) 35. 39. REC. Recessit 4. RCS. Recessit 58. SET . IL . D. SU UH dictum 20. VA. PM. Vixit annos plus minus 23. VC. Vir clarissimus passim. VV. Vir Venerabilis 21. XPE. Christe 27. FINE ERRORI Pag. 25 linea ARAM ! » 44 » libro dell’ Olimpo. » 58 » E noi l’abbiamo difatti nei Miscellanea ecc. » 127 » 10 F1NEX » 234 » 4 Reccessti CORREZIONI ARAM ? libro d’ oro dell’ Olimpo. E noi l’abbiamo difatti veduta nei Miscellanea ecc. FINEM Recessit DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO Sanguiketi, Nuove aggiunte allo iscrizioni romane della Liguria . . Pag. 1 Iscrizioni cristiane dai primi tempi fino al Mille . . . . » 129 Della lapide di Ferrania, Dissertazione letta alla Sezione Archeologica ...........»241 ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XI. - FASCICOLO II. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. I. DE’ SORDO-MUTI MDCCCLXXVI ISCRIZIONI GRECHE DELLA LIGURIA raccolte e illustrate DAL SOCIO CAN. PROF. ANGELO SANGUINEI! Atti Soc. Lig. St Patria. Voi. XI. 20 Nel pubblicare 1’ ultimo nostro fascicolo di Epigrafia antica e cristiana, annunziammo il proposito di riu nire in un nitro piccolo corpo quelle poche iscrizioni greche che abbiamo in Genova, o che ad essa, come che sia, si riferiscono (4) ; che furono bensì già pubblicale, ma sparsamente in opere di genere diverso. Due di queste vennero anche per noi riprodotte nel Corpo delle Iscrizioni Romane in Liguria, cioè quella di Lucio Audio posseduta dal comm. Vanii e quella di Manete stovigliaio esistente nel portico di casa Baratta a Rapallo. Ma oltre che in quella collezione si possono dire come perdute in mezzo a tutte le altre, che sono latine, ci occorse anche di avere della seconda una più esatta lezione, come diremo a suo luogo; e perciò questo solo basterebbe a farci tornar su di essa. (’) Ved. a pag. xxn. ( 292 ) A queste ora noi aggiungeremo alcuni frammenti che furono in questi ultimi tempi ed in diverse occasioni rinvenuti nell’agro Tortonese, e la più parte per gentilezza del eav. Cesare De’ Negri-Carpani alla nostra Società trasmesse, o nei marmi originali o per esattissimi calchi. Le due epigrafi accennate sono evidentemente pagane; come pure ha l’aria di appartenere alle stesse un frammento proveniente pur da Tortona e trasmessoci dal nostro socio il prof. Alessandro Wolf. Per non parlare di quelle epigrafi che appartengono storicamente ai bassi tempi, noi possiamo riferire a questi anche i frammenti Torlonesi. • Farà forse meraviglia che in Italia, in una colonia romana, coni’ era Tortona, si trovino iscrizioni greche. Ma la cosa parrà meno strana se si consideri che nei bassi tempi mentre l’Italia in una parte era occupala dai barbari, in altre riconosceva il governo dell Impero Greco. Questo poi parecchie volte ripigliò il dissopra su tutta la penisola, come dopo la prima spedizione di Belisario e dopo la definitiva disfalla degli Ostrogoti per Narsele. Dopo l’invasione dei Longobardi non solo l’Esarcato e l’Italia meridionale rimasero sollo l’immediato dominio dei Greci, ma per molto tempo anche Genova c la Liguria. Si vede pertanto quali dovevano essere le relazioni tra l’Oriente e l’Occidente; quante famiglie greche stabilite in Italia per ragione di uflizio o per esercizio di traffico; e ( 293 ) quante di queste, anche cambiato padrone, dovetlcio rimanervi impiantate. Ora è probabile, come c natu l'ale, che morendo in Occidente un Greco, i congiunti amassero esprimere sulla tomba di lui i proprii sen timenti nella lingua nativa e dare slogo per essa ai loro alletti, anziché parlare agli occhi degli abitatoli del paese con parole mendicate (la questi. E anche per le relazioni commerciali dei nostri col Levante, il greco era molto conosciuto Ira noi. Nemmeno sai ebbe da riguardare come assurdo che qualcheduna di queslc lapidi fosse stala trasportata in Italia dall- Oriente, specialmente se figurata a rilievo, come è quella di Ra palio, la quale, come oggetto d’arte, poteva stuzzicare le voglie di qualche amatore. Questo poi allei miamo con cognizione di causa riguardo a quella di Luci Audio. Quanto al greco antico a cominciare dal periodo detto romano e a proceder nei tempi dell Impcio, o0nun sa quali erano le relazioni letterarie di Roma ioli 0 riente greco, e come quella lingua che s impone\a a tutte le nazioni conquistate dovette cedere dinanzi .1 quella dei vinti Greci e confessarsi vinta essa s>le>sa. vinta alla bellezza, alle grazie, alla maesla della la velia di Omero, di Pindaro, di Anacreonte, di Demo-Siene, di Platone. Cicerone poi ci attestava clic a buoi tempi il greco era conosciuto ed apprezzalo più lai gamenle nelle nazioni clic non il latino slcsso, che pur seguiva il volo dell’aquila romana alle più ìemoU ( 294 ) regioni: « Si quis minorem gloriae fructum putat ex graecis versibus percipi quam ex laiinis, vehementer errat, propterea quod graeca leguntur in omnibus fere gentibus, latina suis finibus exiguis sane continentur » (Orat, pro Arch., IO). Perciò niente di più comune che trovare in Grecia e nell’Asia Proconsolare, e dove che sia, monumenti greci a personaggi romani, e in Roma e nelle varie parli d’Italia memorie non solo d uomini greci nella loro lingua nativa, ma di romani ancora; nè solo in Sicilia e nella Magna Grecia, ove il greco avea propria sede, ma nel Lazio, cioè nel centro stesso della Latinità, in quella Roma così gelosa della sua lingua come della sua politica: per non parlare dell'Etruria, deir Umbria e delle regioni Cispadane e Transpadane, che hanno somministrato larga messe di epigrafi ai collettori, come si può vedere nel volume'III, parte II, della Collezione Berlinese pel Boeckh. Credo inutile ripetere ciò che altre volle abbiamo professato, che cioè non intendiamo di metterci in riga coi grandi collettori di epigrafi e dare alla nostra Raccolta quella importanza che non ha. Noi non intendiamo di far altro che di riunire le poche cose nostre, onde non rimangano disperse e ignorale dai nostri o vadano anche perdute, se sieno per avventura inedite. E facilissimo che parlando per la prima volta di un monumento, non diamo precisamente nel segno: per questo noi aspelliamo il giudizio dei savi, ( 295 ) i quali rilevando qualche cosa di meglio renderanno un servizio alla scienza; menlre noi compiacendoci di averne loro oiTerta l’occasione, ne raccoglieremo i frutti riformando i nostri giudizi. Ciò che specialmente desidero che si abbia in vista dal lettore, è che quando sui frammenti tortonesi propongo qualche supplemento, non intendo di ristorare l’epigrafe. Sono essi troppo miserabili, perchè io (dico io, non altri) possa pretendere a questo : lo lo soltanto per far vedere come sarebbe possibile far entrare quei pochi avanzi di parole in un discorso qualunque; e intanto il mio tentativo potrebbe eccitare alcuno a proporre qualche altra cosa più soddisfacente, lo ho bensì procurato di non proporre cosa che non si trovi adoperata nell’Epigrafia del tempo , a cui possono richiamarsi i nostri frammenti. Quando il cortese lettore gli avrà veduti, giudicherà forse che non valeva la pena di spendervi tante parole. L’Italia meridionale, e specialmente la Sicilia, apre sempre nuovi tesori di greci monumenti e nello stesso tempo abbonda di uomini dottissimi, che ne svelano i reconditi sensi. Troppo lungo e difficile sarebbe il volerii tutti enumerare; ma mi sia lecito nominar del-l’eletta schiera soltanto'due miei insigni amici, il cav. Didaco Yitrioli, che oltre all'essere, come tutti sanno, cotanto valoroso nel trattare le eleganze latine non meno in prosa che in verso, è anche profondo archeologo; e l’illustre Giuseppe De Spuches Principe ( 296 ) di Galali (del cui nome si onora la nostra Società), che con pari facilità maneggia le Muse greche, le latine e le italiane, e versa tanta erudizione nell’ illustrare i greci monumenti. In faccia a tanta ricchezza di materiali e d’ingegni, la nostra povertà dell’ una cosa e dell altra ci rende veramente vergognosi. Ma se la buona volontà di concorrere in qualche minima parte all’edilizio scientifico, può scusar la tenuità della materia e dell’erudizione, io invoco sotto questo aspetto l’indulgenza dei sa vii, cui la dottrina rende cortesi e benigni. Qui infine rendo le dovute grazie ai miei colleglli ed amici, i Cavalieri Desimoni e Belgrano, l’Avvocato e l'Abate Remondini e il Canonico Grassi per gli aiuti che mi hanno somministrato, sia per l’esatta riproduzione dei monumenti, sia q>er opportuni rilievi storici e filologici, sia infine per la correzione tipografica. Anzi quanto a questa, sarei ingiusto se non mi lodassi dell’ intelligenza e dell’ esattezza del bravo Proto della Tipografia, il sig. M. Boero, nel maneggio dei caratteri greci colle loro spine, che sono gli accenti e gli spiriti. Nella nostra Società noi lavoriamo come in famiglia, e da buoni fratelli mettiamo in comune i nostri sforzi, come è comune in noi I’ amore della scienza e il desiderio di contribuire, come che sia, al suo lustro ed incremento. AETKI02 AYAIOS Aefiwos AùSto; AEYKIOr YIOS Aeiwou óifc Ludus A udius Lucii filius OAAEPNA (MAMMAS $aXépva Xà|j^a; Falerna Flamma Il marmo è in mano del eli. comm. Nat ni, che le dono dal marchese Fabio Pallavicino, siccome provemen l’isola di Paros. Molto tempo prima che T iscrizione fosse s am-pata nella nostra Raccolta era stata pubblicata nella secc serie del Giornale Ligustico del P. Spotorno. Come a iam già osservato, questa epigrafe è greca di lingua, ma tra di un soggetto romano e procede colle noi me dell Epi0ia Latina. Comincia col prenome Lucio, poi segue il nome aen tile Audio, quindi il nome del padre, parimente Lucio, p XPHSTE XAIPE xprjaxà yw.oz o bone salve ( 298 ) la tribù Falerna (forma più propria di questa denominazione che Falerina), quindi il cognome Fiamma. Se si potesse avventurare una congettura, si direbbe che questo marmo in Paros fu soltanto di passaggio, portatovi dalla Caria. Infatti fra le lapidi di Alicarnasso ne trovo una che ha molta analogia con questa. Si legge al r\um.° 2665 della Collezione Berlinese : MAPKEAl'AIE Mdpxs AÙSie ' Marce Audi ÀErKOrriE A.sox(0oo mé ludi /ili XPHSTEXAIPE xpyjaxè xatps 0 bone salve 11 medesimo nome gentile degli Audii, riprodotto il prenome di Lucio, usata la medesima espressione di affetto: tutto questo tende a ravvicinare i due monumenti. Io avevo supposto che questo Marco potesse esser figlio di quel Lucio a cui era dedicata l’altra epigrafe; ma monsignor CavedOni opina che Lucio e Marco potessero essere invece fratelli. Ciò mi persuade, perchè in quel tempo si era introdotto 1 uso fra i Romani di riprodurre nel figlio il prenome del padre, h probabile che si variasse quando erano più fratelli, ad evitare gli equivoci in famiglia; quantunque si trovino più fratelli collo stesso prenome, i quali allora si distinguevano pel terzo nome. In questa il Boeckh rettifica la forma di AEIKOT in AETKIOI, e con ragione ; essendo sfuggito al quadratario quel-l’iota. Pare invece titubante ad accettare il nome gentile di Audio. Se avesse conosciuto questa nostra iscrizione avrebbe deposto ogni scrupolo. * ( 299 ) 2. MANHS KEPAMEY2 EYPQIIA MANOYSrYNH Riproduciamo la presente epigrafe, che In già per noi puh blicata («), non tanto per presentare riuniti insieme i pochi monumenti greci che ci venne fatto di razzolare per la Liguria, quanto perchè finalmente ci fu dato di averne una copia, non che esatta, identica, siccome quella che fu calcata sul marmo originale dai soci avv. Costantino e ab. Marcello Remondini, dei quali abbiamo già rammentati tanti servigi resi alla ri > stra Epigrafia Latina. Questo monumento esiste, come, già tu detto, nel. portico di casa Baratta a Rapallo.’ L’iscrizione sovrasta ad un ha. rilievo. Questo rappresenta « un vecchio barbuto (ptr usare parole stesse dell’abate Remondini), quasi giacente in un letto discubitorio , che con la mano sinistra sostiensi il capo e e colla destra porge o riceve da una donna seduta un vaso. La donna tiene il vaso colla destra, e colla sinistra si rimuove dalla faccia il velo. Dietro il vecchio si vede un gio vane che ha l’aria di un servo, e questa figura è condotta tutta sulla cornice (si direbbe) del bassorilievo , per cui anche si estende la spalliera del letto ». Ora che abbiamo sottocchio insieme al disegno del monumento la lezione sincera dell’epigrafe, vediamo scomparire alcuni sconci che ci offendevano in quella copia che a grande stento ci era venuto fatto di procurarci. Manca in questa, come in quella la 2 finale di KEPAMEY2; ma ciò è effetto di rottura (’) Atti, voi. Ili, pag. 750, ( 300 ) nel marmo, la quale venne supplita con calce levigata. Lo sconcio veramente grave era MANOXS in luogo di MANOrs. Quella lalsa desinenza mi aveva indotto a supporre la mancanza di un 0 a fare il genitivo MAN0X02: la qual suppo->iziont non era senza inconvenienti, spuntando, non si sa donde, un terzo personaggio. Per amor di verità dirò che mon->ignor Cavedoni in una sua illustrazione di questo monumento, la quale io non ero riuscito a vedere, aveva congetturato che in luogo della X dovesse essere r. Ora il dubbio è tolto. L n altro ^concio era il nome della femmina Europa scritto '•on 0 in luogo di Q. e anche questo pel calco dei soci Remondini ^vanisce, leggendosi correttamente ErPQIIA. La desinenza di questo nome, secondo la forma comune dovrebb’es-m re in ; ma si sa che i cosiffatti nomi cambiano Fy] in a doricamente. Finalmente la parola rrNH ci era stata data in questa forma rTNN. Nulla di più facile che di rimetterla nella sua giusta desinenza; ma vuoisi riconoscere che chi ne trasse la prima copia tu indotto in errore da uno sbaglio del quadratario. Co-'tui finito d incidere la N e tirata la prima asta delFH, in luogo di descrivere la linea trasversale, prese dall’alto del-I asta una direzione obliqua, come nell’intenzione di fare una N; ma giunto ad un certo segno si avvide dell’errore e cambiando direzione, continuò il resto della linea in direzione orizzontale. Questo è ciò che mi fece osservare Fab. Remondini, e che si chiarisce alla semplice ispezione del calco. HEPAMEIS significa figulus, stovigliaio. Kepstfin plurale significava gli abitanti di un quartiere di Atene. Accennai altra volta la possibilità di dar questa interpretazione a siffatta parola del nostro monumento; ma oltre che in questo senso noi trovo usato in singolare, non essendovi ragione di rifiutare il senso ovvio e comune, adottiamo questa interpretazione. ( 301 ) Per ciò che riguarda l’inflessione di Mavrj; la troviamo ^ diverse maniere. Presso Erodoto ha il genitivo M«vtjxo,, e 1 lai forma fu usalo questo nome dagli scrittori ecclesiastic greci e Ialini che trattarono del famoso capo de Manie ie e perciò questa forma seguitiamo noi nella nostra traduzioi Ma troviamo presso Slobeo altre due inflessioni, cioè Màvo Màvevxo?, oltre alla comune indicata dai lessici, di M4voj, desinenza regolare della prima declinazione de semplici, forma Mxvou? del nostro monumento è il prodotto della con-trazione di Màveo;. In latino pertanto suona cosi: Manes figulus Europa Manetis uxor. 3. $Xc5)pios ’OvYpijuavòs xsxvw e'-òtw ’loulim èrcofYjdfev [ivr^s eTvexev Eu^u^tj xsv.vov o'jost? atì’xvxxoc. Phlorius Onesimianus filio suo Iulino fecit memoriae ergo Ave, fili, nemo immortalis.. Nel più volle citato codice Marcanova (Ms. della Civico Beriana) è registrato questo epitafio greco, ma senza indicazione alcuna di luogo. Essendo troppo difficile indovinare se sia già conosciuto o tuttora inedito, noi abbiamo pensato di pubblicarlo. Se si troverà esser prima d’ ora del pubblico dominio, non avremo fatto male ad alcuno nè usurpato l’altrui col n produrlo : se giungerà nuovo, tanto meglio, sara una pii cola giunta al regno epigrafico. Esso si legge alla pag. 14o veiso del dello Codice. ( 302 ) Se l’epigrafe è genuina, ha piuttosto aria di pagana che di cristiana, quantunque manchi a capo la formola distesa o abbreviata 0 • K, cioè 0soìi; Kaiax^oviotc equivalente a Dis Manibus. Non sempre ci sono quelle sigle, o possono essere anche sfuggite al copiatore. Questi poi mostra d’ aver pratica della scrittura, che è veramente quella dei codici greci ; e se vi sono due cose che ci sembrano meno esatte, come osserveremo, io penserei doversi.ascrivere piuttosto all’originale che alla copia. La prima è «Sfa per ìS-'tp. Questa voce, che vuol dir proprio, suo, si scrive col semplice I iniziale ed è frequentemente usata in epigrafia. Fra tanti sconci che s’ incontrano nella scrittura delle lapidi greche, questo non mi è mai occorso. L altra parola su cui cade osservazione è eù<|»ux^ Nel medesimo codice si legge una traduzione latina, la quale attribuisce a questa parola il significato vocativo di buona anima. Ma quando assume questo senso ha la forma in oc, ed è e5(|ii>x0? p perciò nel vocativo farebbe eifyuxe- Vi è anche eù^ux^s; ma °^re che questo nel vocativo sarebbe simile al nominativo, ha un tut-t altro significato, perché viene non già da anima, ma da t|wxo;, frigus, e vuol dire cosa esposta ad un freddo propizio e salubre, lo credo invece che qui sia errato in luogo di sìfyóxet, formola comunissima nell’ epigrafia greca, che corrisponde a confide, bono animo esto, in somma alla formola latina Ave. La somiglianza della pronunzia del dittongo EI col-I I è stata causa di un frequentissimo errore, quello cioè, come si può vedere, di scrivere eityóx1 invece di eù<]wxet-Alla medesima causa attribuisco nel nostro caso l’aver usato 1 f\ in luogo del dittongo st. La deviazione della pronunzia dell’ e lungo in i risale molto alto. In epigrafia però questo scambio non mi è mai occorso d’incontrare. Osserveremo in fine che quantunque la forma normale del-I ultima parola della seconda riga sia svexa, mentre el'vexa, ( 303 ) Eivexe, eivexsv sieno forme piuttosto poetiche per la ragione i lit è ovvia a prima vista, [iure aDche queste sono comunissime e promiscuameute usate in epigraiia. Riporteremo per conclusione un epitafio, la cui forma ha molla analogia col nostro, che è nella Collezione Berlinese al n.° 6364. e . k. Ar)[iexpUp xu)|i(j>3qj Sj Iljrjoev iti) Y.OL H7)va? & -^liépas tB s'j-cùxet, Ar)nV)xpie-oùSel? àO-ccvaxof (jLVifj|xirjc sl’vexev. 4. Quest1 epigraTe ci fu mandata dal nostro socio signoi Ales sandro Wolf, ritratta per imitazione dalla pietra originale esistente nel territorio Tortonese. Egli osserva che il lato sinistro offre segni di una spaccatura, per cui forse meta della pieti è perduta. Il materiale è un1 arenaria durissima, la cui lun gliezza è di metri 0, 83, larga 0, 30, alta 0, 20. La dili genza del nostro socio è nota, e poi si appalesa chiaramente nella scrupolosa esattezza di questi particolari, che ci fornisce. Pertanto se l1 aspetto deir epigrafe è tale che sia pei la pai te __( 304 ) che è perita, sia anche per quello che resta, non presenta quasi nulla di leggibile; ciò vuoisi attribuire allo stato di deperimento, a cui fu ridotta dagli anni e dalle intemperie, per cui molti tratti si devono essere obliterati, e forse formati dei solchi da parer tratti incisi. In questi casi si ama sempre di avere il calco sotto gli occhi, perchè talora ciò che è si uggito al più accurato osservator della pietra, a chi studia a suo bell’agio sul calco può apparire con sufficiente chiarezza. Questi miseri avanzi, e così sconnessi per giunta, non ci lasciano conoscere se l’iscrizione sia mortuaria, o votiva, o monumentale. Le prime lettere I0r, che par che stieno da sé, non si sa se sieno di desinenza di genitivo, o principio del nome proprio IOVAIOS, quantunque non sarebbe regolare questo troncamento. Non direi che potesse prendersi pel principio di Luglio, perchè questa denominazione non converrebbe con quell’aria di antichità che lo scritto presenta, special-mente nel sigma. Quel TO, per cui comincerebbe una parola , non saprei a che cosa applicarlo in una lapide se non a ysveìc pamiles. I2IN par che si stacchi dal seguente fì. Che sia l’Acc. di ISIS in luogo di ISIAA? Potrebb’essere ; ma potrebb’ essere anche accusativo di KPISIS e de’ suoi composti àTtóxpcais, uro5-xpiai;, x. t. X. E siccome si può anche supporre che quella prima asta che confina colla spaccatura, fosse congiunta ad un’ altra asta in H, avremmo una quantità di nomi in caso accusativo in rjacv, come quelli da Svrjat$, [ufwjot?, rco&jais, vérjac? x. t. X. Quell’ Q seguito da due aste è inesplicabile. Potrebb’essere il primo iota rappresentante del soscritto, e l’altro il principio della parola seguente continuata nella riga di sotto. Oppure queste due aste si hanno a considerare come unite insieme per la linea obliqua scomparsa, da formarne una N? In tal caso potrebbe essere genitivo plurale del pronome relativo le, o partici pio presente del verbo ètjif, oppure il principio di al* cuna delle voci che vengono dalla radice pretium, merx etc. La terza riga comincia con 01 che non si può certamente annettere con ciò che segue; e questa potrebbe, essere desinenza di nominativo plurale, quando non fosse articolo maschile di IQNs? supponendo che le ultime due lettere fossero stale portate a capo nell’ altra riga. Siccome però non si vede intervallo tra 01 e IQN potrebbe nascere il sospetto che fosse tutta una parola; ma per unir queste due parti non ci sarebbe altro mezzo che di legar quelle due aste con una linea obliqua e farne una N; ma il risultato sarebbe così ridicolo da parere una mancanza di rispetto alla scienza epigrafica : corrisponderebbe alla voce latina asellorum. La quarta riga è anche più sconnessa: due lettere da una. parte, due dall’altra, e un vuoto nel mezzo, ove apparisce traccia d’ esserci stato un tempo qualche cosa. Chi ci saprà leggere erit mihi magnus Apollo, L’ultima riga, che é anche l’ultima parola di questo frammento, è KAKON, «cioè malum. Se non fosse in accusativo ma in dativo, come si trovano in generale le divinità, a cui volgono i loro voti i mortali, si potrebbe prendere questa parola per la seconda parte di un titolo, di cui si soleva onorare dagli antichi Ercole, cioè: àXe^'xaxo; (arcens malum). 11 Muratori cita Lattanzio (lib. X, lnst.) dal quale risulta che gli EfeSii erano quelli che veneravano questa divinità sotto tal titolo. Nella villa Albani si conserva la seguente epigrafe, registrata .nel Corpo delle iscrizioni greche, al n.° 5989 HPAKAEI AAESI KAK2I TIAIIEIPI or Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XI. ìi ( 30G ) Al num.° 5990 si legge quest’altra: ^E2I AAESIKAKQI rAl'KQN Qui non è indicato il nome della divinità, perchè 1 indica chiaramente la scoltura cui è apposta questa epigrate. E una tavola marmorea rappresentante Ercole, che sostiene colla sinistra la pelle del leone e si appoggia colla destra sulla clava, cui par che un Amorino tenti torgli di mano. V’ è anche un Silvano che finisce in Termine. Un'altra parola composta, diversa nella prima parte, idea tica nella seconda e di significato simile, nell’insieme viene adoperata verso gli Dei in generale che rispingono i! male, arcuai; significa ripulsione, omvMta respingere. AII2CIKAK0IC 9E0IC EX ORACVLO 5991 5. EN+E/P " eh' n ^Uadre^° ,llarmo che fu trovato nei fondi della lesa u S. Siro, ed ora è depositato nella Biblioteca della . e r^a,IJ- Lna cosa da osservarsi nella scrittura è che uno tie E, e fra questi uno, come si vede alla fine di ( 307 ) fjX9's, è di fattura diversa dagli altri, e si avvicina alla forma corsiva, 9jX9-ov è aor. 2 ili Spxo^ai, che vuol dire ugualmente andare e venire : onde queste parole significherebbero venit o abiti in pace. Qui manca per lo meno il nominativo. Io ritengo che questa non è lapide intiera; ma che fu tagliata in allo e ridotta alla dimensione di altri quadretti di marmo per essere impiegata nella lastricazione di qualche pavimento. Non credo che manchi molto, .forse il solo nome nell altezza, che quanto alla larghezza le parole sono intatte. Osservo soltanto che se questa é iscrizione sepolcrale, non ha riscontro colle forinole consuete di questo genere, benché quell in pace e le due croci la chiariscano cristiana. 6. Questa lapide, come a colpo d’occhio si vede, è rotta da tre parti, cioè in allo, in basso e a dritta, per cui manca delle prime e delle ultime righe: e quelle poche che sopravvivono, mancano della fine, nè sappiamo in che proporzione stia ciò che rimane con quello che andò perduto. Appena possiamo dire che vi sono due parole intiere. Della prima riga si vede il frammento d’una parola CIAO che possiamo credere che facesse parte del nome proprio, soggetto deir epigrafe. Sarebbe diffìcile il determinare se queste due sillabe appartengano al principio o alla fine del nome, che è al tutto impossibile a indovinarsi. Noi pertanto a provare una ristora- ( 308 ) zione qualunque, possiamo usurparlo *a beneplacito. Or l’architettura delle righe ci si presta meglio col supporlo cominciarne colla riga stessa. Siccome dagl’indizii che l’epigrafe presenta, si può supporre cristiana, perciò possiamo attribuirle la prima riga colla solita formola EN0AAE KE1TAIEN EIPHNHc, ' ioé lue jacel in pace. La sigma colla forma C in luogo di S 'i \ieta di portarla più indietro del secolo terzo dell’era volgare, e quel TEAETTA coll’e lunato e la forma dei caratteri 1 abbassano di molto. Queste sono le ragioni per cui adottiamo la formola cristiana al principio, anziché la pagana, che sarebbe O. K. cioè 0so!; Kaxa/Sovfois : Diis Inferis. Eppure anche questa si trova in alcune lapidi cristiane. La seconda riga conterrebbe il nome proprio del soggello e su^a fin® il principio del nome paterno, di cui si vede la desinenza in XOC nella riga dissotto. A riempiere però il vuoto che ci rimarrebbe, si potrebbe supporre un secondo nome del soggetto; che, se non é frequente, non è senza esempi; come 3>AAYI0C nAIAOC HPAKAEIAOr (Coll. Berlinese, num. 9656).' Si può attribuire una qualità al soggetto, una dignità, una pi ulessione come axpaxcwxrjs, 5iàxovo<; •/.. x. X. Si vegga come prolungasi questa 0HKH IQAMOY XAAKOTTflOr HOI’ KO-NQNOC (ld.; num. 9176). Dopo NOC, che è al principio della riga e che abbiamo detto ritenersi come desinenza del nome paterno, come sarebbe Kóvwvo;, ’Ay^xcovo;, Aàjiwvo: e mille altri, segue la voce di formola usitatissima ZHCAC, part. aor. I. del verbo greco che corrisponde al latino qui vixit. Dopo questa voce apparisce un’ asta, la quale non può essere altro che un E e questo é 1 iniziale di ETH cioè annos; e qui possiamo distenderci o ristringerci a piacimento, perché se non bastano gli anni, soccorrono i mesi e, se si vuole, anche i giorni colle rispettive cifre, o coi numeri distesi. ( 309 ) La prima parola iella riga seguente è TEAETTA, moritur, lonnola volgare nei monumenti cristiani. Qui cominciano le difficoltà per andare innanzi. Dopo un tal verbo o l’equivalente, come sarebbe exeXeóx'Tjaev, èisXecwifr], èxoi|irjìb], ■/.. t. X., viene la data della morte, cioè il giorno del mese, e tanto meglio quando si trovano indicati i Consoli che ci mettono in cognizione dell’età del monumento. Per es. .. . xeXeuxà xfj -pò & zaXavSfiv AOyouaiojv, ònoaeùz ’Avixfou ’Auxevfou Bxaaou xal *I>X. clnXtnTOu (ColIez. cit., num. 9478), cioè: moritur IX Kal. Aug. (24 di Luglio) consulatu Anicii Aucenii Bassi et Flavii Philippi (anu. 408) ... ’sxsXeuxrjaev irrjvl’louXcqù (Id., num. 9518)... V/otjjLTj^v) [jL7]vl Aexe[j,6pi'q) (Id., num. 9519) x. x. X. Questo é il modo comune di indicare il giorno del mese in cui avvenne • la morte del soggetto. Più raro è il trovare il nome del mese non preceduto da [njvì, mense; pur se ne ha qualche esempio, come èvMòe xqcè (xeìxai) èv Mapca. ,rE£r]aev sxrj |x'.-/.pòv "pò: ,3. _ sxeXuMb) (IxeXetwtì'yj) ’louXtou x$, ónàxefa . ’Aarcapoc (num. 9541) cioè : hic j acci in pace Maria • vixit parum ultra duos (fortasse annos). Obiit lulii 24 consulatu Flavii A sparis (ann. 434). Ora venendo al nostro marmo, noi vediamo succedere a xeXeuxà una lettera, la quale per la sua forma ci lascia in dubbio se si abbia da prendere per un Età o per una My. La linea trasversale che unisce le due verticali non è retta, ma alquanto curvata a modo di festone. Questa piccola deviazione basta a farla servire per M, come sanno quelli che hanno qualche pratica della paleografia greca de’ bassi tempi. Ciò non toglie che anche così conformata non faccia pure l’ufficio di H. Da questo appunto nasce la dubbiezza pel caso nostro , per cui non possiamo porre un’ ipotesi sola e ragionar su di essa per congettura; ma cì fa d’uopo aprirci una doppia strada. In primo luogo prendiamo la lettera per M e abbiamo comodamente MAPTup cioè il mese di Marzo, in cui muore il ( 310 ) abbiamo testé" ' ',0n Precedut0 da I*’)'*'- mms'-- difficoltà. Si potrebbe ■ eSempi0: (tlm1uc 'lL,osto mn l:‘ sario) clip i, • nC suPP°rre (benché non sia neces- co,nllll rr 1VeSSe SCritt0 P* <* H. «* di più faci|e . ..001116 11 mese com>nciava pure per M, nulla sasse oltre senza ' (iuadrata,'i° d°p° d’aver inciso una M pascla o a un ueit,re che dopo l’una ne veniva un’altra, nome (se mi/ ° ° allaltro siarP° al mese di Marzo; al cui dere la cifra reUtiv^T,- prendersi) avrebbe dovuto succe-ancora le nrime «-n I P6rÒ la 'iga flobbiamo mettere riSa seguente vediamo* h "°m0' ''' ™ principio della appena accennato dall’ , temmzione in CIOr- L’r ri"la"e Che aupsfa >• • estreraita obliqua dell’asta a dritta, possa dubitar^ 8Mn6nZa dl nome Proprio credo che non si seguono I prim'66 eSaminiamo 1 Poc^‘ avanzi di lettere che che sp nrin ^ i>0^n' ’ C*le occorrono, sono due capi di aste che cosa i Un,SC°n° 8 f°rmare u"a cappa, non so a éla;S:~VerVÌre-É“"aKiso,a,a,eperci6 sicria o; nil. '7 L che non P^sa essere altro che una che duantnnn 6 Une natura de,la lettera che segue, riconoscere perZ^O ^ ^ 6 dimezzata ”on si Può non P-ola greca che cominci ^ mz " H ^ tT AN02 0 TOT IIPECBOITEPOr (ix?£a6ux;pou) MHAQNOS (Boeck, n.°9289). Quel dittongo ou che sta innanzi a imi è preceduto da una frazione di linea orizzontale, che non potrebbe essere altro che T. Ora questo xoù o è articolo geniti\o che potrebbe connettersi coll eira in questo modo: xoù énzòc ixrj ^rpaviog \ oppure si può supporre che questa sia la desinenza del nome paterno, e in tal caso dando un po’ di sviluppo all’epigrafe si potrebbe ristorare in questo modo, che propongo per accademia, inventando nomi e date. ■Evfctes -/.inai èv ì'.prn -Tàpavog Otòg npsaSoTEPOr naùXoo 'PóaxuoùTOr EnTA Extov èzaXsózrjas MHNI 101’ M

uono, un semplice £ fu cambiato nel dittongo AI: errore in- ( 317 ) verso di quello tanto frequente che cambia i dittonghi in semplici vocali, come è il più volte nominato xfte per vjZxa:. e come a questo si colleghi il numero cinque. La forma delPA, l’E lunato, la S alla latina accusano una grecità mollo avanti nella corruzione. Questo marmo è rotto e mancante in alto ed a sinistra; e quel poco che rimane non mi consente di proporre alcuna interpretazione. Ci è un concorso di lettere e di abbreviazioni che potrebbero ricevere lume dal contesto ; ma ridotte a tale isolamento non rispondono alle mie indagini. Della prima riga appena esiste traccia in alcune linee oblique, che s’intersecano a modo di doppio w e che perciò non dicono nulla. La riga di sotto termina con un’abbreviazione che si usa per {xrjvt mense; ma lascio ciò che precede all’investigazione di chi possa riuscire a vederci meglio di me. Per dire una cosa si potrebbe supporre che quella prima figura, che non è lettera, ma abbreviazione, rappresenti 0xv. Segue una lettera unita alla stessa figura, che quantunque presenti una forma alterata di w, si può supporre che, per errore non raro, vi sia caduta per 0. Segue un Y da legarsi in dittongo coli quest’omicron. Il punto che segue non vuoisi considerare, nè deve far difficoltà , da che cosi nell’epigrafia Confesso che non so vedere come ci entri quel dimenticasti. 9. ( 318 ) gieca come nella Ialina si trovano punti posti, non so per qual ghiribizzo, fra una sillaba e l’altra. Dopo il punto viene una sigma di forma meno comune che quella fatta a 0, ma usata in que tempi, cioè un’asta verticale con due lineette oiizzontali a capo e appiè sporgenti alla dritta di chi legge. Se a\esse la lineetta di mezzo, sarebbe un E. Infine ci è A. dunque la parola come apparirebbe scritta , sarebbe 001 SA, accorciamento di ©ANOrSA corrispondente a defuncta; la qual paiola potrebbe benissimo quadrare ad un monumento di donna. Ma io non ho in pronto alcun esempio di una tale abbreviazione. , La riga che succede comincia con una lettera che si avvi Cma aIla forma quadrata e che si trova adoperata perO; ma non veggo che uffizio possa qui esercitare. Viene quindi la preposizione EN seguita pure dall’ abbreviazione fxrjvc'; la quale deviazione benché alquanto diversa dalla precedente, P111 non può rifiutare di prenderla per tale. Due date poi in una medesima lapide non fanno difficoltà: tante sono le circostanze l*e possono prestar occasione a ciò. Per es. nel num. 9361 ' el Boeckh si ha l’iscrizione di Filippo Metropolita morto il febbraio, indizione 9 dell’anno 981, e quivi pure è fatta menzione di Teorlegio padre di lui morto il il Luglio, indizione 15 del 959. ultima riga finalmente presenta il nome del mese d ot-e, cominciando dall’0 quadrato, come quello che abbiamo • ennato di sopra. Seguono regolarmente K e T, e poi viene 0. , 11 ^ olografia comunemente seguita in quel tempo, qui 1 oveva essere Q. usci jnvece un Q Qujndj Q ajp incisore stesso a^CIIn 'diro venne forse l’idea di convertirlo in w col ei 1° per una linea nel mezzo, la quale prolungala gli fece I ren-eie I aspetto di dico? E l’avanzo informe di quattro lettere. Sulle prime tie non cade dubbio AIT, la quarta lascia dubbio tra A e A; ma ci pai più probabilità per la seconda. Or che si fa di questi elementi che messi insieme , come stanno non significano niente ! ^ Ap partengono essi alla stessa voce o vi è distacco? Comincia qui la parola o siamo nel bel mezzo? Si tratta di vocabo o comune o di nome proprio? La meschinità del fiammento tale, che non risponde ad alcuno di questi quesiti. Se .i vuo un nome proprio, supponendo l’ultima lettela un A £Ù7tapAITAiio;. Questo ed altri nomi che ci occoire citare, no sono coniati a capriccio, ma son tutti epigrafici. Se poi vuol adottare un distacco, possiamo prendere le prime^ lettere per l’articolo femminile plurale al, come od xX^ove* o àòeXcpa: infelices filiae o sorores. E si potrebbe anc supporre àÒsXcpxì ddjpovee, che si uniformerebbe più a questa àSsXcpà èuaeSeì; hvJ.rpcw aùv (AiQTpi */.. x. X. (94/7). E per variar tuono suggeriamo anche y.axa/AITAt, voce erronea invece di xaxaxeìxat jacel. Non v’ é alterazione a cui questa voce e la sua forma semplice xeìxot non sia andata soggetta , per I u-s° quotidiano che se ri’è fatto. Si ha -/ixr], ‘/.''xe, xlxai, xaxawxs, xaxaxa'.xs. In quest’ ultima forma si vedono due alterazioni, cioè del dittongo ei cambialo in «c,-e del finale xt in e. Noi, ( 321 ) come si vede, ne invochiamo una sola, quella della penultima sillaba. Se non fosse soverchia ricercatezza proporremmo tptXAITAxw che è di Senofanle in luogo di cpdxàxq). Se piacesse meglio staccare PA dalPI, nella prima si potrebbe riconoscere una desinenza di nome femminile, special-mente latino, come IouXfoc, Oopxouvàxa,'Poyàxa e poi? Poi Ixa)i;, ed ecco che avete una donna italiana bella e fatta. Quanto a 8&axa^ istituto di vita, non par che ci possa somministrare materia probabile. Insomma questo frammento, come si è veduto, lungi dal darci il nome del soggetto e la data del monumento, non ci è largo d1 una sola parola intiera. Ci è da perder la pazienza. Atti Soc. Lig. St. 1’atria, Vul. XI. ( m ) Questa epigrafe è incisa sopra una croce d’argento dorato, arricchita di molte gemme, in cui si custodiscono due pezzi del Santo Legno. Appartenne già alla chiesa di Efeso; ma da circa cinque secoli fa parte del Tesoro della Cattedrale di Genova, distinguendosi coir appellativo di Croce degli Zaccaria per le ragioni che in appresso riferiremo. Cinque piccoli busti rilevano in altrettanti scudetti ai quattro capi di essa e nel mezzo, ossia nel congiungimento delle braccia; ed ognuno reca il nome dell1 effìgie che rappresenta. Soleva la detta croce esporsi in certe ricorrenze alla pubblica venerazione , ed anche essere recata per la città sì nelle processioni dette di penitenza e sì in quella onde solennizza-vasi ogni anno il dì 3 dì maggio, sacro per l’appunto all’invenzione della Croce. Di ciò aveva anzi specialissima cura una società di giovani nobili, intitolata di Carità e Benevolenza ; d’alcuni de1 quali ci sono anche noti i nomi, per un atto del 29 aprile 1466 a rogito dal notaro Oberto Foglietta giuniore, con cui eglino si commettevano in Giovanni de Valerii perché facesse pedem unum Cruci veraci, vulgariter nuncupate de Jachariis, de argento sieriino deàurato et eamaldato, et cum imaginibus, ac modo et forma prò ut continetur in designo designalo in apapiro tradito dicte societati ('). Se non che una tal costumanza non andò lungo tempo che venne intramessa ; e l’annalista Bartolomeo Senarega, rammentandola sotto il 1496, scriveva che già da ventotto anni era caduta in dissuetudine. Udiamo le sue parole: « Asservatur in penitioribus aedibus Divi Laurentii magno studio et veneratione aliquantula pars ligni verae Crucis. Ea est, quam « Gentiles Zachariae ex Graecia delatam templo maiori dicaverant; familia enim haec claritate natalium, divitiis et antiquitate 0 Vauni, Della Cassa per la processione dei Corpus Domini ecc., png. 127. ( 324 ) J n intei alias Genuae celebris fuit; nam ex ea inulti buerunt ^Ce ^ °*ai' Prod*erunt’ et oppida in Oriente ha- li n ’ Unc Pen'tus extincta, et nisi Crux haec memoriam no retineiet, jam penitus abolita esset. Hanc semel in nliJUVeneS nonnil^> nobiles, clero.frequenti, deferre in sup- 0 t- 1°nem solel3ant. Nam cives nostri in huiusmocìi supplì- quas H n SUnt PeiniaXÌme stllc,iosi’ idque fit per societates, oaantia judico posse appellari. Nam alii Virginem Matrem, annos \XVn ^eljastiannm> alii alios portant. Ea supplicatio per nnih,,- * 1 intermissa jam fuerat. Crescente aetate eorum, i***uus curo, i 1 viderent 'UCIS erat, ne omnino divinum cultum exuisse Cornu « ? t Cdnomc,s Ecclesiae obtinuere, ut quo die Christi doner ; V em cleferretur, ipsi ultimas hastas portarent, Se!ue 1 majUS reponeretur »• tasserò le aUr^^ raccontando come di tal proposta si adonti acquetasi™ S°C,età\ch' erano composte di popolari, come vernatore Aqostino^ ‘ ^ P6r h prudenza del G°' popolari mèd esimi ' T’ 6 finalmente conle Per °Pera 0e‘ dì 3 di maffff' "i nP|o*,anrJosi il costume dei nobileschi, il tornasse ad^Lr/ SteSS° ann° U% ,a Croce deg,i Zaccaria cendo che ebtis, in Murator,, S. R. /., toin. XXIV, ( 325 ) Boeekh (N. 8756), apprendiamo che l’Oderico la mandò al Marini, nella cui Raccolta ms. é registrata, donde la trasse il Mai che la pubblicò in caratteri minuscoli nella Nuova Collezione di antichi se nitori, voi. V, pag. 9, num. 3. E fu più recentemente riprodotta, ina soltanto nella traduzione latina del Senarega, dal eh. Federigo Alizeri nella sua Guida Artistica per la città di Genova ■ (ediz. 1846, voi. I, pag. 49) e da Giuseppe Banchero anche in greco nel suo Duomo di Genova illustrato e descritto, pag. 206). Lo scudetto che è in capo alla croce porta l’immagine del Salvatore che ha la destra levata in alto in atto di benedire e appoggia la sinistra sopra un libro chiuso. La scritta é IC XC usitatissima sigla di ’lrjaoù; Xpcaxóc. Nel centro delle braccia è rappresentata la Vergine colle solite sue sigle MP 01 cioè Mr/cr]p 0eou. Essa è velata e con le mani aperte avanti al petto. A capo del braccio destro è S. Michele indicato per queste sigle 0 AP MI cioè 6 ’Apx*YYMr/a^À. Dalla sinistra è l’Arcangelo Gabriele, di cui la scritta é abbreviata in parte soltanto, cioè 0 AP TABPIHA, cioè ó ’ApxayysXos raSpirjX. Finalmente all’ estremità inferiore è l’immagine di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista che qui ha titolo di Teologo. Le lettere sono disposte in due colonne e rispondono a queste parole 0 AriO(s) Ito(avvY]g) 0 0EOAOFOS cioè Sanctus Iohannes Theologus. Quanto all1 iscrizione propriamente detta, la prima cosa che vuol farsi è di ridurla a caratteri comuni, sostituendo anche qualche lettera ove manca, sfuggita probabilmente all’incisore. ToOto tò fréfov otÙqv BàpSx; fièv èxexxv^vaxo, ’E^iaòO 8è àpxi&frnjs ’laòa rcxAactófrèv àve%(a)£vicr(e)v, cioè Hoc divinum instrumentum (arma) Bardas quidem struxit, Ephesi vero Archiepiscopus Isac obsoletum renovavit. È strana del tutto la forma della N, che praticata sei volte __( 326 ) c sempre mantenuta la stessa. Una sola volta poi si avvicina alla forma comune essendo posta in nesso coll'A. Nella parola .aXxtwfrsv dev essere corso un errore all’ incisore. Si vede ripunta la forma di un 0 con due linee che si tagliano a croce, come due diametri, nel suo campo. Questa figura fu usata un tempo per 0 theta; anzi si trova in monumenti antichissimi, e qualche rara volta si vede ricomparire in epigrafi de’ bassi tempi, ma non fu mai usata per Q. Ora l’incisore si trovò aAGI iaPPresentato per isbaglio la theta dove andava V omega e non essendovi luogo a rimediare all’ inconveniente ripetè la medesima figura dove veramente cadeva. Sembrerà però strano die questa sola volta abbia dato alla theta una tal forma disusata, mentre le altre quattro volte che occorre in questo monumento è adoperata la forma di un 0 con un punto nel mezzo. Le ultime due lettere di questo participio, cioè EA sono rappresentate in nesso. ^ell ultimo verbo àvexatvraev mancano due vocali, le quali non si può supporre che sieno state soppresse per far econo mia di spazio , poiché il braccio destro contiene undici lettere, questo otto soltanto. V’ era dunque spazio sovrabbondante per ill epigrafista, che non si può supporre cosi balordo che non sentisse il dittongo a- nella radice xonfe Del resto tutte le voci sono regolari e di forma antica: iterato da xexxacVo, TtaXarfv >, àvExoaviaev da àvaxacvfl^co. La sola voce (Per apx^oxoros, voce dell’uso ecclesiastico) esce del comune. Si '6 6 c*ie e composta, nella prima parte dello stesso elemento, nella seconda da fruw sacrifico, come a dire Gran sacrificatore, sran Sacerdote, che torna lo stesso di Vescovo o Arcivescovo. . orr^ne episcopale é detto magnum Sacerdotium. Ora la ragione di andare in caccia di cosiffatti termini che escono fuor ( 327 ) dell’ uso comune, io la troverei nel colorito poetico che l’Aii-tore si è sforzato di dare alla sua epigrafe. Il Kirkhoff riconosce nel primo membro un verso esametro. Si potrebbe ammettere come spondaico; ma la penultima di ètexT^vaio bisognerebbe farla lunga: contro di che riclama ugualmente la prosodia antica e l’accento moderno. Ma per un tal poeta tutto può essere. E per quel che segue, io lascio che renda onore alPEpigrafista il medesimo dotto Tedesco, di cui riporto le parole : « Quae vero sequuntur ita sunt comparata , ut poeta-strum abjecto consilio ad solutam orationem revolutum esse dicas, quum tanto scilicet conatui se imparem esse persentisceret ». Intorno alla provenienza e denominazione di questa Croce si è finora molto disputato. E già negli Atti nostri ne toccò il rimpianto socio avv. Ansaldo studiandosi di riconoscerla * identica a quella che 1’ anonimo Autore della Cronichetta dei Re di Gerusalemme notava chiamarsi Croce di Sanf Elena (‘). Accedette dipoi a questa opinione il socio cav. Belgrano; ma non ammise, come avea fatto l’Ansaldo, che la Croce di Sant'Elena avesse a confondersi con quella ornata multis lapidibus pretiosis del cui furto si querela Innocenzo III in una ben conosciuta lettera anche testé riprodotta dall’ eruditissimo conte Riant (2). Ora lo stesso cav. Belgrano rettificando lealmente dopo maturo esame la propria opinione, ci comunica le seguenti avvertenze. « Vuoisi considerare che se l’Anonimo nel descrivere la Croce di Sant’ Elena usa tali parole che per una parte convengono benissimo a quella degli Zaccaria, giacché ricorda che in essa suni littere greco, altre però ne soggiunge che non possono del pari applicarsi a questo prezioso monumento. Procedente tempore (scrive infatti) Constantinopolitanus mirili) Atti, voi. I, pag. 73 e segg. (-) Belgrano, Della vita privata dei Genovesi (2.a ediz.), pag. 93; Riant, Exuviae sacrae constantinopolitanae, voi. Il, pag. 56. / —-___.( 328 ) CjCHj Cì.(jC*Tì'ì 7 ' i ~' ~~— ~ ~* 1 ' __ predìctìs litteris ^ ^ (Sa,1Clae He,enae) «T^nto ornaverat ut iscrizioni delia C-? scrW^ plenius continetur ('). Orale alcun Patriarca ^°p6 C,6Sl1 Zaccar,a non fann0 £ia memoria rii suoi òrnamen^ * i 0Stantin0P0,,> ma danno invece merito dei di Per sé la •!? [SaCC° arcivescovo' di Efeso. Cade adunque il ragionamento60]1^^210116 ^U° Croci ’ e torna in camP° niente dal K'°ih ^ !^Ustre ^enco (poscia ammesso piena-cademici di r' ^ ^Ua^6 ne^a sua dissertazione agli Ac-« Vescovo Ef °rt0na rammenta che ii detto Isacco è quel (le,,a sua Stor;Sin°- ^ °U1 ^ac^mero nelIa Prjma Parte P$holo«o e f,a caf)' cJle visse sotto Michele I lo dipinge per* UI6llore de,*a 0,1 ,U1’ coscenza. Lo storico ce % c°nta che ) Un ll°m° ^ P°^£lco c^e ecclesiastico, e rac-celebre Giovan f’Operatore si dichiarò nemico del vanni ^ °CC0 ~~ incitabat eos, cioè i nemici di Gio- xi y uccenaens ad spirituali Patr ^ ur9endam Ephesi antistes Isae, quo batur. —_ Ouand^'' Ujì^ltro consc^ntiae tane Augustus ute-cel dica. /|' p ^ 61 <0SS6 fatt0 ves°ovo di Efeso non trovo chi foro, che Tari ° ,^UlGn ^ successore immediato di Nice-^nopoiitana (/)•• ^liesa desina passò alla Costan- n0n «Sgo prove™! ‘0”- ’’ 687)' Ma di ‘ Jaddove toccando poco stante'd/r •” d°Ve era ““ b“0(J cas(el,° espugr,ata “ magniflcamente TU’,d' eSSere fj“‘vi Sla,° °Spiti“0 segue) che In / , PCr lre ®10rni; dl tal forma -pr0" 'ioanto possedeva''?! '* PerS°M’ " CaSle"° ° doni » (ij pra •’ 10 cant0 mi° gli feci d'ogni maniera anche la Croce 1 p8rtanto s* credere che si trovasse nostro raoiiumentCOn ^rand*ssima Probabilità la provenienza del cui lo sfpscr ° da ^ °Cea’ rimane però incerta 1’ epoca in ,u siesso venne rl-w; y • "a‘o alla nostra Cattedrale'«T™ ‘raSportal° a Genova e do‘ zioni deir Oder' ^Ul cat,ono in taglio le osserva- le scrisse i n2t[ri a*'0^'0 Sle,,a/òosi r insigne archeologo), • nna i verso il principio del secolo XV, (,; «*** cap. CCXXXIV. ( 383 ) ove parla delle sacre Croci che fra noi si venerano (lib. I, cap. Ili), di questa non fa parola. Il costui silenzio potrebbe indicarci che la Croce non era per anco in S. Lorenzo. Se però non vi era, non dovette tardar molto ad esservi, poiché •a famiglia Zaccaria era già estinta verso Panno 1435, allorché nelle di lei case passate in Simone Giustiniani fu ritrovata una piccola reliquia della S. Croce, siccome racconta Giacomo Bracelli nelle sue lettere (pag. 62 retro). Comunque però sia andata la cosa, sono più secoli che noi possediamo un sì nobile monumento, e gelosamente si custodisce nel Tesoro delle reliquie di questa Cattedrale ». E noi per concludere possiamo anche aggiungere con sicurezza, che vi era positivamente di già serbato innanzi al 1466 ». Fin qui il Belgrano. « La famiglia Zaccaria, per servirci delle parole delPHeyd , in generale si acquistò i più grandi meriti presso Michele Pa-leologo e fu da lui principescamente rimunerata con alte dignità, splendidi matrimonii e ricchi beni » (Le colonie ecc., voi. I, pag. 332). Tocchiamo appena secondo l’ordine cronologico i punti più rilevanti di questa casa in Oriente. 1275. Manuele Zaccaria ottenne da Michele Paleologo 1 importantissima terra di Focea posta all’ ingresso settentrionale del golfo di Smirne. La sua ricchezza consiste nell’ allume di cui abbondano le vicine montagne, che é di tanto uso in moltissime industrie. Sorse ben presto in vicinanza a questa una altra Focea che fu appellata Nuova, perchè i detti signori volendosi assicurare dalle scorrerie dei Turchi presero a costrurre un castelli) che servisse di ricovero, e i Greci delle vicinanze diedero volontieri mano a questa costruzione, intorno a cui si raggruppò una nuova città. Le due Focee nelle carte genovesi del medio evo furono dette Foliae novae et veteres, secondo ( 334 ) il costume notariesco di quel tempo che traduceva il nome volgare di Fugieh in Foliae come i nomi volgari e locali di Paggi in Palea, liomaggi in Rumatimi ecc. Benedetto Zaccaria si trova in Porto Fangos di Catalogna ambasciatore di Michele Paleologo al Re d’Aragona per preparare la rivolta contro alla casa d’Angiò regnante in Napoli, la quale scoppiò nei famosi Vespri Siciliani del 1282 (1). Carlo d’Angiò aveva richiesto i Genovesi di concorrere alla spedizione che meditava contro Costantinopoli ; ma essi non solo rigettarono P invito, ma furono solleciti di avvertire P Imperatore dei pericoli ond’ era minacciato. La rivolta di Sicilia poi gli diede altro a pensare. 1288. Questo medesimo Benedetto, ammiraglio de1 Genovesi venne alla corte d’Armenia a vegliare sul mantenimento dei diritti della sua patria, e ottenne per un compromesso che fossero alleggerite le tariffe che troppo gravi pesavano sul traffico de’ Genovesi in quelle regioni. In quest’ anno morì Manuele lasciando tra più altri un figlio di nome Tedisino, o Ticino; come Benedetto lasciò dal proprio figlio Paleologo , detto anche Benedetto II, tre nipoti cioè Martino; Benedetto III e Giovanni. 1304. Andronico II che regnò dal 1282 al 1328, nel suo lungo governo avea trascurato e lasciato decadere la marina imperiale. Quindi in Scio, in Lesbo, in Samo, in Tenedo si erano annidati corsari Turchi, che infestavano quei mari e minacciavano d’impadronirsi di quelle isole. Benedetto Zaccaria vedendo per questo minacciate le sue Focee, richiese Andronico o che proteggesse le isole, o non sentendosi abbastanza forte, a lui le affidasse, ed egli si obbligherebbe a mantenere coi redditi delle stesse una sufficiente forza navale per tutelarle. Appunto nel 1304 Andronico cedette a Benedetto il go- C) Amari, La Guerra del Vespro Siciliano, ediz. 1876, voi. I, pag. 106. ( 335 ) diinento di Cliio per dieci anni, a capo dei quali doveva l’isola ritornare in mano all1 Imperatore. Se Focea era una miniera d’oro per l’allume, non meno era Chio pel mastice. 11 mastice è una resina che geme dalle incisioni fatte in una specie di lentischio di cui abbondano i boschi di Chio, e serve per aroma, specialmente a render odorosa la bocca, per medicina tonica e per la preparazione di vernici. Benedetto conosciutane la preziosità e l’importanza si diede a fortificarsi con animo di non venir più alla pattuita restituzione. ■1307. Benedetto I morì tre anni dopo cioè nel 1 307, lasciando non solo Focea a suo figlio Paleologo, ma Scio ancora come se fosse feudo ereditario. Tanto questo Paleologo quanto gli altri successori, benché tenessero questo possesso per la forza, contra il trattato decennale, non mancarono di prenderne dal-l’Imperatore l’investitura. Benedetto aveva affidato 1’amministrazione di Focea al nipote Ticino ; ma dopo la morte di quello il figlio Paleologo avendo chiesto al cugino il rendimento de’ conti, sorsero da ciò male intelligenze fra di loro. Paleologo pertanto avendo tolta l’amministrazione a Ticino, l’affidò ad Andreolo Cattaneo marito di sua sorella Eliana ; ma Ticino ricorse alla forza e fatto impeto sopra Focea, riuscì ad impossessarsene, come sopra fu detto. L’isola di Taso da lui pure acquistata, venne ripresa dai Greci nel 1313. Nè di Ticino trovo altra memoria. Per tal guisa rimase ai Cattaneo Focea, mentre in Scio raccolsero 1’ eredità di Paleologo i suoi figli Martino e Benedetto III. 1329. Il vecchio Andronico II l’anno precedente (1328) era stato deposto dal nipote, che fu Andronico III. Quanto la marina militare era scaduta sotto Andronico li, tanto fu sollecitamente rialzata dal successore di lui. Gli Sciotti soverchiamente aggravati dai balzelli imposti loro dagli Zaccaria, pre- ( 336 ) » no operatore a liberarli dal giogo di quegli stranieri; L’ass p)6,at0lt" c^seanava di rivendicarsi il dominio dell’isola, l’es )§V Pertanto con una ^orza navale soverchiante. Agevolò Cadimento di Benedetto III contro al proprio prio-j . ^art‘no’ ^ quale obbligato a capitolare fu condotto un V> 1U° 1 C°StanliooPoli. Benedetto che credeva di ritirare vii *Iutt0 dalla sua iniqua azione, fu rigettato a mani perché troppo alte erano le sue pretese. Ne mori di rammarico nel 1330. —- ■ ouv/. _ ‘tanti Martino tornato a libertà fu ancora impiegato in imP01 fazioni. Nel 1344 si trovarono riunite per invito del apa Clemente VI ventiquattro galere tra veneziane, genovesi, po tificie, del re di Cipro e dell’ordine Gerosolimitano » c^e siedeva a Rodi, per ritogliere ai Musulmani la citta ai donde infestavano la cristianità. Alle galee venete coman a^ Pier Zen, a quelle di Rodi fra Giovanni Biandrà, alle ciprio ^ Corrado Piccamiglio nobile genovese, e alle pontificie e novesi insieme Martino Zaccaria praticissimo dei luog lungo soggiorno e dominio di Scio. Al dissopra di tutti ^n legato del Papa e patriarca di Costantinopoli-11 Zaccaria fu accusato d’aver voluto sviare I armata p osserva 11 tentar qualche colpo di mano su queir isola; u grave storico Girolamo Serra, che si ode sovente chi non nosce l’arte del navigare, accusar di malizia o d ignoranza naviganti. L’impresa riusci a maraviglia. Il fiero M0rbass capo di quegl’infedeli è obbligato a fuggire e il 28 d ot o entrano i vittoriosi collesati. Non sono ancora scorsi due m. n li lìlC' che Morbassan ritorna a porre 1’ assedio a Smirne con ^ ^ roso esercito. Per una vigorosa sortita i collegati lugano un volta l’avversario. Ma questi, promessa una borsa d oro per ogni testa di pregio, ripiomba improvvisamente sui cristiani-mentre questi bottinavano, e il prolegato celebrava la niess ( 337 ) sul campo abbandonato dai Maomettani. 11 capo del legato stesso, del nostro Zaccaria e del veneto Zen con una ventina di altri signori porgono pascolo alla barbara generosità di Morbassan. Smirne però si difese, ne fu dato il governo ai cavalieri di Rodi, e il comando dell’armata al bravo Piccamiglio. I Turchi si ritirarono. Nel determinare le relazioni di sangue fra i varii membri di questa famiglia, dei quali ci occorse far menzione, avendo trovato oscuri o ;non concordi gli storici, ci siamo attenuti alPHeyd e alPHopf 0-Kicapitoliamo qui la genealogia dei Zaccaria come fi è data da quest’ ultimo. \ (’) Heyd, Le colonie commerciali degli Italiani ecc., voi. 1, Hopf, Chioniques greco-romaines etc., pag. 502. Atti Soc. Lig. St. Patria. Vul. XI Ì3 Tedisino o 'ticino 1292. Governatore di Focea »3:12-1307 Signor di Taso 1306-1318. m. Benedetta Tarmasi. Odoardo 1291-1313. ZACCARIA qra. Zaccaria de Castro H83 -f 1216. Fulco qm. Zaccaria do Castro, m. 1. Giulietta. 2. Beatrice 1266. I Manoelo 1248 Lia 1288. Signore di Focea 1275-1288. in m. Guglielmo 1 Eliana Grillo 1268. di Gavi. 3. Clarisia, vedova 1291. I Benedetto I. 1248 Signore di Focea 1288 -f- 1307 Signore di Scio, di Samo e di Coo 1301-07. m. N. N. Paleologina sorella dell’ imperatore Micliole Vili, sposala 1275. Nicolino 1248-1288. Vinciguerra 1277. Sette altri tigli I Paleologo 1291-1300 detto anche Benedetto II. Signore dì Focea e di Scio 1307 - 1311. I Eliana m. Andriolo qm. Andriolo Cattaneo Della Volta detto Paleologo, governatore di Focea 1307 Signore di Focea 1314 -J- 1331. Domenico Cattaneo signor di Focea 1331-36 attacca Lesbo faci 1333. Spossessalo dai Bizantini nel 1336. .Manuele 1300. OS OS co I Benedetto III. Consignore di Scio 1311 1314-1329 f 1330. m. Ginevra qm. Corrado DOria vedova 1339-4'). Lucia 1330. in Stefano Cattaneo Martino 1311 Consignore di Scio 1314-29. Spossessato dai Bizantini. Barone di Veligosti ecc.. Creato Re dell’Asia Minore ecc. 1325, i 1345. m. 1. N. N. Ghisi, 2. Giachelina De la Roche signora di Veligosti. e Damala 1327. I Giovanni 1347-59. Alanuele 1350. Bavtolommeo 1317 Signore di Damala ecc. m. Guglielma Pallavicini erede del Marchesato di Bedonitza. Marnila n. 1330 + prima de) 1358. Centurione I, 1336-1382. m. N- N. Asanina. Ramo de’ Zaccheria-Monza sin verso la metà del sec. XV. ( 339 ) 12. -t- TO • AI W ANON • TOT AHQSTOAOT IAKQBÓT TOT AAEAOOT 0EOT Queste due righe sono incise sopra una teca d’argento foggiata a guisa di braccio di grandezza naturale, colla mano in atto di benedire, che serbasi fra le reliquie della Cattedrale di Genova. 11 braccio è ornato da un fregio longitudinale dorato, chiuso da due specie di anelli, ed è opera di stile bizantino. Non così la Base rotonda su cui posa, la quale é decorata da cordoni che la chiariscono per lavoro italiano del secolo XV. Benché non se ne abbia fin qui documento positivo, è però opinione del cav. Belgrano, il quale si occupa da non breve tempo di raccogliere le memorie della colonia genovese di Pera, che siffatto braccio sia stato di colà trasferito a Genova con molte altre reliquie dai nostri dopo la caduta di Costantinopoli e di quel fiorente sobborgo in potere di Maometto II. Sappiamo pel detto degli Annalisti e per l’attestazione di non pochi documenti, che siffatte reliquie vennero allora ripartite fra le Chiese dei Predicatori di S. Domenico e dei Biformati a N. S. del Monte in Bisagno e il Duomo di S. Lorenzo. E quivi appunto ci viene additato questo braccio da un inventario della Sagrestia compilato nel 1549 dal notaro Agostino De Franchi-Molfino, dove si leggono queste parole: Manus sancti facobi minoris apostoli in tabernaculo argenteo (*). (') Veggasi l’inventario pubblicalo da! eli. cav. Alizeri nelle Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle orìgini ecc., voi. 1, p. 69. # Le Paro1^ greche di Sr ( 340 ) . — m sopra riferite, corrispondono a queste latine: Reliquum (reliquiae) Apostoli Iacobi fratris Dei Due sono gli Apostoli che han nome Giacomo, 1’ uno detto il Maggiore, 1 altro il Minore. Il primo dovette essere cosi chiamato, perchè forse era più innanzi negli anni, e perchè, come si sa, fu chiamato prima dell’altro all’apostolato. Da ciò consegue la ragione di chiamarsi minore il secondo. A uolsi anche notare che questo Apostolo nel testo greco del \ angelo è chiamato non minore in grado comparativo, ma nel positivo piccolo. Così al c. XV.*v. 40 di S. Marco si Ie5ge. Mapta -où ’laxwSou xoO jjnxpoù, cioè parvi, che la vulgata traduce in minoris.. Potrebbe perciò anche supporsi che fosse una denominazione presa dalla statura dell’ uomo e che questa circostanza determinasse poi la distinzione di maggiore e di minore. Che qui si tratti del minore non ci è dubbio, rilevandosi ciò dal titolo di fratello di Dio, come si legge nell’ iscrizione aòsX^où XO'J 0eoO, oppure come dice la Scrittura, fratello del Signore. S. Paolo ai Galati. 1. 19 vExepov Sà xwv àmox&lw oòy. ~"ijI w' ^ ^ax(0P°v xòv àòsXcpòv xoD Kupfou. S’intende che fratello si usa per cugino. Sono quattro i personaggi scritturali che hanno il titolo di fratelli del Signore. Giacomo e Giuseppe, Simone o Simeone e Giuda Taddeo. Stando alle conclusioni de’ più accurati ricercatori di questo gruppo genealogico, pare che tutti fossero figli della stessa madre, ma non d’un padre solo. Era essa Maria, sorella della Santissima Vergine, la quale da un primo marito, per nome Alfeo, dovette avere i primi due; da un secondo per nome Cleofa, gli altri due. Non é qui il luogo di addurre i passi scritturali, su cui si fonda questa dedu- ocktoghgwxK^ MicfrarasKicAeM li^a&rsreViNa KOCIGCfcXUlOCtU / KICÌB^O/lMToCfS QMO£NMOC_^_ 1 ISCRIZIONE JAVRATA. NEL CASTELLO BIZANTINO DELL' ISOLA DI SAMOTRACIA fatto innalzare dapalamede gattilvsio nel mccccxxxiii. +ig*TON/lNeK BaefwWYprsMÉrac 4PiceYctwonoAic yeeKHGaiN^WTP" nop&cpc?Ncx ra c ( 341 ) zione : a noi basta aver dato questo cenno a spiegare il titolo che è dato a questo apostolo, a differenza del suo omonimo. Anche questi, a ver dire, avea attinenza a quella prosapia: egli e San Giovanni evangelista erano figli di Zebedeo e di Salome cugina della Santissima Vergine, la quale, secondo il metodo predetto, si poteva chiamare sorella di lei; ma i figli erano cugini di Gesù più distanti d’ un grado e perciò da non potersi chiamare fratelli. Passando poi all’ortografia, occorrono parecchie irregolarità. La prima è Xtyavov in luogo di Xetyavov: un’ altra é quell’w in àrauaioXoù sia perchè di forma minuscola sta in mezzo alle maiuscole, sia perchè occupa erroneamente il posto dell’ o. Un’ altra anomalia riguarda 1’ accentazione. Già nelle lettere maiuscole l’uso migliore è di sopprimere gli accenti; ma se si adottino fa d’ uopo che l’uso ne sia generale ed esatto. Qui non è generale, perché le prime tre parole non ne hanno; non è esatto perchè le parole àTtoa-cóXou e ’laxwpou vogliono essere parossitone, non perispomene. Mancano poi gli spiriti. 13. / K(al) toùtov àvVjYeipev èx eiftpwv 7iópyov liiyas àpijxeòf, cpiXórcoXtj aóftévTijj A'ivoo (6 X) a|iJtpÒ£ rcóXeo)? x(al) xìj ('v^)ooo, naXa|iV)5Y)s Sv8ogoj ra(x)eXtoó(x£r]{) x(at) to&to iaxrjasv èv xpóvot? Ipyov xexpcbug Séxa tit(u)eùooai xat rcpój ys. èvaxootoiz x(al) cpo6yjpòv ó Xa|MipÒ£ cppoópiov noXe(j,io(i)j. S |ia (Corpus I. G. N. 8777) ( 34-2 ) Et hanc excitavit a fundamentis arcem magnus princeps civitatis-amans dominii* em splendidus urbis et insulae Palamedes gloriosus Gatilusius Ovnf1' 'T COnStltuit in teporibus (annis) opus Y 6> eCem C(lllltantibns (currentibus) et insuper ingentis et millibus sexies vetendum splendidus (Palamedes?) castellum hostibus 694 i = U33. Secondo il niPtnriM -i iscrizione nella n t d 1101 tato’ “cogliamo la presente cittadino o S ^ co*ta Perchè riguarda un nostro con-dominante fami?]ia genovese stabilitae stello Bizantino delibi TT”6 in.bianc0 marm0 é nel ca‘ Kirkhoff il • 1 Samotracia. Noi la ricaviamo dal «•’opia del 6 ^ ^ *a Predicarono e il Frank dalla Ornali deir Immuto'A-T) da"e SChede dC' K'ePer‘ qualche niccol* r • ìcheolo9wo 1842. Vi é tra le due copie Eg!i dice poi ch avere anche l'orecchio disposto ad afferrare cositfatte armoni^ I termini sono ancora antichi senza quelle alterazioni , ^ già si erano da lungo tempo traforate nella lingua, il c ,e dobbiamo forse al carattere poetico dell’iscrizione. L autore l’incisore si lasciò soltanto una volta strascinare dalla prò nunzia a scrivere tic in luogo di t?j?. Forse Tunica deviazio di significato è nella parola clie Press0 81* antichi va leva tempo, e dai moderni si usurpa per amo. E in quest u timo senso dice la nostra epigrafe èv xpóvots5 negli anni. Ognu poi che conosca i verbi greci, sa che la terza persona p u del presente e del futuro coincide col dativo plurale dei r^ spettivi participii, e che soltanto il contesto del discorso > stingue. Or qui 1’ CTuticuat, è in tal circostanza di equivoco, m< il senso ci avverte che non può essere altro che dativo \ rale accordato con xpóvoi?. 'Itztzzw poi che ha per radice significa propriamente cavalcare, ma dal correre che fa quest* quadrupede si passò ad estendere la significazione di quel verbo al correre in generale. Il nome di questa famiglia presso gli scrittori Bizantini si __( 345 ) trova variamente scritto , cioè ratsXtóu^o;, raxeXoO^o; e raxeXto'jr^rj?. In latino poi sia nelle monete, sia nei nostri annalisti é Ga-talaxius, Gatiluxius e Gateluxius. Nei due documenti citati l’abbiam veduto Gallilusius e Galtiluxius. Un fratello dì Francesco per nome Nicolò verso il 1384 s’impossessò della popolosa città di Eno importante allora; come anche adesso, perchè in posizione acconcia al commercio. È posta presso l’imboccatura del ramo orientale della Marina l’antico Hebrus. Ha attualmente dalle sette alle otto migliaia di abitanti, ed è riguardata come il porto di Adriano-poli. La popolazione stessa di Eno oppressa dal greco prefetto invitò il Gattilusio all’impresa. Questa città pertanto divenne sede di un secondo ramo di dominatori dello stesso casato. Nè qui si contennero, chè così l'uno come l’altro ramo estesero sopra altre isole Tracie il loro dominio, e ne è prova la presente epigrafe per l’isola di Samotracia, la quale fu conquista del ramo di Eno, ove mezzo secolo dopo Palamede di questa linea edificò il castello. Figlio di questo Palamede era Dorino signore di Eno, quando nel 1456, tre anni dopo la caduta di Costantinopoli, fu assaltato per terra e per mare dai Turchi. Non potendo, com’era naturale, resistere , si ritrasse nell’ ìsola di Samotracia, dove non tardò a raggiungerlo la prepotente rabbia turchesca, che l’anno stesso s’impossessò di questa e delle altre isole da Dorino signoreggiate. In Metellino dominarono i (ìattilusii per poco tempo ancora, cioè sino all’anno 1462. Nicolò e Luchino ultimi rampolli di questo ramo finirono di morte violenta nelle carceri di Costantinopoli. Dorino figlio unico di Palamede già signore di Eno e Samotracia, ed unico erede, come agnato più prossimo dei defunti Domenico e Nicolò figli di Dorino signore di Me-lellino, Foglie e Taso, cedeva i suoi diritti su quei luoghi a ( 346 ) Marco D’ Oria qm. Oberto con certe riserve di compartecipazione pel caso sperato di ricupero dalle mani de-1 Turchi mercé l’aiuto del Re di Francia di cui esso LTOria godeva il favore ('). Dal fac-simile di questo monumento, come pure dalle monete, risulta che la casa dei Gattilusii aveva adottato le insegne dei Paleoioghi, probabilmente per concessione di questi , le quali sono l’aquila bicipite, una croce con quattro fregi, in cui il IvirkholT riconosce altrettante beta, ed un monogramma, in cui, al dir del Frank, una tradizione antica nell’ isola riconosceva il nome di Paleologo. Qualche lettera infatti vi si può riconoscere. 14. Essendo proposito nostro razzolare tutto che si trova in Liguria di epigrafia greca, diamo anche luogo ad una breve iscrizione poetica in due distici (benché assai meschina) la quale si trova nella Metropolitana di S. Lorenzo. L’epigrafe è dedicata alla memoria di un Giulio Cicala morto in età di 27 anni, senza indicazione di data. È probabile ciò accadesse nel 1554, che è l’anno in cui il padre stesso di Giulio fa porre al figliuolo il monumento. Ora siccome l’iscrizione greca è accompagnata nel marmo da altre due iscrizioni latine, l’una in prosa e l’altra in versi; ragion vuole che quella da queste non vada scompagnata nella nostra Raccolta. Le tre epigrafi si vedono incrostate nella parete che é fra la terza e la quarta cappella a dritta di chi entra in chiesa, intitolala a S. Gottardo; e non senza ragione, perchè appunto la quarta cap- (1) Atto del 3 dicembre 1488 a rogito di Lorenzo Costa, nell’Archivio Notarile di Genova, ( 347 ) pella apparteneva alla famiglia Cicala, che l’ebbe per decreto del Senato nel 1534 e la decorò j|i«olo)v cpVjjxyjg Xpi-axo3 xo3 fteoES vj|iùv, àxoùaag xat aùxòg 6 X07tàpx,»]£, sgtoxaxo ini xoó- xoig, xal èrcó&ei iSstv xòv Xptaxóv. oùx ■qSùvaxo 5è Sta xò àviàxcoc; voaeìv. Ypàcpet xoCvuv è;uaxoXì]v rcpòg aùxòv, rjv àTiéaxeiXe Si’ ’Avaviou xù>v aùxo3 xa- , XuSpo^cov, og èv Txetpqc èxÓYXave xrjg ^a)rP«9tx^S tèW'li- nxp^siXt 8è aòxq) ó ASyapog Xapeiv èv aav£8i xò ó|io£u>na xfjg xoù Xpiaxoù ìSéag. ri Sè èniaxoXT) xoù Aùyapoo xaxà ^|xa 6té-£eioi xàSs. “ Aùyapog xoTXCtpx^S TtóXewg ’Eòéaoyjs ’lrjaoù auurjpi àyaS-q) àva-cpavévxt èv jxóXsi 'IepoooXó|ia>v, xatpeiv. ì]xouaxa£ |ioi xà rcspi oou xai xwv awv iajiàxcov, ó)g àveu (pap|iàxwv ójiò oou Yivojiévuv. a)g Y“P ^óY°Si tucpXoù?; àva-pXéusiv rcoteìg, xw^oi,S JtepL7iccx£tv, Xe-Tipoòg xafl-api^eig, y.ai àxà&apxa 7iveó- Nei tempi in cui Cristo vero Dio nostro viveva incarnato fra gli uomini, v’avea un certo principe della città d’ Edessa per nome Augaro (2). Sparsasi adunque per ogni dove la fama dei miracoli di Cristo nostro Dio, avendo egli pure udito il detto principe, stupì a queste nuove e desiderava di veder Cristo; ma non poteva per essere infermo d’insanabile morbo. Gli scrisse adunque una lettera, cui spedì per mezzo di Anania, uno dei suoi corrieri, il quale per sorte aveva anche pratica di pittura. Or Augaro gli commise di ritrarre in tavola la sembianza del volto di Cristo. La lettera di Augaro esprimeva queste cose a verbo. Augaro principe di Edessa al buon Gesù Salvatore manifestatosi nella città di Gerusalemme, salute. Mi venne udito di te e delle cure da te compiute senza medi- (') 11 lesto differisce appena lievemente, ed in ispecie nella punteggiatura, da quello della Colleziona di Parigi 1647, voi. IX, pag. 175 e segg., che si può consultaro nella nostra Biblioteca della Missione Urbana. L’edizione tedesca non trovasi in alcuna delle pubbliche librerie di Genova; e perciò il riscontro venne eseguito sull’e'semplaro che ne ha la Biblioteca di S. M. in Torino dal chiar. sig. cav. Vincenzo Promis, alla cui gentilezza ci professiamo obbligati. (5) Abgaro si trova scritta in greco ora A6Y sSsrj&Yjv xrj; afjS iayjio; xai àYa9-oxr]xos oxuXrjvai xai sXfrsiv Ttpós JJ.S, iva xò ixccO-og o sx«> 9-epaus'jaifjs. xai y*P fjxousa 6xi xai ot ’louSaiot xaxaY0YYÙS0'J3£ oou wl poóXovxai xaxfiaai os. 1x0X15 Ss (ioi saxi o[nxpoxàx7), rjxt; sjapxéosi àjicpo-xépoig -fjjjLiv. SpptI)jO. ” o Ss iax,oSpó|ios àTisX&àv sv’IspoaaX7)|i, xai Soùg xfij xupiq) xrjv èrctaxoXìjv, ?jv s;uiisXùjs àxsvi^fflv aùxijj, jx-rj Sovàjisvos Ss nXrjotov aùxoù axijvat Sia xò aoppsù-oav "XrjO-oc, sili xiva uéxpav [nxpòv xf,g y^ìS àvsaxTjxoiav àvajlàg sxa&éatb), xai sù^ùg sxsivtp |ùv xoù; ò:p9-aX|ioùs, xtp Ss xàpxr) xijv yslpa Ttpoorjps'.Ss, xai xy)v xoù cpaivojisvou |jLExsYpacpsv ó[ioióxTjxa. xai ouSaj-icps vjSóvaxo aùxòv xaxaXagelv, Sii xò sxsp:f xai sxspqf ótysi cpaivsoO-ai. 6 Ss xùpiog, s àxs xpucpiwv Y';w3su)v xai xapSiwv sjsxa-oxrjj, Y'^’j? xìjv sv3-'j|ir;c.'/ aùxoù, [isxsxaXéoaxo aùxóv, xai ^rjxrjoa; v!-òaoO-ai susSófb) aùxij) pàxo; xsxpa-SwtXov |isxà xò vi'^aa^at, èv $ xai àrcs-jjtàgaxo xt]v àypavxov xai ftslxv aùxoù cine. Imperciocché, come dicesi, tu fai vedere i ciechi, camminare gli zoppi, mondi i lebbrosi e fughi colla parola gli spiriti immondi, e curi quelli che sono afflitti da inveterate malattie, e risusciti i morti. Avendo udito di te tutte queste cose, mi posi in mente che tu sei Dio, e che disceso dal cielo operi siffattamente, od operando così sei figlio di Dio. Quindi a-vendo scritto implorai la tua potenza e bontà a torsi l’incomodo di recarsi presso di me per curare il male che ho. Imperciocché intesi che i Giudei mormorano di te e cercano di nuocerti. Io ho una piccolissima città, la quale per noi basterà. Addio. Il corriere giunto a Gerusalemme e consegnata la lettera al Signore, stava attentamente osservandolo , non potendogli star vicino per l’accalcarsi della moltitudine, montato sopra una pietra alcun poco elevata da terra, si assise, e subito appli?ava in lui gli occhi e alla carta la mano e traevane le apparenti sembianze. Nè per vermi modo poteva coglierle, perchè ora gli appariva alla vista in un modo, ora in un altro. Ma il Signore, come scrutatore degli occulti pensieri e dei cuori, conosciuto il suo desiderio, chiamollo a sé. E avendo chiesto lavarsi, dopo che si fu lavato, gli ( 363 ) o<|kv. xai (p xoù ftaùiiaxoj, rcapeofrùs èvsxunàil'Y] xrjg aùxoù iiPpcprjs xò àrcei-xóvta(j.a èv xfj oivSóvi, rjv xal àJiéBmxe x(p Avavlcj elTtcóv “ aueX&e, xal ànó-Bog aùxìjv x(p àjtoaxelXavxl ce. ” àvxé-Ypa^s Bè ó xùpcog y.«l è7uaxoXv]v Txpòg xòv AÌSyapov, ènl Xégecos è/oocav où-xu)£ “ jiaxccpiog ÀQyape, luoxeùaag èv é(j,oi (ìy) éwpaxtóc; |xs. yé^pa^xai yàp Txepl é|ioù, xoùs éwpaxóxag |is |ayj m-oxeùeiv èv è|iol. ol 5è |ìyj iwpaxóxej ]ie aùxol uioxeóooai, xal i^aovxai. ixspi Bè ou sypa'i'^S li01 èXO-eìv Ttpòg ce, Sèov èoxl rcàvxa 7xXv)pcùaa£ |ie Bt’ & àns-axóXrjv, xal |xexà xò itXvjptòaai àva-Xvjcp-0-7jvat |ie Ttpòg xòv àrcoaxetXavxà |is jtaxépa. èrcsiSàv Ss àvaXyj ixexcÒTttp aùxoù. rjv fàp 6 ASyapos Buoi voarj|iaai xaXaiJtwpoù|ievo£, évi jxèv, àpfrplxtBt XP0V^) Èxépq: Bè Xércp^ |jls-Xalvv), èxBarcavcóaij xò ocò|ia aùxoù. oj fu porto un pannolino piegato in quattro in cui si terse l’immacolata e divina faccia. E (o maraviglia!) isso fatto rimase impresso il ritratto della sua figura sulla tela, la quale quindi consegnò ad Anania, dicendo: va e consegnala a chi ti mandò. Riscrisse quindi il Signore una lettera ad Augaro precisamente' di questo tenore: Beato sei, Augaro, avendo creduto in me senza avermi veduto ; imperciocché fu scritto di me che quei che mi videro non credono in me, e quei che non mi videro essi credono e vivranno. Quanto a ciò che mi hai scritto di recarmi a te, è d’uopo che io compia tutte lo cose per cui fui mandato, e che dopo averle adempiute, io sia assunto al Padre che mi ha inviato. E dopo che sarò assunto ti manderò uno dei miei discepoli per nome Taddeo, il quale curerà la tua malattia e ti procurerà la vita eterna e la pace, e alla tua città sarà accordato quanto basta onde niuno de’ suoi nemici prevalga contro di essa. Appesevi in fine un suggello notato di sette lettere ebraiche, la quali interpretate esprimono ciò: da Lio visibile portento divino. Il principe Augaro ricevuto con giubilo Anania, prostratosi adorò la santa e immacolata immagine del Signore con viva fede e fervore, e imman- ( 364 ) xai xaig arcò xt&v àpftpwv ò&óvatg ouv-EtXeio, xai xoìg xrjg Xéiipag èxaXai-Jiwpsixo xaxoìg, àcp' ijs ÈyévsTO aùxip i\ xrjg à|ioptpiag aisxùvr], 81' yjv où5è d-saxòg yjv axsSòv xoig àvO'pcÓJiot;. Msxà Sé ys 1° xoù Xpiaxoù ita&og . xai xìfjv sig oùpavoùg aùxoù àvu)5ov xaxaXapibv ó àrcóoxoXog 9a5Saiog xyjv ESiasav, itpoorjYaYS xij xoXunP^pq: xòv AÙY«pov, xai Tiàvxag xoùg aùxoù ÈpàTtxiciEV sig xò òvo|ia xoù Tiaxpò; xai xoù oloù xai xoù &yìou rcvEÙ|iaxo£. xai ègrjX&s xoù GSaxog xa&apòg xai òyi*ì£ 1 àroxXEicpS-évxog, xai xoù |uxpoù XekJicc-voo xi)g Xé~pa; xoù &iioXs'.cp9-évxog èv xù> jiexànq) aùxoù. ixxoxs 8è rcavxoicog £3£pEX0 xai èxt|ia XÒ 0Epà3|U0V èxxù-lico^a xyjg xoù xupioo (lopqjTjg nposfteig xai xoùxo ó lOTiipyyiz toì? Xowcoìg aùxoù xaXoig. sxitaXai xwv xaipwv upò xf,g òrjjiooiaj nùXrjg xijg TùóXstog ’Eòéa-07)g, àYaX|ià xi xùv 'EXXvjvixwv &sù>v 0^sp9-iv àv30XTf)X(0X0, 0 nàvxa xòv èv-xòg xfjg tióXecos pouXojisvov elaiévai àvàYXYj TjV jipooxuvsìv, xai eùxàg àno-Siòóvai, xai oùxajg eiaepxeodtti èv xfj TióXet. xoùxo oùv xò àxàftapxov xai 6at|iovtà)8Ej àYaXjia xa&eXùv, xai xe-Xsitp -apaòoùj àq)avio|i(j>, sig xòv èxci-vou xótiov ttqv àx£iponoir)xov xaùxvjv tinente rimase sano dai suoi malori, rimastone un piccolo residuo sulla sua fronte; imperciocché Au-garo era travagliate da due malattie: per una parte da artitride cronica, e per 1’altra rodendogli il corpo nera lebbra. Il quale era costretto dai dolori articolari ed era cruciato dai mali della lebbra, donde veniagli vergogna della deformità, per cui non era quasi visibile in pubblico. Or dopo la passione di Cristo e l’ascensione di Lui ai cieli, l’Apo-stolo Taddeo raggiunta Edessa, introdusse Augaro nel lavacro, e lui e tutti i suoi battezzò nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Bd egli uscì dall’acqua mondo e risanato, scomparendo anche quel piccolo residuo di lebbra che gli era rimasto in fronte. Da quel punto venerò in ogni maniera ed onorò 1’ adorabile impronta della sembianza del Signore, aggiungendo il principe alle altre sue buone opere anche questa. Ab antico dinanzi alla pubblica porta di Edessa era elevata sopra una colonna una statua delle greche divinità, la quale ognuno che voleva entrare in città era obbligato ad adorare e porgerle preghiere, e per tal modo varcar la soglia. Togliendo adunque questa impura e diabolica | statua, e sterminatala, in sua vece ( 365 ) % èixóva xoù awxvjpog fyiùw xal fteou ini oavlSog xoXX^oag xal xaXXwnfaa?, àvé-oxriosv, èTtt-YPc^clJaS èv aùxfl xaùxa xà fnrjixata. “ Xptaxè ó 3-eòg, ó eig oe èX-7ti£u)v oùx ànoxuYx.«v£t. ” xal Xoircòv è8'èa7UOE 7tàvxa xòv 5ià xfjs txuXtjs èxe£-vr]£ slaépxso9-(xi nsXXovxa, xò Ttpoarjxov oépaj xal ty)v xi|iY)v ànové|j,stv x^j rco-Xu9-au|x5taxw xal tì-auiiaxoupY?) xoù Xpi-axoù elxóvi, xal Soxco? si? rqv rcóXtv staepxeafrai. *«l òiexrjp^fb) xò xoioùxov xoù àvSpòj eùaspèg 5-éaitio|ia, |iéxp(. xrjg sv xw ptw aùxoù Ttapoixla; xal xoù oloù aùxoù. ò Se xóuxou Ixyovoj xyjg naitiiMaj àpx^S SidSoxoc; YeY0V<*>s Xàxxwe xy]V suaépsiav xal Ttpòj xà ItSwXa 7)ùxo|ióX7)as, xal TtocXiv ijpoo-X-^9-7] àvaaxy)Xùaai Sai|iovtxYjv axY|Xv]v, xal xt]v xoù Xptaxoù elxóva xafteXeìv. xoùxo yvoù? ó euloxoTtog ’E8éaoy]s Sta S-elag ànoxaXó^ewg xrjv èv8exo|iévv)v èftexo Ttpóvoiav. eneiSì) Y“P ^ xórcog òjxiJPXe xoXiv8poeiSr)s, S-puaXXtSa npò xvjg ftelac; eìxóvog àvot^ag xal xépajiov èsufrelj, etxa ejjw&ev xixàvw xal tiXIv-S'Oig àixocppagag xò èjipaSòv, elg 6|iaXì^v èmcpàvetav xò xetx0S àrcVju9-uve, xal èv xffl |ììì ópàaO-ai xr]v tp9-ovou(iévv]v |iopcpr)v, àwéaxyj XYjg èYXSip^eog ò SuaaeP^g è^et xolvuv Sta |iéoou XP°V0S toXùj, xal xrjs èg àv^pé^wv |J.vrj|iY)s aiterò?) f) vi)s tepà? xaùxrjs elxóvo? aTtoxpo^i?. 0 5è xùv Ilepaùiv PaotXeùg Xoapór]?, vi innalzò questa non manufatta immagine del nostro Salvatore e Dio, incollata sopra una tavola ed adornata, inscrivendovi queste parole « 0 Cristo Dio, chi spera in te, non rimane deluso ». Ed ordinò che quinci innanzi chiunque avesse a passar per quella porta, prestasse il conveniente ossequio ed onore alla maravigliosa e portentosa immagine di Cristo e così entrasse nella città. Venne osservato il venerato ordinamento del principe finché durò il governo di lui e del figlio. Il suo nipote poi divenuto erede dell’avito principato, apostatò e ritornò all’idolatria e volle rialzar la diabolica colonna e toglier di mezzo l’immagine di Cristo. Ciò conosciuto per divina rivelazione il Vescovo di Edessa, ne venne al possibile riparo. Essendo che il luogo aveva forma rotonda, accesa una lampada dinanzi alla divina immagine e sovrappostavi una tegola, quind^chiu-so da fuori di calce e mattoni l’accesso, ripianò il muro ad uniforme aspetto. Nè più vedendosi l’odiata immagine, quell’empio si rimase dall’attentato. Scorrea frattanto lnngo tratto di tempo edileguavasi dalla memoria degli uomini l’occultamento della sacra immagine. Ma Cosroe re de’ Persiani (<) C) Cosroe 1, solfo l’imperatore Giustininno, anno 845. ( 366 ) T*S fi)s Aotac TIÓXsiC JMnfi*». - i ~ ' ' TKtptTj„ev„ ■ , _ “■ esPu&nando e saccheggiando le >r‘l tfs bui Xstac " ’E8é°°“v cltU de,r Asia, attaccò nel regeo «mirat spi, ,8> Ìri^JZI< TOavi|'’ anelle Odessa, e movendo ogni r?spi * **" * X«v, 8.,»?tìoe,s r_A&Vj 8,s T” " i,a*p* ^ „ «TOC»!* xai fer,.„,a.tSv_ Z-T.: ,4V9*°V "•*»! ««! * ““>« tap4l»v TOl)V CCÒTÒV 'v ** J ; ; 7:ai s5pov-** ràp l0tS—^volS aÙTÒV ' ' ’ XatK TOV ^£fov AapfS. Cftxi- vsxat yàp Itvat -a T . 8« TY). VWTÒs E, k . S^tOXÓTCO) Y'JVYÌ rtr « iJVT) «S euaxaX7ie Xxi ÓTOxJc’ XPS£”t0V % XaTà : «»*. 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'Ensi Sé Ttpòg XYjv paoiiteùouoav xwv rcóXswv itavxaxóS-sv ouvs^ùv) xà &yiù>-xaxa xal xóXXiaxa, 7)v 6é àpa &elov PoùXrì|ia xal xì]v lepàv xaùxrjv xal •fretav slxóva |isxà xwv àXXwv àjio&r]-oaopwìKjvai xaXwv, 6 xwv 'Pw|iaiwv xopiapxwv 'Pw|iavòg 6 Aaxamfjvòg oitoó-Saop.a Ttoteìxai xaxeo|ioipYjaai xaòx^g xal xaxaitXouxiaat, xvjv paaiXsùouaav. xal 8y] xaxà Siacpópoug xaipoùg èjjarcéaxeiXs itpóg XYjv "ESéaaav, jivjSév àvùoag. 6 |xèv yàp èrcixeixo ' aùxwv, oi Sé àvévSuov xal napexpouovxo. xal xsXsuxatov nei-afl-éviEg, èrcévsuaav. 6 yàp àvajj 'Pw-[lalwv x^ ècpéasi xoo xoioóxoo xaXoù Tipo? rcàvxa ÓJtsljjag xà roxp’ aùxwv Tcpo-paXXójxsva, xal Soùg aùxoìg Siaxoatoug Sapaxr/voùg xal àpyópou èjcio%ou x1' XiàSag SwSsxa, xal àacpaXiaà|isvog Stà aippa^lSog XPua^S 'coi5 R ™Xs|ilwg èjiépxea&at xà xwv 'Pwnaiwv axpaxsù- fossa, sgocciolando dell’ olio di quella lucerna sul fuoco preparato, tutti affatto li sgominarono. Ma la catasta accesa di fuori dai Persiani contro a quelli di dentro, cui immensa legna alimentava, come prima il vescovo se le avvicinò colla divina immagine, levatosi un gagliardo vento, si volse contro a coloro che lo accendevano ed abbruciandoli li mise in fuga. Ciò sopportando i Persiani anziché operando, non una sola volta, ma due e più con vergogna immensa si ritirarono senza nulla aver fatto. Essendo che da ogni parte affluivano nella città imperiale le cose più sante e più belle (ed era superna volontà che anche di questa sacra e divina immagine si facesse tesoro cogli altri oggetti preziosi), Romano Lacapeno imperator dei Romani concepisce il disegno di acquistarla e di arrichirne la capitale. E diverse volte spedì messaggi in Edessa senza nulla ottenere. Ed egli instava presso di loro, ma essi schermi-vansene e riluttavano. E finalmente acconciandovisi assentirono. Imperciocché l’imperatore pel desiderio di tal cimelio cedendo ad ogni cosa da essi proposta e dati loro 200 Saraceni e dodici mila monete d’argento coniato e con aurea bolla assicurando che gli i ( 368 ) [lata xaxà xù)v xsooàpwv uóXswv Èxst-vtov, (ii, 5è X-rjtCsaO-at xaóxa?, è^èxuxe ■tr^s aìnrjoso);. Èrcsì yàp oovsxtopsìxo YEvlaO-ai, xaì napsxwpi)OEV ó àp.yjpòcg, XajSovTCg Èiiioxoitoi, 6 ts 2a|i03a-Ttov, xaì 5 xyjj ’ESéjorjg, xaì Sxspoì -'.ve; xcòv E-jXapiov xò &f'.w èxsìvo ànsi-xóviajia, xaì xò xp^xÓYpacpov srcioxo-XìSiov eIxovxo xtj? ó8o5- xaì rcàXiv ànstpa sxeXeìxo $aù|iaxa. a>s 8è xa-xVjvxTjsav Èv xcp xt^ òitxi(iàxo)v $É[j.axi, sv xù> xt]s 9-soxóxou vacjj xtp Eùospioo Xeyohsv(o, toXXoì i:pooEX9-óvxEg |j.sxà TitaxEwg, àitò notxìXiov vóatov ìa9-Y]aav IvO-a xaì xij ^posrjX&Ev ùnò Saijiovos ÈvoxXo'jjiEvog, xaì xà8s oìoveì àitscpoì Paosv “ à-oXa^E KwvoxavxivoÙTioXis, Só-gav xaì xaP“vi v-^ °ù JWpq>i>pOYÈVY)xi xr(v pasiXsiav ooù. ” xaì Ttapaoxà ìi^t] ó àv9-pto^os. xij 5è té xoù Aùyoósxou jwjvòg, xaxà xò jyvP’ sxog xvj? xoù xóo(iou Y£v^3Ea5, xaxìXapov xòv èv BXaxÉpvaig va àv xjj; 5;tepaY£as 5-eo-tóxou oi xò &Yiov 5iax0[ii^óiiEV0i 5 xaì aìPasjiiMj xaì itepixaptós ujisSéx^ v.aì 7ipo3EX’jv^9-r) ixapà xe xwv paai-Xèwv xaì xùv Èv xsXsi, xaì xùv Xoinùv uàvxtuv xrj Se Èuaùpiov p.Exà xòv àa^a-a(iòv xaì xtjV r.po3xóv7]a'.v àpàjiEVO'. XTjv xoù Xpiaxoù sìxóva ètxì xùv ùjiojv, 5xs àpxiEpEÙ? 8so:?ùXaxxoj xaì oì vsà-£gvxe£ pactXeìs (ò yàp fépta'j 81’ àaxs-VEtav ànsXEÌnsxo) àXXà xaì ol x% YEpouoiag iitavxeg |isxà uavxòj xoù xfjj éxxXrplas 7iXr)pù|iaxoj, xrj Ttpoan)-v.oósrj Sopvyoplz napé^£|ir.ov, |iéxPl xrj; xp’j3s!ac ^ipxrjf. xàxelftev -àXiv i eserciti de’ Romani non moverebbero ostilmente contro a quelle quattro città nò vi commetterebbero depredazioni, venne a capo del suo desiderio. Da che si consentiva che ciò si facesse, e Amera lo concedeva, i Vescovi sì di Samosata sì di Edessa ed alcune altre divote persone, preso quel santo ritratto e la lettera di Cristo, si misero in via. E si compierono di nuovo infinite maraviglie. Quando giunsero al tempio della Madre di Dio, detto di Eusebio, nel luogo denominato degli Ottimati, molti accorsi con fede furono risanati da diversa malattie. E sopravvenne un tale vessato dal demonio e quasi vaticinando disse: Abbi, o Costantinopoli, gloria e letizia, e tu, o Porfirogenito, il tuo impero. Ed all’istante quell’uomo fu sano. Il dì 15 d’Agosto dell’anno del mondo 6452 (944 di G. C.) giunsero al tempio della SS. Madre di Dio alle Blacherne coloro che portavano il santo oggetto. Il quale fu ricevuto riverentemente e con giubilo dai Principi, dai Magistrati e da tutti gli altri. Al domani poi dopo le riverenze e le adorazioni recandosi l’immagine di Cristo sulle spalle e il Patriarca Teofìlatto e i giovani Principi (chè il vecchio per infermità mancava) non che quanti appartenevano al Senato, con tutti ( 3G9 ) àvaXapó|j.svoi ó|j.olw£ |xsxà 4)aX|i ftsoinrjxpòs vaij) àpqj xaxé&evxo xò xi|itov y.al &ylov èxxùrco)|J.a xo3 xuplou ■JUifiiv TyjaoO XpiaxoO, si? cpuXaxxYjptov [iéYtoxov xrjs paoiXtòos xfiv tcóXswv y.al itàvxwv xwv Xpiaxtavwv. y.al xaùxa |ièv oiixu);. gli ordini della Chiesa, con decorosa guardia l’accompagnavano sino alla porta d'oro. E quinci novamente ripresala, allo stesso modo con salmi ed inni giunsero al massimo, famoso tempio di santa Soda. Di poi salirono al-l’Imperatore nel tempio della Madre di Dio, detto Faro, deposero la veneranda e santa immagine di Gesù Cristo N. S. qual massima guardia della regina delle città e di tutti i cristiani. E tali furono i fatti (*)• Veniamo ora finalmente ai dieci quadretti e alle loro [ grafi, descrivendoli prima brevemente. 1.° Augaro giacente a letto, ed Anania a fianco 1 sta ricevendo un rotolo dalle sue mani. La scritta '0 AòYapos Tipo; xóv Xpwxov (3) tov Avaviav tocoorettwv. Augaro che spedisce a Cristo Anania. 2.° Anania seduto sopra una pietra tiene nella S1“istrd ritratto principiato di Cristo e nella destra un Penn® vanti a lui sta il Redentore in piedi. La figura ^ come sempre 1’ aureola intorno al capo, con ai lati monogramma IC XC, Irjaou? Xpiaxoc. Lo scritto e. '0 ’Avavia? xòv Xpwxov {ir) Suvfyevo; faloppa» (4). Anania che non può delineare Cristo. (’) Apud Eusebium, lib. I de Praeparat. Eoxng. in AfJa , è tra la 0 Non p„ssi,m» riparlare i craueri noiia loro £** ^g0„o. quadrata e la corsiva. D->gli accenti notiamo soo q ^ Kuptiv> es. (!) Xpwxòv è abbrevialo in Xv, e cosi sempre, sendo chiarissima la lettera X qui come altrove. (*) E non |ia 5iYa|isvoj taxopYi*xat, come altri i> Atti Soc. Lio. St. Patbu. Voi XI. ( 370 ) 3.° Cristo alquanto curvato sta ricevendo sulle mani unite dell1 acqua che una figurina gli versa da una piccola ampolla a lungo collo. Dice la leggenda : Ni~xójjL£vo; 6 Xpiaxo; (1). Cristo che si lava le mani. 4.° Sono due figurine. L’una è Cristo che presenta all’ altra un oggetto quadrato ; la seconda è Anania che lo riceve. V’ è scritto : '0 Xacno^ xò jiavBrjXtov (2) xaì xrjv eraaxoXTjv xw ’Avavta ScSous (3). Cristo che dà il sudario e l’epistola ad A nania. 5.° Di nuovo la figura coricata (Augaro) che bacia il sudario ; 1’ altra (Anania) le consegna un rotolo. La scritta dice : '0 ’Avxvìoc xo [iavorjXiov -/.a: xvjv emaxoXijV xù Auyapw 8iaxo[ii'C(t)V (4). Anania che porta il sudario e l’epistola ad Augaro. 6.° Una colonna da cui precipita una statuina, e un’altra vicina su cui è collocato il ritratto del Salvatore; due personaggi stanno a piedi di questa colonna e dietro ad essi si vedono mura e torri. Vi si legge in alto: "0 A’jyxpo; xò stowXov xaxaXuao? xrjV etxova foxrja: xoO XotaxoO. Augaro avendo rovesciato l’idolo, innalza l’immagine di Cristo. ~.° La colonna portante una nicchia con entro l’immagine, e sopra questa una lampada accesa. Alla colonna sta appoggiata (*) Si lesse erroneamente fin qui : a:no|isvos e aTiojisvog o Kuptog IHSOrS XPIIT0I traducendo: parla seco lui il Signore Gesù’ Cristo; e tangens Dominus Jesus Christus. Si fecero cosi entrare nella leggenda anche lo lettere IC.XC che servono a dist:nguere la figura del Salvatore e null’altro. (’) E cosi sempre, invece di jiavfbjX'.ov come venne Ietto. C) E non 8i8oi. {*) E non ?bm|r.!>v, come in Calcagnino. ( 371 ) una scala a piuoli ; un vecchio ascende la scala e tiene fra le mani un oggetto quadrato grande come l’immagine (*). Vi è scritto : ‘0 emawKOi àrcoxaXu xaì nXìvGotg, come dice Cedreno, la nicchia. (*) E non ajtsxaXucJjs e Sia xaXXiaxou. ( 372 ) 9.° A sinistra un vecchio a piè della colonna versa l’olio dalla lampada che tiene in mano; a destra torri e soldati nelle fiamme, con questa leggenda: '0 cTiiaxoTtos to eXaiov tà) Ttupl etu^swv xou$ llepaa; xatsxauae. Il Vescovo versando V olio sul fuoco abbrucciò i Persiani. IO.0 Nell’ ultimo quadretto si vede un battello con tre personaggi seduti e il sudario a prora. A poppa sta una figura colle braccia aperte in atteggiamento strano e mezzo fuori della nave. Siccome la lamina d'oro è alquanto danneggiata, l’iscrizione non può leggersi interamente, ma vi si capisce quanto basta per rilevarvi : ToO [iavÒTrjXiou 8iaxo[u£o(iEvoo ac xtjv KwvaxavxivouroXiv o Saijjiov^o-|i£vo; lX0Tj. Portandosi il sudario a Costantinopoli un indemoniato guarisce. Ai lati del volto del Redentore, o più precisamente negli angoli superiori del fondo d’oro, son poi due scudetti convessi del diametro di millimetri 23, i quali portano scritto in grandi caratteri: IC e XC. Sotto ad essi in due tavolette quadrilunghe verticalmente disposte, una a sinistra e l’altra a destra: TO AHON MAMHAION. Quelle e queste formano due proposizioni distinte; e perciò non debbonsi leggere come tutti han fatto: Il Saxto Sudario di Gesù Cristo. Sono due nominativi (*), e le sigle IC XC s’incontrano, come tutti sanno, e come abbiam detto, in tutte le immagini orientali del Redentore scolpite o dipinte, (’) Il Cappelletti, nelle, sue Chiese d'Italia, scambiò il sigma lunato C in r e trascrisse IU.XU (’Itjooù Xpio-où), benché nel 1841 avesse stampato come il Picconi IG. }Tg. Quantunque la seconda lettera possa alquanto somigliare ad un nostro G-, è però evidente non essere che un sigma. ( 373 ) e in tempi moderni si usarono in egual modo sulle monete che portavano 1’ effigie di Cristo. Non discorriamo della forma dei greci caratteri, nè della lingua in cui sono dettate le iscrizioni. Cosi gli uni come le altre appartengono senza ombra di dubbio alla fine del sesto periodo della greca letteratura detto bisantino, che corre da Costantino il Grande fino alla presa di Costantinopoli (306-1453 dopo G. C.) dal quale ebbe origine il greco moderno, ma non vi sono errori né di lingua nè d’ ortografia, come l’imperizia di chi lesse fino ad oggi potrebbe facilmente lasciar supporre. Un esatto facsimile del preziosissimo cimelio avrebbe avuto in questi Atti convenientissima sede, e volentieri 1’ avremmo fatto eseguire, se non presentasse insormontabili difficoltà per noi. Ci consoliamo però sapendo come un nostro socio onorario, T eruditissimo conte Riant di Parigi, sommamente studioso delle cristiane memorie d'Oriente, ne stia ora facendo eseguire una esattissima riproduzione in cromolitografia, alla quale la nostra Società non ha mancato di contribuire in tutto ciò che le fu dato, per renderla sempre più fedele all'originale di cui va superba la nostra città. Concludiamo rendendo di pubblica ragione una poesia la quale si legge in un codicetto cartaceo del secolo XV posseduto dal eh. signor dott. cav. Luigi AnSaldo. Siffatto codice, sprovveduto di titolo, contiene il Liber insularum Arcipelagi di Cristoforo Buondelmonti e la nota relazione del viaggio del B. Oderico da Pordenone: la poesia occupa l’ultimo foglio per tutto il recto e per un quarto del verso. Ma noi la produciamo piuttosto come curiosità che come documento, giacché non sembra meritare cieca fede. Stando a quanto ivi si espone, la storia del S. Sudario verrebbe non poco modificata, giacché Leonardo Montaldo anziché ricevere in Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XI. 25‘ % ( 374 ) dono dall imperatore Giovanni Paleologo la preziosa immagine, avi ebbe iapita. Veramente il fatto non sarebbe strano di per t,è, conoscendosi quanto fossero allora consueti i furti di c«e ieliquie, ma merita conferma, perché vi hanno altre circostanze che non si possono ammettere. Il poeta dice che il . onta o 'enne spedito a Costantinopoli tempore... clari ducis Anthonioti; or Antoniotto Adorno avanti la moite tei .Montaido fu doge una sola volta il 17' giugno 1378, <■ i nemmeno per quella intera giornata, giacché durò sol-a nona a compieta, come dicono gli annalisti, e tosto c. u sostituito Nicolo di Guarco. Non è dunque da supporre ne e poche oie del suo ufficio, restasse tempo alPAdorno pe ire al Greco Imperatore in legazione il Montaldo. Questa a ra parte suole anticiparsi intorno al 1362, e perciò a non i lutai e il racconto potrebbe anche proporsi che al nome di lotto sia da sostituire quello di Gabriele, giacché Ga-r|ee Adorno sedette sulla cattedra ducale dal 1363 al 1370. . ^ie ^ ^ia Pure un altra difficoltà: il poeta lascia in-endere che al ritorno del Montaldo da Costantinopoli destali1 \-i 6 tUmU^' P°P°Iari, in forza de’quali sarebbe succeduto °™°- nostre serie ducali ci insegnano invece n ~3\blÌ6le ^°rn0 succei^ette Domenico di Campofregoso l ^ 0-/8), a questi l’Antoniotto ed il Guarco già detti (1378-83) p 1 a' ^Liarco tenne dietro, per due soli giorni, Federico t ,,a°ana’ fìnC,lé a 7 a^rile venne e,ett0 il Montaldo. ia potrebbe dirsi che anche qui vi abbia un fondo di \erita in que tumulti del 1383 gran parte del popolo si era . (< N'va Antoniotto Adorno » ; e mentre 1 r°An ^ontà^° con (^ieci cittadini erano in la camera . ° . e consigliavano per l’elezione del nuovo Duce,... ìotto eia di sopra, e sedeva nella sedia ducale come Duce, ato dai minori e dai plebei, i quali gridavano viva il ( 375 ) Duce Antoniotto Adorno ». Né la elezione del Montaldo rimase propriamente confermata se non quando da parte dei più prudenti « fu mandato... ad Antoniotto che volesse cedere a Leonardo » ; il quale Antoniotto « attese al consiglio degli amici suoi più savii e più ricchi, e cedette il luogo » ('). Siendum est quod carmina sequentia sunt de Sudario poxilo in Scindo Bartholomeo de Erminniis modo ul captum fuit et ut capitavit in dieta Ecclexia ut sequitur, videlicet : Augarus Edissa cupiens languore levary Pictorem ad Christum Ananiam mitit quam spicacem. Ut Christi faciem Domini depingeret almam Ad se nolentis gressus divertere. Pictor Et non valet Christi faciem depingere sane Advocat hunc Christum pannum colloque labentem Arripit et lini pressit vultusque figuram. Abbagaro defert quam Regi pictor ab illo Acceptamque videt sic Rex simul orat adorat; Moxque suo facie visa languore levatur Fil strepitus templis. Rex Augarus ydola yecit Et faciem erigit Domini Rex Marmare sacram. Precipit et cunctis hoc sacrum laude verery. Hinc post fata viri clari multosque per annos Dumque fides Domini toto diffunditur orbe. Quem greci qui Edissam post hec classe petebant Hanc Christi faciem rapiunt et conditur urna, Dumque revertuntur. Fit quidam demone pressus Qui subito cunctis orantibus est relevatus. Dum vento naves que fiunt patrieque propinque (') Giustiniani, Annali ili Genova, voi. II, pag. 157-58. % ( 376 ) Ponitur hoc sacrum Conslantinopolis urbe Quod cunctis sacrum magno celebratur honore. Hanc persas cives dum contra bella moverent Interea rapiunt dum Rex multosque trucidant mfondit tactum: sacra ymagine Episcopus ygojj^; Cai is tus persas oleum sic destruit ygnis Urbs sic victrix fit Conslantinopolis alma. Detegitur hoc sacrem (sic) magno vellamine moto Contemplatur ydem Calistus corde spicacy Quod cunctis animis (') populo monstrabat et ydem Tempore nam clari Adurni ducis Anthonioly Montaldus quidam Leonardus nomine Caphitaneus (sic) Mittitur ad partes Conslantinopolis urbem Appulit in claram diem cumque triremibus alto. Hoc rapit ingenio sacro velamine molo. Transtulit inque suam sacrum spectabilis urbem Postquam capta quies • ac visis motibus urbis Elligitur dusis (sic) in sedem depellitur alter. Rexit namque diu finem quem sensit adesse Quod testatur idem • tenuit sacrumque darique Isti Basilice quem sic fueritque propinquus. Quod sic inquam dies multis signisque coruscat. Finis ■ Deo gratias. Arnen. (’) Corr. anms. # -DEL VOLUME UNDECIMO DEGLI ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Seconda Appendice alle Iscrizioni Romane, ed Iscrizioni Cristiane della Liguria dei primi tempi fino al Mille, raccolte e illustrate dal socio ean. prof. Angelo San- guineti................Pag- Introduzione...............» Nuove aggiunte alle Iscrizioni Romane......» Genova.................» Valle di Bisogno.............» Quezzi................." Riviera Orientale.............* Polanesi................» Spezia.................» Luni................." Trebiano................» ( 378 ) . . Pa Sarzana ............... Ceparana ............... Riviera Occidentale............ Varazze ............... Savona................ Vado................ Berzezzi.................• Albenga............... Ventimiglia.............. Saorgio ............... Cimclla............... Nizza................ Isola di Nizza............. Settentrione'.............. Millesimo............... Rocchetta Spigno............ Spigno................. Acqui ................ Si revi................ Tortona............... Volpedo............... Velleia................ Addenda. — Iscrizioni laterizie di Taggia. Epigrafe di un urna proveniente' dalla Sardegna..... Quisquiglie. — Genova. Borghetto-Borbcra. Tenda. Nervia O' 26 27 50 ivi 51 52 58 59 49 61 65 65 66 68 ivi 69 71 77 88 95 119 120 125 126 1 Iscrizioni Cristiane. Genova . . . . Riviera Orientale . Albaro..... Pieve di Sori . . Ruta..... Ceparana . . . . 129 151 175 ivi 174 175 178 ( -m ) Sarzana ......... Luni.......... Avenza ......... Riviera Occidentale...... Savona.......... Albcnga......... Contado di Nizza...... Settentrione........ Cremcno......... Libarna......... Tortona e suoi dintorni . • • • Della Lapide di Ferrania, Dissertazione Iella alla Segone Archeologica nelle tornale del 9 e oO gennaio e marzo 1875 dal socio can. prof. Angelo angumc Indici delle parole distribuite pei inaici iag. 185 )> 187 » 188 n 189 » ivi p 190 » 200 % » 202 w ivi » 205 !> 200 )) )) » )) » » » 241 273 277 ivi 279 280 281 282 ivi ivi 284 283 28G ivi ivi 287 288 ( 380 ) Iscrizioni Greche della Liguria raccolte e illustrale dal socio can. prof. Angelo Sanguineti.......l>a Introduzione...............* Iscrizione di Lucio Audio.......... Epigrafe del figulo M anele.........•' Epitafio desunto dal Codice .Marcanova...... Frammento Tortonese............ Quadrello anonimo trovalo nella Basilica di S. Siro. Altri quattro frammenti tortonesi........ Croce degli Zaccaria............ Braccio di S. Giacomo minore......... Lapide di Palamede Gattilusio nel castello di Samotracia Iscrizione sepolcrale di Giulio Cicala in S. Lorenzo di Genova................» Le iscrizioni bisantine del Santo Sudario pubblicale e dichiarate dal socio Pier Costantino Remondini . . . » I HNT H) I C E DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO Sanguineti , Iscrizioni greche della Liguria, raccolte e illustrate. • ^ ctlJ' Rehondini P. C., Le iscrizioni bisantine del Santo Sudario, pubblicate e dichiarate.....* 8 1