ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Volume LXIV MISCELLANEO STORICA Atti Sociali: Albo dei soci al 31 .Dicembre 1934-XIII. — La Società Ligure di Storia Patria nell’ultimo triennio. — Vito Vitale: Il contributo della Società Ligure alla cultura storica nazionale. Documenti e Monografie: C. Bruzzo: Capitolato, contratti e ordinamento dei lavori per la costruzione delle mura di Genova nel 1630-32. — Clelia Jona: Genova e Rodi agli albori del Rinascimento. — Antonio Canepa: Sopra un frammento di una lapide recentemente trovato in Sanremo. — Roberto Lopez: L’attività economica di Genova nel marzo 1253 secondo gli atti notarili del tempo. — Raffaele Di Tucci: Documenti inediti sulla spedizione e sulla mahona dei Genovesi a Ceuta. — Emilio Pandiani: Il primo comando in mare di Andrea D’Oria, con uno studio sulle galee genovesi. — Vito Vitale: Statuti e ordinamenti sul governo del Banco di San Giorgio a Famagosta. — Raffaele Ciasca: Relazioni diplomatiche fra la Repubblica Ligure e la Cisalpina nel 1797-1798. GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMXXXV-XIII ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Volume LXIV MISCELLANEA STORICA Atti Sociali: Albo dei soci al 31 Dicembre 1934-XIII. — La Società Ligure di Storia Patria nell’ultimo triennio. — Vito Vitale: Il contributo della Società Ligure alla cultura storica nazionale. Documenti e Monografie: C. Bruzzo: Capitolato, contratti e ordinamento dei lavori per la costruzione delle mura di Genova nel 1253. Clelia Jona: Genova e Rodi agli albori del Rinascimento. — Antonio Canepa: Sopra un frammento di una lapide recentemente trovato in Sanremo. — Roberto Lopez: L’attività economica di Genova nel marzo 1253 secondo gli atti notarili del tempo. — Raffaele Di Tucci: Documenti inediti sulla spedizione e sulla mahona dei genovesi a Ceuta. — Emilio Pandiani: Il primo comando in mare di Andrea D’Oria, con uno studio sulle galee genovesi. — Vito Vitale: Statuti e ordinamenti sul governo del Banco di San Giorgio a Famagosta. Raffaele Ciasca: Fusione ed alleanza Ligure - Cisalpina nel 1797-1798. GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMXXXV-XIII PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA Scuola Tipografi» « Don Bosco • - Oenova-San P,er D'Arena ALBO DEI SOCI A L 31 DICEMBRE 1934-XIII . I I « I CONSIGLIO DIRETTIVO jt jt jt PRESIDENTE ONORARIO Imperiale di S. Angelo Marchese Cesare, Patrizio Genovese; Dottore in Leggi; Socio effettivo della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia; Socio onorario della Società ligustica di scienze e lettere; Socio onorario della R. Deputazione di Storia Patria delle Venezie; ex Deputato al Parlamento; decorato della Medaglia d’argento dei benemeriti della Salute pubblica; decorato della Commenda dei SS. Maurizio e Lazzaro per servizi resi quale capo gruppo di volontari di Marina al fronte terrestre (1915-1916), e comandante di squadriglie M. A. S. (1917-1919); fregiato del distintivo delle fatiche di guerra (1915-16-17-18); decorato della medaglia di bronzo al valor militare; decorato della Croce al merito di guerra; decorato della medaglia di volontario di guerra (1924); Gr. Uff. della Corona d’Italia. — Venezia, Palazzo degli ambasciatori, S. Trovaso. (21 giugno 1885, 9 gennaio 1921) (1) (1) La data che precede indica la prima ammissione a socio, la seconda l’elezione alla carica. PRESIDENTE EFFETTIVO Moresco Mattia, Senatore del Regno; Rettore della R. Università e Ordinario di Diritto ecclesiastico;. Medaglia d’oro dei benemeriti della Croce Rossa Italiana; Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia; Presidente della Commissione conservatrice dei Monumenti per la Provincia di Genova; Socio ordinario della Società Ligustica di Scienze e Lettere; Socio onorario della Società Storico-Archeologica dell’Ingaunia; Socio corrispondente della Pontificia Accademia Tiberina; Comm. della Corona d’Italia; Uff. dei SS. Maurizio e Lazzaro. — Via XX Settembre, 5, Genova. (22 aprile 1903, 16 gennaio 1932) VICE PRESIDENTI Costa Francesco Domenico, Commendatore della Corona d’Italia; Cavaliere Ufficiale mauriziano; già Presidente ed ora Consigliere dell’Accademia Ligustica di Belle Artr. — Passo dello Zerbino, 2, Genova. (17 luglio 1896, 10 gennaio 1926) Spinola Marchese Paolo Alerame, Patrizio genovese; Accademico promotore dell’Accademia Ligustica di Belle Arti; Membro della Commissione araldica ligure; Commendatore della Corona d’Italia. — Villa Spinola, Montallegro, Genova. (23 febbraio 1896, 14 dicembre 1929) CONSIGLIERI Bionone Prof. Santo Filippo, Dottore in Lettere, Filosofia e Giurisprudenza; Bibliotecario Capo della Bibl. Civica Berio; Accademico di merito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti. — Piazza De Ferrari, 41, Genova. (1 ' dicembre 1928, 15 dicembre 1928) * - IX Bruzzone Rag. Michele, già Direttore della Cassa di Risparmio di Genova; Presidente dell’istituto di Credito Agrario; Comm. della Corona d’Italia. — Via Rivoli, 5, Genova. (28 gennaio 1898, 6 gennaio 1932) Campora Giovanni, Professore di Storia dell’arte neH’Accademia Ligustica di Belle Arti e nelle Scuole comunali Regina Margherita e Duchessa di Qalliera; Accademico di merito e Presidente di detta Accademia; Membro della Commissione d’arte sacra nella Curia arcivescovile; Ispettore degli scavi e monumenti nel Circondario di Genova; Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Via Acquarone, 44-12 A, Genova. (21 giugno 1885, 2 febbraio 1896) Doria dei Marchesi Gian Carlo, dei conti di Montaldeo, Patrizio genovese; Dottore in Giurisprudenza; Segretario della Commissione araldica ligure; Decorato di Croce al merito di guerra. — Via Peschiera, 10, Genova. (19 febbraio 1919, 10 gennaio 1926) Giordano Avv. Ludovico, Libero Docente in Filosofia del diritto nell’Univer-sità di Genova. — Corso Solferino, 16, Genova. (11 dicembre 1914, 9 gennaio 1921) Pandiani Dott. Emilio, Prof, di Storia e Filosofia nel R. Liceo C. Colombo, Libero docente di Storia moderna nella R. Università di Genova; Membro effettivo della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia; Accademico di Merito dell’Accademia Ligustica; Cav. della Corona d’Italia. — Via Domenico Chiodo, 17, Genova. (30 giugno 1912, 8 febbraio 1930) Pastine Dott. Onorato, Prof, di Storia e Filosofia nel R. Liceo Doria in Genova. — Via Lo nielli ni, 16-A, Genova. (21 aprile 1925, 16 gennaio 1932) Pessagno March. Giuseppe, Dottore in Giurisprudenza; Primo Archivista nel R. Archivio di Stato in Genova; Membro della Commissione provinciale per la conservazione dei monumenti ed oggetti d’arte e d’antichità; Membro della Commissione Araldica Ligure; Accademico di merito dell’Acca- demia Ligustica di Belle Arti (Classe degli scrittori d’arte). — Piazza di S. M. in via Lata, 9-7, Genova. (29 gennaio 1902, 14 dicembre 1929) Puccio Prefumo Conte Francesco, Dottore in Giurisprudenza; Grand’Ufficiale della Corona d’Italia. — Via Goffredo Mameli, 37, Genova. (21 gennaio 1898, 10 gennaio 1926) Sauli Scassi Marchese e Conte Oiiofrio, Patrizio genovese; Dottore in Giurisprudenza. — Via Felice Romani, 8, Genova. (2 febbraio, 26 dicembre 1915) Schiaffini Prof. Alfredo, Dottore in Lettere; Ordinario di glottologia classica e romanza e Presidente della Facoltà di Lettere nella R. Università di Genova; Socio corrispondente della R. Deputazione toscana di Storia Patria e della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Parmensi; Membro effettivo della Società Ligustica di scienze e lettere; Membro della Société de Linguistique di Parigi; Cavaliere della Corona d’Italia. — Via Carlo Barabino, 26-12, Genova. (27 ottobre 1928, 15 dicembre 1928) Vitale Dott. Vito, Prof, di storia nel R. Liceo C. Colombo; Libero docente di storia moderna nella R. Università di Genova; Membro effettivo della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia; Socio effettivo della Società Ligustica di scienze e lettere; Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Via S. Ugo, 7, Genova. (4 febbraio 1914, 11 maggio 1931) DELEGATI DEL CONSIGLIO DIRETTIVO (art. 10 dello statuto sociale) Vitale Vito, Segretario generale, incaricato della Biblioteca. Puccio Prefumo Conte Francesco, Delegato alla contabilità. Spinola Marchese Paolo Alerame, Tesoriere. SOCI ONORARI jt j* jt Costa Comm. Francesco Domenico (del Consiglio direttivo). (26 dicembre 1915) Rossetti Prof. Carlo, Capitano di Vascello (dim); già Capo Gabinetto del Sottosegretario di Stato per le Colonie: Uff. Mauriziano. Comm. della Corona d’Italia, Decorato di Croce al merito d: guerra. (G0i iptrfìe 1916) Volpicella Nobile Dottor Luigi, Patrizio dì Giovinazzo; R. Soprin"ardente a rip. di Archivi di Stato; Membro e Segretario della: R. Commissione Araldica Napoletana; Socio ordinario dcìla R- Deputazione Toscana di Storia Patria; Già Presidente della Società Ligure di Storia Patria; Socio della Società Napoletana di Storia Patria; Aecaderr.'co di merito dei Accademia Ligustica di Belle Arti; Membro corrispondente, già ordinario, della R. Accademia Lucchese di Scienze e Lettere; Socio corrispondente, già ordinario, della Società Ligustica di Scienze e Lettere; Socio corrispondente dell’Accademia Pontaniana dì Napoli; Corrm. dd'i Corona d’Italia; Comm. dei SS. Maurizio e Lazzaro. — cTvst» Vittimo Emanuele, 171, Napoli. (14 dicembre 1929Ì SOCI CORRISPONDENTI Lanza S. E. Pietro, Principe di Scalea, dei Principi di Trabia; Ministro distato; Senatore dei Regno; Cavaliere di Gran Croce, ecc. — Palermo. (17 aprile 1898) Richardson Ernest Cushing, Bibliotecario della Università di Princenton. — Nuova Jersey (Stati Uniti d'America) (3 giugno 1906) Sieveking Dott. Enrico, Rettore e Prof, di Economia politica deH’Università di Amburgo. — Hamburg (Germania). (3 giugno 1906) Manfroni Camillo, Senatore del Regno; Prof, di Storia coloniale nella R. Università di Roma; Membro effettivo del R. Istituto Veneto di Scienze e Lettere, della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, della R. Deputazione Toscana di Storia Patria, dellaR. Accademia di scienze e lettere di Padova; Socio onorario della R. Deputazione di Storia Patria per le Venezie; Socio corrispondente della R. Società Romana, dell’Ateneo Veneto, deH’Accademia letteraria di Leyda, della R. Accademia de la historia di Madrid; Decorato di medaglia d’oro di prima classe dei benemeriti delle scienze navali; Comm. Mauriziano e della Corona d’Italia. — Via Po, 162, Roma. (9 gennaio 1910) XIII Bràtianu Giorgio I., Prof. dell’Università di Jassy — Str. Coroi 4, Jassy (R™*™)- (27 dicerabre ,924) De La Roncière Carlo, « Conservateur du département des imprimés » della Biblioteca Nazionale di Parigi. — Bibliothèque Nationale, Paris. (15 gennaio 1927) Suida Guglielmo, Prof, di Storia dell’arte nelPUniversità di Gratz. Gratz (Austria) . ino_. ' (15 gennaio 1927) Cuneo-Vidal Romolo, « Individuo de numero del Istituto Historico del Perù »; Accademico corrispondente della « Reai Academia Espanda de la Historia »; Accademico corrispondente della « Reai Academia Hispano Americana de Cadiz »; Socio corrispondente dello « Ateneo Hispano Americano de Buenos Aires »; Socio corrispondente della * Junta de Historia Nacional de Montevideo »; Socio corrispondente del « Centro de Cultura Valen-ciana de Valencia»;4Individuo de la Sociedad Bolivariana del Perù»;Mem-bro del « Directorio de la Sociedad geografica del Perù »; Socio corrispondente della « Sociedad geografica de La Paz » (Bolivia); Commendatore dell’Ordine del Sol del Perù, Commendatore della Corona d’Italia. — 205, Paseo Colòn, Lima (Perii). (17 dicembre 1927) Levati P. Luigi Maria (già soc. effett. ann.). (31 gennaio 1931) Skrzinska Elena. — Krestovskij o Olguina 14, Leningrado. (31 gennaio 1931) j* j* SOCI EFFETTIVI VITALIZI 0) J* j* Anfossi Dott. Antonio, Comm. della Corona d’Italia. - Via Lavinia, 47, Genova- (10 dicembre 1927) Balduino Dott. Domenico, Comm. della Corona d’Italia, Decorato di medaglia d argento al valor militare. — Piazza Nunziata, 19, Genova. (27 luglio 1906, 22 maggio 1924) Belimbau Dott. Eugenio. — Piazza Nunziata, 24, Genova. (17 gennaio 1921, 22 maggio 1924) Bensa Felice, Senatore del Regno; Grand’Uff. della Corona d’Italia; Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro; Uff. dell’Or. di Leopoldo del Belgio, Cav. della Légion d’Onore — Piazza delle Fontane Marose, 25, Genova. (4 luglio 1921, 15 marzo 1929) t Berry Edward E. — Monte Verde, Bordighera. (16 febbraio 1907, 25 giugno 1925) (1) La categoria dei soci vitalizi fu istituita col nuovo Statuto sociale approvato dall’As-semblea generale dei soci nell’adunanza del 9 giugno 1923 e sanzionato con R. Decreto 18 novembre 1926, e cominciò a comporsi al principio del 1924 con iscritti provenienti dalla vecchia categoria dei soci annuali. Delle due date segnate in parentesi, la meno recente si riferisce alla prima ammissione a socio, la più recente all’iscrizione nella categoria dei vitalizi. Quando compare una sola data, questa indica in pari tempo l’iscrizione a socio vitalizio e la prima ammissione alla Società. In questo elenco sono compresi altresì i soci vitalizi già defunti, i cui nomi vengono contrassegnati dalla crocetta i quali, come sono perpetuamente presenti nel patrimonio sociale colla somma intangibile da ciascun di loro versata all’atto dell’iscrizione (Art. 2 dello Statuto), così devono essere sempre presenti nell’albo sociale. — xv — Bibolini ing. Giovanni Battista, Deputato al Parlamento. — Corso Firenze, 40, Genova. <24 ottobre 1929) t Biqliati Avv. Prof. F.sco Giuseppe. — Genova. (12 marzo 1908, 5 febbraio 1925) Bognetti dott. prof. Gian Piero, Ordinario di Storia del Diritto Italiano nella R. Università di Genova. (24 ottobre 1929) Bruzzo Nob. Dott. Alfonso. — Via Privata Piaggio, 3, Genova. (19 dicembre 1934) Bruzzo Carlo. - Mura di S. Erasmo, Castello Bruzzo, Genova. (14 marzo 1931) Calpestri A. Italo. - /272 St. Charles Street, Alameda, California. (U S A ) (25 giugno 1896,11 febbraio 1926) Cambiaso dei Marchesi Pier Giuseppe, Patrizio genovese. — Vico Barnabiti, 3-11, Genova. (4 febbraio 1919, 15 marzo 1929) Campanella Tito, Comm. della Corona d’Italia. — Via Garibaldi, 12, Genova. (18 gennaio 1930) Candioti Alberto M., Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario della Repubblica Argentina a Belgrado; Presidente dello « Ateneo Hispano Americano » di Berlino; Membro dello « Institut für internationales Recht » deU’Università di Kiel; Membro della « International Law Association ». — Belgrado (Iugoslavia). (31 gennaio 1924, 22 maggio 1924) Carpanini Pellegrino G., Comm. della Corona d’Italia. — Lerici. (10 novembre 1921, 22 maggio 1924) Carrara Venceslao, Dottore in Scienze Agrarie, Cavaliere Mauriziano, Cavaliere di Gran Croce, decorato del Gran Cordone della Corona d’Italia, Grand’Ufficiale dell’Ordine di Nicola II; Cavaliere del merito agricolo di Francia. — Villa Carrara, Genova. (9 aprile 1927) Casaretto Emma Ved. Drovanti. — Via S. Nazaro, 26, Genova. (27 ottobre 1928) — XVI f Casaretto Avv. Pier Francesco. — Genova. (23 febbraio 1896, 9 dicembre 1925) Cattaneo dei march. Angelo march, di Beiforte, Ing. Direttore Stabilimento « Uva », Genova-Bolzaneto. (18 gennaio 1930) Cattaneo Adorno nata Luserna di Rosà march. Giuseppina — Via Alba-ro, 20, Genova. - (18 gennaio 1930) Codevilla Mario, Orefice. — Via Orefici, 24, Genova. (22 maggio 1924, 31 maggio 1928) Copello Avv. Notar Giovanni Mario, Presidente della Società Economica di Chiavari; Med. d’Oro dei Benemeriti, Comm. della Corona d’Italia— Via Gio Batta Raggio, 1, Chiavari. (26 giugno 1916, 8 febbraio 1932) Costa Comm. Francesco Domenico (del Consiglio Direttivo). (17 luglio 1896, 22 maggio 1924) Croce Beppe, Grand Uff. della Corona d’Italia — Via Assarotti, 5, Genova. (17 luglio 1896, 31 maggio 1928) De Ferrari Principe Don Gerolamo dei Marchesi De Ferrari, Avvocato; Capitano di Complemento della Giustizia Militare; Ministro di Stato onor.; già Ministro Plenipotenziario di S. M. il Re del Montenegro; Cav. di gr. mag. del S. M. O. di Malta; Gr. Cr. decorato del Gr. cordone del R. O. di Danilo del Montenegro; Cav. Uff. della Corona d’Italia, del-l’O. della Corona di Querce del Lussemburgo, del Medjidié di Turchia, del Nichan - Iflikar di Tunisi, delI’lflikar-el-Anouar del Tadjurah, del Salvatore di Grecia; Cav. di S. Carlo di Monaco; Cameriere Segreto di Cappa e Spada di S. S.; Fregiato della Medaglia Naz. It. della guerra 1915-1918 e medaglia interalleata della Vittoria; della medaglia d’arg. per merito di guerra del Montenegro; delle palme Accademiche, (Off. di Accademia) di Francia; decorato della Croce Rossa del Montenegro; membro benemerito dell’istituto Naz.le Fascista di Cultura; membro corr. della R. Società Geografica di Lisbona, della Società scientifica « Limbourg » di Roermond (Olanda); membro onor. dell’istituto Granducale di Lussemburgo, sez. scienze storiche; Accademico del Collegio Araldico di Roma (Istituto Araldico Romano); già membro corr. della Imp. Società di Storia ed Antichità di Odessa, dei cessati Istituti R. Accademia Araldica — XVII — Italiana di Pisa, Conseil Héraldique de France etc.; già membro della Commissione Araldica Ligure. — Via S. Lorenzo, 17, Genova. (2 febbraio 1890, 5 febbraio 1925) De Fornari Marchese Luigi, Patrizio genovese. — Villino De-Fornari, Genova — Quarto dei Mille. (25 giugno 1925, 29 aprile 1926) Doria dei Marchesi Dott. Gian Carlo (del Consiglio Direttivo). (19 febbraio 1919, 11 febbraio 1926) Drovanti Anna. — Via S. Nazaro, 26, Genova. (27 ottobre 1928) Drovanti Maria. — Via S. Nazaro, 26, Genova. (27 ottobre 1928) Durazzo dott. march. Giuseppe Maria, March, di Pontinvrea, Patrizio genovese, Dottore in Giurisprudenza. — Piazza della Meridiana. 2, Genova. (21 aprile 1925, 18 gennaio 1930) Fabbricotti Conte Carlo Andrea, Grand’Ufficiale della Corona d’Italia, Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro. — Carrara. (23 giugno 1919, 22 maggio 1924) Fontanabona Ettore, Direttore Capo Servizio (Ispettore Generale) del Ministero Poste e Telegrafi; Grand’Uff. della Corona d’Italia; Cav. Uff. dei SS. Maurizio e Lazzaro. — Via Aureliana, 53, Roma. (6 aprile 1896, 19 novembre 1930) Gallian Amalia. — Via Mylius, 9, Genova. (29 aprile 1926) Gallo nata Serra Marchesa Matilde. — Via Serra, 2, Genova. (10 dicembre 1927) Garibaldi nob. avv. G. Nicolò, Cav. Mauriziano, Cav. della Corona d’Italia; Cav. S. M. Ordine di Malta; Cav. della Légion d’Onore di Francia; Cav. della Corona del Belgio; Ufficiale della Stella di Romania; Ufficiale della Pubblica Istruzione di Francia; Comm. di Danilo I del Montenegro. — Via al Ponte di Carignano, 2-3, Genova. (18 gennaio 1930) b - XVIII — Giordano Avv. Prof. Ludovico (del Consiglio Direttivo). (11 dicembre 1914, 31 gennaio 1924) Gropallo March. Marcello, march, della Forzesca, Patrizio genovese. — Piazza dello Zerbino, 12, Genova. (18 dicembre 1920, 9 aprile 1927) Guagno Ing. Enrico. — Via Cernaia, 20, Torino. (15 gennaio 1927) Guala Amedeo fu Antonio. — Via Galeazzo Alessi, 6, Genova. (1° dicembre 1928) Lercari Gian Luigi, Comm. della Corona d’Italia. — Via G. B. D'Albertis, 5-9, Genova. (29 aprile 1913, 20 febbraio 1928) Maglione March. Avv. Giuseppe. — Diano Marina. (17 gennaio 1921, 9 dicembre 1925) Marsano Mons. Alfredo, Cameriere Soprannumerario di S. S.; Arciprete di Santa Maria, Vicario Foraneo. — Genova-Rivarolo. (18 dicembre 1905, 29 novembre 1924) Moresco Senatore Prof. Mattia (del Consiglio Direttivo). (22 aprile 1903, 27 gennaio 1932) t Negrone March. Giovanni, Patrizio genovese. — Genova. (31 maggio 1928) Negrotto Cambiaso marchesa Matilde nata Giustiniani. Via Balbi, Genova. (16 gennaio 1932) Pallavicino March. Stefano Lodovico, Patrizio genovese, Dottore in Giurisprudenza. — Piazza delle Fontane Marose, 27, Genova. (15 marzo 1929) Pallavicino nata Gropallo Marchesa Maria. — Via S. Nazaro, 8, Genova. (21 aprile 1925, 9 aprile 1927) Passalacqua Marco, Grand’Uff. della Corona d’Italia. Via A. M. Mara-gliano, 8-3, Genova. (9 aprile 1927) — XIX — Peraoallo Cap.no Alberto. — Piazza Erbe, 6-2, Genova. (20 febbraio 1928) Peraoallo Cornelio, Comm. della Corona d’Italia, Presidente Società Ital. per industrie fondiarie. — Via Buoncompagni, 17, Roma. (29 aprile 1926, 20 febbraio 1928) Pes di Villamarina e d’Azeolio March. Salvatore. — Piazza Manin, 41, Genova. (4 luglio 1921, 25 giugno 1925) Piccardo Andrea Luigi, Dottore in Scienze Commerciali, Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Via Assarotti, 36, Genova. (25 gennaio 1923, 31 maggio 1928) Poggi Nob. Dott. Agostino, Prof, libero docente e incaricato di storia del diritto romano nella R. Università di Genova. — Via Roma, 10, Genova. (31 gennaio 1931) Poggi Prof. Francesco, Dottore in Matematica; già Ordinario di matematica e fisica nel R. Liceo Ginnasio Cristoforo Colombo in Genova; Socio corrispondente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia e della « Sociedad Geografica de Lima — Salita Superiore S. Rocchino, 33-43, Genova. (1 febbraio 1904, 5 febbraio 1925) Preve Cesare, Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Corso Solferino, 13, Genova. (20 maggio 1929) Puccio Prefumo Conte Dott. Francesco (del Consiglio Direttivo). (21 gennaio 1898, 22 maggio 1924) Puccio Yon. — Via G Mameli, 37, Genova. (18 marzo 1898, 11 febbraio 1926) Raggi March. Antonio, Patrizio genovese, Dott. in Lettere. — Via Assarotti, 37, Genova. (9 aprile 1927) t Raggio Conte Carlo, Dottore in Giurisprudenza, Senatore del Regno. — Genova, (19 ottobre 1896, 22 maggio 1924) — XX — Salvago Raggi March. Giuseppe, Patrizio genovese; Dott. in Scienze Sociali; Ambasciatore di S. M. il Re d’Italia; Senatore del Regno; Delegato italiano nella Commissione delle Riparazioni; Consigliere del Contenzioso diplomatico; Membro dell’istituto coloniale internazionale; Medaglia al valor civile; Grand’Uff. Stella d’Italia; Cav. di Gr. Cr. della Corona d’Italia (M. P.); Cav. di Gr. Cr. dei SS. Maurizio e Lazzaro.— Via P. L. da Palestrina, 8, Roma. (21 aprile 1925, 15 dicembre 1928) Salvago Raggi dei Marchesi Paris, Patrizio genovese. — Via Zara, 23, Genova. (18 dicembre 1920, 11 febbraio 1926) Sauli Scassi dei Marchesi Ambrogio di Onofrio, Patrizio genovese, Dottore Architetto.— Via Felice Romani, 8, Genova. (11 gennaio 1929) Sauli Scassi March. Dott. Onofrio (del Consiglio Direttivo). (2 febbraio 1896, 31 maggio 1928) SciRNi Paolo, Comm. della Corona d’Italia. — Piazza Nunziata, Genova. (24 febbraio 1910, 11 febbraio 1926) Scorza M. G. Angelo. — Via Caffaro, 3, Genova. (25 febbraio 1920, 22 maggio 1924) Serra Marchesa Caterina. — Via Serra, 3, Genova. (18 dicembre 1920, 9 aprile 1927) Serra dei Marchesi Orso, Patrizio genovese, Decorato di Croce al merito di guerra. — Via Serra, 4, Genova. (25 febbraio 1920, 9 aprile 1927) Spinola March. Paolo Alerame (del Consiglio Direttivo). (23 febbraio 1896, 31 gennaio 1924) ■jt jt SOCI EFFETTIVI ANNUALI J* Jt JK Accademia Ligustica di Belle Arti. — Piazza R. De Ferrari, 41, Genova. (1° gennaio 1873) Andriani Dott. Giuseppe, Prof, di lettere italiane e storia nel R. Istituto Tecnico « Vittorio Emanuele III » in Genova-Sampierdarena; Socio effettivo della Società Ligustica di scienze e lettere. — Via Aequarone, 26-11, Genova. (22 maggio 1924) Ansaldo Giovanni, Dottore in Giurisprudenza. — Salita S. Gerolamo, 28, Genova. (5 novembre 1930) Astengo Corrado, Dottore in Giurisprudenza. — Corso Firenze, 38-14, Genova. (9 dicembre 1925) Ascari Mario Celso, Dottore in Lettere. — Piazza Corvetto, 1-5, Genova. (3 giugno 1932) Balduino Giuseppe, Dottore in Giurisprudenza, Cav. della Corona d’Italia. — Piazza F. Corridoni, 6, Genova. (14 marzo 1921) Balestreri Leonida, Dottore in Giurisprudenza e in Scienze politiche, economiche e sociali, Organizzatore Sindacale. — Via Palestro, 25-25, Genova. (27 gennaio 1934) — XXII — Bassi Prof. Adolfo, Dottore in Lettere, Cavaliere della Corona d’Italia. — Via dei Sansone, 17, Genova. (3 marzo 1909) Bellavita Emilio, Colonnello; Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Piazza S. Bartolomeo Armeni, 8, Genova. (9 gennaio 1933) Bellotti Dott. Silvio, già Prof, di lettere italiane nel R. Istituto Tecnico « Vittorio Emanuele II » in Genova; Cav. della Corona d’Italia. — Via Pisacane, 5, Genova. (20 giugno 1905) Benettini Avv. Giorgio. — Piazza R. De Ferrari, 36-4, Genova. (20 dicembre 1920) Bensa ing. Paolo. — Genova-Quinto. (20 dicembre 1930) Bensa Avv. Ubaldo. — Via Assarotti, 12-8, Genova. (16 gennaio 1932) Berini Ing. Dott. Federico. — Via Vittorio Veneto, 9-15, La Spezia. (31 maggio 1928) Berio Avv. Fausto. — Via San Donato, 2-2, Genova. (4 febbraio 1914) Berlingieri Avv. Francesco, Dottore aggregato della R. Università di Genova; Prof, incaricato di diritto marittimo nella stessa Università; Membro della Commissione Reale per la riforma dei Codici; Presidente dell’Asso-ciazione Italiana di diritto marittimo; Membro del Bureau permanent du Comité Maritime International; Delegato del Governo italiano alla Conferenza diplomatica di diritto marittimo a Bruxelles; Membro del Comitato esecutivo della International Law Association-, Comm. dei SS. Maurizio e Lazzaro, Grand’Uff. della Corona d’Italia, Grand’Uff. nell’Ordine di Leopoldo 11 del Belgio. — Via Roma, 10-2, Genova. (16 dicembre 1896) Bernardakis Costantino, Dott. in Legge. — Via Ippocrate, 2, Atene. (4 febbraio 1914) Bernucci Dott. Mario, R. Commissariato di P. S. del Molo. — Genova. (19 dicembre 1934) — XXIII — Biblioteca Briqnole Sale. — Via Garibaldi, 18, Genova. (13 gennaio 1917) Biblioteca Civica Berio. — Piazza R. De Ferrari, 41, Genova. (22 novembre 1857) Biblioteca Civica Gian Luigi Lercari. — Via di S. Fruttuoso, 19, Genova. (21 dicembre 1922) Biblioteca Comunale. — Genova-Sampierdarena. Biblioteca Comunale. — Lodi. Biblioteca Comunale. Verona. Biblioteca Comunale. — Imperia. Biblioteca Comunale. — San Remo (Imperia). Biblioteca Nazionale di S. Marco. — Venezia. (18 Gennaio 1930) (27 gennaio 1934) (17 marzo 1881) (8 marzo 1932) (8 novembre 1925) (15 marzo 1929) Biblioteca Popolare G. Mazzini. — Via Garibaldi, 20-6, Genova. (9 dicembre 1925) Biblioteca (R) di Stocolma. — (Svezia). (18 gennaio 1930) Bignone Prof. Dott. Santo Filippo (del Consiglio Direttivo). (1 dicembre 1928) Biso Dott. Prof. Giuseppina. — Viale XX Settembre, Carrara. (20 maggio 1929) Boccalandro Avv. Francesco, Comm. della Corona d’Italia. — Via dei SS. Giacomo e Filippo, 35, Genova. (20 luglio 1918) — XXIV — Boggiano Pico Avv. Prof. Antonio, Dottore aggregato della Regia Università di Genova; già Deputato al Parlamento Nazionale; Comm. della Corona d’Italia. — Via S. Lorenzo, 23, Genova. (9 aprile 1890) Bonguadagno Gerolamo, Dottore in Giurisprudenza; Accademico promotore dell Accad. Ligustica di Belle Arti; Presidente del Pio Istituto dei rachitici. — Via Lomellini, 25, Genova. (18 dicembre 1914) Boni Dott. Belmiro. —Stradone S. Agostino, 32-2, Genova. (15 marzo 1926) Borgogno Giovanni Battista, Dottore in Lettere. — Via Conte Rinaldo, 5, Periil aldo (Imperia). (8 marzo 1932) Borlasca Dott. Ugo, Medico-Chirurgo; Comm. della Corona d’Italia. Via Villini di Starla, 1 A, Genova Quinto. (3 maggio 1933) Bornate Dott. Carlo, Prof, di lettere Italiane e storia nel R. Istituto Tecnico « Vittorio Emanuele li » in Genova; Membro effettivo della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia; Segretario della Consulta di Genova della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento; Cav. della Corona d’Italia. — Corso Sardegna, 46-17, Genova. (4 febbraio 1914) Borzino Emilio, Grand’Uff. della Corona d’Italia. — Via Roma, 9, Genova (3 maggio 1923) Bozzano Ing. Cristoforo, Socio effettivo della Società Ligustica di scienze e lettere; Grand’Uff. della Corona d’Italia. — Corso Firenze, 9-12, Genova. (19 febbraio 1916) Brignola Orazio. — Via Felice del Canto, 2, Genova-Pontedecimo. (27 gennaio 1934) Brunetti Avv. Carlo Mario, Dottore in Giurisprudenza; Socio corrispondente residente della Società Ligustica di Scienze e Lettere; Comm. della Corona d’Italia; Comm. dell’Ordine di Danilo I; medaglia di guerra. — Salita S. Matteo, 20, Genova. (20 maggio 1925) Bruschettini Dott. Mario. — Via Albaro, 6-1, Genova. (27 gennaio 1934) — XXV — Bruzzone Attilio. — Piazza Corvetto, 2-1, Genova. (9 maggio 1933) Bruzzo Conte Ing. Carlo, Generale di Brigata del Genio in P. A.; Comm. della Corona d’Italia. — Via Iacopo Raffini, 10-2, Genova. (9 gennaio 1933) Bruzzone Rag. Comm. Michele, (del Consiglio Direttivo). (28 gennaio 1898) Buraqoi conte prof. Gian Carlo, Socio Nazionale residente della R. Accademia delle Scienze di Torino; Socio effettivo della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia; Membro della Commissione Reale per la pubblicazione dei carteggi di Cavour; Consigliere del Comitato torinese per la Storia del Risorgimento e della Società Storica Subalpina; Vice Presidente della Commissione Araldica Piemontese, Sovrintendente del R. Archivio di Stato in Torino; Libero Docente di Storia del Diritto Italiano nella R. Università di Torino; Commendatore della Corona d’Italia, Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro. — Via Arsenale, 10, Torino. (28 gennaio 1898) Cambiaso Domenico, Dottore in Teologia; Canonico di N. S. del Rimedio; Archivista della Curia Arcivescovile. — Piazza Umberto I, 22, Genova. (29 dicembre 1899) Campora Prof. Cav. Uff. Giovanni (del Consiglio Direttivo). Canepa Prof. Antonio, Dottore in Lettere e Filosofia, Ordinario di filosofia e storia nel R. Liceo « Gian Domenico Cassini 4 di Sanremo; Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia; R. Ispettore onorario per i monumenti e scavi e perle biblioteche; Cav. della Corona d’Italia. — Via Zeffiro Massa, 53, Sanremo (Imperia). (18 dicembre 1920) Canevello Prof. Dott. Edoardo, Presidente del Comitato Ligure per l’educazione del popolo: già Direttore generale delle Scuole Civiche di Genova; Comm. delia Corona d’Italia. — Via Casaregis, 34, Genova. (21 dicembre 1884) Cappellini Avv. Antonio, Cav. Corona d’Italia. — Via Acquarone, 24-3, Genova. (6 giugno 1932) — xxvi — Caprile Enrico, Qrand’uff. della Corona d’Italia. — Via Roma, 7, Genova. (26 maggio 1923) Capurro Sac. Giuseppe. — Recco (Genova). (24 maggio 1911) I Carranza Barone Avv. Livio, Cav. della Corona d’Italia. Via S. Martino, 13, Pisa. (29 novembre 1924) Carreqa March. Antonio, Patrizio genovese; Dottore in Giurisprudenza; Presidente dell’Accad. Ligustica di Belle Arti; Console generale del Principato di Monaco; Cav. della Corona d’Italia, Cav. dell’Ordine di S. Carlo. Via Curtatone, 1, Genova. (19 marzo 1896) Casaretto Avv. Dott. Francesco, Vice Presidente del Consiglio provinciale dell’economia, già Deputato al Parlamento Nazionale, Grand’Uff. della Corona d’Italia; decorato di Stella al Merito Rurale, Presid. Comitato genovese C. R. 1. — Via dietro il Coro delle Vigne, 3-7, Genova. (24 maggio 1902) Cassa di Risparmio di Genova. — Via David Chiossone, Genova (26 maggio 1923) Cassanello Dott. Notaro Paolo, Comm. della Corona d’Italia. — Via XX Settembre, 28, Genova. (25 gennaio 1923) Castellano Avv. Dionisio. — Oneglia (Imperia). (20 luglio 1918) Castello Margherita. — Piazza Pinelll, 4-8, Genova. (7 giugno 1934) Cattaneo Adorno March. Luigi, Patrizio genovese, Dottore in Giurisprudenza; Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Via Garibaldi, 8, Genova. (10 marzo 1872) Cattaneo dei Marchesi Mino, March, di Beiforte, Patrizio genovese. — Corso Solferino, 15, Genova. (4 febbraio 1919) Cattaneo della Volta Ferdinando, Patrizio genovese. — Piazza Cattaneo, 26*2, Genova. (17 gennaio 1921) — XXVII — Cattaneo della Volta March. Giuseppe fu Giulio, Patrizio genovese. — Piazza Cattaneo, 2Ó-2, Genova. (25 febbraio 1921 ) Caumont Caimi Conte Lodovico. — Via Goffredo Mameli, 32, Genova. (30 dicembre 1920) Celle Mario G., Dottore in Lettere; Socio effettivo della Società Ligustica di Scienze e Lettere; Cavaliere della Corona d’Italia. — Via Paolo Gia-cometti, 912, Genova. (28 novembre 1929) Centurione Scotto dei Principi e Marchesi Carlo, Patrizio genovese; Ingegnere civile ed elettrotecnico; Bali del Sovrano Militare Ordine di Malta, Grand’Uff. della Corona d’Italia, Senatore del Regno. — Via Uffici del Vicario, 49, Roma. (10 giugno 1897) Chiarella Sac. Prof. Giuseppe; Dott. in Lettere Filosofia e Teologia; Sac. e Can. Onorario della Cattedrale di Chiavari; Professore di Filosofia ed Economia Politica nell’istituto Parificato Leone XIII; Direttore Spirituale del Convitto Nazionale Longone. — Via Vincenzo Bellini, 2, Milano. (9 aprile 1908) Chiesa Avv. Aldo, Dottore in Giurisprudenza. — Via Assarotti, 23, Genova. (20 dicembre 1930) Chiossone Avv. David, Direttore de « Il Secolo XIX »; Comin. della Corona d’Italia. — Salita S. Gerolamo, 2, Genova. (10 aprile 1930) Ciasca Dott. Raffaele. Ordinario di Storia Moderna nella R. Università di Genova; Socio corrispondente dalla R. Deputazione di Storia Patria delle Provincie toscane; Membro della Società di Storia Patria e di Archeologia di Alessandria; Socio effettivo della Società Ligustica di Scienze e Lettere. — Via Rodi, 10-7, Genova. (18 novembre 1932) Ceciarelli Prof. Armando, Dottore in Lettere. — Via Casaregis, 23, Genova. (26 maggio 1932) Cimati Dott. Camillo, Senatore del Regno; Grand’Uff. della Corona d’Italia. - Villa Fiascherino, Lerici (La Spezia). (io aprile 1930) — XXVIH Cipollina Marcello, Dottore in Giurisprudenza, giS.Archivista del Archivio di Stato in Genova; Cav, della Corona d'Italia. - Saüta Costa di Rimrolo L, 28. (4 ei„gno ,896) CKCOLO Artistico Tunnel. - Via Carlo Felice. 72, Genova.^ ^ ^ Ciurlo ing. Marcello, Prof. ord. di costruzione navale e disegno ^ costruzione nel R. Istituto Nautico * S. Giorgio » in Genova, Cav. Uff. della Corona d'Italia. - Piazza Tommaseo, 4, Genova. <22 settembre ,9,7) Codionola Prof. Arturo, Dott. in Lettere; Conservatore della Casa Mazzini; Vicepresidente della Consulta di Genova della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano; Socio effettivo della R Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Province e la Lombardia; Socio effettivo della Società Ligustica di scienze e lettere; Comm. della Corona d'Italia. - Via Lomellini, 21, Genova. (8 novembre ,923) Compagna d, Zeneixi. - Via Ettore Vernazza, Genova. (8 novembre 1923) Consiglio Provocale dell'Economia Corporativa. - Via Garibaldi 4 (16 aprile 1921) Genova. Consiglio Provinciale Dell’Economia Corporativa. - La Spezia (22 dicembre 1921) Consorzio autonomo del Porto di Genova. - Via Frate Ohveno, 4, (6 aprile 1922) Genova. Contardo Prof. Giambattista, Dottore in Medicina e Chirurgia. — Via Inte-riano, 3, Genova. <3 ,932> Corsanego Avv. Camillo, Dottore in Scienze Commerciali; Cav. della Corona d’Italia. - Salita S. Matteo, 19, Genova. (17 gennaio 1921) Costa Avv. Antonio. — Villa Maggio, Santa Margherita Ligure (Genova). (1 gennaio 1927) Croce Ing. Benedetto, Cav. della Corona d’Italia. Via XX Settembre, 37, Genova. ^ aprile 1920) — XXIX — Croce Bermondi Edoardo, Dott. in Giurisprudenza. — Via Serra, 6, Genova. (4 luglio 1921) Crump H. Ashbrooke. — Villa Francesca, Alassio (Savona). (29 aprile 1926) Dagnino Prof. Eduardo, Professore al Pontificio Istituto di Musica sacra. — Via delle Alpi, 9, Roma. (24 maggio 1911) Dall’Orso Mario, Comm. della Corona d’Italia. — Corso Paganini, 64 A - 4, Genova. (7 luglio 1923) D’andrea Avv. Andrea. — Via XX Settembre, 12, Genova. (3 maggio 1923) De Amicis Mons. Giacomo Maria, Vescovo tit. di Sinope, Ausiliare dell’Ecc.mo Cardinale Arcivescovo di Genova; Prelato domestico di S. S.; Canonico della Metropolitana. — Piazza delle Vigne, 4, Genova. (12 agosto 1888) De-Ferrari Avv. Francesco. — Piazza Campetto, 5, Genova. (21 maggio 1896) De Fornari Paolo Luca di Luigi, Patrizio Genovese. — Villino De Fornari, Quarto dei Mille. (18 novembre 1932) Del Carretto di Balestrino March. Avv. Domenico, Comm. della Corona d’Italia. — Albenga (Savona). (3 maggio 1923) Dellepiane Avv. Giuseppe. — Fegino, Genova-Rivarolo. (18 gennaio 1930) Del Medico Conte Carlo. — Ispettore Onorario delle Antichità e Scavi per Carrara, Presidente della R. Commissione Conservatrice dei Monumenti e Antichità per la provincia di Massa-Carrara; Socio Onorario e Consigliere di Amministrazione della R. Accademia di Belle Arti di Carrara; Membro delle RR. Deputazioni di Storia Patria di Modena e Parma e della R. Accademia dei Rinnovati di Massa; Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Carrara. (2 marzo 1918) — XXX De Negri Prof. Teof,lo O. - Piazza Invrea, 8-7, Omom^ ^ de Simoni Sac. Prof. Lazzaro, Condirettore de, quotidiano « Nuovo Cittadino». - Via Aequarone, 3-2, Ornava. <>5 marzo 923> . , » crpnnvese — Villa di Negro, Marola, Di Negro Dott. Nob. Anorea, Patnzio genovese. ^ ,Q25) (La Spezia). ~ i-v- ha i R Archivio di Stato e Prof, di Di Tucci Dott. Raffaele, Direttore del K. Arcnrnu Paleografia e diplomatica, Libero docente di Stona de Dmtto Italiano nella R. Università; Socio corrispondente della R. Deputazione d, Stona Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, - Km Bnseata, Pataz-1 ^ 0 , - (24 ottobre 1920) zina Gabella, Oenova-Sestn. DONETT, Avv. Vincenzo. - Via Roma, 11, Sanremo (Imperia). (25 novembre 1916) Doria March. Ambrogio, Conte di Montaldeo, Patrizio genovese; Dott. in Scienze agrarie. - Via Garibaldi, 6, Genova. (3 maggio ,923) Do»,A dei Marchesi Gustavo, dei. Conti di Montaldeo, Patrizio genovese; Dott in Scienze sociali ed in Giurisprudenza. - Via Rodi, 9 A, Genova. (5 febbraio 1925) Doria Bombrini Marchesa Rosetta. - Via Garibaldi, 6, Genova. (21 dicembre 1925) Doria Lamba March. Francesco, Patrizio genovese. - Piazza Vigne, 6, Genova. (6 aprile 1896) Doria Lamba dei Marchesi Lodovico, Patrizio genovese; Avvocato. - Via Gambaro, S. Francesco d’Albaro, Genova. (30 dicembre 1920) Doria Lamba dei Marchesi Vittorio, Patrizio genovese; Tenente Colonnello di fanteria nella riserva, dee. di med. di bronzo v. m. e di due croci di guerra; Cav. on. e dee. d. M. O. M. — Via Cairoti, 18, Genova. (25 febbraio 1902) Dufour Dott. Luigi. — Salita Santa Brigida, 6-4, Genova. (19 dicembre 1934) XXXI — Erizzo Avv. Ettore, Comm. della Corona d’Italia. — Piazza Corvetto, 1-2, Genova. (8 novembre 1923) Facco Sac. Prof. Ilario. — Piazza San Giovanni il Vecchio, 4, Genova. (5 novembre 1930) Fasce Rodolfo. — Corso Firenze, 46-6, Genova. (20 maggio 1929) Fassio Pio Giuseppe. — Corso Ugo Bassi, 46, Genova. (31 marzo 1909) Ferrando Luigi, Insegnante civico. — Via Melegari, 8, Genova. (9 dicembre 1925) Figoli Des Geneys Conte Eugenio, Senatore del Regno. - Arenzano. (27 marzo 1897) Filippini Nob. Enrico, Dott. in Lettere; Già Prof, ordinario di lettere italiane e latine nei RR. Licei classici; Socio ordinario della R. Deputazione di Storia Patria delPUmbria; Socio della Società Storica Lombarda; Socio onorario della R. Accademia di Belle Arti di Milano; Cavaliere Uff. della Corona d’Italia. — Via Ariosto, 26, Milano. (3 maggio 1923) Galdini Avv. Vittorio. - Via Assarotti, 15-10, Genova. (9 maggio 1933) Gallo March. Dott. Enrico. Via Edmondo De Amicis, Genova-Cornigliano. (10 maggio 1930) Gattini Alessandro di Giovanni. — Via Vittorio Emanuele, Villino Gattini, Carrara. (20 dicembre 1930) Gavotti dei Marchesi Ludovico, Patrizio genovese, Dottore in Giurisprudenza; Cav. della Corona d’Italia. — Via Cairoti, 10, Genova. (22 luglio 1897) Gentile March. Gian Carlo, Patrizio genovese. — Via Assarotti, 44, Genova. (30 giugno 1924) Gia.mpaoli Giorgio. — Vìa Massimo D’Azeglio, Carrara. (27 aprile 1932) — XXXII — Giazotto Remo. — Vico Spotorno, 1, Genova. (16 gennaio 1932) Giuliani Nob.Manfredo, Membro effettivo della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Parmensi (Sezione di Pontremoli). — Pontremoli. (6 marzo 1916) Giusti Dott. Antonio, Prof. Ordinario di Lettere Latine e Greche nel R. Liceo C. Colombo; Cavaliere della Corona d’Italia. (9 gennaio 1933) Giustiniani dei Marchesi Enrico, Patrizio genovese, Dottore in Giurisprudenza; Capo di Gabinetto dell’Alto Commissario della Società delle Nazioni nella Città libera di Danzica. — Danzica. (21 giugno 1920) Giustiniani dei Marchesi Raimondo, Patrizio genovese, Dottore in Giurisprudenza. — Via V. Bellini, 14, Roma. (21 giugno 1920) Grandi Leto. — Via Archimede. 32, Genova. (16 novembre 1926) Gropallo dei March. Tommaso, Patrizio genovese, Avvocato. — Via S. Lorenzo, 23-6 Genova. (15 maggio 1934) Grosso Dott. Orlando, Direttore dell’Ufficio di Belle Arti e Storia del Comune di Genova; Socio corrispondente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia; Socio corrispondente residente della Società Ligustica di Scienze e lettere; Accademico di merito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti (Classi di pittura e degli Scrittori d’arte); Membro della Commissione provinciale per la conservazione dei monumenti ed oggetti d’arte e d’antichità ; Comm. della Corona d’Italia; Cav. dei SS. Maurizio e Lazzaro, Cav. dell’Ordine di S. Gregorio Magno. — Via Garibaldi, 18, Genova. (11 febbraio 1922) Gruppo Rionale Fascista « Generale Giordana ». — Via Peschiera, Genova. (19 dicembre 1934) Guiglia Avv. Giacomo. Corso Principe Amedeo, 5, Genova. (31 maggio 1928) — xxxm — Hanburv Or. Uff. Cecil. — La Mortola, Ventimiglia (Imperia). (18 dicembre 1920) Kühn Dott. Qkete. - Schòneberg, Berlin. (5 novembre 1930) Illuminati Sac. Prof. Luigi, Dottore in Lettere, Ordinario nel R. Liceo A. Doria; Libero docente incaricato di grammatica latina e greca nella R. Università di Genova; Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Genova. (23 aprile 1931) Istituto Ecclesiastico di S. Maria Immacolata. — Via del Mascherone, 55, Roma. (24 maggio 1911) Istituto (R.) Superiore di Scienze economiche e commerciali. — Piazza di Pammatone, 1, Genova. (20 marzo 1887) Iona Dott- Clelia. — Via Cordusio, 2, Milano. (15 maggio 1934) Lagostena Dott. Angelo, Prof, di materie letterarie nel R. Ginnasio C. Colombo in Genova. — Via Montesuello, 7, Genova. (19 febbraio 1921) Lamboglia Prof. Giovanni, Dottore in Lettere. — Via Mazzini, 39, Alassio (Savona). (31 gennaio 1931) Lattanzi Corrado. — Via Cavour, Carrara. (9 novembre 1934) Lattes Dott. Alessandro, Prof, emerito della R. Università di Genova; Socio effettivo della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, della R. Deputazione di Storia Patria per le Marche e della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Parmensi; Socio della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena; Socio effettivo della Società Ligustica di scienze e lettere; Accademico di merito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti (Classe degli scrittori d’Arte): Grand’Uff. della Corona d’Italia, Cavaliere Mauriziano. — Via Tirso, 47, Roma. (18 dicembre 1919) — XXXIV — Lavagna Cav. Francesco, Colonnello di cavalleria a riposo, Cav. Uff. della Corona d’Italia; Cav. SS. Maurizio e Lazzaro. — Piazza del Crocifisso, 3, Lucca. (19 febbraio 1921) Lavoratti Rag. Arturo. — Via XX Settembre, 21-6, Genova. (19 dicembre 1934) Lazzoni Conte Giulio. — Via Garibaldi, Carrara. (20 dicembre 1930) Lertora Elsa. — Via S. Ugo, 5-12, Genova. (19 dicembre 1934) Lopez Dott. Roberto, Prof, nei RR. Istituti Magistrali; Libero docente di storia moderna nella R. Università. — Viale Romagna, 33, Milano. (27 aprile 1932) Lupi Dott. Alessandro, Medico Chirurgo. — Via Flora, 18, Villa Lupi, Genova. (31 gennaio 1931) Magrì Rag. Salvatore, Direttore del Credito Italiano; Cav. Uff- della Corona d’Italia. — Genova. (19 dicembre 1934) Maineri Nob. Domenico Riccardo. — Via Assarotti, 181, Genova. (10 aprile 1930) Mangini Sac. Emilio, Dottore in Teologia e in Lettere, Prof, nel R. Ginnasio C. Colombo. — Via Corsica, 6, Genova. (9 gennaio 1933) Marchini Luigi. — Corso Magenta, 43, Genova. (15 marzo 1929) Massardo Avv. Ing. Angelo, Cav. Uff. della Corona d’Italia. Salita S. Matteo, 19-18, Genova. (9 febbraio 1914) Massola Baronessa M. V. nata dei Marchesi Tagliacarne. — Via al Ponte Calvi, 5, Genova. ' (21 aprile 1925) Massone Enrico. — Via S. Agnese, 2, Genova. (30 dicembre 1920) — XXXV — Massuccone Francesco Giova nni, Avvocato. Vui Assarotti, 13-12, Genova (27 luglio ìyoo) Mazé de la Roche nata dei Marchesi Maglione Contessa Makia Ernesta. Via S. Giuliano, 11 A, Genova. (22 maggio 1924) Milano Avv. Emilio, Procuratore Legale. — Largo di Via Roma, 35, Genova. (9 novembre 1934) Monaci Mons. Prof. Silvio, Dottore in Teologia; Arcidiacono-Parroco della Cattedrale di Montalcino; Membro del Pontificio Collegio teologico di Siena; Decorato con medaglia d’argento dei benemeriti deH'Istruziont popolare; Direttore emerito del R. Istituto Nazionale pei Sordomuti di Genova; Cav. Uff. della Corona d’Italia. Via Cialdini, 7, Montala no (Siena). (6 giugno 1892) Mongiardino Ing. Giuseppe, Cav. della Corona d’Italia. — Via Connetto il Lungo, 31. (29 aprile 1920) Monleone Giovanni, Dottore in Lettere e in Legge; Socio effettivo della Società Ligustica di Scienze e Lettere, Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Ispettore onorario per le Opere Integrative della Scuola; Capo Ufficio presso il Municipio di Genova incaricato di Studi Storici; Commendatore della Corona d’Italia, Ufficiale dei S.S. Maurizio e Lazzaro. - Via S. Luca, 4-13, Genova. (4 dicembre 1915) Montanaro Avv. Agostino. -- Salita Quattro Canti di San Francesco, 7, Genova. (i agosto 1876) Moriconi Prof. Angelo Americo, Canonico della Cattedrale di Massa; Socio della R. Deputazione di Storia Patria di Modena; Socio della R. Accademia dei Rinnovati di Massa; Ferito di guerra con quattro campagne e decorazioni annesse; Medaglia d’Argento dei benemeriti della C. R. J.; Cav. della Corona d’Italia. — Massa. ($ novembre 1933) Municipio di Savona. (28 luglio 1915) Municipio della Spezia. (16 gennaio 1917) — XXXVI — Municipio di Voltaggio. (17 maggio 1916) Muttini Dott. Prof. Pietro, Assistente Ispettore della Biblioteca Civica Beno. — Yia Trieste, 4-6, Genova. (7 luglio 1922) Negrone March. Vittorio, Patrizio Genovese. — Piazza Fontane Marose, 23, Genova. O4 marzo 192J) Noberasco Prof. Filippo, Dottore in Lettere; Direttore della Biblioteca Comunale di Savona; R. Ispettore onorario dei monumenti, scavi e oggetti d’antichità per il Circondario di Savona; Presidente della Commissione provinciale per la tutela e conservazione dei monumenti, scavi e oggetti d’antichità della Provincia di Savona; Vicepresidente della Società Savonese di Storia Patria; Socio effettivo della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia; Accademico di merito delPAccademia Ligustica di Belle Arti (Classe degli scrittori d’arte); Accademico corrispondente dell’Accademia internazionale di lettere e scienze di Napoli; Socio onorario della Società « L. Camoens » per la diffusione degli studi portoghesi in Italia; Cav. dei S. S. Maurizio e Lazzaro, Comm. della Corona d’Italia. — Via A. Forzano, 15, Savona. Nozigua Dott Augusto, R. Notaro. — Via Garibaldi, 18, Genova. (5 febbraio 1908) Nurra Dott. Pietro, Direttore della R. Biblioteca Universitaria di Genova; Sopraintendente bibliografico della Liguria e della Lunigiana; Socio corrispondente residente della Società Ligustica di scienze e lettere; Cavaliere Ufficiale della Corona d’Italia. — Via Balbi, 5, Genova. (27 ottobre 1928) Oberti Prof. Emilio. — Via Assarotti, 4-5, Genova. (24 novembre 1908) Oliva Cesare, Comm. della Corona d’Italia. — Via Peschiera, 15, Genova. (21 dicembre 1909) Pallavicino dei Marchesi Alessandro, Patrizio Genovese. - Piazza Fontane Marose, 27, Genova. (14 febbraio 1897) —' XXXVII — Pallavicino dei Marchesi Giovanni Paolo, Patrizio Genovese, Dottore in Giurisprudenza. — Via S. Nazaro, 10, Genova. (17 luglio 1896) Palomba Rag. Raffaele. — Corso Magenta, 61, Genova. (9 novembre 1934) Pandiani Dott. Prof. Cav. Emilio (del Consiglio Direttivo). (18 gennaio 1930) Pappaianni Dott. Gaetano, Primo Archivista di Stato; Reggente la Direzione del R. Archivio di Stato di Massa; Cav. della Corona d’Italia. (9 gennaio 1933) Pareto Spinola March. Damaso, Marchese di Roccaforte; Patrizio Genovese, Ingegnere. — Via Carlo Felice, 11, Genova. (1 luglio 1898) Parodi Dott. Carlo Mario, Prof, di storia e filosofia nel R. Liceo « E. De Amicis » di Oneglia. — Oneglia (Imperia). (29 novembre 1924) Parodi Sac. Teologo Giuseppe. — San Michele di Pagana, Rapallo (Genova). (11 novembre 1899) Parodi Rinaldo, Avvocato. — Vico Erbe, 2-8, Genova. (28 novembre 1929) Pàstine Prof. Dott. Onorato (del Consiglio Direttivo). (21 aprile 1925) Pastorino Tomaso, Accademico di Merito dell’Accademia Ligustica di Belle Arti. — Ufficio Municipale di Arte e Storia, Palazzo Rosso, Genova. (17 gennaio 1934) Pavesi Dott. Camillo, Medico Chirurgo. — Via Rodi, 12, Genova. (31 gennaio 1906) Peirano Avv. Luigi. — Via Malta, 2, Genova. (18 dicembre 1919) Persi Prof. Guglielmo Paolo, Dott. in Lettere; Preside del Liceo Comunale Alessandro Manzoni. — Lecco. (31 gennaio 1924) — XXXVIll — Pesce Giovanni, Studente in Medicina. Salita S. Maria della Sanità, 64-11, Genova. (8 Marzo 1932) Pesce Maineri Ambrogio, Dottore in Giurisprudenza, R. Ispettore onorario dei monumenti, degli scavi ed oggetti d’antichità e d’arte per il mandamento dì Ovada; Membro della Commissione conservatrice dei monumenti per la Prov. di Alessandria; Socio corrispondente residente della Società Ligustica di scienze e lettere; Accademico di merito dell’Acca-demia Ligustica di Belle Arti (Classe degli scrittori d’arte); Socio della Società Storica Subalpina; Giornalista; Cavaliere della Corona d’Italia. Via Almeria, 22, Genova. (30 febbraio 1903) Peschiera Francesco Carmelo, Dottore in Lettere, Prof, nelle RR. Scuole di Avviamento professionale. — Via Colombo, 4-27, Genova. (5 novembre 1931) Pescio Prof. Amedeo, Bibliotecario della Bibl. Civica « Gian Luigi Lercari »; Conservatore della Villa Imperiale; Accademico di merito deH’Accademia Ligustica di Belle Arti (Classe degli scrittori d’arte); Comm. della Corona d’Italia. — Piazza Cattaneo, 26, Genova. (24 febbraio 1910) Pessagno March. Dott. Giuseppe, (del Consiglio Direttivo). (26 Giugno 1926) Piattoli Dott. Prof. Renato. — Via Ferada, S, Pistoia. (9 aprile 1927) Piersantelli Prof. Giuseppe, Dottore in Lettere e in Giurisprudenza; Docente di archeologia e di Storia dell’Arte presso l’Accademia Ligustica di B. A.; Membro della R. Commissione conservatrice dei Monumenti per la Provincia di Genova; Accademico di merito dell’Accademia Ligustica di B. A.; Membro aderente al Comitato Nazionale per lo studio dei problemi della popolazione- — Piazza S. Sabina, 2, Genova. (25 giugno 1925) Picasso Dott. Enrico. — Piazza Bonavino, 12-7, Genova-Pegli. (3 giugno 1932) Pinelli Gentile March. Agostino, Patrizio Genovese. Via S. Agnese, 2, Genova. (16 aprile 1921) — XXXIX — Pisano Giacomo. — Via Albaro, 13, Genova. (29 aprile 1926) Piuma March. Carlo Maria, Patrizio Genovese; Dott. in Giurisprudenza e in Diritto Corporativo. — Via S. Sebastiano, 6, Genova. (19 febbraio 1921) Pizzorno Giuseppe. — Via Vallechiara, 3, Genova. (29 aprile 1920) Porrini Avv. Prof. Ranieri. — Via XX Settembre, 1-7, Genova. (10 aprile 1930) Puri Rag. Alessandro. — Corso Magenta, 63-4, Genova. S (8 febbraio 1933) Queirolo Avv. Giovanni Battista, Cav. della Corona d’Italia. — Via Dante,2, Genova. (17 gennaio 1921) Raggi dei Marchesi Lorenzo, Patrizio Genovese. — Corso Solferino, 20, Genova. (19 febbraio 1921) Raggio Rag. Pietro, Amministratore Delegato della Soc. An. Francesco Mül-ler. — Via Albaro, 9-11, Genova. (9 novembre 1934) Raymondi Avv. Tommaso. — Corso Magenta, 47-8, Genova. (17 giugno 1933) Rebaudi Dott. Prof. Stefano. — Via Fieschi, 5, Genova. (8 febbraio 1933) Reggio March. Giacomo, Patrizio Genovese; Ingegnere; Senatore del Regno; Comm. della Corona d’Italia e dei S.S. Maurizio e Lazzaro. — Piazza Brignole, 2, Genova. (6 aprile 1906) Rembado Avv. Pietro, Cav. della Corona d’Italia. — Villa Ines, Loano (Savona)- (30 giugno 1924) Repetto Prof. Teresa. — Via Gianclli, 10-4, Chiavari. (19 dicembre 1934) - — XL — Revelli-Beaumont Nob. Paolo, Dott. in Lettere; Prof, stabile di geografia e Direttore della Scuola speciale di geografia nella R. Università di Genova, già Rettore della stessa Università; Delegato di questa presso l’istituto lnter-universitario Italiano; Membro del Comitato Geografico Italiano; Membro effettivo della R- Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia; Membro della « Société des Americanistes » di Parigi; Consigliere dell’istituto Cristoforo Colombo in Roma; Socio Corrispondente della «Sociedad Cientifica » di Buenos Aires; Comm. della Corona d’Italia, Cav. dei S. S. Maurizio e Lazzaro. * — Corso Firenze, 39 B-10, Genova. (27 ottobre 1928) Reynolds Dott. Prof. Robert Léonard, Département of History, University of Wisconsin. — Madison Wisconsin, (S. U. A.). (20 maggio 1929) Ricci Dott. Federico, Senatore del Regno, Grand’Uff. della Corona d’Italia. — Via Caffaro, 6, Genova. (24 febbraio 1910) Ridella Prof. Franco, Dottore in Lettere; già Ordinario di lettere italiane nel R. Liceo Doria in Genova; Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Via Rivoli, 5, Genova. (2 marzo 1918) Rinaldi Prof. Evelina, Dott. in Lettere e Filosofia; Ordinaria di latino e storia nel R Istituto Magistrale « Raffaele Lambruschini » di Genova; Socia corrispondente della R Deputazione di Storia Patria per le Marche; Decorata con medaglia d’argento per il servizio prestato durante la guerra come infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana. — Via Ameglia, 2, Genova. (31 gennaio 1924) Rolandi Ricci Nobil Uomo Gerolamo; Dottore in Giurisprudenza. — Albenga (6 giugno 1932) Rollino Mons Francesco, Dottore in Teologia; Cameriere segreto di S. S.; Can. Arciprete di S. Margherita Ligure. — 5. Margherita Ligure (Genova). (18 dicembre 1910) Rosciano Avv. Luigi, Cav. della Corona d’Italia. — Via XX Settembre, 29, Genova. (30 marzo 1931) Rosina Tito. — Campetto, 4-12, Genova. (14 marzo 1931) — XLI — Rossi Dott. Osvaldo. — Piazza Palermo, 5-35, Genova. (18 novembre 1931) Rovereto march. Gaetano, Patrizio Genovese; Prof, stabile di geologia nella R. Università di Genova; Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente della R. Società Geografica; Socio onorario dell’Accademia Lunigianese di Scienze; Membro del Comitato Geografico Italiano; Presidente della Sezione di vulcanologia del Congresso Geologico Intemazionale di Madrid; Membro del consiglio della Società Geologica Italiana; Membro della Commissione provinciale per la conservazione dei monumenti, ed oggetti d’arte e d’antichità; Comm. della Corona d’Italia. - Via Ausonia, 3-12, Genova. 0 febbraio 1907) Rubatto Carlo, Società di Navigazione Italia. - Piazza De Ferrari, Genova. (9 dicembre 1925) Salvi Sac. Prof. Guglielmo O. S. B., Accademico di merito della Accademia Ligustica di Belle Arti. - Parrocchia di S. Marlino, Genova-Pegli. C27 luglio 1931) Sauli Scassi Marchesa Catinka nata Gattorno.— Via Felice Romani, 8, Genova. (30 dicembre 1915) Scarella Dante, Dottore in Giurisprudenza. — Via Bonifacio, 4-6, Genova. (16 gennaio 1932) Schiaffini Prof. Dott. Cav. Alfredo (del Consiglio Direttivo). (17 ottobre 1928) Schmidt Mììller di Friedberg Ing. Carlo Edoardo; Cav. Magistrale del S. M. O. M-; Cav. del Santo Sepolcro; Cav. della Corona d’Italia. — Via XX Settembre, 5, Genova. 0 luglio 1915) Schmidt di Friedberg Müller Ing. Edmondo. — Via XX Settembre, 5, Genova■ (29 aPrile 192°) Sciello Giovanni Battista, Notaro, Cav. della Corona d’Italia. — Via Roma, 10, Genova. (29 novembre 1924) — XLII —‘ Sciolla Avv- Odone — Or. Uff. dell Ordine della Corona d’Italia, Commendatore Mauriziano- — Via San Pietro della Porta, 21, Genova. (23 febbraio 1896) Scuola (R.) d’Inqeoneria Navale. — Via Montallegro, /, Villa Cambiaso, Genova. (I aprile 1898) Scuola Civica Elementare Ambrogio Spinola. — Genova. (5 novembre 1931) Semeria Vassallo Avv. Lodovico. — Piazza Dante, Imperia-Oneglia- (14 marzo 1931) Seminario Arcivescov ile di Genova. Piazza del Seminario, 6, Genova. (18 marzo 1898) Serpi Nob. Don Gìovanni, Dott. in Giurisprudenza. — Via Caffaro, 7, Genova. /Q (8 marzo 1919) Sacerdote Irma. Via Angelo Ceppi, 3-2, Genova. (19 dicembre 1934) Serra Marchese Giovanni, Patr. Genovese. — Piazza Santa Sabina, 2, Genova. (31 gennaio 1931) Serra Cap. Italo, Decorato della Croce di Guerra, Cav. della Corona d’Italia. — Via Ameglia, 5-10, Genova. (io maggio 1930) Serra Avv. Luigi Serafino. — Via Polleri, 6, Genova. (31 dicembre 1902) Sartorio dei marchesi Nicolò, Patrizio Genovese; Avvocato;. Decorato di medaglia d’argento al valor militare. — Spianata Castelletto, 22, Ge nova• (19 febbraio 1921) Silla Prof. Giovanni Andrea, Direttore ine. del R. Corso Triennale di Avviamento Professionale; Socio della Società Storica Subalpina e della Soc. Savonese di Storia Patria; Accademico di merito per la classe Scrittori d Arte deH’Accademia Ligustica di B. A; Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombar- — Xliii — dia; Socio effettivo della Società Archeologica Inganua; Socio corrispondente dell’Ateneo Ibero-Americano; Direttore del Museo Civico di Finale Ligure; Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Finale Ligure. (9 maggio 1933) Società del Casino. — Piazza De Ferrari, 40, Genova. (3 giugno 1897) Società Economica di Chiavari. — Chiavari (Genova). (4 maggio 1916) Sopranis dei Marchesi Bernardo, Patrizio Genovese; Dott. in Giurisprudenza; Membro della Commissione Araldica Ligure; Cav. della Corona d 1-talia e dei SS. Maurizio e Lazzaro. — Via Serra, 6, Genova. (6 marzo 1897) Sopranis Marchese Giuseppe, Patrizio Genovese, Dott. in Giurisprudenza Cav. di giustizia del S. M. O. M. — Via Cairoti, 11, Genova. (25 febbraio 1920) Spinola March. Franco, Signore di Isola del Cantone, Variarla e Pietrabis-sara; Patrizio Genovese; Cav. di Onore e Devozione del S. M. O. M.; Capitano di Vascello R. N.; Decorato di medaglia di bronzo al valor militare; Comm. della Corona d’Italia. — Pagana, Rapallo (Genova). (21 aprile 1925) Spinola March. Luigi, March, di Lerma. Patrizio Genovese; Grand’Uff. deila Corona d’Italia. — Via Innocenzo Frugoni, 1, Genova. (3 maggio 1923) Spinola dei Marchesi Marco, dei Conti di Tassarolo, Patrizio Genovese. — Corso Andrea Podestà, 9, Genova. (5 febbraio 1925) Stefanachi Amleto, Geometra. — Via Ponte Reale, 5-15, Genova. (3 giugno 1932) Storace Sac. Francesco, Curato della parrocchiale di S. Maria Assunta in Rivarolo Ligure. — Genova-Rivarolo. (21 aprile 1925) — XLIV — Storace Avv. Nicolò. — Via Roma, 7, Genova. (Il febbraio 1926) T abet Ing. Quido, Comm. della Corona d’Italia. — Bibbona Bolgheri. (4 febbraio 1919) T avi ani Paolo Emilio. — Via Colombo, 3-7, Genova. (8 marzo 1932) Tobino Alfredo, Dott. in Scienze Commerciali. — Via Corsica, 16, Genova. (17 gennaio 1918) Triulzi Avv. Guido. Vico alla Posta Vecchia, 2-5, Genova. (27 ottobre 1928) Trovati Achille, Comm. della Corona d’Italia. — Corso Firenze, 9-3, Genova. (27 gennaio 1932) Ufficio Belle Arti e Storia del Comune di Genova. — Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 18. (27 gennaio 1934) Vacca Prof. Giovanni, Dottore in Matematica; Stabile di storia e geografia dell Asia Orientale nella R. Università di Roma, Incaricato di Storia delle matematiche nella stessa Università; Socio Corrispondente della Reale Accademia delle scienze di Torino e della Società Ligustica di scienze e lettere Via Ruggero Bonghi, 26, Roma; Via Palcstro, 8, Genova. (22 aprile 1908) Valle Dott. Leopoldo, Prof, di materie letterarie nel R. Ginnasio C. Colombo; Assistente delia Biblioteca Brignole Sale De Ferrari; Socio effettivo della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia. — Corso Torino, 20, Genova. (22 marzo 1912) Valsesia Prof. Giuseppe, Comm. della Corona d’Italia. — Corso Firenze, 16-7, Genova. (ig novembre 1932) Varaldo Alessandro, Dottore in Giurisprudenza, Grand’Ufficiale della Corona d’Italia. — Via Cassiodoro, 19, Roma. (13 aprile 1916) Vassallo Luigi. Via San Luca, 75-77 R., Roma. (6 marzo 1916) — XLV — Vernazza Giovanni, già Procuratore della Banca Commerciale. Piazza Carìgnano, 18-4, Genova. (9 giugno 1934) Veknetta Avv. Virgilio, Comm. della Corona d’Italia. Via Roma, 1, Genova. (17 gennaio 1918) Vinciguerra Dott. Marco, Chimico farmacista; Socio corrispondente delia R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Parmensi; Cav. Uff. della Corona d’Italia. — Licciana (Massa Carrara). (15 marzo 1923) Virgilio Avv. Agostino. - Piazza Portello, 2, Genova. (23 gemlaio ,go6) Vitale Prof. Vito (del Consiglio Direttivo). (4 ^ Zigliaka Ugo Paolo, Ottico. — Via Carlo Felice, Genova. ^ aprjie 1908) ZiLLlCKEN Teo. - Via Caffaro, 13, Genova. ^ novembre 1924) Zonza Luigi, Capo Servizio Società di Navigazione Italia, Cav. della Corona d’Italia. - Salita S. Girolamo, 45-2, Genova. (28 novembre 1929) Zucchi Maria Teresa - Via XX Settembre, 16, Genova-Pegli. (19 dicembre 1934) jt jt jt LA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA NELL’ULTIMO TRIENNIO s Premessa. — L’attuale Ufficio di Presidenza condivide pienamente l’opinione espressa nel passato da valorosi consoci che, cioè, gli Atti sociali, destinati agli studi e alle memorie scientifiche, non debbano essere ingombrati da troppo ampie relazioni, di valore storico molto limitato, sulla vita interna della Società; ed è stato confermato nel proprio apprezzamento anche dalle vicende che hanno accompagnato la minuta, analitica relazione dell’attività sociale tra il 1917 e il 1929 contenuta nel volume LVII. Uniformandosi pertanto ad analoga deliberazione presa dal Consiglio Direttivo nella seduta del 9 novembre 1934-XIII, ha deciso di presentare ai consoci soltanto un esposto succinto e schematico dell’opera svolta negli ultimi anni, sotto la presidenza del Sen. Moresco. Mutamenti negli uffici direttivi. — 11 segretario Prof. Francesco Poggi nella seduta del 1° aprile 1931 presentò al Consiglio Direttivo le proprie dimissioni che il Consiglio ritenne di dover accogliere ringraziandolo dell’opera solerte e benemerita data per molti anni alla Società con profondo affetto e assoluta abnegazione. A sostituirlo, il Consiglio nella seduta del 16 maggio successivo nominò il Prof. Vito Vitale. Intanto la Società attraversava una crisi anche nella Presidenza perchè il Prof. Enrico Bensa che, nonostante la tarda età, aveva assunto con vivo fervore di propositi e di iniziative la direzione dei nostri lavori, colpito da malattia, non aveva potuto tradurre in atto i propositi stessi e aveva cessato di vivere nel maggio 1931. L’illustre Presidente, che agli studi storico-giuridici aveva dato tanto cospicui contributi, fu brevemente commemorato dal Segretario nella seduta consigliare del 27 maggio nella «quale fu anche affidato al prof. Emilio Pandiani l’incarico di una solenne commemorazione da tenersi nella prima Assemblea ordinaria dei soci. La commemorazione, densa di dottrina e vibrante di affetto, ebbe luogo effettivamente nel-d l’Assemblea del 16 gennaio 1932 tra la commossa adesione dei numerosi soci presenti che unanimi ne deliberarono l’inserzione negli Atti sociali. Essa è contenuta infatti nel volume LX11. Nella medesima seduta l’Assemblea provvide, a norma dello statuto sociale, al rinnovamento del Consiglio per compiuto triennio e all’elezione del nuovo Presidente. A questo ufficio fu eletto il Prof. Avv. Comm. Mattia Moresco Rettore della R. Università che, appartenente alla Società nostra da molti anni, le aveva dato altra volta preziosa opera come Segretario. Il Con-siglio, quale risultò da quelle elezioni, è tuttora in carica e, poiché a norma di statuto scade dalle sue funzioni con la fine del 1934, al principio del 1935 si dovrà procedere alla sua sostituzione, a meno che le preannunciate riforme statali nell’ordinamento degli Istituti di studi storici consiglino diversamente. Pubblicazioni sociali. — 1 tre anni della presidenza Moresco sono stati molto attivi per quanto riguarda la funzione principale della Società, la pubblicazione degli Atti. Già sulla fine del 1931, nella serie del Risorgimento, era stato pubblicato il secondo volume delle Lettere di Giovanni e Agostino Ruffni dall’esilio con una dotta e profonda introduzione del socio Arturo Codignola (Mazzini alla ricerca di una fede e il dramma dei Raffini), studio e documenti che hanno avuto dagli studiosi del Risorgimento assai lusinghiera accoglienza (1). Nel 1932 si è distribuito il volume LIX, Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo (1768-1836) con appendice su Raffaele Scassi, a cura del Segretario Vito Vitale, primo tentativo di ricostruzione organica della vita civile politica culturale di Genova nel periodo che dalla Repubblica aristocratica, attraverso la democratica, il dominio napoleonico e l’annessione al Piemonte, arriva alle riforme carloalbertine (2). Ancora nel '32 fu pubblicato il primo fascicolo del vol. LX, Lettere di Piero Benintendi mercante del 300, a cura del socio Renato Piattoli che derivò quelle lettere dal ricco archivio Datini di Prato ricavandone notizie di vario interesse sulla figura del Benintendi e sulle condizioni politiche e commerciali di Genova donde il Benintendi scriveva (3). Il secondo fascicolo del vol. LX è (1) Vedine l’ampia bibliografia nel Bollettino storico bibliografico subalpino n. 6817-6818. (2) V. « Il secolo XIX» di Genova, 9 marzo 1932; « 11 Lavoro* di Genova, 10 marzo 1932; Archivio Storico Italiano, 1932, fase. II, pag. 312; Giornale Storico e Letterario della Liguria, 1932, fase. IV, pag. 310; Rivista Storica Italiana, 1933, fase. Il, pag. 349; Nuova Rivista Storica, Napoli, 1934, fase. II, pag. 21; Archivio Storico di Corsica, 1934, fase. IV, pag. 630. (3) Cfr. Studi Senesi, a. 1934, fase. I1I-IV, pag. 390; Archivio Storico Italiano, Sez. VII, Voi. 18, pag. 302; Bollettino Storico Pistoiese, XXXV, pag. 36; Archivio Storico Pratese, X, (1932), pag. 36. — LI — stato distribuito invece nel 1934 e contiene un importante studio del socio dott. Oaetano Pappaianni snW Archivio di Stato di Massa e sul suo ordinamento attuale con particolare riferimento alle serie che hanno rapporto con la Storia della Lunigiana e della Liguria (1). Tre volumi per diverso rispetto notevoli sono stati distribuiti ai soci nel 1933. Il primo (vol. LXI) è la Miscellanea Storica contenente, con la commemorazione del Presidente Bensa a cura del Prof. Emilio Pandiani, un ampio studio documentato del P. Guglielmo Salvi O. B. su Tre quistioni di storia finalese, che ha avuto larga eco specialmente nella regione interessata ed ha destato anche vivaci polemiche (2); un'accurata, interessante indagine del Prof. Onorato Pastine intorno alle vicende e allo sviluppo del-YArte dei Corallieri (3); e finalmente due lavori del Segretario Prof. Vitale, l’uno sul Giornale II Redattore Italiano pubblicato a Genova nel 1799 e di schietto carattere unitario nazionale, tanto da costituire la voce più chiara e insistente suH’affermarsi in quel momento della concezione unitaria, forse con la partecipazione anche di Ugo Foscolo (4), l’altro contenente Informazioni di polizia degli anni 1814-1816 intorno all’ambiente ligure che ci dànno notizie importanti e riferiscono giudizi notevoli sui maggiori cittadini di Genova e della Liguria in quel fortunoso momento (5). Il secondo volume (LX1I degli Atti) contiene l’importante studio di Pietro Nurra su La Coalizione Europea contro la Repubblica di Genova (1791-93) che reca elementi di grande importanza a modificare il tradizionale giudizio sfavorevole intorno alla forza e alla dignità della Repubblica in quel momento e ne mostra, tra difficoltà gravissime, l’azione ferma e dignitosa (6). Finalmente, fuori degli Atti, fu ancora distribuito il volume, notevole per veste tipografica e per bontà di contenuto, dovuto ai soci Comm. Or- (1) Recens, in «11 Telegrafo» di Livorno del 2 marzo 1934. (2) Cfr. Collana Storica della Liguria Occidentale, 1934. (3) V. Rivista Storica Italiana, 1933, fase. IV, pag. 692; Bollettino Storico Bibliogr.-Su-balpino, 1934, fase. 1-2, pag. 148. (4) Cfr. Il Marzocco di Firenze, 12 giugno 1932; La Rassegna, vol. XLI, fase. Ili, 1932; Rivista Storica Italiana, 1932, fase. IV, pag. 542; Giornale storico della Letteratura italiana, 1934, fase. 307-308. (5) Cfr. Rivista Storica Italiana, 1933, fase. IV, pag. 637. (6) Di questo importante volume la stampa periodica e scientifica si è largamente occupata. Si dànno qui alcune indicazioni principali: « Il Lavoro » di Genova, 21 gennaio 1934; « Il Nuovo Cittadino » id. 20 gennaio; « La Tribuna » di Roma, 2 marzo 1934; c II Messaggero », id. 3 aprile; « Il Telegrafo », di Livorno, 24 marzo 1934; « 11 Corriere della Sera » di Milano 6 giugno 1934; Rivista Marittima, Roma, aprile 1934; La Cultura moderna, Milano, maggio ’34; Giornale Storico Letterario della Liguria, Genova, gennaio ’34; Le Opere e i Giorni, Genova, 1 giugno ’34; Genova, Rivista Municipale, settembre ’34; Archivio Storico di Corsica, Roma, giugno ’34; Leonardo, Firenze, giugno ’34; Archivio Storico Italiano, id, vol. XXI, disp. L, 1934; Nuova Rivista Storica, Napoli, marzo-giugno 1934. — LU - landò Grosso e march. Giuseppe Pessagno, che con profonda competenza storica e particolare conoscenza tecnica hanno illustrato una parte notevole della storia de « Il Palazzo del Comune (1). Nel 1934, oltre al fascicolo del socio Pappaianni sull’Archivio di Massa, è stato anche pubblicato il volume LX1I1 degli Atti, Diplomatici e Consoli della Repubblica di Genova a cura del Segretario, Prof. Vito Vitale, contenente l’elenco dei diplomatici e dei consoli dal 1494 al 1814 accompagnato dall’indicazione dei loro carteggi col governo, delle istruzioni ricevute e delle relazioni stese al ritorno; un materiale archivistico cioè che opportunamente sfruttato potrà costituire la base di una vera e augurabile storia diplomatica della Repubblica di Genova nel secondo periodo della sua esistenza (2). Concorso a premi. — Tenuto conto che la Società pubblica di solito lavori preparati e presentati dai Soci a seconda dei loro studi speciali e delle particolari predilezioni, onde risulta indubbiamente una maggior varietà ma insieme una mancanza di omogenea organicità agli Atti sociali, e considerato d’altra parte che sarebbe opportuno avviare gli studiosi verso determinati argomenti ritenuti più meritevoli di esame e meno sfruttati, il Consiglio Direttivo nelle sedute del 27 aprile e 18 settembre 1932 è venuto nella determinazione di bandire ogni cinque anni un concorso a premio di cinquemila lire su argomento da designarsi di volta in volta. La somma, su proposta del march. Sauli Scassi, sarà costituita dalla rendita del capitale lasciato in eredità con nobile munifico gesto dall’avv. Pier Francesco Casaretto, e il premio si intitolerà perciò al suo nome. Approvata dall’Assemblea la proposta di massima, per la prima gara, bandita nel 1933 e che scadrà nel giugno 1938, il tema, deciso dal Consiglio nella seduta del 7 maggio 1933 e poco dopo approvato dall’Assemblea, riguarda II Commercio di Genova coi paesi del Mediterraneo occidentale nei secoli XII e XIII. La Società si augura che l’argomento di altissima importanza nella storia genovese, che è per tanta parte storia commerciale, richiami l’attenzione e l’interesse degli studiosi. Altre attività. — Su invito dell’apposito Comitato con sede in Firenze, la Società si è fatta centro della raccolta toponomastica della Liguria, nominando nel proprio seno una commissione, presieduta dal prof. Paolo (1) V. « Il Raccoglitore Ligure » novembre 1933; Giornale Storico e Letterario della Liguria, 1934, fase. 1, pag. 49; Genova, Rivista Municipale, dicembre 1933; * Il Nuovo Cittadino » 30 dicembre 1933; « Il Secolo XIX », 11 gennaio 1934. (2) Cfr. Genova, Rivista Municipale, giugno 1934, pag. 522; Giornale Storico e Letterario della Liguria, 1934, fase. II-III, pag. 195; Archivio Storico di Corsica, 1934, fase. IV, pag. 619. — LUI — Revelli della R. Università, incaricata di dirigere e collegare il lavoro dei vari collaboratori ai quali sono state mandate le norme e le schede per le trascrizioni dei toponimi. La Commissione si è messa alacremente al lavoro ed ha raccolto alcuni importanti elementi, come i toponimi di Savona, Alassio, Lai-gueglia, Perinaldo, Bussana, Chiusanico, Borghetto d’Arroscia. Altre serie sono quasi compiute; tuttavia il lavoro, per la diversità dei collaboratori, non procede con la sollecitudine che sarebbe nei desideri così del Presidente della commissione come della Società. Anche all’iniziativa della Pontificia Accademia Vaticana e del R. Istituto Storico Italiano per una raccolta delle iscrizioni medievali sino al 1500 la Società ha dato pronta adesione e ha costituito un’apposita commissione di competenti che ha compiuto uno spoglio del materiale edito; ma il lavoro non ha avuto seguito perchè sono mancate le precise attese e promesse ulteriori istruzioni degli organi centrali. Più facile e pratica è stata l’adesione alla richiesta del Centro Bibliografico presso la Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma per la compilazione del catalogo degli incunaboli; la Società ha infatti trasmesso sollecitamente le schede dei pochi da essa posseduti. Nello stesso tempo attende anche alla revisione di tutto il suo materiale librario e alla compilazione del nuovo catalogo della biblioteca che, per utilità dei soci e degli studiosi, sarà al più presto possibile pubblicato. Al Congresso coloniale tenuto a Napoli nell’ottobre 1934 la Società ha partecipato con una comunicazione del Segretario sul Governo dell’Ufficio di San Giorgio a Famagosta che è pubblicata, corredata dei relativi documenti, in questo stesso volume. Egualmente ha partecipato al Congresso di Brescia della Società per la Storia del Risorgimento nel settembre 1933 con la comunicazione dello stesso Segretario sul Contributo della Liguria alla formazione della concezione unitaria nazionale nell'età napoleonica, pubblicata poi nella Rassegna della Società del Risorgimento (fase- IV, 1933). Attiva e cordiale è stata poi la sua partecipazione ancora nel mese di settembre 1933 alle cerimonie torinesi per la celebrazione del centenario della fondazione della R. Deputazione di Storia Patria. Nella solenne adunanza della Deputazione, diretta dallo stesso nostro Presidente, agli intervenuti, ed erano presenti i maggiori rappresentanti degli studi storici italiani, fu presentato come omaggio della Società alla maggiore consorella il volume sul Palazzo del Comune compilato dai soci Grosso e Pessagno, volume che per il valore intrinseco e per la veste editoriale ha avuto le più favorevoli accoglienze e il plauso dei dotti intervenuti. Alcuni mesi prima la Società era stata lieta di offrire la propria ospitalità ai membri della R. Deputazione convenuti a Genova da Torino e da Milano per l’ordinaria seduta dalla quale uscì appunto l’elezione del nostro Presidente a Presidente della Deputazione. Nomina del presidente Moresco a Senatore. — 11 Consiglio della Società si è riunito regolarmente in questi anni, in media una volta al bimestre, per l’ordinaria amministrazione e l’Assemblea dei Soci è stata convocata a norma dello statuto due volte all’anno. Particolare importanza e solennità ha assunto l’Assemblea del 27 gennaio 1934, la prima dacché il nostro Presidente era stato assunto all’alta dignità di Senatore del Regno. Aperta la seduta, il Segretario ha rivolto al Presidente queste parole di saluto e di compiacimento: « Sicuro interprete del pensiero e dei sentimenti del Consiglio Direttivo, dei consoci presenti e degli assenti, rivolgo all’illustre nostro Presidente I espressione del più vivo e cordiale compiacimento, dell’orgogliosa soddisfazione della Società per l’altissima dignità alla quale è stato testé assunto. Una dignità che, riconoscendo e premiando benemerenze che sono nella memoria e nel cuore di tutti noi, assume un particolare valore e un significato tanto più lusinghiero quando si pensi al momento politico nel quale questa assunzione si compie, all’autorità altissima del Governo Nazionale dal quale è stata presentata alla Maestà del Re la onorevole designazione. Da oltre cinquantanni la nostra Società non aveva l’onore d’essere retta e governata da un Senatore del Regno, dacché era mancata ai cittadini e alla patria la nobile figura di Antonio Caveri, valoroso giurista anche lui e, vedete coincidenza, esperto e benemerito amministratore, professore, rettore dell’Univer-sità, e presidente di una quantità di consessi amministrativi, politici, culturali, nei quali portò il contributo prezioso di una severa preparazione, di un tatto costante, di un saggio sereno equilibrio. Voi sentite che ricordando quell’antico Presidente noi pensiamo e quasi vediamo il nostro attuale Presidente. Assorbito dalle occupazioni forensi, politiche, amministrative il Caveri non diede tutte quelle opere letterarie e giuridiche che la cultura e l’ingegno facevano sperare. Qualche cosa di analogo può dirsi anche del nostro Presidente e nessuno certo se ne duole più di lui, che indubbiamente sente, nell’affannosa moltitudine e nelle assillanti preoccupazioni delle funzioni varie e gravissime cui la fiducia dei concittadini e del governo lo hanno successivamente chiamato, la nostalgia degli studi calmi e severi, della serena e quieta fatica di ogni giorno che è ansia e conforto degli uomini nati allo studio. Giovanissimo, Egli ha dato prova del suo valore scientifico in quelle opere che gli hanno aperto le porte dell’Università, affermandosi come autorità nel campo del diritto ecclesiastico, della storia delle istituzioni finanziarie della Chiesa, dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato. Le opere sulla Fabbriceria secondo il decreto napoleonico del 1809, sul Patrimonio di S. Pietro, sui — LV — Censi di protezione sono ancora fondamentali; certi studi anche di minor mole, come quello sul nepotismo di Sisto IV nel volume di studi in onore del ligure e italiano grandissimo Paolo Boselli, hanno ^osservazioni acutissime e prospettano sotto luce nuova, e direi definitiva, questioni molto discusse e agitate. Anche per quanto riguarda più direttamente il campo dei nostri studi particolari, le ricerche sui Rifugiati genovesi a Ginevra e le Relazioni fra Chiesa e Stato a Genova sono densi di interessanti e nuove notizie e rappresentano quel che di più e di meglio sia stato scritto finora sull’argomento. E anche recentemente, nella commemorazione di Giovanni Ruffini e in quella di Paolo Boselli, le doti di studioso, di attento osservatore e di ricostruttore sicuro ed efficace sono apparse nella luce più viva. Taluno potrebbe forse, come dicevo, lamentare che questa attività non sia stata più ampia e continua nel campo dei nostri studi; ma sarebbe gretta pedanteria. Perchè altre opere portano in fronte o ricordano indissolubilmente congiunto il nome di Mattia Moresco: l’organizzazione civile del tempo di guerra e la Croce Rossa, l’amministrazione degli Ospedali, la costruzione della città universitaria di S. Martino e la trasformazione dell’Università e dell’istituto Superiore di Scienze economiche e commerciali; opere capaci di riempire più di una vita. Perchè ogni volta che la Città e il Governo hanno avuto bisogno di un uomo pronto a sobbarcarsi serenamente per civismo e per senso del dovere alle più gravi e delicate responsabilità, ogni volta che si è sentito il bisogno di un amministratore esperto e prudente, di un animo sereno e forte nella duttilità dell’ingegno e nella cortesia avvincente e cordiale delle forme e dei modi, il suo nome si è spontaneamente presentato. A tanta attività e a tanti uffici noi abbiamo desiderato — e ce ne compiacciamo e rallegriamo - che Egli aggiungesse anche quella di Presidente della nostra Società alla quale in altri tempi aveva dato l’opera sua come Segretario. La Società nostra, che si è onorata quando lo ha avuto a suo capo, sente oggi anche maggiore il compiacimento e l’orgoglio perchè vede riverberata anche su di sè la luce della dignità cui è stato assunto; e porgendogli le più commosse affettuose congratulazioni è sicura che sotto la sua guida fervida e illuminata continuerà con sempre maggiore intensità e profitto la propria opera di illustrazione della storia ligure, rivolta alla conoscenza sempre più profonda e più sicura delle glorie della regione che sono anche glorie della patria italiana ». Cessati i calorosi applausi di consenso deH’Assemblea, il Presidente ha preso la parola per ringraziare dell’affettuosa benevolenza che ha visto nelle parole del Segretario e nel saluto dell’Assemblea, indice di quell’affetto dei suoi concittadini che lo ha sempre sostenuto e validamente aiutato nell’adem-pimento degli uffici che gli sono stati affidati. Soprattutto si è dichiarato ono- — LVI — rato del richiamo e dell’accostamento al Senatore Caveri, già Presidente della Società; affermando che se in qualche cosa gli si sente sicuramente pari è nell’affetto infinito verso la città natale e verso la Società che ne è quasi la sintesi e l’espressione piti ampia nel tempo e rappresenta il governo di un’idea storica che percorre i secoli per portare sempre più in alto la bandiera crociata della città. A questa idea ha dedicato la vita e promette di dedicarla con inesausta energia fino all’ultimo respiro mantenendosi di essa servitore modesto, fedele, devoto. L’Assemblea ha accolto con prolungati applausi l’ispirata parola del Presidente. Sguardo al passato e attese per l’avvenire. — Per invito del Ministero dell’Educazione Nazionale, la Società ha inviato dapprima una breve relazione sulla propria opera nell’ultimo quinquennio, poi una più ampia relazione, redatta dal Segretario, sul contributo da essa recato alla cultura storica nazionale. Anche questa relazione che, riassumendo in breve sintesi sistematica l’operosità durata tre quarti di secolo, dimostra in modo evidente come la Società nostra abbia recato agli studi storici un contributo veramente cospicuo, tale da assicurarle un posto di prim’ordine tra gli Istituti storici italiani, è pubblicata per deliberazione del Consiglio Direttivo in questo medesimo volume. La coscienza di aver adempiuto pienamente alla propria missione e di avere acquistato innegabili benemerenze culturali, assicura la Società nostra che, quale che sia per essere la trasformazione delle Accademie e Società storiche che si sta elaborando presso il Ministero dell’Educazione Nazionale e presso la Giunta Centrale degli Istituti Storici, essa continuerà, nella nuova veste che le potrà essere assegnata, la funzione sin qui compiuta a vantaggio degli studi storici e a rievocazione del passato glorioso di Genova che è patrimonio e gloria della Nazione. VITO VITALE j* ji j* IL CONTRIBUTO DELLA SOCIETÀ LIGURE ALLA CULTURA STORICA NAZIONALE Alla vigilia dell’ottavo Congresso Scientifico Italiano, tenuto a Genova nel 1846 e riuscito un’ardente e solenne affermazione d’italianità, un gruppo di studiosi e di patrioti capitanato dal marchese Camillo Pallavicino aveva fatto proposta al Governo Piemontese di fondare a Genova tre società scientifiche, una delle quali per lo studio della Storia, Geografia e Archeologia. S’intendeva così di riprendere l’opera dell’istituto Nazionale fondato nel 1798 dalla nuova Repubblica democratica ligure e vissuto non indegnamente, dopo il 1805 col titolo di Accademia Imperiale, sino al 1814. Ma i tempi non erano maturi e le società scientifiche ebbero vita breve e travagliata. Soltanto nel 1857, in condizioni politiche affatto diverse e nel rifiorire degli studi storici, un gruppo di studiosi e di cultori delle patrie memorie gettò le basi di una Società storica ligure che fu deliberata in un’adunanza preliminare il 22 novembre 1857 e solennemente inaugurata il 21 febbraio 1858. Così, mentre stava per aprirsi il periodo risolutivo del Risorgimento con la formazione unitaria, scomparsi ormai gli antichi contrasti regionali nella superiore visione della patria comune, la Società Ligure sorgeva a studiare e ricordare la storia della regione e dell’antica gloriosa repubblica commerciante e marinara non come anacronistico rimpianto e inopportuna affermazione municipalista ma come ricostituzione di un patrimonio di gloria appartenente a tutta la Nazione. A questo programma la Società Ligure di Storia Patria è orgogliosa d’aver tenuto costante fede considerando sempre la storia ligure in relazione con quella del resto d’Italia e, per così dire, in funzione italiana. Sorta - secondo la parola del suo primo Presidente provvisorio, l’illustre patriota march.Vincenzo Ricci - non come vera accademia di dotti ma quasi palestra di studiosi cittadini, uniti più che da intenti letterari dalla coscienza di un dovere civile e dall’affetto alle antiche memorie, la Società è costituita ancora di volontari aderenti, amatori degli studi storici e delle memorie patrie, i quali contribuiscono a mantenerla in vita con un tenue contributo finanziario. Alla vecchia e perdurante categoria dei soci annuali, aggirantesi negli — LX — ultimi anni tra i 250 e i 300, si è aggiunta nel 1924 la categoria dei soci vitalizi che col loro contributo, passato al capitale intangibile della Società, hanno determinato un aumento delle rendite annue e una costante, anche se non molto cospicua, disponibilità per le spese, devolute quasi per intero agli scopi scientifici. L’attività sociale infatti ha avuto sin dalle origini e conserva carattere nettamente scientifico; è affidata al Consiglio Direttivo e per la parte esecutiva sopra tutto al Presidente, ai Vicepresidenti, al Tesoriere e al Segretario, e si esplica prevalentemente nelle pubblicazioni, divenute da qualche tempo regolari nella misura di almeno due volumi annui. La composizione stessa della Società e la necessità di valersi del volontario e non retribuito lavoro degli studiosi hanno sempre impedito un’opera pienamente coordinata e sistematica di indagini e di illustrazioni di periodi storici e di fondi documentari determinati; ne è risultato tuttavia un lavoro vario e molteplice che ha preso in esame la vita della regione nei più diversi tempi e sotto i più vari aspetti e fornisce un materiale prezioso per la storia del popolo ligure e « degli altri d’Italia o di terre lontane, che con esso abbiano avuto attinenza o relazione » com’è detto appunto, quale scopo del sodalizio, nel primo articolo dello statuto sociale. Nei 76 anni della sua esistenza la Società ha pubblicato 63 volumi di Atti destinati allo studio della storia dell’antica repubblica di Genova, oltre a tre volumi della seconda serie dedicata al Risorgimento e ad altri non compresi in alcuna serie particolare, tra i quali notevoli sono specialmente l’edizione degli scritti di Goffredo Mameli curata da A. G. Barrili e, più recentemente, il volume di O. Grosso e G. Pessagno sul Palazzo del Comune, opera notevole non solo sotto il rispetto storico e artistico ma anche perchè, pubblicata in omaggio alla R. Deputazione di Storia Patria di Torino nell’occasione del suo centenario, sta ad attestare i cordiali rapporti che legano la Società Ligure alle maggiori istituzioni della cultura storica nazionale. Oltre alle notizie sulla vita interna del sodalizio, a biografie e necrologi dei soci più insigni e benemeriti, oltre a tre volumi che in momenti diversi hanno riassunto la vita e l’operosità sociale (1), gli Atti comprendono una vasta materia che approssimativamente (perchè talora le due forme di lavoro si uniscono e si confondono) può essere divisa in due grandi gruppi; l’uno di fonti e documenti, inteso a fornire agli studiosi un materiale spesso (1) E. Pandiani, L’Opera della Società Ligure di Storia Patria dal 1858 al 1908, voi. XL1II, 1909; F. Poooi, La Società Ligure di Storia Patria dal 1908 al 1917, vol. XLVI, fase. I, 1919; Id. La Società Ligure di Storia Patria dal 1917 al 1929, vol. LVII, 1930. — LXI — prezioso di consultazione e di ricostruzione, l'altro comprendente una serie di studi e di monografie, saggi appunto di ricostruzione compiuta su quella documentazione o su altra, per lo più ricavata dai ricchi archivii genovesi. Indubbiamente non tutti i volumi e gli studi contenuti negli Atti hanno il medesimo valore; ma, accanto a opere di erudizione puramente locale, non sono pochi i contributi scientifici di reale importanza che rappresentano un effettivo apporto alla cultura nazionale. Nel campo della preistoria l’opera di Arturo Issel (1) costituisce un contributo di prim’ordine al dibattuto e oscuro problema dell’origine dei Liguri e reca dati di fondamentale importanza sui loro caratteri fisici, sui costumi e sulla provenienza. Argomenti analoghi hanno anche trattato Gerolamo Rossi, limitatamente ai Liguri Intemelii (2), e Gaetano Poggi che, con grande entusiasmo e con conclusioni ardite e molto discusse, così nel campo topografico e storico come nel linguistico, ha studiato i Genoati e i Viturii, le due popolazioni tra le quali intervenne nel 117 a. C. la sentenza arbitrale romana conservataci dalla tavola di bronzo della Polcevera scoperta nel 1506 e oggetto già di molteplici studi (3). Queste indagini comprendono anche il poco che è noto dell’età romana, della quale i più importanti avanzi sono rappresentati dalle iscrizioni raccolte e illustrate da Angelo Sanguineti (4) che studiò pure le iscrizioni greche (5), mentre le medievali sono state pubblicate da Marcello Remondini (6). La maggior parte di queste ultime sono sepolcrali o religiose e forniscono dati per la storia del cristianesimo in Liguria che è stata ampiamente indagata da Arturo Ferretto (7), mentre Luigi Tomaso Belgrano ha pubblicato con larga illustrazione una cospicua raccolta di documenti relativi alla Curia Arcivescovile di Genova importanti anche per la storia civile ed economica (8); e lavori particolari si sono occupati del vescovo S. Siro (9), di Siro II primo (1) A Issel, Liguria Preistorica, vol, XL, 1908, pp. 767. (2) G. ROSSI, / Liguri Intemelii, vol. XXXIX, 1907, pp. 3-170. (3) O. Poooi, Genoati e Viturii, vol. XXX, 1900, pp. 404. Dello stesso argomento si erano ampiamente occupati Luigi Grassi e Cornelio Desimoni nel fase. Il del vol. Ili, pagine 391-804. (4) Nel voi. Ili, fase. II, pag. CXLV-CLXXI, 1-357, append. p. 1-48, e nel vol. XI, pagine V-XXVI, 1-274. (5) Vol. XI, fase. II, pp. 283-352. (6) Vol. XII, parte I e II. (7) / primordi e lo sviluppo del Cristianesimo in Liguria ed in particolare a Genova, vol. XXXIX, 1907, pp. 171-856. (8) Registro della Curia Arcivescovile di Genova, vol. Il, par. II, 1862, pp. 3-408. L’illustrazione del registro è nella part. Idei vol. II, pubblicato però nel 1871, pp. 247-260. Il secondo registro della Curia è pubblicato dallo stesso Belgrano nel vol. XVIII, 1887. (9) V. Promis, Leggenda ed inni di S. Siro vescovo di Genova, vol. X, fascicolo IV, pp. 355-383. » t arcivescovo genovese (1) e di Jacopo da Varagine celebre anche come cronista e per la nota Leggenda Aurea (2). A sua volta Cornelio Desimoni, uno dei più insigni cultori della storiografia ligure, ha fornito preziosi regesti di lettere pontificie fino al tempo di Innocenzo 111, compiendo e correggendo le notizie degli studiosi e delle raccolte anteriori (3). Ancora al Desimoni è dovuto lo studio Sulle Marche d'Italia e sulle loro diramazioni in Marchesati (4) che è l’opera più importante sull’alto medioevo compresa negli Atti. Riprendendo e sviluppando la teoria già formulata dal Muratori, con acutezza d’indagini e vastità di dottrina il Desimoni studia 1 origine delle Marche sorte nella regione occidentale d’Italia tra i secoli IX e X (Aleramica, Obertenga, Arduinica, degli Attoni) e ne segue le suddivisioni nei molteplici rami. Su materia analoga si aggira con acuta sottigliezza Ubaldo Formentini nel ricercare Le origini e la costituzione di un grande gentilicio feudale (degli Erberia) nelle valli delPAulella, del Serchio e della Secchia (5)- La teoria esposta dal Desimoni, che si può dire divenuta classica e, nel complesso, ancora valida, ha avuto anche notevole importanza sull’indirizzo degli studi intorno al sorgere del Comune e specialmente in riguardo a quella che si è chiamata teoria delle origini signorili del Comune. A questa il Desimoni aveva già accennato sin dal 1859, nel primo volume degli Atti, indicando nel consorzio dei discendenti della famiglia vi-scontile l’embrione della Compagna, l’associazione che dà luogo, che è anzi essa stessa il Comune (6). Opinione che il Belgrano ha ribadito con lo studio minuto degli atti contenuti nel primo Registro della Curia Arcivescovile e nel Cartario Genovese da lui egualmente pubblicato (7) ricavandone importantissime notizie e genealogie delle famiglie viscontili che fornirono i più dei Consoli alla Compagna e al Comune. Per quanto il problema dell’origine della Compagna e quindi del Comune non possa dirsi risoluto e sia stato anche di poi ampiamente dibattuto, (1) Studio di L. Orassi, vol. XVII, pp. 707-728. (2) A. Viona, Due opuscoli di Jacopo da Varagine, Ibid., pag. 455-491. (3) Vol. XIX, fase. I, pp. 5-146; fase. II. pp. 463-485; fase. III, pp. 578-582. Sulla Storia ecclesiastica è molto notevole il lavoro del Riant, L’Eglise de Bethléem et Varazze en Ligurie (vol. XVII, pag. 543-705) nel quale l’argomento è solo apparentemente locale, e meritano d’essere ricordate le opere di P. Raimondo Amedeo Viona sul Convento di Santa Maria di Castello (vol. XX e XXI) e del Sac. Domenico Cambiaso su VAnno ecclesiastico e le feste dei Santi in Genova (voi XLIII, 1917). (4) Vol. XXVIII, fase. I, 1896. (5) Voi. LUI, 1926, pag. 509-537. (6) Sul frammento di Breve genovese scoperto a Nizza; vol. I, pp. 91-154. (7) Vol. II, fase. I, pp. 1-244 (1870). Le tavole genealogiche sono in appendice alla parte I del vol. II. — LXIII — le opere del Belgrano e del Desimoni sono fondamentali e debbono essere tenute presenti da chi voglia ancora esaminare la vessata questione. Lo stesso deve dirsi dello studio di Agostino Olivieri sulla Serie dei Consoli del Comune di Genova (1) che, per quanto invecchiato, ha sempre buone osservazioni ed esamina il problema delPorigine del consolato e dei suoi rapporti con l’autorità vescovile, questione sempre aperta nella storia genovese e suscettibile di nuove indagini e di nuove conclusioni. In materia analoga, una delle maggiori benemerenze della Società è stata la pubblicazione, parte in extenso, parte in regesto, del famoso Codice Pelavicino dell’Archivio Capitolare della cattedrale di Sarzana (2), importantissimo non solo per la storia particolare di Lunigiana ma per la storia generale delle istituzioni giuridiche e della vita religiosa ed economica dei tempi medievali. Per quanto non priva di mende (3), questa pubblicazione ha messo a disposizione degli studiosi un materiale prezioso il valore del quale è attestato dalle ricerche e dall’uso che dei documenti del codice ancora inedito avevano fatto storici insigni dall’Ughelli al Muratori, al Liinig, dallo Sforza e dal Neri a Gioacchino Volpe nella Lunigiana medievale. E’ noto che con le prime vicende sicure del Comune di Genova compare la figura di Caffaro, primo cronista laico del medioevo, iniziatore degli Annali poi continuati con carattere ufficiale per due secoli. Del più antico cronista cittadino la Società ha pubblicato fin dal suo primo volume l’ancora inedita cronaca della prima Crociata (4) - la spedizione cui Caffaro ven- ' tenne partecipò - traendola dal codice parigino servito poi di base alla prima edizione italiana integrale degli Annali, compiuta dall’istituto Storico Italiano. A questa la Società non ha avuto parte diretta e pure ne può vantare una specie di paternità ideale considerando che è opera di due dei suoi più benemeriti soci. La cominciò infatti il Belgrano, massimo rappresentante, col Desimoni, degli studi storici liguri e per lungo tempo Segretario Generale, e la compì (vol. Il-V) Cesare Imperiale di Sant’Angelo per oltre un ventennio Presidente effettivo e ancora Presidente onorario della Società. Altre brevi cronache sono state pubblicate negli Atti] la continuazione anonima di quella del beato vescovo Iacopo da Varagine, ricca di curiose notizie sui possessi d’oriente e sulle discese di Enrico VII, di Ludovico il Bavaro, di Giovanni di Boemia (5); la cronaca di Giovanni Antonio di Faie (1) Vol. I, fase. Ili, 1860, pp. 155-436. (2) M. Lupo Gentile, Il Regesto del Codice Pelavicino, voi. XLV, 1912. (3) Un’appendice critica dovuta a Ubaldo Mazzini è stata aggiunta al volume in forma di opuscolo di 38 pp. (1914) a cura della Società. (4) Cronaca della prima Crociata scritta da Caffaro ed altra dei re di Gerusalemme da un anonimo per cura di Francesco Ansaldo, vol. I, fase. II, pag. 3-76. (5) Vol. X, fase. IV (1876), pag. 495-512. — LXIV — interessante particolarmente la Lunigiana nel secolo XV (1), e due cronache francesi, anonima la prima, del patrizio genovese Alessandro Saivago la seconda, nella quale sono esposte particolarmente le fortunose vicende di Genova nei primi anni del XVI le quali, toccando in modo particolare i rapporti della Repubblica con Luigi Xll di Francia, interessano la storia generale di quell agitato momento (2). Anche poesìe storiche e sopra tutto dei secoli XV e XVI e riferentisi spesso alle relazioni di Genova con gli altri Stati italiani sono state edite per cura di Achille Neri (3) del Desimoni (4) e del Belgrano (5). Speciale rilievo merita la prima delle poesie edite dal Belgrano, il Frammento di poemetto sincrono sulla conquista di Almeria nel 1147 perchè a partecipazione a quell impresa, uno dei più significativi episodi del moto antislamitico che precede e accompagna, in occidente, le Crociate, riporta a quei due secoli XII e XIII che possono dirsi l’età eroica del Comune genovese, come del resto di tutta la civiltà italiana medioevale. E caratteristico che su quell’età così importante manchino larghe mo-ogra le e studi riassuntivi nei nostri Atti e la ragione è forse da ricercarsi a maggiore notorietà di quel periodo e nella facilità con cui si presta a 0p^re ’yu,gative men° 3datte al severo carattere scientifico della nostra rac-°- 3 • ^ ir* S' *rovano ,nvece sillogi documentarie di grandissimo valore, p a in u iamente per importanza il Codice Diplomatico delle relazioni fra la flirta, a oscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, di Arturo Ferretto (6). °PPO opera non è stata continuata per tutta la vita del poeta, ma per ciasse e anni ai quali si estende (1265-1281) contiene, per lo più in reges o, ratti dall’inesauribile fonte dei registri notarili dell’Archivio distato, m.llenovecentotrentacinque documenti, preziosa miniera di dati, di nomi, no iz|e a a quale hanno attinto e dovranno attingere tutti quanti hanno su ia o o studieranno sotto qualunque aspetto quel momento capitale della vita della nostra nazione. (1) Ibid. pag. 512-618. ma Pa§’ 175'230 e X,II> fasc- HI» Pag. 365-486. Editore della pri- ma fu Vincenzo Promis, della seconda Cornelio Desimoni. »ol. XXV, 'Z !'45P,œ.4IM2l; V°'' X‘" h P3g’ 55'96 e faSC' V’ pag' l045-'075' (4) Vol. X, fase. IV, pag. 619-682. metto Genun e fase. Ili, pag. 653-676. È anche notevole il Poe- ne! vol. XXIV. fase. n, pag. 727-818.^™^° PUbbHcat° 6 illustrato da Oerolamo Bertolotto il II (1%3)V nn^Vl-i\il901 ^ dÌ pp-XLVM52 comprende gli atti dal 1265 al 1274; rioni tra Genova Fi ’ ~ La Pnma parte reca un’introduzione sulle rela- schi nominati nelle come si vedrà trattando dei i varii rn °P0 aVfer COn qUesto metodo determinato il migliore offerente fra ani concorrenti e indetta una seconda gara per un miglioramento. anmlfrv'«a .*• C3P °lat° non md,ca Ia sPesa prevista per i lavori dati in per l’esecuzionTTd (caUzlone) ric,liesta. nè la durata prescritta 8 _ i r’ ! dat‘ SOn° poi stabiliti nel contratto. Generico F d*™ ' ^ Pnm' ^ assegnati sono espressi in modo molto ioro offerte ^hh ^ g"‘ a8pinmti a,l’aPPa,to P™a di presentare le o « r sì ar aVU,e indiCaZÌOnÌ SU| POS'°- Nei per altri il postodel, M STF predsione- Così ^ Phello del 22 maggio per 960 7 “'ser'cord.a « misurato da Bartolomeo Bianco in palmi il; Lr °poe,20d :ugiio * ,ra,t°di pa,mi «» altro si indica la ZZÎT « un disegno. ° nfenmento ad un punto A di operai e nTr b’a™mÌ"istrazione Polita fornisce camere e baracche per gli località in mas * (canllne>’ Onesta concessione resa necessaria dalle oca, massima parte aspre e disabitate ove si trovavano i cantieri col MLPa mezzinC|iefuhe ie ÌmPreS6 "0" erano caPaci di Provvedervi imprese stesse- è lPr‘f UnZ,°namento delle biscazze è invece affidato alle tontodî tra nJch "T,™ ^ dOVCVa ^ P" «" aratori una no d lor m U" d°cumento rela"™ ad una inadempienza di la biscazza ' “P'*S“ 3 COmmi"a,oria d‘ «^'ergli il diritto di tenere 21 agosto ÌmoI Capi.t0'a,° per |,appalto del posto della Lanterna, in data e Moìlo III trp M T!' agg'Unta la ieSuen,e condizione, « che possa l’Ill.mo e Molto III.tre Magistrato, se però così stimerà necessario per beneficio delh che si fa’ PU'are ^ S0,'° CaP° d’°Pera " qUale debba assis,ere ‘->1 lavoro che s, rara in ogmuno dei posti, et habbi pensiero che detto lavoro sia fatto alla forma de, suddetti capitoli, e la mercede di detto sotlo capo d'ope'a si debba pagare da colui o coloro che prenderanno a scarzo il lavoro di quella somma che parra al detto lll.mo Magistrato ». — g — * * * Nell’ottobre 1631 appare un altro tipo di capitolato che si differenzia da quello già esaminato in quanto che prevede di contabilizzare i lavori non più « a cannella » ossia a misura di volumi e superfici, ma « a ragion di palmo » cioè a un tanto fisso (che comprende scavo, muratura e le opere varie complementari) per ogni palmo di « lunghezza da misurarsi nella metà della larghezza del parapetto ». Questo sistema, analogo a quello a metro lineare che talvolta ora si usa nei lavori stradali, fu probabilmente adottato perchè rende facili e spedite le misure delle opere eseguite e le conseguenti contabilità. Per potere essere applicato esso richiede che prima dell’appalto il progetto sia esattamente definito in iutti i suoi particolari e che i disegni facciano parte integrale del contratto: in fatti vediamo che il nuovo tipo di capitolato dichiara che si dovrà fare « la muraglia della fortificazione come si è designato sul sito e conforme alla pianta da infilarsi », e inoltre da indicazioni numeriche precise che in questo caso, come è ovvio, variano per ogni singolo posto dato in appalto, sulle dimensioni del parapetto, del muro di scarpa e di controscarpa, della ) strada che corre internamente lungo il parapetto, della strada coperta all’inizio dello spalto con le sue mezzelune; indica i dislivelli delle successive cortine e dei fianchi e fronti dei baloardi e aggiunge ancora prescrizioni particolari per qualche lavoro speciale. Così il capitolato per il posto appaltato il 29 ottobre 1631 a Bernardo Cantone contiene, fra altro, precisi dati sulla costruzione che si intende fare in quel posto di c una sortita » cioè di una piccola porta di servizio destinata a permettere ai difensori di uscire, quando occorra, dal recinto delle mura per occupare gli elementi difensivi avanzati (strada coperta e mezzelune) o per altri motivi. m OFFERTE E CONTRATTI * * * 1 Concorrenti all’appalto presentavano per iscritto le loro offerte, delle quali molte sono tuttora conservate; qualcuna si limita alla semplice indicazione dei prezzi, altre sono redatte in modo più complesso e pongono anche condizioni speciali alle quali intendono subordinati i prezzi esposti. Da una annotazione posta in un riassunto di offerte pervenute al Magistrato delle nuove mura, appare che si assumevano informazioni preventive sui concorrenti e che non venivano ammessi alla gara quelli che non ispiravano sufficiente fiducia. Carezzo e Compagni, non si è havuto di loro buone informationi, e perciò non si è accettata l’offerta . * • * All’appalto per il posto di Peraldo concorso sette imprese che presentarono offerte quasi uguali per la muratura (da un minimo di L. 2S a un massimo di L. 29 per cannella), alquanto discordanti per lo scavo di terra smossa te •ino ÿ driï 'A equa. Sofa /0 J°ar?t7?o c/t' JfracJj ^ova 3 /fu/fedo e c?r J^"S^r/a7o. 5 JZe/r73.rdo fa *7 forre- G ibks.^777/ Çuac/ro - G/olfonn/ Anfo??/0 '7^7coT7£ jfn/vK'O e /Ticols 0.3773, 33 o r» frU-co 73rur?o fa-no 7?a. mo/ic t ftomeiHto 'Bruno 7\ efr-o 'rMerfÿo A ma/r fc7 D/’rÿone e. $ s rfolo /ne£ ifênfcc# Jiemarc&t fer/jo/j t T/'etro 6ju±c/ro. JsCjr&cf o- Domenico Ct-ì^c-tio e C Slzc7,ete S c <5 [,/$ 3emayS/rzof3/$neo c~Bjffo /jl/e-bon# Jv-<3 h c^sc <7 con qualche casa rustica e poi anche ville e abitazioni signorili; altrettanto avveniva sull’altro lato nella zona della Madonna degli Angeli e fin verso Qranarolo; particolarmente pregiati erano gli orti nel piano del Bisagno (in una stima del 1632 il valore di un orto è stabilito in lire 262 per ciascuna tavola; da un reclamo dei fratelli Scotto risulta che essi pretendevano per un altro orto il prezzo di L. 350 alla tavola). La occupazione dei terreni era preceduta dalla misurazione e dalla stima; questa ultima spettava ai Padri del Comune che per ogni proprietà emanavano un decreto con la dichiarazione del prezzo attribuito alla parte da espropriare e, quando ne era il caso, aggiungendo anche la stima dei frutti pendenti. In calce ai singoli decreti i soprastanti o gli scarzeratori indicavano la data della avvenuta effettiva occupazione. Come è inevitabile per operazioni di questo genere i reclami non mancarono, ma il loro numero limitato e anche il loro tenore (qualcuno protesta perchè dopo un anno non è ancora stato pagato e richiede gli interessi per il ritardo) fanno vedere che le liquidazioni procedevano più sollecite che non in qualche caso recente per analoghe opere di interesse — 19 — pubblico. Qualche reclamo si riferisce ai darmi indiretti causati dalla esecuzione dei lavori: il M.co Ottavio Contardi nel febbraio 1632 si lamenta che per « dar passo al traghetto di sassi e altri materiali » erano state gettate a terra le porte e rovinata la loggia di una sua villa alle Albore di Bi-sagno « la quale per la qualità sua atteso l’ornamento di pitture di mano di Messer Lazzaro Tavarone disegnate dal fu Sig. Gio. Batta Paggio e di qualche marmo ancora meritava che vi fusse havuto un poco riguardo almeno con sentir prima la mia raggione ». La costruzione di un « molo », ossia argine di muratura per rettificare il corso del Bisagno in corrispondenza delle nuove mura, provocò un reclamo dagli interessati negli orti di quelle parti, i quali temevano il pericolo di inondazioni essendosi ristretto il corso del fiume. Rispose Ansaldo De Mari che a lavori ultimati la situazione sarà migliorata invece che peggiorata pel motivo che rimanendo soppresso « un seno del fiume * la pendenza risulterà aumentata e l’acqua correrà più veloce al mare. * * * La demolizione delle case incontrate lungo il percorso delle nuove mura era dal Magistrato da principio concessa senza formalità di incanto agli architetti dipendenti, pei quali questa operazione riusciva una buona speculazione. Così nel dicembre 1631 Bartolomeo Bianco ottiene l’incarico di demolire le case del M.co Tommaso Gentile e deH’IIl.mo Tommaso Spinola in Bisagno con l’obbligo di pagare L. 500, di depositare le macerie ove verrà ordinato e di cedere alla fabbrica i mattoni a L. sei al migliaro. Ciò sembra a qualcuno un illecito favoritismo del Magistrato verso i propri dipendenti; si inoltra una protesta ai Ser.mi Collegi lamentando che il Magistrato delle Nuove mura abbia dato agli architetti senza incanto molte fabbriche per rovinarle e gettarle a terra « con che paghino una miseria dando li siti spachiati, e vi è stato e vi è anche tal di dette case che di legname, chiovasame, marmi, chiappe e mattoni ne hanno cavato e ne caveranno per più di lire diecimila, e vi è perciò tale architetto che ne fa gettare a terra quattro o sei e che guadagnerà lire venticinquemila e altri poco meno ». Si propone che per le case già rovinate si deputi persona che verifichi l’utile ricavato e che per l’avvenire le demolizioni si mettano all’incanto « al plus offerente ». Si invita inoltre a considerare « che la maggior parte di detti architetti sono tutti forestieri et sudditi qualcuno di — 20 — loro di nemici della Repubblica e forse saiebbe accertalo in en ei eie sono, et non farli così saper tutto ». 1 guadagni indicati sono evidentemente esagerati perchè la demolizione delle grosse murature di pietrame quali sono quelle che formano 1 ossatura delle case signorili di quei tempi e lo sgombro delle macerie importava una spesa che non poteva essere molto inferiore al ricavato dalla vendita dei materiali utilizzabili. Comunque il Magistrato cui i Ser.mi Collegi avevano ordinato di esaminare la questione, determinò che si prendesse cognizione dell utile già ricavato o che poteva ricavare Bartolomeo Bianco dalle demolizioni in Bisagno; per le nuove demolizioni di sei case fra gli Angeli e la bastia di Promontorio indisse una pubblica gara alla quale si presentarono sci concorrenti che fecero offerte da un minimo di L. 500 a un massimo di 1200. Essendo risultato migliore offerente Bartolomeo Bianco con lui si stipulò il contratto il 29 marzo 1632. MATERIALI DA COSTRUZIONE E MANO D’OPERA * * * Un’opera di così straordinaria importanza richiedeva un ingente quantitativo di materiali da costruzione e di attrezzi di lavoro. Fra i materiali il pietrame per le murature non dava preoccupazioni potentosi dovunque adoperare quello proveniente dagli scavi fatti sul posto (con la sola eccezione del tratto nel piano del Bisagno, che comunque poteva ricevere la pietra da cave poste a breve distanza); la sabbia pure era un materiale abbondante pel quale la difficoltà stava solo nel trasporto, da farsi esclusivamente a soma, al sito di impiego. La calce invece fu oggetto di speciali provvedimenti presi prima ancora di metter mano all’esecuzione dei lavori. II Magistrato per aumentare la produttività delle poche fornaci esistenti, chiedeva e otteneva il 3 febbraio 1630, dal Vicario Generale della Diocesi che tutto il personale adetto alla preparazione della calcina e al suo trasporto potesse « udita però la massa » lavorare anche nei giorni festivi. I centri di produzione sui quali si poteva fare assegnamento erano Sestri di Ponente e Cogoleto. L’architetto Giovanni Aycardi in una sua nota del febbraio esprime il parere che per le nuove mura sia da preferire la calcina di Cogoleto che ha anche il merito di costar meno di quella di Sestri, ma che non potendo da sola riuscire sufficiente si dovrà adoperare anche quella di Sestri procurando di ottenere un ribasso del prezzo. Sotto la data del 22 febbraio si hanno varie offerte di calcina di Sestri. Così Antonio Micone, Giovanni é Oberto Nattino offrono « moggia 600 di calcina l’anno e questa ogni anno condotta alli ponti a raggione di L. 13 ». — 22 — Battista Mascardi offre a L. 13 e soldi 15 data alla Lanterna e fino agli An geli; varii altri offrono a L. 13 al ponte dei Calvi. Il Magistrato delle Nuove Mura stipulò contratti con i produttori di Cogoleto e di Sestri Ponente che si obbligavano a periodiche consegne di quantitativi, diversi per ciascuno di essi, in porto, quasi sempre al ponte de’ Calvi, ove, come risulta da una nota di spese, erano state erette baracche per il temporaneo ricovero della calcina. Essa era presa in consegna dal soprastante Camillo Castello addetto a questo speciale servizio, il quale ne rilasciava ricevuta e provvedeva alla ripartizione e spedizione ai varii cantieri di lavoro. In qualche contratto fatto per la calcina destinata ad una sola impresa, il prezzo non è indicato, vi è però stabilito l’obbligo di osservare il prezzo già direttamente concordato fra il produttore e l’impresa. 11 Magistrato delle Nuove Mura, dopo avere probabilmente accertato che qualcuno dei provveditori vincolati con contratto dava la precedenza a privati che offrivano miglior prezzo, il 4 settembre 1630 intimò a Patron Agnese ed altri due di Cogoleto, sotto minaccia rispettivamente di una multa di scudi 500 e 200, di non vendere in avvenire « quantità alcuna benché minima di calcina a persona alcuna » prima di avere consegnato ogni mese alla fabbrica delle nuove mura i quantitativi fissati per contratto. L’accaparramento di quasi tutta la produzione di calce doveva, come è ovvio, produrre una notevole penuria per gli usi privati sebbene questi fossero già sottoposti ad una grande limitazione per il fatto che la massima parte della gente capace dì lavori murarii era impegnata nelle nuove fortificazioni: di qui il pericolo che qualche partita di calcina sbarcata in porto potesse prendere altra via che non quella dei cantieri delle nuove mura. Il Deputato Ansaldo De Mari per eliminare questo pericolo il 30 luglio intimò, per mezzo dei Consoli dell’arte dei mulatieri, che nessun mulatiere sotto pena della confisca delle bestie « et ogni altra pena arbitraria » possa portare in altri luoghi le calcine dirette « alli posti dove si fabbricano le nuove mura ». L’approvvigionamento della calce continuò per tutta la durata dell’opera a essere oggetto della costante cura del Magistrato delle Nuove Mura; nel novembre 1631 per meglio assicurarne la regolarità e continuità si nominò un Commissario della calcina — G. B. Poggio — con una speciale istruzione per lui redatta da Ansaldo De Mari. Compito principale del Commissario era di provvedere « che tutti li capi degli scarzi habbino con facilità e prontezza la calcina necessaria ». Per raggiungere questo intento doveva tenersi sempre esattamente informato degli obblighi dei fornaciari, dei bisogni degli scarze-ratori, degli arrivi in porto e sui posti del lavoro e dell’andamento delle cot- — 23 — ture nelle fornaci; doveva inoltre procurare che da « tutti li luoghi del Dominio ove si possano avere calcine vengano i fornaciari a presentare o Da questa ultima disposizione si ebbe un buon risultato in quanto che si riuscì ad imbarcare qualche partita di calcina anche sulle spiaggie di Borghetto, della Pietra, di Spotorno, di Vado, di Arenzano e d, Voltn, nonché di Monterosso e della Spezia sulla riviera d, Levante, Continuò intanto la serie di numerosi contratte con i grossi produttori di Sestri Ponente e di Cogoleto e si rinnovarono con norme sempre più ristrettive, i divieti fatti ai proprietari delle fornaci e agli addetti a, trasporti, mulattieri e * padroni di liuti c vascelli ■ di vendere d, portare altrove la calcina. * * * I mattoni ebbero un impiego molto limitato. Il Capitolato (Allegato n 2) prevedeva l’eventuale uso di mattoni per fare il cordone, come era avvenuto nelle mura del secolo precedente (se ne vede ancora traccia ne, pochi tratti conservati al bastione del Prato e adiacenze sovrastanti la p.azza della Vittoria) in realtà il cordone delle nuove mura fu fatto con pietra Di soli mattoni furono costruite le guardiole (una nota indica mattoni 4500 al Castellazzo per fare le guardiole delle nuove mura); altri mattoni si adoperarono saltuariamente per il repascimento delle mura, come si può verificare tuttora esaminando alcuni tratti delle mura (una nota di spese contiene, fra altro, quella per 500 mattoni negri che « servono a ripascere in parte le nuove mura al Castellazzo *). * * 1 legnami di vario tipo che occorrevano per i ponti di servizio, per la costruzione di baracche per uomini e materiali e per altri usi, provenivano dal porto ove erano stati esentati dal pagamento di gabella, e forse anche in parte dai monti al di là del Peraldo (vi è nei documenti una nota di spesa per trasporto di legnami dal Peraldo al Castellacelo). 24 — * * * Per la provvista degli attrezzi da lavoro, detti nei documenti ferramenti 0 più freguentemente ferri, il Magistrato delle Nuove Mura stipulò all’inizio dell’opera un contratto con Bartolomeo Pizorno e Rolando di Rossiglione Superiore, e fece anche acquisto da fabbri stanziati in città nel quartiere del molo. Seguirono poi varì altri contratti quasi tutti con fabbricanti di Rossiglione 1 quali facevano le migliori condizioni probabilmente a causa del carbone di cui potevano facilmente disporre. Un ferraro di Genova dichiara nella sua offerta che non può diminuire i prezzi essendo il carbone sulla piazza caro e in piccola quantità. L’Allegato n. 9 riporta un preventivo del Console dell’Arte dei ferrari del Molo. I varii elenchi di questi ferri contengono le voci dei picconi, mazza-picchi, mazze, cunei, chiappette, leve, palferri, zappe larghe e strette, ossia di attrezzi per scavare il terreno e rompere la roccia; mancano quelle degli arnesi speciali del muratore. È perciò da supporre che i maestri muratori venissero sul lavoro portando i propri ferri del mestiere. II ferro come materiale da costruzione trovò impiego nelle guardiole, la cui ossatura era una gabbia di ferro formata da due cerchi e varì ritti, del peso di circa Kg. 56. * * * Come appare da varie liste di legnami e di ferri, essi venivano ripartiti nella zona del lavoro in numerosi magazzini sistemati in parte nei fabbricati già esistenti alle bastie di Peraldo e del Castellaccio, in parte nelle rare case prossime alle mura, il rimanente in baracche. * * * Fra le materie prime di grande consumo per le murature non va dimenticata 1 acqua, che mancava quasi totalmente lungo il percorso delle nuove mura correndo esse sulla sommità delle alture che circondano la città; solo nelle parti più basse dove sorgevano villeggiature e case coloniche, esiste- — 25 — vano cisterne d’acqua piovana, e nel lato verso Bisagno anche qualche fontana derivata dall’acquedotto civico (detto allora condotto del Calsuolo). Al Peraldo ed al Castellazzo si trovavano cisterne state predisposte per i bisogni dei presidi delle due bastie. II costo dell’acqua che nella maggior parte dei casi doveva farsi venire da lontano, entro barili portati a soma, esercitò non poca influenza sui prezzi unitarii delle murature come si vedrà in seguito. Il Magistrato delle nuove mura aveva procurato, ove possibile, di facilitare la provvista dell’acqua eseguendo appositi lavori sia per migliorare le già esistenti raccolte di acqua piovana, sia per condurre 1 acqua « per costiera » da sotto il Peraldo al Castellaccio e oltre. Da questi lavori, di cui vi è un cenno nel capitolato di appalto, si hanno note di spesa. Una è la « lista de’ Maestri e lavoranti che hanno travagliato dal 19 al 22 giugno 1630 in condurre l’acqua da sotto la bastia di Peraldo verso il Castellazzo per il servizio pubblico delle nuove mura »; altre analoghe hanno date posteriori. Non risulta se il condotto era alimentato da una qualche piccola sorgente o, come è più probabile, da una grande raccolta di acqua piovana. Alcune note riguardano uomini « che hanno travagliato in tirare l’acqua con la cicogna ». Il Magistrato provvedeva anche ad assegnare alle imprese l’uso esclusivo di fontane pubbliche. Così con una deliberazione del 23 agosto 1630 per dare a Maestro Bartolomeo Cerisola e compagni scarzeratori al secondo posto della Misericordia « comodità di acqua per sdorare la calcina » ordina che « nessuno ardisca prendere acqua dalla fontana la quale è in strada pubblica vicino a detto posto e questo sotto ogni pena arbitraria a detto lll.mo Magistrato ». Il provvedimento è però temperato con l’aggiunta che « se alcuno del presente decreto si sentirà gravato comparisca dinanzi a loro 111.mi e Molto IH.tri che li provederanno di giustitia ». Il celere andamento dei lavori dipendeva, oltre che dalla provvista dei materiali, dal quantitativo di mano d’opera disponibile; il fabbisogno era grande data la straodinaria estensione delle costruzioni da farsi, e certamente maggiore di quello che sarebbe oggi per un’opera analoga mancando allora i mezzi meccanici che anche nei lavori murari e di scavo facilitano molte operazioni. Il P. Vincenzo da Firenzuola, in un suo esposto presentato il 12 aprile 1630 al Magistrato delle nuove mura col quale da’ consigli, che furono ef- — 26 — fettivamente seguiti, per l’inizio dei lavori da farsi dalle bastie di Peraldo e di Castellazzo ed il loro estendersi, fa dipendere questa estensione dai lavoratori che saranno disponibili. Non appare dai documenti esaminati quale sia stato il numero massimo giornaliero degli uomini impiegati; non mancano però dati parziali per alcuni posti. Risulta così che al posto del Castellazzo affidato a Domenico Bruno e Compagni nel periodo dal 3 all'8 giugno 1Ò30 gli uomini erano in media 305; il 1" luglio erano 159 (dei quali 96 maestri di Cassola, 12 rompitori, 121 altri lavoranti); il 15 luglio erano 143; al posto affidato a Origone e compagni al 1° luglio erano 113, al 15 luglio 215 (compreso 12 che portano acqua). Ammessa una media di 200 uomini per posto, si può ritenere probabile che quando il lavoro verso la primavera del 1632 si trovò esteso contemporaneamente su 27 posti (lotti) il numero dei lavoratori sia stato di circa 5200, senza tener conto del personale certamente numeroso addetto ai trasporti della calcina, arena e altri materiali e del nucleo che era alla diretta dipendenza del Magistrato per custodia e la distribuzione dei materiali e per lavori diversi (sistemazione delle acque, baraccamenti, ecc.). Gli operai nei rolli (ruoli) esaminati sono distinti in maestri e in lavoranti, detti anche giornalieri. Per questi ultimi sembra non si siano incontrate difficoltà nel reclutamento; dai rolli che oltre al nome e cognome ed età indicano anche il luogo di nascita, appare che in gran parte i lavoratori provenivano dalle valli prossime a Genova (specialmente dal Bisagno) e dalle Riviere (non pochi sono di Porto Maurizio); non mancano di altre regioni (si nota un calabrese). Si aveva invece penuria di muratori in relazione ai bisogni non potendo essi essere improvvisati come gli sterratori od i manovali in genere. Ciò indusse il Magistrato ad escogitare speciali disposizioni per assicurare all’opera delle nuove mura il massimo possibile di muratori. Con un decreto del 7 ottobre 1630 « desiderando provvedere maggior numero di maestri di casola alla fabbrica delle nuove mura di quello sin hora seguito per questo ad calculos ordina che si chiamino tutti li capi d’opera i quali debbano subito manifestare tutti i maestri de’ quali loro si servono in le fabbriche de’ quali hanno cura ». A questo decreto altro ne segue il 27 novembre (Allegato n. 10) col quale per mezzo de’ Consoli dell’arte dei massacani tanto Genovesi che Lombardi si intima a tutti gli architetti e maestri muratori che dovessero entro 8 giorni denunciare la qualità e quantità delle costruzioni a loro al presente affidate il numero, nome e cognome dei maestri in esse impiegati; facendo inoltre obbligo di denunciare parimenti, non appena avvenuta, la ultimazione di quelle costruzioni e di — 27 — astenersi per l’avvenire di assumere altre senza avere prima ottenuta licenza scritta. È conservato fra i documenti di archivio un registro ove, per ordine alfabetico, sono descritti i lavori in corso denunciati dagli architetti e capi d’opera. Dal rollo dei massacani Genovesi, con la data del 20 settembre 1630, risultano iscritti, oltre al Console Battista Gandolfo e il Sindico Battista Bat-tegno, 9 capi di opera e circa 60 maestri. * * * Nella primavera del 1632 la fabbrica delle nuove mura era oramai così bene avviata da lasciare * speranza di vederla fra pochi mesi alla per-fettione » purché non le venissero a mancare adeguate risorse finanziarie e mano d’opera abbondante. Per il primo punto, ossia per provvedere allo « sborso di gran quantità di denaro che ogni settimana in occasione della fabbrica far conviene » il Magistrato ottenne da Ser.mi Collegi, con l’approvazione del Minor Consiglio, la facoltà di contrarre un prestito di seicento-mila lire garantito dai proventi della tassa speciale per le mura e della addizione della gabella del vino. Per avere un aumento di mano d’opera, specialmente di muratori, oltre ad un’azione di propaganda fatta svolgere in varì paesi della Riviera dal Commissario G. B. Poggio con invitare i maestri, i muratori od altri a presentarsi assicurando che saranno subito impiegati, si procurò di allettare gli operai con l’offerta di uno speciale beneficio: un decreto dell’ 11 maggio 1632 accorda a tutti gli operai addetti alla fabbrica un salvacondotto generale per qualsiasi debito ed obbligazione civile purché non ecceda le lire 400, valevole per tutta la durata del loro servizio entro il limite massimo di un semestre. Un altro provvedimento avente carattere imperativo era stato preso con un precedente decreto del 5 maggio il quale ordina che entro otto giorni dalla pubblicazione del bando da farsi « in solitis locis » sia sospesa per la durata dell’anno in corso, nella città e in tutto il Dominio qualsiasi fabbrica pubblica e privata eccettuate le nuove mura. L’ordine è notificato ai capi d’opera, muratori e operai imponendo loro di sospendere le fabbriche ove si impiega calcina e di astenersi dal cominciarne altre * sotto ogni gravame e arbitraria pena ». — 28 — Questo divieto che tendeva al duplice scopo di rendere disponibili tutti i muratori e di impedire qualsiasi uso di calcina in opere estranee alle mura, veniva a ledere, come è facile intuire, molti interessi di privati e di comunità religiose; di qui le numerose domande di licenza presentate al Magistrato, che le accordava solo nei casi di evidente urgenza per piccole riparazioni da farsi in uno o due giorni ai tetti che lasciavano piovere acqua nelle stanze abitate o per casi simili. Chi non poteva sperare in una licenza era perciò indotto a tentare di eludere i divieti procurandosi clandestinamente operai e materiali. Se ne riporta un caso: 11 bargello Giacinto Amato espone in un .lungo verbale come in seguito ad ordine ricevuto dal Sindico e dopo non poche difficoltà sia riuscito ad accertare che neU’interno della parte ancora incompleta del monastero delle Turchine in Castelletto si continuava a fabbricare con « cinque maestri di casola » che furono da lui condotti in carcere; il Magistrato delle nuove mura non volle aderire alla richiesta di licenza allora presentata dai Protettori delle monache, e anzi ordinò il sequestro, a favore delle mura, della calce che essi tenevano depositata a Vado. Sarebbe interessante verificare se era previsto qualche obbligo verso gli operai da parte delle imprese o della amministrazione pubblica in caso di infortuni sul lavoro. Nulla risulta su questo punto nei documenti esaminati tranne una denuncia (Allegato n. 11) fatta da un soprastante per una ferita riportata di un maestro mentre stava lavorando, la quale fa ritenere che, almeno in certi casi, erano fatte denuncie. È anche rimasta traccia di un pagamento di sussidio fatto nel marzo 1632 dal Magistrato in seguito a un ferimento; però non interessa un addetto alla fabbrica, ma un giovane estraneo che passando sulla pubblica strada ebbe una gamba spezzata dai sassi lanciati da una mina. il sussidio fu accordato dopo una supplica, corredata dal certificato del chirurgo curante, presentata dal padre del giovane. Un provvedimento di ordine sanitario fu preso per prevenire il diffondersi della peste che allora serpeggiava qua e là con grave minaccia per la salute pubblica della città. 11 25 maggio 1631 Ansaldo De Mari fu perciò nominato « Commissario dell’Ufficio di Sanità della Ser.ma Repubblica di Genova nella fabbrica delle nuove mura » con autorità su tutti gli uomini che erano addetti alla costruzione di quelle mura. In tale qualità Ansaldo De Mari allo scopo di impedire che sotto pre- — 29 — testo di essere operai della fabbrica entrassero liberamente in città, ossia entro il recinto delle mura vecchie, persone provenienti da luoghi incetti, ordinò che tutti i maestri, operai e qualunque altra persona addetta alla fabbrica fossero muniti di una bolletta « con nome, cognome, patria e contrassegno » valevole per 15 giorni e firmata da uno dei tre soprastanti a ciò delegati, le cui firme dovevano essere depositate alle porte deH’Arco, Acquasola, Strada nuova, Carbonara e S. Tommaso per facilitare il controllo da parte dei Com missari, Ufficiali e altri deputati alle porte. SORVEGLIANZA E CONTABILITÀ DEI LAVORI * * * La sorveglianza sui lavori in corso era continua ed accurata. Oltreché dell’architetto, dai soprastanti e da altri dipendenti dal Magistrato delle Nuove Mura era anche esercitata assiduamente dal Deputato Ansaldo De Mari: in una nota di spese da lui fatte dal mese di aprile a tutto agosto 1630 per mezzi di trasporto personali per recarsi ai cantieri dei lavori « porto di camalli e pigione della carega » si vedono segnate numerosissime giornate. Sono tuttora conservati diversi rapporti redatti dai soprastanti dai quali appare che essi riferivano sul numero giornaliero degli operai presenti, sul- 1 arrivo e disponibilità sul posto dei materiali, e su tutto ciò che comunque interessava il buon andamento dei lavori (l’Allegato 12 riporta uno di tali rapporti). La vigilanza si estendeva anche sulla osservanza degli obblighi delle imprese verso gli operai: i soprastanti assistevano alla paga del sabato e denunciavano le irregolarità riscontrate nei pagamenti e nel funzionamento delle biscazze. Per assicurare l’equo smercio dei generi alimentari il Magistrato delle Nuove Mura aveva fatto distribuire a ciascuno degli scarzeratori « una bilancia e due misure di stagno, cioè una mesa pinta e un quarto perchè se ne servissero li biscazzieri di quei posti della bilancia per pesare e riconoscere il pane che dovevano ricevere da’ fornari et riconoscere se fusse di peso giusto, delle due misure per misurare il vino che havevano da dare giornalmente alti operai della fabbrica ». Al vino era stata stabilita la « meta » (prezzo) di soldi 4 la pinta per il vecchio e di soldi 3 per il nuovo. 31 — * * * Ogni qualvolta si riscontravano negligenze o irregolarità o azioni comunque rimprovevoli commesse dalle imprese o dai singoli lavoratori, erano subito fatti accertamenti e le sanzioni primitive, quando necessarie, erano stabilite ed applicate prontamente. Se ne riportano varii esempi delFanno 1630. .....L’8 maggio il Magistrato avendo sentito che gli scarzeratori Domenico Bruno e Stefano Ramone avevano fatto portare al Castellazzo una grande quantità di arena presa nel Bisagno e non essendo essa « nè buona, nè mercantile » ordina che non ne porti altra e non si adoperi quella già portata. In seguito, dopo ripetute istanze dell’impresa, autorizza l’uso dell’arena già sul posto limitatamente alle parti secondarie, purché sia prima « passata e crivellata ». (Allegato n. 13). .....Il giorno 8 giugno due muratori al posto affidato a Pietro Merigo che non avevano eseguito il lavoro come si conviene « havendo nel far la muraglia lasciato de’ vacui » e fatte altre cose « con pregiudicio grande della muraglia » sono arrestati e condannati « a due tratti di corda in pubblico al Castellazzo ». .....Il 14 giugno il bargello Giacinto Amato « andato alla bisca del posto del quale ha cura Andrea Origone per fare diligenza se il pane era di peso » trova « reste 36 di cannelotti che non sono di oncie 37 l’una, ma qualcuna pesa oncie 25 V2, e la maggior parte oncie 25 ». Il Magistrato ordina la confisca di quel pane e lo fa distribuire agli operai. .....Andrea Coronata incaricato del servizio dell’acqua è arrestato e condannato a due tratti di corda e alla rifusione dei danni perchè portava in conto, a danno di uno scarzeratore, l’acqua a un soldo il barile, mentre pagava gli operai a solo 8 denari (ossia 3/4 di soldo). .....Il 22 luglio in seguito a rapporto fatto da un soprastante sono arrestati dal bargello e condotti alle carceri Desiderio Sciaccaluga e Geronimo Mannello che « havendo cura di segnare sopra una taggia i carichi di aqua che erano portati per sciorare la calcina al posto di Merigo » ne avevano segnati più di quelli che effettivamente erano stati portati. Il Magistrato deputa Ansaldo De Mari e Cesare Durazzo a procedere contro i carcerati. Il 23 luglio essendo risultato dal loro interrogatorio e da quello dei testimoni che avevano segnato rispettivamente 20 e 25 barili in più sono condannati entrambi a un tratto di corda, alla rifusione dei danni e al bando dalla fabbrica per 6 mesi. — 32 — .....II 25 luglio sono presi provvedimenti contro Domenico Bruno e Stefano Ramone scarzeratori al posto del Castellazzo i quali, non ostante gli ordini, avevano pagati alcuni operai con pane invece che con denari, avevano fatto portare arena del Bisagno, e inoltre tenevano nella loro biscazza pane scarso di peso. Il Magistrato « lasciando per ora indeciso il particolare dell'arena ha condannato e condanna esso Ramone e Bruno in L. 25 per havere dato pane in cambio di denari a’ portatori di calcina o sia di rena, e per essere stato ritrovato pane scarzo in la loro biscazza si ordina che per il medesimo delitto che in avvenire commetteranno in questo li priveranno di fare la biscazza ». ..... 11 6 novembre il Magistrato, dopo aver sentita la denuncia fatta da Ansaldo De Mari, dichiara che si debba ritenere allo scarzeratore Michele Scaniglia lire due per cannella di muratura « che è di cannella cinquanta » per avere il predetto Scaniglia usata calcina magra contrariamente ai capitolati (Allegato n. 14). ..... Il 16 novembre Michele Amato bargello « in esecutione dell’ordine havuto dalFIll. Ansaldo de Mari deputato alla fabbrica » conduce alle carceri Battista Macchiavello imputato di portare arena cattiva al posto delle nuove mura a cura di Michele Scaniglia. ♦ * * Secondo quanto risulta da una richiesta di materiali fatta da un soprastante al Sindico, per la misura dei lavori eseguiti si adoperava una riga da misurare di palmi 15 marcata dal Comune con li anelli alle teste » (tale lunghezza corrisponde a metri 3,72). Le misure erano riportate su fogli firmati dal soprastante e dall’architetto Bartolomeo Bianco; sui fogli stessi erano esposti i computi per la applicazione dei prezzi unitari stabiliti dal contratto o da ulteriori trattative per le voci non previste inizialmente. Dalla somma totale così ottenuta si deduceva l’importo di quello che aveva già percepito l’impresa in contanti o in natura. In calce a questi computi poneva la firma il Deputato Ansaldo De Mari con la dichiarazione della somma che poteva essere pagata; prima però di passare all’effettivo pagamento da farsi dal cassiere del Magistrato dell’Erario occorreva ancora la firma dei due Deputati della mattina. Gli anticipi concessi alle imprese erano forti; così, ad esempio, dalla contabilità dei lavori eseguiti al posto del Castellazzo alla data del 31 ag. 1630, ossia alla fine del quarto mese dal loro inizio, si nota che l’impresa aveva — 33 — in precedenza già ricevuto un anticipo (Lire 30.570 in contanti e 5.100 fra ferri e calcina) di poco inferiore alPimporto dei lavori misurati (L. 37.332), e che, inoltre, le veniva concesso un pagamento « atteso il prestito » alquanto superiore alla differenza tra l’attivo e il passivo. Nei numerosi fogli di misure conservati, non vi è uniformità nel modo di disporre le scritturazioni, ciò rende lecito supporre che misure e computi siano stati fatti direttamente dai varii soprastanti e che la firma dell’architetto rappresenti solo un visto di approvazione. A non pochi fogli di misura sono rimasti aggiunti appunti e schizzi delle ripartizioni delle superfici e sezioni in triangoli e trapezi per ricavare i volumi. (È da notare a questo proposito che nei risultati così ottenuti si trascuravano le frazioni inferiori a un quarto di cannella, quantità che per gli scavi corrisponde a un poco più di un metro cubo). Solo due specchi di misure prese nel primo mese ai posti del Peraldo e del Castellazzo dall’architetto Giovanni Aycardi hanno annessi disegni geometrici regolari che raperesentano la planimetria dei bastioni e cortine intermedie con le corrispondenti sezioni del terreno in scala; sono inoltre corredati da annotazioni che indicano quanto rimane ancora da scavare nei varii punti. * * * Per assicurare la esatta registrazione delle misure, il Magistrato delle Nuove Mura il 2 maggio 1632 deputa Andrea Bianco, figlio dell’architetto Bartolomeo, a tener conto di tutte le misure non appena prese registrandole in due libri uno per le murature e l’altro per gli scavi. :> » UNITÀ DI MISURA E PREZZI UNITARII * * * Le unità di misura usate nei documenti relativi alla costruzione delle nuove mura sono: per le lunghezze: il palmo .......................................... m. 0,248 per le superfici: la cannella di 12 palmi in quadro (ossia di 144 palmi quadrati).................................... m. 8,862 e anche (come misura agricola) la tavola ............ mq. 12,7233 per i volumi: a) la cannella detta di muro e pietre, di 288 palmi cubi me. 4,397 b) la cannella cubica, di 1728 palmi cubi ............ me. 26,383 per i pesi: la libra (grossa o del ferro) ........................ gr. 317,664 il rubbo di 25 libre ................................ Kg. 7,94 il cantaro di 6 rubbi (150 libre) .................... Kg. 47,646 per la calce: il moggio della calce quantità di calce che pesava 16 cantari, ossia un numero di corbe marcate che ne contenevano un cantaro ciascuna ............. q. 7,623 per la rena: la mina .......................................... I. 116,530 per il vino: la pinta .......................................... 1. 0,863 Vedi: Banchero, Genova e le Riviere 1846. Pietro Rocca, Pesi e misure antiche di Genova 1871. Il Banco di S. Giorgio, a cura del Consorzio Autonomo del Porto di Genova, 1911. — 35 — * * * Il capitolato per l’appallo dei lavori (Allegato n. 3) dichiara esplicitamente che nelle misure delle murature sarà usata la cannella di 288 palmi cubi, tace invece sulla specie della cannella da adoperarsi per gli scavi; i conti che riportano le misure periodiche dei lavori eseguiti nulla chiariscono al riguardo perchè tanto per le murature, come per gli scavi, è adoperata la sola parola cannella senza specificazione. A togliere ogni dubbio, oltre all’esame comparativo dei prezzi, valgono le offerte degli scarzeratori concorrenti agli appalti che per le murature si riferiscono alla cannella di 228 palmi e per gli scavi a quella di 1728 palmi, sestupla della prima. I prezzi sono indicati in lire di moneta corrente, in soldi (ventesimo di lira) e in denari (dodicesimo di soldo). La lira di moneta corrente, ossia quella effettivamente circolante in piazza, era così denominata per distinguerla da altre, aventi un valore fisso convenzionale, adoperate nei conteggi di banca. II valore della lira genovese è andato sempre più diminuendo col progredire del tempo, così il suo valore, riferito alla lira oro del sistema metrico decimale, che era nel 1509 di L. 2,70, era ridotto nel 1792, negli ultimi tempi della Repubblica a sole L. 0,82. Nell’anno 1630, il valore era di L. 1,45. Lo scudo d’oro, che appare solo in un preventivo di massima, equivaleva a L. 6 e soldi 10. (Vedi desimont, Tavole dei valori in lire antiche e in lire italiane delle principali monete genovesi dal 1109 al 1804). * * * Per convertire in moneta italiana attuale i prezzi espressi in lire genovesi del 1630, questi ultimi devono essere anzitutto moltiplicati per 1,45 per passare alla lira oro del sistema metrico decimale, e poi ancora per 3,76 per passare alla lira attuale, ossia complessivamente per il coefficiente 5,45. È subito da avvertire, come si dirà in appresso, che si dovrebbe an cora tener conto del diverso potere di acquisto della moneta, che non è facile determinare esattamente. g PREZZI DEI LAVORI, MATERIALI E MANO D'OPERA * * * Gli Allegati 15, 16 e 17 indicano i prezzi dei lavori, dei materiali e della mano d’opera quali risultano dai documenti e il loro ragguaglio in moneta e misura attuale. Nell’Allegato 16 che riporta i prezzi unitari degli scavi e murature da otto contratti stipulati dall’aprile al novembre 1630 si nota che lo scavo di terreno roccioso oscilla da L. 18 a L. 20 per cannella cubica, tranne che nel contratto stipulato con Peluffo e Lavarello per la costruzione delle mura al posto della Lanterna, ove sale a L. 37; questo notevole aumento è da attribuire alla natura compatta della roccia in quella zona, ove appunto perciò erano situate le migliori cave di pietrame da costruzione. Le condizioni locali influiscono pure sui prezzi delle murature che vanno da un massimo di L. 28 per cannella (contratto Mazzone e Compagni) al Peraldo, ossia nella posizione maggiormente elevata che rendeva più costosi i trasporti dei materiali, ad un minimo di L. 16 l/2 (contratto Peluffo) alla Lanterna. L’influenza dell’acqua sul costo della muratura è palesato nel contratto con Batta Lurago e compagni che indica un aumento di prezzo di poco meno di un decimo per la muratura « con acqua » ossia provveduta dall’impresa a sue spese in confronto di quella « senza acqua » ossia con acqua condotta sul posto a cura della Direzione dei lavori. Come risulta da varie contabilità il costo dell’acqua necessaria per bagnare la calcina era calcolata in L. 3 per moggio di calcina (lire attuali 2,14 per quintale). 37 — I prezzi che si rilevano dai contratti concordati a ragion di palmo non si prestano a confronti non conoscendosi le analisi in base alle quali furono determinati. Essi variano da un minimo di lire 31 ad un massimo di 45 al palmo, con una media di dieci contratti esaminati di L. 37,4 al palmo (in moneta e misure attuali rispettivamente L. 681,989 e 817 al metro lineare). * * * Sebbene la mercede degli operai, tranne che nell’ultimo periodo, non fosse vincolato da tariffa fissa, ma lasciata alla libera contrattazione (il capitolato fa obbligo alle imprese di « pagare i loro operai secondo i prezzi che con esso aggiusteranno ») in pratica vi era uniformità nelle mercedi corrisposte tanto dalle varie imprese quanto direttamente dalla Direzione dei lavori. Il lavorante comune (quello che direbbesi oggi operaio non qualificato) percepiva in media soldi 16 al giorno (lire attuali 4,46), qualcuno arrivava a soldi 18 o anche a 21; altri, che erano garzoni dai 13 ai 15 anni, scendevano a soldi 10 o 12 (1. a. 2,72 a 3,27); i maestri avevano paghe da 24 a 28 soldi (1. a. 6,54 a 7,63), uno solo arrivava a soldi 30. La qualifica generica di maestri comprendeva talvolta nelle liste di paga oltre i capi operai e operai specializzati anche persone che avevano funzione di ingegnere o da geometra; vedasi a questo proposito la lista (Allegato 18) di «giornate fatte per segniare le nuove mura col Padre Firenzuola» ove si trova anche lo stesso Bartolomeo Bianco, che fu poco dopo nominato architetto delle nuove mura, con paga giornaliera di soldi 28 che non supera quella attribuita in altre liste a un maestro bancalaro o un ponteratore. Quando nell’ultimo periodo della fabbricazione delle mura la mano d’opera, come già si è accennato, cominciò a scarseggiare in relazione al-l’accresciuto fabbisogno, le imprese, come facilmente avviene in simili circostanze, furono indotte ad attrarre a sè, offrendo migliori condizioni, il personale che già trovavasi alla dipendenza di altre. 11 Magistrato delle Nuova Mura per sopprimere questa concorrenza che produceva disordine ed era contraria al buon andamento dell’opera, prese due provvedimenti (maggio 1632); col primo decretò « che la mercede dei maestri muratori, lavoranti et altri operai 38 di essa fabbrica debba essere di quella somma che in ognuno de i posti sarà rispettivamente dichiarato dai Molto Illustri Deputati a cura di detta fabbrica », col secondo proibì in modo assoluto agli operai di passare da un posto all’altro sotto pena di due tratti di corda per i trasgressori e contemporaneamente intimò agli scarzeratori « che non possino nè tenere, nè accettare nei loro posti gii operari che per avanti lavorassero in altri posti sotto pena di lire cinquanta moneta corrente da applicarsi alla fabbrica ». Dai documenti esaminati non risulta quali siano state le mercedi stabilite dai Deputati per i singoli posti. * * * Confrontando i prezzi del 1630, espressi in moneta e misura attuale con i corrispondenti prezzi medi ora correnti, si rileva che questi ultimi, salvo qualche eccezione, sono molto superiori ai primi. L’aumento però non è costante per le varie voci. Infatti: È di circa volte 2‘/2 per lo scavo di terra; » » 1V* » di roccia (senza mine); * * 3Vs per il muro di pietrame; » * 4'/2 per la mercede dei manovali; » » 3 » dei garzoni; » » 3 » dei maestri. Per i mattoni vi è quasi equivalenza (allora L. 109 al migliaio, ora 110); per la calce bianca, data in porto, una leggera diminuzione (allora 9,24 al quintale, ora 9); lo stesso avviene per gli attrezzi di ferro da scavare e rom pere il terreno (allora in media 2,40 al chilogramma, ora da L. 1,50 a 2). * * * Come già si è avvertito nel capo precedente, per fare un esatto confronto si dovrebbe introdurre nel computo anche la differenza del potere di acquisto della moneta. Il Desimoni (op. citata) basandosi sul costo in lire genovesi di una mina di grano, afferma che per avere un prezzo delle derrate analogo a quello dei tempi in cui egli scriveva (1875) si può, con sufficiente approssimazione, calcolare un aumento del 250% fin verso la fine del XII secolo, del 200% per il secolo XIV e XV; del 100°/o per il XVI; — 39 — non si occupa del secolo XVII che interessa il presente studio. Il solo prezzo del grano, quale è stato considerato dal Desimoni, per quanto sia certamente il dato di maggiore importanza, non sembra sufficiente per stabilire con esattezza il costo della vita in un determinato periodo di tempo; per ottenere risultati più attendibili le indagini dovrebbero essere estese a tutto il complesso di elementi (derrate alimentari, vestiario, ecc.) normalmente necessari alla vita secondo gli usi e le esigenze proprie di quel periodo. Lasciando ad altri questa ricerca e limiiando la osservazione ai soli dati raccolti nel carteggio delle nuove mura, si può notare che la mercede giornaliera di L. 4,64, che era la mercede media di tutti gli operai indicati col nome di lavoranti, ossia della più grande parte degli uomini impiegati nella costruzione delle nuove mura, non sarebbe ora certamente sufficiente per vivere. Eppure se gli operai accorrevano numerosi anche da lontano alla costruzione delle mura, dovevano riconoscere nella paga offerta un mezzo capace di assicurare il loro sostentamento e forse in parte anche quello delle loro famiglie. Questa considerazione induce a ritenere che anche ammettendo, come è necessario, che i bisogni di quella gente fossero molto limitati, i prezzi di allora dovrebbero essere aumentati di almeno il 100 per cento. Un simile aumento trova una qualche conferma nel prezzo col quale veniva smerciato al minuto il vino nelle biscazze degli operai (L. 1,96 al litro se vecchio; L, 0,95 se nuovo); i prezzi corrispondenti sarebbero ora all’in-circa il doppio. Nel carteggio delle nuove mura non mancano altri dati varì di spesa come quello per il vitto del Padre Firenzuola durante il tracciamento delle mura sul terreno, per il vitto e alloggio del Sindico nei viaggi da lui fatti a Sestri e Cogoleto, per ispezionare la produzione della calcina, ecc., ma questi dati servono poco allo scopo non facendo essi preciso riferimento a unità di misura. OSSERVAZIONI FINALI * * * L’esame delle norme in vigore nel secolo XVII per l’ordinamento e l’amministrazione della costruzione delle Nuove Mura porta a conchiudere che, nel loro complesso, non differiscono molto da quelle attualmente in uso per le grandi opere pubbliche: Un apposito Ufficio (Magistrato) sopraintende ai lavori sulla base di un progetto generale approvato dal Governo; uno o più membri dell’Ufficio (Deputati) hanno funzioni di ispettori o potrebbe anche dirsi di capi sezione; un altro (Sindico) presiede alla amministrazione e alla gestione dei materiali; un ingegnere direttore dei lavori (Bartolomeo Bianco), coadiuvato da edeguato numero di assistenti, è responsabile della buona esecuzione. L’opera è suddivisa in numerosi lotti dati in appalto a chi offre di di farli a minor prezzo, escludendo coloro dei quali non si hanno buone informazioni; base dell’appalto è un capitolato che indica le prescrizioni di carattere tecnico, i metodi di misura e le condizioni speciali alle quali deve attenersi l’impresa. Se nell'ultimo periodo della costruzione delle mura, quando interessava accelerarla per averla ultimata nel tempo prefisso, si tralasciarono i pubblici incanti per passare alla trattativa privata con imprese di fiducia, ciò anche trova riscontro nei procedimenti che furono talvolta usati per opere di diffesa e di carattere urgente. Le principali differenze, prescindendo delPordinamento collegiale dell’ente che presiede ai lavori (che era comune a tutti gli organi governativi della Repubblica di Genova) dipendono dalle condizioni economiche dei tempi e specialmente dalla scarsità di numerario circolante e dalla mancanza di banche alle quali le imprese potessero, come ora avviene, appoggiarsi per ottenere un finanziamento. — 41 — Le imprese risultano di assai limitata potenzialità finanziaria: devono costituirsi con numerosi soci per poter dare la sigurtà richiesta, che non era come la attuale cauzione, una somma materialmente sborsata prima dell’inizio dei lavori e conservata nelle casse pubbliche fino alla completa ultimazione e successivo collaudo, bensì una garanzia per una determinata somma per la quale ciascuno dei soci si impegnava in proprio con tutti i suoi beni presenti e futuri. Non hanno mezzi sufficienti per impiantare i cantieri e fare le necessarie provviste: alla costruzione delle baracche per gli operai provvede l’Ufficio appaltante che inoltre fornisce, con rimborso rimandato all’atto del pagamento delle opere eseguite, gli attrezzi da lavoro, i legnami, le funi e la calce. Non sono neppure in grado di condurre a loro spese i lavori in attesa del pagamento del primo acconto; devono perciò fin da principio essere sovvenute con prestiti ottenuti dall’Ufficio appaltante (simili prestiti dovevano allora essere di uso corrente poiché il capitolato prevede il caso che le im prese finito il lavoro si ritrovassero aver avuto più dell’importo a loro dovuto). È infine da osservare che l’Ufficio appaltante si preoccupa di ottenere che gli operai siano puntualmente pagati e lo siano in contanti e non in natura; questo è indizio che le imprese di quei tempi solevano essere poco puntuali nei pagamenti e che per scarsità di numerario preferivano distribuire pane o altri viveri. Allegato n. 1. + Licenza concessa a 4 ottobre 1629 e confermata a 24 settembre 1630 di poter lavorare in giorno di festa, alla fabbrica, eccettuatene le feste di Natale, Pasqua di Res.ne e simili. Il Sig. Ansaldo De Mari va d’ordine di Palazzo, a prender le misure de’ siti, ove gli anni passati la Repubblica deliberò di far le nuove muraglie. Il negotio non può essere nè maggiore, nè migliore, nè più necessario, nè a Palazzo per camminare in esso si aspetta altro che il conto della spesa di tutto, dipendente da queste misure nelle quali il Sig. Ansaldo si serve di molti Architetti ed altri. Prego degni V. S. Rev.ma che sia servita di metter qui sotto la mano col dire che in questa causa sii contenta che, sentendo però la messa, si possa travagliare ne’ giorni di festa. A casa li 4 di ottobre 1629. Suo Ser.re Aff. Gerolamo De Marinis. Mons, mi ha sempre detto che in tale fabbrica si lavori sempre di festa. — 42 — lo stimo che la causa suddetta come pubblica e di tanto comodo e servitio a tutti ora necessaria e perciò che volentieri mi contento di dispensare come dispenso che tutti li fabbri et operari possano ancora continuare il loro lavoro alle feste, sentita però prima santa messa, et eccettuando le feste più solenni dell’anno, cioè, il primo giorno di Natale, di Pasqua di Resurretione e simili. Dal Palazzo Arciv. li 4 ottobre 1629. Cristoforo Mercadante, Vie. Gen. NB. — Confermato dal Vicario Generale A. Spinola il 24 settembre 1630. Allegato n. 2. Del magistrato delle nuove mura e sua autorità e cura. Signori, dovendosi col Divino Aiuto instradar il nuovo cinto di mura intorno alla città conforme alla deliberatione de’ Consegli habbiamo stimato necessario erigere un magistrato che presieda a questa opra e ne habbi par-ticolar pensiero e cura. Perciò sentita la relatione delFIll.mi Pietro Durazzo, Giorgio Centurione, Gio. Batta Adorno q. Michaelis e Gio. Vincenzo Imperiale da noi sopra ciò deputati a considerare e riferire habbiamo rissoluto fra le altre cose proponer all’uno et all’altro Conseglio come ora facciamo alle SS. VV. che sariamo di parere intorno alla istitutione di esso Magistrato e sua autorità e cura provvedere in tutto come sotto. 1- — Si elegga dai S.mi Collegi e minor Conselio con tre quarti de voti favorevoli un Magistrato, il cui titolo sia « Ufficio delle nuove mura », il quale conti di sei cittadini et habbia in Presidente uno delli 111.mi Procuratori eletto come sopra, che si vicenderà ogni anno. 2. Li sei cittadini finiscano a due per volta in fine d’anno cominciando dalli maggiori di età, in modo che per questa prima volta alli due ultimi continui l’elettione un triennio, gli eletti per l’avvenire non eccedano il tempo di anni due. 3. L’elettione di questi levi da ogni altro Magistrato fuorché da Ser.mi Colleggi, M.to Illustri protettori di S. Giorgio, Sindicatori Supremi e Guerra e gli eletti non possano esser levati fuorché dagli istessi quattro Magistrati sopradetti. — 43 — 4. — Habbia il detto Magistrato la totale cura della fabbrica nova-mente con l’aiuto Divino da cominciarsi nel recinto della Città, disponendola, ordinandola et eseguendola in quei tempi, modi e luoghi che opportuno giudicherà, servando però puntualmente i modelli che da’ Ser.mi Colleggi saranno deliberati et non alterandoli in parte alcuna, benché minima, et osservando anco quelle deliberationi che nella occorrenza fossero dai Ser.mi Colleggi fatte. 5. — Doverà officiare tre volte la settimana almeno e più quelle volte che massime il principio di questa opera richiederà; averà stanza in palazzo. 6. — Delibererà con cinque voti favorevoli trovandosi in settimo numero, e con quattro mancando alcuno dei sette. 7 — Haverà Cancelliere, sotto Cancelliere e Sindico, due targette, un bargello con quattro famigli, tutti eletti dai Ser.mi Collegi con l’intervento del medesimo Magistrato, per quel tempo e con quel salario e carichi che a loro S. S. Ser.me parrà. 8. — Ripartirà le vicende a’ suoi collega, destinando a ponti come si fa in Camera III.ma per quel simil tempo, modo e fine, due alii negotii della mattina, a’ quali spetterà tra Paître cose il rivedere le liste, saldare li conti e sottoscrivere li mandati dipendenti dalla fabbrica perchè possano esser pagati da quel Magistrato di Azenda che a questa impresa deve imporsi. 9- Deputerà a vicenda uno o più dei medesimi suoi collega alla visita della fabbrica, incaricando particolar pensiero di un posto particolare a chi prò tempore sarà deputato, il quale haverà facoltà nelle cose commessele di sommariamente decidere et ordinare con quella autorità che a tutto il Magistrato nelle cause brevi sommariamente appartiene e di poter castigare sino in due tratti di corda li operari delinquenti e farli carcerare. 10. — Detto Magistrato eleggerà quel numero di soprastanti che richiederà la necessità del lavoro con quel emolumento che il medesimo Magistrato stimerà giusto. Chi sarà eletto soprastante darà quella sigurtà che al Magistrato parrà proportionata a quello che alla custodia di lui sarà confidato, sarà di più soggetto alla approvatione dello stesso Magistrato ogni tre mesi, la quale non ottenuta si intenderà privo dell’ufficio. 11. — Doverà a questo Magistrato non solamente obbedire e virtuosamente servire ogni operaio che sii opportuno alla fabbrica, ma a’ suoi comandamenti dovrà esser pronto ogni ingegnerò, architetto e capo d’opera della Ser.ma Repubblica sotto le pene al medesimo Officio arbitrarie che si diranno di sotto. 12. -- Apparterrà al Magistrato il pensiero di provvedere di tutto per li materiali et ordigni che a tale e tanta fabbrica saranno necessari, nel che stimerà con le dovute anticipationi e con quei partiti che all’utile pubblico 44 — saranno accomodati, potrà per tale effetto dar capparre e denari anticipati, obbligare a sigurtà li contralenti, intimare condanne, et in contraventione di patti, esigere le pene. 13. — E di più haverà autorità di punire coloro che saranno suoi operari, sì per vigore delle giornate dovute come per le pagate per tutti li mancamenti, eccessi o disordini da detta fabbrica procedenti sommariamente e senza la forma alcuna di processo in pena di carcere, di due tratti di corda, di uno sino in ue anni di bando, et in multe pecuniarie purché non passino lire cento. 14. — E se oltre le colpe come sopra fossero commessi furti o altre sorti di frodi nella stessa fabbrica in cose spettanti ad essa habbia autorità il medesimo Magistrato di condannare il delinquente da uno sino a tre anni di galea, oltre la restitutione del mal tolto, formato prima i prò cesso del delitto, e consultato con uno de’ magnifici Auditori della o a Criminale, et se il delitto fosse tale che per le leggi meritasse maggior pena della sopradetta, la Rota provveda lei di giustizia. 15. — Come debba essere provveduto al vivere et anco all al oggiare delli operari in detto lavoro debba esser dichiarato dai Ser.mi Collegg compagnia del Magistrato, cura del quale sarà di provvedere alla biscazza di ordini accomodati ai giusto e all’utile dei poveri. ^ 16. — L’istituzione di questo Magistrato terminerà quando da er.m Colleggi sarà dichiarato esser finito il recinto et fabbrica delle nuove mura. 17. — Poteranno da Ser.mi Collegi in compagnia del Magistrato epu tarsi cittadini alla costruzione dei baluardi di questa fabbrica, acciò da sistenza e diligenza loro ottenga il pubblico aiuto maggiore. 18. — A detti deputati durante la carica loro si intenderà con eri a sopra li operari suddetti facoltà di fare incarcerare i delinquenti e contrafacen ì, purché la medesima carceratione venghi in appresso approvata dal Magistra o, il quale dovrà provvedere quello che converrà conforme alla autorità sua.^ 19. — All’istesso Deputato darà il Magistrato in beneficio dell opra quelli aiuti che le saranno domandati. Alli medesimi potrà esser concesso in fine di lavoro da’ Ser.mi Collegi una iscritione in pietra da porsi nel baluar o che testificherà a’ posteri la loro fatica; et finalmente dovranno li deputati come sopra dar continuo conto al Magistrato di tutto quello che sotto la custodia loro si anderà faciendo, indirizzando alli due deputati alli negotn della mattina in fine di ogni settimana le liste delli operari che haveranno servito e le note delli materiali che haveranno havuto, da loro medesimi rico nosciute e sottoscritte. 20. — Li Ser.mi Collegi e Minor Consiglio con li due terzi dei voti possano come secondo le occorrenze stimeranno aggiungere o dimuire alli presenti capitoli quello che parrà espediente per servizio dell opera. 45 — * H* * Ora se le Sig.rie Vostre sarannno di questo parere potranno mostrarlo con i voti loro favorevoli, acciò se ne possa proporre l’approvatione al Maggior Consiglio. + 1626 - 14 dee. Approbata Minori Consilio 28 januari 1627 Approbata Maiori. Allegato n. 3. Capitolo di Appalto. • + 1630 a 26 aprile. L’ill.mo e Molt. Illustre Magistrato delle nuove mura in pieno n., esaminato e considerato a bastanza il particolare del quale a basso si tratterà ad calculos omnibus concorrentibus, determinano dare a scarso la fabbrica che per le nuove fortificazioni si ha da fare alli posti della bastia di Peraldo e Castellazzo, a chi si offerirà di farla a minor prezzo con dover essa fabbrica essere fatta alla forma delli capitoli sopra ciò formati et in tutto e per tutto come vien disposto e si contiene dalli stessi capitoli il tenor de’ quali seguono in appresso: Dovendosi col nome di Dio dar principio alla fabbrica delle nuove mura cominciando dalla bastia di Peraldo e Castellazzo e convenendo perciò fare molto lavoro se ne da notizia di ogniuno a finché possano offerire i loro prezzi rispettivamente. Si dovrà escavare nella montagna tutto il sito necessario per fare la detta fabbrica con osservare le misure delle Ionghezze, larghezze e altezze che dal Magistrato o dal Deputato alla fabbrica saranno stabilite. Le materie scavate si dovranno disporre fuori in quei luoghi che non saranno stimati di pregiudizio alla fortificatione a giudicio dell’istesso Deputato eccettuata però quella parte che sarà necessaria per formare le piazze e — 46 le strade di detta fortificatione, la quale dovrà esser portata dentro nelli suddetti luoghi. Nel tagliare lo scoglio si procurerà di farlo in maniera che l’istessa superficie del scoglio tagliato servi di muraglia, e questo ancora nella controscarpa e strada coperta. Il taglio fatto si dovrà ripascere con muraglia ben scagliata e fatta con buona calcina grassa, buona arena e con ammorsare il lavoro e suo repasci-mento in maniera che resti il lavoro buono e sicuro di non poter rovinare a giudizio di detto Deputato. Ne’ luoghi dove resterà il scoglio buono e tagliato con diligenza secondo la scarpa dela muraglia che si ordinerà, basterà in luogo di repascimento imboccare di maniera che l’apparenza resti di muro tutto continuato. In quelli luoghi per dove il scoglio sarà mal tagliato, e non sarà di bontà e sufficenza, o vi sarà altra matteria cattiva, si dovrà fare il repascimento di quella larghezza che respettivamente sarà necessaria di maniera che fra il sodo della montagna e il repascimento fatto restino le muraglie forti e sicure a giudicio di detto Deputato, et resti tutto il lavoro imboccato. Nè luoghi ove la montagna non può servire per muraglia si doverà alzare di muraglia di quelle larghezze e altezze che saranno necessarie come sopra e con osservare le scarpe e misure in tutto come si ordinerà. Dove parimenti si accorderà di fabbricare il detto lavoro fare il cordone cioè mettervi a sue spese la manifattura, calcina et arena et ogni altra cosa necessaria per terminare il tutto a lavoro finito, escluso il lavorare di scalpellino le pietre de’ quali si dovesse fare, o vero il costo e la condotta de’ mattoni se di questi si eleggesse di farlo, dichiarando che volendo fare di pietra piccata possa il Magistrato servirsi delle istesse pietre che usciranno da detto scavamento. Nelle controscarpe e strade coperte si doverà fare il repascimento cioè on palmo di calcina bene imboccato. Nella superficie de’ parapetti si dovrà lavorare con pietre buone, spianate che suono come di astrico e così sopra le strade coperte e controscarpe. Li detti parapetti si faceranno delle altezze e larghezze secondo che saranno ordinati. Nelli fossi si doveranno lasciare parapetti, o sia traversi di scoglio in quelli luoghi che saranno ordinati, escluso di far le troniere. Tutte le strade o piazze della fortificatione si doveranno spianare e finire di tutto ponto con li declivi che saranno ordinati. Doverà parimenti restar i suoli de’ fossi bene spianati, e finiti di tutto ponto con li declivi e spurghi che parimenti si ordineranno. — 47 — Si doveranno escavare le trinchiere, o siano terre smosse, che saranno ordinate reponendo le materie in tutto come sopra. Tutti li suddetti lavori si doveranno finire di tutto ponto a soddisfa-tione come sopra a opera di chi haverà preso assonto e obbligo di farli, a li prezzi che qui sotto si diranno. I cavamenti della montagna si misureranno dalla superficie della muraglia o sia repascimento, sino alla superficie delle controscarpe o sia strade coperte, e dalla superficie del sito naturale alla superficie del fosso. 1 repascimenti si misureranno per larghezza e altezza, e rispetto alla larghezza si pagheranno a raggione di due palmi non ostante che la detta larghezza fosse, o minore, o niente, o molto maggiore si che ogni dodici palmi in quadro di superficie si pagherà per ona cannella. Se nel cavâmento e nel formar il taglio seguisse che ritrovandosi il scoglio senza piede, o sia appoggio, sligiassero, o fossero in pericolo di sliggiare, si doverà osservare come in appresso: Cioè se il sligiamento incominciasse dalla superficie del sito naturale, in tal caso doverà che piglia l’assonto della fabbrica di desligiare quella parte che minacciasse rovina e le doverà esser pagato il vacuo e di più se le pagherà quel lavoro di matteria che fusse necessità di farlo misurandolo a raggione di cannelle di palmi 288, ma se all’incontro il detto scoglio, o sia montagna non patirà ne farà motivo nella superficie, e solo seguirà nelPi-stesso taglio che cascando qualche scoglio, o altra matteria, senza che patisca la superficie del sito naturale, in tal caso sarà carico di chi haverà preso il lavoro di riempire il vacuo di buona materia, e se le pagherà in raggione di detto repascimento di due palmi di grossezza. Le muraglie e parapetti che si faranno ne’ luoghi dove non serve la montagna, cioè dal sito naturale fino alla maggiore altezza si misureranno a detta raggione di palmi 288 per cannella. Li repascimenti che si faranno alle controscarpe e strade coperte si misureranno per larghezza et altezza con farle buono per la grossezza on palmo on luogo per l’altro, non ostante che si fusse fatto di larghezza più o meno di detto palmo. Le calcine, legnami, corde, ferri si daranno dal Magistrato all’istesso prezzo che saranno comprate da esso Magistrato con darne debito a cui prenderà detto lavoro resterà però in arbitrio di chi prenderà il lavoro di provvedersene altrove. Se in alcuni luoghi saranno necessari far canali di legname per gettare abbasso la matteria il Magistrato li accomoderà di detti legnami consegnandogli alli magazzeni con l’obbligo di restituirli l’istessa quantità, con Pistesse misure. — 48 — 11 Magistrato darà comodità di stanze o baracche per li operai e per le biscazze. Le biscazze si faranno da chi piglierà il lavoro, osservando però li prezzi e pesi da stabilirsi dal Magistrato. Si darà sigurtà a soddisfatione del Magistrato di finire il lavoro di tutto ponto et in ogni perfetione, pagar pontualmente i matteriali et i loro operai secondo li prezzi che con essi aggiusteranno et di restituire il denaro che finito il lavoro si ritrovasse havessero havuto di più di quello che importasse il detto lavoro. L’acqua si condurrà nella maniera che già è cominciato per costiera e dove potrà andare senza haver obbligo il Magistrato di far altre spese. Si doveranno fare le cantonate a tutte le fortificazioni di pietre piccate ben lavorate e con le scarpe che rispettivamente si assegneranno e il tutto a soddisfatione del Magistrato. Allegato n. 4. + a dì 26 aprile. 11 detto lll.mo e Molto Ill.stre Magistrato, vedute le offerte fatte da molti capi d’opra, scalpellini, et altre persone per fare la fabbrica che si ha da fare al posto della bastia di Peraldo, dalle quali offerte consta che Andrea Origone e Bartolomeo Bracco si sono offerti farla a minor prezzo delli altri, per ciò ad calculos deliberano alli suddetti Andrea e Bart. la stessa fabbrica che si ha da fare al posto della bastia di Peraldo tanto per cavar il scoglio e terra smossa dalle trinchiere, quanto per fabbricar la muraglia alli prezzi offerti dalli detti Andrea e Bart. che sono i seguenti, cioè cavamento dello scoglio a lire dieciotto moneta corrente la cannella, cavamento della terra smossa a lire nove la cannella, fabbrica della muraglia a lire ventisette la cannella, et la presente deliberatione si intende fatta con conditione che i lavori si debbano di novo hoggi incantare per tanto tempo quanto durerà il lume di una candela picciola la quale a questo effetto si accenderà, dentro il quale termine, se alcuno offerirà miglior partito in tal caso la suddetta deliberatione si habbi per non fatta, et i lavori si debbano deliberare anzi sin d’hora si intendono deliberati a detto tale che offerisse miglior partito, ma non comparendo alcuno ad offerire di farli detti lavori a minor prezzo resti ferma e valida la suddetta deliberatione fatta alli suddetti Origone e Bracco alli prezzi et in tutto come sopra. 49 + a dì detto subito. D’ordine di detto Il.mo Magistrato si è accesa una picciola candela la quale mentre abbruciava fu detto lavoro più volte incantato pubblicamente da Gerolamo Bancalari targhetta alla presenza di molti capi d’opra, muratori, scalpellini et altri con aver espresso la somma e conditione per la quale e sotto le quali detti lavori erano stati deliberati ad Andrea e Bart. et non essendo comparso alcuno ad oferire altro partito et essendo consumata detta candela sono comparsi dalPlll.mo Magistrato li detti Andrea Origone e Bart. Bracco, le quali havendo offerto per sigurtà persone le quali non sono di soddisfatione del Magistrato, et havendo dimandato termine di mesi quattordici a finire detto lavoro, il detto Ill.mo e Molto II.re Magistrato ha ordinato che detti lavori si deliberino a quello o quelli che havessero offerto ovvero offerissero miglior partito, e così di nuovo vedute le offerte fatte de i capi d’opra, scalpellini, et altri, e non essendo comparso alcun altro ad offerire prezzo alcuno ad calculos delibera l’istessa fabbrica che si ha da fare al posto dela bastia di Peraldo tanto del cavamento di scoglio e terra smossa delle trinchiere, quanto della fabbrica delle muraglie a Gio. Batta Mazzone e Benedetto Rapallo e compagni come a quelli che si sono offerti farlo a minor prezzo degli altri, cioè rispetto a cavar il scoglio a L. 19 monete corrente la cannella, per cavar la terra smossa L. nove di detta moneta e per fabbrica di dette muraglie a L. ventiotto detta moneta la cannella con conditione però che i lavori hoggi si debbano incantare per il tempo, nella maniera, forma e conditione di sopra espresso in la deliberatione fattane ai suddetti Andrea Origone e Bart. Bracco le quali a parolla per parolla si habbino qui per espresse e ripetute respettivamente. + a dì detto subito Di ordine di detto Ill.mo Magistrato si è accesa una candela picciola e mentre essa abbruciava furono i lavori più volti incantati pubblicamente dal suddetto Ger.mo Bancalari traghetta alla presenza di molti capi d’opra, muratori scalpellini et altri, con haver espresso la somma e conditioni per la quale e sotto le quali i lavori erano stati deliberati alli detti Gio. Batta Mazzone e Benedetto Rapallo, et alcuno non è comparito ad offerir altro partito, essendo fornito il lume di essa candela per essere consumata. 4 — 50 — + 1630 a dì 26 aprile giorno di venere al doppo pranzo nella stanza dela residenza dell’lll.mo Magistrato delle nove mura correndo l’inditione decimaseconda. In nome di Dio li sud. Benedetto Rapallo q. Simonis e Gio. Batta Mazzone q. Oberti a’ quali et a’ compagni dal detto Ill.mo Magistrato è stata deliberata la fabbrica della fortificazione da farsi alla bastia di Peraldo, tanto in cavar il scoglio e terra smossa come nel fabbricare la muraglia alli prezzi et in tutto come sopra consta spontaneamente ne hanno promesso e promettono al detto Magistrato presente e acettante, stipulando ancora a cau-tella, mè nottaro. Far detta fabbrica e lavori in tutto e per tutto come si contiene nelli capitoli sopra registrati stati letti prima d’hora, e deli quali confessano ha-vere presa cognitione, e memoria, e tutti detti lavori darli forniti di tutto ponto in ogni perfetione fra il termine di mesi sei che cominceranno il primo di maggio, e forniranno l’ultimo di ottobre del presente hanno 1630, e fabbricarli alli prezzi da loro stati offerti che sono li infrascritti cioè cavare il scoglio a L. diecenove moneta corrente la cannella, cavare la terra smossa dele trinchiere a L. nove detta moneta la cannella, fabbricar la muraglia a ventiotio detta moneta la cannella, e per osservanza di quanto sopra promettono dare, ossia a più sigurtà da approvarsi dal suddetto Ill.mo Magistrato per la somma di L. diecemilla li quali dovranno obbligarsi e farsi principali debitori con voler etiandio essi Mazzone e Rapallo, e così doveranno fare le loro sigurtà, essere obbligati a pagare pontualmente li matteriali che le saranno consegnati, et i loro operari secondo i prezzi che con essi aggiusteranno, osservare le mete e ordini che li daranno per le biscazze, restituire li denari i quali finito il lavoro si trovasse havessero havuto più di quanto importasse il detto lavoro e finalmente a pagar ogni condanna che detto Ill.mo Magistrato le fosse fatta per l’inosservanza del contenuto del presente istrumento e cose dipendenti da quello. Di tutte le suddette cose, et ognuna di quelle, essi Gio. Batta e Benedetto promettono attendere et osservare remossa ogni eccettione e contrad-dittione sotto hipoteca di loro persone e bene presenti et avvenire, renon-tiando ad ogni legge. — Delle quali cose — per me Benedetto Toso Nottaro e cancelliere essendo presenti il Magnifico Gerolamo Coronata q. Magnifici Jo. Jacobi et Illario Bosomo q.Jo. Baptasottocanceliere, testimoni chiamati. 51 — + a dì 27 di detto mese. Li detti Benedetto Rapallo e Gio. Batta Mazzone dicono che li compagni in compagnia degli quali hanno presa la cura della detta fabbrica sono Gregorio Bianchetto figlio di Antonio e Pantaleo Campora q. Ag.ni. È poi successivamente stipulata una serie di atti complementari. 1. — « a 29 aprile giorno di lunedì alla mattina », Gregorio Bianchetto « di anni 25 (il quale pubblicamente e palesemente negotia comportandolo il padre come esso Gregorio con giuramento afferma) » assume tutti gli obblighi ai quali si sono già impegnati il Rapallo e il Mazzone, compresa la sigurtà di Lire diecimila. 2. — Atto analogo con il quarto socio Pantaleo Campora. 3. — « A 29 aprile giorno di lunedì dopo pranzo ». I quattro soci eleggono come loro procuratori con facoltà di ricevere, firmare per ricevuta ecc. i detti Gregorio Bianchetto e Pantaleo Campora. 4. — «Adì detto poco doppo in detto luogo».! quattro soci si obbligano « a rifare a proprie spese e danni la fabbrica la quale in virtù delli suddetti strumenti sono obbligati a fare quando detta fabbrica dentro il termine di anni tre dal giorno che sarà finita rovinasse per colpa di essi a giudicio dei periti, a questo promettono osservare, rimossa ogni contradditione ». 5. — « 1630 adì 30 aprile » Giovanni Tommaso Laviosa si rende garante della cauzione di L. 10.000. 6. — « 1630 a dì 6 maggio » il Magistrato delle nuove mura approva per idonei Giovanni Tommaso Laviosa (che ha già data sigurtà) e Baldassarre Rosso (che dovrà darla) in solido per la somma di L. 10.000. 7. — « 1630 a dì maggio » Gregorio Bianchetto tanto a suo nome quanto a procuratore delli suddetti Pantaleone Campora Gio. Batta Mazzone e Benedetto Rapallo in virtù della suddetta procura spontaneamente conferma haver ricevuto dal Magnifico Gerolamo Coronata Sindico di detto Magistrato, le infrascritte cose......(segue una lista di attrezzi da lavoro; maz- zapicche, picconi, mazze, ecc.). — 52 — Allegato n. 5. 1630 - 20 maggio. Nomina di Bartolomeo Bianco ad Architetto e Capo d'Opra della fabbrica delle nuove mura. Desiderando l’ill.mo e M. lll.tre Magistrato delle nuove mura che la fabbrica di esse sia fatta con quella diligenza e riesca di quella bontà che la qualità d’opra così grande richiede ha perciò eletto Architetto e Capo d o-pra il Maestro Bartolomeo Bianco al quale da loro S. S. 111.me comandasi che debba puntualmente osservare quelle che negli trascritti capitolati si contiene sotto quale si voglia pena così pecuniaria come corporale a loro arbitrio. E prima non potrà durante il tempo del suo ufficio intraprendere nè pigliare cura di lavoro o fabbrica di sorta, escluse quelle che di presente tiene, che non vi preceda espressa licenza deil’Ill.mo e Molto lll.tre Magistrato con decreto particolare. Resterà il lavoro di detta fabbrica in tutto e per tutto a suo carico onde sarà espressamente tenuto di usare ogni diligenza perchè sia puntualmente posto in atto ed eseguito lo disegno approvato dà S.mi Collegi del quale haverà obbligo dare e rendere conto a ogni tempo. Sarà obbligato andare alli posti e luoghi dove si lavorerà ogni giorno e tutte le volte che il bisogno della detta fabbrica lo richiederà. Ordinerà di continuo a chi haverà cura rispettivamente delli posti di fabbrica così a quelli che l’hanno presa e prenderanno a fare come ai sopra-intendenti e soprastanti, e sopratutto sarà sua cura di invigilare che il ca vamento dello scoglio, il pascimento di esso e grossezza delle muraglie sieno fatti di quella bontà e compositione e con quella misura e proportione che richiede opera di tanta importanza, onde sia il ripascimento tale e riesca la muraglia quale sarà il bisogno e richiederà la materia che si troverà nel progresso del lavoro e cavamento della montagna. Nei luoghi ove sarà necessario fare contrafforti, ordinerà e farà che si facciano con quella distanza e misura che saranno a proposito per la bontà e perfetione del lavoro. Doverà obbedire oltre a’ comandamenti et ordini dell’Ill.mo e Molto lll.stre Magistrato e quelli deH’lll.mo Deputato e Deputati per detta fabbrica, e trovando in qualsivoglia modo, tempo o luogo che da qualùnque persona sia che si voglia non sia fatto il dovere sarà obbligato e doverà, rimosso ogni rispetto e amore et interesse, far subito parte aH’lll.mo e Molto lll.tre — 53 — Magistrato o sia allo Molto lll stre Deputato o Deputati, onde vi si possa quanto prima prendere quel rimedio che più sarà stimato opportuno. Si guarderà in tutto e per tutto di non haver partecipatione alcuna benché minima sia tacita o espressa diretta o indirettamente sotto suo nome nè in qualunque modo pensato o non pensato niuno escluso in li scarsi, biscazze o altro toccante a detta fabbrica o lavoro perchè di tutto ciò se li proibisce espressamente. 1630 - a 20 maggio. Allegato n. 6. Istruz. di Qiov. Pilo soprastante a delli altri soprastanti. Perchè la fabbrica del recinto delle nuove mura sia fatta con quella diligenza e riesca di quella bontà che richiede la qualità di così importante lavoro Pili.mi e molto 111.tri Signori che ne hanno la cura havendo eletto per soprastante della fortificatione che si fa al posto del quale ha cura Bernardo Cerexola e compagni, Qiov. Pilo gli comandano che debba osservare precisamente quanto in li infrascritti capitoli si contiene. Procurerà con ogni diligenza che tanto il cavamento del scoglio quanto il repascimento et altro conveniente a detta fabbrica si faccia in tutto e per tutto sotto li modi e forme concertati, e pure che si osservi ciò che sarà comandato dal Molto lll.tre Deputato di essa, et intorno ad essa eseguito con particolare pontualità quello che sarà designato et ordinato da Mas.o Bartolomeo Bianco architetto della fabbrica. Haverà esatta cura che la calcina sia grassa come conviene, e che l’arena sia buona e di spiaggia non consentendo in modo alcuno che vi sia mischia minima di quella che chiamano nittosa o di fiume. Non permetterà che coloro haveranno cura della biscazza aumentino col prezzo le mete e si alteri il peso e misure che saranno imposte dal Molto lll.tre Deputato. Farà il possibile perchè da coloro che hanno a suo carico la fabbrica di detto posto sia pontualmente pagato alli lavoratori la mercede fra loro pattuita senza permettere in modo alcuno che gli sia pagata se però non lo consentissero detti giornalieri, con altro che con li contanti. Avviserà subito senza dilatione alcuna il Molto lll.tre Deputato dei singoli mancamenti che si commetterà da chi si sia per qualunque cagione, 54 — in qual si voglia modo, onve vi si possa dare sul principio quel rimedio che sarà giudicato maggiormente opportuno. Tutte le suddette cose et ogniuna di queste detto Oiov. sarà obbligato osservare sotto ogni pena tanto corporale quanto pecuniaria a detti 111.mi et Molto lll.tri Signori dell’officio delle nuove mura. Allegato n. 7. Istanza di Girolamo Cattaneo soprastante per aver mutato il titolo della sua carica. III.mi e Molto lll.tri Signori, L’esser da loro S.rie stimato per abile in loro serviggi mi è di sommo favore per il vivo desiderio di mostrare s’in me vi sarà talento adoperandomi con ogni affetto. Ma parimente sono ansioso di conservare l’osservanza di quelli titoli che ne’ carichi passati ho esercitato conforme il mio essere che fumo di Capitano, di Gentil’huomo e di Comissario, e parendomi che alli passati carichi non corrisponda al presente il titolo nella cura appoggiatami della fortificatione del posto della bastia. Benché il mestiere di fortificare o di far eseguire li ordini di detta fortificatione sia nobilissimo quando sii ampliato con quella honoranza di nome che il suo effetto dimostri; quindi è che li supplico voglino restar servite simile carico ampliarlo con quel titolo che la prudenza di V.V. S.S. Ill.me stimerà convenirsi a persona del mio essere e che desidera servirle. Di V.V. S.S. e Molto lll.tri Serv. D.mo Girolamo Cattaneo Allegato n. 8. Istruzione di Ger.mo Coronata Sindico. Perchè la legge per l’istituzione delPUfficio delle nuove mura non fa mensione alcuna di quello sia obbligato fare il Sindico di detto Ufficio, e stimando ril.mi e Molto lll.tri Signori che hanno cura della fabbrica, esser non solo necessario ma molto utile all’opra che detto Sindico resti certificato di quello deve operare per non mancare all’officio suo. Hanno perciò coman- — 55 — dato si formi la presente istruzione il cui tenore esso Sindico dovrà precisamente osservare. Primamente sarà esso Sindico tenuto difendere virilmente le ragioni della Camera tanto dinanzi detto Ill.mo e Molto lll.tre Magistrato quanto qualsiasi altro tribunale dove si tratterà dell’interesse di esso. 1. — Invigilare che non solo l’Architetto e soprastanti della fabbrica compiscano la loro cura con osservare l’istruzione dattale, ma etiandio che li scarzeratori et altri operai obbediscano alli ordini deH’Ill.mo e Molto lll.tre Magistrato et dei Molto IH.mi Deputati a’ negotii della mattina et alla cura della fabbrica rispettivamente, si circa le biscazze come circa la fabbrica e cose dipendenti, et a questo effetto anderà di quando in quando ne’ posti dove si fabbricherà et ivi farà quelle diligenze che le parranno a proposito per chiarirsi della verità e ritrovando e intendendo che alcuno di loro manchi di suo debito prontamente ne darà notitia allo Ill.mo Magistrato. 2- — Non potrà consegnare a’ scarzeratori o ad altre persone materiali ne alcuna altra cosa spettante alla fabbrica senza licenza in iscritto deH’Ill.mo e Molto lll.tre Magistrato o de’ Molto III.mi della mattina, o dei Deputati alla cura della Fabbrica gli ordini dei quali pontualmente, e con ogni prontezza eseguirà. 3. — Procurerà che gli obbligati alla consegna della calcina ferramenti o altri materiali per uso della fabbrica, osservino senza dilatione la promessa fatta consegnando a’ tempi stabiliti quello che devono, altrimenti ne avviserà rill.mo Magistrato acciò possa provvedere. 4. — Poiché nella tassa che alla giornata si va facendo per la contributione a detta fabbrica restano escluse dalla tassa molte persone artegiane o d’altra sorte descritte nei quadernetti parte per non esser conosciuti e parte per non esservi i nomi, sarà perciò parte del Sindico pigliar certa cognitione dei nomi, delle facoltà e altre qualità dei non conosciuti acciò possa fare la tassa loro. 5. — Similmente sarà tenuto per il suddetto fine dar parte all’IU.mo Magistrato di quei cittadini o altre persone soggette a dette contributioni i quali alla giornata ritornassero o venissero ad habitare in la città. Doverà con ogni diligenza haver cura che la calcina, arena et altri materiali i quali alla giornata si adoperano in la fabbrica delle nuove mura siino in ogni bontà e perfetione, e ritrovando che siino in altra qualità non permetterà che li mettino in lavoro e ne darà subito parte all’Ill.mo e Molto III.re Magistrato o a’ Deputati dela fabbrica. Doverà di più obedire et osservare tutti gli altri ordini e commissioni che dal detto Ill.mo e Molto Ill.re Magistrato o dai molto III.ri della mattina o dal Molto Ill.re della fabbrica li saranno dati. — 56 — -h 1630 - 8 luglio. L’Ill.mo e Molto Ill.re Magistrato delle nuove mura, letta la suddetta istrutione formata dalli Molto 111.ri della mattina ad calculos la comprovano et ordinano che se ne dii copia a Geronimo Coronata Sindico. + 10 luglio. Si è data copia della suddetta istrutione a Geronimo Coronata Sindico. Allegato n. 9. -f 1630 - a dì 30 genaro. Lista di tuti quelli ferramenti che handeranno per fare le muraglie della S.ma Republica di Genova e prima: Per masse da rompere le pietre; Per piconii e ponte; Per mazapiche; Per leve e palferri; Per zape streite; Hogni cosa sarà bene innasaita dandole a bona prova; Lo pretio sarà a soldi 3 alia. Lista di altri ferramenti: Conii e chiapete a dinari 32 alia; e per zape larghe a soldi 38 l’una; darò bona sodisfacione adesso come ho fato 1 ano 1625 di detto lavoro per la 111.ma Camera come si può vedere per li conti che sono infiati. Io. Bartolomeo Fiacone, ferraro Consolo de la arte de’ ferrari del molo — 57 — Allegato n. 10. 1630 - a lì 27 novembre. L’IIl.mo e Molto lll.tre Magistrato delle mura havuta sufficiente consideratione alle infrascritte cose, e conoscendo che risultano per bene dela fabbrica. Perciò ad calculos delibera, ordina come in appresso: Che li consoli dell’arte de’ Massacani tanto Genovesi che Lombardi faccino subito intimare a tutti li Architetti e Maestri Muratori che tra il termine di giorni 8 debbano denonciare nella Cancelleria del detto Molto lll.tre Magistrato qualità e quantità di fabbriche che al presente hanno, il numero, nome e cognome de’ Maestri che vi sono impiegati e che fornendosi alcune di dette loro fabbriche debbano parimenti denottarlo in detta Cancelleria et per rispetto dei Maestri che non hanno cura di fabbrica ma lavorano in giornata debbano similmente denonciare per il detto termine il luogo e fabbrica in quale lavorano, di più che detti Architetti non possino per l’avvenire servire loro ne far servire d’altri a fabbrica di sorte alcuna che prima non hab-bino ottenuta licenza per iscritto dal detto Molto lll.tre Magistrato e similmente che li maestri muratori non possano per l’avvenire impiegarsi ne lavorare in nessuna fabbrica senza ottenere prima licenza per iscritto dal detto molto illustre Magistrato. Che chi di detti Architetti e Mastri Muratori contravvenisse a quanto sopra si è detto, resterà soggetto a ogni pena così corporale che pecuniaria arbitraria alFIll.mo Magistrato tante volte quanto si conoscerà che alcuno di loro habbi contravvenuto, nel che si userà ogni rigore perchè ogniuno obbedisca richiedendo così il pubblico servigio. Che si dia copia di suddetti ordini a detti consoli acciò possano prontamente eseguire quanto si è deliberato, con dar questo per noticia in Cancelleria per l’esecutione. — 58 — Allegato n. 11. Dcnoncia della ferita data causalmente a D.co Storasio. + 1631 - a 18 feb. Gotardo Storasio soprastante al posto delle nuove mura a cura di M.tro Franco da Nove denoncia che sabato passato a mezo giorno incirca lavorando M.tro Domenico Storasio a detto posto, cascò da una macera fatta a secho una pietra la quale percosse in testa detto Domenico e lo ferì. M.tro Gotardo vi era presente con molti altri. Allegato n. 12. Relazione di m. Gerolamo Cattaneo col rollo delli huomini del posto di Peraldo, diretta ad Ansaldo De Mari. Molto lll.tre Osservan.mo Mando a V. S. il rollo della giornata d’oggi, li segnati con la croce sono absenti, e se al n. 1 si trova Battino Roneo segnato con la croce è stato errore perchè si era posto per naturale del posto, ed è di Morsio, e così non trovandolo a prima giusta lo segnai, ma poi ho trovato 1 errore per il loco della patria e si trova al lavoro benché sia segnato absente. Al n. 2 il Vincenzo Mainerò fu spedito hieri al posto di Patron Gregorio Bianchetto a cercar altri rompitori ed è segnato absente. Doppo scritto a V. S. è giunta arena mine 8 sino a questa mattina, calcina è giunta questa mattina un mogio e mezzo. Si va appresso al lavoro. Ho fatto il conto che ci vorrà per pietra di cordone circa mille palmi, poco meno; qui non vi è se non un scalpellino e travagliando in giornata va adaggio, se si pagasse a tanto il palmo forse ne farebbe più con conditione che fossero li cordoni nel taglio del rotondo ben tagliati e politi et in particolare nelle teste squadrati che poi mettendosi in lavoro non vi andasse molta fatica a commensurarli. V. S. ordini quello che li parerà alli cui comandamenti sempre si obbedirà. Stimo anco che il detto scalpellino solo non sarà bastante a supplire perchè dice che non farà più che sette palmi al giorno e vi — 59 — sarebbero cinque mesi escluse le feste a finir mille palmi di cordone, oltre alle pietre piccate che bisognerà fare per li altri canti che mancano non essendovene tagliate solo che per una cantonata, e le cantonate come V. S. sa si ritrovano esser sei compitando la cantonata che comincia la fronte verso il Castellaccio. Questo mi è parso di avvisare V. S. per adempiere alli sui ordini. Con che fine le bacio le mani. Dalla Bastia il dì 28 giugno 1630. di V. S. 111.ma Serv. Dev.mo Girolamo Cattaneo Allegato n. 13. Arena del Bisogno. + 1630 - a dì 8 maggio. L’Ill.mo e Molto Illustre Magistrato delle nuove mura havendo presentato che Dom. Bruno e Stefano Ramone hano fatto portare al posto del Castellazzo gran quantità di mine di arena presa in Bisagno per servirsene nella fabbrica delle nuove mura, e non essendo essa buona ne mercantile, come è necessario sia per detta fabbrica in sodisfazione del Magistrato, perciò ad calculos ordinano che subito sia fatto intimare a detto Domenico e Stefano che si astenghino di fare più portare simile arena e che non si servano di quella già vi è stata portata in la fabbrica sudetta senza licenza del Molto Ill.mo Magistrato. -f- 1630 - a dì 8 luglio. L’Ill.mo e Molto lll.tre Magistrato delle nuove mura in pieno numero udita l’istanza più volte fatta per parte dei detti Domenico Bruno e Stefano Ramone e udito hoggi Maestro Batta Garrè il quale in loro nome ha fatta istanza che si consenta che detti Bruno e Ramone possano servirsi della suddetta arena del Bisagno in fabbricar li parapetti e strade coperte, esaminato il negotio, dalPIll.mo Presidente proposto che chi è di parere di consentire che detto Domenico Bruno e Stefano Ramone che possano fruire della detta arena di Bisagno già condotta al Castellazzo in fabricare li parapetti e strade — 60 — Coperte tanto e con conditione che prima di metterla in lavoro sia passata e crivellata, debba dando il suo voto favorevole prese le palle, è stata detta proposta approvata con cinque voti favorevoli e due contrarii. Allegato n. 14. Contro Michele Scaniglia per le muraglie fatte con calcina magra. 1630 a 6 novembre al posto della fabbrica dele nuove mura a cura M.stro Michele Scaniglia. II Molto Illustre Ansaldo De Mari deputato alla cura della fabbrica, havendo inteso che la muraglia che si fabbrica al posto di Michele Scaniglia non è fatta di calcina grassa come si conviene et è obbligato detto Michele per la forma delli capitolati, si è perciò trasferto al suddetto posto dove si fa essa muraglia et havendolo fatto comparire, et ritrovato esser essa calcina magra, e considerando che questo si fa da esso Michele per scansare spesa di quello più della calcina che è necessaria, perciò dichiara che si debba tenere a detto Michele lire 2 per cannella di detta muraglia, la quale è di cannelle cinquanta. L Ill.mo et Molto lll.tre Magistrato delle nuove mura in Camera ed calculos approva ii detto ordine fatto dal M. lll.tre Ansaldo deputato, e comanda che si osservi, udito prima il Molto Illustre deputato. & — 61 — Allegato n. 15. Prezzi unitari ricavati da contratti stipulati nel 1630 dal 26 aprile in poi, per la costruzione delle nuove mura. NB. — La colonna 1 indica il prezzo in lire genovesi per cannella. La colonna 2 indica il prezzo in lire atttuali per me. SCARZERATORI Scavo di terreno Scavo di terra Muratura di pietra¬ naturale roccioso smossa e detriti me del posto e mal¬ ta di calce comune 1 2 1 2 1 2 G. B, Mazzone e Benedetto Ra¬ 19,--- 3,91 9,- 1,85 28,- 34,72 pallo & Compagni ........... Stefano Ramone e Domenico 18,10 3,81 9,- 1,85 24,15 30,69 Bruno ....................... Bernardo Cerisola e Stefano 20,- 4,12 --- --- 24 >/2 30,38 Quadrio..................... Andrea Orrigone e Bartolomeo 18,--- 3,71 22,15 28,21 Bracco ...................... (22,15 28,21 Batta Lurago e Compagni..... 18,- 3,71 10,--- 2,06 Michele Scaniglia............. 18,--- 3,71 10,--- 2,06 22,15 28,21 con acqua Bernardino Bianco e Batta Val¬ 18,--- 3,71 (22,05 27,59 lebona ...................... (22,10 27,90 Francesco Peluffo e Marino La- 27,--- 5,56 I6V2 24,48 varello .................... — 62 — Allegato n. 16. Prezzi espressi in monete e misure antiche Prezzi espressi in monete e misure attuali A - Lavori non previsti nei contratti. Demolizione di muraglie, L. 10,00 per cannella di 1728 palmi____ L. 2,06 per metro cubo Muro di sostegno in parte a secco, in parte di calcina, L. 9,00 per cannella di 228 palmi...... L. 1,16 per metro cubo Cordone (fatto con pietra del posto) L. 6,54 al metro lineare soldi 6 al palmo..................... B - Materiali diversi Mattoni (dati al Castellazzo) senza il L. 109,00 al migliaio porto L. 20 al migliaio................ porto a soldi 14 la soma essendo le so¬ L. 61,04 al migliaio me 16 al migliaio. (Al migliaio L. 11 e soldi 4).......................... Arena data al Castellazzo soldi 19 e 6 denari L. 41,55 al metro cubo alla mina.......................... data alla Misericordia soldi 16 alla mina... L. 37,34 al metro cubo data nella zona sottostante alla Misericor¬ L. 30,34 al metro cubo dia soldi 13 alla mina.............. arena del Bisagno data al Castellazzo L. 37,34 al metro cubo soldi 16 alla mina............... — 63 — Prezzi espressi in monete e misure antiche Prezzi espressi in monete e misure attuali Calcina. prezzo corrente a Cogoleto L. 11 e sol¬ L. 8,21 al quintale di 10 al moggio................... offerte di calcine di Sestri: data in porto « alli porti » L. 13 al moggio L. 9,29 al quintale data alla Lanterna e fino agli Angioli L. 13 L. 9,47 al quintale e soldi 5 al moggio................ Impiegata nei lavori del posto della Mi¬ sericordia senza il porto L. 11 e soldi 10 al moggio L. 8,21 al quintale porto........L. 4 » 4 al moggio L. 3,00 al quintale L. 15 e soldi 14 L. 11,21 Impiegata nei lavori di Maestro Peluffo (posto della Lanterna) L. 13 e soldi 9 al moggio (compreso il L. 9,62 al quintale porto)............................. Acqua per bagnare la calcina. L. 2,145 p. quintale di L. 3 per moggio di calcina............ calcina • Ferri. Picconi, mazze, ecc. L. 2,57 al kg. soldi 3 alla libbra..................... coni e chiappette. L. 2,28 al kg. zappe larghe. da L. 9,81 a L. 10,35 l’una 64 Allegato n. 17. Mercedi giornaliere in moneta antica Mercedi giornaliere in moneta attuale A - dalla « lista di giornate fatte per se¬ gnare le nuove mura con il Padre Fi¬ renzuola » Maestro Bernardo Bianco.....soldi 30 L. 8,18 Maestro Bartolomeo Bianco ... soldi 28 L. 7,63 Maestro Battista Candelaro____soldi 24 L. 6,54 lavoranti varii................soldi 16 L. 4,46 B - da una « lista di maestri e lavoranti che hanno travagliato in condurre l’aqua da sotto la bastia di Peraldo verso il Castellazzo per servizio pubblico delle nuove mura » Maestro Tommaso Bianco .... soldi 28 L. 7,63 tre Maestri ..................soldi 26 L. 7,08 un Maestro..................soldi 25 L. 6,81 un Maestro..................soldi 24 L. 6,54 lavoranti.............da soldi 15 a 18 da L. 4,08 a L. 4,90 C - da una lista analoga un lavorante.................soldi 21 L. 5,72 due lavoranti ................soldi 18 L. 4,90 sette lavoranti................soldi 15 L. 4,08 due lavoranti ................soldi 10 L. 2,72 D - da una « lista di lavoranti che travaglia¬ rono in condurre l’acqua con canate et ti¬ * rando detta acqua con cicogne per il po¬ sto del Castellazzo per le nuove mura » « — 65 — Mercedi giornaliere in moneta antica Mercedi giornaliere in moneta attuale un maestro bancalaro ........soldi 28 L. 7,63 un ponteratore...............soldi 28 L. 7,63 un lavorante ................soldi 16 L. 4,46 £ - dal « rollo - degli operai presenti al posto della Bastia di Peraldo il giorno 28 giugno. Rompitori........da L. 1,00 e soldi 6 a L. 1,00 e soldi 8 da L. 7,08 a L. 7,63 un mattarolo o impastatore .... L. 1,00 L. 5,45 giornalieri (uno solo).........soldi 18 L. 4,90 giornalieri (massima parte) .... soldi 16 L. 4,46 giornalieri (garzoni da 13 a 15 anni) da 10 a 12 soldi da L. 2,72 a L. 3,27 F - da un calcolo di spesa per i lavori eseguiti dal giorno 3 all’8 giugno al po¬ sto del Castellazzo. « giornate 1800 che l’uno per l’altro a soldi 16 il giorno sono... » L. 4,46 5 ' ' ' . ' i . ■ I * CLELIA JONA ^ GENOVA E RODI AGLI ALBORI DEL RINASCIMENTO Sebbene solo colla pace di Torino, sottoscritta l’8 agosto 1381, Venezia e Genova cessassero finalmente le ostilità, già sulla fine del XIII secolo erano, si può dire, nettamente distinte in Oriente le zone di influenza di queste due grandi Repubbliche italiane. In quel torno di tempo, infatti, Genova già godeva, a scapito di Venezia, maggiore prestigio nelle terre soggette alFimperatore Michele Paleologo, ivi compresa la costa dell’Asia Minore colle isole adiacenti. A Costantinopoli l’influenza della Repubblica di San Giorgio era preponderante; Genova prevaleva pure nel mar Nero e mentre in Grecia e nelle isole greche il leone di S. Marco aveva estesa la sua potenza, Chio e Rodi ad essa si sottraevano. Se Chio, infatti, fu presto tenuta dai genovesi, Rodi sentì dai primi del XIV secolo l’influenza della Repubblica genovese. Non ultima ragione, forse, quella che, come avremo occasione di rilevare più avanti, un nobile genovese, ambasciatore della repubblica presso i cavalieri di Gerusalemme, all’alba del XIV secolo, aiutava l’Ordine a rendersi padrone dell’isola, ciò che avvenne definitivamente nel 1308. Già l’Heyd, nell’opera magistrale sul commercio del Levante nel Medio Evo (1) rileva che l’isola di Rodi ai primi del XIV secolo si trovava in una situazione eccezionale in confronto alle altre terre di Oriente, in quanto non dipendeva politicamente nè dai Greci nè dagli Italiani: vi si erano istallati i Cavalieri di S. Giovanni che costituivano un Ordine più militare che religioso. Essi, compreso che l’isola, se non era di primaria importanza commerciale, tuttavia partecipava largamente alla corrente degli affari fra l’Occidente e l’Oriente, cercavano destreggiarsi per sfruttare a vantaggio dell’Ordine e dell’isola le rivalità esistenti fra i vari stati. E poiché da Rodi per necessità passavano quanti dovessero recarsi per ragioni di commercio in Egitto, a (1) Ouolielmo Heyd, Storia del commercio del Levante nel Medio Evo, in Biblioteca dell’Economista. Quinta Serie, Vol. X, Torino Utet, 1913. — 70 — Cipro ed in Siria, non solo vi dovettero anche prendere dimora commercianti stranieri, ma vi si istallarono anche vari banchieri, sopratutto per tessere relazioni finanziarie coIl’Ordine dei Cavalieri che aveva filiazioni in molte parti di Europa. La compagnia fiorentina dei Bardi e Peruzzi presta all’Or-dine oltre mezzo milione di scudi d’oro ed ha a Rodi i propri agenti: al suo fianco è a Rodi il rappresentante dell’altra importante società fiorentina degli Acciaiuoli e il Gran Maestro vuole perfino che costruiscano nell’isola per tenervi agenzia in permanenza. Sono banchieri provenzali, venuti da Montpellier e da Narbona; sono commercianti che vi passano e trasportano merci di ogni genere in transito fra l’Oriente e l’Occidente, taluni anche prendendovi residenza attirati da speciali privilegi, per esempio, quelli concessi ai mercanti di Narbona nel 1356, dal Gran Maestro dell’Ordine. Nessuna delle fonti da me esaminate nè i documenti dell’archivio di Genova da me raccolti e studiati fanno cenno a concessioni simili dei Gran Maestri delPOrdine a favore dei Genovesi nè nel XIV secolo nè nel XV cui specialmente appartengono. Tuttavia, questi documenti, che più innanzi sono integralmente riportati in ordine cronologico, dimostrano che fra i centri commerciali che ebbero allora propri cittadini residenti in Rodi Genova è largamente rappresentata. E, sebbene questi documenti vedano soltanto ora la luce, non posso tacere che, pur prescindendone necessariamente, l’opera insigne del Heyd, tra pagine eloquentissime che mettono in evidenza l’importanza politica e commerciale di Rodi nel XIV secolo e riassumono i rapporti commerciali che i’isola e per essa l’Ordine dei Cavalieri ebbero con centri importantissimi dell’Occidente, quali Firenze, Narbona e Montpellier, non ha una parola che si riferisca ai rapporti fra Rodi e Genova in quel secolo. 1 nostri documenti, per quanto relativi al XV secolo, per larghi cenni retrospettivi lumeggiano la situazione nel secolo precedente su cui largamente l’Heyd si è intrattenuto. Però egli doveva intuire che Rodi ebbe anche con Genova larghi rapporti commerciali in quel secolo vuoi perchè già alla fine del XIII nella divisione di zone di influenza in Levante fra le due Repubbliche di S. Marco e di S. Giorgio, come egli stesso mette in evidenza (1), Rodi era entrata nella sfera di quest’ultima; vuoi perchè i Gran Maestri del-l’Ordine, come l’Heyd stesso rileva, conoscevano troppo bene i loro interessi per non cercare di attirare i mercanti stranieri e farli stabilir a Rodi e quindi non dovevano aver trascurato i Genovesi. Finalmente il suo silenzio sulle relazioni commerciali costituite fra Genova e Rodi, dopo che l’isola era entrata nella zona di influenza della Repubblica, suona grave torto all’indole dei Genovesi, nei secoli conosciuti di largo e finissimo intuito com- (1) V. Heyd pag. 459. — 71 — merciale e di spiccato spirito religioso. L’uno e l’altro dovettero in modo speciale richiamarli verso l’istituto religioso-militare dell’Ordine dei Cavalieri istallatosi in Rodi ai primi del 300. Nè I’Heyd poteva ignorare che mentre Venezia dette sempre tono e carattere prevalentemente politico alla sua espansione in Oriente, Genova, appunto per il temperamento dei suoi cittadini, realisti e positivi per eccellenza, dette invece alla propria espansione carattere eminentemente commerciale. Tace pure completamente delle relazioni fra Genova e Rodi il bel lavoro su « 11 commercio e la navigazione dei Genovesi nel medio evo » dell’avv. Giovanni Doneaud, pubblicato con buona copia di documenti tratti dall’Archivio di Stato di Genova (1). Qualche accenno, invece, alle relazioni fra Genova e Rodi, almeno ai primi del secolo XIV, troviamo nel Canale, classico autore di storia genovese, laddove, dando l’elenco alfabetico degli ambasciatori genovesi ai vari Stati e Principi d’Asia, d’Africa e d’Europa dal 1110 al 1340 fa menzione di: « Grillo Accellino, capitano di 10 galee, (il quale) con quelle del Papa e di Rodi prese Rodi e cinque altre isole il 1310 » (2). « Volta Michele, ambasciatore ai Cavalieri gerosolomitani; operò che l’isola di Rodi venisse in loro podestà il 1304 » (3). Peraltro, questa collaborazione di Genova in favore di Rodi e del Gran Maestro dei Cavalieri gerosolomitani, non valse ad evitare che qualche screzio avvenisse, tant’è vero che nella raccolta dei nostri documenti inediti, trovo che il 10 Maggio 1438 il doge Tomaso e il Consiglio degli Anziani del Comune di Genova si congratulavano col neo eletto Gran Maestro di Rodi, vecchio amico dei Genovesi, ne accettavano compiaciuti la proposta di sospendere per un anno tutte le ostilità fra Genova e Rodi, con impegno di appianare entro detto anno tutte le vertenze in corso, sia fra i due Stati che fra i rispettivi sudditi e finalmente davano avviso di questa convenzione a tutti i rappresentanti all’estero perchè si regolassero in conformità al nuovo stato di fatto nei rapporti fra Genova e l'Ordine dei Cavalieri di Rodi (4). Comunque, l’amicizia fra Genova e Rodi, tradizionale del resto, per i precedenti storici già da noi rilevati, e solo saltuariamente turbata nel secolo XV cui i nostri documenti si riferiscono, balza chiarissima da alcuni dei documenti stessi. Per esempio nel 1440, Genova ricorre, servendosi anche dei buoni uffici del genovese Bartolomeo d’Oria, residente a Rodi, al Gran Mae- (1) Oneglia, 1883 Tipo litografia Gio. Ghilini. (2) Michele Giuseppe Canale, Nuova Istoria della Repubblica di Genova, del suo commercio e della sua letteratura dalle origini al 1797 (Firenze Le Monnier, 185S) voi. Ili, pag. 383. (3) Id. ibid. pag. 387. (4) Documenti n. 8 e 9. f — 72 — stro per ottenere che .. . pro religionis et Saonensis urbis honore.... precep-toria illa Paulo Columbo te dilectissimo nostro conferatur (1); nel 1456 (30 dicembre) il Cardinale d’Aquileia, legato apostolico a Rodi, scrivendo di qui ai « protectoribus comperarum Sancti Georgii incliti communis Genue », li chiama « amicis nostris carissimis » e li ringrazia per avergli mandato « egregium et integerrimum virum Jacobum de Marchesio », genovese, « cuius servicia adeo utilia in hac nostra sacra expeditione sunt et actenus fuerunt ecc. » (2). Nessun dubbio, secondo me, che l’accenno di questo documento all’amicizia fra i Genovesi ed il legato apostolico in Rodi, abbia riferimento, più che alla persona del legato pontificio, al governo della città di Rodi; comunque questa amicizia tradizionale, se mai, è assolutamente provata da altro documento della nostra raccolta (del 1475), dove un caricatore di grano, predato dal genovese Aleramo Saivago, dichiara di essere cittadino di Rodi, mentre il Saivago, giustificandosi, accusa l’altro di mendacio, precisando che non è di Rodi ma catalano (3). Non solo, ma addirittura nell’aprile del 1460 vediamo il doge Ludovico de Valle e l’intero Consiglio degli Anziani ricorrere alla benevola intercessione del Gran Maestro dei Cavalieri di Rodi, per ottenere a Roma la fine di una controversia che « in Romana curia agitur ob preceptoriam Sanctis Johannis civitatis nostrae pertinens.... Nobilis dominus Braschus (Salvaigus) civis noster nunc istius preceptorie possessor et propter se et propter suos talis est quale putemus dignitati huic et commodis convenire. Nihilque appetere quod sit contra decus et utilitatis mansionis. Rogamus igitur R.mam paternitatem vestram ut eum et omnia negotia eius suspiciat commendata. E pro beneficis illius ac sui amore et nostra contemplatione curet ut omnis controversia tollatur » (4). Identica preghiera, in pari data lo stesso doge Lodovico de Valle col Consiglio degli Anziani rivolgeva « R.dis patribus et magnificis amicis carissimis admirato Sacre domus et conventus Rhodi ac nationi italice » (5). L’intervento deve essere stato efficace, in quanto da altro documento risulta che nel 1503 era investito della preceptoria di San Giovanni di Borgo Prè un Brasco Saivago, lo stesso od altro omonimo della sua famiglia (6). Così ancora nel 1486 il doge, cardinale Paolo di Campofregoso, di una delle più nobili famiglie genovesi, si rivolge al Gran Maestro di Rodi, che chiama (1) V. docum. n. 14. (2) V. docum. n. 27. (3) V. docum. a). (4) V. docum. n. 28 e doc. n. 29 in cui è meglio chiarito trattarsi di Brasco Saivago di famiglia nobile. (5) V. docum. n. 29. (6) V. docum. n. 54. — 73 — « in Christo pater et excelens domine » e ricordando quanto vivo desiderio abbiano nella sua famiglia di poter annoverare qualcuno dei proprii fra i cavalieri di Rodi (1) lo prega vivamente di voler concedere al giovane Marco Antonio Fregoso dei Campofregoso qualche beneficio vacante in Piemonte, in Savoia e preferibilmente a Genova (2). Ultima e non certo meno probatoria testimonianza, precisissima quanto altre mai, ci è data dalla lettera con cui Genova comunica al Gran Maestro di Rodi, (25 novembre 1499) il passaggio della Repubblica sotto il cristianissimo re di Francia, già padrone di tutta la Lombardia e confida che « ea que est inter R.mam dominationem vestram nostramque rempublicam amicitia » debba « non modo stabiliri sed augeri ad mutua utriusque partis commoda » (3). Ma, assai più ci dicono i nostri documenti circa i rapporti puramente commerciali intercedenti fra Genova e Rodi nel secolo XV cui strettamente si riferiscono e di riflesso, anche nel secolo XIV. Pel quale periodo, (secolo XIV e XV) circa i rapporti commerciali di Rodi colPoccidente, non posso tacere che l’opera magistrale del Heyd ha altri passi sempre ed egualmente incompleti. Ad esempio, parlando persino di più lontani mercati spagnoli, circa la metà del XIV secolo l’A. tace dei traffici dei genovesi, sui quali noi vedremo larghe e precise testimonianze nei nostri documenti. L’Heyd ricorda che, in quel tempo, avevano rapporti commerciali coll’isola di Rodi, persino molti Catalani e che nell’isola avevano preso dimora varii mercanti di Barcellona, sia per compiere atti di commercio propriamente detti - egli scrive - « che per prendere parte ai movimenti di fondi che avvenivano tra la sede dei Cavalieri di S. Giovanni ed i loro bailati di Spagna. Era la stessa ragione che vi aveva attirato in una epoca anteriore i banchieri di Firenze, di Montpellier e di Narbona (4) ». Silenzio completo ancora una volta su Genova e Genovesi, così come lo stesso A. ne tacerà poco più avanti, quando, riferendosi alla fine quasi (1) Apparteneva alla stessa famiglia dell’altro più grande e più noto doge genovese Tomaso da Campo Fregoso, che, mentre nel 1439 i legati dei Greci trovavansi a Roma a trattare col Pontefice per l’abolizione dello scisma (Doneaud pag. 42).......« approfittando della gelosia che regnava fra le due Nazioni a contendersi il favore de’ Genovesi, per mezzo del Console di Gaffa indusse il Patriarca Armeno a mandare esso pure i suoi legati alla Corte Romana. I quali, imbarcati sopra un legno della Repubblica, vennero primamente in Genova per uniformarsi in tutto alle istruzioni del Doge......L’abolizione dello scisma Armeno fu solennemente proclamata in Roma il giorno di Pentecoste del 1440. Il Papa, scrivendo a Tommaso di Campofregoso e pregandolo a farne fare pubbliche feste in tutto il Genovesato, GLI TRIBUTAVA NELL’ISTESSO TEMPO LE PIÙ SENTITE CONGRATULAZIONI, CHIAMANDOLO IL PRINCIPALE COOPERATORE DI TALE AVVENIMENTO ». (2) V. docum. n. 50. (3) V. docum. n. 53. (4) V. Heyd ibid., pag. 859. — 74 — del secolo XV, richiamerà in modo speciale i rapporti dei Fiorentini con Rodi: Nel corso dei loro viaggi s, scrive infatti, « sia verso Costantinopoli, sia verso I Egitto e la Siria, i Fiorentini passavano sovente per Rodi, dove trovavano sempre, SIN DAI TEMPI ASSAI LONTANI, NUMEROSI CONNAZIONALI STABILITI COLÀ IN QUALITÀ DI COMMERCIANTI O DI BANCHIERI. II traffico coll’isola AVEVA UN’IMPORTANZA ABBASTANZA ORANDE perchè il governo fiorentino trovasse utile, nel 1483, d’inviarvi Giovanni Gaetani coll’incarico di domandare alcune facilitazioni al Gran Maestro » (1). Per quanto Heyd conchiuda questo suo cenno riassuntivo sull’importanza commerciale di Rodi pei mercati occidentali, sullo scorcio del secolo XV, proprio il periodo cui si riferiscono i nostri documenti, — col rilievo che « tanto Rodi quanto Chio non furono mai altro pel commercio del Levante che stazioni intermedie di importanza secondaria », Genova e i Genovesi sono del tutto trascurati e, a parte l’importanza dei nostri documenti, ingiustificatamente — non sembri irriverenza verso l’Autore del classico lavoro sul commercio col Levante nell’evo medio, — perchè doveva pure suonare strano che Genova, alla cui zona di influenza Rodi era stata assegnata alla fine del XIII secolo, come vedemmo messo in evidenza dallo stesso Heyd, nei due secoli successivi rimanesse assente dal mercato di Rodi, il cui traffico, riconosce sempre lo stesso Heyd, AVEVA UNA IMPORTANZA ABBASTANZA GRANDE, e lo lasciasse completamente alla mercè di potenze commerciali nemiche o concorrenti. Non è il caso, certo, di dilungarci a riassumere il contenuto del cospicuo numero di documenti, per esteso riportati in appendice: sarebbe, peraltro, inopportuno limitarci a constatare che in alcuni di questi documenti si riferisce che nel XV secolo esisteva a Rodi una vera e propria colonia di mercanti genovesi. Ne accenna nel luglio 1434 la supplica di un Damiano Squar-ciafico (ancora oggi a Genova, a memoria di questa nòbile famiglia c’è Vico Squarciafico) il quale lagnandosi colle somme gerarchie genovesi riferisce di avere in corso a Rodi una vertenza per liquidazioni di eredità e chiama a testimoni del suo buon diritto i mercanti genovesi residenti a Rodi « QUOD CLARUM PROBAVIT PER MERCATORES JANUENSES EXISTENTES IN RODO » (2). Ne accenna, in modo assai più significativo un altro documento, che dimostra non solo che c’erano a Rodi dei mercanti genovesi, ma che costituivano un nucleo POLITICO importante, sempre pronto e vigile ai servigi della madrepatria. Questa non è infatti, come le precedente, una supplica (1) Heyd ibid., pag. 911. (2) V. docum. n. 5. - 75 — di carattere puramente privato, ma un vero e proprio atto pubblico, avente carattere politico; sono i « MERCATORES JANUENSES RODI COMMORANTES » che nell’ottobre 1455, data ricevuta di lettere avute con notizie politico - militari, scrivono « Magnificis et prestantibus dominis comperarum Sancti Georgii communis Janue » per chiedere dispongano al più presto alcune importanti provvidenze per salvaguardare la città ed isola di Chio « quia locus ille est nationi maximae importantiae » ed aggiungono « et quanto citius tanto melius » raccomandazione che dimostra la premura di questi lontani rappresentanti degli interessi di Genova madre (1). A stretto rigore con la testimonianza di questi due documenti avremmo assolto il nostro compito, perchè il chiaro loro contenuto si riferisce al secolo XV e riassumono — si potrebbe dire — la complessiva e complessa materia del gruppo dei documenti rinvenuti, molto importanti tutti, anche se esclusivamente presi in sè stessi. Due ragioni, però, consigliano ad indugiarci ancora, prima per dimostrare che non esiste lacuna pel secolo XIV in quanto i nostri documenti, relativi tutti al successivo, hanno chiari cenni al tempo anteriore, poi per rilevare debitamente che a Rodi affluirono e lungamente dimorarono Genovesi delle più cospicue fa miglie. Ciò dimostra, secondo noi, che la Repubblica di Genova, lungi dall’avere abbandonato a sè stessa, come potrebbe sembrare dalla mancanza di documenti genovesi circa i rapporti della repubblica con Rodi nel XIV secolo, dal silenzio del Doneaud e più ancora dal prolungato silenzio dell’autorevolissimo Heyd circa le relazioni di Genova con Rodi nei due secoli successivi alla attribuzione di Rodi alla sua zona di influenza, annodò e conservò colla perla dell’Egeo seri ed importanti rapporti politicocommerciali. Vediamone la prova coll’esame di qualche altro documento della collana da noi raccolta in appendice. Uno di questi documenti, senza data ma probabilmente dei più vecchi dal momento che nella filza che lo contiene notasi l’indicazione « senza data, 1421 o 1436 » è la supplica di certo Gregorio Imperiale « quondam Lanfranchi civis Janue » al Doge ed al magnifico Consiglio degli Anziani di Genova perchè intercedano col Gran Maestro di Rodi per ottenergli di essere meglio tutelato nell’esercizio dei suoi diritti quale proprietario di due casali in Rodi. Egli espone, pertanto, al governo della sua patria « quod ipse Gregorius ET MAIORES SUI TENUERUNT ET POSSIDE-RUNT bona fide et iusto titulo pacifice et quiete in insula Rodi casalia duo cum suis iuribus iuridicionibus hominibus et pertinentiis PER LONGISSIMUM TEMPUS et vigore pactorum alias initorum inter R.mam (1) V. docum. n. 24. — 76 — religionem Rodi ex una parte ET ANTECESSORES DICTI GREGORII EX ALTERA » (1). Un documento del dicembre 1431 ricorda un Nicola de Castillione che va a Rodi dove è morto il fratello Omfreno, per tutelare gli interessi della famiglia circa l’eredità e la successione (2); ma più importante assai, per dimostrare quanto già accennato che a Rodi convenivano Genovesi delle più cospicue e ricche famiglie, è un altro documento, del giugno 1433, in cui nell’interesse del genovese Filippo Spinola — è noto che questa era una delle più cospicue famiglie della nobiltà genovese — si raccomanda il sollecito disbrigo delle pratiche per la liquidazione dell’eredità di una sua zia originaria di Siena, ma maritata ad un Cibo, genovese (3). Probabilmente un ramo di questa vecchia e nobile famiglia genovese si dovette proprio trasferire a Rodi, se il Canale, nell’opera già citata riferendo « la serie delle famiglie genovesi che furono dei consiglieri, dei podestà e degli anziani » al nome Cibo scrive..... « I grandi personaggi di tal casa sono numerosissimi, io citerò i più chiari: ARAONE CIBO, quondam Maurizio NACQUE A RODI e venuto a Genova si mandò capitano di 200 balestrieri per difesa di Napoli nel 1440, dove fu fatto governatore e viceré nel 1441 dal Re Renato » (4). Così il documento del maggio 1462 menziona il genovese Gregorio d’Oria quondam Anthonii che < pluribus annis negotiatus est in diversis locis sed maxime in Rodo ubi pluri tempore moratus est »; menziona pure (1) V. docum. b. (2) V. docum. 3. (3) V. docum. 4. (4) Vedi Canale opera citata vol. II, pag. 671. Questo mio rilievo è confortato da considerazioni generali nonché da particolari circostanze messe in evidenza dal Doneaud nell’opera citata. Egli apre, infatti, il suo lavoro con questa premessa: « La ragione principale per cui il commercio e la navigazione degli Italiani nel medio evo salirono a tanta grandezza e fecero diventare così potenti e floride le nostre Repubbliche, originate appunto per l’unione di più società commerciali, si fu perchè questi due rami dell’umana attività erano in mano, anzi, si può dire, costituivano il monopolio di tutta la nobiltà indigena latina; a differenza essenziale di quanto praticavasi presso gli altri popoli stranieri; i di cui nobili, dediti tutti alla vita delle armi, riguardavano con disprezzo il commercio e la navigazione, abbandonandoli alla così detta BORGHESIA, la quale pure andava tali arti apprendendo dagli Italiani, stabiliti, sotto forme di Colonie, in tutti gli scali e centri del mondo conosciuto. Ed a pag. 25-26 in una importantissima Nota A al primo capitolo, lo stesso Doneaud scrive: « Nell’anno 1433, essendosi verificato che molti sudditi di altre nazioni trafficanti nel Regno di Aragona si facevano passare per cittadini Genovesi, affine di godere i privilegi e franchigie ivi concesse ai soli mercanti della nostra Repubblica, il governo di questa, d’accordo con quel Monarca, addivenne nella risoluzione di compilare una nota, o, come ora si direbbe, la s1 atistica di tutti i MERCANTI CITTADINI GENOVESI dimoranti pe’ loro negozi in quel Regno. Ecco i nomi di tali mercanti che pervennero insino a noi; osservisi COME TUTTI APPARTENGONO ALLA PIÙ ALTA NOBILTÀ DI GENOVA ». — 77 — un Cataneus de Catanei quondam Quilici, morto ritornando a Genova da Rodi « ubi pluribus annis fuerat commoratus ». E, finalmente ricorda che per risolvere amichevolmente una questione di interesse sorta fra il primo e gli eredi del secondo furono nominati arbitri un Michele Cataneo, Raffaele Vivaldi, e, non essendosi questi messi d’accordo, terzo un Antonio Saivago, tutti genovesi dimoranti a Rodi (1). Un Bartolomeo d’Oria, residente a Rodi, rimasto vedovo senza figli di una Squarciafico e chiamato dal cognato Damiano a restituire la dote sarebbe riuscito a portare per le lunghe il giudizio che lo stesso cognato, Damiano Squarciafico, recatosi apposta a Rodi aveva ivi contro di lui all’uopo iniziato. Infatti, in una supplica del maggio 1465 al doge ed al Consiglio degli anziani in Genova, perchè intervengano a fare giustizia fra i due, cittadini genovesi, Damiano Squarciafico si lagna che a Rodi « ipse Damiano fuit in dicto loco in iure suo oppressus propter NIMIOS FAVORES AC POTENTIAM QUOS ET QUAM BARTHOLOMEUS HABEBAT IN DICTA CIVITATE RODI » (2). La parte avversaria trova calunniosi i sospetti dello Squarciafico. Però, anche se probabilmente non si riferisca alla stessa lite, è fra i nostri documenti una lettera scritta nell’anno 1440 dal doge Tomaso, — è l’autorevolissimo doge Tomaso di Campo Fregoso che abbiamo più sopra ricordato quale benemerito auspice e collaboratore del ritorno degli Armeni in seno alla Chiesa di Roma — al Gran Maestro di Rodi, colla quale si prega e raccomanda che interceda nell’intento sia resa giustizia, come già in precedenza promesso, « dilectissimo civi nostro Damiano Squarciafico » (3) ciò che deve far credere non essere questi certo l’ultimo venuto! Se, poi, quel Bartolomeo d’Oria è in un altro dei nostri documenti chiamato in una lettera del doge Campofregoso al Gran Maestro di Rodi, nel 1447, « nobilem virum » con lui sono in quest’altro documento citati come residenti in Rodi e proprietari di « plurima bona » oltre altri genovesi anche i « nobiles cives nostri carissimi Angelus Johannes Lomellinus (Via Lomellini è importante arteria centrale in Genova) et Antonius de Auria » che reclama in nome del fratello Stefano. Nell’ottobre del 1441 erano state nello stesso porto di Rodi danneggiate da Genovesi due baleniere dei Cavalieri di Rodi, erroneamente ritenute catalane; per rappresaglia erano stati dal Gran Maestro sequestrati i beni dei sunnominati genovesi e malgrado le loro suppliche e quelle del doge e del Gran Consiglio di Genova, il sequestro era ancora mantenuto nel 1447 come rilevasi da questa lettera del doge Campofregoso il quale, rilevato, come vedemmo, trattarsi di nobili e (1) V. docum. 3. (2) V. docum. 33. (3) V. docum. 13. — 78 — carissimi cittadini, conclude molto nettamente: « Nos, R.me pater, molesti semper ferimus quempiam nostrorum civiun damno et injuria affici: sed tunc, molestius cum CLARIORES ET POTENTIORES CIVES leduntur. Jidem enim Angelus Johannes et Stephanus A CLARISSIMIS HUIUS CIVITATIS FAMILIIS ORTUM HABENT: continuoque fere magnarum navium ductores fuerunt et propter eorum studium ac rectum in nos affectum suum nobis carissimi sunt. Ex -quo statuimus hec omnia paternitati vestre significare illamque ex animo rogare ut pro honore suo, pro ipsa justicia, pro conservatione mutue benevolentie et demum contemplatione nostra DICTIS CIVIBUS NOSTRIS BONA SUA RESTITUI FACERE VELIT: quam restutuicionem preter quod iusta et honesta est: nos insuper accipiemus loco muneris specialis ». Giacché, confermata ancora la disposizione di far pagare un giusto risarcimento a questi concittadini, se necessario, si conclude, che la vertenza dovrebbe così esser chiusa. « Alioquin cogeremur quamquam invicti pro indemnitate civium nostrorum alia remedia exquirere » (1). Finalmente, Ia materna repubblica, che così amorosamente curava gli interessi di questi suoi nobili figli, stabiliti a Rodi, sente però la loro lontananza ed è fra i nostri documenti, eloquentissima per affetto e dignità, la lettera che nel luglio 1447 il doge di Genova scrive a quel Bartolomeo d’Oria, che abbiamo più volte ricordato come residente a Rodi, per pregarlo ed invitarlo a ritornare finalmente in patria dopo tanti anni che colà risiede. Il documento è molto breve e vale la pena di trascriverlo per esteso: « Janus etc. Nobilis vir nobis carissime. Vestris omnibus et nobis indignum videtur vos diutius a patria absentem fieri cuius caritas et si inter primas rationes movere potest vos ad revertendum amor vestrorum et tempora nostra nec minus ad id impellere et hortari vos possunt. Ut aliquando cum ceteris vestris de statu nostro et de republica vestra sentiatis. Hortamur igitur vos ut TANDEM PATRIAM ET AD NOSTROS REDEATIS UT ETATIS QUE IN VOBIS SUPEREST CONSOLATIONEM ET QUIETEM APUD VOSTROS HABEATIS IN QUO ET PATRIAE ET VESTRORUM NOSTROQUE DESIDERIO SATISFACIETIS » (2). . Quale la ragione di questo amorevole ma serio richiamo all’autorevole cittadino, della grande famiglia d’Oria? Non vorrei esprimere un dubbio avventato sul conto di questo cittadino, che così alto tenne nei lontani lidi della città ed isola delle rose il nome di Genova e d’Italia; però un documento di poco posteriore a questa lettera del Doge a Bartolomeo d’Oria, del 1475, ricorda un MANUELIS FERANDO CIVIS RHODI ORIGINE PROPRIA Lìti) V. Docum. 19. (2) V. Docum. n. 20. — 79 — CET ORIGINE PATERNA SIT JANUENSIS (1). Quanti e quali cittadini genovesi abbiano, per ragione di interesse, evidentemente, abbandonato la propria cittadinanza per assumere quella dell’isola, autonoma, che li ospitava, non è dato rilevare dal gruppo dei nostri documenti; siano stati pochi o molti, l’accenno che si fa a questo Manuelis Ferandi e la lecita induzione che non sia stato il solo a regolarsi a quel modo, fanno pensare che la lunghissima permanenza del Bartolomeo d’Oria, data la sua autorità e quella della sua famiglia, fra le più cospicue della repubblica, abbia fatto temere al governo di Genova che anch’egli potesse, per interesse personale, abbandonare la cittadinanza genovese; d’onde, la preghiera ed il richiamo a ritornare in Patria, dalla quale manca da tanti anni. Chè, fortissimi interessi dovevano oramai avere i genovesi a Rodi, dove molti si erano domiciliati colle famiglie ed avevano acquistati beni; agli accenni precedentemente già fatti, traendolo dai nostri documenti, possiamo aggiungerne ancora uno, abbastanza eloquente, mi sembra. È, infatti, del 1488 l’intervento del doge e del Consiglio degli Anziani genovesi presso il Gran Maestro di Rodi, per ottenere il pronto ricupero dell’eredità del cittadino genovese Jacobo Spinazio « qui in civitate ista Rhodiana mortem obiit---- Is moriens multa bona reliquit navem suam pluries merces servos presertim viginti duos » (2). Così, se fosse ancora necessario citare altri particolari, un altro documento ricorda ancora un genovese padrone 4 cuiusdam navigii » in Rodi, Paolo Giustiniani (3). Peraltro, se, come abbiamo veduto, i nostri documenti ricordano che qualche genovese aveva lasciata la cittadinanza della Repubblica per divenire cittadino di Rodi, se abbiamo veduto il governo della Dominante, sollecitare Bartolomeo d Oria a ritornare dopo tanti anni di permanenza a Rodi, in Patria, dove era tanto desiderato; uno dei nostri documenti, senza data, ma che fa parte della raccolta esaminata presso l’Archivio di Stato in Genova, riporta I estratto del testamento s scripti in Rhodo manu Petri Andree clerici colossensis publici imperiali auctoritate notarii » di certo « Franchi Judicis civis Janue quondam Nicolai ». Ricordandosi della sua patria lontana questo « civis Janue » morendo « item legavit item ordinavit voluit atque jussit quod de bonis dicti testatoris ponantur in locis deputatis Janue floreni quinquaginta et per imperpetuum proventus eorum detur pauperiori de suo albergo de judicibus et quod dicti floreni quinquaginta per imperpetuum non possint vendi nec alienari. Item ordinavit jussit atque voluit quod de bonis dicti testatoris in dictis locis co-munibus Janue ponantur floreni quinquaginta ut proventus eorum per imperti) V. Docum. n. 45. (2) V. Docum. n. 51. (3) V. Docum. n. 55. — 80 — petuum distribuatur pauperibus puelis maritandis, qui floreni quinquaginta non possint vendi nec alienari sed per imperpetuum serventur ut supra dictum est. Item ordinat atque vult dictus testator quod BONA SUA QUE HABET IN CIVITATE RHODI vendantur et processus eorum mittatur per infrascriptos suos fidecommissarios in Chio in posse Petri Justiniani de Campis, qui Petrus de dictis bonis trasmittere debeat in Janua in locis comunibus florenos centum et eorum proventus distribuetur pro ut supra dictum et ordinatum est » (1). Questo vecchio genovese, che aveva cumulato beni di fortuna in Rodi, aveva pensato a lasciare due legati, uno pei più poveri del suo albergo — dei Giudici — e l’altro per doti alle più povere fanciulle di Genova! Sia stato anche l’unico ricordo munifico di Genovesi trasferitisi a Rodi od in altre località lontane da Genova, questo atto che i nostri documenti richiamano, largamente compensa la perdita di queirimmemore Manuelis Ferandi su ricordato, genovese d’origine, ma cittadino di Rodi! Potrei chiudere con questa testimonianza simpaticissima dei legami spirituali che univano Genova a Rodi e Rodi a Genova, legami che trascesero l’interesse commerciale e la ragione politica; prima però di far punto, devo ricordare che fra i documenti trascritti in appendice ve n’è uno, specialmente importante, che testifica come a stringere maggiormente i legami fra i due luoghi, valsero anche alcuni privilegi che Genova concesse all’ordine dei Cavalieri di Rodi. Vedemmo già che per una vertenza riguardante la preceptoria di San Giovanni in Prè il Governo di Genova era ricorso all’intercessione del Gran Maestro di Rodi; gli è che, il Tempio di San Giovanni in Prè (come scritto anche nella bellissima « GENOVA, Guida Storico Artistica * di D. Castagna e M. U. Masini) (2), è « una delle note commende di cui godevano i canonici regolari già istituiti nella Chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme da cui presero denominazione tutte le chiese e monasteri sorti per opera del medesimo ordine.... Dopo la caduta di Gerusalemme... Le chiese ed i monasteri sparsi per la penisola e le isole italiche per tale grave ed improvviso avvenimento vennero assorbiti dalla religione dei cavaliari ospitalieri di San Giovanni Gerosolimitano * cioè dall’ordine dei Cavalieri di Rodi. Invece, se per tradizione secolare, si può dire, la Chiesa-Commenda di San Giovanni in Prè si allaccia nelle sue origini all’ordine dei Cavalieri Gerosolomitani, nella Cattedrale stessa di Genova, in San Lorenzo, vennero concessi speciali privilegi ai loro successori, ai Cavalieri di Rodi, pare proprio nel secolo XV, dal momento che uno dei nostri documenti — del marzo (1) Documento d). (2) M. U. Masini, Editore, Genova, 1929, pag. 90. — 81 — 1503 — che tali privilegi conferma e descrive, li dice essere già in « superioribus annis ». A fianco della magnifica piazza su cui prospetta la superba facciata della Cattedrale, è la piccola piazzetta detta di San Giovanni il vecchio, ove, parallela alla porta del Tempio che si apre in via San Lorenzo, detta Porta di San Gottardo, c’è una porta del Duomo. Probabilmente porta e piazzetta presero il nome di San Giovanni il Vecchio perchè a tergo della venerata Cappella in cui si conservano le ceneri del Precursore. Orbene, il nostro documento, del 14 marzo 1503, ripete alcuni privilegi molto significativi del-POrdine dei Cavalieri di Rodi, di tenere ospitati in una Cappella ivi situata e detta di San Giovanni il Vecchio, sacerdoti e clerici iscritti all’Ordine, privilegi che dichiara in vigore già « superioribus annis, » ma li precisa e limita nei confronti dei custodi ed « officiales » dice, della Chiesa Cattedrale. Riporto senz’altro i due punti salienti, in principio ed in chiusa del documento, che a tergo è definito COPIA DECRETI INTER AGENTEM PRO R.mo DOMINO MAGNO MAGISTRO RHODI ET CANONICOS S.CTI LAURENTII QUOD IN LIBRO DIVERSORUM EST TRANSCRIPTUM HOC AUTEM EXTRACTUM EST AD MEMORIAM: .... « Cum superioribus annis per ipsos illustrem dominum Regium Gubernatorem et magnificum senatum concessum fuerit R.mo domino Cardinali et magno magistro Rhodi quod in capella seu oratorio s.cti Johannis veteri nuncupato capellam instituere et super dicto oratorio domum et cameras sive mansiones pro usu et habitatione sacerdotum cappellanorum et clericorum per ipsum R.mum dominum Cardinalem et magistrum Rhodium instituendorum et etiam quod certum et determinatum numerum dictorum sacerdotum et clericorum instituere et decernere posset ipsamque capellam pro usu et substentatione ipsorum dotare sub certis modis et formis de quibus latius in institutione concessione decretis et ordinationibus super inde conditis contineri dicitur ad que relatio habeatur----». Laboriosa dovette essere la limitazione di questi privilegi, se più avanti il documento ricorda che si sentì il bisogno di interpellare il titolare della precettoria di S. Giovanni in Prè, direttamente in relazione col Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Rodi, specialmente competente in materia... « Et audito etiam reverendo domino Brascho Salvaigo preceptore ecclesie S.cti Johannis de Burgo prédis specialem curam in predicta materia ut dicitur a prefato R.mo domino Cardinale et magistro habente »... Ecco finalmente le limitazioni ai privilegi dell’ospitalità concessa agli ascritti all’ordine dei Cavalieri di Rodi nella Cappella di S. Giovanni il Vecchio: « Infrascriptis exceptis que sub infrascripta forma moderantes et corrigentes voluerunt declaraverunt et statuerunt quod non obstantibus expressis in dictis concessione, institutione, ordinatione et decretis infrascriptis perpetuis 6 — 82 — et futuris temporibus per dictas partes observantur ac exequentur ac si in dictis institutione, concessione, declaratione et ordinatione de verbo ad verbum inserta forent et ab initio ordinata instituta et concessa fuissent. Que sunt hec videlicet quod beneficiati et clerici huiusmodi in eventum alicuius litis et controversie inter ipsos seu eorum quenlibet et dominos canonicos capel-lanos clericos et beneficiatos dicte eccelesie et eorum quemlibet ac etiam in quibuscumque spectantibus ad dictam ecclesiam dicti beneficiati et clerici eundem seu eosdem superiorem seu superiores recognoscant quem seu quos ceteri beneficiati dicte ecclesie recognoscunt occasionibus predictis tantum. Item quod primus dictorum beneficiatorum vocetur et nuncupetur MAGISTER CAPELLANORUM R.M1 DOMINI MAGISTRI RHODI. Item quod capella sive baptisterium predictum remaneat in omnibus et per omnia subiectum et obligatum tam in divinorum officiorum celebratione quam in sacramentorum confectione quam etiam in funeralibus sepulturis et exequiis pro ut fuit in preteritum. Et quod claves dicti baptisterii remaneant et esse debeant penes custodes et officiales ecclesie predicte » (1). Malgrado queste restrizioni, il privilegio di residenza nella Cappella più venerata della Cattedrale concesso agli iscritti all’Ordine dei Cavalieri di Rodi dalla Repubblica, è, davvero, non comune! * * * Si può dedurre che tali concessioni ai Cavalieri delPOrdine di San Giovanni Gerosolomitano siano state inspirate unicamente da ragioni politico-commerciali, oppure che vi abbiano influito anche ragioni d’indole religiosa? Dopo un esame dell’atteggiamento dei Genovesi nei varii secoli della loro maggiore prosperità commerciale, mi pare di potere escludere questa ipotesi. È assai interessante porre in rilievo l’atteggiamento spregiudicato dei Genovesi non solo nel secolo XV, ma anche nei secoli anteriori, quando ancora lo spirito religioso era molto vivo e diffuso. È noto infatti che Papa Giovanni XXII ebbe a lagnarsi amaramente di loro e li accusò addirittura di fornire agli Infedeli schiavi e materiali da guerra nonostante i numerosi divieti in proposito; nè pare che questa accusa mancasse di fondamento se si pensa che Genovesi, nè più nè meno di altri italiani, giunsero a prestare servizio nelle navi dei turchi, ancora inesperti alla guerra sul mare, o a traghettarli sulle proprie navi dall’Asia in Europa. È da ritenersi quindi molto improbabile che le concessioni all’ordine di San Giovanni Gerosolomitano siano state dettate da motivi anche religiosi: (1) Documento n. 54. — 83 — del resto il Donaver, autore della Storia della Repubblica di Genova, concludendo le considerazioni fatte sulla situazione commerciale della Repubblica alla fine del XII secolo, nota che « I Genovesi, ammaestrati dalla prudenza e inspirati da criterii pratici, alla crociata contro Saladino non pigliarono quella parte attiva che avevano preso nella prima. In Oriente essi avevano già un’eccellente posizione commerciale d’accordo coi Saraceni, e non volevano guastarsela per amore della cristianità; per la quale cosa coadiuvarono i crociati in quanto ciò produceva loro lucro e pei benefizi che, in caso di vittoria, potevano ricavarne (1). Altri accenni al poco scrupolo in materia da parte della Repubblica e dei Genovesi, sono ripetuti qua e là nello stesso lavoro: così il Canale, l’altro e più insigne storico della Repubblica di Genova, chiude l’esposizione della terza epoca con questa bella sintesi da cui esula completamente ogni considerazione sul peso che possa avere avuto nella organizzazione del traffico e deliavita politica genovese nel Medio Evo, lo spirito di religione: « Conchiuderò col dire, scrive il Canale, che la grandezza del commercio genovese e l’estensione in ogni parte del mondo allor conosciuta non mancava di essere avvalorata nè da quella scienza di navigazione, ch’era necessaria per accortamente esercitarlo, conservarlo e farlo vieppiù progredire, nè da quelle prudenti disposizioni legislative che il rendevano ordinato, giusto e rispettato » (2). Questa conclusione così saggiamente oggettiva del Canale, più che un quadro rispondente e somigliante della vita della nostra vecchia Repubblica, maestra del commercio alle consorelle italiane ed al mondo, mi sembra, vorrei dire, se non una profezia, una visione anticipata dell’Italia nuova, la cui vita si ispira, per usare proprio le ultime parole del Canale, all’ordine, alla giustizia ed al rispetto per sè e per gli altri. (1) Donaver, op. cit. vol. I, pag. 66. (2) Canale, op. cit. vol. Ili, pag. 348. - . * m ° . ■ DOCUMENTI r •• . AVVERTENZA I documenti che seguono sono disposti in ordine strettamente cronologico e quattro dei cinque documenti senza data e con'rassegnati colle lettere dell'alfabeto sono stati raggruppati in ultimo b, e, d. e . II documento a) invece segue il n. 48 perchè si può dedurre in modo certo dal suo contenuto. oltreché dal suo ordinamento in Archivio, ette esso forma un gruppo unico coi documenti n. 4ó. 47 e 48. L Diversorum Communis Janne. Filza 2 - 31 luglio 1424. Corrado de Albertis. mercante, chiede danni., spese e interessi per le merci requisitegli da Luca Maroso approvato poi da Corrado d’Oria. ammiraglio genovese contro Cipro. Gli arbitri gli dan no ragione, ma àuxolò da Camulio, cancelliere e sindaco, si oppone affermando che la nave del De Albertis par:> ia Rodi per portare aiuto a Cipro, che al De Albertis già fu dato torto sulla questione dagli arbitri e che egli non aveva diritto di riproporre il quesito. Replica il Ih Albertis di non essere Genovese e quindi di non dover essere secondo le leggi genovesi giudicato e che la sua nave distava al momento della cattura 500 miglia da Cipro. Chiede che Varbitrato sia affidato non a cittadini genovesi, essendo questi sospetti. Il decreto dichiara esser F autorità pronta a fargli rendere giustizia secondo gli statuti, gli ordini ed i privilegi della città, usa a rendere giustizia tanto ai cittadini quanto agli stranieri. Coram ìooìs illustri donano douer.: ducali gu. creatori -Tume venerai. £ ue r-.-r --iio dominornm antianimm civitatis einsiem r.im: '~^r atune ^nereiauter esponirnr prò pane Serri toris vestri Conradi De Alberes mereat-cris. Dicens : nod pro ut i : minorici: es vestrae sat.s informati sms *pse init s; jiiatam certis re : ns et mercartiis in p-:rtu Rodi que res et nercatie partim erant sue et parem eertorozn mercatorum Anziie p*er Melduonem iEar-osum e.vem Janue ei ine res et mercantie p«er specta i.em d * min te Conraiiai de Aaria nsc capitài-aiD armate Jannensis uno erat contra re^rem Cijri — 88 — » fuerunt converse in utilitatem et necessitatem dicte armatae et per consequens ad comune Janue restitutio dictarum rerum sic ablatarum pertinebat et pertinet, dicit etiain super predictis. supplicatur dominationes vestras ut dignemini providere eidemque .........ius summarium et expeditum tam super rebus ablatis quam super damnis expensis et interesse. Quibus auditis pro parte vestri illustris G. et spectabilis consilii antia-norum fuit facta commissio officio dominorum patrum communis Janue quatenus super predictis videat et cognoscat terminet et justiciam ministret. In qua commissione per dominationes vestras fuerunt adiuncti egregii doctores dominus Ingus de Grimaldis O O ° et dominus Andreas Bartolomeus Imperialis. Item et secundo loco adiuncti fuerunt egregii doctores dominus Bartolomeus de Bosco, dominus Thomas de Vivaldis et dominus Damianus Palavicinus. Qui Commissarii sive delegati sive major pars ipsorum protulerunt sententiam in favorem dicti Conradi condepnando commune ad dandum et solvendum dicto Conrado etiam extimationem dictarum rerum que pervenerunt in dictum commune. Dicit etiam quod a dicta sententia sic juste lata Nicolaus de Camulio sindicus nomine dicti communis Janue appellavit ad prefatas dominationes vestras que appellatio non debebat admicti prelibatis de causis maxime quia a sententiis latis ab officio patrum communis appellari non potest pro ut expresse patet incitatione facta tempore vestri illustris gubernatoris anno 1421 die undecima septembris et etiam a sententiis latis de commissione dominationum vestrarum appellari non potest pro ut expresse decretum esse. Item etiam ex alio non poterat appellari nec appellationi descrivendum erat quia dicta sententia transivit in rem judicatam per lapsum tempus quia fuit lata die XXXa martii et appellatio interposita die XI aprilis fuit tamen de facto admissa et commissa causa dicte appellationis in tres cives mercatores Janue. Qui quantum possunt esse confidentes dicto Conrado considerato quod causam habet cum communi Janue dominationes vestre jmmaginentur. Qui cives salva eorum reverentia indebite iniuste nulliter et inique processerunt et pronumptiaverunt bene fuisse appellatum per dictum Nicolaum dicto nomine. A qua pronumptiatione dictus Conradus tunc temporis appellavit ad illustrissimum dominum d. ducem sive ad eius magnificum gubernatorem et consilium Janue vel ad quemcunque dominum vel dominos regales sive alium magistratum ad quem de jure spectare et pertinere cognoscitur. Et nunc iterum ad cautelam ad dominationes vestras......... non discedendo a prima appellatione nisi et in quantum per dominationes vestras ita provideatur quod non habeat justam causam querelandi. Dicens quod placeat dominationibus vestris dictam pronumptiationem sic nulliter et iniuste latam nullam declarare et primam sententiam in favorem sui latam omnibus juste de causis justam pronumptiare et declarare et ipsam ad executionem mieti ordinare et facere cum effectu. Et si forte videbitur dominationibus vestris ipsam causam alias committendam placeat dominationibus vestris ipsam committere quibus vobis videbitur dummodo non sint cives Janue qui cives omnimodo sunt rationabiliter suspectis dicto Conrado attento quod causam habet cum communi. Alias protestatur cum omni debita reverentia quod non intendit consentire aliqui commissioni fiende de dicta causa intendens prosequi dictam appellationem querumoniam iniusticiam et jus suum coram illustrissimo domino vestro domino duce et in locis coram regibus et principibus communitatibus et dominationibus sibi confidentibus et non suspectis. Ubi rapinam predictarum suarum rerum et mercatorum Anglie cum dapnis, expensis et interesse, contra deum et justitiam et omnem equitatem publicam esse faciat et justa posse suum ad ipsarum perveniet restitutionem. 1424 die ultima julii. — 89 — Illustris et magnificus dominus dominus ducalis Januensium gubernator et venerandum consilium spectabilium dominorum antianorum in legitimo numero congragato-rum. Auditis et intellectis suprasCripta expositione, appellatione et protestatione prudiciti Conradi de Albertis et contentis in ea. Cupientes equam partibus justitiam reddere volueruut et mandaverunt fieri copiam de omnibus suprascriptis Nicolaus de Camulio cancellario et sindico communis .Janue, eumque admoneri ut si quid vult bis que superius exponuntur opponere aut respondere, id faciat hodie. Ne pars queri possit sese et causam suam dilationibus trahi. Dictus Nicolaus de Camulio cancellarius dicto sindacano nomine communis Janue, constitutus injure et in presencia illustris domini ducalis gubernatoris Januensium occasione quorundam verborum dictorum requisitionis et talis qualis protestationis factarum per dictum Conradum de Albertis hoc anno die ultima julii et occasione precepti sibi facti continentis quatenus compareat. Si sua interesse pretendit ad dicendum et opponendum quidquid voluerit contra dicta requisita et prestata per dictum Conradum. Dicit quod dictis verbis requisitioni et protestationi ac contentis in eis non consentit nisi si reatenus concernant ipsius comodum et favorem. Dicens quod dictus Conradus narrat plura non vera et obmisit narrare plura verissima. Nam debent scire dicte illustris et spectabiles dominationes quod alias existente guerra inter commune Janue et dominum regem Cipri publica et noctoria et ordinato jam exercitu in Janua ad obsidendum dictum dominum regem et eius insulam Cipri, dictus Conradus cum quadam navi honu-sta victualibus et alus rebus dicti Conradi vellificavit de portu Roddi navigatura ad partes dicte insule Cipri. Subditas dicto domino regi, ut idem exoneraret dicta victualia dictasque res et merces, que navis eundo fuit capta per navim patronizatam per quondam Lucham Marosum tamquam navis ihens ad terras inimicorum datura eis subsidium de qua navi et eius mercibus dictus Conradus fuit postea in questione coram domino Conrado de Auna, tunc eapitaneo armate et exercitus communis Janue contra Ciprum cu.n dicto Lucham Maroso. Qui ab eius impeticioue fuit absolutus quod fuit anno de ve a quo tempore citra dictus Conradus stetit tacitus. Nuper vero dictus Conradus venit Januam cum litteris recomendatariis illustrissimi domini nostri ducis Mediolani ob cuius reverentiam dicti illustris dominus gubernator et domini tunc antiani commiserunt eius causam honorandis dominis patribus communis Janue cumque dictus Conradus non contentaretur bene de ipsis antedicti illustris dominus Gubernator et consilium dictis patribus communis adiunserunt egregios legum doctores dominos Ingum de Grimaldis et Andreas Bartolomeum Imperialem ad quorum omnium requisitionem antedicti illustris dominus gubernator et consilium eis facere adiunxerunt egre-ios legum doctores dominos Bartolomeum de Bosco, Tomam de Vivaldis et Damianutn Pala-vicinum qui tulerunt sententiam in discordia. Nam aliqui ipsorum dixerunt precisse in favorem comums Janue. Alii vero dixerunt partirn in favorem dicti Conradi, partim in favorem comums Janue quia condempnaverunt comunem Janue et reservaverunt arbitrium dictis dominis gubernatori et consilio condempnandi et punieudi dictum Conradum pro ut in dicta sententia continetur ad quam se refert a j|ua sententia tunc cum pervenit ad eius notitiam ipse Nicolaus dicto sindicario nomine appellavit et finaliter dicta appellatio de consensu et voluntate dicti Conradi fuit commissa dominis Jacobo de Auria, Petro Centuriono el Rafaeli de Spinulis confidentibus datis per dictum Conradum loco quorum domini Jacobi et Petri fuerunt subrogati de voluntate et consensu partium Johannes Grillus domini Brancaleonis et tinricus Squarciaficus qui examinata dilligen-tissime dicta causa et eius meritis confirmaverunt sententiam latam in favorem communis — 90 — Janue ut apparet per acta cancellarie comunis et per dictam sententiam ad quae et ad quarn se refert. Nuper vero dictus Conradus. Nescit ipse Nicolaus qua obstinatione ductus iterum requirit de hac causa cognosci et quasi in viam cuiusdam appellationis appellat, quae appellatio non potest nec debet admicti pluribus rationibus et causis et maxime infra-scriptis. Prima quia a sententiis latis per bonos viros de voluntate partium ellectos non potest appellari. Ut est casus in capitulo communis Janue posito sub rubrica de causis civilibus et pecuniariis bonis viris committendis, paragrafo penultimo et ultimo tum quia ellapsa sunt tempora appellandi. Jam diu tum quia dictus Conradus non deposuit cabellam appellationis propter et quod etiam si possit appellari appelatio esset nulla ipso jure. Tum etiam quia alias nunquam esset linis litibus et esset una imprudentia et ignominia quod res fuisset commissa tribus vita excellentibus viris qui maturissime et partecipato cum multis consilio tulerunt sententiam. Et quod a capite deberet litigari de novo. Propterque concludit quod dicto Conrado non debet audientia præberi quodque repelli debet non obstante quod dicat quod ipse Nicolaus a dicta sententia prima non potuerit appellari quia a sententia patrum communis non potest appellari. Cum dicta non fuit sententia patrum communis sed fuit sententia magistratus cum quibus dicti patres communis fuerunt admisti maxime quia dicti patres communis erant quattuor et adiuncti erant quinque. Item quia ipse Nicolaus appellavit quam primum habuit notitia de dicta sententia tempus autem appellandi currit a tempore scientie pro ut est clarum de jure. Et predicta dicit ad presens sub reservacione quorumlibet suorum jurim de quibus protestatur. Predicta ultima die julii. Superscripti illustris et magnificus dominus dominus ducalis Januensium gubernator, et spectabile dominorum antianorum consilium in sufficienti numero congregatum. Visis responsionibus predicti Nicolai de Camulio sindici communis Janue et super omnibus tam videlicet requisitione et protestatione ipsius Conradi quam eiusdam Nicolai responsionibus, habito maturo examine obtulerunt ac se paratos offerunt, secundum ordines, statuta et privilegia civitatis committere utrum suprascripte appellationis sit deferendum vel ne. Et si erit deferendum quae sint eorum partes ut utrique parti justitia pari administratione reddatur. Coram vobis illustri domino G. et consilio dominorum antianorum exponit et dicit Conradus de Albertis. Quod audito responsionem factam per Nicolaum de Camulio sindicum nomine communis suplicationi appellationi et protestationi factis coram dominationibus vestris per dictum Conradum quod non consentit nisi in quantum faciat pro eo et non aliter. Et cum omni debita reverentia iterum et de novo querelantor suplicat et requirit quod sibi fiat restitutionem dictarum suarum rerum cum damnis expensis et interesse. Alias ut jam fecit similiter protestatur. Considerato quod ulla lege inveniri potest nature aut ecclesiastica sive imperialis nec per aliquem decretum Janue vel alterius cuiusvis civitatis quod velit non fieri sibi restitutionem suarum rerum sic iniuste ablatarum et tanto tempore contra debitum juris retentarum nisi per legem rapine et latrocinii sed si stilum justiciæ equitatis et recte consuetudinis et justiciae vultis habere prae oculis nostris restitutum erit omne id quod contra deum sibi ablatum fuit et satisfactum de damnis etc. Ipse Conradus non est Januensis nec sibiectus vestris consuetudinibus que quando essent sibi contrarie, quod non credit, non debent in suis causis observari, non fuit — 91 - spoliatus in locis vestrorum inimicorum sed in locis aliarum jurisdictionum longe omnibus vestris jurisditionibus et ab insula Cipri pro miliariis quingentis. Ita quod ulla lex vult quod suum sic sibi ablatum non sit satisfactum et ad illud quod per dominationes vestras deliberatum est quod causa sue appellationis commissa sit fide juris debet admicti. Dicit idem Conradus quod si talis deliberatio est honesta dominationi vestrae restet cognosci. Quia appellatio facta per Nicolaum sindicum contra omnem debitum juris infinitis de causis fuit de facto admissa frangendo omnem decretum factum tempore vestri J. G. Ita quod non poterat appellari et tamen fuit commissa in tres jam dictos cives. Cui commissioni quantum potuit contentus fuit et nunquam se obbligavi judicio ipsorum vel aliorum civium cum semper sibi erant et sunt suspecti ìustis et rationabilibus de causis. Claro et manifeste presumi potest in omnibus vos non velle sibi administrari justitiam sed potius retinere sua contra omnem umanitatem. Sed ut in eo non possit decerni nisi justam querimoniam non obstante protestationem factam quod semper voluit interum et de novo vult et contentus est se submittere omni judicio sibi confidente et non suspecto. Requirens quod tota causa a principio usque ad finem commictatur. Omnibus quibus vultis dummodo non sint cives vestri sibi non confidentes in ipsa causa. Quod in deum et juste querele atque in judice competente confidet quod plenum justicie complementum fiet sibi, postulans quod si dictam causam non vultis isto modo committere. Sibi datum sit copiam sue px-otesta-tionis et vestre responsionis quod de jure negari non potest. 1424 die octava augusti. Illustris et magnificus dominus dominus ducalis Januensis gubernator et ve-neiandum consilium dominorum antianorum in legitimo numero congregatum. Audita et intellecta ìeplicatione et protestatione predicti Conradi superius expressa videntes nihil eum dicere quod jam vel oretenus vel in scriptis dictum non fuisse, non discedentes propterea a responsione per eos facta alias eidem Conrado obtulerunt et sese denuo paratos offerunt facere illi reddi integre complementum jhsticie secundum statuta, ordines et privilegia huius civitatis secundum quos in hac civitate ju-sticia tedditur tam exteris quam civibus, ita quod queri nulla ratione poterit fuisse sibi illatum genus aliquod iniusticie. A tergo: 1424 ultima julii. Pro Conrado de Albertis controversia justitia. Ex foliatione Jacobi de Bracellis ab anno 1424 usque ad 1431. Firmato: Jo. Bartholomeus 2. 1428 - 16 dicembre - Litterarum Vol. IV, lettera IO. Certa Maddalena 'chiede al Gr. Maestro che le sia amministrata giustizia nei confronti del marito Luchino da Vercelli, risposatosi a Rodi. Reverendissimo in Christo patri et d.no d.no A. Magno Magistro Rhodi sacre domus hospitalis S.cti Johannis Jerosolomitani et pauperum Christi custodi dignissimo. R.me in Christo pater et domino. Moti compassione miserande mulieris Magdalene uxoris domini Luchini de Vercellis qui jam diu contra deum et vires matrimonii per — 92 eum cum dicta Maddalena dudum antea legitime contracti uxoratus esse nunc dicitur O O iu loco illo Rhodi, admodum cogimur pro tollendo maxime tantoerore, paternitatem vestram precari ut pie et efficaciter sicut x-es exigit, asurdum casum dicte Magdalene sic dicto eius viro destitute recommissum suscipere velit. Et quum propterea accedi ad presen-tiam eiusdem paternitatis vestrae Nicolaus de Oliva tamquam procurator dicte Magdalene petiturus justiciam a clementia vestra, et producturus varia testium dicta in favorem dicte Magdalene que in causa proinde agitata recepta fuerunt. Eandem instanter rogamus quatenus dicto procuratori ministrari mandetis contra dictum dominum Luchinum summarium, expeditum ac favorabile justicie complementum. Data die X\ I decembris 1428 B. gubernator et consilium etc. Similis facta est R.mo in Christo patri et. domine archiepiscopo Rhodi. 3. 1431 - 10 dicembre - Litterarum Vol. V, Jettera n. 338. Si raccomanda che Nicola di Castiglione, andato a Rodi a ritirare la eredità del fratello Omfreono. non venga ostacolato nel suo diritto. Magno Magistro Rhodi. R.me ac prestantissime pater. Defuncto Rhodi Omfreono de Castelliono, ceteri fratres eius illuc mittere statuerunt Nicolaum unum ex fratribus cum sufficientibus mandatis ut videbunt magistratus coram quibus res agitanda erit. Nolumus autem ut paternitas vestra ascribat diffidentie quod jura civium nostrorum sibi comendamus. Non enim dubitamus paternitatem vestram ut eos hactenus fovit, ita deinceps honestos favores non esse eis negaturam. Sed quum hos fratres qui residui sunt, caros homines, illam ex animo rogamus, ut ipsi Nicolao ministrari jubeat summarium et favorabile jus. Ita ut quantum sine aliena iniuria fieri potest ius causeque eius foveantur. Nobis quidem id erit haud parvum obsequium. Parati semper in omnia vota vestra. Data Xa decembris 1431. Oldradus locumtenens et consilium Antianorum. 93 — 4. 1433 - 16 giugno - Litterarum Vol. IV, Lettera n. 321. Si raccomanda al Gr. Maestro la richiesta di Filippo Spinola fu Giovanni circa l’eredità della zia materna Nicoletta sposata Cibo, deceduta in Rodi. Tale eredità spetterebbe per disposizione testamentaria del padre di detta Nicoletta. R.mo in Christo patri et d.uo d.no A. Magno magistro Rhodi sacre domus hospitalis S.cti Johannis Jerosolomitani et pauperum Christi custodi dignissimo. R.mo in Christo pater et domine. Asseruit coram nobis nobilis concivis noster carissimus fili ponis Spinula q. Johannis quod de anno proximo preterito mortua est illo in loco Rhodi Nicholeta uxore q. Marci Cibo et filia q. Bindi de Senis cuius hereditas spectare videtur ad ipsum Filiponem filium q. Isabete sororis dicte Nicolete. Cum hoc procedat de voluntate dicti q. Bindi patris dictarum Nicolete et Isabete qui in sua ultima voluntate voluit et ordinavit vigore autentici testamenti exhibendi per ipsum Filiponem sive legitimam personam pro eo coram Reverentia vestra in quo testamento ut asseruit idem Filiponus adveniente casu mortis dictarum Nicolete et Isabete, sive alterius earum sine herede legitimo heredes alterius earum restantes succederò debent alteri defuncte sine herede in bonis et hereditate dicte defuncte ut ex serie dicti testamenti latius patet, requirens cum instantia Idem Filiponus ut apud prefatam reverentiam intercedere velimus ut procuratori dicti Filiponi illuc dicta occasione ad vestram reverentiam mittendi ministretur justicia expedita. Nos autem intenti favoribus nostrorum civium in eis presertim que concernant justiciam et honestatem per has nostras litteras duximus Reverentiam sepe dictam precari et requirere quatenus dicto Filipono sive agentibus pro eo in dicta causa ministrari mandet vestra Reverentia justiciam sum-mariam et expeditam ita ut non suffocetur in iure suo et cognoscat preces nostras eidem Filipono profuisse offerentes nos ad queque concernentia gloriam dicte Reverentie. Data: Janue 1433 die XVI Junii. Franciscus Barbavaria ducalis in Janua locumtenens et consilium Antianorum. — 94 — Diversorum Communis Jauue. 13 luglio 1434 - Filza Vili, parte prima. Supplica di Damiano Squarciafico alle autorità affinchè protesti presso il Gr. Maestro di Rodi per la ingiustizia a lui fatta in due cause vertenti alla curia di Rodi: la prima circa l'entità di un legato lasciato da suo padre all'ordine di S. Giovanni, la seconda circa una donazione fatta dallo suocero del padre alla madre e alla sorella del querelante. Prestantissime dominationi vestre ac venerabili consilio dominorum antianorum eiusdem exponitur humiliter et devote pro parte devoti servitoris et civis earum Damiani Squarsafici heredis cum beneficio inventarii q. Gabrielis Squarsafici. Quod ipse dicto hereditario nomine habuit in curia Roddi plures questiones cum variis personis in quibus questionibus fuit male tractatus et contra justitiam pro ut deo et mondo noctum est. Et specialiter in duabus videlicet in una questione quam habet cum domino procuratore R.di domini tesaurarii ordinis S.cti Johannis Jerosolomitani reverendissimi. Similiter quodam legato florenorum trecentorum boni auri et justi ponderis legatorum a dicto q. Gabriele in suo testamento. Dicto ordini quod dictus dominus procurator dicit debere intelligi de ducatis trecentis et ipse Damianus dicit de Florenis trecentis ad racionem soldorum viginti quinque pro quolibet floreno sicut est moris in Janua. Quod clare probavit per mercatores Ja-nuenses existentes in Rodo coram judicibus deligatis a R.mo domino magistro dicti ordinis et etiam probavit eam fuisse voluntatem dicti quondam Gabrielis per tenorem dicti testamenti in quo continentur legata ducatorum et legata florenorum boni aurei et justi ponderis et legata librarum de qua questione ipse Damianus non potuit habere finem, ideo quia dictus dominus tesaurarius habuit de pecuniis ipsius Damiani contra ipsius voluntatem ducatos quinquaginta quinque quos gravavit et gravat ipsum restituere quem ide (?) de facto compellebat et abstringebat sive compelli et abstringi faciebat ipsum Damianum ad solvendum reliquatum dictorum ducatorum trecentorum, contra debitum honestatis et justitiae. Item non volebat acceptare legatum decenii legatorum. Quod ipse Damianus compulsus fuit in Janua solvere collectoribus dicti introitus et solvit eisdem. Item similiter quadam alia questione cuiusdam donationis alias facte per socrum dicti q. Gabrielis. Eidem Gabrieli tamquam patri et legiptimo administratori Clare filia ipsius Gabrielis et Mariete eius uxoris secundum formam cuiusdam publici instrumenti inde confecti, in qua questione cum ipse Damianus obtulisset peticionem domino judici illius loci que nunquam fuit parti tradita, licet pars fuerit citata que requisivit sibi de advocato provideri, nihil tamon unquam respondit dicte peticionis ipse Damianus videns favores qui impendebantur adversarie sue et quomodo fuerat male tractatus in aliis questionibus et quod dicte adversarie fuerat provisum. Quod judex appellacionis, qui habebat et habet multos favores in dicto loco. Sicut est rationabile, fuerit deputatus eisdem in advocatum ex qua re ipse Damianus clare videbat quod facta sua debebant male procedere revocavit dictam suam peticionem et dicta sua jura. Et tamen contra omnem justiciam favore dicti judicis et advocati et favore aliorum qui fave- — 95 — bant dicte adversarie sue fuit pronuntiatum.’ Contra deum et contra justitiam quod teneretur. Causam prosequi in dicto loco, quod ipse Damianus agere noluit Januam veniens sicut ei preceptum fuerat parte R.tni domini Magistri dicti loci sub pena ducatorum quingentorum ante motam dictam questionem per plures dies. Quare pro parte ipsius devoti civis et servitoris dictarum dominationum eisdem supplicatur humiliter et devote quatenus intuitu dei et justifie mandare dignentur et velint quod eorum parte scribantur littere in forma stricta et expedienti dicto R.mo domino Magistro precantes et requirentes eundem quod mandare et providere dignetur et velit quod ipsi Damiano fiat effectualiter justitia, tam sine facto dicti legati quam sine facto dicte donationis, per modum quod cum veritate non possit conqueri de justitia sibi non ministrata aut de injustitia sibi facta cum eedem dominationes vestre justitiam reddere facerent et mandarent indilate fieri cuilibet subdicto eiusdem. R.mi domini magistri dominationis etiam cum non sit equum nec rationabile quod ipsi Damiano civi et subdito ipsorum denegarent providere de honesto remedio opportuno ubi videretur eidem justiciam denegari. 1434 die 13a julii. Scriptum esse opportune maguo Magistro Rhodi ut apparet in manuali litterarum hodie. A tergo: Damiani Squarciaticeli supplicatione cuius cause in curia Roddi et notula scriptionis litteras Magno Magistro Rhoddi. Ex foliatione Jacobi de Bracellis ab anno 1432 in 35 n. 7. Firmato: Jo. Bartholomeus. 6. Diversorum Communis Janue. 2 settembre 1435 - Filza Vili, parte seconda. Bartolomeo de Marini, cui nel porto di Rodi fu predata una nave da cittadini catalani, espone come i colpevoli, arrestati e processati, abbiano potuto sfuggire all1 esecuzione della sentenza loro sfavorevole per mezzo dei salvacondotti concessi dal re di Aragona, e chiede gli siano concesse le rappresaglie contro quel re e i suoi sudditi. Il decreto nomina una commissione perchè si pronunzi in merito. Pro Bartholomeo de Marinis. Magnificentie vostre et venerando consilio dominorum antianorum civitatis Janue humiliter exponitur pro parte vestri fidelissimi servitoris Bartholomei de Marinis. Quod cum verum sit quod alias ipse Bartolomeus naulizaverit certam navem seu balenerium patronizatum per Petrum de Grimaldis de quo naulizamento constat publico instrumento scripto et rogato manu magistri Petri de Belengheriis notarii avignionensis anno 1431 die 13 februarii. Quam navem seu balenerium quidam Antonius rog.de Barchinonia patronus cuiusdam sue navis, cum adiutorio duarum aliarum navium unius patronizate par Jacobum de Viterbo de Mesano, et alterius per Johannem Bertholdi de Catalonia, acceperunt in portu Rodi nulla precedente rationabili vel justa causa imo turpiter et contra bonam fidem et honestatem quam navem ipse Antonius indebite tenuit et tenet ad presens contra pacem vigentem inter Januenses et Catalanos et ultra habuit — 96 - et recepit naula dicte uavis de Alexandria et de reditu Alexaudr Rodum ac de Rodo usque Bareliinouiam axendeueia ad summam ducatorum octomilium et ultra, qui Bartholomeus supplicavit regie Majestati, quatenus dignareture idem magistratum concedere et delegare, qui videret et coguosceret quid fieri deberet de jure per dictum Autonium tam occassioue predictorum naulorum quam etiam occasione damnorum et expensarum inde sequtorum et sequtarum et ultra dictus Antonius ubi luerit repertus et quicumque alii culpabiles dicte capture cogantur prestare fidejussores de stando juri dicto supplicanti, non obstante quocumque salvoconductu*. qui concedi non potuit attenta forma dicte pacis. Post quam supplicationem serenissimus rex Aragonum commissit domino Baptiste de Platamone consiliario regio, causam predictam tam contra dictum Antonium quam alios culpabiles vigore litterarum regiarum datarum..... die penultima marcii anno 14*23. Qui predictus commissarius regius ad instanciam dicti Bartholomei detineri fecit Jeronimum Empocles de Bareliinonia unum ex predatoribus dicte navis et qui fuerat constitutus patronus superdicto balenerio capto per dictum Antonium Rog. et qui fuit culpabilis in dicta captura. Qui Jeronimus satisdedit de se presentando et prò eo Johannes Fugazor et Bernardus Vines patroni navium promiserunt personam dicti Jeronimi restituere et tenere, quociens requisiti fuerint in posse nobilis capitanei. non guidatum et assecuratum, et pro iis obligaverunt personas et bona. Contra quem Jeronimnm dictus Bartholomeus coram dicto judice delegato egit, qui Jeronimus nexus est se deffendere vigore salvorumconductum et contra quem dictus Bartholomeus pluries replicavit exibendo capitula pacis vigentis inter serenissimum regem et comune Janue. et de dicta lite facti sunt magni processus. Quos exhibet st producit signatos manu Anthonii de Flor.......dicit quod per dictum dominum judicem delegatum fuit lata quedam senteucia in qua tuit pronunciatum in hac forma provisum est facta relacione Sacratissimo domino nostro regi predicto et facto verbo suo sacratissimo consilio...... constat de accusacione dicti acusatoris et de invasione et captura indebite facta per predictos et alios consocios. Quod dictus Jeronimus Empocles tam quam socius principalis dicti Antonii Rog. principalis delinquentis cum venerit in forzam et potestatem dicti serenissimi domini regis aut officialium suornm condenetur de persona ad penam condignam arbitrio serenissimi domini nostri regis aut officialium suorum statuendam, nec non..... naulorum et aliorum damnorum et interesse deductis omnibus deducendis facto carculo et ratiocinio per nobiles merchatores in huiusmodi expertos, quibus fuit facta noticia tetius continencioe processus predicti. Quod dictus Jeronimus Empocles tam quam correus criminis et in solidum obligatus condemnetur ad ducatos..... octomilia ducentos septuaginta septem grossos decem et novem cum dimidio venetos, nec non ad ommem....... quod pervenit dicto Anthonio Rog. et eidem Jeronimo seu alteri ipsorum pro speeiebus emptis seu que emi potuissent pro ducatis mille septingentis septuaginta septem grossis decem et novem cum dimidio. Que quidem pecunie provenerunt dicto Anthonio Rog. et consortibus ex naulis solutis in civitate Alexandrie, ratione navis predicte indebite occupate, que pecunia si fuisset exsoluta dicto Bartholomeo illam debeat convertere in emptione specierum predictarum. Que racio locri debet considerari habito respectu ad veniicionem fiendam aut in civitate Rodi aut Barchinonie. ant Masilie. \rbitrio dicti accusatoris, pro ut sibi utilius erit, nec non ratione aliorum damnorum et expensarum tam viaticorum quam indiciorum passarum per dictum accusatorem ratione invasionis dicte navis ad uncias monete regni Scicilie sexaginta. contra vero dictam Antonium Rog. et alios delinquentes fuerunt reservata jura dicto Bartholomeo, pro ut de predictis omnibus latius constat publico 97 — instrumento sentencie scripto et rogato manu dicti Anthonii de Flor, anno domini 1433 die XIIa tebrarii. Quam sentenciam dum dictus Bartholomeus vellet exegui et executioni mandare contra dictum Jeronimum fuit per salvosconductus et alia impedimenta facta per dictum Serenissimum regem Aragonum impeditus, qui salviconductus dari non potuerant nec dati valebant in praejudicium dicti Bartholomei et contra capitula superius alegata et maxime quia dictus Jeronimus nunquam satisdedit, nec voluit satisdare quamvis fuerit requisitus secundum quod tenebatur et facere debebat de jure et ex forma capitulorum dicte pacis. Super quibus omnibus licet dictus Bartbo-lomeus sepe institerit et requisiverit petendo justiciam sibi fieri contra dictos predatores et illos specialiter de quibus in dictis actis et protestacionibus inde factis ad quos se refert continetur. Tandem dictus Bartholomeus nihil potuit obtinere facto regis et suorum officialium contra jus et justiciam impeditus quin jmo dictus Rex specialiter ....... ttendo nullitatem dicte sentencie contra jus et justiciam et protestaciones dicti Bartholomei impedivit indebite executionem dicte sentencie. Que omnia et alia plura in favorem dicti Bartholomei faciencia actus et actitatus in causa predicta exhibet et producit et ad que se refert et qui hic repetita et inserta haberi vult. Quare cum dictus Bartholomeus civis Janue fuit a dictis catalanis in mari pre-dicto spoliatus et damnum et predictam predam substinuerit a predictis catalanis contra quos petendo justiciam non potuerit jus et justiciam consequi facto regis, ut ex pluribus liquet. Ita quod evenerit casus et sit ex quo possint et debeant represalie concedi. Id circho supplicat quatenus dominaciones vestre in premissis dignentur de opportuno remedio providere concedendo dictas represalias contra dictum regem Aragonum et eius subditos, ex causis superius expressatis et hoc pro quantitate superius expressata, et pro aliis damnis et interesse et expensis que postea passus est et in dies patitur, donec sibi fuerit in premissis integra solucio et satisfactio facta. Et koc omni via juris modo et forma quibus melius potest et quomodocumque sibi melius competit. 1435 die secunda septembris. Responsio magnifici et prestantissimi domini.....ducalis in Janua locumtenentis et spectabilis consilii dominorum antianorum in sufficienti et legitimo numero congregatorum est quod elegantes legum doctores domini......vicarius prefati prestantissimi domini locumtenentis et sapientes communis intellecta suplicatione prescripta, visis videndis et auditis audiendis et specialiter viso capitulo communis Janue posito sub rubrica qualiter laudes et repressalie concedantur, referant utrum repressalie requisite per superscriptum Bartholomeum veniant sibi concedende vel ne. — 98 — 7. Diversorum Communis Janue. 10 maggio 1438. Proclama pro suspensione offensarum contra religionem Rhodi. Proclamate vos preco communis Janue in locis consuetis. Parte illustris et excelsi domiui Thome de Campofregoso Dei gratia ducis Januen-sium et libertatis defensoris et magnificorum consilii dominorum antianorum et officii Balie ac officii provisionis x'omanie. Quod sit omnibus notum ac manifestum fuisse hodie ex solenni decreto suspensas offensiones et damna inter sacram religionem Rhodi et subditos eius ex una parte et ipsos illustres dominum ducem consilium et officia et inclitum commune Janue ex altera per annum unum ab hodie proxime computandum: ratis ac validis remanentibus devetis ac penis statutis ne quis Januensis Rhodum accedat. Item et pari modo per anuum uuum suspensas fuisse omnes et singulas repre-salias concessas et concedendas contra dictam religionem et subditos eius ac bona ipsorum. Copia: J aco bus XIII maii Jacobus de Fortumaigo retulit proclamasse ut supra. 8. 1438 - 10 maggio - Litterarum Vol. Vili, lettera n. 667. Si manifesta al Gran Maestro neo eletto, amico dei Genovesi, Vesultanza di questi per la sua nomina. Secondo il suo desiderio si sospenderanno per un anno le offese e le rappresaglie, sperando che nel frattempo le controversie che le originarono vengano composte. Magno Magistro Rhodi. Difficile dictu, R.me in Christo pater, quanta quamque ingenti letitia profusa sit tota hec civitas cognita creatione vestra ad tantum fastigium dignitatis. Nam cum certum habeamus non solum litteris ac nuncio vestro ad nos transmisso. Sed quod certius est ipsis quidem operibus: paternitatem vestram con amatricem solum fuisse nationis Januensis sed quoddam velut refugium ac portum eius: congratulandum esse intellegimus non magis vestre paternitati quam nobis ipsis quod is magister creatus est: quem si nobis optio data esset nos communi huius populi consensu creaturi fuissemus. Itaque habemus deo gratias infinitas cum pro aliis plurimis beneficiis: tum quod hec vota nostra propicius exaudivit. Ut autem et ipsa paternitas vestra nostri afiectus sinceritatem cognoscat: hodie acceptis litteris vestris omnium offensarum ac represalium suspensionem decrevimus ut littere vestre fieri petierunt. Et quamquam multi nostrorum civium iniurias perpexi ne id fieret enixe supplicarent: querelis eorum preferendain esse judicavimus petitionem paternitatis vestre. Itaque ut diximus ad 99 anuum suspensio facta est. Reliquum est, prestantissime pater, ut summa prudentia vestra provideat ut hec que ex actis temporibus male acta sunt: que cives nostros magnis iniuriis affecerunt: et ob id ad controversias offensiones deventum est: intra annum ipsum componantur. Et si quid ante vestram navigationem potuerunt littere paternitati vestre prodesse: litteris tentetur. Nos autem in queque ius atque equum redolentia non modo semper inveniemur proni ac proclives: sed etiam nos habebit vestra paternitas in cuncta vota sua ex animis paratos. Data Xtt mai 1438. Thomas dux etc. et consilium Anthianorum communis Janue. 9. 1438 - 10 - maggio - Litterarum Vol. Vili, lettera n. 669. Decreto inviato ai dipendenti della Repubblica per sospensione delle offese e delle rappresaglie promessa nel documento n. 8. Thomas dux etc. consilium antianorum ac officia balie et provisionis Romanie Communis Janue: Universis et singulis capitaneis, consulibus potestatibus ac rectoribus nostris in transmarinis terris nostris constitutis et constituendis: patronisque ac ductoribus navium ac galearum et aliorum navigiorum dilectissimis nostris salutem. Movent nos reverentia ac sincerus affectus quo R.mum in Christo patrem d. Johannem sacre domus Sancti Johannis Jerosolomitani magnum magistrum et pauperorum Christi custodem colimus. Movent nos virtutes ac merita eius, movet amor ille quo scimus eum Januensem nationem semper fuisse complexum: ut petitionibus eius nichil abnuamus. In illius igitur gratiam et ut voto suo more geramus: hodie suspendimus et harum litterarum auctoritate suspensas esse jubemus offensiones ac damnorum illationes inter eundem d. magistrum sacramque Religionem Rhodi et subditos eius ex una parte ac nos et inclitum commune Janue ex altera per annum unum ab hodie proxime computandum. Et pari modo hoc eodem anno suspensas esse jubemus represalias omnes acquisitas et acquirendas contra religionem ipsam et subditos eius: omnemque ipsarum represaliarum processum et executionem. Ex quo virtute harum litterarum precipimus omnibus et singulis superius comprehensis ac reliquis omnibus ad quos attineat: ut a lesionibus eorum toto eo tempore prorsus abstineant. Et ut alii etiam offendere desinant: opportunis remediis provideant, potestati ac officialibus maris Chii tam quam proximioribus iniungentes ut curent cum ea religione viam modumque componere; ut et a Januensium offensionibus abstineatur. Hoc etiam ad tollendas excusationes declarantes: quod eo anno durante non liceat tamen Januensibus Rodum petere, sed valide rateque remaneant inhibitiones et pene statute: perinde ac si hec offensarum suspensio facta non fuisset. In quorum omnium testimonium etc. Data die Xa mai 1438. — 100 io. 1439 - 30 aprile - Litterarum Vol. Vili, lettera n. 1281. Si raccomanda al Gran Maestro Giovanni de Lestico Ottobono Saivago, che ha a Rodi una controversia contro la moglie del fu Giorgio Fieschi, affinchè gli sia resa rapida giustizia. R.mo in Christo patri d. Johanni de Lestico Sacre domus hospitalis S.cti Johannis Jerosolamitani magistro et pauperorum Christi custodi. R.me in Christo pater. In contractu ilJu concordie ad quam cum rev.do domino praeceptore Achaje agente pro vestra paternitate et sacra illa religione nuper devenimus: adiecus est articulus unus: quo declaratur nullum ex iis que acta sunt generari preju-dicium Otobono Salvaigo pretendenti jus sibi competere adversus uxorem q. Georgii de Flisco. Cum igitur Octobonu.s ipse vel illuc accessurus sit vel procuratorem missurus: paternitatem vestram rogamus ex animo ut eum velit in suo jure commendatum accipere ac jubere ut summarium expeditumque jus ipsi aut procuratori suo reddatur: quod nobis erit haud mediocriter gratum. Paratis semper in omnia vota vestra. Data ultima aprilis 1439. Thomas dux et consilium. 11. 1439 - 1° maggio - Litterarum Vol. Vili, letterali. 1282. Si raccomanda al Gran Maestro il frate Stefano di Santa Maria, inviato da L. Cardinale Arelatense e diretto a Rodi. Egli è gregario della S. Religione e suddito del marchese di Monferrato. Eidem Magistro Rhodi. Cum huc accessisset frater Stephanus de Sanctamaria a R.mo patre do. L. Cardinali Arelateusis ad nos missus: et Rhodum petere statuisset: nolumus eum ad paternitatis vestre presentiam venire sine litteris nostris commendaticiis. Nam et quod miles est illius Sacre Religionis et illustris domini marchionis Montisferrati subditus et a tanto patre cui plurimum afficimur commendatus: equum putavimus eum nostris favoribus adiu-vare: periude committimus ipsum ac res suas benignitati vestre quam precamur ut si quid incidat ex quo foveri ac sustineri petat R.ma vestra paternitas ita se gerere velit: ut cognoscat preces nostras sibi profuisse: qui sumus semper in cuncta vota vestra ex animis parati. Data la mai 1439. Thomas dux etc. - toi — 12. 1439 - 5 maggio - Litterarum Vol. Vili, lettera n. 1291. Si prega il Gr. Maestro di Rodi affinchè obblighi un certo Stefano Torre, catalano, a restituire ad alcuni genovesi 230 idre di olio indebitamente consegnategli per ordine del precedente Gr. Maestro. Magno magistro Rhodi. Arbitramur R.me in Christo pater novum contractum pacis et concordie initum cum R.do domino preceptore Achaje jam pridem ad vestram paternitatem fuisse transmissum. In eo appositus est articulus unus: quo promittitur vestram paternitatem mox rejectis dilationibus et contraditionibus coacturam fore juris remediis quoscumque obligatos pro Stephano Turri catalano ut solvant civibus nostris in ipso articulo nominatis pro idriis oleis ducentis triginta quondam indebite traditis eidem Stephano iussu celebris memorie domini fratris Anthonii prodecessoris vestri seu officialium suorum. Quod si liulle cautiones extarent: vel contra promissores procedi non posset: et constaret ipsum q. magnum magistrum vel eius officiales hanc nostris injuriam intulisse: vel eorum vitio aut opera id actum fuisse paternitas vestra Januensibus damnum passis reddet contra se ipsum ac religionem summarium et expeditum jus cum celeri et plenaria satisfactione pro ut verba ipsius articuli que his litteris includi jussimus: diffusius loquuntur. Nunc autem cum hi cives nostri quorum interest vel accessuri vel procuratorem missuri sunt ob eam causam ad paternitatem vestram illam precari statuimus ut quemadmodum conventum est vel contra fidejussores prenominati Stephani vel si contra vos procedi nequiret: contra ipsam religionem jus velit summarium ac expeditum reddere cum celeri satisfactione ut promissum est. Quamquam sumus indubii vestiam paternitatem quidquid futurum sit, non servatura modo fore que conventa sunt, sed accumulate exacteque impleturam quecumque propterea agenda sint: in cuius vota nos quidem offerimus prompte cupideque paratos. Data Va mai 1439. Thomas dux etc. et consilium. 13. 1440 - 9 gennaio - Litterarum Vol. Vili, lettera n. 1829. Si prega il Gr. Maestro affinchè, come promesso, faccia rendere giustizia sommaria da un giudice non sospetto nelle cause, vertenti a Rodi, di Damiano Squarciafico. Quemadmodum ex contractu con R.do d. preceptore Achaie inito: cognoscere potest vestra paternitas R.ma ac prestantissime pater: conventum promissumque fuit quod dilectissimo civi nostro Damiano Squarciafico jus redderetur summarium et expeditum a judice non suspecto in causis Rhodi agitatis non obstantibus aliquibus hactenus gestis aut indicatis: ita enim sonare videntur verba in eo contractu apposita. Nunc 102 — autem propinqui amicique ipsius Damiani nos adierunt quandam veluti querelam deferentes: hec que ita conventa sunt nondum impleta fuisse. Nec controversiis ipsius Damiani fuisse ut debuit finem appositum. Nos, quamquam haud dubie confidamus paternitatem vestram impleturam fore et quidem accumulata que conventa fuere: statuimus tamen ad excitandum precari prestantiam vestram ut jubere atque efficere velit: ut sicuti conventum est et forma qua conventum est: controversis ipsius civis nostri promissus finis adhibeatur. Quo circa dum consideramus id quod civis nostri commodum respicit: propter promissionem ipsam decus vestrum aspicere: intelligimus apud vestram paternitatem non esse agendum multa prece. In cuius vota nos offerimus ex animis paratos. Data: 9 januarii 1440. Thomas dux etc. et consilium. 14. 1440 - 17 marzo - Litterarum Vol. X, lettera n. 159. Si prega Bartolomeo d' Oria di appoggiare presso il Gr. Maestro Paolo Columbote, perchè ai Genovesi sarebbe gradito egli ottenesse la precettoria della città di Savona. Thomas dux etc. Generoso viro Bartholomeo de Auria nobis carissimo apud Rhodum. Intelligetis generose vir nobis carissime ex copia litterarum quas R.mo d. Magno Magistro scribimus quam his nostris inclusam invenietis: materiam de qua agimus. Nos pro religionis et Saonensis urbis honore haud mediocriter cupimus ut preceptoria illa Paulo Columbote dilectissimo nostro conferatur: sub quo locus reparabitur et ad pristinum decorem redigetur. Ex quo vos monemus et obnixius oneramus ut modis expedientibus prudenter curetis ut. R.mus d. Magnus magister huic petitioni nostre annuat et demum ita laboretis ut nec studio nec diligentia nec ardore huic negocio deficiatis. Data XVIIa martii 1440. 15. Diversorum Communis Janue. 1440 - 6 aprile - Filza 12. Tommaso d°, lliono chiede di essere ammesso alla divisione dell1 indennizzo dei danni recati nel porto di Rodi da alcuni Catalani ad alcuni Genovesi, fra i quali egli venne privato di sette socchi di cotone di Siria. La commissione giudicatrice ha rifiutata la sva domanda perchè fuori termine, ma egli obbietta che non era al corrente degli avvenimenti trovandosi in Cipro. Il decreto ordina alla commissione di riferire il suo parere. Illustri et excelso domino domino Thome de Campofregoso Januensium duci ac libertatis eorum defensori venerandoque dominorum antianorum consilio humiliter exponit Tomas de lliono civis Janue quod alips illata fuerunt certa damna nonnullis Januensibus per Catalanos in portu Bhodio in navi quondam Oberti de Auria inter quos damnificatos est ipse Tomas in sachis septem cotonorum de Siria. Propter — 103 — que damna conventum est cum dominis religionis Rhodiane de certa summa prò satisfacione ipsorum damnorum; quam non latere putat ipse Tomas dominationem vestram. Cumque super eiusmodi satisfacione et gestis super inde ellecti fuerunt Gaspar Gentilis et Gaspar Marrufus. Coram quibus ipse Tomas damnificatus ut supra debitam sibi satisfacionem petierit pro rata damni sui. Ab eis responsum est sibi nolle aut non posse quomodocumque impendere cum ipse non fecerit in tempore requisitionem suam de damno suo pro ut actum est ab aliis damnum passis. Quod quidem videtur esse inhumanum et ut ita loquatur contra debitum quod ipse qui fuit absens neque scivit acta in premissis neque etiam potuisset providere ad eiusmodi requisitionem faciendam cum esset in Cipro. Qua propter recurrit ad dominationem vestram quam humiliter et devote supplicat quatenus velit in predictis providere et sibi contributionem fieri facere sicut debitum justum et honestum et respiciunt, nec pati velit quod ipse Tomas qui ut premittitur fuit absens nec potuit providere neque etiam scivit gesta in premissis nisi in eius adventu a Cipro dum esset in Rhodo ita quod nullo pacto potuisset per se vel alium pro eo eiusmodi requisicionem proprius facere; quod exclusus maneat a contributione sibi debita de sui damni restauratone et superinde velit vestra dominatio taliter providere quod sibi fiat debita restauratio et contributio sicut et pro ut dominationi prefacte melius videbitur convenira. 1440 die VIa aprilis. Responsio illustris et excelsi domini ducis Januensium etc. et magnifici consilii dominorum antianorum in legitimo numero congregati est quod viri nobiles et egregii Gaspar Gentilis et Gaspar Marrufus qui eiusmodi rerum pleniorem habent notitiam auditis ipso supplicante et aliis quos audiendos iudicabunt referant ipsis Illustri domino duci et consilio quidnam sibi videatur faciendum in petitione suprascripta. A tergo: 1440 G aprilis. Thome de Illione supplicatio pro restauracione damnorum habitorum in Rhodio a Cattalanis. Cum decreto commissionis ad referendum. Ex foliato Magnifici Jacobi de Bracellis 1436 in 41 n. 8. F.to: Jo. Bartholomeus. 16. 1440 - 25 agosto - Litterarum Vol. X, lettera n. 466. Si concedono ai reverendi precettori del- comando della Cevenna e di Beuge un salvacondotto e delle lettere di passaggio. Reverendis ac prestantibus patribus dominis preceptoribus dicionis Gebennensis et Beuge. Reddite nobis sunt, R.di patres, littere vestre, quibus pro una triremi salvum-conductum aut saltem passus litteras amicicie vestre a nobis petunt: ut commodius possitis Rhodum petere. Quo circa dicimus vobis nos pronos et cupidos esse et in hoc et in aliis gerere vobis morem. Itaque offerimus vobis et salvumconductum et litteras — 104 — passus et quidquid potest in obsequium vestrum fieri. Quicumque enim eiusmodi litteras vestro nomine petet: eas illi confestim dari jubebimus. Data SXV» augusti 1440. Thomas dux etc. et consilium. 17. 1441 - 21 dicembre - Litterarum XII, lettera n. 79. Si prega il Gr. Maestro di voler scusare le offese recate a due navi e ad un balenerio appartenenti alla Religione e per errore creduti Catalani. Magno Magistro Rhodi. Quemadmodum R.me pater aliis litteris scripsimus: molestissimum nobis fuit ea que in Rhodio portu a nostris navibus acta sunt cognovisse. Quamquam quo diligentius et rem gestam et animos ac propositum nostrorum excutimus eo clarius intelligimus quidquid peccatum est errori non vitio dandum fore. Nam cum naves nostre jactis anchoris in portu vestro starent: ac viderent neminem Januensium qui plurimi Bhodi erant neminem fratrum, neminem incolarum permissum fuisse ad naves accedere non prorsus absque ratione malas suspiciones conceperunt. Deinde cum naves omnes que stabant: insignia queque sua ut moris est erexissent: soleque ille due et balenerius qui Gatalano-rum fuerant et adhuc esse putabantur: sine ullis insignibus sineque viris relicte viderentur non aberant verisimiles conjecture ut hostium crederentur. Cetera gesta sunt ut indiscretus error tulit. Verum qualis fuerit nostris animus: res ipsa per se sine aliis probationibus testatur.Nam ubi primum asseveratum est ea navigia religionis esse: reddite sunt ultro naves: redditum quidquid ex direptis inveniri potuit: pro reliquis oblatum precium est et debita satisfactio. Navesque Rhodias quas in mari prius obvias habuerant et post hec habuerunt ut par fuit, intactas illesasque dimiserunt. Que omnia probant nec nocendi animum nostris fuisse. Et quidquid in ceco illo discursu portatum est ex errore ac malis suspicionibus prodiisse: sicut nec dubitamus prudentiam vestram plane cognoscere. Que cum ita suut paternitatem vestram rogamus ut hunc errorem ut errorem accipiat. Ne ve illum gravius ferat quam moderationem vestram decet. Nos autem curabimus ne noxa impunita sit. Et que nunc imprudenter gesta sunt aliis beneficiis, novisque obsequiis corrigantur. Interea cives nostros in terris vestris obver-santes paternitati vestre obnixe commissos facimus: in cuius vota sumus semper ex animo parati. Data XXIa decembris 1441. Thomas dux etc. — 105 — 18. Diversorum Communis Janue. 1442 - 15 settembre - Filza 13 parte 11. Venuti a Genova ambasciatori della religione di Rodi per protestare per i dama e i furti arrecati da alcuni genovesi a due navi e ad un balenerio della religione nel porto di Rodi, viene nominata una commissione perchè ascolti e riferisca e un'altra perchè calcoli l’entità del danno. Ma i calcolatori non concludono mai: di questo gli ambasciatori si lamentano e citano altri danni e furti fatti da Genovesi e confutano una protesta di denegata giustizia a Rodi, fatta da un Genovese. Propongono poi di fare risolvere la controversia in uu terzo luogo, ma la proposta non è accolta. Allora redigono una fiera protesta che affiggono alla porta della sala del palazzo ove si raduna il consiglio. La risposta ciel Doge e degli anziani confuta la protesta degli ambasciatori dicendola non rispondente a verità. Venerandi et religiosi ac sicut fratres milites egregii Julianus de Beninis de Florentia praeceptor S.cti Jacobi de Florentia ordinis S.cti Johannis Jerosolimitani procurator et ambasciator R.mi domini Magni Magistri et conventus Rhodi Sacre Religionis vice et nomine prelibati R.mi domini magni magni magistri et convenctus Rhodi et totius sacre religionis predicte pro quo magistro et eius convenctu et tota sacra religione et omnibus et singulis infrascriptis et quolibet eorum prelibati domini fratres Aymarus et Julianus suo proprio et privato nomine de rato et ratis habitis, per solemnem stipulationem convenit efc promisit michi notario infrascripto tamquam persone publice stipulanti et recipienti pro omnibus et singulis quorum interest aut interesse posset quomodo libet in futurum sub ipotheca et obligatione bonorum eorum et cuiusque eorum omnium presentium et futurorum constitutus personaliter in presentia mei notarii infrascripti et exposuerunt et dixerunt quod de anno preterito et de mensis septem-bris in portu Rhodi et iuxta portum intrarunt et applicuerunt quinque naves Januensium ex partibus Chii ut dicebatur venientes. Quarum Capitaneus nominabatur Simon Massa patronii vero earum Nicholaus Gentilis, Stefanus de Auria, Franciscus de Furnariis, Baldassare de Furnariis et Angelus-Johannes Lomellinii et depositis et affixis ancoris dictarum earum navium incontinenti hostili more armatis barcis dictarum earum navium iverunt et seu eorum socios et complices miserunt ad duas naves religionis predicte et ad balenerium unum comunis Tezanici religionis existentes in dicto portu paratos pro eundo ad bellum contra Saracenos nimicos Cristi et sacra religionis et dictas naves et dictum balenerium ceperunt, derobaverunt et vacuaverunt omnibus eorum bonis fulcimentis et armamentis et aliis actis et habilibus ad navigandum et ad bellum et postea dictum balenerium incendio comburi fecerunt et plurima alia dapna fecerunt et dederunt in mari et in terra in maximis dapnis, iniuriis et vilipendium dicte sacre Religionis contra formam pacis inite et contracte inter illusfcriximum dominum dominum ducem Janue et inclitam comunitatem Janue ex parte una et dictam sacram Religionem ex parte alia et contra bonos mores ut de predictis dapnis latius constat per processum factum Rhodi contra prediccos dominos capitaneum et patronos et dixerunt et exposueruat quod de anno presenti et de mense maj dicti domini procuratores et ambasciatores se ipsos personaliter tradiderunt Janue coram illustriximo domino domino duce Janue et coram consilio antianorum civitatis Janueetcoram eo et eis coniunctim et divisim exposuerunt et narraverunt omnia etsingula . - 106 dapna et iniurias suprascripta per ipsos patronos factos cum querelis et cum reverentia rogaverunt prefatum illustrem dominum duceni nec non consilium predictum ut dictos patronos et alios cogerent ad satisfactionem dictorum dapnorum per eos dicte religioni datorum et factorum. Qui illustris dominus dux et consilium auditis predictis elegerunt quattuor venerandos cives Januenses, qui haberent ipsos ambasciatores audire et examinare eorum lamentacinnes et dapmna et postea coram eis referre in consilio et hoc facto dicti prelibati ambasciatores coram dictis quattuor civibus multotiens dapmna predicta per dictos patronos facta exposuerunt et narraverunt et quod postea dicti cives retulerunt in consilio ea que audierunt a dictis ambasciatoribus per modum quod dictis illustri domino duci et consilio clare constitit de dapmnis et rubariis per dictos patronos Januenses dicte religioni et eius hominibus datis et factis. Qui illustris dominus dominus dux et consilium visis et auditis dapmnis predictis per dictos patronos datis et factis elegerunt quattuor venerandos cives Januenses qui quattuor cives deberent summarie calculare dicta dapmna tantum per dictos patronos facta et data et in casu discordie deberent referre prefato Illustri domino duci qui tamquam quintus posset dicto calculo conclusionem dare ut de dicta eletione dictorum quattuor civium calculatorum constat manu Tome de Credentia cancellarii in palatio Januensi cuius tenor sequitur et est talis: 1442 die 17 julii, illustris et excelsus dominus dux Janue etc. et magnificum consilium dominorum antianorum in sufficienti et legiptimo numero congregatorum cupientes dare finem agendis Rodiane religionis et magnificos oratores dicte religionis contenctos reddere omni jure, via et forma quibus melius potuerunt et possunt ex potestate et balia eisdem attributa, tam coniunctim quam divisim eligerunt et tenore presentium eligunt viros prestantes dominum Baptistam de Flisco precep+orem etc. et Matheum Lomellinum per supradictos oratores nominatos nec non dominum Baptistam de Goano et Octavianum de Vivaldis nominatos per infrascriptos patronos ad calculandum dapmna per ipsos patronos et eorum quemlibet data dicte religioni et civibus Rhodiensibus. Qui calculatores in casu discordie referant prefato illustri domino duci qui tamquam quintus possit conclusionem dare dicto calculo, quorum patronorum presentia-liter Janue existentium nomina sunt hic sive agentium pro eis. Benedidtus Gentilis Antonius de Auria Angelus Johannes Lomellinus Baldassare de Furnariis Franciscus de Furnariis et sic subscriptus Thomas de Credentia cancellarius Et dixerunt et exposuerunt qilod ipsi ambasciatores coram prelibatis calculatoribus fecerunt in scriptis peticiones suas. Generaliter et in summa et etiam particulariter et distincte ad requisicionem dictorum calculatorum de omnibus dapmnis factis et rebus derobatis per dictos patronos cum réservatione penarum et iniuriarum rogantes semper dictos calculatores ut calcularent dicta dapmna et ea calculata in saldo ponerent. Qui calculatores nunquam viam calculi sumpserunt sed viam exceptionum et defensionum et judicii ordinarii contradicentibus continuo et protestantibus prefatis dominis procuratoribus et ambasciatoribus pro ut patet expresse ex actis factis coram prefatis dominis calculatoribus et quod dicti patroni fecerunt plures titulos adprobandum contra ipsos ambasciatores et non per illos probaverunt nec testes induxerunt et sint eorum — 107 contumacia accusati et sic eos de tempore in tempus ducebant et multis variis expensis vexabantur. Efc quod de predictis dicti oratores multotiens coram illustri domino domino duce et venerando consilio Antianorun querelarunt se et lamentaciones diversas fecerunt nec non cum quibusdam civibus Ianuensibus cotidie euntibus et conversantibus in palatio et nunquam per prefatum illustrem dominum ducem nec per consilium an-tianorum datum fuit remedium nec coacti fuerunt dicti calculatores ad calculandum dicta dapmna et viam calculi summendum et calculata in saldo ponendum et id nunquam facere curarunt nec ipsi ex eorum officio balia auctoritate et potestate dictum calculum fecerunt. Item dixerunt et exposuerunt quod Jerolimus de Auria de Janua cum quadam sua nave per eutn patronizata cepit cum dicta sua nave quamdam navem locumtenentis Tezaurii religionis prefate, existentis in portu Sapientie de anno preterito et de dicta nave cepit et derobavit contra voluntatem patroni eiusdem navis sclavos triginta inter maschulas et feminas qui erant dicte Religionis, de quibus restituit dicte religioni ex dictis sclavis sclavos quattuordecim et reliquos sclavos sedecim nunquam restituere voluit qui erant communis extimatum ducatorum mille auri et etiam cepit de dicta navi tot et tanta alia bona quae etiam ascendit ad summam ducatorum mille auri quam nunquam restituere voluit. Item exposuerunt et dixerunt quod Marchus de Negro de Janua tunc patronus unius sue navis vocate Lanave de Marco de Negro cepit vim quandam grippariam de Rhodi honeratam mercantiarum infermerii Religionis predicte in Ohanali Chii et eam duxit ad Portum Chandie et fecit dictus patronus de dicta gripparla et mercantiis quidquid voluit in gfave dapmnum infermerii supra scripti. Item exposuerunt et dixerunt quod dominus Baptista de Ginibertis de Janua tunc patronus unius sue navis cepit vim et arrestavit certas mercantias Anthonii Chaloteti et Palamides Minerberti Burgentium de Rodi et ob dictam capturam fuerit lata sententia in Chio in favorem dictorum burgentium contra dictum dominum Baptistam patronum et per eum fuerit ab illa sententia appellatum Janue et etiam fuerit Janue in causa appellacionis lata sententia in favorem dictorum burgentium contra eum sine taxatione expensarum et quod unquam potuerunt habere executionem dictarum sententiarum et taxatione expensarum et quod postea ad istantiam domini Ambrogii Grilli vigore cuiusdam protexti facti Rodi in persona domini magni magistri contra Chielem iudeum ibidem habitatorem per dominum Raffaelem de Vivaldis et Oddonem Grillum procuratores dicti domini Ambrogii Grilli dixerunt quod non fuerit eis administrata justitia secundum forma capituli et condictionis pacis facte inter religionem et Januenses ex eo quod dictus Chiel citatus coram judice et magistratu dato in causa predicta requirentes dicti procuratores dicti domini Ambroxi Grilli dictum Chielem quod deberet effectualiter solvere dicto domino Ambroxio certam summam et quantitatem de qua dicebatur debitor certis occasionibus et causis ipse Chiel respondit quod non in-telligebat linguam latinam bene. Quod darent petitionem eorum in scriptis ipsi vero procuratores negantes quod non intelligebant dare petitionem nec libellum protextati fuerunt de denegata justitia aut non administrata vigore eiusdem protexti et certorum statutorum Januensium dicentium ut asserunt quod eadem justitia administrata Januensibus in terris alienis talis administretur talibus de illa terra que tamen cum Reverentia negatur quod fuerit denegata aut non administrata justitia secundum formam pacis ex quo idem dominus Ambroxius Janue contra omnem debitum justifie non vocata parte obtinuit sententiam posse facere arrestari de sententiis latis in favorem Palamide Minerberti et Antonii — 108 — Cotecti et sic arrestatus fuerit contra omnera justitiam de quo iidem domini ambasciatores reclamaverunt se. Et sic juris ordine non servato et represaliis non obtentis arrestaverunt dictas pecunias dictorum mercatorum Rhodi propter pretensum debitum dicti judei contra omne jus divinum et humanum quia scriptum est quod pater pro filio et eo converso non teneatur et alteri per alterum non debet iniqua condictio inferri. Et quod ipsi ambasciatores pluries et pluries se personaliter presentaverunt coram prelibatis magnificis Anthiauis in eorum residentia et cum reverentia petierunt ab ipsis dominis Anthianis dictis nominibus sibi jus et justitiam ministrari tam contra soprascriptos quinque patronos pro dapmnis factis in portu Rhodi super dictis navibus et balenerio et in terra quam contra suprasciptos alios pro dapmnis suprascriptis per eos et quemlibet eorum factis siugula singulis referendo. Et ultimate prefati domini procuratores cognoscentes aperte et manifeste quod ipsi trahuntur in longum et quod cotidie sumptibus et expensis vexantur et molestantur in dicta civitate Janue in dictis litiggiis nec posse consequi iustam justitiam in dicta civitate Janue volentes ad liabundantem cautelam uti omni via possibili pro ottinenda justitia et bona amicitia conservanda. Obtulerunt prefati domini ambasciatores coram prefatis illustre domino duce et consilio quod contentantur quod dicta litigia et contemptiones videantur et terminentur extra civitatis Janue et insula Rhodi in loco tertio neltii partium suspecto coram uno vel pluribus non suspectis eligendis de consensu partium per ipsos illustrem dominum ducem et consilium quam peticionem et oblationem licet justissimam et equissimam prefati illustris dominus dux et consilium et dicti patroni non acceptaverunt imo voluerunt dictos dominos procuratores et ambasciatores permanere in dictis litiggiis Janue cognoscendis et terminandis ex quibus dicti domini ambasciatores plurimum laboribus et expensis fatigati fuerunt et frustra peragunt in dicta civitate Janue faciunt. Et quod ipsi domini Anthiani id nunquam facere curaverunt idcirco prefati domini Aimarus et Julianus nominibus quibus supra constituti ut supra notificaveruni. eorum magnificentiis quod per ipsos ambasciatores non stetit nec stat. Quin ipsi dominus dux et consilium administraverint et administrent sibi dictis nominibus jus et justitiam de predictis omnibus et singulis singula singulis referendo contra dictos patronos et quemlibet eorum idcirco nolentes super hiis inconsulte procedere et per longum tempus duci et variis sumptibus frustra vexari et jus suum indiscussum relinquere et volentes in depnitatis sue providere omni meliori modo via jure et forma quibus melius possunt cum omni qua decet reverentia in hiis scriptis solepniter protextati fuerunt contra ipsos patronos et quemlibet eorum licet absentes et eorum et cuiusque eorum bona ubicumque existentia et eorum et cuiusque eorum socios et complices nec non contra dictum dominum Ambroxium Grillum et contra eius bona ac etiam similiter protextati fuerunt contra ipsum dominum ducem et ejus venerandum consilium et totam magnificam civitatem Janue eius homines et bona de justitia neglecta et denegata seu vario modo frustrata de omnibus et singulis iniuriis dapmnis violentiis roberiis et interesse ac expensis per dictos patronos et quemlibet eorum et usque tunc factis et datis et in futurum fiendis et dandis occasione prodictorum. Que dapmna et res ut supra derobatas iniurias violentias interesse et expensas suo loco et tempore petent et totaliter cum effectu consequentur et petere et consequi intendunt sine alii nobis alii pro dicta religione et pro dictis Burgenzibus petet et consecutum tam Janue quam in quacumque alia mundi parte coram quibuscumque dominis et dominationibus et Retoribus et justitiarum administratoribus tam ecclesia- / sticis quam secularibus coutra predictos dominos patronos et quemlibet eorum et eorum et cuiuscumque eorum complices et bona nec non contra dictum dominum Ambroxium Grillo et omnium suprascriptorum bona et contra quoscumcjue alios Januenses et eorum bona. Reservato eisdem dominis ambasciatoribus iterum iure protextandi semel et pluries ac etiam iure addendi minuendi et corrigendi ad sensum ipsorum. Et ne de predictis dicti Illustres dominus dux et Anthiani possint ignorantiam pretendere et allegare, copiam omnium predictorum dimisit affixam hostiorum eorum........ex eo quia aderunt presentia accedere non potuerunt. Actum etc. presentibus etc. Marianus de Justo de Pisis notarius nec non ad presens notarius et scriba publicus dictorum amba-sciatorum de predictis rogatus scriptis. (In margine alia prima pagina del presente atto è scritto: In sala magna palatii residentie domini ducis inxtra audientiam dominorum Anthianorum et domini ducis tamen presentiam dictorum Anthianorum haberi non potuerit in loco eorum residentie congregatorum ut dicebatur). 1442 - die XVa septembris. Prefacti illustres et excelsi domini dux èt magnificum consilium dominorum Anthianorum visa supradicta protestacione quam in eorum exitu a residencia quam faciunt diebus singulis quibus congregantur in consilio invenerunt afixam hostio dicti consilii et quam protestacionem eisdem legi fecerunt. Respondendo dicte protestacioni presentibus et audientibus prefactis oratoribus sacre Religionis predicte dicunt quod non parum admirantur de contentis in protestacione predicta et pariter de ipsis. Dictis oratoribus qui nulam penitus juris habent nec habuerunt causam sit protestandi aliqualiter et potissime eo modo et forma qua protestati fuerunt quum possent quam seu quam primum dicti domini oratores fuerunt ad conspectum prelibatorum illustris domini ducis et magnifici consilii Anthianorum pro exponendo querelas et requisiciones suas. Eisdem per prefactum illustrem dominum ducem et consilium fuit data grata et copiosa audiencia quantum et quociens placuit dictis dominis oratoribus; et deinceps ut ipsi domini oratores possent commodius et abi-lius res et négocia sua et quod intendebat explanare et requirere dati fuerunt eisdem oratoribus quattuor prestantes cives honorabiles honesti et justiciam zelantes ut ex inde possent ipse illustris dominus dux et consilium claram iusticiam in prefatis ne-gociis et querelis administrare seu administrari facere viis formis et modis oportunis. Et ut habundancius scirent idem oratores disposicionem prefactorum illustris domini ducis et consilii omnimodo esse ut eisdem justicia sincera summaria et expedita re-deretur obtulerunt se idem illustris dominus dux et conscilium velle ut ipsis oratoribus supradicta justicia administreretur quibus offerebatur aliquis magistratus ordinarius si qui coram aliquo ordinario pro justicia consequenda comparire deliberarent ac etiam aliquis delegatus personaliter honeste sunctus si qui coram dellegato experire maluissent cui magistratui eligendo obtulerunt ipsi illustris dominus dux et consilium obnoxe mandare et imponere ut eisdem oratoribus summariam sinceram et expeditam justiciam administrarent. Quibus omnibus faotis et oblatis de consensu et expressa voluntate dictorum oratorum parte ex una et quorundam patronorum parte ex alia de quibus idem oratores conquerebantur et quos convenire intendebant fuerunt dati et constituti quattuor prestantes et honesti cives qui carculatores assertorum damnorum per dictos oratores apelaretur nomina quorum sunt hec venerabilis dominus preceptor Sancti Johannis et — 110 — dominus Matheus Lomelinus nominati per prefaetos oratores et dominus Batista de Goauo legum doctor et Otavianus de Vivaldis cum potestate et balia de qua patet publico decreto scripto manu Tliome de Credencia cancellarii hoc anno die XVII jullii coram quibus dicti oratores comparuerunt pluries et suas peticiones quas voluerunt detulerunt factis quibusdam responsionibus per ipsos pati-onos conventos et productis aliquibus titulis atque factis per predictos oratoi'es longissimis inteiTogatoriis ad favoi'em causarum suarum. Qui quattuor constituti ut supra nil dubitavei'unt justiciam facere et adimplere quam rem ex commissione sua eos facere oportebat quibus pendentibus jmo testibus productis nondum ex longissimis intei'rogatoriis productis per ipsos oratores receptis nulam dicti oratoi'es causam saltem legitimam habuerunt pi'otestandi ex quibus evidenter constat nulam neglegentiam aut causam imputari posse dicti illustri domino duci et consilio aut predictis quattuor quod ipsis oratoxdbus non sit ad-mistrata justicia imo imputari potest ipsis ox-atoribus qui ab ellectis de eorum voluntate expresse et ab eorum carculis et judiciis desistunt. Sed ut dicti domini oratores intelligant mentes predictorum illustris domini ducis et consilii ad ea que dicta fuerunt semper pax'atissimas et zelantes bonam caritatem et amiciciam.......illa sacre religioni offerunt se cum effectu precipere et mandare et cum effectu facere quod dicti prenominati quattuor causas supradictas expedirent et illis finem imponere. Et quia in eadem protestacione continetur quod eandem protestacionem hostio dicti consilii afixerunt et eo quod asseruerunt non potuisse ad presenciam prelibati domini ducis accedere respondent ipsi illustres dominus dux et consilium quod hoc minime est verum qxxia semper et quandocunque eisdem oratoribus fuit data copiosa et grata facultas ad eorum presencias accedei'e jmo ut est notorium dictam facultatem habet quilibet volens pro quibuscunque causis ad eos accedere quare in hoc bene admiratur quod hec asserantur per dictos oratores qui veritatem non sapiunt ulo pacto offerentes se de novo idem illustres dominus dux et consilium dictis oratoi'ibus copiosam et gratam preberi audienciam et facultatem die noctuque ad presenciam eorum accedendi quibuscumque occasionibus et causis et sic ut supradicunt et respondent dicte protestacioni. Salvo jure lacius respondendi adendi et minuendi ect. Imsuper prelibati illustres dominus dux et consilium, requirunt et rogant vos Marianum de Sancto Justo de Pissis notarium ut asseritur qui predictam protestacionem cumscripsisset et recepisset et pariter dictam suprafactam responcionem cumscribatis et recipiatis sicut facere debetis et ut decet ipsamque responsionem accetatis aliter solempniter proptestantur quod per ipsos noscatur et quin predicta faciatis et quam responsionem anotetis sub protestacione supradicta nec ipsis dominis oratoribus aut alteri persone de dicta protestacione copiam faciatis sine presenti responsione et ut facere tenemini et debetis ex officio vestro. Anno 1442 die XV septembris. Jacobus de Credencia subcancellarius prefatorum illustris domini ducis et consilii, respondendo dicte protestacioni quam prefati ili. domini dux et consilium affixa invenerunt hostio aule in qua regitur consilium, et quam protestacionem sibi legi fecerunt, qui Jacobus constitutum in presencia prefatorum dominorum oratorum sacre Religionis in Monasterio Beati Johannis de Janua, in aula in qua dicti oi'atores comedere consueverant, nomine prefatorum ili. domini ducis et consilii dicit quod prefati ili. dominus dux et consilium non parum admirantur de contentis in protestacione predicta. 19. 1447 - 6 giugno - Litterarum Vol. XV, lettera n. 48. Si prega il Gr. Maestro di restituire i beni sequestrati in Rodi ad alcuni nobili genovesi sotto pretesto che era stata arsa una nave catalana la quale era detta essere della Religione e che dai Genovesi sarebbe stata risarcita. R.me in Christo patri d. Johauni de Lestico ecc. Narraverunt nobis nuper, R.me in Christo pater, nobiles viri cives nostri carissimi Angelus Johannes Lomellinus et Antonius de Auria nomine Stefani fratris sui: fuisse anno 1441 de mense octobris Rhodi impedita et sequestrata bona plurima sua et aliorum Januensium et specialiter ea dicti Angeli Johannis que penes Guerardum Lomellinum tunc Rhodi agentem inventa fuerunt: et ea prenominatis Stephani qui penes nobilem virum Bartholomeum de Auria etiam ibi tane agentem similiter inventa fuerunt: sub pretextu quod balenerium si ve navigium quoddam Catalanorum arsum: quod Religionis vestre esse dicebatur a Januensibus emendandum foret bonasque ipsa impedita satis cito fuisse liberata retentis tantummodo his que dictorum Angeli Johannis et Stephani erant quasi ipsi balenerium combustum emendaturi essent: et post hec omnia bue accessisse: qui emendationem balenerii nomine religionis petebat: quem cum juribus suis non satis confideret: noluisse: postea inceptam causam prosequi et pendente lite ac sententia non expectata huic discessisse: certum est nec fuisse propterea bona eorum liberata immo potius de manibus predictorum Bartholomei et Guirardi sublata et arbitrio paternitatis vestre divisa ac partita et retenta usque in hodiernum in grave damnum ipsorum civium nostrorum: quemadmodum dicte paternitati notissimum esse affirmaverunt: petieruntque a nobis ut juri suo subveniamus potissimum cum offerant se paratos stare juri sempercumque adsit qui ea occasione contra illos quidquam pretendat. Nos, R.me pater, molesti semper ferimus quempiam nostrorum civium damno et iniuria affici: sed tunc, molestius cum clariores et potentiores cives leduntur. Jidem enim Angelus Johannes et Stephanus a clarissimis huius civitatis familiis ortum habent: continuoque fere magnarum navium ductores fuerunt et propter eorum studium ac rectum in nos affectum suum nobis carissimi sunt. Ex quo statuimus hec omnia paternitati vestre significare illamque ex animo rogare ut pro honore suo, pro ipsa justicia, pro conservatione mutue benevolentie et demum contemplatione nostra dictis civibus nostris bona sua restitui facere velit: quam restitucionem preter quod justa et honesta est: nos insuper accipiemus loco muneris specialis. Et si quispiam contra dictos cives nostros quidquam pretendit huc accedat vel mittat idoneum nunciuin et sibi jus optime reddetur. Alioquin cogeremur quamquam invicti pro indemnitate civium nostrorum alia remedia exquirere. Parati semper in omnia concernentia sublimitatem paternitatis vestre. Data die VI junii 1447. Janus de Campofregoso — 112 — 20. 1447 - 4 luglio - Litterarum Vol. II. lettera n. 228. Esortazione a Bartolomeo d’Oria affinchè da Rodi torni in patria. A tergo: Nobili civi nostro carissimo Bartholomeo de Auria in Rhodo. Janus etc. Nobilis vir nobis carissime. Vestris omnibus et nobis indignum videtur vos diutius a patria absentem fieri cuius caritas et si inter primas rationes movere potest vos ad revertendum amor vestrorum et tempora nostra nec minus ad id impellere et hortari vos possunt. Ut aliquando cum ceteris vestris de statu nostro et He republica vestra sentiatis. Hortamur igitur vos ut tandem patriam et ad vestros redeatis ut etatis que in vobis superest consolationem et quietem apud vestros habeatis in quo et patrie et vestrorum nostroque desiderio satisfacietis. Datum Janue die 4 jullii 1447. 21. 1449 - 9 settembre - Litterarum vol. XV, lettera n. 779. Si manifesta sorpresa dolorosa per non aver ancora ricevuto risposta alla lettera precedente e si avverte che si concederanno ai sudditi le rappresaglie che hanno chiesto. Si avverte pure che si manderà a trattare Antonio de Francis che sarà capilano di Famagosta. R.mo in Christo pater domino Johanni de Lestico etc. Litteris illustris q. d. Jani germani nostri ducis R.me in Christo pater, Janue datis die VI mensis junii 1447 rogata fuit paternitas vestra ut nobilibus civibus nostris Angelo Johanni Lomel-lino ac Stephano de Auria restitui mandaret bona illorum que Rhodi impedita fuisse dicebantur occasione cuiusdam balenerii a Catalanis combusti quod religionis vestre fuisse dicebatur, quasi balenerium ipsum a Januensibus emendandum foret. Quoniam nisi ea restitutio fieret non possemus civibus nostris expedientia remedia pro indemnitate eorum negare quemadmodum in dictis litteris latius continetur. Constat litteras ipsas fuisse paternitati vestre redditas et tamen hactenus cives nostros non esse satisfactos. Illosque interea preparasse scimus remedia a legibus nostris in similibus casibus excogitata: ita ut represalias expeditas contra subditos vestros et bona eorum ac omnes Rhodianos jam habeant; quas tamen ab illis esegui posse negavimus quoad usque id ipsum paternitati vestre significemus et ab ea responsum accepiamus, qualiter indemnitati ac justicie civium nostrorum providere decreverit. Illam igitur rogamus ut in re hac advertat et talia remedia excogitet que civibus nostris satisfaciant ut non sit opus via represaliarum uti. Et nos id accipiemus loco muneris qui sumus semper parati in queque sublimitatem vestre paternitatis concernentia. Commissimus preterea spectato viro Antonio de Francis futuro capitaneo nostro Famagoste ut cum Rhodum pervenerit paternitatem vestram adeat. Et cum illa de re hac sermonem faciat: rogamus igitur eam ut prenominato Antonio indubiam fidem prestet. Data die IX septembris 1449. Ludovicus dux et consilium Antianorum. — 113 22. 1449 - IX settembre - Litterarum vol. XV, lettera n. 780. Disposizioni inviate ad Antonio de Francis, inviato al Gr. Maestro secondo quanto si espone nel doc. n. 21. Dux Januensium et consilium. Spectabili viro Anthonio de Francis designato capitaneo Famagoste nobis carissimo. Dabit vobis Angelus Johannes Lomellimus instructiones suas illius cause quam habet cum R.mo Magno Magistro Rhodi occasione damnorum ab eo passorum: volumus igitur et vobis committimus ut cum Rhodum perveneritis presentiam illius magistri adeatis et cum eo omnia tentetis ac dicatis que pro comodo et favore nostrorum civium honeste tentari ac dici possint, rescribendo postea nobis quid egeritis. Data ut supra. 23. 1455 - 21 maggio - Litterarum Vol. XV, lettera n. 2285. Si concedono al Cardinale avignonese due scafi di galee per mandare delle triremi in aiuto dei Rodisst. R.mo in Christo patri d. d. A. Cardinali Avinionensi dignissimo reddidit nobis Franciscus de Castelleto, R.me in Christo pater, et domine d. vestras litteras quibus rogat sibi duo corpora galearum a nobis tradi equo precio ut celeriter triremes sex in auxilium Rhodiorum transmittere valeat: summa benevolentia qua nos et nostra omnia paternitas vestra complecti semper visa est: et in magnificum germanum nostrum Thomasinum abinde usa cum demum rediens ille in urbem pervenit: nec minus labor et ingens opera adhibita pro negociis R.di domini Pauli electi Januensis et germani nostri: efficiunt ut quodcuraque dominatio vestra a nobis petat: id omnino prestare debere censeamus acceptis itaque litteris paternitatis vestre statim vocari iussimus magistratus ad hanc materiam necessarios et ab eis decerni ut penitus hec duo corpora galearum ut petitur tradantur. Ex quo dicimus non modo illa duo verum etiam multa alia si expediat et quidquid aliud a nobis prestari possit: esse: paratum arbitrio vestre R.me paternitatis. Que sempercumque voluerit confestim poterit dicta duo corpora habere. Et si optat quamquam aliud pro se a nobis fieri id quoque curet nobis significari et cuncta efficiemus que sibi grata et Christiane fidei profutura sint interea commendamus R.me paternitati vestre prenominatum germanum nostrum dominum Paulum ac rogamus ut operam efficacem adhibeat apud Sanctum dominum nostrum qua illius consenciacio nunc obtineatur; nec est multum contendendum de etate presertim penes nos qui omnes iuvenes sumus nec hunc ducatum adepti essemus si etatis ratio et annorum habita fuisset. Data die XXIa mai 1455. Petrus dux 8 — 114 24. Archivio di S. Giorgio. 1455 - 5 ottobre. I negozianti genovesi dimoranti a Rodi chiedono ai Protettori di soccorrere prontamente Scio. Magnifici et prestantes domini. Dudun vestras accepimus cum litteris spectabilis domini capitani Famagostae quibus dactum fuit bonum recaptum. Iuteleximus jtaque deliberationes vestras super retentione opidis Limisonis quas per bonas aproba-mus. Et plus quam unquam laudamus eum nomine vestro tenere. Quin ex eo in futuro multa bona oriri possent. Ceterum notificamus vestrae magnificentiae quod ceperato nostro pasagio Chii pro ibi. Ille magnificentia Teucer ne quam minatur civitati Chii et insulae eiusdem. Sed magis dubitatur de isto primo tempore quamquam nunc de brevi sit sermo. Et quia locus ille est nationi maximae importantiae persuadetur ut citius eum melius providere de socis aliisque opportunis pro salvatione ipsius. Et quanto citius tanto meilius. Sumus semper ad vestra grata parati. Valete. Ex Rodo die 5 octobris 1455. Mercatores Januenses Rodi commorantes. Indirizzo: Magnificis et prostantibus dominis comperarum Santi Georgii communis Janue detur. 25. Archivio di S. Giorgio. 12 dicembre 1455. Il Cardinale d’Aquileia raccomanda ai Protettori di por mente a quanto scriverà loro il Canonico Antonio Multedo. Magnifici viri, amici nostri carissimi post salutem et cetera commisimus venerabili domino Antonio de Murtedo, ut de quibusdam negociis per agendis per suas litteras vobis significaret. Rogamus ut in illis expediendis curam et diligentiam adhibeatis, precipue in eo quod de ceteris navibus predictus dominus Antonius ad vos scripsit, rescribatisque nobis quidquid per vos gestum fuerit. Non alia. Parati etc. Bene valete. Ex urbe die XII decembri 1455. Magnificis viris officialibus S.cti (Geor) giis de Janua, amicis carissimis. Cardinalis Aquile yen sis pape camerarius etc. 26. Archivio di S. Giorgio. 13 dicembre 1455. Il Canonico Multedo chiede ai Protettori se possano caricarsi di grano due navi per essere spedite in soccorso di Rodi. Magnificis viris dominis officialibus S.cti Georgi meis dignissimis dominis meis honorandis8imis. Janue. Maguifici viri et domini mei honorandissimi Santissimus dominus noster papa inteligens necessitatem illius loci de Rodo ad cuius pedes fuerunt oratores qui expo- — 115 — suerunt calamitatem et desolationem illius loci et partium orientalium, deliberavit mittere certam quantitem granorum pro subsidio illius loci et comissit hanc rem R.mo Domino meo Domino Cardinali Aquilegiensi Sanctitati Sue camerario qui rebus omnibus provideat quare idem Dominus meus R.mus velet primo confissus de officio vestro venerando, cui valde afficitur informari a vobis si posset habere duas naves magnas in quibus frumentum predictum onerari posset et pro quanto precio videlicet quantum exponeretur pro singula mina pro naulo et quia opus est ut granum consignetur in Civita-Vetula et in Corneto dubitat ne naves magne ibi onerari comode posint si videretur nobis melius et facillius atque comodius habere naves mediocres videlicet de botis quingentis vel sexcentis orat nobilitates vestras ut etiam advisetis me cui boc onus ad vos scribendi dedit prefactus Dominus meus per litteras vestras et ortatur vos etiam ut placeat in hac re talem diligentiam adhiberi fruere tam pro informatione omnium quam pro minori impensa sive nauli quod fieri possit ut merito possitis apud Sanctum Dominum nostrum comendari considerantes etiam rem hanc piam esse et nes-sesariam at toti crestianitati utilissimam, non tamen vult dominus meus ut firmetis naves ipsas nixi prius scribatis quid fieri possit. Ego enin qui vestra R.ma Dominatio sua die noctuque sum a quo potestis pro utillitate illarum partium orientalium multa expetare propterea quod in manibus eius plura sunt etc. suplico nobelitatibus vestris ut dignemini quam citius potestis vestras laudabiles et utiles advisationes dare et si quid fiendum erit per Reverendam Dominationem suam quod offitio vestro et rebus illis orientalibus utile et nessessarium sit inteligetur Reverenda Paternitas Sua rem gratam efficere posse ego enin quantum in me erit pro honore magnifici offici vestri et utillitate apud Dominationem suam instabo ita ut inteligetis opperas meas vanas non esse dommodo significetis per litteras quid agendum sit, nec allia quam etiam ortatur idem dominus meus ut significetur similiter infra quantum tempus naves ipse expedicte erunt ad granum honerandum etc. me comendo nobillitatibus vestris quas feliciter Altissimus ex Roma raptim tertio decimo decembris 1455. Filius Antonius de Multedo canonicus Januensis et clericus camerae apostolice cum Racomandatione. 27. Arch. di S. Giorgio. 1456 - 30 dicembre. Lettera del cardinale d’ Aquileja, legato apostolico, scritta da Rodi. Magnificis dominis protectoribus comperarum Sancti Georgii incliti communis Genue, amicis nostris carissimis. Cardinali Aquileyensis. Domini Papae Camerarius Apostolice Sedis et Classis legatus etc. Magnifici domini amici nostri carissimi (?) ..... etc. Alias, cum Rome adhuc essemus, ad requisitionem nostram misistis ad nos egregium et integerrimum virum Jacobum de Marchesio civem nostrum Genuensem cuius servicia adeo utilia in hac nostra sacra expeditione sunt et actenus fuerunt, ut pro talis viri transmissione Magnificentiis vestris plurimum teneamur: vobis gratias debitas merito habeamus. Et quum dictum Jacobum velut hominem de nobis optime meritum precipua dilectione prosequimur, ideo ipsum affectuose comendamus prefatis magnificentiis vestris, habituri — 116 — "ratissimum, si sentiemus eundem Jacobum etiam nostri contemplacione vobis esse - ••■i» cariorem. Si quid aut valemus pro statu et utilitate nostra et magnifice civitatis nostre requirite, quia semper et ubique habebitis nos propitios. Bene valeant excellentissime magnificentiae vestrae. Ex Rodo die 30 dee. 1456. 28. 1460 - 8 aprile - Litterarum Vol. XXI, lettera n. .960. Si raccomanda al Gran Maestro di favorire presso la Curia romana la concessione della precettoria di San Giovanni della città di Genova al cittadino Brasco. R.me in Christo pater et domine honorandissime. R.me paternitati vestre putamus notam esse controversiam que in Romana curia agitur ad preceptoriam S.ctis Johannis civitatis nostre pertinens: que quo diuturnior est sine singulari incommodo preceptorie esse non potest. Nobilis dominus Braschus civis noster nunc istius prece-ptorie possessor et propter se et propter suos talis est qualem putemus dignitati huic et commodis convenire. Nihilque appetere quod sit contra decus et utilitatis mansionis. Rogamus igitus R.mam paternitatem vestram ut eum et omnia négocia eius suscipiat commendata. Et pro beneficii illius ac sui amore et nostra contemplatione curet ut omnis controversia tollatur. Ex quo et beneficium legitimun habeat administratorem et impensis parcatur: quas huiusmodi lites afferre solent propterea quod nobis erit pergratissimum quidquid R.me paternitatis vestre in favorem prefati d. Braschi statuerit. Ad quod quidem et si movemur primum ratione beneficii ne huiusmodi litibus laceretur, tum etiam persone prefati d. Braschi quam diligimus movemur etiam quod beneficium hoc quod natura sua situm habet animadversione in casibus civitatis nostre dignum: talem civem in administratorem et preceptorem ex nostris habeat qui sit nobis fidus et civitati acceptus. Et non externum in quo multa possent discrimina oriri, quod omnimo a mente vestra et religionis caritate alienum esse putamus. Parati semper in omnia R.me paternitati vestre grata. Data Janue die VIII aprilis 1460. Ludvicds de Valle etc. et consilium Antianorum. R.mo in Christo patri d. magno magistro Sacre Religionis et conventus Rhodi. 29. 14f)0 - 8 aprile - Litterarum Vol. XXI, lettera n. 961. Raccomandazione come sopra rivolta a^’ad miratus del sacro Palazzo e del convento di Rodi e della nazione italica. Reverende pater et venerabiles ac magnifici viri amici carissimi. Putamus reverendis dominationibus vestris notam esse controversiam que in Romana curia vertitur de preceptoria vestra istius nostre civitatis in cuius possessione est nobilis civis noster — 117 — dominus Brasclius Salvaigus per reassignationem sibi factam a fratre Gaspare de Ai-rasca: quam controversiam dolemus diuturnam esse, propterea quod sine singulari preceptorie incommodo esse non potest. Et quamquam audiamus eam controversiam a summo pontefice commissam esse duobus R.mis dominis cardinalibus et jam proximam fore expeditioni: non inutile tamen duximus rogare et hortari Sapientiam vestram ut si quid superest quod a vobis fieri possit id facere velint per quod huiusmodi controversia finiatur et maxime in favorem prefati d. Braschi quem propter se et suos talem esse non dubitamus qualis recte administration i ilii ac dignati conveniat. Verum cum beneficium illud pro natura loci multa animadversione dignum sit pro bis casibus quos varietas rerum apud nos afferre solet: talem civem appetimus qui est nobis fidus et civitati acceptus nec externo cuipiam posponendus, quem profecto in civitate nostra preferri non liceret. Hoc quidem sapientie et humanitati vestre suademus tum beneficii et persone huius nobilis civis nostri causa tum natura rei quam in cive hoc nostro tranquillitatem afferre et multa discrimina devitare potest. Quod habituri sumus etiam in complacentiam singularem. Parati ad omnia magnificentiis vestris grata. Data Janue die VIII aprilis 1460. Luddvicus de Valle etc. et consilium Antianorum. R.dis patribus et magnificis amicis carissimis admirato Sacre domus et conventus Rhodi ac nationi italice. 30. Diversorum Communis Janue. 1462 -15 marzo - Filza 26. Supplica di Jacoibo de Franchis Sacho, privato da Edoardo Grillo di merci dirette a Rodi, affinchè siano eletti dei probiviri a determinare l’entità dei danni, delle spese e degli interessi. Pro Jacobo de Franchis Sacho. Jhesus. Illustri et excelso principi et domino d. Januensium duci magnificoque consilio dominorum Antianorum civitatis Janue, pro parte eiusdem excelse dominacionis fidelissimi servitoris Jacobi de Frachis Sachi exponitur. Quod cum alias anno de 1460 ipse Jacobus mercator moraretur in terra Idronti in partibus Apulie naulizavit duo navilia patronizata per duos sclavonos que navilia honeravit seu honerare fecit oleis et vinis carnibus salsis et aliis diversis mercibus pro Rodo. De quibus quidem rebus et mercibus tercia pars honustis super uno ex dictis navilis spectabat et pertinabat dicto Jacobo et de rebus ac mercibus honustis super alio navilio eidem spectabat sexta pars. Et dum patroni dictorum naviliorum de partibus Appulie recessissent cum dictis rebus et mercibus honustis ut supra et proficiscerentur versus partes Roddi, fuerunt ipsa navilia sic ut supra honusta capta et intercepta et res ac merces in eis existentes prede ac sachomano exposite et presentim partes spectantes dicto Jacobo per Edoardum Grillum preminentem cuiusdam clasis Chii. Et quod Edoardus de rebus ac mercibus spectantibus dicto Jacobo disposuit pro libito et voluntate ex quo atenta forma capitulorum et ordinamentorum civitatis Janue tenet et ipse Edoardus eidem Jacobo ad omnia sua dampna interesse et expensas. Et cum ex forma regule de proibita inter- 118 — missione justicie propter predam in mari commissam constituendus sit specialis magistratus super dictis dampnis illatis ut supra pro parte antedicti devotissimi servitoris prelibate excelse dominacionis supplicatur, quatenus eadem dignetur dominacio magistratum elligere aliquorum proborum virorum, qui super dictis dampnis interesse et expensis ut supra per dictum Edoardum illatis et commissis, procedat iudicet ac determinet ac terminata et per ipsum definita executioni mandet summarie de plano sine strepitu et figura judicii. Ac sola facti veritate inspecta pro ut fieri debet atenta forma regule ut supra allegate citato tamen ad predicta Dominico Embriaco curatore dato bonis dicti Edoardi absentis. Et hoc si sua putat interesse. Sub protestacionem tamen quod per predicta seu aliquid predictorum nullum intelligatur generatum seu generari posse prejudicium juribus quomodolibet dicto Jacobo competentibus contra quasivis personas eidem Jacobo obligatas pro dicto Edoardo seu occasione dicte prede ut supra per eum comisse, que jura sibi fore et esse salva et illesa proptestatur. Die XV martii 1462. Illustris et excelsus dominus dux Januensium et populi defensor ac magnficum consilium dominorum Antianorum in pleno numero congregati. Intellectis dictis supplicationibus et contentis in se citatisque Marcho Grillo et Marcho Calvo tamquam proximis et affinibus dicti Edoardi contra quem suplicantem ac Dominico Embriaco curatore dicti Edoardi et eius bonorum et omnibus auditis contra predicta. Volentes justitie locum esse omnibus illis meliori modo via iure et forma quibus magis ac melius potuerunt et possunt elligerunt et constituerunt in magistratum et pro magistratu dicto supplicanti spectabilem d. ducalem vicarium qui ipsi supplicanti justitiam sum-mariain et expeditam sola facti verilate inspecta ministret cavilationibus ac dilationibus quibuscumque reiectis contra quoscumque contra quos occasione predicta justicie veniat ministrande. 31. Diversorum Communis Janue. 1462 - 21 maggio. Supplica di Gregorio d'ùria, creditore commerciale del fu Cataneo de’ Catanei, contro i cui eredi ha ottenuto due sentenze arbitrali favorevoli ed una sfavorevole della magistratura della mercanzia (quesfultima dolosamente ottenuta dalla controparte con falso giuramento) affinchè gli sia eccezionalmente concesso tutelare i propri diritti anche di fronte al tribunale ecclesiastico. Segue decreto favorevole. Gregorii de Auria. Illustri et excelso domino duci Januensium et magnifico consilio dominorum Anthianorum exponitur et humiliter supplicatur pro parte devoti civis vestri Gregorii de Auria q. Anthonii. Quod cum alias q. Cataneus de Cataneis q. Quilici esset recessurus de Janua et imposuisset racionem sicut consueverunt facere mercatores. Ipse Gregorius tunc in dicta racione partecipavi pro bona somma cum qua partecipacione et totaracione pluribus annis negotiatus est in diversis locis sed maxime in Rodo ubi pluri tempore moratus est. Cumque dictus quondam Cataneus de viagio Rodi ubi plu- — 119 — ribus annis fuerat commoratus Januam reverteretur in itinere decessit. Cuius heredes fuerunt quondam Neapoleo Cataneus et Francus Cataneus fratres dicti Catanei et Raffael Cataneus eius nepos. Et que bona racionis dicti q. Catanei postea gubernarentur et recollegerentur per q. dominum Dominicum Lercarium et dictum q. Napo-lionem Cataneum et aliquando per ipsum Gregorium cum eis et omnia solidari non potuissent contingit casus mortis dictorum q. Dominici et Neapolionis. Quibus defunctis omnia et singula bona raciones et cartularia dicti q. Catanei pervenierunt ad manus dicti Franci Catanei. Et cum ipse Gregorius pretenderet sibi non fuisse reditam integram racionem de pertecipatione sua qua era particeps dicte racionis ac de aliis iuribus sibi spectantibus in dicta racione. Tandem ipse Gregorius ex una parte et dictus Neapoleo primo compromissum fecerunt in Nicholò Cataneum et q. Raffaelem de Vivaldis arbitros et arbitratores et quia discordes fuerunt assumptus fuit tertius Antonius Salvaigus. Per duos autem ex eis fuit lata sententia, per quam fuit condemnatus dictus Neapoleo nomine heredis dicti quandam Catanei ad dandum eidem Gregorio certam quantitatem, sed cum ipse Gregorius pretenderet sibi deberi multo maiorem summam dicte sententie non acquievit sed conquerabatur sibi iniuriam fuisse illatam propter que postea mortuo dicto q. Neapoleone cum q. Baldassar de Vivaldis qui erat particeps racionis dicti q. Catanei pro certa parte cessisset eidem Gregorio jura sua contra heredes dicti q. Catanei et ipse Gregorius ex juribus cessis agetur. Tandem super dictis iuribus cessis ipse Gregorius ex una parte et Francus Cataneus nomine heredis dicti quondam Catanei aliud compromissum fecerunt in Paulum Branchaleonem et Marehum de Auria quos dictus Francus nominaverat. Qui etiam per suam sententiam condemnaverunt dictum Francum et per eum heredes dicti q. Catanei ad dandum eidem Gregorio dicto cessionario nomine certam quantitatem in eorum sententia contemtam et cum etiam ipse Gregorius cunquereretur se graviter lesum sed tamen aperte dictam sen tentiam non improbaret propter arbitrorum auctoritatem. Tamdemque obmissis querellis cum ipse Gregorius sententiam dictorum Pauli et sociorum executioni mandare intendent et forte etiam sententiam dictorum Nicolo et sociorum, dictus Francus qui jam tunc dolum fraudemque conceperat et persuasit eidem Gregorio ut si vellet de partium voluntate dicte sententie arbitramentales cessarentur et quemlibet partium uti posset iure suo et ita tandem factum est quia ipse Gregorius de iure suo confidens dictum Francum suo nomine et procuratorem Raffaelis et aliorum heredum dicti q. Catanei nomine cepit coram officio mercature convenire coram quo dictus Francus evidentissimam caluniam opposuit ipsum Gregorium non esse audiendum quia inter sex annos racionis sue partecipacionis et jurium sibi spectantium non requisiverat in judicio. Et propteiea se paratum obtulit jurare se credere dicto Gregorio fuisse integre satisfactum virtute cuiusdam capituli positi sub rubrica de eo qui facta accomendacione tacuit per sex annos. Cuius capituli licet verba et mens non convenerint quia dictus q. Cataneus Januam nunquam reversus fuerat quod dictum capitulum expresse requirit. Cum etiam ipse Gregorius non tacuisset sed continuo jus suum petiisset et ita constat ex pluribus compromissis. Tamen dicti officiales mer- cantie dolio dicti Franci inducti interpetrantes.......... dictum capitulum dicto Franco suo nomine et nominibus quibus interveniebat juramentum detulerunt. Qui juravit jmo perjuravit ipsi Gregorio fuisse satisfactum et sic ipse Gregorius per dolium et suffocationem evidenter reperitur jure suo privatus; cum constet ex inspectione cartu-lariornm dicti q. Catanei sibi non fuisse satisfactum; constet illudmet ex duabos sententiis arbitramentalibus. Et cum talis suûocatus notorie ex promissis constet et ex 120 — actis officii mereantie et procedat a dolo evidenti dicti Franchi ad domiuaciones vestras recurritur apud quas contra dolos, fraudes, suffocaciones justicie et evidentes iniurias impositum est remedium. Ideoque supplicatur ut dignentur antedicte dominaciones providere et decernere quatenus non obstante dicto: asserto juramento quod in veritate in tali casu deferri non debuit ac non obstante quacumque sentencia per dictum officium mercancie lata com veritate quomodocumque inquirere debuisset dictum officium. Liceat eidem Gregorio uti j'ure suo contra heredes dicti quondam Catanei ac si dictum juramentum delatum non fuisset et dicta sententia per dictum officium lata non fuisset aut saltam permittant dominaciones antedicte ipsum Gregorium posse uti quibuscumque remediis contra heredes dicti q. Catanei coram judice ecclesiastico non obstantibus quibuscumque capitulis vel decretis communis Janue in contrarium disponentibus, ne alioquin sub tanta fraude deceptus et suffocatus remaneat. 1462 die veneris XXIa maii. JEt.mus pater dominus Paulus de Campofregoso archiepiscopus et dux Januensium illustris ac populi defensor et magnificum consilium dominorum antianorum communis Janae in legitimo numero congregatum: audito aliquando ipso supplicante ac viso decreto quo prohibentur cives ac distrectuales Janue trahi extra curias secu-lares: nisi in casibus in eo declarati: discussione et examine ut mos est precedente: concesserunt ipsi Gregorio supplicanti liberam licentiam agendi in foro etiam ecclesiastico de periurio tantum contra quemcumque voluerit occasione suprascriptorum: non obstante ipso decreto. 32. Diversorum Communis Janue. 1463 - 3 giugno. Filza XXVII. Istruzioni date a Luca Grimaldi, inviato da Pio II per invocare aiuti contro i turchi che hanno occupata Perra e assediano Caffa e Chio con gran pericolo per Rodi e le altre isole nonché per lu città di Famagosta, già assediata. Deve chiedere al Papa trecento o quattrocento armati e delle indulgenze ed è anche incaricato di una commissione alla S. Sede per conto dei frati di S. Maria di Castello e di una per le Compere di S. Giorgio. Jesus. Paulus de Campofregoso Dei gratia archiepiscopus et dux Januensium ac populi defensor, consilium antianorum et officiuni super provisionibus Chii creatum damus et committimus in mandatis hec que dicentur inferius vobis spectabili domino Luce Grimaldo ad Sanctum dominum nostrum Pium secundum summum pontificem nostri parte profecturo. Et primo cum perveneritis ad conspectum Sanctitatis sue premissa oratione condigna, pedum osculos ac reliquis que ad reverentiam pertinent commendabitis nos ac nostram rempubblicam nostraque omnia Sanctitati Sue offeretisque ad omne decus et gloriam eiusdem beatitudinis quecumque cognoverit nobis non impossibilia, utpote qui semper devoti extitimus Sedi Apostolice ac specialissime plurimum affecti sanctitatis sue propter eius singulares ac incredibiles virtutes etc. Postaquam autem perveneritis ad narracionem eorum propterea que missus estis ad eius beatitudinem curabitis serio — 121 — enarrare molestias, direpciones, predas, damna innumerabilia que Tureorum rex ab annis decem citra contra omnes Oristicolas intulit et presertim contra Januenses, quot-que bella, captivitates virorum, mulierum, virginum et aliarum personarum ac bonorum depopulaciones, in nos commiserit et in dies studeat committere ac inferre. Capietis exordium ab occupacione imperii et urbis Constantinopolitane, in qua clade occupavit nobis dominium oppidi nobilissimi Peyre que fuit jactura intollerabilis tum propter universale damnum totius reipublice cristiane tum etiam propter nos in specie qui preter dominium loci ibidem amisimus nostrarum facultatum potissimam partem, qui etiam in eius loci defensione ac tutella prius contuleramus non leves impensas, imo gravissimas. Narrabitis insuper ab eo tempore citra opus nobis fuisse omni anno exponere maximam partem eorum redietuum ex ....... nobis sumptus necessarios et quotidianos parare. Consulimus circa defensionem Caffè urbis nobilissime quam tenemus sita in mari Pontico que nunc solla fore cum suis pertinenciis in partibus illis cristianum nomine observat at quam inhabitant viri cuiuslibet nacionis cristiane in maximo numero et ad quem locum defensandum singulis annis necessarium fuit viros armatos, victualia, bellica instrumenta, ac ceteros bellos aparatus trasmittere, sub sumptibus gravissimis, adeo ut quandocumque non valentibus navibus transcendere fauces illius angusti maris propter ictus tormentorum et bombardarum ac propter terribiles insultus illius Regis Tureorum, opus fuit via terrestri viros armatos transmittere ad illas mondi exstremas partes. Perierunt etiam quandoque naves crebris ictibus bombarum in faucibus illis hominesque partim mortui et partim captivi remanserunt. In quibus quales iacturas, quales sumptus, qualia damna perpessa sit Januensis res publica, vix lingua humana exprimi possit. Accessit ad predicta quia fuit opus eisdem artibus et sumptibus nos tueri ac Cristianum nomen pro defensione insule Chii nec enim dubitandum est quod si insula illa in Turchorum dictionem deduceretur, actum esset de partibus illis de Rodo et aliis omnibus insulis ac terris et locis illarum partium que Cristiani nomini deserviunt. Non etiam vacui sumus nec immunes a molestiis magni Soltanii, cuius opera contra civitatem nostram Famagostam insule Cipri bello quotidie exercentur, ac parantur, et in presentiam tenetur obsessa adeo et nisi Deus provideat sit perventura ad manus infidelium quod Cristus sui misericordia procul amoveat narrabitisque pro eius defensione nos exposuisse ne dum reditus illius insule annorum plurimorum, sed imo quos Habemus in Janua et unde vitam ducere consuevimus. Hec et alia huiusmodi adeo rem publicam Januensem exauserunt. Junctis aliis que quotidie nobis inminent, turbaciones et pericula ut non possimus tot necessitatibus ut esset necessarium providere, omnem tamen exhibuimus dilligentiam et facultates nostras, ultra quam possibile videatur, exposuimus, et quotidie exponimus, pro illorum locorum defensione proximisque diebus post captivitatem insule Hittileni que proxima illi est, missimus naves, armatos viros, bellica instrumenta et alios aparatus necessarios pro defensione dictarum insularum et locorum Chii et Famaguste, contra quam Chii insulam, ut est fama, rex ipse Turchorum ad bellum se preparat, naves, galeas ac bellicos aparatos instruendo et quotidie omnia machinando ut dictam insulam in suam redigat dictionem, ut qui intelligit in navibus habere victoriam, contra quecuuque alia loca orientalia postaquam illam insulam subegisset. Cuius insule qualitates et quam oportuna sit ad subventionem quorumcumque aparatuum quos esset oportunum.......tam ad defensionem adversus illum regem quam - 122 ad offensionem eiusdem inimici Cristianis nominis, satis est manifestum sue sapientissime Sanctitati et quibusvis peritiam habentibus de partibus illis, qua si privarentur Cristiani portum non haberent ad quem posseut declinare neque refugium in partibus illis. Dicetis autem nos quoad fieri potuit, hec onera supportasse, quamvis intollerabilia, potissime moderno tempore, quo undique afflicti vix possumus quotidianis necessitatibus providere, et nichil minus idem facturi sumus preter vires nostras: intelligentes tamen nou posse amplius resistere tam grandi potencie illius regis; dubitantes ne subiciamur propter eius inmensam potenciam et incredibilles operatus, transmissimus vos ad fontem pietatis et ad capud et patrem nominis Christiani ut oretis Sanctitatem Suam circa premissa. Dignetur et suas cogitaciones dirrigere et opportuna remedia preparare, ne tantum scelus subsequatur, hoc est enim precipuum munus quod incumbat Summo Pontifici contra scilicet inimicos Cristiani uominis auxilia ac defensiones preparare ac inquirere quamquam opus non sit id commemorare sapientissime Sanctitati Sue. Sed ad commemoracionem eorum que nobis accidunt talia exprimi enarrabitis, et demum summam pietatem petetis ab eius beatitudine dari nobis auxilia et oportunos favores, pro defensione illius insule et ut possimus contra impetum tanti regis crudelissimi resistenciam facere quod quidem ex nobis, nisi aliunde remedia subveniant, facere posse non intelligimus. Si Sanctitatis sua a vobis exquireret quid nobis occurrat ab eadem fieri posse, dicetis in primis maiore auxilio nobis opus esse et nichilominus consideratis oneribus Sanctitatis Sue, videri nobis ut possimus maiores aparatus expectare, quos speramus, pro debellacione illius perfidi et......Regis parari debere, autore et duce Sanctitate sua, in qua etiam nos et corpora et facultates sumus exposituri, et quid in nobis est, necessarium esse, interea nobis ne locus ille pereat, subveniri nobis, saltem de hominibus belligeris quandringentis vel saltem trecentis, qui cun aliis quos ibi tenemus, satis ut arbitramur suficerent, pro huiusmodi defensione, nos etiam ne dum reditus illius insule integros, sed imo ex propria sorte facultates nostras exposituri sumus, ut, et actenus exposuimus pro viribus et ultra vires nostras, et si talis numerus forsitan ab negaretur, deducetis usque ad numerum condecentem ad quem videatur vobis illum posse conducere commemorando Santitati sue, quantam laudem et gloriam pariat sibi et Sedi Apostolice talis defensio, que si negligeretur, in disperacionem deduceret populos illos et non tantum Chienses sed omnes Cristicolas si se conspicerent destitutos. Quod si intelligeretis nichil huiusmodi obtineri posse aut etiam parum recurratis ad impetracionem indulgentiarum quas curabitis obtinere in forma ampla ac favorabili et in hoc inspiciatis bullas alias otentas per officium S.ti Gerogii quarum copiam vobiscum habetis et si quas alias favorabiliores reperiri fuerit possibile, et non tantum in patria nostra et locis subiectis, que nichil vel parum prodessent, sed imo etiam in locis circumvicinis pro ut est Lombardia, Pedemontium, Sabaudia provincia et Lulexana et tota patria Marchionis Extensis et marchionis Montisferati et in Langis ac aliis locis circumvicinis. Peractis versus Summum Pontificem supradictis vel etiam post primam visita-cionem si non daretur vobis plena audiencia prima vice visitabitis singulos cardinales, facietisque illis debitas commendaciones et oblaciones oportunas nostri parte, precipue tamen ad R. d. L. Sancti Laurenti in Damasso Cardinalem ac Patriarcham Aquile-giensem et Apostolicum Camerarium, item ad rev.mum dominum Bononiensem ad quos precipue recursum habebitis et successive ad alios pro ut in dies melius vobis convenire videbitur, petetisque, ab eisdem, presertim illis duobus auxilia, consilia, fa- — 123 — vores efc dirrectiones oportunas. Si daretur vobis diilacio, aut responsum quod videretur advisationem a nobis exigere rescribatis quanto celerius fieri potest, et respondebitur incontinenti, aliquin obtentis possibilibus et cognito aliud fieri non posse, arbitrio vestro peteritis ad nos redire. Requisiti sumus parte venerabilium vicarii et fratrum Sancte Marie de Castello ordinis predicatorum ut pro eis intercedatis apud Summum Pontificem pro certis gratiis et dispensacionibus circa quasdam alienaciones bonorum ecclesie necessarios pro constructione ac edificiis illius monasterii, sumus contenti pro eis intercedatis et ita volumus, dabunt vobis instructionem suam, faciatis pro illis pro viribus in licitis et honestis. Eodem modo magnificos dominos protectores comperarum S.t Georgii sumus requisiti demus vobis in mandatis ut pro certis agendis dictarum comperarum laboretis et intercedetis apud Santictatem Suam, nostis quantum importent honor et utilitas dictarum comperarum toti rei publice Januensi, ideo volumus in ea materia de qua vobis dabunt commissionem pariter et instructionem, laboretis cum omni diligentia et soli-citudine secundum quod ab eisdem habebitis in mandatis, bec et alia huiusmodi pro prudencia vestra dirigetis, disponetis ac conducetis secundum quod prudencie vestre melius videbitur convenire et ad rei perfectionem conducere. Postquam ea omnia perfeceritis que ad insulam Chii pertinere videntur, volumus in quantum intelligeretis hoc etiam posse obtineri; eidem Sanctitati petatis concedere dignetur aliquas indulgentias pro civitate Caphe. Quod ut facilius impetrare possitis utimini illis verbis, et de importantia loci et de impensis factis per nos et in dies fien-dis, que prudentie vestre videbuntur et si id obtinebitis requirite ut indulgentie ipse se extendant in locis seu provinciis Brasonii Sibim. Bistrice Sacole et Septemscamini. Habebitis omni cum diligentia et prudentia exequi que supra vobis commissimus et omittere quecumque alia cuiusvis persone private. Et sic volumus faciatis ad penam indignationis nostre. 33. Diversorum Communis Janue 1465 - 21 maggio, Füza XXVIII. Petizione di Damiano Squarciafico affermantesi creditore di Bartolomeo d'Oria per la dote della sorella. Tale credito non gli è stato riconosciuto a Rodi ed egli si rivolge ora ai magistrati genovesi essendo venuto a Genova Giovanni, figlio ed erede di Bartolomeo. Questi nega la qualità di erede e le affermazioni dell’avversario, obbietta che sono trascorsi più di trentanni e nega la competenza del foro genovese. Il decreto è conforme a questa sua ultima affermazione. Pro nobile Johanne de Auria. Magnificus dominus Antonius Guidobonus ducalis secretarius et viceregens magnifici et ili. Domini Conradi de Poliano ducalis Janua locumtenentis et gubernatoris ac magnificum consilium dominorum antianornm in pieno numero congregatum. Cum audissent supplicacionem infrascriptam porrectam per nobilem Damianum Squarciafi-cum- cuius tenor talis est: Vobis illustri ac excelso domino domino ducali gubernatori ac magnifico consilio dominorum antianorum civitatis Janue exponit Daminus Squar-ciaficus heres q. Gabrielis Squarciafici quod cum q. Bartholomeus de Auria q. Maphei — 124 — qui habitabat ia Rodo esset debitor ipsius Damiaui dicto hereditario nomine de multis pecuniarum quantitatibus tam pro restitutione dotium q. Clare tilie dicti q. Gabrielis et uxoris dicti quondam Bartholomei, defuncte sine liberis quam etiam ex ratione currenti inter dictam q. Gabrielem ac dictum q. Bartholomeum ipse Damianus se transtulit ad dictum locum Rodi, ut recuperaret dicta quantitates sibi debitas a dicto q. Bartholomeo; in quo loco cum ipse Damianus convenisset dictum Bartholomeum coram magistratu ordinario pro restitucione ac satisfactione quantitatum sibi dicto nomine debitarum ipse Damianus fuit in dicto loco in iure suo oppressus propter nimios favores ac potentiam quos et quam dictus q. Bartholomeus habebat in dicta civitate Rodi ut notorium et manifestum est. Et sic ipse Damianus fuit frustratus et protractus in judicio per annos duos cum dimidio et tandem licet nulliter fuit lata sententia per evidentem enormitatem et injusticiam et maxime quia fuit declaratum dictum q. Bartholomeum potuisse in se retinere quartam partem dictarum dotium ex eo quia asseruit se esse inopem; cum tum esset dives ut manifestum erat: propterea quod iniquius fuit cum ipse Damianus desperans se iure suo decrevisset recedere ex dicto loco Rhodi: dictus Bartholomeus mandare fecit Conrado de Grimaldis tunc in dicto loco existenti fideiussori ipsius Damiani versus q. dictum Bartholomeum penes quem erant multa bona ipsius Damiani valoris ducatorum mille et plurimum quod non permitteret recedere ipsum Damianum ex dicta insula Rodi nisi terminatis causis ac variis litibus quas quottidie dictus q. Bartholomeus suscitabat contra ipsum Damianum: ex quo dictus Conradus recusabat ipsi Damiano restituere bona penes ipsum existentia. Unde ipse Damianus si voluit habere restitucionem bonorum suorum a dicto Conrado et recedere ex dicta civitate Rhodi, habuit necesse per instrumentum publicum quietationem facere dicto q. Bartholomeo de quantitatibus sibi debitis quod instrumentum fecit non voluntarie sed metu maioris damni et pro restitucione rerum suarum. Vero cum anno de 1436 venissent legati ex Rhodo Januam pro diversis tractandis ac componendis cum hoc inclito communi, et ipse Damianus tunc querelam fecisset de gestis contra ipsum in dicta civitate Rodi ad instantiam dicti q. Bartholomei. Et super promissis fuisset facta delegatio tunc auditoribus constitutis super expeditionem dictorum legatorum, tandem in instrumento contractus celebrato inter tunc illustrem dominum ducem ac agentes pro hoc inclito communi ex una parte ac tunc agentem pro R.mo domino Magno Magistro Rhodi ex alia fuit expresse conventum quod ipsi Damiano deberet reddi jus summarium et expeditum in civitate Rodi in causis suis, non obstantibus aliquibus in ipso loco gestis vel indicatis ita ut non haberet amplius justam causam querele, unde ipsus Damianus confisus de dicta promissione ac convenctione facta, denuo se transtulit ad dictum locum Rhodi, in quo loco licet per prefatum dominum magistrum ac eius consilium fuisset datus ipsi Damiano iudex et delegatus tamen prefatus iudex multipliciter ipsum Damianum dilacerabat ac frustrabatur causam in longo protraendo ac nimium favendo dicto q. Bartholomeo et tandem cum causa esset in terminis expeditionis ac probationis sententie dictus q. Bartholomeus fecit salvo inferi in actis cause quondam scripturam ipsi Damiano valde preiudicialem et per quam negabantur omnes scripture exhibite per ipsum Damianum, cuius scripture noticiam ipse Damianus nunquam habuerat et cuius scripture pretextu fuit lata sententia assolutoria in favorem dicti q. Batholomei, contra ipsum Damianum, licet per manifestam iniusticiam et oppressionem, de quibus et maxime de falsitate predicta ac de iniquitate dicte asserte sententie cum sepius fuisset facta — 125 — querela per ipsum Damianum coram prefato magno magistro ac consilio suo, ut de oportuno remedio providerent. Tamen nunquam putuit obtinere ut causa dicte falsitatis ac oppressionis a dicta sententia committeretur iudici confidenti ac non suspecto, licet fuisset oblati ac deputati nonnuli judices omnino suspecti ipso Damiano. Considerans itaque ipse Damianus et intelligens se non esse parem nec posse restitere favoribus ac potentie quam babebat dictus q. Bartholomeus in civitate Rhodi qui Bartolomeus etiam ausus erat coram magistratu ipsum Damianum impune verberare ac eiusdem opera manuale processus dicte cause ab ipso Damiano fuerat oblatus de mandato prefati domini magni magistri, nec ipsius restitucionem unquam obtinere potuit, desperato iure suo recessit ex dicta civitate Rhodi sperans aliquando fore ut aut dictus q. Bartolomeus aut eius filii Januam reverterentur, in quo loco justicie locus esset et remedia opportuna adhiberentur per inclitam dominationem vestram contra tot et tantas iniurias ac oppressiones ipsi Damiano illatas in dicta civitate Rhodi ob nimios favores ac potentiam et dolum dicti q. Bartholomei. Idcirco cum ad presens in civitatem Janue venerit Johannes de Auria filius unicus dicti q. Bartholomei qui licet neget se esse heredem dicti q. Bartholomei patris sui, tamen immiscuit in ipsius bonis et hereditate ac bona dicti q. Bartholomei, que erant satis ampla ut notorium est, habuit ac tenor: Ideo humiliter supplicatus quatenus dignetur prefata vestra dominatio contra et tantas ac notorias et manifestas oppressiones ac iniurias ipsi Damiano illatas in dicta civitate Rhodi et nimium favorem ac potentiam et ex dolo dicti q. Bartholomei de remedio opportuno providere et mandare ac committere cui vel quibus placuerit cum illa potestate ac balia que videbitur prefate vestre dominationi. qui jus reddat ipsi Damiano contra bona et hereditatem dicti q. Bartholomei ac dictum Johannem eius filium et contra quoscumque obligatos pro dicta hereditate. Non obstantibus quibuscumque sententiis latis et gestis in dicta civitate Rhodi inter ipsas partes, et presertim dicto instrumento quietationis que tenetur ac debet civibus oppressis maxime ob potentiam et favorem partis adverse providere ad que etiam citari petit Acelinum Squarciaficum pretensum curatorem datum bonis et hereditati dicti q. Bartholomei. Et ex adverso audissent Acelinum Squarciaficum curatorem datum bonis et hereditati q. Bartholomei de Auria in supplicacione nominati nec non Johannem de....... in supplicacione nominatum pro suo interesse comparentem et eorum advocatum respondentem dicte supplicacioni per hec verba: « coram vobis illustri domino ducali loeumtenente et gubernatore, magnificoque consilio dominorum antianorum Janue constituti Acelinus Squarciaficus curator bonorum et hereditatis jacentis q. Bartholomei de Auria q. Maphei et Johannes de Auria filius q. Bartholomei qui tum hereditatem non adiit nec per presentem actum vel alium quemcumque faciet adire intendit nisi quando hoc expresse declaraverit. Sed solum dictus Johannes comparet pro suo privato interesse citra adicionem hereditatis et quemlibet eorum coniunctim vel divisim et pro ut melius expedit occasione cuiusdam supplicacionis antedicte dominacionibus porrecte parte Damiani Squar-ciafici in qua multa narrari videntur que neque vera sunt, neqne verissimilia quibusque non consentiunt nisi in facientibus pro ipsis et non aliter. Dicunt quod cum debita reverentia talis supplicatio admittenda non fuit nec est, eo maxime quia narrata in ea vera non sunt, nam cum jam vetera sint ea que narrantur in ea, adeo ut triginta annorum et ultra tempus excedant et narretur dictum Damianum convenisse Rhodi dictum q. Bartholomeum et in favorem ipsius Bartholomei latam fuisse sententiam 126 — licet in dubio pro sententia magistratus presumitur quod sit iusta, tamen tanto magis pro ea, presumendum est quia lata fuit per magistratum quem dictus Damianus sibi elegit, nemo enim compellebat ipsum Damianum adire magistratum Rhodi si non voluisset. Postquam ergo illum ellegit sibi magistratum, equo animo pati debet eius sententiam quem elegit quam per publicum instrumentum quietationis, sicut ipse Damianus asserit confirmavit, nec est verum nec verissimile quod aliqua intervenerit suffocatio violentia vel potentia nota est enim omnibus vita et qualitas dicti q. Bartholomei: de quo nulla unquam fuit sinistra vel iniqua fama aut relatio. Et mirum est quod dictus Damianus contra sententiam approbatam per ipsum publicum instrumentum quietationis audeat supplicare verba non convenientia veritati in calunniam absentis et defuncti, quo vivente per triginta annos et ultra tacuit componere nec obstat contractus celebratus inter excelsum commune Janue et Religionem Rhodi quia talis contractus de dicto q. Bartholomeo nulla facit mentionem. Propterea cum nihil aliud contineat quod ministrabitur iusticia dicto Damiano summaria et favorabilis, talis contractus impertinenter allegatur. Et si dominationes vestre aures prebuerint talibus supplicaciouibus, nullus unquam esset litium finis. Nullus est enim magistratus, nulla tam justa sententia quam succumbentes semper calumniari non possit. Dureturque materia Januensibus aliis in Anglia, aliis in Fiandra, aliis alibi, per magistratus eorum locorum secundum leges suas condemnatis cum omnia négocia revolvere et omnem vitam hominum confondere, cum sit facile verba pingere allegare iudicare iniusticiam partis, potentiam et similia que copiose dictus Damianus licet minus vere narravit, que quante confusionis causa ferent, facile dominationes vestre possunt judicare. Propterea cum de justicia eiusque ministracione contra res judicatas et finitas maxime apud exteras nationes, dominationes vestre si intromittere non possint nec debeant virtute regule jurate de prohibita intromissione « iusticie » cum etiam de jure contra sententias latas resque finitas supplicari non possit. Ideo concluditur dominationes antedictas de contentis in dicta supplicatione se intromittere non posse nec debere, potissime etiam quia narrata in ea pro ut narrantur, vera non sunt, et supplicata fieri non debent, super quibus oretenus si audiri in examine requirunt, petentes dicte regule et juramenti vestri observantiam cum instantia quanta possunt, de nullitate agendorum, si secus fiat protestantes: intelligentes controversiam hanc de qua sermo est, vetustissimam esse: et cupientes partibus finem imponere et justicie locum esse habitis sepissime partibus suprascriptis coram eis et auditis quidquid queque earum in illa re dicere voluerit. Re inter eos plurimum examinata et discussa: habita in primis oretenus relacione a spectato d. Jacobo de Carcano vicario gubernatorio quid in ea re sentiret; ita ut maiorem noticiam de re illa haberent: Absolventes prius sex ad lapillos albos et nigros repertis lapillis tribus albis affirmativam dignificantibus, et undecim nigris, qui improbant eos posse intromittere et impedire de contentis in dicta supplicatione, omnibus illis meliori modo via jure et forma: quibus melius potuerunt et possunt, decreverunt et deliberaverunt sese non posse nec debere intromittere nec impedire de contentis in dicta supplicacione porrecta per dictum Damianum. eo que ex calculis illis nigris reprobata extiterit. — 127 — 34. 1473 - ultimo d’agosto. Diversorum registri. Registro n. 98 pag. 85 verso. Si dà ordine all'ufficio del mare perchè si informi di quali merci di una nave rodiota naufragata presso Medonum alcuni patroni di navi genovesi si sono impadroniti e li costringa alla restituzione. Pro navi Rhodiorum naufraga apud Medonum. Magnificus et illustris d. ducalis in Janua vicegubernator magnificumque consilium dominorum antianorum in sufficienti et legitimo numero congregati. Audientes ex navi una Rhodiorum que naufragium passa est superioribus diebus apud Medonum pervenisse quedam bona res et seu merces in Jofredum Spinulam, Franciscum de Grimaldis Federici et Petrum Justinianum, Gabrielem Recanetum patronos navium que eo tempore illic aderant: et volentes quod res bec modum habeat per quem videri possit justicie ubi opus fuerit et honestati consultum: commisserunt et virtute presentium committunt spectato officio maris quantenus diligenter omnibus, modis quibus ipsi officio videbitur se informet de predictis: cogatque ac compellat: omnibus illis modis et formis quibus eis videbitur dictos patronos et quemlibet eorum ad reddendum rationem de omnibus que ad eorum sive officialium aut nautarum navium suarum manus pervenerit: et quidquid cognoverint in eorum manus pervenisse fatiant sibi diligenter et per inventarium assignari: et sic penes se sub bona et diligenti custodia teneant donec aliud habuerint ab ipsis magnificis et illust. d. vicegubernatore et consilio in mandatis. Dantes et attribuentes ipsi officio circa predicta in procedendo omne arbitrium potestatem et baliam quam et pro ut habent et seu haberent in predictis ipsi Magn. et 111. d. ducalis vicegubernator et consilium. 35. 1474 - 15 marzo - Litterarum Vol. XXIV - lettera n. 1338. Si risponde a Ludovico re di Francia che ha esortato a rendere giustizia ai frati della sacra Religione affer-mantisi danneggiati da alcune nam genovesi che le navi della religione hanno naufragato per imperizia dei loro piloti. Ciò che da quel naufragio i patroni delle navi genovesi hanno catturato doveva essere dichiarato in giudizio e risarcito, ma un primo messo della religione se ne è andato insalutato ospite ed un secondo ha affermato di essere venuto non a intentare lite, ma a chiedere senz'altro soddisfazione e dopo avere protestato se ne è andato. Quindi poiché l'attore deve seguire il foro del reo, la questione non è ancora risolta. Serenissimo ac precolendissimo principi et excelentissimo d. domino Ludovico Francorum Regi Christianissimo etc. Serenissime ac Christianissime princeps et inclite rex. Acceptis pridie M.tis vestre litteris datis Carnoti vigesima septima mensis decembris anni superioris querellam quorundam venerabilium fratrum Sacre Religionis Rhodi continentibus qui asserunt se a quibusdam navibus nostris fuisse damnificatos — 128 — ex quidus vestra Christianissiina M.tias hortatur nos et impellit ut illis de justitia et satisfactione damnorum provideamus dicens huiusmodi curam ad se pertinere quod illa religio a divis precessoribus suis instituta ac defensa semper fuit, comminaturque nobis se si aliter a nobis fiat compensationem non negaturam ipsis, religiosis. Respondemus nos semper Serenitatis vestre monita cum singulare veneratione accipere: cum a summo omnium Christianissimo regum rege et nobis colendissimo proficiscuntur et hoc tempore quo nobis imperavit princeps Ill.mus M.tis vestre coniunctissimus d. Dux Mediolani qui hoc idem nobis suis efficacissimis litteris scripsit. Si enim de facto rei de qua questio est loquendum foret, dicere possemus que ipsi patroni constanter affirmant se nihil egisse per quod ea navis culpa sua naufragaverit sed ipsorum Rhodiorum qui navigandi imperitia se se in scopulis et saxa deduxere. Quod vero ex eo naufragio quidquam in potestatem ipsorum pervenisse dicitur patronorum hoc esse de quo sit questio habenda, in quo quidquid a nobis fieri pro justitia poterit prompte quantum in nobis fuit fecimus. Nam quam primum primus illius religionis procurator ad nos venit statim illi magistratum constituimus et eum quidem quem ipse sibi sponte elegit, qui illi justitiam summariam et expeditam ministraret sola facti veritate inspecta rejectis cavilationibus quibuscumque coram quo magistratu cum ab ipse procuratore agi inceptum fuisse jamque ita processum ut brevi spatio causa posset invenire finem procurator ipse insalutato et derelicta causa discessit postquam hic novus procurator advenit cum litteris vestre Majestatis cui mox idem obtulimus denuntiavimusque in ipsa causa esse magistratum coram quo posset causam prosequi et de sua justitia experiri. Et si quid aliud a nobis fieri posset ad effectum expeditionemque iustitie diximus nos ad omnia fatienda esse paratos et ipse etiam cum se non venisse ad litem agendam assereret sed simpliciter ac mere satisfactionem petendam protestatione quamdam, contra nos facta cui opportune ac juste judicio nostro respondimus, sexto die quo ad nos venerat abiit, de quo mirati sumus cum M.tis vestre littere nihil a nobis quam justitiam petere videretur, nec nos aliud facere deberimus quam providere ut justitia fieret, que ubi a nobis oblata non modo sed constituta est, nihil superest de quo juste argui possimus, nec nos nisi causa prius cognita ad quidquam aliud censeri possumus fore obligati. Sine enim actore justitia reddi non potest et actor forum rei sequi debet que sunt juris notissima. Placet quippe nobis quod ea sacra Religio talem habeat defensorem et qui non minus cum sit justissimus sapientissimusque quid deceat, quidve justum sit quam quod possit consideraturus, nihilque facturus quod ad ipsa justitia et erga nos clementia alienum sit. Superat quippe justitia omnem Religionem et que nulli magis quam potentissimo ac maximo convenit regi cui non ignotum est stante partium contradictione appetere prius de debito quam de satisfactione cognosci. Paratis etc. Datis Janue die XV martii 1474 Guido et consilium etc. — 129 — 36. 1474 - 15 marzo - Litterarum Vol. 24. lettera n. 1339. Lettera d'identico contenuto di quella del documento n. 35, ma inviata al duca di Milano. Duci Mediolani etc. 111.me princeps etc. Accepimus superioribus diebus excellentie vestre litteras datas vigesima septima mensis febrarii proximi elapsi monentes iterum nos ad adhibendam provisionem querelle illi Rhodiorum pro qua Christianissima Majestas ad ea litteras dedit sicut exemplo cognovimus et item ad nos edem fere sententie quodcumque vostra sublimitas suadet nobis vel etiam iubet nos in eam partem et cum ea veneratione semper accepimus quam accipere boni subditi a bonis principibus suis solent et debent. Nec est quod animo vel verbis nostris sensisse aliter unquam videamur. Diximus forsitan alias quod hic casus magne esset importantie. Ideo oportere Excelentiam vestram melius esse informatam ut querentibus de nobis rendere iustius ac consultius posset. Nunc dicimus si de facto rei loquendum esset dici a nobis posse quod patroni nostri in suam excusationem constanter affirmunt si navis illa Rhodiorum peri-clitavit non suam sed Rhodiorum culpa fuisse. Quod imperitia navigandi se ipsos in scopulos et in saxa deduxere. Quod non dicatur ex naufragio aliquid rerum in proprietatem nostrorum pervenisse. Hoc est de quo venit cognoscendum et in hoc fecimus quod usque adhuc facere potuimus. Quam primum enim superioribus diebus primus Religionis illius procurator ad nos querellam detulit. Magistratum illi constituimus et cum quem procurator ipse sibi sponte elegit, qui sibi justiciam summariam et expeditam ministraret sola dumtaxat veritate facti inspecta rejectis cavilationibus quibuscumque coram quo agere incepit. Et ita processit ut si perseverasset brevi spacio finem potuisse invenire. Qui cnedio insalutato hospite et derelicta causa descessit. Nunc rurusus venit alius procurator qui a nobis simplicem et meram postulavit satisfactionem dicens non venisse ad litigandum et facta contra nos quadam protestacione cui tamen oportune respondimus sexto die quo ad nos pervenerat abiit; quod mirum nobis visum est; cum plano intel-ligere potuerit nos magis facere non potuisse quam providere quod magistratus in administranda justicia procederet et expediret ad quod rursus obtulimus ei nos omnia facturos que ad effectum justicie forent necessaria, nec scimus de quo juste argui possimus. Nisi per nos non stetit neque stat ut de causa ipsa cum justicia cognoscatur. Sicut per alligatas scribimus Cristianissimo d. d. regi Francie et quomadmodum exce-lentia vestra ex exemplo hic incluso intelliget pro quo putamus justissimum illum sapientissimunque regem his cognitis non aliud velle quam justician. Neque ob hanc causam quicquan adversus nos facturum, quod sit ab ipsa justicia et honestate alienum. Intercedente maxime vestre sublimitatis sententia quam precemur ut ad ipsam Regiam majestatem scribere in hac causa dignetur pro ut ille pro juro nostro pro nostra excusatione justum videatur et ut vestra Celsitudo intelligat que cum primo procuratore et ex inde que cum hoc novo dicta aut gesta hic sunt, mittimus his annexa acta omnia que ad hanc causam pertinere arbitrati sumus, quo melius vestra Celsitudo de natura rei et de gestis nostris possit judicare et jura nostra tueri. In cuius jussa etc. 1474 - die XV martii. Guido et consilium. 9 130 — 37. 1474 - 5 aprile - Litterarum Vol. XXIV - lettera n. 1357, si ringrazia il Duca di Milano per l’intervento presso il Re di Francia e, poiché la vertenza di cui sopra non è ancora definita, lo si prega di ottenere dal Re un salvacondotto per i mercanti genovesi che vorrebbero recarsi alla fiiera di Lione. Ill.mo domino nostro. 111.me princepsetc. Intelleximus ex litteris excellentie vestre datisVigevani XXVI martii et ex exemplo litterarum vestri apud Christianissimum dominum regem Fran-chorum oratoris quantum studii clementia vestra adhibet ne rebus nostris apud regiam illam Majestatem sinistri aliquid accidat pro causa Rhodiorum de quo excellentie vestre sepe et magnas gratias habemus que prompte ac pie rebus nostris consulit et providet. Verum cum mercatores nostri qui pro more ad nundinas lugdunenses post Pasca solent accedere in cogitationem venissent continendi se ab illa negotiatione donec aliter certi essemus quid illa Cristianissima Regia majestas in ea causa facere velle videretur. In qua etsi justitia pro nobis sit quemadmodum ex sententia triduo ante lata per spectatum d. Vicarium gubernatorium et officium maris magistratum ad hoc costitutum ad instantiam unius oratoris huic missi per serenissimum dominum regem Renatum cum magno examine precedente (o procedente) late constat quam cum processu facto excellentie vostre misissemus nisi occurrissent hi dies sancti sed post Pascha fatiemus et pro ratione insuper credere debeamus sapien-tissimum justissimumque illum regem nihil adversus nos pro ea causa concessurum accedente maxime sublimitatis vestre opera ac intercessione que non minorem spem prebet nobis in re tamen non parve estimationis abstinendum pro nunc potius ab eo commercio duxeramus quam eundum ad res in suspictione laborantes nisi demum m hoc consilium devenissemus. Quod videlicet vostra eelsituto dignetur litteras ad Christianissimum illum d. regem et ad suum oratorem in eandem sententiam scribere, primumque rursus rogare et instare ne quid illa regia maiestas pro huiusmodi re adversus nos statuat nisi prius nos audiat et jura nostra intelligat et vestre celsitudini significet quid pro nobis vel contra nos sentire videatur ut vel tueri si opporteat apud S. Majestatem causam nostrain possimus vel saltem cavere ne incaute in impedimentum incidamus, preterea que dicere sue Majestati nos in hac dubitatione versantes continere voluisse mercatores nostros ne ad nundinas lugdunenses pro ista vice accederent nisi persuasum nobis fuisset ab excelentia vestra et spes ampla nobis prebita ut libere et sine ulla metu pro ista saltem vice ad illas eamus, quippe que existimavit hec facere posse pro ea que est inter Suam Regiam Majestatem et vestram Celsitudinem coniunctione et cui displicebat si mercatores vestri ab ea negociacione deviarent. Et ob id precari Suam Majestatem ne permittat ullum impedimentum mercatoribus vestris genuensibus inferri: presentim in his nundinis ad quas non aliter accessissent et hoc per binas litteras eodem exemplo scribere dignetur quarum unam per suos tabellarios mittere ad suum oratorem jubeat, et alteram ad nos per hunc tabellarium nostrum mitti quam nostri mercatores secum ferent. Quod habebimus ad gratiam ingentem et ad cumulum — 131 — excellentie vestre in nos benefifciorum accedet. Erunt enim he littere mercatoribus nostris magna fides vehemensque cautio ubi illa regia Maiestas in omni casu in magna estimatione pro ratione habitura sit si mercatores nostri ab excellentia vostra persuasi et sub eius fide ad nundinas illas accesserint, que etsi pro more in huiusmodi casibus multoque etiam majoribus secure omnibus esse soleant non minus securitatis sublimitatis vestre auctoritas attulisse videbitur. Etsi de his in eandem sententiam ad regium Lugduni gubernatorem execellentia vestra scribat id etiam probabimus et futurum utile arbitramur. Parati etc. Datum Janue die V aprillis 1474. Guido et consilium etc. 38. 1474 - 27 aprile. Litterarum Vol. XXIV lettera n. 1373. Si rende noto al duca di Milano che'è pure giunto a Genova un ambasciatore dei sudditi del Re Renato i quali pretendono di aver ricevuto danno per il suesposto incidente e che la sentenza della causa fatta ha dato torto a quelli. Ill.me princeps etc. Licet superioribus diebus scripsisse Exellentie vestre quantum in hac re opporteat arbitremur ita ut possimus apud omnes videri..... hanc cum summa justitia et omni circumspectione tractasse ne quispiam sit qui ob eam causam de nobis queri posset vel ullum genus impedimenti adversus nos statuere, duximus his etiam litteris singulatim que gesta sint postremo maxime recensere et vestre sublimitati nota facere, ex quo ubi aliquid innovari contra nos auderet possit de justitia, de honestate nostra contendere promptiusque favere nobis, juvare nos ne contra justitiam quidquid mali nobis aut nostris inferatur. Diximus pridem et significavimus vestre Celsitudini que hic acta fuerant cum primo at postea cum secundo procuratore misso pro parte Sacre Religionis Rhodi seu aliquorum religiosis illius fratrum quorum magis interesse dicebatur pro damno quod asserebat illa veneranda Religio et seu illi fratres fuisse sibi illatum a tribus navibus nostris apud Methonum in naufragio unius sue navis quod culpa nostrorum contigisse eis pretendebant et ob id ducatorum quinquaginta milia ':pro huiusmodi damnis suis; repetebant. Nam eum primo et secundo procuratori constitutus datusque a nobis^fuisset magistratus qui illis super huiusmodi querella sua justitiam summariam et expeditam ministraret et eam quippe magistratum in quem consenserunt et in quo fuit spectabilis utriusque juris doctor d. Johannes de Aimis excellentie vestre vicarius.* Jamque agi ceptum ab eis fuisset de causa agi et ad productionem testium deventum, abierunt, primus hospite insalutato et secundo quadam protestacione exhibita contra nos cui opportune respondimus, nullo expectato etiam judicio discessit dicens non ad agendam litem sed ad recipiendam satisfactionem venisse. Ac si nesciret oportere prius de causa cognosci quam de debiti solutione contendere. Neque nos ad aliud tenere nisi ad providendum quod justitia eis non deesset'nec foret dilata, in quo nihil studi pretermis-simus vel saltem contra nos agi non posse de satisfactione nisi prius cognitum esset nos ad aliquod obligari. Que res ita in jure clara est ut non indigeat multa disputatione. Nam si neque causam prosequi neque iuditium expectare voluerunt, irrita cen- — 132 — seri potest omnis querella sua et omnis protestatio sicut celsitudo vestra ex ipsis processibus ac protestationibus quas Celsitudini vestre missimus cognoscere plane et integre potuit. Postremo venit alius procurator subditorum S.mi domini Regi Renati qui se in hoc casu damnificatos fuisse pretendunt et secum litteras attulit S.mi illius domini Regis qui pro illis efficaciter intercessit et item vestre sublimitatis litteras. Quo audito dedimus ei statim magistratum juxta Excellentie vestre commissionem in quem consenserit. In quo unus fuit spectabilis vicarius excellentie vestre dominus Johannes de Aimis, pro ut etiam pridem fuerat cum speciali precepto ut illum in pauculos dies quod maxime petebat expediret, coram quo magistratu ipse comparuit et suo ordine est causam prosecutus producti et aperti utrimque testes super hisque accidisse dicebantur. Disputatumque vehementer eo quod hic procurator erat in jure licentiatus, demum instantie eo circa expeditionem licet dies sancti supervenissent quibus vacare prius anime quam corpori licuiusset lata est sententia in favorem nostrorum civium sicuti ex tenore eius et processu his annexo Excellentia vestra videbit, post quam sententiam procurator ipse etiam abiit relicta quadam vana protestacione cui est honeste tamen responsum sicut etiam ex exemplo hic annexo vestra Celsitudo intelliget. Que omnia cumque primo et secundo tertioque cum omni justitia apud nos gesta fuerint et ita postremo saltem discussa et ubique tueri ea possimus. Nec est quod culpe possit ulla ex parte nobis ascribi, nam etsi ipsa primum justitia monere nos poterat ad omnia fatienda, duorum tantorum Francie scilicet et Jerusalem ac Sicilie regum qui pro ea religione iutercedebant instantia et vestre sublimitatis enixa monita que nos permaxime exacuebant excitare ad aliquid magis preter solitum potuerunt, significando etiam duximus vestre Sublimitati ut juste pro nobis possit respondere et ostendere ubi necesse sit quam juste egerimus ac ubicumque opporteat nos et res nostras ab iunjura tueri sicut facturam eam pro sua erga nos clementia et pro jure nostro non diffidimus preca-murque devote ut facere sempere dignetur. In cuius decus et jussa sumus semper parati. Datum Janue die XXVII aprillis 1474. Gdido et consilium. 39. 1474 - 3 maggio - Litterarum Vol. XXIV, lettera n. 1379. Si riferisce al Re Ferdinando, che ha esortato a dare soddisfazione alla Religione di Rodi, quanto si è sopra esposto. Regi Ferdinandi etc. Ser.me princeps et inclite rex. Accepimus hodie M.tis vestre litteras datis Neapoli die XXVIIII mensis septembris anni superioris que si tarde nobis reddite sunt non tempus sed M.tis vestre metimur scripta et animum pro eo quod nos hortatur ad providendum querelle Sacre Religionis Rhodi: que pretendit damnum fuisse per naves nostras illatum uni navi R.di domini prioris S.cti Egidi illius Sacre Religionis et nostrorum culpa eam navim naufragasse multaque in hanc sententiam dicit sicut solet honeste et sapienter ac humane loqui, cum in hortando nos ad justitiam ministrandam, tum ad bene cum ea venerabili religione vivendum, cui decet omnem Cristia- — 133 — num non iniuriara, non damnum sed omnia amicitie prestare offitia quod prò comuni Orisfcianorum fide cum infidelibus assidue pugnat et insuper addit eam religionem sibi sotiam esse ac eo federe juncta ut tueri illam ab omni iniuria offitii sui esse intelli-gat. Respondimus igitur nos eodem consilio illam sacram Religionem semper in singulari veneratione habuisse et assidue omni benevolentia offitio prosecutos nihilque unquam adversus eam egisse quod extra amicitie officium videri posset, nam etsi eorum opera Crisfcianis omnibus communis sit quod pro comuni pugnat bono, nobis quippe peculiaris admodum est propter nostram in orientalibus partibus vicinitatem que mutuis potest debetque preservari beneficiis et certe placet nobis tantum regem ipsi religioni esset non modo affectum sed majori etiam vinculo coniunctum, quem scimus illi plurimum in omni casu opitulari posse, verum ea sapientia modestia ac circumspectione regem ut nihil nisi libratum circumspectumque ex omni parte agere soleat. Et non minus justitie quam federis ipsam rationem preponderante. Tres quippe procuratores quorum duo primi pro religione et tertius pro subditis S.mi domini Renati regis ad nos ob eam causam fuere destinati quibus omnibus cum ad id justitie offitio teneremur et illius Sacre Religionis amor nos excitaret exacuerentque non minus Ill.mi principis et Excellentissimi domini nostri monita, magistratum favorabilem statim constituimus quem mox ut sibi gratum acceptaverum qui summariam expeditamque justitiam ministraret cum nihil melius nihilque expeditius fieri a nobis posset. Quorum primus incepto juditio cum jam ad productionem testium ventum extitisset insalutato abiit. Secundus vero relicta quadam frivola protestacione cui honeste respondimus impatiens et ipse descessit dicens se non ad persequendam litem sed ad recipiendam satisfactionem venisse ac si non intelligeret prius necesse fore de debiti congitione judicare quam de satisfactione contendere. Tertius vero cum eadem causa si non edem persone esse viderentur juditium est mature prosecutus in quo sententia lata est per quam patroni illarum navium ab ea petitione absoluti sunt cum ex dictis testium plene constare compertum sit nullam fuisse nostrorum culpa si ea navis periclitavit que a nemine compulsa sed navigandi imperitia sese projecit in scopulos. Et si quid rerum ex naufragio ipsius navis nostrorum beneficio salvum fuerat est restitutum et oblatum. Quid enim, precellentissime Rex, facere in hoc magis potuimus quam providere querelanti bus de bono ac honesto et ipsis grato magistratu omnemque adhibere operam ut juditium expediretur. Quod si primi illi duo procuratores expectare noluerunt nec tamen prosequi non est juditio nostro quod culpe possit nobis ascribi: nec adversus nos quidquam pretendi quod ad aliud obligari posse non putamus jacturam illius Sacre et seu suorum Religionis ut in amicitia par est egre ferimus: sed ita fortuna tulit ita maris potestas quam nos sepe experimur et sepe tolleramus. Et quum Majestas vestra aliam insuper adiecit in ipsis litteris multorum annorum querellam quam religio ipsa non nominavit et que nobis non satis nota est si quispiam ad nos veniet justitiam postulans fatiemus ut Majestas vostra non minus quam ipsa sacra Religio intelliget nihil apud nos defuisse, aut defuturum de cetero ut cum ea honeste amiceque vivamus, cum propter eam tum vestre Majestatis intercessionem que singulari apud nos habetur semper loco. Parati etc. Datum Janue die III mai 1474, Guido et consilium. — 134 - 40 1474 - 3 maggio - Litterarum Vol. XXIV, lettera n. 1380. Si risponde come sopra alla esortazione del Papa. Pape. Beatissime pater et domine noster colendissime: post beatorum Sanctitatis vestre pedum ^obscula et humilem comendationem. Accepimus hodie Sanctitatis vestre breve datis vigesima tertia die mensis decembris anni proxime superioris et quam enixe Beatitudo vestra hortatur monetque nos ad providendum querelle Sacre Religionis Rhodi quam adversus tres patronos navium nostras deflerunt intelleximus, cui respondemus. Etsi illius Sacre Religionis veneratio nos haud parum excitaret si ipsius justitie cura quam proferre cunctis liceret ad providendum ut justitie querellantibus non dees-set. Exacuissent nos non minus ut exacuunt semper Sanctitatis vestre monita ut ita cum universis vivamus ex quo nemo de nobis queri juste posset et illa presertim religio cui inter ceteros Christianos pro zelo fidei, pro ea vicinitate que in partibus orientalibus cum ea nobis est que in comuni versatur semper periculo, non[modo bene-volentie ac amicitie prestamus libenter offitia sed quamcumque possumus impartimus benefitio. Verum cecus solet esse humanarum rerum affectus ut plerumque distrahat homines ab ipso vero juditio et in eam impellat credulitatem que sit magis suo desiderio consentanea. Hec enim querella cum jam tertio ad nos pridem delata esset per duos primo Religionis procuratores quorum primus constituto sibi a nobis statim magistratu et eorum quippe virorum quos ipse gratos sibi esse ostendit vix inchoacto juditio cum jam ad productionem testium deventum extitisset insalutato hospite abiit. Secundus vero dicens se non ad agendam litem sed ad recipiendam satisfactionem venisse: ac si nesciret oportere prius de debiti cognitione iudicare quam de satisfactione contendere expectato juditio discessit. Tertio vero etsi personam religionis illius non reputare videretur eandem tamen causam pro subditis Ser. mi d. Regi Renati egit qui in eo casu jacturam et ipsi accepisse asserebant et hocjuditium solemiter prosecutus sententiam contra se obtinuit quod testes inventi sunt qui nostros ab eo casu innoxios testificabantur. Nam si navis illa Rhodiorum periclitavit non culpa nostrorum sed imperitia suorum in scopulos prolapsa est. Et tamen si quid ex eo naufragio beneficio nostrorum salvum fuerat restitui fecimus et offerri. Quid enim summe pontifex et sanctissime pater facere magis potuimus quam sine mora de bono et honesto magistratu querellantibus providere, expeditionique operam dare ut non modo justitia non denegata sed nec dilata videretur. Non debet illa venerabilis religio aliud velle, non aliam cogitationem suscipere nisi que sit honestati tranquillitatique coniuncta. Quam quantum m nobis est omni studio nostro prosequimur etsi propter id ipsa aliud vellet quod non credimus, ubi opus fuerit pro innocentia nostra pro jure nostro pro honestate pugnabimus. Freti Beatitudinem vestram summum judicem ipsiusque justitie culmen defensioni nostre si honesta sit uonquam defuturam. Datum die III mai 1474. S. ctitatis vestre devotissimi Guido et consilium. 41. 1474 - 4 maggio - Litterarum Vol. XXIV, lettera n. 1385. Si dà relazione al duca di Milano di quanto si è scritto nelle due precedenti lettere. Ill.mo domino nostro. Ill.mo princeps etc. Accepimus rursus excellentie vestre litteras quas nobis reddit d. Melckio Coxa Jerosolomitanus miles et cum his breve summi pontificis et S.mi d. Ferdinandi regis litteras prolexiores (o perlexiores?) in quibus omnibus renovatur illa Sacre Religionis Rhodi querella de navibus nostris que dicuntur coegisse navem Rhodi d. prioris S.cti Egidi illius religionis in naufragium et plurimas ex ipsa navi merces extorsisse quorum omnium damnum ipsa Religio ad magnum auri pondus videtur extimare. Hortantur nos omnes ad justitiam reddendam et ad providendum ne illa Religio de nobis queri possit, et presertim sublimitas vestra enixe quod ut dicet magnifacimus serenissimus etiam Scicilie rex non minus urget quod eam religionem societate et federe ita sibi junctam esse affirmat ut necesse sit ei illam ab omni iniuria tueri, ut jam pluries scripsimus vestre celsitudini et postremo per Franciscum Verna-tiam cancellarium nostrum omnia in hac materia apud nos acta ei missimus, conati sumus quantum in nobis est ita de justitia providere ut judicio nostro argui a nomine (?) posse arbitremur. Et si procuratores Religionis juditium sequi noluerunt non est culpa nostra: quibus aliud offitii nostri prestare nequimus quod de bono et honesto ac grato illi magistratu providere et offerre quidquid a nobis ultra fieri posset ut justitia apud nos et in hoc casu presertim locum habuisse videri apud omnes semper posset. Nam nihil ita clarum est quin discuti prius et cognoscere opporteat quam de satisfactione contendere. Quod si procuratores ipsi facere noluerunt justus judex erit qui illis culpam non nobis ascribet. Is enim qui pro Ser.mo d. Rege Renato seu pro eis subditis ad eandem causam venit iuditium non neglexit in quo contra se sententiam reportavit quod plane cognitum extitit nostros causam non dedisse quod ea navis in scopulos dilapsa sit sed suorum imperitia navigandi et si quid ex naufragio beneficio et opera nostrorum salvum factum est, restitutum apparet et oblatum. Rescripsimus Summo pontifici et item Ser.mo illustri d. regi quantum pro justitia nostra pro honestate pro inocentiam visum nobis est expedire: ita ut credamus apud neminem damnari posse ob hanc causam vel cupari: nec tacuimus: si religio ille preffato Ser.mo Regi federe iuncta est non nobis dispiacere: ubi Rex sit qui non minus ipsam justitiam quam fedus in Religione habiturus videatur. Quem ne sciamus ita circumspecte omnia agere ut sicut societas sua religioni illi prodesse plurimum potest, ita etiam nemini cum iniuria nocere debeat. Quin enim amodo a nobis fieri possit neximus nisi sperare in justitia et auxilio vestre celsitudinis, quod defuturum nobis in rebus honestis pro sua erga nos clementia non diffidimus. In cuius jussa etc. Datum Janue die IV mai 1474. Guido et Consilium — 136 — 42. 1474 - 18 luglio Diversorum Registri - Registro n. 104, pag. 8 rato - Provvedimenti presi per ovviare al pericolo che il Re di Francia conceda alla Religione di Rodi le rappresaglie contro Genova a causa della nave naufragata Vanno precedente presso l’isola della Sapienza. Pro causa naufragi navis Rhodie. Convocatis ad conspectum Magnifici et illustris d. ducalis in Janua viceguber- natoris Magnificique consilii d. Antianorum spectatis oifitiis monete S.cti Georgii ali- isque civibus numero fere centum et quinquaginta: Recitatisque litteris quibusdam spectabilis viri Christofori de Bullate oratoris 111.mi d. nostri apud Christianissimum d. regem Francie oratoris ad excelentiam suam significantibus apud eum regem renovari quei ellam pro parte Religionis Rhodi de navi que superiore anno apud insulam Sapientiae naufragavit: cuius rei culpa non nullis patronis trium navium nostrarum ascibi videtur: et in dubio versari: ne Regia illa Majestas ab eam causam represalias contra nos concedat: ob idque peteretur consilium a convocatis adhiberi Nobilis Simon de Nigrono iussus suam sententiam dicere: quam universae qui aderant una voce comprobaverunt in hunc modum loqutus est: Semper ei displicuisse casum ipsum semperque dubitasse ne ex eo aliquid incommodi nobis accideret cum Religio ipsa apud Christianos magnos favores habeat et presertim apud principes occidentales qui non multum nobis amicantur et illi presertim qui si bene considerarent multa •u 6n 111 ^Seren^ huic civitati, nunc videre huiusmodi rem apud Christianissimum 11111 e°em renovari represaliasque ob eam causam contra nos concessas esse a Ser.mo re&e enato. Item ab uno Alamanie domino dubitari satis posse ne res hec magnam molestiam rebus nostris incutiat et ideo male scire quid dicere ad remedium possit presertim ubi mentio sit (oppure: fit.'') de mittendo ob hanc causam viro ad regiam am rancie ajestatem quia virum mittere ubi non recipi posse grato animi videatur: cire quem fructum sperare possimus. Litteras ob hanc causam scriptas ad eum regem bene stare juditio suo et nichilominus placere ei quod illustriss. d. ducalis vi- cegu ernator magnificique d. A.ntiani quatuor illis qui in ea materia sententiam tulere ac a iorum consilio si eis videatur intelligant quidquid in hac materia actum extitit. i i vi ebitur rursus et de novo scribere Ill.mo d. nostro mittereque ei processus sen entiam et acta cause ipsius, ac quidquid iustificare causam nostram videatur id acere possint precarique excel. suam quod in materia faciat intercedatque pro nobis ne iniuria nobis inferatur, et ubi ipsis dominis antianis ac quatuor et aliis si vocentur propediem aliud facere in hac materia videbitur id fatiant ad evitanda discrimina et majora detrimenta. — 137 — 43. Diversorum Communis Janue. 1474-XX octobris. Copia della lettera del Re Luigi di Francia ai Genovesi in risposta alle loro giustificazioni circa una nave da essi sommersa a Rodi l’anno precidente e per concedere ai Genovesi un salvacondotto nelle sue terre. Ludovicus Dei gratia Francorum rex. Spectabilis et precipui amici nostri carissimi: accepimus superiori die litteras vestras quas in causa navis illius Rhodio submerse ad nos scripsistis his enim cognovimus responsionem vestram excusatione-sque omnes quibus ea crimina diluere conamini, que circa navis illius naufragium nonnullis concivibus vostris obiecta sunt. Et cum satis dubitare videamini ob ea que jam superinde vobis scripsimus, ne in merces et bona vostra tum mercatores qui in regno nostro versantur aliquam fieri cadere compensationem permittamus. Nos primum pro devotione nostra erga religionem ipsam S.cti Johannis Jerosolomitani: Rhodios ipsos sive ex naufragio sive ex nautico certamine id obvenerit hanc jacturam passos moleste tulimus. Quare nobis non nullam acceptiorem facere poteritis quam si quos huius danni culpabiles vestros inter cives comperietis eos nulla penitus interposita lite confestim ad satisfactionem omnium damnorum compellatis: et ita demum per vos agi enitique hortamur: ut nullus sit de cetero huic querelle locus. Si quid vero de dicta compensatione vobis scripsimus: hoc eo certe animo facimus ut equitatem jure expeditissimo justitiamque in ea re servaretis: non ut ad aliquam huiusmodi compensationis hesitationem induceremini, itaque vobis minime dubitandum est nos quicquam erga vos bonaque vostra facturos quid ab honestate et justitia sit alienum: nullamque mercium hominumque vestrorum direptionem in regno nostro. Rodiis ipsis hac pro tam concessuros nisi prius nobis: aut consilio nostro perspecta dilucideque explorata totius cause cognitio extiterit. Quam ob rem bonis estote animis et ut ante hac ita post hac nundinis lugdunensis cum mercantili negotio vestro secure fruamini volumus. Enim vos tute cum mercibus rebusque vestris omnibus in ea civitate et ceteris locis omnibus huius regni aliarumque dictionum nostrarum posse frequentari atque versari. Denique vobis persuadeatis pro vostra in nos cognita fide et observantia: tum (oppure tamen?) vel maximo intuitu 111.mi Principis Galeaci Marie Vicecomitis duci Mediolani fratris nostri carissimi sub cuius dicione et imperio estis, vos amice semper a nobis benevoleque tractari. Datum Carneli XX octobris 1474. Lois A tergo: Spectabili et precipui amicis nostris carissimis vicegubernatori et an-tianis comunitatis Janue. — 138 — i 44. Diversorum Communis Janue, 1474 - 29 ottóbre • Filza XXXV, Copia della lettera di Cristofaro di Bollate al magnifico Giovanni Simonetta. Securitas ex galea. Copia litterarum Cristofori de Bollate magnifico d. Johann! Simonecte. Ho mandato per questo cavalaro ultimo una littera quale scrive questo cristianissimo d. Re et signata de soa mano, molto bona et amorevole alo M.co viceguber-natore et comunità de Zenoa, in resposta de la loro, scrita ad essa maestà circa la justificatione hano fato de quella nave de Rhodo, submersa lanno passato, et perchè lo secretario qua, dice che essa lettera e come uno perpetuo salvecond lieto; de’ loro Ze-noesi per qualche bone clausole che io gli ho fatto mettere. Voleva cautarla molto alta, tamen cum diificulta però. Computato sigillo, scriptura et signo de secretario in tuto, ho fata expedire per sette ducati, e ne mando qua inclusa copia accio vostra Maestà intenda el tuto. Ceterum in queste galeaze de la maestà del Re Ferrando quale sono prese in Lombardia, essendo in advisato che gli era dentro alcune mer-cantie dessi Zenoesi, et sapendo che omne cossa se metera al botino. Me he parso incontinente retrovame cum la Maestà del Re per non lassare perdere beni ne robe: alcune loro, sichè parlatogliene opportunamente me ha resposto che ad omne modo fara havere debita et conveniente consideracione ad questo et che tuto se conservera quello se trovara esser dessi Zenoesi. Sicché seria bene darne aviso ad Zenoa, acioche caduno particularmente avisa et consegla al facta suo dal canto mio fare in questo sempre et in omne alia cossa in loro utile et beneficio quanto per li più degni et cari subditi habia el nostro Ill.mo principe sapendo esser cossi la volontà et disposinone de Sua celsitudine. Recomandome alla vostra Maestà. Datum Carnoti XXIX octobris 1474. 45. Archivio di S. Giorgio 1475 - febbrajo. Supplica diretta al Governo di Genova da Gabriele Bianco di Rodi, patrono di una nave carica di frumento per ottenere la restituzione di essa nave predata nelle acque di Porto Longone dal nobile Aleramo Salvago, la rifusione dei danni ecc. Illustri domino ducali vicegubernatori et magnifico consilio dominorum antianorum communis Janue humiliter supplicatur et exponitur pro parti Gabrielis Blanchi civis et habitatoris Rodi quod cum superioribus diebus ipse osset patronus cuiusdam balenerii portate cantariorum quinque millium vel circa quodquidem balenerium fuit et est Manuelis Ferandi civis Rodi origine propria licet origine paterna sit januensis. Et hoc pro tertia parte. Pro reliquis vero duabus tertiis partibus dictum balenerium fuit et est Busach Bel Fara civis et habitatoris Rhodi a quibus ipse Gabriel fuit patronus constitutus, et cum dictum balenerium onustum frumentis pervenisset et ipse Gabriel — 139 — ad portum Longoni insule Hilve fuit captum per nobilis Alerami Salvagum patronus sue navis una cum salmis ducentis quadraginta frumenti ad mensuram calabre. Que frumenta fuerunt onerata per Lucam dei Bon de Limontibus de Gaeta de ratione Ambrosii Spaniogem et ipsum Gabrielem patronum nomine predictorom dominorum dicti balenerii dicto balenerio frumentis et aparatibus ac scripturis et omnibus in balenerio existentibus spoliabit indebite et iniuste. Quia cum religione Rodi et omnibus abitato-ribus dicti loci ducalis exelentia comune Janue non solum pacem eo tempore et nunc habebant et habent sed etiam amicitiam propterea supplicatur Dominationibus vestris quibus de omnibus et singulis predictis offertur prumpta fides. Quatenus expediat ut dignentur in premissis de oportuno remedio providere. Ita et taliter quod pro conservanda pace et amicitia antedictis eidem supplicanti restituantur per dictum Alerame dictum balenerium cum suis aparatibus ac cum onnibus et singulis bonis ipsius Gabrielis patronus et scripturis ad eum sive.....ad eius scribam pertinentibus et ultra sulvantur naula pro dictis salmis ducentis quinquaginta frumenti. Salvo jure ipsorum frumentorum dominis eorum.......eidem satisfiat, de omnibus et singulis damnis expensis et interesse passis vel in futurum paciendis occasione dicte indebite captarae ac spoliacionis ac providere in premissis per Dominationes vestras taliter quod dictum balenerium non moveatur de portu Janue donec super premissis fuerit cognitum et decisum et provisum sicut justiciae convenit in premissis ac dependentibus ab eis. Requirens provideri summarie et sine lite sine strepitu et figura judicii et pro ut in similibus fieri debet et consueverit. Die X febbr. 1475. Magnificus et illustris dominus ducalis in Janua vicegubernator, magnificumque consilium dominorum antianorum in pleno numero congragati: intellecta dicta supplicatione et contentis in ea: ac audito ipso supplicante et quidquid dicere aut allegare voluit ex adversoque audito ipso Aleramo tam oretenus quam in scripto: volentes justicie locum tore, secuti morem et regulam de preda facta in mari: commisserunt et virtute presentium committunt spectabili domino vicario Gubernatorio et sindacatoribus quatenus audiant partes et intelligant quidquid una queque pars pro jure dicere aut ostendere voluerit justitiamque summariam ac expeditam mini&trent, sine libello et pignore bandi. 46. 1475 - 21 febbraio. Diversorum Registri - Registro n. 104, pag. 74 verso. Si ordina ai Sindacatori, ai quali è affidata la causa di cui si parla nel documento 45 di amministrare la giustizia e di eseguire la sentenza. Pro nautis navis quam dicitur de Rhodo Magn. et 111. d. ducalis in Janua vicegubernator magnificumque consilium d. antianorum in sufficenti et legitimo numero congregati. Auditis quibusdam nautis de Rhodo navis capte per Alaramum Salvaigum in canali Piombini cuius patronus erat Gabriel Blanchus: dicentibus capta fuisse eis quedam bona sua per dictum Alaramum ex ipsa navi deberique eis non paucas pecunias pro suo stipendio: quo omni casu venit illis — 140 — persolvendum: cum sint de Rhodo amici communis Janue et ob id petentibus de remedio sibi provideri et quidem celeri cum non habeant unde possint suplere victui suo: citato ipso Alaramo qui non comparuit: volentes justitie locum fore commisserunt et virtute presentium committuut Sp. d. Vicario Gubernatori ut Sindacatoribus quibus delegata est causa inter ipsam Alaramum et patronum navis predicte: quautenus audito ipso Alaramo et ipsis nautis justitiam ministreut sumariam et expeditam: visa facti veritate sine libello et pignore bandi et quidquid judicaverint exequantur. 47. Archivio di S. Giorgio. - Marzo 1475. Protesta del suddetto Gabriele Bianco di Rodi al governo della Repubblica, perchè non sono stati sentiti alcuni testimoni nella sua causa contro Aleramo Saivago. Illustribus et magnificis dominationibus vestris exponitur et supplicatur pro parte Gabrielis Blanchi civis rhodiensis quod cum superioribus diebus ipse tamquam patronus cuiusdam balenerii Mànuelis Ferandi et Busach bel Fara omnes habitatores Rhodi, fuisset possessione dicti balenerii spoliatus per nobilem Alerame Salvaigum cum sua nave contra jus et amicitiam, pacem ac benevolentiam vigentem inter dominationes vestras et dominationem Rhodi et per dominationes vestras fuisset causa co-missa spectabilibus dominis vicario ducali et sindacatoribus coram eis etiam procederetur ad verificationem eorum que ipse Gabriel asserebat fuisse alligatum contra ipsam quod non est audiendum nisi prestata (?) fideiussione iuxta formam cuiusdam decreti allegati et cum ipse Gabrielis haberet testes de proximo recessuros informatos de veritate jurium suorum tamen non obstante pro tanto periculo recessus eorum dil-lata fuit receptio testium et tandem cum dicti domini diligati super hoc essent deliberaturi reperti sunt discordes ita quod ipse supplicans impeditur producere testes suos sub pretextu dicti asserti decreti cuius verba et mens presenti cause nullo modo conveniunt et cum de hoc satis coram delegatis dictum esset maxime quod dictum decretum loquitur expresse quando aliusquam spoliatus vult defendere bona inimicorum pro bonis amicorum qui non est casus noster ac etiam loquitur in casu quo verisimiliter comprehenditur merces esse inimicorum quod deficit in casu isto quia ipsemet Gabriel est ille qui fuit spoliatus et qui incontinenti offert probaciones per quas constabit ipsum fuisse et esse civem et habitatorem Rhodi cum uxore et familia adeo quod nulla cadit contra eum verisimilitudo inimicitiae etiam obtulit se probaturum quod potuit navigia Januesium capere si voluisset sed ea tamquam amicorum illeza dimisit nihilmominus ipse impeditur probaciones facere sub colore dicti decreti quia pars adversa intellegit esse ipsi Gabrieli prestare fideiussorem de duplo vel de dimidia valoris dicti balenerii et propter hoc et propter impossibilitatem fideiussionis causam dereliquat interea pars adversa ipsum Gabrielem suffocare maxime cum nec ad hoc teneatur ideo supplicatur dominationibus vestris attenta discordia dicti magistratus quatenus providere dignentur ut dicto asserto decreto non obstante possint dicti domini delegati et debeant in causa procedere secundum formam rescripti aut saltem attenta eorum discordia taliter providere ut eis supplicatur eidem supplicationi justicia non deficiat nec denegetur pro ut credit esse intentionis dominationum vestrarum attento ma- — 141 — xime quod talle decretum fuit coram dominationibus vestris allegatum et tamen per vos non fuit habita ratio dicti decreti pro ut nec debuit sicut ex actis cancellarie constat. Die 9 martii 1475. Responsio ipsorum magnificorum et illustris domini ducalis in Janua viceguber-natoris et magnificum consilium dominorum antianorum in sufficente et legitimo numero congragatorum est quod testes producti seu producendi per ipsum supplicantem causa de qua in supplicatione fit mentio possit examinari per dominos delegatos non obstantibus oppositis per Aleramum predictae supplicationi et sine tamen prejudicia decreti alligati. 48. Archivio di S. Giorgio - Luglio 1415. Supplica dei proprietari del carico esistente nella nave predata da Aleramo Saivago nelle acque di Porto Longone per ottenere la rifusione dei danni. Illustris et magnificis dominationibus vestri supplicatur et exponitur pro parte Batholomei Dominici Bartoli de Senis procuratoris spectabilis viri domini Ambrosii Nanni de Spanoijs de Senis. Suo nomine et nomine societatis sue de Neapoli. Vigore publici instrumenti rogati manu Simonis q. Bartholomei Pocij notari publici senensis quod una cum litteris testimonialibus cum sigillo autentico exibet et producit. Quod cum anno proxime preterito agentes pro dicto eius principali et eius societate in Neapoli, naulizassent quandam navem de Rhodo patronizatam per Gabrielem Blanchum habitatorem Rodi. Et in ea onerari fecissent in portu Cotroni in Calabria salmas quingentas quinquaginta mensure dicti loci Cotroni. Fuerunt consignati.......in Pisis heredibus quondam Antorii de Robata et Bernardo Cambij et sociis vel agentibus pro eis in Pisis vel in Janua secundum ordinem dictorum de Rabata. Evenit quod dum dicta navis cum dictis frumentis navigaret versus Pisas seu portum Pisanum caso fortuito apulit ad insulam Hilvae in Portu Longoni. In quo loco de mandato magnifici domini Piombini capta fuit de dicta nave certa quantitas frumenti quam asservit dictus dominus Piombini capere primum usque ad summam salmarum ducentarum quadraginta ex frumentis in dicta nave oneratis per dominum Franciscum Scales secretarium serenissimi domini regis Ferdinandi. Et residuum usque in summam salmarum quingentarum quiquaginta asservit dictus dominus Piombini capere de ratione dicti domini Ambrosii principalis. Tamen ex dictis salmis quingentis qiunquaginta salme centum septem per dictum dominum Piombini capte et in quadam sagitea reposite. Una cum residuo oneris dicte navis capte fuerunt per Alarame Salvaigum patronum sue navis. Est verum quod ex dictis salmis quingentis quinquaginta rationis dicti Ambrosii Spanioge dictus dominus Piombini solvit pro salmis tricentis decem et pro illis nunc......agitur sed pro salmis ducentis quadraginta deficentibus quae indebite capte fuerunt per dictum Alarame. Cum magnifica comunitas senensis pacem et concordiam habeat cum illustrissimo domino duce Mediolani et cum inclita comunitate Janue, ideo iniuste et indebite capta fuerunt dicta frumenta et sic veniunt restituenda scilicet valor et ex- — 142 — timatio dictorum frumentorum dicti temporis et quanti plus valuit frumentum a dicto tempore citra. « Cum dannis et interesse secutis dictis eius principalibus occasione predicta cum dicta frumenta vendita fuissent in Pisis agentibus pro magnifica comuni-tate Florentie sicut paratus est fidem facere quatenus expediat que consignari non potuerunt occasione predicta. Ideo pro conservatione pacis et concordie pro debito ■juris et justiciae supplicatur dominationibus vestris attente quod preda commissa fuit in mari e contra amicos communis Janue quatenus dignentur dominationes vestre de opor-tuno remedio providere et magistratum constituere qui summarie et simpliciter de plano sola veritate inspecta sine libello et pignore bandi super premissis ac de pendentibus emergentibus et connexis ab eis contra dictum Alerame Salvaigum et quoscunque complices et obligatos occasione predicta eidem supplicanti justiciam ministret cum potestate exequendi quidquid fuerit judicatum et in premissis provideri talliter ut dicto supplicanti debita fiat restitucio prede indebite commisse ac aliorum de quibus supra pro ut credit esse intentionis dominationum vestrarum quibus se humiliter reverendissime commendat. Magnificus et illustris dominus ducalis in Janua vicegubernator, magnificumque consilium dominorum antianorum in sufficenti et legitimo numero congregatorum intellectis supplicatione predicta et contentis in ea auditoque Thoma Gentile quondam Simonis nomine Alerame Sal vaghi volentes justicie locum fore commiserunt et virtute presentium committunt spectabili domino vicario ducali et seu gubernatorio ac sindacatoribus videlicet Paulo Marruffo et sociis quatenus auditis partibus justitiam sum-mariam et expeditam ministrent super contentis in supplicatione suprascripta procedendo summarie et expedite sine strepitu et figura judici ac sine libello et pignore bandi ad denarium pro libris et quidquid judicaverunt exequendum non obstantibus obstantiis quibuscumque. a) Archivio di S. Giorgio - Discólpa di Aleramo Saivago dalle accuse mossegli nei documenti n. 45 - 47 - 48. Magnificis ac prestantissimis dominis ducali vicegubernatori et antianis excelsi communis Janue reverenter exponitur ac responditur pro parte devoti civis vestri Alerame Salvaighi, contra quandam supplicationem depositam per quondam Gabrielem Blanchum, que totaliter est plena mendaciis, et fabricatam ad finem deludendi ipsum Alerame et vexandi eum, indebite, sine periculo luendi penas, si male egerit, ideo volens particulariter respondere in primis dicit, quod decretum emanatum et allegatum et quod exibet et producit, emanavit cum plena et matura causa, cognicione et quasi ex necessitate, propter fraudes et machinationes, que exquirebantur et ad inveniebantur ut omnis preda que quantumcumque legitime occuparetur subtraheretur de manibus Januensium et contra quod non licet allegare quidquam ex forma capitulorum Janue et ad partem ubi dicitur quod testes sint de proximo recessuri, dicitur, quod ipse pridie, et advocatus suus responderunt, ad hanc partem, quia lex providet et statutum, ut ad eternam rei memoria recipiantur, quod noluit facere, dictus Gabriel, ut qui, non intendit, nisi dicto decreto prejudicare, ubi autem dicitur, verba decreti non militare in presenti casu, dicit, quod imo et verba et mens aperte loquun* — 143 — tur in hac materia, et maxime dum in prohemio dicitur, interdum per se, et interdum per procuratores, et ideo non militat quod dicat agi per ipsumet spoliatum, nam et ultra si vult agere solum nomine ipsius, qui asserit se spoliatum, acceptatum est nomen eius, per ipsum Alarme et contentantur non allegare dictum decretum, nisi quantum ad expensas pro quibus teneretur et pro illis satisdare etiam semoto dicto decreto, sed ipse vult agere, non pro se sed pro quibusdam Munuele et Buzach, quos dicit esse rodienses et licet non sint querit in voluere qui directo est casus decreti in quantum agitur illorum nomine ad quod si vult renuntiare et suo nomine agere tantum non recusabitur. Quod autem verissimiliter comprehendi possit, bona esse inimicorum, idest navigium, patet, quia dictus Gabriel confessus est, se esse catalanum, licet dicat, non simpliciter, sed secundum quid, de quo non creditur, sibi, nisi in quantum fatetur, se catalanum, alie autem apparent evidencie, de quibus, constitit prefatis dominis delegatis, nec decretum loquitur, solum de mercibus, sed imo de rebus, de preda et aliis, que manifeste^includunt, casum occurrentem ex generalitate verborum. Et ubi allegat se rodiensem, quod est falsissimum, non fuit negatum, in hoc quin audiatur, in casu, quo, suo nomine tantum elligat procedere, propterea, allegata suffocatio non est vera, et post quam occurrit, ut dicitur, discordia, intervenit, respondetur, quod non fuerit in examine, una vice tantum, ideo maturiori adhibita cognitione intelligitur, quid juris sed quia in rei veritate, solla dubitatio, fuit circa inobservantiam dicti decreti, quod asseritur non fuisse in usu, respondetur, et ipse offert se probaturum quod imo fuit in usu, semper et quando fuit allegatum et exempla sunt in promptu et apparent ex actis. Offerens se paratum, semper, stare juri et ea omnia facere, que juri et honestati consentanea videantur. 49. 1481 - 12 marzo - Litterarum Vol. XXVIII - lettera n. 71. Si dichiara al Gr. Maestro che il •pirata Gregorio d’Oria non è genovese e che anzi è aiutato dai Veneziani e si prega quello di negargli ogni appoggio. Magno Magistro Rhodi. R.me in Christo pater honorandissime: audivimus Gregorium de Auria quod cognominem sibi assumpsit pirraticham cum una navi sua exercere; nec solum damnificare amicos nostros verum ipsos nostros Januenses: qui licet neque Janue natus sit neque domicilium ullum apud nos unquam habuerit: vulgus forsitan propter cognomen putat eum esse januensem: pro quo egre ferentes quicquid ipse male agit: quod omnino a mente nostra et consilio nostro abest imo audivimus cum postremo a Venetis armatum exiisse: deliberavimus quantum in nobis est apud omnes ostendere male vite sue et eorum que agit nulla a nobis proficisci causam et ob id eum ut hostem et rebellem nostrum pubblicavimus jussimusque nostris ubique ne eum amplius apud se recipiant aut alimenta vel aliud subsidii genus sibi ministrent: sicque precamur R.mam paternitatem vestram ut idem apud se facere velitis: ex quo cognoscat deesse sibi ipsum ignem et aquam et demum omnia alimenta ita ut cogatur ab — 144 — inceptis malis desistere vestraque R.ma paternitas etiam vacua sit omnibus querellis que tieri possent: si apud vos reciperetur vel quovis modo aleretur. Quod et si putemus juste petere: accedereque ad gloriam vestram et comoda vestra fatemur nos ad singularem complacentiam babituros offerentes nos semper ad omnia R.me paternitati vestre grata. Data Janue die XII martii 1481. Bapta etc. et consilium etc. 50. 1486 - 11 gennaio - Litterarum Vol. XXXI, Lettera n. 649. Si raccomanda al Gr. Maestro il genovese Marco Antonio Fregoso, affinchè gli sia concesso il primo beneficio disponibile in Piemonte o in Savoja o nel territorio genovese. Magno magistro Rhodi. R.me in Christo pater et excelens domine. Domus nostra Fregosa plurimum optaret habere unum ex suis in illa Sacra Religione vestra in qua cum virtute quandocumque posset ministerium illud sacrum exerceret; dei enim gratia in domo nostra plures sunt qui ad id assumi non indigne possunt: nam si pro officio nostro cum ceteris Christianis in illa Sacra Religione nihil sit quod nos et domus nostra non sit semper ac libenter factura hec specialis obligatio non parum accederet ut ad eam rem essemus promptiores pro quo precamur R.mam peternitatem vestram ut concedere nobis velit pro Marcho Antonio Fregoso magnifici militi d. Johannis Galeati de Campofregoso filio adolescente jam virtute ac bonis moribus et etate provecto. Ex-pectativam primi beneficii vacantis in provencia Pedemontium et seu Sabaudie et in ditione Januensi presertim in hac urbe quod saltem ducatorum trecentorum aut quadrigentorum referre redditum possit quod erit nobis et toti domui nostre permaxime gratum meritumque cui non habere solum sed referre quandocumque gratias teneamur immensas humana est R.ma vestra paternitas munificaque erga omnes ac illos maxime qui eam diligunt et venerantur sicuti facimus nos et ceteri omnes de domo nostra qui parati fuimus omni tempore in omnem rem R.me paternitatis vestre et illi sacre Religioni accomendare. Data Janue in nostro ducali palatio die 1486. Paulus de Campofregoso cardinalis et dux etc. ♦ — 145 — 51. 1488 - 27 novembre - Litterarum Vol, XXX, Lettera n. òli. Si prega il Gr. Maestro di consegnare agli eredi di Jacobo Spinatium i beni da questo lasciati in Rodi e dal precedente Gr. maestro radunati. Domino Magno Magistro Rhodi. R.me in Christo pater et domine nobis colendissime. Etsi omni tempore ita vixerimus ut arbitremur R.mam dominationem vestram nostros subditos habere charos adsintque etiam plura argumenta sui in nostros amoris quibus hoc facile datur intel-ligi singularis tamen charitas qua in Jacobum Spinaium civem nostrum prosequibamur qui in civitate ista Rhodiana mortem obiit efficit ut heredum suorum causam pari etiam studio prosequamur. Is moriens multa bona reliquit navem suam pluries merces servos presertim viginti duos, qui omnia precessor vestre Rev.me dominationis collegisse videtur in grave heredum jacturam qui ex tanta jactura prostrati vix habent unde vivant. Decrevit nunc venerabilis frater Johannis ordinis Heremitorum Sancti Augustini frater q. Jacobi multorum suasionibus Rhodum navigare ad vestram R.mam Dominationem repetiturus que fratis fuerunt hac potissimum causa ut sorori nubili de dote possit providere que ideo innupta remanit dotis defectu precamur eam precibus quibus possumus maximis ut eundem venerabilem fratrem Johannem in re sua commendatum velit suscipere. Hoc si equum sit vestramque R.mam dominationem que mater pauperum appellatur facere conveniat habebimus tamen loco singularis gratie. Quidquid illi fuerit utiliter concessum et cumulo aliorum in nos meritorum adiiciemus qui sumus semper parati in omnem amplitudinem suam. Data die XXVII novembris 1488. Augustinus et consilium. 52. 1489 - 2 gennaio - Litterarum Vol. XXX, Lettera n. 524. Si raccomanda Giovanni Spinacius che va a Rodi per le ragioni di cui sopra. R.mo d. Magno magistro Rhodi. R.me in Christo pater et d. d. honorandissime. Venerabilis frater Johannes Spinacius ordinis S.cti Augustini Heremitarum decrevit Rhodum venire ad recuperanda bona nonnulla que q. Jacobus Spinacius frater eius in ea civitate moriens dimisit et si posset ex iis bonis que recuperari contingat sororem suam super omnia viro collocari possit. Nobis et si superfluum videatur commendare vobis ea que justicie sunt cum apud d. vestram rev.mam nihil justicia antiquius sit habebimus tamen ad singularem gratiam quidquid, ultra justiciam sceleris expeditionis addimandaverit. Cum itaque res non minus pia quam justa sit non addemus ultra preces que nos et nostra omnia offerimus in omnem amplitudinem vestram. Data die 11 januarii 1489. Augustinus gubernator. io ♦ — 146 — 53. • 1499 - 25 novembre - Litterarum Vol. XXXVII A, lettera n. 174. Si comunica al Gr. Maestro lu caduta di Ludovico e il passaggio di Genova sotto la signoria del Re di Francia e si raccomanda anche a nome di questo la difesa di Chio dai Turchi. R.mo in Christo patri domino p. de Aubussum magno magistro Rhodi Cardinali dignissimo nobis colendissimo. R.me in Christo pater et domine nobis colendissime. Credimus jam ad vestram noticiam pervenisse sicut devicta per Christianissimum Franchorum regem tota Lombardia fugatoque illustri domino Ludovico nos sub imperio sue Majestati devenimus quodquidem nullo metu pulsi nulla vi coacti nullisque externis persuasionibus edducti sed sola et spontanea voluntate fecimus cum primum enim ea impedimenta sublata sunt que nos retinere potuerunt salvaque fide nostra licuit Christianissimum Regem et dominum nostrum Ludovicum in quem tot virtutes optimus maximus deus collocavit respeximus et ad eum tamquam in tutissimum portum nos recepimus a quo summopere diligi cognoscebamus et protegi ubique pro sua summa potentia posse confidebamus quod pro vestro in nos singulari amore gratum vobis fuisse arbitramur. Est preterea quod magis placere vobis posse credimus quum hec ingens regis nostri felicitas maximum commodum Christiane Religioni cuius vos precipuam curam geretis allatur sit letamur nos cum multis aliis causis tamen hec precipue quia hoc additamento ea que est inter R.mam dominationem vestram nostramque rempublicam amicitia non modo stabiliri sed augeri ad mutua utriisque partis commoda deberi certum sit. Et quamvis multis probationibus cognoverimus R.mam dominationem vestram nobis plurimum affici maiore tamen nunc deinceps nobis de vestra R.ma dominatione promittimus presertim de nostra amantissima insula Chii pro cuius salute opem et operam suam prestare nunquam recusavit si Turchorum rex inique ferens nos regios factos illi insule nocere tentaret. Que res certe nos hoc tempore anxios non parum fecit: sed solatur nos ea spes que nobis de vobis est et ea qua Regia Majestas nos implevit, que etiam largo ore pollicita est. R.mam dominationem vestram in rebus periculosis illi insule non defuturam precamur ideo vos et id totis votis expetimus ut Chienses nostros commendatis habeatis ope opera et consilio iuvet et quantum in se est non patiatur eos ab hostibus opprimi: hoc erit deo gratissimum pro quo continuo arma in manibus tenetis, regi nostro acceptissimum nos vero immortali devinciet beneficio. Qui sumus parati liberalissimo animo in omnem gloriam vestram. Datis Janue die XXV novembris 1499. Philippus consilium et officium Chii — 147 — 54. Diversorum Communis Janue - 1503 - 14 marzo - Filza LIX, Copia della convenzione stipulata tra il messo del Gr. Maestro di Rodi e i Canonici di S. Lorenzo circa l’istituzione della cappella di San Giovanni il Vecchio, i privilegi e i benefìci inerenti. Illustris et excelsus dominus Philippus de Cleves etc. Regius Admiratus et Genuensium gubernator et magnificum consilium dominorum Antianorum communis Genue in pleno numero congregatum. Cum superioribus annis per ipsos illustrem dominum Regium Gubernatorem et magnificum senatum concessum fuerit R.mo domino Cardinali et magno magistro Rhodi quod in capella seu oratorio s.cti Johannis veteri nuncupato capellam instituere et super dicto oratorio domum et cameras sive mansiones pro usu et habitatione sacerdotum cappellanorum et clericorum per ipsum R.mum dominum Cardinalem et magistrum Rhodium instituendorum et etiam quod certum et determinatum numerum dictorum sacerdotum et clericorum instituere et decernere posset ipsamque capellam pro usu et substentatione ipsorum dotare sub certis modis et formis de quibus latius in institutione concessione decretis et ordinationibus, super inde conditis contineri dicitur ad que relatio habeatur. Ipseque R.mus dominus Cardinalis et Magister dictam concessionem acceptaverit decreveritque et ordinaverit per suos agentes et negociorum gestores dictam cappellani cum sacrestia ac domum sive mansionem et cameras pro usu et habitatione ipsorum sacerdotum capellanorum at clericorum erigi at fabricari pro ut in parte ut conspicitur frabricate et constructe existunt dotemque eidem capelle assignari ac propterea (un po’ incerto) loca quedam compararum S.cti Georgii de super describi et assignari de quorum proventibus singulis annis et in perpetuum sub certis etiam modis et declarationibus eisdem sacerdotibus capellanis et clericis responderi et alia quam plura fieri et exequi mandaverit pro ut in patentibus litteris scriptis per eius R.mam Dominationem latius contineri dicitur ad quas relatio habeatur. Cumque nichilominus venerabiles domini canonici et capitulum majoris ecclesie Genuensis sentirent pro ut ipsi asserebant ex huiusmodi institutione concessione ordinationibus et decretis in nonnullis se gravatos. Auditis pluris et hodie rursum ipsis dominis canonicis et capitulo spectabilibusque dominis patribus communis prioribus societatis capelle S.cti Joannis Baptiste quibus causa huiusmodi fabricationis capelle domus et habitationibus et aliorum contentorum in dictis institutione, concessione, decretis et ordinationibus per ipsum magnificum senatum cura demandata fuerat pro ut in decretis superinde conditis contineri dicitur ad que relatio habeatur. Et audito etiam reverendo domino Brascho Salvaigo preceptore ecclesie S.cti Joannis de Burgo prédis specialem curam in predicta materia ut dicitur a prefato R.mo domino Cardinale et magistro habente et demum visis visendis et auditis audiendis ac consideratis considerandis accedente ad hoc voluntate et consensu R.mi domini Laurenti de Misco episcopi brugnatensis vicary archiepiscopalis et magi-scole ecclesie s.cti Laurentii et venerabilium dominorum Simonis de Auria, Malchionis de Grimaldis, Jo. Baptiste de Furnariis, Jo. Baptiste de Azelio, Jo. Baptiste de Campofregoso et Ludovici de Giogiis canonicorum dicte ecclesie S.cti Laurentii ex — 148 — una parte et prenominati reverendi domini Braschi preceptoris nomine et vice eiusdem R.mi domini Cardinalis et magistri Rhodi prò quo de rati habitione promissit et solemniter se obligavit et obligat sub etc. omui modo via jure et forma quibus melius potuerunt et possunt sub infrascripta tamen declaratione dictam concessionem senatoriam ut premittitur actam ordinationem institutionem per ipsum R.mum ominum Cardinalem factam et per magnificum senatum approbatam ac decieta, 01 mationes et declarationes super eadem materia per ipsum magnificum senatum factas et laudaverunt et approbaverunt et confirmaverunt ac exequi et executioni mandari peipetui-sque et futuris temporibus observari debere pronunciaverunt oidinaverunt et ^ decreverunt in omnibus et per omnia pro ut in dictis..... institutione or inatione et declaratione et decretis superinde conditis et emanatis etiam ad que relatio habeatur. Infrascriptis exceptis que sub infrascripta forma moderantes et conigentes voluerunt declaraverunt et statuerunt quod non obstantibus expressis in dictis concessione, institutione ordinatione et decretis infrascripta perpetuis et futui is temporibus per dictas partes observentur ac exequantur ac si in dictis institutione, concessione, declaratione et ordinatione de verbo ad verbum inserta lorent et ab initio ordinata instituta et concessa fuissent. Que sunt hec videlicet quod beneficiati et elei ici huiusmodi in eventum alicuius litis et controversie inter ipsos seu eorum quenlibet et dominos canonicos capellanos clericos et beneficiatos dicte ecclesie et eorum quemlibet ac etiam in quibuscumque spectantibus ad dictam ecclesiam dicti beneficiati et clerici eundem seu eosdem superiorem seu superiores recognoscant quem seu quos ceteri beneficiati dicte ecclesie recognoscunt occasionibus predictis tantum. Item quod primus dictorum beneficiatorum vocetur et nuncupetur magister capellanorum R.mi domini magistri Rhodi. Item quod capella sive baptisterium predictum remaneat in omnibus et pei omnia subiectum et obligatum tam in divinorum officiorum celebratione quam in saciamen torum confectione quam etiam in funeralibus sepulturis et exequiis pro ut fuit in preteritum. Et quod claves dicti baptisterii remaneant et esse debeant penes custodes et officiales ecclesie predicte. Visa et lecta per me Simone de Auria archidiacono et aprobo ut supra. Visa et lecta per me Dominicum de Valletari episcopum Acieusem canonicum Januensem. Melechion de Grimaldis canonicus approbo ut supra. D. Jo. Bapta de Furnariis appobo ut supra. Ita visa et lecta per me Johannem Baptistam de Azelio et ut supra appiobata. Ea ita visa et lecta per me Johannem Baptistam de Campofregoso et ut supra approbata. Ita visa et lecta per me Ludovicum Giogiam de Ceva ut supra approbatam. A tergo: Copia decreti inter agentem pro R ino domino magno magistro Rhodi et canonicos S.cti Laurentii quod in libro diversorum est transcriptum hoc autem extractum est ad memoriam. 1506-11 marzo - Litterarum Vol. XLV, lettera n. 370. Si protesta presso il Gr. Maestro perchè Paolo Giustiniani genovese è stato catturato dal rodiota Nicola Centurione ed è pure stato predato per un valore di 500 ducati. Si chiede riparazione. R.mo et preclarissimo in Christo patri et domino nobis observandissimo. Ey-merico de Ambosia magno magistro Rhodi dignissimo. R.me et preclarissime in Christo pater et domine nobis observandissime. Ea est virtutum R.me dominationis vestre fama et nomen ut prò sua innata justicia rem justam amplectatur et foveat, iniquam vero pessumdet. Talisque nobis est opinio de vestra R.ma dominatione ut persuadeamus nobis que inferius scribimus clipeo auctoritatis et justicie sue ab ea defensum iri et id non solum his rationibus nobis costantissime persuademus sed hac etiam precipua ratione quod cum nos regie Majestatis fidelissimi servitores simus: non patietur vestra singularis prudentia ut quidquam iniustum subditis nostris inferatur. Quam ob rem ut que scribimus attente audiat et exaudiat quibus possumus precibus clementiam vestram observamus. Relatum nobis fuerit egregium Paulum Justinianum patronum cuiusdam navigii a Nichola Centu-riono Rhodi urbicola captum fuisse, dictusque Nicola eidem Paulo civi et subdito nostro abstulisse valorem ducatorum quingentorum nulla legitima causa sed pro eius libito et mera iniuria. Que res nobis maxime admirationem prebuit et non solum admirationem sed etiam merorem ingentem: quia persuadere nobis non possumus ut aliquis tanto tamque justo et sapienti domino subditus talem predam contra amicos et benivolos committere audeat. Id ipsum grave est non tantum ratione debiti sed etiam amicitie quia subditos et cives et vestre celeberrime religionis fratres pari affectu velut nostros prosequimur. Et quandocumque ad nos veniunt eos benigne comiterque excipimus charita-teque precipua fovemus. Verum nobis persuadere volumus quod eiusmodi preda ad sublimes aures R.me dominationis vestre minime devenerit: quum si eidem praescita et cognita fuisset: non perpessa esset ut ad nos querella deportaretur. Precamur igitur eam et quam vehementissime oramus ut dignetur R.ma dominatio vestra huic rei remedium prestare et ita efficere ut civis noster sua bona recuperet, quod nobis valde jucundum erit omnipotentique Deo acceptissimum et vestre R.me dominationi immense o-lorie et laudi. Ceterum R.me paternitati et dominationi nobis observare quidquid possu-musquidquid vires nostre valent: id totum in omnem eius gloriam et amplitudinemsincero corde deservimus cui ut devotio nostra expostulat: nos ex animo commendamus. Datum Janue die XI martii 1506. R.me dominationis vestre observatissimi Philippus etc. et consilium etc. — 150 — 56. Arch. di S. Giorgio. 1563 -15 febbraio. Lettera del cav. Cambiano, ambasciatore della Religione di Rodi in Roma, colla quale fa sapere al governo di Genova che il Papa ha concesso per tutta la Cristianità un giubileo di dieci anni onde sovvenire ai cavalieri della Religione, i quali per potersi meglio difendere nel caso di un assedio deLl'armata turca, non potendo sufficientemente fortificare la città di Malta, debbono fabbricare in quest'isola una nuova città in posizione più sicura. Ill.mo et Ecc.mo signor mio et ecc.ti signori. Cansiderando l’Ill.mo et B.mo Sig.r Gran Mastro de la Religion’ gerosolomitana mio Sig.r la difficultà e guari impossibilità di fortificar’ la città di Malta dove al presente sua Sig.ria con sua religione habita per esser circondata da tre o quattro coli che scoprono e battono tutte le diffese di detta città, in modo che quando l’armata Turchesca gli mettesse l’assedio non si potrebbe diffondere senza grandissima mortalità e con periculo di perdersi e non obstante che sopra di uno di essi coli più vicino ne si sia fatta una fortezza e al intrar’ del porto se ne sia fabricato altra con incredibil despesa: bisogna per la diffensione di dette Fortezze e della città ogni anno far provvisione de doi milia soldati oltra l’ordinario della Religione per poter resistere al armata del infedeli spesa intollerabile e sempre si stia con periculo che perdendo una di queste fortezze non si perdi anche il resto per obviare a tutte queste difficulta et periculi il detto Ill.mo sig. Gran M.ro con parer et judicio de diversi ingegneri et altri homini pratichi ha determinato di edificare una nova città non molto discosta dalla presente in uno sito forte e molto idoneo per esser posto tra doi porti di mare la intrata dei quali si diffende una fortezza già fatta chè porti serviranno per fossi della città dove con li cavalieri e gente dell’isola de Malta speriamo potersi diffondere da qual si voglia impeto de inimici. Ma non essendo il sig. Gran Mastro con sua religione sufficienti a effettuare una tanto opera senza l’aiuto de li principi e populo christiano si ha avuto ricorso da la S.tà del Papa qual per tal effecto ha concesso un ampio iubileo per tutta la Christianità per il spacio di X anni esortando ogni fidel christiano a dar aiuto a questa S.ta opera che non solo saria la conservatione di questa religione ma sarà un propugnacolo e defensione di tutta la Cristianità. Però si supplicha a V. S. Ill.ma si degni concedere che detto Jubileo si publichi et exeguischa nelli soi stati prestando ogni aiuto et favor1 à ciò del canto suo si conosca non essersi mancato a questa si degna, santa e necessaria opera, et con questo libascio le mani. Da Roma alli 15 di febbraro de 63 D. V. S. 111. ma Humil servitore il cavalier Cambiano ambasciator per la religione di Rodi in Roma. Die quinto martii di Roma dall’ambasciatore della religione di Rodi al Ill.mo et ecc.mo S. duce et governatori dell’eccelsa repubbl. di Genua. Genua. — 151 - b) Archivio di S. Giorgio senza data (1421, 1436?). Sapplica di Gregorio Imperiale q. Lanfranco al governo di Genova, perchè si compiaccia scrivere al Gr. Maestro di Rodi di non permettere eh’esso sia molestato nel pacifico possesso di due casali nelVisola di Rodi, pervenutigli dai suoi antenati con buona fede e giusto titolo. .1 j Illustri et magnifico domino Gubernatori ducali et magnifico consilio dominorum antianorum civitatis Janue. Humiliter et reverenter exponitur pro parte Gregorii Imperialis q. Lanfranchi civis Janue quod ipse Gregorius et maiores sui tenuerunt et possiderunt bona fide et iusto titulo pacifice et quiete in insula Rodi casalia duo cum suis iuribus iurisdicionibus hominibus et pertientiis per longissimum tempus et vigore pactorum alias initorom inter R.mam religionem Rodi ex una parte et antecessores dicti Gregorii ex altera de quibus pactis constat per autenticas bullas religionis predictae auctoritate apostolica confirmatas dicta casalia de iure et vigore dictorum pactorum spectare et pertinere dicto Gregorio. Contingit autem quod homines et subditi dicti Gregorii non sunt obedientes dicto Gregorio ut esse consueverant et volendo contra eos procedere iusticia mediante sibi impedimentum prestatur. Et si R.mus dominus magister Rodi vellet facillime hiis impedimentis remedium adhibere, quia insula Rodi est ei subiecta et potest quemlibet comorantem in dicta insula suis mandatis inobedien-tem punire et pena debita afficere et convenit dignitati sue curare cum effectu quod homines dictorum casalium et subditi dicti Gregorii debitam obedientiam prestent dicto Gregorio et efficere quod dictus Gregorius in suis jurisdictionibus non turbetur et quod possit pacifice uti et frui suis casalibus et quia pertinet ad dominationes prenominatas favere cives suos et providere ne eis iniuria aut violentia inferatur. Id circo dictus Gregorius humiliter supplicat celsitudini et dominationibus preno-minatis quatenus dignentur scribere litteras opportunas et efficaces R.mo Domino magistro Rodi et eius consilio quod non permittat dictus Gregorius vexari neque turbari in possessione dictorum casalium nec in suis juribus et jurisdicionibus, set quod provideant ut dictus Gregorius pacifice et quiete possit uti et frui dictis casalibus et sua j urisdictione quam semper habuiut et habet in homines dictorum casalium ut convenit justitiae et honestati. Nam si prefati R.mus dominus magnus Magister et consilium volent circa predicta poterunt optime providere aliter dictus Gregorius summa afficietur iniuria et pacifice non poterit uti dictis casalibus et jurisdictione sua. Quod non credit esse intentionis dominationum prenominatarum quas Deus perpetuo felicitet. c) Arch. di S. Giorgio. Senza data. Consigli per la conservazione della giurisdizione del Gran Maestro, dell’ordine di Rodi, relativi privilegi, esenzioni ecc. Consilia in favore et conservatione jurisdicionis R.mi magni Magistri Rhodi et totius ordinis ac privilegiorum et exemptionum eorundem. Reverendis patribus domino Ragosino de Felino, domino Laurentio Ponche, domino Alexandrino de Bonleligno Jonsadio et domino Angelo de Cesis. Primo beneficia — 152 — ordinis militaris Sancti Johannis Jérusalem fuerunt iustituta per tnitione fidei catholice, substentatione pauperum, vita militantium, in eademque sunt de jure divino et de precepto juxta illud prophete, subvenite oppresso, delfendite viduam etc. ergo papa non potest contra jus divinum dispensare nec disponere. Secundo quia beneficia ordinis sunt simplices administraciones perpetuo unite dicto ordini propter fidem et hospitalitatem. Ideo conferruntur et conferri debent per magistrum et conventum dicti ordinis antianis et benemerentibus in dicto ordine. Patet per bulam Pii papae secondi datam Rome apud sanctum Petrum 1464 X° calendas martii per paschalem et anaxtasium et per hec verba preceptorie ordinis etc. Ergo Colasio pape nichil debet in contrarium operari. Tertio prioratus, baiulinatus, preceptorie et beneficia ordinis sanctis Johannis Jerosolimitani vaccantia etiam in curia conferri debent per magistrum et conventum per bulam Innocientii octavi in vim contractus ratione Zinzamini sultani. Datam Rome apud sanctum Petrum 1489 per hec verba ordinamus etc. Ergo Papa de jure non potest conferre benefitia dicti ordinis etc. Quarto privilegium essentiale venale est irrevocabile, quia si papa aut princeps pro aliquo privilegio pecuniam accipit illud revocare non potest, tunc enim videtur venale fecisse istud privilegium et sic ex illo contractu pecunie ligatur no: Bai. late: m 1. qui patris et alii doc. unde libet. Ergo collatio pape de dictis beneficiis etiam vac-cantibus in curia nulla est. Quinto quia dispensatio ex causa facta a papa vel prelato seu privilegium datum cum causa honesta necessaria et rationabili non potest revocari nisi cum causa c. c. ex sua de fil: presb: c. cun exeo de clericis liber. 6 nisi propter ingratitudinem aut contrario facto privilegiatorum in specie 1. citius paragrafo de obsi. sed privilegia ordinis fuerunt data pro causa fidei et operibus misericordiis ergo papa etc. Sexto quia frangere privilegia ordinis sancti Johannis et per papam conferre benefitia eiusdem ordinis est decolorare ecclesiam dei et dilapidare bona ordinis fidei et hospitalitati dedicata, quod papa non potest nec debet quia papa pro heresi et decoloratione sive dilapidatione ^bonorum ecclesie venit deponendus. Septimo et reperitur in auctentico libro practice canzelarie sub rubrica de beneficiis reservatis. Et preceptorie ordinis quorumque generaliter sunt reservate sed non milii tant inde quia sunt exempta et conferruntur per suos magistros ergo papa etc. Octavo regula canzelarie concludit quod hospitalia non cadunt sub aliis gratiis pontificiis quia hospitalia aliaque pia loca nec non laicis assignari solita et claustraria offitia sub appellativis reservationibus gratiis et collacionibus minime comprehenduntur per regula canzelarie. Ergo papa etc. Nono regula de triennali possesore non molestando non obest provisionis per magistrum conventus Rhodi de prioratibus baiuliis, preceptoriis et membris religionis seu hospitales eiusdem quia effectus regule intelligitur de beneficiis ecclesiasticis secularibus consistorialibus aut ellectivis et non de preceptoriis et membris hospitalis prefati quia appellatione beneficiorum non veniunt hospitalia etiam si talia habeant ecclesias ane-xas etiam si percipiant decimas. Et hoc facit Clem. per litteras de preben: quod not. pau. ni. Clem. quia Consilii dereligio: in c. arckidiaco: in c qui de eo qui in possessione Cardi, floren. in Clem: pii de sequestr. poss: ergo: papa etc. Decimo quia beneficia sancti Johannis Hierosolomitani sunt jus patronatus principium quibus non derogatur per papam et sunt amovibilia ad nutum magni magistri et conventus decis. vote et bs. ergo papa etc. — 153 — Undecimo quia beneficia regularia et strictus militie sancti Johannis Hieroso-lomitani non sunt perpetua sed annalia et revocabilia ad nutum magistri et conventus O. cum ad monasterium V.10 nec alicui de stat, monaco: clem: quia regulares paragrafo premissa de suppi: negl: pia. nec confirmantur a papa c. porrecta c. ad nostram audientiam de confirmatione utili ergo papa etc. Duodecimo ubi regula canzelarie dicit per triennium possesso: non obest beneficiis ordinis quia debet intelligi de termino continuo quia ner diem tantum intra triennium non possedit non habet locum privilegium huius regule quia dictio per denotat continuationem omnimodam 1. urbana par. pernoctare ff. de verborum significatione. Et ad hoc facit 1. si quis etiam 1. quarta paragr. de condi, just, et quod dicit ibi bal: qui dicit de dictione perjuncto tempore quod tempus continuum esse significat nam exponit pacifice hoc est juridice, ergo papa etc. Tertiodecimo hec regula de triennali possessore est penitus exterminata nec operaretur contra magistrum et religionem Sancti Johannis Jerosolomitani iuxta privilegium Sixti pape quarti in bulla qua incipit dum salubria datum Rome apud Santum Petrum VII calendas Julii pontificatus nostri anno primo. Virtute istorum verborum decernentes provvisiones, collationes, commendas uniones et dispensationes quaslibet, quas per alios quam per magistrum et conventum predictos de eisdem prioratibus, baiu-linatibus, preceptoriis, castellaniis, curiis et membris dicti ordinis etiam apud sedem vaccantibus non possint conferri nisi per magistrum, ergo papa etc. Quardodecimo per decisionem preceptorie sancti Johannis prope sacellum venerande lingue Itale prioratus venetiarum tempore Bonifacii noni per R.mum Barthomo-meum priorem urbis et R.mum Simonem priorem Venetiarum inter fratrem Johannem de Vicaria et fratrem Petruchinum factam contendentes in Rota ut cavetur in Consiliis Francisci de Taberellis Cons. 84. Quinto decimo per decisionem prioratus urbis in Rota inter fratrem Ieronimum de Martinis et fratrem Sixtum de Romiratus patetque provisio pape non obest provi-siis a magno magistro et conventu: ergo papa etc. d) Manoscritto 105 - pag. 137, Testamento del genovese Franco Giudice fu Nicolò scritto in Rodi dal notaio Pietro Andrea Chierico ♦ collossensis * In testamento et ultima voluntate quondam Franchi Judicis civis Janue quandam Nicolai, scripti in Rhodo manu Petri Andree clerici collessensis publici imperiali auctoritate notarii et scribe comergii Rodi inter cetera continetur ut infra. Et primo etc. item legavit et item ordinavit etc. Item legavit item ordinavit voluit atque jussit quod de bonis dicti testatoris ponatur m locis deputatis Janue floreni quinquanginta et per imperpetuum proventus eorum detur paupenori de suo albergo de judicibus et quod dicti floreni quinquan-ginta per imperpetuum non possint vendi vec alienari. Item ordinavit jussit atque voluit quod de bonis dicti testatoris in dictis locis cumunibus Janue ponantur floreni quinquaginta ut provetus eorum per imperpetuum distribuatur pauperibus puelis maritandis, qui floreni quinquaginta non possint vendi nec alienari sed per imperpetuum serventur ut supra dictum est. — 154 Item ordinat atque vult dictus testator quod bona sua que habet in civitate Rhodi vendantur et processus eorum mittatur per inirascriptos suos bdecommissarios in Ohio in posse Petri Justiniani de Campis, qui Petrus de dictis bonis transmittere debeat in Janua in locis comunibus florenos centum et eorum proventus distribuetur pro ut supra dictum et ordinatum est. Reliqua vero mittantur Gregorio frati i dicti testatoris qui ad presens est in Caffa. Asserens dictus testator habere plures raciones cum dicto Gregorio suo fratre. Fidecommissarios autem et executores dicti sui testamenti vult atque ordinat dictus testator honorabiles Batholomeum Sauli at Jacobum Stella daus et concedens eisdem plenariam potestatem compleudi et exequendi omnia disposita et 01 dinata in dicto suo testamento. e) Archivio di S. Giorgio - Senza data. Decreto del Governo di Genova riguardante i Commissari eletti e deputati in una causa vertente fra gli ambasciatori e procuratori del Gran Maestro di Rodi e i patroni di alcune navi. Contra oratores Rodianae religionis. Illustris et excelsus dominus dux Januensis et venerandum consilium dominorum antianorum. Scientes et notitiam habentes dominum fratrem Baptistam de Flisco preceptorem sancti Johannis J erosolomitani de Janua unum ex quattuor commissariis et calculatoribus ellectis et deputatis in causa vertenti inter ambassiatores et procuratores R.mi domini magni Magistri Sacre Religionis et patronos certarum navium nolle amplius interesse cum collegis suis ad examen et expeditionem dicte cause, imo citatum ab aliis consociis respondisse se nolle amplius huic cause interesse. Deliberaverunt statuerunt et decreverunt quod de cetero tres commissarii et calculatores non obstante absentia dicti domini Baptiste possent et valeant procedere in dicta causa usque ad diffinitivam sententiam exclusive ne interim tempus amittatur in causa sicut fuerunt protestati dicti domini ambassiatores. Et ulterius mandaverunt beri admonicionem dictis doioinis ambassiatoribus et procuratoribus tenoris infrascripti. Denuntietur parti illustris et excelsi domini ducis Januensis et venerandi consilii dominorum antianorum, spectabilibus dominis Aymario de Rodio et J uliano de Benignis ambassiatoribus et procuratoribus R.mi domini Magni Magistri ac eisdem iniungatur quatenus debeant fecisse et curasse cum effectu quod dominus Baptista de Flisco unus ex commissariis et calculatoribus deputatis in causa quam habent cum patronis in actis nominatis intersit una cum collegis suis ad prosecutionem et expeditionem dicte cause, attento quod dictus dominus Baptista ellectus pro eorum parti recusat comparere et interesse ex ordinacione prefatorum dominorum ambassia-torum. Vel saltim debeant comparere die crastina in tertiis coram prefatis dominis duce et consilio ad elligendum et nominandum unum quartum loco dicti domini Baptiste. Alii ter ex tunc sanserunt decreverunt et mandaverunt quod ceteri tres commissarii et calculatores possent procedere et procedant ad prosecutionem et expeditionem dicte cause quarti absentia non obstante. Erint usque ad diffinitivam sententiam inclusive. Et quam deliberationem iusserunt prelibati domini dux et consilium inferi debet m actis dicte cause. ANTONIO CANEPA j* jt j* SOPRA UN FRAMMENTO D'UNA LAPIDE MEDIEVALE RECENTEMENTE TROVATO IN SANREMO Tra i lavori, che si volevano fare nel 1932 nell’istituto Tecnico pareggiato di Sanremo, era anche quello di collocare un lavandino nel gabinetto di chimica, contiguo alla prima rampa di scala, che dal pianterreno mette al primo piano. E poiché si era veduto che una porta del gabinetto era stata precedentemente otturata con un muro, si pensò di sostituire a questo un tramezzo di mattoni per ottenere il vano necessario per il lavandino e nello stesso tempo evitare l’ingombro di esso nell’aula e rendere più facile Io smaltimento dell’acqua. Cominciato il lavoro di demolizione del muro, che si trovò della larghezza di circa cm. 80, nel pomeriggio del 27 settembre, il muratore Giacomo Martini dell’impresa Giovanni Repetto e C., dopo aver dato i primi colpi, vide che tra il pietrame del muro era un pezzo di marmo bianco lavorato, sul quale, quantunque esso fosse ancora in gran parte coperto dall’intonaco, s’intravvedevano delle lettere scolpite. L’operaio, intuendo che si doveva trattare di cosa di una certa importanza, poiché nella contigua aula di disegno era l’architetto Prof. Silvio Gabbrielli, lo fece chiamare e sotto la sua direzione riprese il lavoro interrotto con la cura necessaria ad evitare guasti, per estrarre dal muro il pezzo di marmo e per finire di liberarlo dall’intonaco che impediva di leggerne tutta l’iscrizione. Esso ha la forma di un prismoide con una delle facce formata da un piano di frattura, per cui, mentre la sua altezza è di cm. 21 e la larghezza di cm. 16, la lunghezza nella parte superiore è di cm. 20 e in quella inferiore di cm. 25 davanti e di cm. 23!/2 dietro. Su una delle due facce maggiori presenta a destra (araldica) uno stemma con uno scudo a cuore e nove palle distribuite in 4 righe, 3, 3, 2, 1 in punta. Alla sinistra (araldica) dello stemma sono 5 righe. * M FVIT HO DOMINI ZANO PO MULI ANO — 158 — Sopra e sotto lo stemma sono delle iniziali di abbreviature e delle sigle, che non erano state ancora decifrate. Invece conoscevamo già l’iscrizione quasi intera: © MCCLXXIII FAC FUIT HOC OPUS TEPORE DOMINI FREDERICI DE VE ZANO POTESTATIS SCI RO MULI ANO II REGII S SUI L’avevano pubblicata dapprima il canonico G. Barilari nel numero 35 del 1° settembre 1866 (anno II pagina 2-3) del giornale « Sanremo », quindi Girolamo Rossi nella sua Storia della città di Sanremo (pagina 130 nota 2), e poi il Belgrano, nella sua Illustrazione del Registro arcivescovile (pag. 491). Ultimamente il Prof. Marcello Remondini, dopo averla fatta copiare mediante calco il 3 settembre 1876, l’aveva inserita nelle Iscrizioni medievali, da lui pubblicate negli Atti della Società Ligure di Storia Patria (volume 12 parte 2 fascicolo 2° tavola XLV1II), e l’aveva illustrata nello stesso volume degli Atti (parte la fascicolo 2°) con queste parole; « questa iscrizione sta affissa nel muro di una casa antica, già Palazzo di giustizia in Sanremo vecchio, presso S. Costanzo, in un luogo già detto le Caverie, ora vico Opaco ». Veramente il luogo non era detto le Caverie, ma Caveire e questo, con tutta probabilità, perchè là erano cave di quella pietra, con cui erano state costruite le case più antiche della parte superiore della vecchia città. Notisi che la stessa qualità di pietra è stata trovata sul medesimo versante della collina, a poca distanza di lì, nel luogo dove oggi si costruiscono le case popolari, Questa lapide, che nel 1876 era già rotta in due pezzi, come si vede dal calco del Remondini, era rimasta sulla facciata del palazzo podestarile fino all’anno 1887, cioè fino a quando gli amministratori del Comune di Sanremo, volendo prendere occasione di qualche lesione, causata dal terremoto a poche case, per abbattere tutta la parte superiore della città, senza alcun rispetto all’arte ed alla storia hanno fatto distruggere indistintamente tutte le case più antiche e con queste anche il palazzo podestarile (1). (1) Furono abbattuti così, oltre questo palazzo, anche l’antichissima chiesa di S. Pietro, una torre quadrata di bei conci di pietra, annerita dal tempo, ed il primo palazzo vescovile che era situato « iuxta ecclesiam sancti pétri » — Lib. Jur. II 335. a; 591 d; 662. c. — 159 — Fu salvata solo la lapide, ma per poco tempo, perchè, portata nel-PUfficio Tecnico del palazzo comunale, di là scomparve in seguito per l’incuria di chi, non conoscendone l’importanza, non ha saputo provvedere alla sua conservazione. Si disse, che, durante i lavori di riparazione del tetto del Palazzo di città, fatti nel 1897, fosse stata confusa col materiale da costruzione, e, come si vide due anni fa, tale notizia non era del tutto destituita di fondamento, perchè una metà della lapide era stata adoperata come una pietra qualunque nei lavori fatti nel palazzo dell’istruzione. Speriamo che qualche altro lavoro ci restituisca in avvenire la parte ancora mancante. La lapide doveva perpetuare il ricordo che Federico da Vezzano, Podestà di S. Romolo (1272-73) nel secondo anno della sua podesteria aveva fatto costruire il Palazzo di giustizia (hoc opus). Risale quindi al periodo di tempo in cui stava per tramontare quella Signoria che gli Arcivescovi genovesi, a cominciare da Siro II (Vescovo dal 1130 — Arcivescovo dal 1133 al 1163), avevano cercato di stabilire nel Castello di S. Romolo; ma che non fu mai intera per l’opposizione spiegata da quegli abitanti. Uno degli Arcivescovi di questo periodo fu appunto Gualtiero da Vezzano, (1253-1274) il quale, dopo che nel 1256 aveva fatto costruire in Ceriana un palazzo per la sua residenza, non ritenendo più abbastanza sicuro il palazzo Vescovile, (1) situato in S. Romolo nella parte superiore della città, tra il castello e la chiesa di S. Pietro (poi di S. Costanzo), volle costruirne nel 1259 uno nuovo fuori della cinta di mura, presso la chiesa di S. Stefano, sull’area che egli per tale disegno aveva acquistato nell’anno precedente con una permuta conclusa con i monaci olivetani di S. Stefano di Genova. Sempre con l’intento di rafforzare la sua Signoria sul Castello di S- Romolo, Gualtiero, valendosi del diritto che gli Arcivescovi avevano cercato di acquistare per consuetudine, vi aveva nominato podestà un Federico da Vezzano, che era molto probabilmente un suo congiunto, o ad ogni modo un individuo a lui ligio e non dissimile nemmeno nel sentire la necessità di nuove costruzioni, che gli rendessero più sicura la residenza. Tuttavia gli sforzi degli Arcivescovi potevano ritardare, ma non impedire che tramontasse quella signo- (1) Si noti che già nel novembre 1216 l’arcivescovo Ottone (1203-1239), giunto presso il Castello S. Romolo, appresa l’eccitazione degli animi di quegli abitanti contro di lui, giudicava atto di prudenza di non entrarvi, ma di tornare indietro e di proseguire invece per Ceriana. Si comprende, quindi, la ragione per cui l’arcivescovo Gualtiero si è indotto a fare costruire il nuovo palazzo fuori le mura. — 160 — ria, che tanta opposizione aveva trovato nei Sanromolesi; e perciò l’arcivescovo Jacopo da Varagine nel 1297 vendeva ad Oberto Doria ed a Giorgio De Mari tutti i diritti veri e presunti sui castelli di S. Romolo e Ceriana. In seguito i Doria, successori di Oberto, che avevano acquistato anche i diritti dei De Mari, cercarono dapprima di rafforzare la loro signoria; ma, dopo circa un secolo e mezzo, in cui avevano cercato invano di aumentare la loro potenza, stretti da una parte dai Sanromolesi, che non volevano perdere la loro autonomia, e dall’altra dalla Repubblica Genovese, che intendeva di estendere la sua signoria nella estrema Liguria occidentale, finirono col vendere, ciascuno per la parte sua, i loro diritti alla Repubblica. Ma gli uomini del Castello di S. Romolo (il quale frattanto aveva preso il nome di Sanremo), contrariamente a ciò che era avvenuto nel 1297, al tempo della vendita fatta dal Varagine al Oberto Doria ed a Giorgio De Mari, questa volta avevano avuto notizia delle trattative tra i Doria e la Repubblica e forse anche delle strettezze finanziarie, in cui, come dice Giustiniani, si trovava allora la Repubblica. Con l’intento, quindi, di salvare la propria autonomia, pattuivano di pagare la metà circa del prezzo richiesto dai Doria per la vendita e per l’altra metà di corrispondere annualmente alla Repubblica la somma di 150 genovini. Ma, se le condizioni finanziarie della Repubblica non erano prospere, non molto migliori eran quelle degli uomini di Sanremo, i quali, per procurarsi la somma necessaria per il riscatto, avevano contratto mutui, si erano tassati a un tanto per uno e poi avevano dato denaro, merci e oggetti di valore, e le donne Sanremesi, andate nella sala, dove era adunato il consiglio del Comune, con magnanimo atto e nobile gara, si erano private dei loro più cari oggetti di ornamento, degli ori e dei gioielli e ne avevano fatto dono per il riscatto della loro terra, « quasi dicessero, come scrisse G. B. Grossi, che mai meglio d’allor erano state adornate, se, invece di pendenti, portavano in fronte la libertà ». Per questo il Comune di Sanremo intendeva di avere migliorato la propria condizione giuridica, col rendere ancora maggiore la libertà, che già prima godeva. Non così, invece, l’intendeva il governo delia Repubblica, il quale, avendo già nel 1199 con un trattato di alleanza ineguale obbligato il Comune, allora detto di S. Romolo, a fare oste e cavalcata per la difesa del dominio di Genova e specialmente per la guardia del porto di Bonifacio, dopo le vendite che del Castello di Sanremo i Doria avevano fatto alla Repubblica, voleva avervi una piena Signoria e, poiché come attesta lo stesso Giustiniani, era rimasto « senza denari » aveva tassato gli abitanti delle città e dei paesi delle Iscrizione intera quale è stata riprodotta dal Remondini. — 161 — riviere, e, senza alcuna differenza, anche quelli di Sanremo. Questi poi, quantunque si dichiarassero, e fossero pronti, quando si trattasse di una guerra difensiva, a dare tutto il numero di uomini necessario, sostenevano di non essere obbligati per le loro immunità a contribuire con denaro alle spese di una guerra la quale, almeno sul principio, si presentava come una delle solite lotte intestine tra il popolo e la nobiltà genovese. Ma il governo della Repubblica insisteva, mostrando di non voler intendere ragioni e, quindi, per risolvere la questione, si pensò e si stabilì dalle due parti di ricorrere a due arbitri che pronunciassero una sentenza inappellabile. E poiché gli arbitri eletti, Andriolo De Mari e Giovanni Cattaneo, avevano dato ragione al Comune di Sanremo sulla questione principale, quella cioè, che la Repubblica non avesse diritto di imporre, nè di far imporre nuove gabelle o tasse, nè di introdurre nuove usanze, restando sempre al Comune il diritto di reggersi secondo i propri Statuti fatti e da farsi, la popolazione Sanremese, appena le giunse la notizia della sentenza arbitrale, pronunziata il 15 marzo 1361, l’accolse con tali manifestazioni di gioia che nell’ebbrezza del suo entusiasmo, dando luogo ad una festa, diventata poi tradizionale il 1° maggio di ogni anno per 5 secoli fino al 1824, cominciò a trascinare per le vie e per le piazze della città dei pezzi di catene, che dovevano simboleggiare che il popolo di Sanremo aveva finalmente spezzati i suoi ceppi e assicurata la sua autonomia. Della iscrizione di cui qui si tratta, e di tre altre, io avevo cercato di fare un’illustrazione nel 1926 con una pubblicazione che è stata inserita nel volume LUI degli Atti della Società Ligure di Storia Patria; ma avevo dovuto trascurare le sigle e le abbreviature, che sono sopra e sotto lo stemma, perchè queste erano assolutamente indecifrabili nell’unica riproduzione fattane dal calco del Prof. Remondini e la lapide era scomparsa. Perciò l’importanza del fatto che è stato ritrovato tale frammento che, come tutto il resto della lapide, si riteneva perduto, sta in questo che noi soltanto ora possiamo vedere nella loro forma precisa le sigle, o abbreviature. Quelle sopra lo stemma crediamo che significhino: IN (ornine) P (atris) et F (ilii) J (esu) ($î CH (risti) (cum) S (piritu) Le sigle sotto lo stemma, se è esatta la nostra interpretazione, ci darebbero niente altro che una data: MCCCLXI XII ind. Ib M, cioè: 1361. XII ind. Idi di marzo. Per l’indizione dobbiamo notare che dal 24 settembre di questo anno cominciava la 13* indizione genovese e che quindi il 15 marzo correva ancora la 12*. E perciò, se è esatta, come noi crediamo, l'interpretazione da noi proposta, alle espressioni entusiastiche per la libertà comunale assicurata col u lodo pronunciato dai due arbitri solennemente in Genova nel Duomo di San Lorenzo il 15 marzo 1361, dobbiamo aggiungere il fatto, che soltanto ora veniamo a conoscere. Invece di distruggere quella lapide che ricordava la Signoria Arcivescovile, sia pure non intera e sempre contrastata; ma sempre Signoria, gli Uomini di Sanremo vollero che questa stessa lapide portasse, con la formula solenne della Divina Trinità, una data, il 15 marzo 1361, che segnava il principio della nuova vita del Comune di Sanremo con la maggiore libertà allora possibile e quindi la sola ragionevolmente desiderabile. ROBERTO LOPEZ jX L’ATTI VIT A ECONOMICA DI GENOVA NEL MARZO 1253 SECONDO OLI ATTI NOTARILI DEL TEMPO La felice posizione geografica di Genova all’apice di uno tra gli archi più profondi del Mediterraneo e allo sbocco di strade importanti verso l’Occidente e il Settentrione; la precoce individualistica genialità de’ suoi abitanti non inceppati dai vincoli feudali ma anzi guidati dalla stessa aristocrazia ai traffici vicini e lontani; lo slancio fortunato delle Crociate che spalancarono ai Liguri a un tempo gli itinerarii marittimi del Levante e le vie terrestri delPOccidente (queste per i vincoli d’alleanza stretti nelle spedizioni di Terrasanta, quelli per il diritto acquisito con la conquista): tali fattori, e molti altri ancora, fanno della storia economica di Genova una tra le più colorite, tra le più rigogliose, tra le più interessanti fin dai secoli XII e XIII. Inoltre gli archivi di Genova racchiudono una quantità imponente di testimonianze del tempo, sopratutto cartulari notarili, e quindi non c’è da meravigliarsi che la storia economica Genovese nel suddetto periodo abbia dato materia a studi importanti e numerosi — seppure forse non quanti l’argomento avrebbe meritato. Vennero prime le opere classiche e monumentali del Heyd, dello Schaube e dello Schulte ; e — altro genere — il libro del Sieveking sulla finanza genovese. Poi, dopo un periodo di silenzio, in questi ultimi anni è tutto un fiorire di monografie non molto ampie, ma nitide e succose: del Sayous sui banchieri e sui capitalisti Genovesi, sulle compere del sale, sulla Crociata d’Egitto; del Byrne sulla marina e sul commercio dei panni; del Reynolds sul traffico dei tessuti con la Fiandra; del Di Tucci sulle imposte commerciali e sui banchieri; del Bratianu sul traffico nel mar Nero nel Duecento e sull’influenza dell’iperpero sulla moneta Genovese (1). (1) « Sesto io no, ma postremo », studiando l’industria coloniale dell’allume impiantata dagli Zaccaria ho tentato di mostrare che gl’italiani, dove non erano inceppati dalla mancanza delle materie prime (che li ostacola anche oggi) conoscevano sin dalla fine del Duecento l’industria con strutture economiche, tendenze e proporzioni non molto diverse da quelle odierne (Lopez, Genova marinara nel Duecento: Benedetto Zaccaria, Messina — Milano 1933). — 166 — Purtroppo, scrittori quasi tutti stranieri: cosicché a riportare il bilancio in pareggio non basta neppur contare opere di diritto commerciale e marittimo come quelle del Lattes, del Chiaudano, del Bognetti, delI’Astuti, che hanno grande interesse anche per la storia dell’economia. Le opere del Heyd, del Schaube, dello Schulte anche se molto spesso chiamano alla ribalta i Genovesi, non li hanno per protagonisti assoluti, e poiché il loro scopo è di mettere in luce alcune determinate correnti dell’economia (o per dir meglio, degli scambi) trascurano deliberatamente le altre. E gli studi successivi ai loro, pur dedicati soltanto a Genova, sono tutti rivolti a un solo aspetto: un’industria, un’attività commerciale o finanziaria, un campo d’azione limitato nello spazio e nel tempo. Nessuno da quasi un secolo, dopo il Canale, ha tentato di abbracciare in una sola visione tutta quanta la vita economica Genovese per i secoli XII e XIII. Eppure in questa vita non esistono compartimenti stagni, e ogni branca può essere valutata esattamente solo alla luce delle altre: nè il materiale per una ricostruzione totalitaria manca. Ma probabilmente la stessa abbondanza del materiale, la stessa complessità e interdipendenza dei vari aspetti di quella febbrile vita economica sono le cause che scoraggiano gli studiosi. Chi può avere tempo e forza che bastino per trascrivere e pubblicare tutte le centinaia di migliaia di atti notarili che conserva l’archivio di Genova, e chi poi per leggerle, amalgamarle, spremerne il succo? Ma le difficoltà si appianano se ci contentiamo di prendere in considerazione un periodo breve e limitato. Certo la storia economica di un solo mese non basta a far intuire quella di due secoli; ma se ripeteremo gli assaggi a regolare intervallo, per periodi d’eguale durata — per esempio il marzo 1253, il marzo 1263, il marzo 1273, e così via — avremo una successione d’immagini che potranno nel loro insieme darci un’idea sufficente della continuità, come le istantanee del film riproducono senza visibili intermittenze il movimento della vita. E ne sapremo forse di più che se mettessimo insieme, per esempio, tutti i documenti che ricordano il commercio dei panni senza saper nulla di quelli che si riferiscono alFimportazione della lana o al traffico dei coloranti; poiché nessuno degli atti è trascurabile dal punto di vista della vita economica e tutti sono collegati fra loro. Ecco dunque perchè comparisce il presente primo assaggio condotto con questo metodo; altri ne seguiranno, se il metodo non parrà sbagliato e se l’esecuzione otterrà la benevolenza degli studiosi. Ma, se io non m’illudo, anche a prescindere da lavori futuri, la serie di tutti i documenti che ci rimangono per un solo mese, con la grande varietà delle operazioni economiche alle quali si riferiscono, con le proporzioni e i rapporti reciproci dei diversi rami d’affari ha il suo interesse. — 167 — Beninteso i dati che ci fornirà tale raccolta per quanto copiosi saranno sempre soggetti a cauzione specie per quel che riguarda l’importanza e lo sviluppo d’un ramo in confronto agli altri. I cartulari notarili arrivati a noi per qualunque periodo rappresentano una piccola parte in confronto a quelli che sono andati perduti, e le transazioni che venivano registrate dai notai dovevano essere la minoranza in confronto a quelle che si stipulavano verbalmente o per scrittura privata (2). Inoltre ogni notaio, allora come oggi, soleva specializzarsi in un determinato genere d’affari e con un gruppo di clienti fissi: l’uno s’occupava sopratutto del commercio dei tessuti, l’altro stendeva per lo più atti di matrimonio e testamenti; questo trattava con gente d’oltregiogo d’oltremare d’oltralpe, quello aveva rapporti quasi soltanto con Genovesi; i più fortunati disdegnavano i contratti di piccolo ammontare, altri correvano dietro alla minuta clientela. Perciò non possiamo fidarci d’un solo cartulario, nè escludere l’esistenza d’una corrente commerciale soltanto perchè non ne rimane traccia negli atti d’un notaio. Ogni registro ci fornisce una somma di fatti economici: non un totale, e neppure una media. Ma le probabilità d’errore diminuiscono se invece che un solo notaio ne esaminiamo due (è ovvio che non servirebbe allungare il periodo considerato in un solo registro perchè difficilmente chi nel marzo si dedicava ai contratti di cambio sarà passato nell’ottobre alle vendite di bestiame), giacché la specializzazione dell’uno equilibrerà quella dell’altro. E del resto è sempre una specializzazione relativa: basta a dimostrarlo il fatto che in ogni cartulario troviamo frequenti richiami ad atti rogati da altri notai (3). E se pure gli argomenti ex silentio non hanno un valore assoluto, conservano sempre un’approssimativa attendibilità: se nei registri di un notaio non comparisce neppure una volta un negozio, segno è per lo meno che quel genere di negozi è raro, e viceversa; testamenti e doti, noli e commende, cambi e vendite di panni si trovano in tutti i cartulari. Spiegato dunque il motivo della presente pubblicazione resta a spiegare perchè sia stato scelto proprio il marzo 1253. Quanto al mese è presto detto: in una città di mare come Genova il marzo, inizio della buona stagione e dei lunghi viaggi marittimi, era certamente uno dei periodi più attivi. L’anno 1253, invece, è stato scelto perchè gli atti notarili ci sono arrivati in numero e qualità considerevoli; chè quanto ad avvenimenti politici e militari, è un anno dei più scialbi. Gli anni precedenti, al contrario, erano stati ricchi di momenti dram- (2) Cfr. Di Tucci, La nave e i contratti marittimi; la banca privata,Torino 1933, 95 sgg. (3) Non erano specializzati in un solo genere d’affari neanche i clienti; vedi anche più avanti (specialm. 27 sgg.). 168 — matici, di lotte accanite, di sciagure e di trionfi memorabili; e gli anni che immediatamente seguirono erano destinati a vedere altri rivolgimenti non meno importanti, anche se meno epici per Genova. Nel decennio prima del 1253 i Genovesi — già quasi soli contro Federico 11 imperatore e re, vincitore della Lega Lombarda; contro i Pisani; contro i feudatari Ghibellini d’oltregiogo; contro gli stessi concittadini esuli che militavano sulle galee nemiche e avevano invaso le due Riviere — avevano strappato la vittoria grazie alla propria costanza, alla forza morale di Papa Innocenzo IV, un Fieschi, ch’era con loro, alla morte improvvisa di Federico, alla capacità tecnica e alla potenza finanziaria de’ suoi uomini di mare, dei banchieri, dei mercanti. Le Riviere erano state rioccupate, i Pisani respinti, i feudatari ricacciati, i fuorusciti riammessi col perdono dei vinti e non con la superbia del trionfo; Innocenzo IV aveva largito ai Genovesi privilegi amplissimi in Sicilia (pur senza avere, è vero, la forza di farli rispettare); Luigi IX di Francia aveva reclutato fra loro gli ammiragli le ciurme i costruttori navali gli ingegneri militari i finanziatori per quella settima Crociata che, se fosse riuscita, avrebbe forse potuto far dell’Egitto per Genova quello che la quarta Crociata aveva fatto dell’impero d’Oriente per Venezia; e anche se l’impresa fallì gli stretti legami con la Francia durarono, e non fu piccolo acquisto. E nel decennio dopo il 1253 riaccesasi la guerra contro Pisa e Venezia i Genovesi si liberarono da qualunque preoccupazione nelle Riviere, pur non riuscendo a impadronirsi di Cagliari; poi, sebbene vinti dalla coalizione nemica e pressoché esclusi dalla Siria, si presero ampia rivincita senza fatica col trattato di Ninfeo, che dava loro il predominio nel Mar Nero e nell’Egeo. Tra i due periodi nei quali turbinano tante vicende — troppo note perchè occorra attardarci a ricordarle — il 1253 è un anno di raccoglimento: gli stessi Annali ufficiali della città sorvolano su di esso (4), e le ricerche d’archivio non hanno molto da aggiungere in fatto di storia politica, diplomatica, giuridica, militare. Ma la storia economica ha ancora qualche cosa da dire. Poiché questa, che può sembrare la più disadorna, la più monotona, la più prosaica tra le (4) Ecco, nella traduzione del Monleone, il passaggio degli Annales Januenses che si riferisce al 1253: « Nell’anno 1253 fu potestà di Genova messer Enrico Confaloniere, nobile cittadino Bresciano. Nel medesimo anno seguirono in Lunesana i fatti infrascritti: Dunque i marchesi Malaspina Conrado e Opizone, e Bernabos e Frederico figli dei predetti combatterono contro i Pontremolensi e di essi tanti e tali ne catturarono, che i Pontremolensi consegnarono il così detto Castello di Pontremoli ai predetti marchesi e a loro si sottomisero in ogni cosa infino a un certo tempo. Ma poiché le spese della custodia del castello e del luogo tanto gravavano essi marchesi, che non poteano sostenerle, fatta una composizione col nobil uomo Oberto Pelavicino, a lui consegnarono il detto Castello. In esso anno maestro Luca, condannato di eresia dai frati Predicatori, fuggì dalla città, e i suoi beni furono distrutti giusta la forma della costituzione. In esso anno le mura della città di Savona furono distrutte perocché era venuta a fine la convenzione circa le mura da abbattersi » — 160 — sorelle in Clio, non conosce interruzioni nè soste. Essa è per i popoli quel che il respiro è per l’uomo: nei momenti di sbalzi di lotte di fatiche può venire adombrata da attività maggiori per contenuto morale e per violenza di manifestazioni; ma tornata la quiete fa sentire nel silenzio delle altre passioni il suo ritmo, più gagliarda di prima se la lotta è stata vittoriosa, più debole se s’è chiusa con una sconfitta. Anche per questo, dunque, è stato scelto il 1253: per mostrare quanta storia si possa scrivere d’un anno che pare non ne abbia. * * * Per il marzo 1253 ci sono rimasti, l’uno per intero l’altro per tre quarti, i cartulari di due notai importanti entrambi per dovizia d’atti commerciali: Oianuino Predone (Januinus de Predono) e Bartolomeo Fornari (Bartholomeus de Furnarijs) (5). Quest’ultimo apparteneva a una famiglia ragguardevole per antichità e ricchezza. Due anni prima, il 1° febbraio 1251, un Bonifazio Fornari aveva rinnovato al Comune e al Podestà di Genova l’affitto d’un palazzo con case attigue al prezzo di settanta lire per un anno (6). Qualche lustro addietro nella volta dei Fornari — un vasto locale che serviva a un tempo da ufficio e da magazzino — rogavano i propri atti Guglielmo Cassinese, e dopo di lui molti altri (7). Invece Bartolomeo Fornari teneva ufficio nella casa dove abitava lo speziale Guglielmo Valle, presso la canonica di S. Lorenzo: vale a dire nel centro degli affari. Infatti la Cattedrale, quasi adiacente al palazzo del Comune, prossima al porto, a mezza strada tra le case dei D’Oria e il Castello (dove abitava la parte migliore deil’aristocrazia e della plutocrazia) era situata nel cuore della città d’allora. E gli speziali occupavano una posizione di prim’ordine tra i commercianti, cosicché un notaio il quale abitasse presso uno di loro poteva sperar di volgere a proprio vantaggio anche le larghe relazioni del padrone di casa. Lo studio di Bartolomeo Fornari doveva essere uno dei meglio avviati: ce lo dimostrano i nomi dei clienti (tra i quali primeggiano rappresentanti (5) D’ora in poi citeremo gli atti dei due notari rispettivamente con le lettere P e F seguite dal numero d’ordine dell’atto nella nostra serie. Avvertiamo anche che nel testo e nelle note della prefazione facciamo uso, quando ciò sia utile, di particolari che per le suaccennate ragioni di misura non riportiamo nel regesto. (6) Cfr. Belqrano, La vita privata dei Genovesi, in Atti della Soc. Ligure di S. P., IV, 84. (7) Cfr. Chiaudano, Contratti commerciali Genovesi del secolo XII, Torino 1925, 21 sgg. dell’Ôlimpo commerciale e finanziario Genovese, insieme con agenti di società forestiere di potenza internazionale); il genere degli affari trattati (abbondano cambi per le fiere di Champagne, vendite di tessuti e grosse commende marittime), l’ammontare dei valori rappresentati (abbiamo un totale di 7748.14.6 lire genovine, 8201.17.8 provisine, 3125 tornesi, 917.16.8 pisanine, 1299 bìsanzi aurei di Siria, 100 marche sterlinghe etc. in 161 atti, dei quali 43 per oltre 100 lire genovine o d’altra moneta superiore, e solo 14 al disotto delle 5 lire) e il numero complessivo degli atti (216 in venticinque giorni, ossia una media giornaliera di circa 9, che non è poco). Lo studio a dispetto delle prescrizioni canoniche lavorava anche la domenica, ma l’onorario per ogni atto rogato non era alto, sei denari (8). Perciò il Fornari malgrado la sua attività esemplare non guadagnava più di ottanta lire all’anno — a sei denari per atto e calcolando stabile per tutti i dodici mesi la media del marzo — che non erano molte in confronto ai grossi capitali rappresentati nei contratti, anche se a quei tempi per diciotto lire si poteva comprare una villa in campagna con vigna e bosco (9). Anche Gianuino Predone teneva studio davanti alla canonica di San Lorenzo, accanto al Fornari e probabilmente in concorrenza con lui. Forse perchè non aveva rinunciato a trafficare per proprio conto (10) come notaio aveva meno lavoro del suo collega, sebbene egli pure tenesse aperto l’ufficio di domenica: in tutto il marzo non rogò che 145 atti, da quattro a cinque di media giornaliera: la metà del Fornari (11). Tuttavia anche il Predone aveva qualche buon cliente. Trecentosessantun atti da due fonti diverse, per trentun giorni, possono sembrare messe sufficiente; ma non vorremmo gettar via neppure le briciole, anche perchè come dicemmo quanti più notai metteremo a contribuzione tanto meglio bilanceremo la specializzazione dell’uno con quella degli altri. Le briciole più grosse ce le fornirà Giovanni Vegio o Vecchio, professionista anch’egli di larga clientela, che redigeva i suoi atti ora nella casa degli (8) Nonostante il deprezzamento della lira genovina la tariffa era rimasta uguale a quella pretesa dal Cassinese cinquant’anni prima. (9) F 83. Non sempre però i prezzi erano così bassi: vedi nota 141. (10) Almeno sembra che debba esser lui quel Oianuino Predone fu Oberto che il 3 marzo cedette a commenda un credito di altre 55 lire da negoziarsi in Sardegna, il 14 diede a cambio marittimo su pegno moneta genovese per più di cento once d’oro; il 18 diede 20 lire a commenda per Bugia, il 20 altre 6 once per Messina; il 29, 219 mazzi d’oro filato per Marsiglia e Montpellier (P 12, 66, 75; F 109; P 135) ricorrendo perfino all’opera professionale del Fornari suo concorrente. Altri atti relativi a lui in Manuele de Loco, Reg- / (anno 1253). (11) Su 113 atti che importano spostamenti in danaro o merce, 18 sono per oltre 100 lire, 26 per meno di 5; totali 5052.15 lire genovine, 1246.10 provisine, 120 tornesi, 100. 1 once etc. — 171 eredi di Tommaso Vento ora nel fondaco di Zaccaria de Castro, un membro della potentissima famiglia Zaccaria che spesso si valeva dell’opera di lui. Il cartulario del Vegio termina al 3 marzo; ma tra i frammenti raccolti nelle buste dei « Notari Ignoti » troviamo due folii laceri e abrasi ricoperti della sua brutta scrittura, chè continuano il suo cartulario fino al; giorno 6: giusto in modo da compensare quello che manca nel registro di Bartolomeo Fornari. Si tratta di 34 atti, i più dei quali riguardano vendite e locazioni d'immobili (12). ; '-T Ancora fra i rottami dei « Notari Ignoti » ci sono da ricuperare due folii di Ouglielmo di Pegli, contenenti 21 atti che vanno dal primo al 5 del mese. Questo notaio sembra a prima vista un povero diavolo in confronto agli altri tre, perchè non aveva un proprio ufficio ma si recava a domicilio dei clienti o dei testimoni; ma ci ricrediamo subito leggendo nei suoi contratti nomi di soci della banca Bonsignori — la più potente di quel seco- lo _ e dj mercanti Toscani, Romani e Lombardi in gran numero (13). D’un quinto notaio, Tommaso di San Lorenzo, conserviamo per il marzo 1253 dieci atti rogatila Savignone. Sebbene il loro testo sia stato già pubblicato (14), mette conto di includerli nella serie dei regesti perchè col loro sapore agreste dànno un’idea dell’attività economica nel contado prossimo a Genova (15). Gli atti rogati a Porto Maurizio da Manuele Loco (anch’essi una diecina, tutti riguardanti questioni locali di proprietà immobiliari) non hanno altrettanto rapporto con la città Genovese, perche il lontano Comune della Riviera di Ponente aveva un’economia particolare e autonoma anche se politicamente dipendeva dalla metropoli. Pertanto ne riportiamo solo uno, che merita particolare attenzione perchè dà conto de.lla, vendita all’incanto delle imposte comunali (16). Abbiamo così riunita una serie di quattrocenfoventisette documenti, nei quali il lettore ha davanti agli occhi tutto quello che il tempo, l’incuria, i tarli, i topi, il bombardamento di Luigi XIV ci hanno risparmiato degli atti notarili del marzo 1253. Qualcuno penserà che il tèsto completo sarebbe stato più utile del regesto, specie per lo studio del diritto commerciale e marittimo; ! . .. " ;r . ' r. " / ■■!. .!. : : 'a (12) Citiamo gli atti del Vegio (Johannes Vegius^iòn un unico numerò d’ordine preceduto dalla lettera V, sia che provengano dal cartulario sia dai « Notari Ignoti *. (13) Wilielmus o Guilielinus de Pelio verrà citato con la lettera G e il numero d’ordine. — Del resto, talvolta anche ir Fornari e il Predone si recavano a domicilio del cliente. (14) Dal Ferretto, Documenti Genovesi di Novi e Valle Scrivia, 11 (B. S. S. S. LV1I) Pinerolo 1910, doc. 798, 799, 800, 807, 808, 810, 811, 812, 814, 815. (15) Lo citeremo con l’iniziale T e il numero d’ordine. (16) Disgraziatamente quest’atto — come del resto quasi tutti gli altri suoi — ha lacerazioni che ci tolgono alcuni dei dati più interessanti. — 172 — nè vogliamo negarlo. Ma la pubblicazione integrale richiedeva una quantità di tempo e sopratutto di spazio che non avevamo a disposizione; e per la storia dell’economia anche un regesto può bastare. Senza dubbio la brevità del riassunto ci ha obbligati talvolta a omettere qualche particolare per non doverlo riferire in modo impreciso; e probabilmente nella congerie di nomi e di cifre trascritte qualche errore può essere sfuggito. Ma si confronti quello che del marzo 1253 sapevamo dagli Annali Genovesi con quello che aggiungono i documenti qui raccolti e, spero, si indulgerà anche ai difetti del presente lavoro. ♦ * * La mia prima intenzione era lasciare che i documenti parlassero da sè; ma di fronte all’informe massa di dati analitici che si allinea nei regesti, non è superfluo trarre qualche somma. Somma, ripeto, che non è un totale, somma che può fornirci indizi preziosi per un quadro generale, non dati definitivi. Prima di tutto qualche cifra: statistica tediosa, forse, ma eloquente più d’ogni lungo discorso. Dei 416 documenti presi in esame (tralasciamo Tommaso di San Lorenzo e Manuele Loco, poiché non rogarono i loro atti a Genova) soltanto 317 ci forniscono delle cifre; gli altri novantanove non importano spostamento di valori in denaro nè in merci (anche se per lo più si riferiscono al commercio, come le procure e le elezioni di arbitri), o non ne indicano l’ammontare, o sono in stretta dipendenza da altri atti dei quali perciò riprendono i valori (17). Duecentocinquantasei atti rappresentano valori in lire genovine per un totale di L. 13722 soldi 9 e danari 8 così distribuiti: 31 per più di 100 lire, in totale L. 8385.14; 33 dalle 100 alle 50, in totale L. 2490.3.3; 54 dalle 50 alle 20, in totale L. 1742.19.11; 72 dalle 20 alle 5, in totale L. 916.6; 62 tra 5 e una lira, in totale L. 174.15.6; infine quattro soli atti per meno d’una lira. Prevale dunque il medio e piccolo affare; tuttavia per effetto d’alcuni contratti di rilevante ammontare (sopratutto compre — vendite di panni), la media non è bassa: quasi cinquantaquattro lire per atto. A grande distanza come numero di transazioni ma non molto al disotto per valore, vengono poi le lire provisine: 24 atti per un totale di (17) Non tutti gli atti naturalmente sono commerciali: ma poiché ci occupiamo dell’a/-tività economica e non soltanto dell’attività commerciale un atto dotale o un legato hanno eguali ragioni per entrare nel totale che un’accomandita o un cambio. — 173 — L. 9448.7.8; venti di essi sono per oltre 100 lire. (18) Media per ogni atto, da 396 a 397 lire; prevale il grosso affare. Lo stesso dicasi per le lire tornesi (5 atti per un totale di L. 3245, delle quali 1400 sono crediti dal Re di Francia per la Crociata d’Egitto) e per le marche sterlinghe (un solo atto per 100 marche). Invece i contratti in monete mediterranee e italiane sono per Io più di piccolo e medio ammontare: 985.23.14 pisanini minuti in 4 atti (ma uno solo di essi ne importa 883.6.8); 310.15 lucchesini minuti in 3 atti; 294.8.7 bolognini minuti in due atti; 126.5 e 5.2 lire imperiali e pavesi in quattro atti; 139 lire astensi e dieci soldi 8 denari piacentini in un atto ciascuno; 186 once e un tarino messinesi in tre atti; 1417 bisanzi saraceni di Siria in otto atti; 100 bisanzi milliaresi in un atto; 78.12 lire melgoresi in tre atti. Inoltre'dal totale delle lire genovesi dobbiamo certamente defalcare 150 genovine che erano investite in agostali e 400 genovine investite in milliaresi (19) e dei centoun atti che non indicano il valore trattato alcuni ci parlano di once messinesi e di bisanzi saraceni. Cifre, tutto sommato, ragguardevoli, e tali da farci dubitare una volta di più se sia ancora il caso di parlare di « precapitalismo » nell’economia italiana dugentesca, o non piuttosto di « capitalismo » senz’altro. Un ragguaglio in lire carta moderne, tutti lo sanno, non è possibile per molte ragioni (20); (18) 11 valore minimo trattato è quello di L. 46.10 (P 15). Sono tutti cambi pagabili alle fiere di Champagne salvo F 215 che riguarda una riscossione in provisine da effettuarsi su un deposito presso una succursale d’una banca Senese in Francia. (19) P 99; P 100, 101, 102. E probabilmente monete estere sono trattate anche in altri atti che non le nominano. (20) Tuttavia i numerosi ragguagli negli atti della nostra serie tra moneta e moneta ci permettono di confrontarle fra di loro: sempre tenendo presente che nel secondo termine del ragguaglio è quasi sempre compreso l’interesse e talora la quota d’assicurazione; perciò il più delle volte alla lira genovina, primo termine, è attribuito un valore relativo superiore al vero. Si cambiavano genovine in provisine in ragione di 20 danari gen. ogni 12 prov. rapporto di 5 a 3 — F 93 etc. — che però poteva scendere anche a 3 a 2 — P 115 — e perfino a 2,75 a 2 — F 82, 86 —). 11 corso delle provisine subiva oscillazioni così forti che in un’atto è pattuita la restituzione di 429 provisine in lire gen. « ad cambium secundum quem provenisini tunc valebunt in Francia », senz’altre precisazioni (F 216). Di poco inferiore era il corso delle tornesi: per averne a cambio mille ne occorrevano 1416.3.4 gen.; per centoventi, 177.10. gen. (F 113; P 95). ... L’unico cambio che abbiamo in moneta inglese è da L. 390 gen. a 100 marche sterlinghe, rapporto altissimo causato forse anche dalla distanza dell’isola e dalla mancanza di navi italiane che solcassero quel mare (sebbene come è noto per solito non si trasmettesse il danaro ma soltanto titoli di credito). Della lira imperiale (che sembra essere la stessa cosa che la'Jira pavese, o meglio i vecchi conii di questa moneta che prima della genovina avevajcorso ufficiale a Genova) non abbiamo ragguagli diretti con la lira gen. ma indirettamenteJpossiamo valu- ; tarla appena superiore ad essa, poiché quattrocento imperiali vengono cambiate con 883.6K di pisanini minuti, ossia più del doppio (F 162): mentre il rapporto tra genovine e pisanine è poco meno del doppio (P 114: L. gen. 27 - L. pis. min. 48.7.6.) Le lucchesine minute avevano press’a poco corso uguale a quello delle pisanine: 12 genovine si cambiavano con — 174 — ma probabilmente moltiplicando grosso modo ogni somma per cento si sopravvaluterebbero i bisanzi, le bolognine, pisanine e lucchesine minute ma non si esagererebbe nei confronti delle genovine e delle imperiali, si rimarrebbe al disotto del vero per le provisine, tornesi e sterlinghe. Per avere all’ingrosso il bilancio annuale dei due notai basta moltiplicare di nuovo per dodici: ma quanti erano i notai a Genova? Certamente parecchie decine (21); altri, poi, tenevano ufficio negli scali più importanti del Mediterraneo (22), e per Io più le transazioni compiute da Genovesi in terra straniera venivano registrate da notai stranieri (23). Nè tutti quanti gli affari, lo dicemmo, passavano per le mani dei notai. Anche le proporzioni rispettive delle varie monete, e perfino la mancanza di talune in un quadro così ricco, hanno il loro significato. L’assenza degli iperperi (confermata dal non esservi notizia di viaggi per la Romania) ci dice le pessime condizioni del commercio genovese nel caotico mondo Greco-Franco dominato dai Veneziani; l’assenza dei' bisanzi d’Egitto (e di • - ♦ r * • t - » * * * * \ 22 lucchesine e mezza (V 24; altro ragguaglio, più favorevole per la moneta di Lucca, in G 17); e ancora più basse erano le bolognine minute, che non arrivavano alla metà delle genovine (F 110; L. gen. 135.8.11 = L. boi. min. 282.3.7). Ma le cose erano molto diverse se ci si riferiva alla moneta grossa. Le monete auree dell’Italia meridionale avevano un valore abbastanza alto: si fa equivalere un agostale a 2.13.10 gen. e si esige la restituzione d’ogni marco genovese (di nove once) in dieci once di tarini messinesi (P 98 e 115). Infine i bisanzi saraceni di Siria erano molto deprezzati, giacché il rapporto in generale era di tre di essi per ogni lira gen. (F 29, 94, 95; ma il bisanzio sale a otto soldi e dieci den. in F 18 e a più d’undici soldi in F 4); ma probabilmente si calcolava una quota forte d’assicurazione e d’interessi a motivo del viaggio lungo e delle condizioni mal sicure della Terrasanta. Al tempo di Giovanni Scriba il rapporto era soltanto di due a uno (Cfr. Astuti, Rendiconti mercantili inediti del cartolare di Giovanni Scriba, Torino 1933, 34 nota 3). (21) Negli atti della nostra serie vi sono riferimenti a strumenti di 18 notai genovesi: Pagano Serra (F 12); Guglielmo di Langasco (F 20); Simone Montebruno (F 72); Oberto delle Vigne (F 75 e 119); Giovanni Sauro (F 107); Ugolino fu Federico (F 162); Niccolò Panciano o Panzano e Oberto di Marzano (F 163); Bartolomeo di Fontanemarose (F 169); Gandolfo di Sestri Ponente (F 171); Pietro Sapariti (F 214); Jacopo Castellino (P 50); Gentile Falco (P 85); Bernardo Suregaro (P 175); Ardito Beogna (P 113); Bonvassallo Cassina (V 22); Gaialdo (G 20); Aurembaldo Veriano (G 14): e dobbiamo aggiungere a questi nomi altri dei notai dei quali conserviamo atti per altri mesi del 1253, come Palodino di Sestri Ponente e Guido di Sant’Ambrogio, o per gli anni immediatamente vicini come Giberto di Nervi, Matteo Predone e moltissimi altri. (22) Conserviamo — e sono stati per la maggior parte pubblicati — atti di notai genovesi rogati a Caffa, Laiazzo, Beyruth, Famagosta, Vatica etc. qualche decennio più tardi. Ma anche verso la metà del Duecento non mancano esempi di questo genere: così nella busta III dei Notari Ignoti esistono documenti del 1260 rogati a Tunisi. E’ ovvio che questi registri redatti a tanta distanza dalla madrepatria erano esposti a cause di dispersione maggiori degli altri: perciò ne conserviamo così pochi. (23) Vedi per esempio nei nostri atti riferimenti a strumenti rogati a Lagny (P 93), a Saint-Gilles (F 192), a Firenze (F 76), a Piacenza (P 117), etc. — 175 — viaggi per Alessandria) ci segnala la tensione che certamente rimase dopo la settima Crociata (24). Queste circostanze obbligano il commercio dei Genovesi nel Levante a concentrarsi in gran parte nella Siria e nel suo porto principale, Acri: lo dimostrano non solo il numero dei contratti in bisanzi ma la quantità delle commende destinate alla « riperia Syrie » e alle « partes Ultra-maris » (sinonimi, nell'uso toponomastico del tempo) e, indirettamente, la frequente menzione di merci di quella provenienza come la lana e il cotone d’Oltremare (25). Ma l’addensarsi dei traffici genovesi in quella poca terra libera dai Saraceni dove si pigiavano mercanti di tutte le città marittime del Mediterraneo produrrà la crisi degli anni seguenti, culminante con la distruzione del quartiere genovese d’Acri da parte dei Veneziani e dei Pisani collegati contro i rivali troppo invadenti. L’asse principale del commercio marittimo di Genova appare dai nostri documenti quello che volge direttamente a mezzogiorno e attraverso alle tre grandi isole punta sull’Affrica Berbera. Bonifacio è l’avamposto della pene-trazione Ligure in Corsica e in Sardegna; i suoi borghesi, oriundi di Genova, si affollano nella madrepatria (26) che svolge da ambo le parti delle Bocche un attivo commercio a base di piccole commende, le più adatte all’economia di regioni povere e un poco arretrate (27). In Sicilia è tutto un altro quadro: il paese è ricco e quindi gli affari sono di maggiore entità; i Genovesi, che si sono avvantaggiati dell’appoggio di Papa Innocenzo e non hanno perso terreno neppure dopo il ritorno degli Hohenstaufen, debbono però fare (24) S’intende che non vogliamo sostenere che nel 1253 non si facessero viaggi e commercio da Genova per Alessandria e Costantinopoli, chè anzi sappiamo da un trattato del 1251 (Monumenta Historiae Patriae, Liber Jurium I, 1050) che i Genovesi avevano in Romania « consules et viceconsules et rectores ». Ma il fatto che in 419 documenti non se ne trovi neanche uno che vi accenni, è un sintomo indubitabile della rarità di siffatti traffici e viaggi. (Non è il caso di spiegare questo silenzio con un temporaneo devetum — boicottaggio — decretato dal Comune di Genova contro Egitto e Romania, perchè vi avrebbero accennato gli Annali ufficiali; nè con l’intervallo di tempo che separava il marzo dalla partenza dei convogli di navi — caravanae — perchè sembra che il primo passagium fosse verso Pasqua, cfr. Heyd, Storia del Commercio del Levante nel Medio Evo (trad. ital.), Torino 1905, 195). (25) Si riferiscono alla Siria, o riportano valori in bisanzi siriaci, sedici documenti della nostra serie (F 4, 15, 18, 29, 59, 65, 66, 93, 94, 95, 108, 139, 209, 214; P 64, 65); due concernono la lana subtilis de Ultramare (P 3, 21) e uno il cotone d’Oltremare (P 111). Un altro atto parla più vagamente del Mediterraneo Orientale (P 22). (26) I nostri documenti ricordano i nomi di un Delela, un Campi, un Peluco, un Marchesano, due Bargone, Saonino, Ogerio, Ranuccio (F 2, 3, 63, P 37, F 14 e P 2, P 2 e 38, P 123). (27) Sul castello di Bonifacio durante il secolo XIII il Vitale ci darà tra poco una raccolta di documenti del più grande interesse. Dei nostri, oltre a quelli citati nella nota prec. si riferiscono alla Sardegna alla Corsica e ai loro abitanti gli atti F 68, 110, (dove è nominato un Bergamino sardo), 126, 161 (dove sono nominati Dorbino Pina di Sassari e suo figlio Gonario), P 12, 25. — 176 — i conti coi mercanti e con le navi di Messina (28). Tunisi e Bugia, sebbene la loro moneta non comparisca nei documenti (29), sono le mete più frequentate: nella nostra serie vi sono diciotto commende per quelle direzioni con un ammontare complessivo di L. 1094.13.6 (una media di quasi 64 lire per transazione) (30), un importante contratto di trasporto (31), e cinque vendite di lane barbaresche (32). Col litorale finitimo della Provenza e della Linguadoca, Genova e la Riviera di Ponente mantenevano da lungo tempo le più attive relazioni, sebbene la Superba avesse dovuto rinunciare a poco a poco a quel grado di protettrice ed egemone che s’era preso durante il dodicesimo secolo: ormai i porti del Golfo del Leone erano suoi concorrenti pericolosi, e fu buona fortuna per essa che Marsiglia perdesse nella seconda metà del secolo XIII con l’autonomia politica molto della sua prosperità mercantile (33). Nel marzo 1253 da Genova si esportavano o si riesportavano in Provenza panni, fili d’oro, spezie e altri prodotti orientali; si importava sale dalle isole Hyères (34). Nizza (che in questo tempo è più collegata con la Provenza che con l’Italia) (28) Messina e la Sicilia sono meta designata nei seguenti atti: G 4, V 13, F 102, 109, 125, 131, 149, 157, 204, 207; P 44, 66, 128, 129, 141. In questi documenti compaiono i nomi di parecchi borghesi di Messina e si parla di due navi « Paradiso » e « Ulivetta » e di un bucio « San Giuliano » appartenenti a Messinesi; inoltre la quarta parte d’un altro bucio « Sant’Antonio » vien comprata da Niccolò Merula borghese di Messina. Infine l’atto P 130 riguarda ricerche d’allume che un Genovese dovrà compiere a Lipari. (29) Forse perchè le monete europee avevano facilmente corso nella Tunisia. Sembra accertato che i bisanti di miliaresi (che compaiono in qualcuno dei documenti) non avessero nulla a che vedere coi bisanti arabi e venissero invece coniatila Genova (Cfr. Casaretto, La moneta genovese in Atti della Soc. Ligure di S. P. LV, 203 segg.). (30) G 4, 6; F 61, 90, 122, 129, 141, 142, 144, 166, 213; P 75, 81, 98, 99, 100, 102, 110. (31) F 125, interessante anche perchè ci dà un esempio delle merci che si esportavano in Tunisia. (32) P 13, 55, 62, 91, 119. (33) Questo cambiamento di rapporti risulta evidente dal confronto dei trattati conclusi nel secolo XII con quelli del 1251 con Marsiglia, del 1252 con Montpellier (M. H. P. Liber /urium) 1,1122 e 1147 — nel marzo 1253 i Marsigliesi portavano merci a Genova per conto di Genovesi (F 192) e assumevano noli fin nel porto rivale (F 176). Vedi la nota 131. (34) Fili d’oro in P 132 e 135; panni in P 137, F 167; pepe in P 60 e 120; zafferano e seta in F 193 e 194. La cosa più singolare si è che proprio queste mercanzie sono quelle che dagli atti quasi contemporanei del notaio Amalrico (1248: pubbl. da Blancard, Documents inédits sur le commerce de Marseille au Moyen-Age, II, Marsiglia 1885) figurano come esportate da Marsiglia in Siria. Questo legame tra il commercio di Provenza e quello Orientale è confermato nei documenti della nostra serie da parecchie commende che hanno per prima meta la Provenza, per seconda meta eventuale la Siria e il Levante (F 59, 65, 66; P 22). Cfr. in proposito Schaube, Il commercio dei popoli Latini sino alla fine delle Crociate (trad. ital.), Torino 1905, 206 sgg. Sui rapporti tra il commercio dello Champagne e del Levante cfr. invece Byrne, Genoese trade with Syria in thè twelfth Century, in American Historical Review, 1920. L’importazione del sale in F 11, 106, 147. Vedi anche più avanti. — 177 — Fréjus, Tolone, Marsiglia, Aigues-Mortes, Saint-Gilles, Montpellier, Narbona, Digne figurano del pari nei documenti della nostra serie (35). Per la Spagna e Maiorca abbiamo soltanto tre commende: (36) ancora i privilegi largiti da Ferdinando di Castiglia non avevano provocato quell’afflusso dei Genovesi a Siviglia che si produrrà nella seconda metà del secolo (37). Ceuta viene nominata in un solo atto; in compenso una commenda di duecento lire genovine ha una meta di singolare importanza: Safi, Sull’Atlantico quasi dirimpetto a Madera, molto più giù delle Colonne d’Èrcole che quarant’anni più tardi vedranno muovere i fratelli Vivaldi al viaggio senza ritorno per la circumnavigazione deU’Affrica (38). Ma quello che più ci colpisce è l’ammontare totale delle transazioni in lire provisine e tornesi, che non soltanto lascia a distanza quello d’ogni altra valuta straniera ma — tenuto conto del maggior valore delle monete francesi in confronto a quella di Genova — supera perfino l’ammontare delle transazioni in lire genovine (39). Vale a dire, se i nostri notai non erano specializzati in cambi per le fiere di Champagne (e non abbiamo ragione di crederlo, giacché non è alto il numero degli atti che vi si riferiscono, ma il valore del singolo atto), che le relazioni da Genova con lo Champagne e la Francia continentale assorbivano da sè sole un capitale maggiore sia di quello investito nelle relazioni con tutto il resto del mondo sia di quello impiegato nel traffico interno, compresi atti non commerciali come legati e doti (40). (35) Oltre ai documenti citati nella nota prec. si riferiscono alla Provenza e alle sue città o alla sua moneta gli atti V 2; F 35; 43, 52, 110, 112, 118,’136, 190; P 48. (36) F 20§ (25 lire gen. per Maiorca); 212 (39.12 per Maiorca); P 74 (100 per la Spagna). Maiorca è menzionata anche in G 14 (come luogo d’origine d’un teste). Forse dobbiamo aggiungere gli atti nei quali compare Guidetto di Valenza che però potrebbe essere anche di Valenza nel Piemonte. (37) Cfr. Lopez, op. cit., 261 sgg. — I privilegi diSan Ferdinando in Liber Jurium, I, 1260. (38) F 72 (Ceuta); P 65 (Safi). Non mi è stato possibile trovare l’articolo del Kruegen, Genoese tracie with northwest Africa, Speculum 1933, che forse aggiungerà in proposito qualche cosa ai dati dello Schaube, del Heyd (Le colonie commerciali degli Italiani in Oriente nel Medio Evo, Venezia 1866-68, supplemento) e dell’Amari (in Atti della Soc. Ligure, IV e V). (39) La sproporzione è ancora più grande se si considera il solo registro del Fornari dove di fronte a L. gen. 7748.14.6 sono rappresentate L. prov. 8201.17.8 e L. torn. 3125. Ma contratti in provisine appariscono numerosi e ingenti in tutti i registri del tempo: ne sono pieni p- es. anche i frammenti di Guido di Sant’Ambrogio e di Palodino di Sestri Ponente che si conservano per altri mesi del 1253. — Naturalmente bisogna osservare che la Crociata deve aver partecipato a dare incremento agli affari in provisine e sopratutto a quelli in tornesi. (40) Le relazioni con lo Champagne, come è noto, debbono essere considerate in senso lato come relazioni con coloro che vi si recavano: i Fiamminghi (per questi anche Pietro Felice « de Bruxia », citato in F 8), i Tedeschi dell’ovest, gli Inglesi (per questi anche il documento citato, in marche sterlinghe), gli Svizzeri (per questi anche un * Guilielmus dç Firburgo » abitante in casa Usodimare, citato in F 26). 12 — 178 — Non occorrono parole di commento per sottolineare l’importanza di questa osservazione. Abbiamo detto « di Genova » e non « dei Genovesi v: infatti i documenti della nostra serie comprendono transazioni di Genovesi con stranieri e anche di stranieri tra di loro (molte delle quali sono appunto cambi in provisine), mentre non possono darci un’idea degli atti commerciali conclusi da Genovesi oltremare (41). Se noi avessimo a disposizione anche questi ultimi atti, se per il 1253 ci fosse rimasto qualche registro rogato nelle colonie, è probabile che la preponderanza delle relazioni terrestri in confronto a quelle marittime apparirebbe minore (42). Ma poiché vogliamo rievocare la storia di Genova e non quella de’ suoi cittadini, non rimpiangiamo nei registri che abbiamo preso in esame la mistione d’elementi stranieri e l’assenza d’elementi indigeni: queste mistioni e queste assenze sono la caratteristica e la ragion di vita di Genova, nel Duecento e oggi. La città è prospera per il suo movimento di transito, per il ricambio febbrile: perchè da lei i nativi si staccano e vivono altrove e segnano la sua impronta in paesi lontani, perchè a lei gli stranieri accorrono e vi dimorano e dànno al suo commercio il proprio lievito e il proprio indirizzo. Negli uffici dei nostri notai formicolano Italiani d’ogni regione; e se anche i borghesi delle città marittime possono esservi malvisti come pericolosi concorrenti, con quelli delle città interne i Genovesi vivono in una stretta simbiosi. E di fronte a contratti che ci parlano di commende concesse per la Provenza e la Siria da Genovesi a un Astigiano, o di denari depositati in Francia da Genovesi in una banca Senese, o di un borghese di Portovenere che si obbliga con un Senese a favore d’un Milanese alla presenza di testimoni d’Orvieto di Parma di Firenze, vien quasi da pensare che nell’economia e nel commercio lo spirito unitario Italiano sia penetrato inconsciamente prima ancora di cominciare a farsi luce nell’animo dei poeti (43). Tra i forestieri i più numerosi sono i Piacentini, che nei nostri documenti s’incontrano a diecine e che trafficano di tutto, dalle spezie ai panni, dalle pelli al cambio (44). Viene secondo per importanza numerica il gruppo (41) Tuttavia molti strumenti si richiamano a contratti e transazioni fatte oltremare: vedi p. es. F 72. (42) Ma agli affari marittimi conclusi da Genovesi oltremare dobbiamo contrappore affari terrestri conclusi da essi in Francia, ad alcuni dei quali vi sono parimenti richiami negli atti della nostra serie (Cfr. nota 23). (43) F 59, 65, 66; F 215, 216; G 11, 12 (testi: Matteo d’Orvieto, Ranuccio Fiorentino e Bernardo di Parma). E gli esempi si potrebbero moltiplicare. 44) Indichiamo i principali atti nei quali hanno parte Piacentini, rimandando per altri particolari a più avanti: F 9, 16, 24, 27, 28, 30, 35, 36, 38, 42, 45, 57, 59, 64, 67, 70, 80, 81, 10d, 116, 123, 146, 155, 167, 196, 203, 210, 211; P 11, 14, 17, 51, 59, 69, 72, 82, 86, 103, 113, 117, 143, 144. — 179 — dei Toscani. Tra questi i Lucchesi, da qualche anno alleati con Genova e Firenze ai danni di Pisa (45): essi sogliono riunirsi nel campetto degli Stan-cone, e là hanno deciso due mesi prima di trattare con le autorità del Comune che li ospita per ottenere piene e complete esenzioni doganali (46). Poi i Fiorentini, dediti sopratutto al traffico e all'industria dei panni (47); e i Senesi che s’occupano, a Genova come dovunque, di cambio e di prestiti, e sebbene non sieno molto numerosi hanno dietro di sè la formidabile organizzazione delle loro banche (48). Non mancano neppure i Pistoiesi (49); invece i Pisani stanno a distanza perchè tra loro e l’antica rivale seguita a ardere quella guerra che entro il secolo verrà decisa ma non terminata dalla Meloria e dalla devastazione di Portopisano (50). (45) Lucchesi nei seguenti atti della nostra serie: G 17, 19; V 24; F 9, 13, 56, 142,161; P 30, 124, 136. - 11 testo dell'alleanza in Liber Jurium, I, 1115. (46) « Rainerius anachi. Rustichellus Argumenti. Bernardus barinasii. Enricus Guera-ciani de barca. Bartolomeus filius graciani p. sp. q. Aldebrandini. Enricus Rogironi. Benedictus q. Orlandi Alamanni. Bonaiuncta gambaldi. Enrico castagnacci. Saraceno figlio di Jacopo. Ubaldo Overardi. Siguerio f. gradano barca. Bonaventura todeschi. Petrigus fu pietro. Compagnus filius Uberti Bonacursi Manfredini. Aldimare Rachii. Aldebrandino Luparelli. Wilielmus Francheti (o Frascheti). Bonaiuncta donati. Tholomeus filius Jacopi Tholomei. Guido barba. Brunetus de garba. Orlandus batosus. Enricus tadolini. Bonus Johannes gam-baldus. Bernardinus m.. ani et Fredericus speciarius mercatores lucenses et quilibet ipsorum congregati more solito Janua in campeto stanconorum elegerunt et constituerunt lambertum leconem Bonaventura Todeschi Rustichellinum Rustichelli paulum piperata vivianum sembrini lucensem et Balduinetum rubeum et quilibet eorum in solidum ita quod occupantis non sit rnelior condicio suos certos nuncios per curiam et consules, ad procuranda négocia, que pertinent ad negociatores ed ad eos in civitate lanue et specialiter ad petendum immunitatem a comuni Janue et quod gravari non possint ad prestationes aliquas seu dacitas .....casei et carnium vel aliqua mercationum emptarum ab eis vel ab aliquo ipsorum vel..... quos detu- lerent ipsi vel aliquis eorum seu deferet vel deferri faceret versus portum veneris vel per illas partes ad partes lucenses vel ad alias partes nec occasione aliquarum mercationum ultra id quod continetur in conventione facta inter comune Janue et comune luce et ad conducendum omnibus ex actoribus nec aliquid propterea solvatur et ad agendum petendum recipiendum opponendum respondendum excipiendum replicandum.....Testes paganus tabernarius Jordanus paterius de Sancto donato et Wilielmus magister de Castelleto. Actum Janue in..... stanconorum die II Januarii post terciam. MCCLIIJ Indictione decima ». — Questo è l’interessante documento (leggermente guasto da lacerazioni) che si conserva nella busta III dei \Notari Ignoti, e che è certamente scritto da Guglielmo di Pegli. — J\ ' (47) Fiorentini nei seguenti atti: F 76, 77,115,180, 189, 198; P138,142, G 15,17, 20. Un loro console a Genova è nominato già nel 1254 (Davidsohn, Geschichte von Florenz, IV, 2, 443); cfr. sulle relaz fra Toscana e Liguria Ciasca, 565 sgg. e Ferretto in Atti Soc. Ligure S. P., XXXI. (48) Senesi nei seguenti atti: F 38, 53, 86, 110, 114, 153, 154, 159, 170, 176, 215, 216; P 30, 73, 83, G 9, 10, 11, 13, 15. (49) F 162. Si tratta di Anseimo di Chiarente, il quale verso il medesimo tempo stipula cambi anche con Marsiglia (Blancard, doc. 816). (50) Tuttavia le relazioni commerciali con Pisa non erano del tutto troncate, tanto è vero che i banchieri Genovesi Rozo e Leccacorvo promettono restituire a un Astigiano una somma in pisanini a Pisa (P 114). — 180 — Anche le città dell’odierna Lombardia — Como, Milano, Bergamo, Pavia, Cremona, Mantova, Brescia — mandano una bella schiera di mercanti che per lo più badano a comprar panni fiamminghi, a venderne lombardeschi e a procurarsi la materia prima (51). Asti e Tortona, sebbene mantengano relazioni con Genova, sembrano non conservare più quel posto brillante che avevano occupato durante quasi tutto il secolo Xll (52); invece Alessandria invia sul mercato Genovese attivi compratori di panni (53). Parmense è un rappresentante a Genova della Gran Tavola dei Bonsignori (54); e pur nell’assenza di altri documenti, due cambi per Bologna ci dimostrano che anche quella città era in qualche modo collegata con la Liguria (55). Infine i nomi di mercanti d’Orvieto, di Corneto, di Toscanella testimoniano che anche il Lazio prendeva parte al commercio genovese (56). * * * Non rientra nel nostro argomento esaminare la natura e le caratteristiche giuridiche dei singoli atti tanto più che la brevità del regesto ci costrinse a sopprimere particolari che per uno studio di questo genere sarebbero stati indispensabili; ma non si può comprendere Io spirito e l’organizzazione dell’economia senza considerare quali siano le forme di contratto commerciale usate più largamente. Sull’interpretazione di queste formule l’accordo tra gli studiosi non è stato ancora raggiunto: non sembri dunque presuntuoso che io affacci la mia, pur senza nascondermi che essa si presta non meno delle altre a venir criticata e discussa. Troviamo nei nostri documenti la compravendita, il mutuo, la commenda (con gli utili aH’accomandatario per metà o per un quarto secondo i casi), il prestito a cambio marittimo, il cambio; e, nelle operazioni di banca, il deposito e la societas (57). (51) Como in P 16, 111, 145; Milano ibidem; Bergamo in F 69; P 16, 54, 62, 111, 145; Pavia in P 7, 125; Mantova in P 23; Brescia in F 162, P 104; Cremona in P 62, F 162; inoltre Concorezzo in G 11, 12. (52) Astigiani in F 52, 59, 65, 66 (tutte commende fatte a Giacomo Rubeo per la Francia e la Provenza, alcune anche per la Siria), 162; P 114. Tortonesi in F 69,96,135; P 17. (53) F 12, 16, 24, 45, 87, 88, 146, 183, 198, 201, 203, 205; P 31, 130, 139, 142. Inoltre Alba in F 130 e P 18, Ovada in P 1. (54) F 79, P 73; inoltre un « Lanfranco de Palma » (Parma e Palma nei nostri notai sono usate promiscuamente) in F 104. (55) F 110, 161. 56) D Orvieto solo il teste cit. in nota 43; Corneto in G 16; Toscanella in G 3. Per relazioni, meno cordiali con Terracina (in occasione di un naufragio), F 55. (57) La societas nei notai del secolo XII veniva molto usata nel commercio promiscuamente con 1 accomandatio dalla quale non era ben distinta (Cfr. Chiaudano, op. cit. 49 segg.); ma verso la metà del duecento cade in desuetudine (e non soltanto nei notai della nostra serie), forse appunto perchè era un doppione della commenda, conservandosi soltanto nei — 181 — Poiché si tratta di negozi giuridici diffusi largamente e da tempo, la redazione degli atti s’è cristallizzata su schemi che da contratto a contratto, da notaio a notaio, variano soltanto nei particolari (58). Fatta eccezione dei contratti bancari e della compravendita (il con- contratti di banca. — L1 accomandatio a un quarto del profitto si presenta nei nostri documenti sotto la forma di implicita. L’accomandatio a metà ha press’a poco eguale formula; sulla sua natura, com’è noto, furono sollevate discussioni, che non è qui il luogo di ricor-cjare. — Troviamo in F 108 un interessante esempio degli utili di una commenda marittima: Natalino di Santo Stefano, avendo ricevuto a commenda 15 genovine per la Siria, fu condannato da un lodo a restituire oltre al capitale altre 15 genovine di utili, ciò che ci induce ad arguire che gli utili totali (compresa la quota spettante alPaccomandatario) fossero in questo caso superiori al 100 per cento. Cfr. per il calcolo degli utili Astuti op. cit. (58) Riportiamo un esempio per ciascuno di questi contratti indicando anche le principali varianti che si possono trovare: Una compravendita: In nomine domini amen. Ego periçolus de alegris de cremona confiteor me emisse et recepisse a te Amico de monelia tantam lanam de Buçea Renuntians exceptioni non habite vel non recepte lane et omni iuri, pro cuius precio debeo tibi libras nonaginta sex januinas quas pro me vel meum missum tibi vel tuo certo misso dare et solvere promitto usque ad festas pasche resurectionis domini proximi venturi. Alioquin duplum nomine pene cum dampnis quos inde transacto termine, feceris vel habueris tibi stipulanti spondeo, te inde credito tuo solo verbo sine iuramento et testibus, pro pena et predictis omnibus observandis omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo. Renuncians privilegio fori. Insuper ego Benen-tente de pergamo de predictis omnibus et singulis me tibi dicto Amico constituo primum et principalem debitorem et pagatorem, promittens tibi quod si dictus periçolus quantum tibi promisit non attenderit et solverit ego ut que predicta omnia tibi attendere et solvere sub simili pena et sub obligatione omnium bonorum meorum. Renuncians iuri de principali et oinni iuri. (La fidejussione beninteso non figura in tutti i contratti). Un mutuo: Ego Johaneta filia quondam pagani de deva, confiteor me accepisse et habuisse mutuo gratis et amore a te verdina uxore wilielmi barberii de deva fratris mei libras quinque Januinas renuntians exceptioni non numerate pecunie, pro quibus tibi vel tuo certo misso dare et solvere promitto libras quinque Januinas usque ad sanctum Michelem proximum alioquin penam dupli tibi stipulanti promitto, cum omnibus expensis quas feceris pro predictis te credito de expensis tuo simplici verbo sine testibus et iuramento et pro inde omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo et renuntjans beneficio senatus consulti velleiani et iuri (y)pothece et omni iuri et facio hoc consilio Johannis purpurerii de carrubio novo et nicole purpurerii de messina quos meos propinquos et consiliatores appello. (Naturalmente le ultime frasi si trovano soltanto nei contratti stipulati da donne). Una commenda: Ego Christianus de Qrimaldo confiteor vobis Guliermo Lecacorvo et Jacobo Ravaldo bancheriis me accepisse in accomendatione de pecunia et societate (domi)norum Opizonis Nicolai et Thedisii de Flisco libras ducentas Januinas et sunt in mea comuni implicita implicate (altrove invece troviamo la formula: « implicite separatim in..... » e la merce o la moneta nella quale è fatto l’investimento). Renuntians exceptioni non numerate vel non accepte pecunie et omni juri, quas Deo propicio Safi et exinde quo deus mihi melius administraverit gratia mercandi portare debeo habens potestatem mittendi ipsas ex hinc Janua ante me quam partem voluero cum testibus (la facoltà può essere concessa anche senza testimoni-, d’altra parte può essere accordata anche « post me » o può essere negata del tutto) et facendi sicut ex aliis rebus quas porto causa Negociandi cum quibus comuniter expendere debeo et luerari — 182 — tratto mercantile per eccellenza secondo gii statuti) (59) che si trova in ogni campo, la scelta di un genere di contratto piuttosto che di un altro non dipende nei nostri notai dal soggetto contraente nè dall’oggetto trattato, ma dalla destinazione geografica. Vale a dire, noi troviamo soltanto mutui e per libram, ipsas autem post me dimittere non possim nec implicare in navi vel ligno (in P 22: « nec cursalibus mutuare »). In reditu autem meo Janue capitale et proficuum dicte accomendationis in potestate dictorum dominorum vel eorum certorum nunciorum ponere et consignare promitto et deducto capitali quartum proficui habere debeo (in F 142: « sine quarto proficui ») Alioquin penam dupli vobis stipulantibus spondeo, personam vero et pena omnia mea habita et habenda vobis pignori obligo. Un prestito a cambio marittimo: Ego Deutesalve filius quondam Oliverii magistri confiteor ine accepisse et habuisse a te Jacobo Musso de langasco libras quindecim Januinas pro quibus nomine venditionis tibi vel tuo certo misso dare et solvere promitto bisantios quadraginta sarracenos Syrie mundos et expeditos ab omnibus dacitis et avarijs maris et terre et a cathena Acconis (nei contratti per la Sicilia sono invece « minas auri tarinorum justi ponderis Messine ») Infra mensem unum post quam navis Oberti de camilla et sociorum, que dicitur Sanctus Julianus in portu Acconis aplicuerit vel ubicumque portum fecerit causa exhonerandi ex quo de portu Janua moverit sana tamen eunte dicta nave vel majore parte rerum ipsius. Alioquin penam dupli tibi stipulanti promitto cum omnibus expensis tuo simplici verbo sine testibus et juramento et pro inde omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo. (Una formula un poco diversa si ha in V 13: ma il contenuto giuridico non cambia). Un cambio: Ego Rofredus bramançoni de sena nomine meo et sociorum meorum confiteor tibi wilielmino de savignono quod habui et reccepi prò te et tuo nomine et de tua parte pecunie a Symone de gualterio prò te solvente tot denarios Januinos, renuntians exceptioni non acceptorum et non traditorum Januinorum et omni iuri. pro quibus nomine cambii tibi vel tuo certo misso nomine meo et sociorum meorum dare et solvere promitto libras mille pro-vensinorum in proximis nundinis pruini de majo venturis ad rectum solvere vel eo tempore quod dicte nundine esse deberent si deficerent (In P115 e in F 93 è anche prevista l’eventualità che il pagamento non si possa effettuare alle fiere; e si fissa la somma da restituirsi invece a Genova e il termine per la restituzione. Si tratta forse di quei cambi con la rincorsa - vedi nota 87 - dei quali parla il Lattes). Un deposito: In nomine domini amen. Ego Girardus Amicus de placentia nomine meo et sociorum meorum confiteor me habuisse et recepisse a te Ianfrancho de fontana in deposito sive in custodia libras quinquaginta Januinas renuntians exceptioni non numerate vel non accepte pecunie et omni iuri. quas prò me vel meum missum tibi vel tuo certo misso reddere dare et solvere promitto semper quando tibi placuerit et de tua fuerit voluntate. Alioquin duplum nomine pene cum dampnis et expensis pro inde transacto termine feceris vel haberis tibi stipulanti spondeo, te inde credito tuo solo verbo sine iuramento et testibus pro pena et predictis omnibus observandis omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo et ubique me et mea prò predictis possis convenire renuntians privilegio fori. (A questi contratti dove il deposito ì esplicitamente nominato bisogna aggiungere i molti nei quali l’operazione è designata con le parole in bancho scribere *; Cfr. a questo proposito Di Tucci, 89 e segg.). Una società: Ego Nicolosus calvus banc'nerius confiteor me accepisse et habuisse in societate a te oliverio taxo libras quinquaginta Januinas renuntians exceptioni non numerate pecunie et omni iuri cum quibus debeo luerari et negotiare bona fide sine fraude in Janua ad banchutn meum ab hodie usque ad annum unum proximum ad medietatem proficui, et promitto tibi dare bo- — 183 — due commende a metà del profitto nel commercio interno (60); nelle relazioni coi paesi del Mediterraneo Occidentale (Sardegna, Corsica, Affrica Berbera, Spagna, e Maiorca) soltanto commende a un quarto del profitto, salvo qualche raro prestito a cambio marittimo per Corsica e Sardegna, prestito a cambio marittimo per la Siria e la Sicilia (per quest ultimo paese anche qualche commenda); per la Francia continentale, soltanto cambi. Questa singolare polarizzazione che è identica nei quattro notai del Marzo 1253 non può essere soltanto casuale, ma deve avere un significato economico. Non è qui luogo d’indugiarci a discutere la vexata quœstio della natura originaria della commenda, del prestito a cambio marittimo, del cambio: ricordiamo che in genere si è d’accordo nel ritenere che il prestito a cambio marittimo avesse oltre agli scopi feneratizio e assicurativo anche quello del trasporto di capitali su altra piazza; e che quest’ultimo scopo fosse l’unico o il predominante nel cambio (61). Se è così a quale scopo anziché scambiare merci i commercianti Genovesi esportavano’ denaro per il Mediterraneo orientale e per la Francia interna? Due motivi, ci sembra, si possono addurre: o per aumentarvi il volume d’affan, o per saldare in denaro la differenza passiva fra le esportazioni e le importazioni. Nel primo caso dovremmo arguire che il commercio da Genova per quella destinazione fosse in una fase d’aumento, nel secondo, che la bilancia commerciale fosse sfavorevole per Genova. Quest’ultimo è appunto il caso delle fiere di Champagne, dove la corrente esportatrice dei panni via Genova, da nordovest a sudest, era più copiosa di quella inversa importatrice delle spezie e dei prodotti orientali. Invece i paesi pei quali troviamo impiegato il contratto di prestito a cambio marittimo sono quelli dove il commercio da e per Genova è verosimilmente in un periodo ascensionale, in Siria per chè come dicemmo era ormai il solo lembo del Levante dove i Genovesi na fide sine fraude operam efficaciter ad augumentum dicte societatis, et in caput dicti anni predictas libras quinquaginta Januinas cum medietate proficui in tua potestate vel tui certi missi ponere et consignare promitto, deductis expensis propterea faciendis, in me alia medie-tate proficui retenta. Alioquin pro dictis tibi stipulanti promitto, pro pena vero et ad sic observandum omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo. (59) Cfr Lattes, Il Diritto Commerciale nella legislazione statutaria delle citta ita* liane, Milano 1884, 76. (60) Un esempio di mutuo per l’estero si ha tuttavia in F 97. (61) Per Genova cfr. sopratutto Lattes Genova nella storia del diritto cambiario italiano in Rivista di Diritto Commerciale, 1915, 187; e, per Marsiglia, Sayous, Le Commerce de Marseille avec la Syrie au milieu du XIII« siede, in Revue des Etudes Historiques 1929, 14 e se™ dell’estratto. Contra (non senza buoni argomenti) Schaube, Studien zur Geschichte und Nature des àltesten Cambium, in Jahrbücher fur Nationale Oekonomie und Stat.stik, 1895 190 Ma naturalmente tutti gli storici del diritto commerciale, dal Goldschmidt al Saivioli’dall’Arcangeli al Cessi, dal Chiaudano all’Astuti debbono essere consultat, in proposito. — 1S4 — non fossero male accolti o soverchiati dai rivali, e perchè al commercio ordinario s’era aggiunto quello creato dalle truppe Crociate colà operanti; in Sicilia perchè dopo il crollo del commercio prodotto dalla lotta con Federico li i privilegi largiti dal vincitore Innocenzo IV (62) avevano aperto un varco attraverso il quale i Genovesi affluivano per ricuperare il tempo perduto; in Corsica e Sardegna, perchè in esse la lotta tra Genova e Pisa iniziata sul terreno commerciale assai prima che nella guerra da anni segnava un continuo progresso dei Genovesi. Lo slancio ascensionale è rapido in Siria, un po’ meno in Sicilia, lento nelle altre isole: perciò qui i prestiti a cambio marittimo sono rari, là si alternano con le accomandite, in Siria sono i soli. Ma non dobbiamo portare alle estreme conseguenze questa interpretazione. Altrimenti, non essendoci per le fiere di Champagne altro che cambi — spedizioni di capitale — e nessuna commenda, si dovrebbe concludere che da Genova non vi si esportasse nulla in cambio dei panni che vi si compravano; mentre noi sappiamo che i paesi produttori di panni vi si rifornivano di spezierie per mezzo di mercanti italiani (63). Ritorniamo per un momento alla « accomandatio ». La cosa accomandata viene sempre espressa in moneta genovese; e quando essa è investita in mea communi ratione, ossia indistintamente nel capitale comune, manca qualsiasi altra specificazione, ma quando è investita separatim veniamo a conoscenza che soltanto in una parte dei casi si tratta realmente di denaro geno-vino: il più delle volte sono al contrario mercanzie determinate, (talora sono anche denari ma d’altra valuta, come agostali, miliaresi, melgoresi ecc). (64). Non c’è ragione di escludere che questo si verificasse anche quando il capitale era in communi ratione, ma poiché le merci portate in accomandita erano tutte del medesimo genere, poco importava per la restituzione del capitale e per la ripartizione degli utili di quale derrata si trattasse: bastava fermare sul contratto notarile la percentuale spettante a ogni singolo accomandante, perchè non vi fosse dubbio sulla parte che doveva ritornargli a negozi compiuti. (65). Invece quando l’accomandatario portava con sè merci diverse per diverse persone era necessario dichiararlo nel contratto perchè il rendimento poteva non essere uniforme per tutte le derrate, e occorreva tener conto di questa differenza nella ripartizione della quota degli utili spettante agli accomandanti. (62) Liber Jurium, 1065 sgg.\ 1070 sgg. (63) Oltre alle innumerevoli testimonianze di documenti e cronisti, troviamo nella nostra serie in F 61 menzione di zenzero depositato da un mercante genovese a Lagny. (64) P 99, 100, 101, 102, (65) Infatti mentre nelle commende del secolo XII troviamo ancora talvolta la designazione della merce accanto a quella del denaro che la rappresentava (cfr. Chiaudano, op. cit., 41. sgg.) nei nostri documenti questa superflua precisazione è caduta. — 185 — Nel prestito a cambio marittimo le cose non sono molto diverse: la posizione giuridica dei contraenti è tutt’altra da quella della commenda, ma l’oggetto economico come in quest’ultima anche se è sempre rappresentato per mezzo del denaro non è sempre denaro (66): e ce ne dà un primo avviso il nome stesso del contratto che mentre nel secolo XII a Genova, nel XIII a Marsiglia era « permutationis seu cambii » negli atti della nostra serie è divenuto « venditionis ». Infatti in alcuni di essi vediamo che il debitore oltre alle consuete garanzie dà in pegno al prestatore (non materialmente, chè dalla formula più estesa d’un contratto ci accorgiamo che egli continua a rimanere possessore a nome dell’altro) le merci comprate coi denari di lui. Ora, anche se non è il prestatore che ha materialmente venduto le derrate, sta di fatto che per il luogo di destinazione del cambio marittimo non parte denaro ma merce (67). Affermare che anche nel cambio, il contratto in denari per eccellenza, la contropartita dei denari da consegnare su piazza estera fosse sovente data o investita in natura, è certamente esagerato. Sopratutto i banchieri Toscani, specializzati nelle operazioni di cambio, non impiegavano certamente in derrate la moneta ricevuta: essi la tenevano presso di sè per far fronte ai pagamenti dei quali ricevessero ordine dalle altre piazze; e per lo più nei loro affari non veniva trasportato altro che lo strumento notarile attestante il credito. Pure, qualche esempio ci fa credere che talvolta anche nel cambio si usasse la rappresentazione della merce per mezzo del denaro. Il 19 marzo Bernardo Scotto di Piacenza dichiarò con la formula consueta a Oberto Stancone d’aver ricevuto a cambio « tot denarios Januinos » per i quali doveva pagare duecento provisine a Bar: ma un’annotazione del contratto ci fa palese che quei denari « processerunt de cera quam (ego Scottus) habui ab Enrico Nepitella prò te (Stancono) et tuo nomine » (68). Qui, dunque la contropartita del denaro da riscuotere a cambio su piazza estera è in merci (sebbene indirettamente, perchè esse rappresentano soltanto (66) Contra Chiaudano, op. cit., 41. (67) Non abbiamo modo di accorgercene così bene come nella commenda, perchè non v’è da fare ripartizione di utili; quello che spettava di ritorno al prestatore era fisso e prestabilito, e quindi non sarebbe servito a nulla designare nello strumento in quale oggetto fosse investito il prestito. Per un analogo sistema di rappresentazione della merce per mezzo del prezzo nei cambio marittimo attico cfr. Prinosheim, Der Kauf mit fremdem Geld, 1916; Paoli, Studi di diritto attico, Firenze 1930, etc. Così Modestino: « Traìecticia ea pecunia est quae trans mare vehitur ceterum si eodem loci consumatur, non erit traiecticia. Sed videndum, an merces ex ea causa haberunt? ». (1 pr., de naut. Fen., 22,2). (68) F 89. — 186 — l’impiego del capitale): dobbiamo considerare il caso come un’eccezione, se la nota del documento è rivolta appunto a segnalare questa circostanza, come una possibilità non infrequente se la nota serve soltanto a chiarire che i denari Genovesi — ossia la cera — erano stati consegnati dal Nepitella e non da Oberto Stancone. A favore della seconda ipotesi si può osservare che mentre nella commenda per il riparto degli utili e nel cambio marittimo per l’eventuale addossamento dei rischi poteva essere opportuno designare la quantità e il genere preciso della contropartita, nel cambio, predesignato in una cifra indipendente da utili e da rischi, era del tutto inutile. Non ci sarebbe dunque stato motivo di specificare che invece di denaro era stata data cera mentre ce ne poteva essere per dichiarare che la somma era già stata versata da un terzo che non prendeva parte al contratto. Comunque anche se questo fosse provato (e non è) l’essenziale è vedere se le derrate della contropartita venissero o no trasportate sulla piazza dove si pagava il cambio: ossia se quest’oro che figurava esportato nei contratti era o no in ultima analisi la traduzione del valore d’esportazioni in merci. Coi documenti della nostra serie questo non si può dimostrare per lo Champagne: ne abbiamo invece una prova in un cambio per Asti. Il 20 marzo Bonifacio Scotto d’Asti dichiara, anch’egli con le formule consuete, d’aver ricevuto dal concittadino Pietro Garretto a cambio « tot denarios Januinos » per i quali deve pagare centotrentanove lire astensi ad Asti; aggiunge d’aver comprato coi denari ricevuti 5 balle di panni lombardeschi e una di cordovani che dà in pegno al creditore fino a pagamento effettuato. Tuttavia ne rimane in possesso a nome di lui, e le trasporta ad Asti a proprio rischio e pericolo (69). * * * Rimarrebbero da fare molte altre osservazioni d’ordine giuridico, se questo non esorbitasse dal nostro campo: segnaleremo soltanto di sfuggita e alla rinfusa la frequenza della fidejussione (70), il larghissimo impiego del (69) F 152. Non trascriviamo per intero l’interessante documento perchè esso è già stato pubblicato in Rosso, Documenti sulle relazioni commerciali fra Asti e Genova, in B. S. S. S., 168. (70) V. l’esempio primo della nota 58. Naturalmente l’istituto viene impiegato sopratutto per i rapporti con gli stranieri; nei nostri documenti l’esempio più tipico è quello di Giacomo d’Alessandria, fidejussore per tutti i compratori di panni della sua città. Spesso esistono contratti accessori nei quali il beneficiario promette al fidejussore di risarcirlo degli eventuali danni: ma v’è anche un esempio (F 18) in cui quest’ultimo è costretto effettivamente a pagare. — 187 — credito (71), la parte attiva presa dalle donne alla vita economica (72), Tuso di rilasciare quitanze anticipate specificando poi in altro strumento che rimaneva un debito parziale o totale (73). Ma de hoc satis: vediamo invece i singoli rami dell’attività economica. I contratti più importanti se non i più numerosi si riferiscono al cambio e alle operazioni bancarie. Tra i cambiatori senza dubbio il più potente è Rofredo Bramanzoni agente dei Bonsignori, che abitava a Genova almeno da due anni (74). Egli non era il solo rappresentante della grande banca Senese in quella città (75), ma le operazioni da lui compiute superano di gran lunga quelle di tutti gli altri. Soltanto nel marzo 1253 e per mezzo di due notai, egli stipulò undici contratti di cambio per un totale di 4700 provisine, 232. 3. 7 bolognine e 100 marche sterlinghe (queste ultime pagabili a Londra) (70). (71) Certamente era sopratutto nei contratti basati sul credito che si ricorreva all’opera dei notai, e questo può far sembrare il credito ancora più diffuso di quel che realmente non fosse. (72) Vedi l’esempio secondo della nota 58. Questo fenomeno risale per lo meno tanto lontano quanto la nostra conoscenza degli atti commerciali Genovesi, vale a dire fino alla metà del secolo XII. (Cfr. Doneaud, Sulle origini del Comune in Genova, Genova 1878, 29; 76). In generale le donne operavano col consenso di due o più « consiliatores et propinquos » ma non pare che la presenza di essi fosse assolutamente necessaria perchè in diversi contratti mancano. (73) V 17, 19, 21; P 6; F 50, 85, 150, 179 etc. (74) Atto in Rosso, 163. Cfr. Chiaudano, Notizie sulla sede di Genova della Gran Tavola di Orlando Bonsignori, in La Diana 1933; e opere ivi citate. (75) Il 17 marzo Bernardo Zamorerio di Parma a nome di Rolando Bonsignori di Siena e d’altri mercanti dà denaro a cambio alla banca Leccacorvo & C. di Genova (F 36; altro atto in F 79). Anche Manente Bernardi (G 9, 10, 11, 12, 14, 16) e con lui i suoi soci Bericello Buonrecuperi (ibidem e F 176) e Bonaventura Giglio (F 116) furono probabilmente in relazione con la banca Bonsignori, poiché dal 1257 in avanti fu socio e agente di essa a Genova Tolomeo fu Manente (Rosso, 187; Gottlob, Zur Gesellschaftsliste der Bonsignori von Siena, in Historisches lahrbuch, 1901; Chiaudano, Notizie 5-7 dell’estratto; Chiaudano, Studi e docum. per la storia del Dir. Commerc. Italiano nel sec. XIII, Torino, 1930, 120 sgg.); e nel 1267 ne era socio Giacomo Giglio (Servois, Emprunt de Saint Louis en Palestine, in Bibliothèque de l’Ecole des Chartes, serie IV vol. 4). (76) F 38, 53 e 56, 86, 110, 114, 153, 154, 159, 170; P 30, 115. Le tracce della sua attività non sono meno frequenti in altri mesi e presso altri notai: ne troviamo ad apertura di libro, sia proseguendo l’esame dei cartulari da noi già esplorati per il marzo (p. es., Fornari IV fol.94 t.: cambio stipulato con Aldobrandino di Firenze per 300 provisine; 99 r.: cambio con Ricco Rubeo di Firenze per 400 provisine, etc.) sia intraprendendo la ricerca nei cartulari che comprendono solo altri mesi del 1253 (p. es. Guido di S. Ambrogio, 31 t., Febbraio 1253: cambio stipulato con un Nasi di Firenze a nome d’altri Fiorentini, di 1650 genovine per 1200 provisine, etc.). Tali esempi, e gli altri cambi per lo Champagne della nostra serie ci inducono a pensare che se il Chiaudano non ne trovò per quella destinazione nei cartulari del 1251 da lui presi in esame (Notizie cit.) questo non dipenda da minore estensione d’affari che avesse la filiale Genovese della ditta Bonsignori in quel tempo, ma piuttosto dalla brevità del periodo ch’egli prende in considerazione. — 188 — 1 Piacentini, per lo più raggruppati in grosse società, occupano il secondo posto tra i cambiatori (77), ina a non grande distanza li seguono i Lucchesi (78). Anche alcuni cittadini di Genova esercitano questa professione; ma più spesso figurano invece tra coloro che dànno denari a cambio (79). Sarebbe un errore credere che alla metà del Duecento vi fossero ancora a Genova cambiavalute la cui attività riposasse unicamente sul cambio in fiera: come questo risponde al triplice scopo di impiegare speculativamente dei capitali, di facilitare gli acquisti di panni dal Ponente e (se non è errata l’interpretazione da noi proposta poco sopra) talora anche di esitare all’andata partite di merci, così i cambiatori molto spesso compiono operazioni bancarie, vendono panni franceschi e talora anche altre merci che non sono certamente importate dalla Francia ma al contrario sembrano destinate a venir esportate colà, come le spezierie e le pellicce. 1 Senesi sembrano essere i più restii ad allontanarsi dai tipici contratti di cambio, che sono stati una delle radici della loro fortuna (80); invece i Piacentini uniscono quasi sempre a tali contratti il commercio dei panni e delle pellicce (81) mentre i banchieri spesseggiano tra i cambiatori (77) F 9, 30, 38, 57, 67, 70, 80, S9; P 14, 20, 69. 1 Piacentini però, compariscono tra quelli che dànno denari a cambio non meno di frequente che tra quelli che ne ricevono. (78) G 17, 19; V 24; F 9, 56, 161; P 30. (79) Anche i Fiorentini e i Pistoiesi compariscono nei nostri documenti come cambiatori. Quanto agli Astigiani, che alla fine del secolo XI1 avevano a Genova una posizione importantissima e nel cambio e nel traffico dei panni franceschi (cfr. Rosso, prefazione; Reynolds, Marchants of Arras and thè Overland trade tvith Genoa twelfth Century in Revue Belge de Philologie et d’Histoire, 1930) sembra che alla metà del Duecento abbiano perso terreno: la raccolta del Rosso si fa più povera per questo periodo, e nei nostri documenti gli Astigiani appariscono due sole volte in contratti di cambio (P 114; F 152) e non molto di frequente neppure negli altri rami del commercio. (80) Tuttavia Bernardo Zamorerio, rappresentante dei Bonsignori (cfr. nota 77) vende panni franceschi (F 79). A poco per volta anche i Senesi finirono con l’interessarsi diretta-mente al commercio della lana (cfr. Schulte, Geschichte des mittelalterlichen Handels und Verkehrs ziv. Westdeutschland und Italien..., Leipzig 1900, 1, 126 e fonti cit.). (81) Per esempio la grande società di Giovanni Pagano, Musso Calderario, Feliciano Feliciani, Guglielmo Quattrocchi etc., creditrice di somme importanti dal Tesoro di Francia per la settima Crociata (Belgrano, Documenti inediti riguardanti le due Crociate di S. Ludovico IX re di Francia, Genova 1859, passim), oltre a ricevere e a dare denari a cambio (F 30, 57, 116; P 20) vende vai (F 60) e panni (F 211), dà denaro a mutuo (F 123); uno di loro dà in affitto terreni (P 113) e compra parecchie case nei sobborghi di Piacenza (P 117); altri due partendo per le fiere di Champagne vengono incaricati, da persone estranee alla società, di varie commissioni certo non gratuite, tra le quali parecchie riscossioni e il ritiro di mercanzie depositate laggiù (F 42, 81, 196). Similmente Ugo Burrino e soci oltre a qualche cambio effettuano vendite di panni (F 24, 28, 45, 203, 210) e di pelli (F 59); Antonio Bicuollo e Guglielmo Rato oltre al cambio vendono feltri (P 72) e panni (F 143); Oberto de Cariis e soci oltre al cambio vendono panni (F 64, 167) etc. — 189 — Genovesi (82). Ma il più delle volte questi ultimi sono mercanti non specializzati nel cambio, e le altre loro attività sono piuttosto coordinate che non subordinate ad esso. In loro è rimasto qualche cosa del mercante - marinaio dei primi tempi, che nel viaggio d’andata non sa con certezza dove approderà (dopo il luogo di destinazione, tutte le commende aggiungono ancora « exinde quo Deus mihi melius administraverit »; e dopo il porto designato per effettuare il pagamento, tutti i cambi marittimi avvertono: « vel ubicumque portum fecerit ») nè con quale carico tornerà indietro (sono ben rari nella nostra serie i contratti dove sia prestabilita la merce da portare al ritorno). Ormai, però, s’è sviluppata a Genova come altrove la figura del capitalista che non si muove di persona ma finanzia altri che si muovano per lui, e a sua volta accetta finanziamenti da altri (83); sono rimasti l’individualismo, l’elasticità, la varietà degli affari propria del grande traffico marittimo, ma ognuno tende a raggruppare le fila del proprio commercio in modo che si completino tra loro, che in ogni luogo le merci da vendere pareggino per valore quelle da comprare, e che i mezzi di trasporto siano gestiti in proprio; in breve, ci troviamo spesso di fronte a una integrazione del commercio — commercio a catena — che precede di poco l’integrazione dell'industria (84). Un esempio tipico è quello di Simone Gualterio (o Gualtieri), l’attività del quale ci è documentata da dodici dei nostri atti. Egli vende materia prima ai lanaioli lombardi (1321. 16 genovine di lana lavata, certamente importata dalla Barberia o dalla Siria) e zenzero a Lagny (per dir meglio, un suo parente vi ha depositato dodici balle di questa derrata, e Simone incarica un agente d’una grande società Piacentina di ritirarle, non sappiamo se perchè le venda o perchè siano rimaste invendute); d’altro canto compera panni franceschi per 556. 5 genovine e accomanda zafferano e seta per 770. 3 genovine; per i trasporti di terra, dallo Champagne a Genova, si affida al Piacentino Musso Calderario (cui rilascia una procura generale), per i trasporti di mare compera tre quartieri d’un bucio (pagandoli 360 genovine); finalmente (82) Troviamo tra i cambiatori i banchieri Leccacorvo e soci, e Lanfranco di San Giorgio; per contro il banchiere Giovanni del Pozzo dà denaro a cambio (P 20, 73, 114; F 82). È da notare che proprio il Leccacorvo riceve denaro a cambio per conto dei Bonsignori, essi stessi tra i più forti cambiatori del tempo: e questo indizio ci mostra come il cambio fosse ormai diventato in molti casi una speculazione pura e semplice sul denaro. Vedi più avanti (nota 86). ... (83) Su questa evoluzione della figura del capitalista cfr. anche Byrne, Genoese shipping in thè twelfth and. thirteen Centuries, New York 1930; e Genoese trade cit. (84) Arriveremo all’integrazione d’industria, verso la fine del secolo, con gli Zaccaria (cfr. Lopez, 50). — 190 — riceve a cambio denaro per 2319 provisine e ne dà a cambio per 1000 provisine (85). In casi come quest’ultimo è evidente che il cambio non è più un mezzo per avere a disposizione su piazza estera la quantità di moneta del luogo occorrente a pagar gli acquisti che vi si fanno: non soltanto perchè il Gualterio poteva pagare almeno una parte de’ suoi acquisti alle fiere di Champagne con lo zenzero e le altre derrate che vi esportava, ma sopratutto perchè se gli fossero occorsi denari provisini che si poteva procurare soltanto per mezzo di cambiatori, non si sarebbe impegnato a fornirne egli stesso ad altri (86). Insomma, ormai il cambio serve sovente a speculazioni laboriose e complesse: è una forma di prestito che approfitta dell’instabilità e incertezza dei corsi del denaro per mascherare l’interesse, o una specie di gioco in borsa dove il guadagno tocca ad uno o all’altro dei contraenti a seconda che il corso della moneta estera rialzi o peggiori (87). Ma naturalmente (85) F 27, 69, 79, 81, 93, 104, 127, 137, 169, 170, 171, 194. Sul parente che ha depositato lo zenzero a Lagny, Lanfranchino, anche P 93; e sono probabilmente suoi parenti anche Vincigente e Giacomo Gualterio, rispettivam. suocero e marito di quella Giovannina Basso che deve ricevere per dote 650 genovine (P 4-6; vedi più avanti). (86) Lo stesso si può dire per la banca Bonsignori (vedi la nota 82) e per molti altri cambiatori. (87) Invece in un contratto che non ha questo scopo speculativo, e nel quale il cambio — cambio inverso, della provisina in genovina — è contemplato soltanto in caso di necessità quando manchi la moneta pattuita, per neutralizzare gli effetti di eventuali sbalzi nel corso della provisina si dice che il cambio verrà effettuato « ad cursum secundum quem provenissi tunc valebunt in Francia » (F 216). Per altri casi il Lattes, Gen. nel dir. cambiario, 188, pensa che questa clausola di rifusione al corso del giorno sia un principio di quei « cambi con la ricorsa che offrirono più tardi il modo di compiere le più lucrose e le più condannate speculazioni... che distrugge ogni diversità di moneta e di luogo e riconduce il denaro al creditore nel luogo stesso dove lo sborsò, nella moneta ivi corrente » (V. n. 58, esempio 5°). Ma in F 215 e 216 la ricorsa, ossia il « nuovo cambio in senso contrario » era pattuito solo qualora non fosse possibile pagare sulla piazza estera e con moneta estera: non era dunque Io scopo ultimo del contratto, ma solo un modo di pagamento da adottarsi in caso d’impedimento alla modalità pattuita. Per chiarire con quanta attenzione si seguisse (e si cercasse di prevedere e sfruttare) ogni rialzo o ribasso del corso vai la pena di ricordare un passo d’una lettera d’un mercante Senese stabilito a Troyes indirizzata a un altro Senese nel 1265. « Domino Simone chardinale prochacia quanto può di fare choliare lo dicino que si die paghare per lo fato di re Charlo; e credo que ne sarà cholto una grande quantità di chie a la chandelora presente; e credo que ’l deto rey ne farà molti vendare per avere la muneta a Roma e in Lonbardia. E se ciò fuse, sì pare qu’ e’ provesini dovrebero ravilare. D’altra parte le gienti d’esto paiese que venghono in aiuto del deto rey, sì credo que sieno ora in Lonbardia et àno grande tesoro di muneta e di chanbiora cho loro: de la quale credo che dispendarano una grande quantità, sì que tornesi e chanbiora vi dovranno esere a grande merchato... e se vedete via di poterne trare utilità, si lo prochaciate di fare sin d’ora » {Lettere volgari del sec. XIII scritte da senesi, Bologna 1871, 55, cit. anche in Sapori, art. Cambiatori in Enciclopedia Italiana VIII). — 191 — questa trasformazione non è generale nè completa: anche il fatto che molti cambiatori si occupino al tempo stesso di commercio dei panni franceschi dimostra che Io scopo originario permaneva e che il denaro versato a cambio su piazza estera (sia pure come risultato di altre speculazioni) in ultima analisi serviva a pagare merci acquistate su quella piazza. Un esempio dove il cambio non ha visibilmente altro scopo oltre a quello primitivo di trasferire valute di qualità diversa da quella in uso al luogo di partenza, è quello del sassarese Dorbino Pina: il quale per far arrivare al figlio studente a Bologna il classico « vaglia di papà » affida a cambio al lucchese Viviano Zambrino sei genovine che quegli entro quindici giorni trasmetterà a Bologna cambiate in dodici bolognine e mezzo (88). * * * I documenti dell’attività bancaria sono nella nostra serie numerosi e interessanti. La tecnica delle operazioni è ormai giunta a maturità e le funzioni economiche si vanno avvicinando a quelle della banca moderna (89). Il banchiere dispone del capitale sociale, dei conferimenti di soci temporanei (88) F 161. — Per le proporzioni tra le varie monete trattate nei cambi, vedi le note 18, 19, 20. Per i cambi in provisine è utile osservare che quattordici di essi sono pagabili alle fiere di maggio di Provins (F 4, 82, 86, 93, 104, 113, 114, 127, 153, 154. 170; P 14, 115, 143), otto alle fiere di Bar-sur-Aube (F 9, 30, 38, 53, 67, 70, 80; P 20: e questo dimostra, se non erro, che queste fiere dovevano protrarsi oltre la fine di febbraio e il principio di marzo, malgrado quanto dicono il Bourquelot, Etudes sur les foires de Champagne in Mémoires de l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres, Paris 1865, I, 81 e il De Marez, La lettre de foire à Ypres au XIIIe siècle, in Mémoires de l’Acad. Royale des sciences et des beaux-arts de Belgique, Bruxelles 1900, 77 a meno che anche questi cambi, come molti altri contratti, avessero termine un anno) e uno alle fiere di Lagny-sur-Marne (P 69) e quindi a lunga scadenza, perchè esse non dovevano tenersi che al principio dell’anno seguente. Lagny d’altra parte è nominata in due altri documenti (F 81; P 93) (vedi nota 23); invece nella nostra serie non vi sono accenni a Troyes nè alle sue fiere che si tenevano ogni anno in novembre e dicembre. (89) La banca a Genova è stata ottimamente studiata dal punto di vista economico dal Sayous (Les mandats de Saint Louis sur son Trésor et le mouvement international de capitaux pendant la VII0 Croisade, in Revue Historique 1931 e sopratutto Les opérations des banquiers italiens en France et aux foires de Champagne pendant le XIII siècle, ibidem 1932) e dal punto di vista giuridico dal Di Tucci op. cit. che si estende anche ai secoli XIII e XIV), per non parlare di un breve studio del Sievekino in History of thè principal publics banks, Aja 1934 e delle classiche pagine del Goldschmidt, Universalgeschichte des Handelsrecht, Stoccarda 1891, 318 sgg. Poiché in massima sono d’accordo con le conclusioni del Sayous e del Di Tucci, mi limito a far notare quei lati dell’attività bancaria che dai documenti del marzo 1253 ricevono maggior luce, rimandando agli studi citati per un esame più largo dell’attività bancaria Genovese. — 192 — e dei fondi a lui affidati in deposito fruttifero (90). L’abitudine di valersi delle banche per depositi anche a breve scadenza, per pagamenti e per riscossioni era già allora così diffusa, che troviamo un padron di casa che fa depositare a una banca dagli inquilini il prezzo dell’affitto; e un castellano al servizio del Comune Genovese che incarica un’altra banca di riscuotere dalla pubblica amministrazione il suo stipendio e gli altri suoi crediti; un terzo vi deposita denari destinati a pagare un debito che scade soltanto a Natale, perchè nel frattempo non rimangano infruttuosi (91). Eppure tali versamenti, allora come oggi, non erano senza pericoli e senza legami; è vero che si poteva dare a mutuo denaro depositato in banca (92), ma d’altro canto si rischiava talora di vedersi restituire con riduzioni quasi del novanta per cento somme versate anche soltanto in custodia (93). Tutte le banche più importanti e i banchieri più ragguardevoli di Genova compariscono nei nostri documenti: i Pinelli, Lanfranco di San Giorgio, il Puteo, Pasquale Balneo, Pasquale Butino, Niccolò Tortorino, Corrado e Niccolò Calvo, Guglielmo Leccacorvo e soci (94). Quest’ultimo (e i suoi associati Giacomo Ravaldo, Leonardo Rozo, Obertino Coxano, Giacomo Diano) in quattordici contratti della nostra serie dispongono di 1434. 15. 4 genovine — 1200 delle quali provenienti dalla società di Te-disio, Opizone e Niccolò Fieschi nipoti di papa Innocenzo IV — di 48. 7. 6 pisanine e di 400 provisine; un quindicesimo atto è una quitanza generale verso un monastero. Dall’insieme dei documenti la loro attività apparisce non troppo diversa da quella delle banche moderne: finanziano il grande (90) Vedi gli esempi sesto e settimo della nota 58 (ossia F 22 e P 86); inoltre societas e deposito sono ricordate più volte in contratti bancari successivi. Per contro non abbiamo versamenti a commenda (e anche il Di TUCCI, 88-89, non conosce che un atto di questo genere). — Naturalmente bisogna distinguere i versamenti in societas dalle associazioni costitutive della banca. (91) F 189; F 6; F 17. « Les banquiers étaient à cette époque-là à Oênes les teneurs de caisse des particuliers » (Sayous, Les opérations des banquiers, 7 dell’estratto). (92) F 202. (93) F 148 (transazione in 23 lire in luogo di 200!); per fortuna, però, questa era l’eccezione, e quello stesso Niccolò Calvo che dava il 10 per cento agli eredi di Fazio Lombardi restituì invece integralmente (almeno la quitanza non accenna a falcìdie) il denaro depositato da Altilia di Pegli (F 174). (94) F 9, 55, P 32 (Pinelli); F 82, P 84 (Lanfranco); P 20 (Puteo); F 189 (Balneo); P 88, F 140, 144, 145, 173 (Butino); F 127 (Tortorino); F 6, 17, 22, 148; 175 (Calvo); P 29, 37, 38, 54, 63, 64, 65, 68, 73, 74,99, 100, 101, 102, 114 (Leccacorvo e compagni), inoltre Gerardo Amico banchiere di Piacenza in P 86, Ugolino e Capitino banchieri Senesi in Francia in F 215 e 216, Filippo Calderario banchiere probabilmente imparentato con Musso Calderario di Piacenza in F 202. S’intende che taluni degli atti citati si riferiscono a banchieri ma non contengono operazioni inerenti alle loro banche. — 193 — commercio marittimo e l’industria con commende e mutui, fungendo da mediatori tra il capitale e la richiesta, e di quando in quando stipulano contratti di cambio (95). * * * Al commercio e all’industria tessile con tutte le loro derivazioni si riferiscono direttamente o indirettamente ben settantacinque documenti della nostra serie: cifra che basta da se sola ad avvertirci della grandissima importanza di questa parte dell’attività economica a Genova (96). Le vendite più frequenti e cospicue sono di panni franceschi, fiamminghi e inglesi. Più spesso di tutti sono ricordati i panni di Châlons, il centro principale dell’industria laniera nello Champagne, ai quali sovente vanno uniti nei contratti i panni di Saint-Quentin (97). Continua l’importazione dei rinforzati (98) e degli altri panni di Arras, che aveva conseguito un (95) Dei quattordici contratti dieci sono commende per tutti i paesi del Mediterraneo, dalla Corsica alla Tunisia, dalla Siria alla Spagna; uno è un mutuo a tre drappieri, un altro è un mutuo a un Bergamasco, probabilmente un industriale della lana; gli altri sono cam- hi ner Pisa e ner Bar-sur-Aube. (96) Vendite o commende di panni di lana: F 6, 16, 24, 28, 45, 64, 79, 88, 135, 139, 146 153 1 67, 168, 182, 198, 201, 203, 204, 205, 210, 211; P 16, 31, 51, 86, 122, 131, 137, 139, 140* 141 142 143, 144) 145. Vendite di lana: F 27, 69; P 3, 13, 21, 55, 62, 92, 119. Vendite di cotone e cotonate: P 111, 116. Vendite d’allume e altre materie prime per la tintoria: G 20; F 97 98, 99, 100, 101, 143, 199; P 23, 84, 130, 138. Trasporto di lana e di panni: F 96, 192. Venditori di’drappi, di cotonate, lanaioli, cimatori, tintori nominati con l’appellativo professionale, oltre che nei contratti precedenti: V 24; G 2; F 25, 74, 141; P 27, 28, 29, 46, 58, 67, 68, 90, 91. (97) F 16 (Châlons), 24 (Châlons e Saint-Quentin per L. 66. 16 gen.), 28 (una pezza di Châlons verde per L. 13. 8. 4), 45 (Châlons e Saint-Quentin per L. 65. 10), 201 (quattro pezze di Châlons verde per L. 61. 4. 6), P 16 (Châlons verde e bleu). Alla fine del secolo precedente una pezza di Châlons verde si pagava da 11 a 17 genovine (cfr. Reynolds, The market... cit.), cosicché tenendo conto del deprezzamento della moneta possiamo dire che nel Duecento questi panni fossero un poco diminuiti di prezzo. — Per altre vendite di panni di Châlons (anche bruni) a Genova nei secoli Xll e XIII (che sono frequentissime) oltre al Reynolds vedi le opere citate dello Schaube e del Rosso, e Bratianu, Actes des Notaires génois de Pera et de Caffa, Bucarest 1927, passim; per Venezia vedi latariffa dogana le del 1265 (in Documenti finanziari della Rep. Veneta, serie 11, vol. I); per Firenze cfr. Sapori, Una compagnia di Calimala ai primi del Trecento, Firenze 1932 e Doren, Florentiner Wollen-tuchindustrie..., Stuttgart 1901, 1. Al principio del Quattrocento secondo le Leggi Genovesi del Boucicault, la pezza di Châlons doveva misurare 10 canne e 3 palmi, ed era una delle più grandi (Monumenta Historiae Patriae, Leges Genuenses, 557). — L’identificazione di jalo-nos (oltrove Jhalonos, Çaalonos, Zallaonos) con Châlons e di Sangutinos o Sanguntinos con Saint-Quentin è proposta dal Reynolds, 639 e 844: la prima è foneticamente inoppugnabile, la seconda parrebbe più incerta: ma mi sembra che tolga ogni dubbio un documento dove si parla di sanifuintinos (pubbl. in Di Tucci, 111). (98) Sebbene il Reynolds, 840 n. 4 e il Lipson, The economie history of England, 1, London 1929 pensino che i panni « stanfortes » abbiano originato il loro nome dalla città di Stamford in Inghilterra, io continuo a ritenere col Bourquelot, 1, 227-28 e con lo Schul- 13 — 194 grande sviluppo alla fine del secolo Xll grazie all’organizzazione degli intraprendenti mercanti Artesiani, che aveva le sue maglie distribuite in tutta PAlta Italia (99). Più sporadiche sono le compere di panni di Douai (100), d’Ypres (101), di Valenciennes (102), di Provins (103), di Sens (104), e dei noranteriU panni franceschi probabilmente, ma dei quali non saprei indicare la provenienza precisa (105). E non mancano acquisti di panni inglesi comuni e rinforzati (106). 11 centro d’irradiazione dei tessuti d’Occidente verso Genova e l’Italia erano le fiere di Champagne; ma per quale via essi venivano trasportati di là a Genova? Uno sguardo all’atlante ci suggerirebbe di primo acchito che l’itinerario dovesse valicare le Alpi a uno qualunque dei passi conosciuti nel Medio Evo, e tagliando la pianura Padana (per esempio at- te, 1,132 che la parola derivi da stamen forte. Si pensi che taluni contratti Genovesi (p. es. P 87) scrivono * panni staminifortis »; si ricordi il quadro che I’Ashley, Englische Wirt-schaftsgeschichte (trad. ted.), Leipzig 1896, li, 205, fa dell’insufficiente attrezzatura industriale Inglese nel 1258 e anche più tardi: è mai possibile che il nome di una città Inglese si imponesse a prodotti fabbricati ad Arras, a Malines, a Como (poiché tutte e tre queste città producevano stanforti, e anzi quelli di Arras erano molto più diffusi di quelli Inglesi), con un esempio unico nella storia medievale perchè se non prendo abbaglio nessun’altra città del Ponente impone il proprio nome a stoffe fabbricate altrove? E osservo di passaggio che una delle più importanti famiglie d’Arras che trafficavano nei panni si chiamava « de Stanforte * (Reynolds, Marchants of Arras 503 sgg.). (99) Stanforti d’Arras in F 134 (8 pezze), 210 (per 106 genovine, insieme con altri panni franceschi), P 87. Panni d’Arras in F 205 (per 103 genovine), P 139 (due pezze bianche e due sanctimoslerii per L. 43. 9. 8 gen.), 144 (sette pezze con altre due di biffa per L. 102. 4. 6 gen.). — Per il commercio dei panni d’Arras nel sec. XII e la sua organizzazione cfr. i due articoli cit. del Reynolds, e Schaube, 479 sgg. (Allora ogni pezza si pagava da L. 3. 2. gen. a 4.4, e dunque molto meno dei panni di Châlons, ma nel 1253 i prezzi erano quasi uguali per entrambe le qualità). (100) F 146 (3 pezze per L. 54. 4 .6 gen.) P 6 (2 pezze di brunetta). Cfr. Reynolds The market, 840. Nel Quattrocento la pezza di Douai doveva misurare dieci canne (Mon. Hist. Pat., Leges Genuenses, 558). (101) P 51 (sei canne e un palmo di brunetta per L. 7. 13 gen.) Nel secolo XII la pezza di brunetta si pagava da L. 12 a 14 (Reynolds) e nel XV la misura regolamentare per le vergate d’Ypres era di 11 canne, per un’altra qualità di 6 (Leges Genuenses). (102) F 203 (2 pezze per L. 9.10 gen.): era dunque una qualità andante. Cfr. Reynolds 844. (103) P 143 (3 pezze per un prezzo del quale restano a pagare L. 14. 6 gen.) Nel secolo XII la pezza di brunetta di Provins si pagava 16 genovine, quella verde saliva fino a 18 (Reynolds); nel XV la misura regolamentare era di 9 canne (Leges Genuenses). Era una qualità relativamente cara. (104) F 88 (una pezza verde per L. 15. 17 gen.) Non abbiamo trovato ricordo dei panni di Sens (presso Parigi) in alcun altro lavoro storico o raccolta di documenti. (105) F 79 (trenta pezze per L. 556. 5), P 142 (2 pezze per L. 24. 10) — Panni franceschi senza ulteriore specificazione in F 87, 167, 204, 216, P 66, 141. (106) F 197 (2 pezze per L. 37 gen.); 211 (2 pezze rinforzate per L. 38. 8). Il principale centro dell’importazione dei panni Inglesi, però, era Bologna, dove nel 1245 esisteva una corporazione dei « mercatores drapariae Angliae » (cfr. Schaube, 482 sgg. e documenti cit.). — 195 — traverso il ponte di Piacenza sul Po, punto di sbocco della strada di Val Trebbia che congiungeva la Riviera Ligure col cuore della Lombardia) puntare su Genova, luogo d'imbarco per il Mezzogiorno e il Levante, e prima tappa della via terrestre per la Toscana e Roma (107). Ma, se così fosse stato, come spiegare il fatto che Alessandrini, Astensi, Bergamaschi, perfino Piacentini andassero a Genova a comprare i panni franceschi? Passi per Alessandria che era più vicina a questa città che non a Piacenza (108); ma per qual ragione i Piacentini avrebbero aspettato l’arrivo dei panni a Genova sobbarcandosi a pagare due volte le forti gabelle sulle some percorrenti la valle Trebbia (109), anziché acquistarli prima, quando transitavano per la loro città? È probabile invece che i panni franceschi venissero trasportati dallo Champagne a Aigues-Mortes lungo la Saona e il Rodano, e di là proseguissero per mare fino a Genova: uno dei nostri documenti sembra confermare questa ipotesi (110). A*la ormai i mercanti Italiani, sebbene ancora tributari dell’estero per i prodotti più fini, s’andavano emancipando per le stoffe andanti. La Lombardia fabbricava tessuti uso inglese e fiammingo, come ai giorni nostri: centri principali della produzione erano Bergamo, Milano, Cremona, Como (che s’era specializzata nei panni rinforzati) (111). Di là gli Umiliati avevano, non molto prima del 1253, importato l’arte della lana anche a Genova (112); la grande industria non v’aveva potuto attecchire, ma le piccole imprese vi prosperavano già (113): ben presto le biffe genovesi cominciarono ad essere (107) È questo l’itinerario tracciato dallo Schulte, i, cap. 1 e II. (108) Vedi indietro nel testo e la nota 53 (sono tutte compere di panni eseguite dagli Alessandrini Bartolomeo Rodolfi, Simone Mozo e Pietro Peterio; per lo più con la fidejussione del drappiere Giacomo d’Alessandria). (109) Vedi sui dazi di Val Trebbia P 56, 57, 106 (e su quello di Gavi P 11); un docum. sui rapporti tra i mercanti Cremonesi, Comensi e Milanesi transitanti per Val Trebbia e i compartecipi del pedaggio che vi si riscuoteva, nel 1268, in Lopez, 19, nota 31. (110) F 192. Lo scopo di questa deviazione potrebbe essere sostituire al trasporto terrestre quello fluviale e marittimo, tanto meno costoso (cfr. Luzzatto,Storca economica, Padova 1934,48). (111) Panni lombardeschi in P 66, 151, F 203; rinforzati di Como in P 16, 145; e quasi tutti gli atti dove sono nominati Lombardi si riferiscono all’industria della lana. (112) Vi fabbricarono una casa nel 1228 (Zanoni, Gli Umiliati..., Milano 1911, 181). Si ha notizia d’una corporazione di lanaioli dal 1255, di porporai dal 1257 (Mannucci, Delle società genovesi darti e mestieri durante il secolo XIII, in Giornale storico e letterario della Liguria, 1905). Il cartulario di Matteo Predone (parte I, carte 1-9,10-18,118-130,131-176,177-189, e quasi tutta la parte II) tra gli anni 1245 e 1251 è tutto pieno di documenti sul commercio e l’industria della lana a Genova, esercitata dagli Umiliati; mi riprometto di utilizzarli per una monografia su questo importante ramo della produzione. — Le banche cittadine si interessano a quest’industria nascente: il Leccacorvo accorda un mutuo a tre drappieri Genovesi (P 68) e un’altro a un Ravazelte di Bergamo, certamente lanaiolo (P 84). (113) Vedi nei nostri atti le compere di lana effettuate dai lanerii Martino di Chiavari (P 3: per L. 18. 12), Gianone di Scarena (P 13: per L. 12. 15), Simone Rubeo e consorte — 196 — apprezzate anche all’estero (114). E non bisogna dimenticare la Toscana, sebbene i panni di quella provenienza comparissero sul mercato Genovese abbastanza di rado (115). La grande inferiorità che ostacolava lo sviluppo dell’industria laniera in Italia era il difetto della materia prima. Le lane indigene erano di gran lunga peggiori di quelle inglesi, che alimentavano le fabbriche della Fiandra, dell’Artois, dello Champagne: bisognava dunque ricorrere alla Barberia e alla Siria (l’Inghilterra essendo troppo lontana e la Manica ancora non solcata dalle navi Italiane) e Genova era il fulcro geografico di tale importazione (116). Soltanto una piccola parte della lana veniva assorbita dal consumo locale (117); il più invece veniva inoltrato verso i grandi opifici della pianura Padana, sopratutto per la via di Tortona dove i principali importatori Genovesi avevano recapito e depositi, che rifornivano con periodiche e continue spedizioni (118). (P 21: per L. 9. 6), Aimerico e Vassallino di Rapallo (P 55: per L. 6. 15. 7); Ugo di Rapal- lo (P 91: per L. 12), Ottolino di Rapallo (P 119: per L. 20. 6). Sono tutti acquisti di non grandi partite di materia prima (Gianone di Scarena, p. es., compera 4 cantari e 24 rotoli di lana rotta) che ci attestano le proporzioni modeste di questa industria, ancora assai vicina all’artigianato. Soltanto Giacomo Monleone lavora anche per l’esportazione (in P 31 vende a Pietro Peterio d’Alessandria, panni per 31 genovine, e in P 140 vende a Simone Mozo, pure d’Alessandria, panni per un prezzo del quale restano da pagare 10 genovine) e compera una discreta quantità d’allume da un banchiere (P 84: per L. 10. 9) — È da notare che su sei lanaioli che comprano lana quattro sono della Riviera di Levante; e tra i testimoni di altri atti troviamo altri lanaioli di Rapallo. (114) Accanto alla biffe di Parigi, le « peciae bifarum Janue » compaiono nei contratti di Marsiglia nel 1248 (Blancard, doc. 40). Sono probabilmente prodotte a Genova le biffe nominate in F 139. (115) Panni di Firenze (6 pezze per 34 genovine) in P 137. H16) Lo rimarrà solo per pochi anni, giacché nel 1255 - 1257 i Genovesi verranno pressoché espulsi dalla Siria per opera dei Veneziani e dei Pisani collegati; e nel 1270, fallito il tentativo d’un colpo di mano sulla Tunisia, con l’aiuto di San Luigi IX (analogo a quello del 1251 sull’Egitto), si vedranno soppiantare così completamente dai Pisani nel commercio con la Barberia che nel 1284 un documento ufficiale confesserà che nelle « partes Buzee sive Zizari » non ci andavano più che i Pisani per il commercio della lana (Lopez, 98 e 262). (117) Vedi la nota 113; invece vendite molto più grosse vengono effettuate agli industriali Lombardi (P 96: a Perizolo Allegri di Cremona lana di Bugia per L. 96 gen.; F 27: a Ranuccio Ayguinone di Piacenza lana lavata per L. 316. 16; F 69: a Albertallo Mazagie di Bergamo lana lavata per L. 1005 gen.). (118) F 69; F 96 (tanto Simone Gualterio che Giovanni Ascherio depositavano le proprie mercanzie presso Lanfranco Pulvino). Mette conto di riportare l’intero testo del secondo documento, sia per la sua forma che si scosta dalla massima parte degli altri, sia perche ci dà notizie sui procedimenti usati per il passaggio delle merci alla dogana: « Viris providis pedageriis Terdone, Johannes Ascherius civis janue salutem. Vobis tenore presentis instrumenti transmito me misisse in domo Lanfranchi de pulvino et in civitate terdone plures saumas lane bombaxie et gengiberis et alianim mercium secundum tenorem litterarum mearum meo sigillo sigillatarum et adhuc misse per Thomam de Beg(ato) et Wilielmo de Mon-ticello et Johannem de Auxico saumas duodecim lane, unde mando vobis quod fidem ple- — 197 — Le qualità più ricercate erano la lana di Tunisi, quella di Bugia, quella « sottile » d’Oltremare (119). Ma prima ancora dell’industria laniera s’erano sviluppate in Italia le industrie derivate: a Firenze l’arte di Calimala per la rifinitura dei panni franceschi (e per la riesportazione di essi), a Genova sopratutto la tintoria. Anche in questo campo i Genovesi si avvantaggiavano della loro facilità di approvvigionarsi di materie prime dal mare: sopratutto d’allume, indispensabile come mordente e per rendere più brillanti i colori (120). Uno dei nostri documenti ci dà notizia di una società formata tra un coltellaio, uno speziale e un candelaio per andare a raccogliere allume a Lipari: ma il minerale di quelle isole era di qualità scadente, e pertanto i Genovesi cercavano con ansia d’assicurarsi lo sfruttamento delle miniere Levantine (121). Molti dei tintori abitavano presso il Rivotorbido, così chiamato appunto per i rifiuti dell’industria tintoria che vi si scaricavano; ma ve n’erano anche in altri quartieri della città (122). adhibeatis litteris meis sigillatis meo sigillo quas vobis de cetero destinabo, et illas 11 vobis misi de quantitatibus saumarum, et ut tam hijs quam aliis litteris meis fidem C1|UaS adhibeatis, luro ad sancta Dei evangelia omnes saumas quas mitto et misi et de cetero mittam meas esse et sociorum meorum januensium Actum Janue in volta domus Ja-cobi de porta. M. CC. LI11, lnd. decima die XV11IJ marcii inter terciam et nonam Testes Enricus Balbus et nicoloxius sapana et Jacobus de sancto georgio ». (119) Lana d’Oltremare in P 3 e 21, di Bugia in P 62, de rotamine (ossia di detrito) di Tunisi in P 55, 92, 119. La lana de rotamine naturalmente valeva meno di quella intera: « si ibi invenerint rotamina eiusdem lanagii que fuerint in pondere usque in rotolos XII... de ipsis rotaminibus nulla thara fiat sed computentur in compara prò bona lana. Si vero dieta rotamina ascenderint a rotolis XII supra... ex rotaminibus vero que supererunt... habeat emptor rotolos duos pro uno rotolo in compara » prescrivono le leggi del Bourquelot — Leo-es Genuenses, 691 . Ciò nonostante !a lana rotta di Barberia valeva più di tutte le altre intere' infatti anche nello Statuto di Ranieri Zeno, n. 54 (Statuti marittimi Veneziani fino al 1286 ed. Sacerdoti e Predelli, in Nuovo Archivio Veneto 1903) si stabilisce che in caso'di avarie i padroni delle navi da trasporto devono pagare in risarcimento « de quolibet sacco de lana de Tunixo vel Barbaria libras 6, et de quolibet sacco de lana de rota (var ■ lana rota) libras 4, et de quolibet sacco omnium aliarum lanarum soldos 40 ». (120) Vendite d’allume in F 97 a 101 (per un totale di L. 41. 0. 11), 143 (per L. 45), 197 (per L. 5.7), P 84 (Per L. 10- 8); incetta d’allume a Lipari in P 130. Inoltre vendite di guado (che serviva per tingere d’azzuro) in O 20 (per L. 28.9) e in P 138 (per L. 8. 6); di cenere (potassa) in P 23 (per L. 3. 10). (121) Cfr. Lopez, 23 sgg. e fonti cit. (alle quali si aggiunga Ciasca, L’arte dei medici e degli speziali nella storia e nel commercio fiorentino, ricco di importanti dati sull’allume e sul mastice): proprio nel 1255 un mercante Genovese e uno Veneziano si accaparrarono il monopolio delPallume nel sultanato d’Iconio. Oli Zaccaria e poi la Maona assicurarono a Genova poco più tardi, un primato nell’esportazione dell’allume Levantino che durò due secoli finché i Veneziani non lo tolsero ai Genovesi (Cfr. Lopez, Il principio della guerra Veneto - Turca nel 1463, in Archivio Veneto 1934, 68). (122) Vedi, oltre agli atti citati nella nota 120 anche quelli della nota 96 dove sono semplicemente menzionati tintori. — 1Q8 — L’industria del cotone apparisce anche meno sviluppata di quella laniera, senza dubbio perchè soffriva d’una deficienza di materia prima ancora più grave (123); di tele di lino, per il marzo 1253, c’è rimasta una sola contrattazione, ma sappiamo da altre fonti che Genova ne produceva e ne importava dallo Champagne (124). La seta, che nei nostri documenti è del pari trattata una volta sola, non pare che avesse ancora dato vita a opifici in Genova nè che fosse importata su vasta scala per i fabbisogni deU’industria nel retroterra (125). Invece la lavorazione dei fili d’oro (impiegati sopratutto per il ricamo) alimentava un’industria importante, se non per la quantità almeno per la qualità dei prodotti (126). I procedimenti tecnici per fabbricare Yaurum filatura, appresi senza dubbio nel Levante, erano divenuti la specialità e il segreto dei Genovesi che lo esportavano fino in Provenza e in Tunisia (127). Finalmente sembra che la pellicceria avesse modo di rifornirsi agevolmente della materia prima, sia facendone incetta nelle immediate vicinanze di Genova sia ricorrendo ai grossisti dell’altro versante delle Alpi: così anche questo ramo d’industria aveva raggiunta un buon grado di prosperità, ed esportava una parte de’ suoi prodotti (128). (123) Il cotone a quel tempo veniva prodotto anche nell’Italia Meridionale, in Sicilia e a Malta, ma era di pessima qualità, mentre uno dei migliori e dei più diffusi era quello di Siria (Peoolotti in Paonini, Della decima e dell’altre gravezze, Lisbona — Lucca 1766, III, 367; 44; 69. — In P 111 quattordici cantari di cotone Oltremarino — cioè Siriaco — sono venduti per L. 80 gen.). Per gli atti che menzionano il cotone e i suoi venditori vedi la nota 96; e per il trasporto del cotone attraverso Tortona vedi F 96 in nota 118. Una vendita di tela di cotone in P 116. Spesso il cotone veniva adoperato misto con lana (panni « de media lana »: F 7 e 183). Per altre notizie sul cotone grezzo e i suoi centri di produzione cfr. Heyd, 1169 sgg.; sulla mezza lana cfr. Zanoni, 175 sgg. (124) F. 126. Cfr. Schulte, I, 116; Bratianu, op. cit. (per un periodo di poco più tardo). (125) F 193. L’importazione della seta greggia dalla Persia, e dalla Cina attraverso la Persia comincerà dopo che vi si sarà insediata saldamente la dominazione dei Mongoli, amici dei Genovesi, cioè nell’ultimo quarto del secolo XIII (Cfr. Heyd, 1229 sgg.); e nel medesimo tempo comincerà a Genova lo sviluppo dell’industria serica, nella quale la città Ligure acquisterà ben presto un posto assai importante. (126) G 6; P 35, 36, 110, 132, 135. I prezzi sono piuttosto elevati: 80 fili d’oro sono stimati in commenda L. 20. 5 (P 110), 60 mazzi sono calcolati L. 12 (P 132) e 219 mazzi sono calcolati L. 43. 18. 7. (127) Commende d’oro filato per Tunisi: G 6, P 110; per Marsiglia e Montpellier; P 132, 135. Vedi anche Blancard, op. cit., passim: su 12 contratti che riguardano l’oro filato, 6 sono di < aurum filatum Janue ». La cosa più singolare è che la stessa Provenza poco più tardi sarà citata dal Peoolotti, 18, tra i paesi che esportavano fili d'oro a Costantinopoli, bui centri di produzione dell’oro filato cfr. Heyd 1241-1242. L’industria dei fili d’oro continuerà a prosperare a Genova per parecchi secoli. (128) Riguardano l’industria e il commercio delle pelli i seguenti atti della nostra serie: F 12 (cordovani per L. 9 venduti a un frate d’Alessandria); 20 (cuoio di bue per L. 100); 60 (vai per L. 87. 6 venduti da un Piacentino a un pellicciaio Genovese); 152 (una balla di cor- — 199 — Non è il caso di parlare d’industrie meccaniche a Genova, nel periodo da noi preso in esame: è già molto se troviamo qualche sporadica ommenda di oggetti di lavorazione artigiana, come una sorta di vassoi, te giarre una cassa, anelli con pietre preziose, verricelli (129). E anche la massima industria di Genova, quella delle costruzioni navali, non ci lascia molti documenti per il marzo 1253: non perchè sia esausta dallo sforzo compiuto per fornire a Luigi IX di Francia le navi per la Crociata, ma Trcliè probabilmente le navi si impostavano e si allestivano durante la brutta stagione, in modo da aver gli effettivi al completo prima che il marzo e la primavera avessero dato il segnale d’inizio ai lunghi viaggi (130). * * * La relativa scarsità di contratti che testimonino del traffico delle spezierie in confronto per esempio a quelli sul commercio dei panni franceschi, non "uò non colpirci. E non si deve attribuire questa circostanza soltanto alla specializzazione in tal senso dçi quattro notai ai quali abbiamo attinto: poiché se la mettiamo in rapporto con l’abbondanza di contratti in provisine (che abbiamo rilevato più sopra) e con la scarsità dei noli assunti da Genovesi (che rileveremo tra poco), una deduzione pare incontrastabile: nel 1253 il volume del commercio Genovese per via di terra con l’Occidente era superiore a quello del commercio per via di mare col Levante. Questa affermazione può sembrare eccessiva e arrischiata, perchè è in contrasto con la logica della geografia e con le tradizioni della storia: pure, i dati raccolti dovani come pegno, e forse come contropartita d’un cambio in lire astensi); P 2 (pelli d’agnello e di capra per L. 16. 3. 10 accomandate per Bonifacio); 48 (un mercante di Digne promette a tre pellicciai Genovesi di consegnar loro quanti più vai di coniglio potrà accaparrarsi); 59 (compravendita tra Piacentini di pelli d’agnello per L. 28. 7. 10); 125 (un Pavese ha comprato da un Genovese vai per un prezzo di cui restano a pagare L. 50 imperiali); 141 (commenda di 2 mila vai per la Sicilia). Come si vede, sono contratti disparatissimi, dal complesso dei quali risulta però un’attiva corrente esportatrice, della quale abbiamo notizia, del resto, da molti altri documenti notarili di poco posteriori. Forse già nel Duecento i venditori di pelli gabellavano cartone per cuoio, poiché quello stesso Folco Armanigra o Armanera che aveva venduto a un Pavese 50 lire imperiali di vai, compera da un cartaio 26. 13 lire genovine di carta: certamente non la usava per la sua corrispondenza! (P 127) (129) « Teffanii » (tafferie, ossia piatti larghi di legno a forma di vassoio: cfr. Rosso, Glossario medievale Ligure, Torino 1896, 98) in P 44, F 125; « vernigatos » (giarre, cfr. Rosso, 104) in F 125 e in F 173 (duemila giarre da consegnare al modico prezzo d’una lira al cento); la cassa («capsiain unam novam ») in F 93; gli anelli e altri oggetti in F 207; i verricelli in P 129. (130) Vendita di pezzi d’antenne in P 8, di staminali (per il significato di questa parola cfr. Di Tucci, Costruzioni di galee genovesi durante il dogato di Leonardo Montaldo, in Mise. Luzio 334) in P 15. — 200 — mi sembrano sufficienti per sostenerla. Le ragioni d’un simile transitorio stato di cose non sono difficili a trovare: da un lato le nuove intense relazioni con la Francia suscitate dalla Crociata di S. Luigi, dall’altro le cattive relazioni con l’Egitto e Costantinopoli (i due punti d’arrivo delle spezierie finché le conquiste Mongoliche non avranno spalancata la via più diretta dell Asia Centrale) provocano uno slancio ascensionale nel traffico terrestre e una momentanea crisi in quello marittimo, tanto più che molte navi sono ancora impegnate nella Crociata. Anche se questa situazione paradossale non durerà a lungo, è importante conoscerla ed è attraente vedere come il duttile spirito d’iniziativa Genovese sappia governarsi in momenti così difficili. Ma la crisi non è annullamento: se forse non si vedevano più i lunghi convogli di navi tornare da Alessandria, vestibolo delle Indie, tuttavia le spezierie con un giro più lungo continuavano ad arrivare a Genova, (seb bene in quantità più scarsa) e di là venivano riesportate in tutte le direzioni dell’Occidente e del Settentrione. Per il marzo 1253 ci sono rimaste vendite commende e trasporti di zenzero, di zafferano, di garofano, di zucchero, di pepe (131). A parte qualche uso che se ne faceva in farmacia, tutte queste derrate possono comprendersi tra i generi alimentari di lusso- Tanto i nostri documenti, quanto in generale gli atti dei notai Genovesi, e quelli di Marsiglia del 1248, riportano solo eccezionalmente vendite degli altri alimentari (131) Zenzero in F 68 (commenda per 5 lire tra zenzero e altre spezie, per Corsica e Sardegna), 81 (ritiro di zenzero depositato a Lagny), 96 (zenzero trasportato e depositato a Tortona insieme con altre merci), 110 (commenda per tre lire tra zenzero, altre spezie e candele, per Marsiglia). Zafferano in F 193 (commenda per L. 770. 3 tra zafferano e seta, per la Francia; in un atto precedente, annullato senza dubbio dal seguente, per Marsiglia) e in P 124 (compera — da un Lucchese — per L. 105. 12 di zafferano). Garofano in F. 78 (compera per L. 48. 15. 9). Zucchero in F 4 (riferimento ad una vendita precedente). Pepe in P 60 (compera per L. 15 effettuata da un mercante di Fréjus), 120 (compera di 10 cantari per L. 75 effettuata da due Nizzardi). — Come si vede, la principale corrente dell’esportazione è diretta verso la Provenza; ma poiché nel 1248 una tra le più attive esportazioni da Marsiglia verso la Siria è proprio lo zafferano (sette contatti delle notule d’Amalrico in Blancard) convien pensare che una parte delle spezie che Marsiglia importava da Genova (come anche dei fili d oro, vedi la nota 127) servisse in ultima analisi alla riesportazione in Siria. Paese, quest’ultimo, che vicino com’è al cuore dell’Asia sembrerebbe destinato dalla natura a rifornirsi direttamente alla regione originaria delle spezie, e che invece era separato dal retroterra Arabo dagli odi religiosi, dalla guerra e dal deserto, più profondamente che non Genova, Marsiglia e 1 Occidente dal Mediterraneo. — li fatto che i Marsigliesi fungessero in certi casi da intermediari tra Genova e la Siria è una prova del grande sviluppo preso dal loro commercio e della crisi di quello Genovese: sviluppo e crisi passeggeri entrambi, chè presto Genova riprenderà la sua superiorità. Cfr. anche la nota 34. (132) Per Marsiglia questa circostanza ha colpito anche il Sayous, Commerce de Marseille, 16. S’intende che scarsità non significa assenza totale: infatti vedi in F 31 e 33 vendite di formaggio; in F 125 un trasporto di vino e miele. — 201 — di maggior consumo, ma di minor prezzo (132), che si trovano anche nelle vicinanze di Genova. , . , Oltre alle spezierie, pero, s’importavano a Genova su vasta scala due r neri di prima necessità il cui regolare approvvigionamento formava la colante preoccupazione di quel Governo, come di tanti altri Stati: il sale e il S ano Per completare la produzione locale si importava il sale dalla Pro-gran e ne abbiamo traccia nei nostri documenti (133); non ne abbiamo trac-Vetl hi'vece per il grano (che in gran parte veniva dalla Sicilia o dall’impero Bizantino e dal Mar Nero) probabilmente perchè si soleva imbarcarlo come càrico di ritorno, (134) e nel marzo le navi da Genova sono ancora al viag- g'° d* Manquante navi salparono da Genova nel marzo 1253? E’ ben diffi-dirl0 | contratti di cambio marittimo e i noli ci serbano il nome di qual-Cl 6 di esse: la « Giglietta » per Bonifacio, la nave « San Giuliano » per aT il bucio « San Giuliano » per Messina, il « Paradiso » di Messina per Tunisi 1’« Ulivetta » del Messinese Oliviero Cadore per Messina, la galea «Bonaventura » di Marsiglia per Grosseto; invece si aspettava il ritorno dalla Provenza delle navi « Paradiso » e « San Giacomo » (135). Ma si ha l’impressione che i noli fossero scarsi (136) e la concorrenza acutissima; gli armatori di Genova si lasciano soffiare in casa propria da Marsigliesi un importante trasporto per conto di mercanti di Siena (137), e perfino mercanti Genovesi (133) Importazione di sale da Aerem (quasi certamente Hyères, città vicina a Tolone ,i saline ebbero durante tutto il Medio Evo fama internazionale: tuttavia l’espressione « Aire de Monacho », che si trova in un doc. del 1200 - Di TUCCI. 42 - ispira qualche dubbio "he si possa trattare di Monaco, che aveva una salina, sebbene di debole rendimento, cfr. Saioe Documents antérieurs au XV siècle, relatifs à la seigneurie de Monaco, Paris 1905) F 11 106 147, P 97- (Ogn* °"a viene valutata 5 denari e mezzo gen., franca al capo di Hyères). Sulla gabella del sale di Finale vedi F 181. (134) Cfr. Bratianu, Recherches sur le commerce génois dans la Mer Noire au XIIIe relè Paris 1929, 290. Un contratto di questo genere è stipulato da mercanti Senesi col padróne d’una galea di Marsiglia: porterà all’andata da Genova a Grosseto balle (senza dubbio di panni), al ritorno grano (F 175; vedi la nota 137). (135) F 2, 3, 14; F 15, 29, 94; F 157; F 125; V 13, P 66, F 109, 203; F 175; F 11; P 97. Altre navi nominate nei nostri documenti per altre ragioni: la barca « Cagnazza » (P 28), la nave « S. Erasmo » (P 47), la nave « Racoza » (F 40), la nave « S. Brancaccio » (F 118), il bucio « S. Antonio » (un quartiere del quale è venduto per L. 60) (F 130) il bucio « San Francesco » (una metà ed un quartiere del quale sono vendute rispettivamente per L. 260 e 130) (F 169, 171). Due parti d’una barca a 10 remi sono vendute per L. 10 (F 54); un loco e un quarto d’una nave di 40 luoghi è venduto per L. 25 (F 40). (136) È da notare, però, che molte delle partenze marittime si concentravano nelle periodiche « caravanae • o « mude » della primavera (verso la Pasqua, che nel 1253 ricorreva il 20 aprile) e dell’autunno (ai primi di settembre). (137), L’atto abbastanza particolareggiato, è interessante: si pattuisce che la « galea armata » noleggiata abbia a bordo 112 vogatori e 10 « supersalientes » (soldati), che porti i mercanti noleggiatori coi loro bagagli e coi servitori, e carichi fino a 115 balle per scaricarle — 202 — ricorrono a navi di Marsiglia e di Messina per caricare grosse partite di merce (138). Bisogna però osservare ancora una volta che molte navi di Genova sono impegnate in Siria, per la Crociata. Infine due strumenti ci prospettano interessanti casi d’infortunio marittimo, da smarrimento e da naufragio (139). * * * Gli altri gruppi di documenti del marzo 1253 offrono un minore interesse, ma non per questo sono inutili per compire il quadro dell’attività economica. Le vendite d’animali vivi (140), le locazioni e le vendite di terreni, di case, d’appartamenti, di botteghe (141), i contratti di lavoro, di servizio e di garzonato (142), perfino i testamenti e gli atti dotali (143) ci forniscono elementi il cui valore non deve essere trascurato. « usque intus fucem Oroxeti » (la foce dell’Ombrone?), per il nolo di L. 85 gen. da pagarsi prima di salpare da Genova. Al ritorno sarà in facoltà dei mercanti Senesi noleggiatori di caricare fino a 300 mine genovesi di grano da portare a Genova per il nolo di 2 soldi ogni mina, pagabili all’arrivo; la galea dovrà attendere l’eventuale imbarco per quattro giorni alla foce di Grosseto. (F 176). (138) Oltre agli atti citati nella nota 135, anche F 192. (139) F 91, 156; vai la pena di riportare per intero il testo del secondo atto, che ci mostra un’applicazione dell’albinaggio: « Ego Janus de poençola confiteor tibi Jacobo manus-grosse taiatori quod habebam mecum in accomenda de tuis libras decem janue in viatico maritime in ligno Jacobi Corsi de Varagine et sociorum qui passus fuit naufragium inter terracinam et Montem cercelii ut constat in carta mihi facta unde do, cedo et trado tibi omnia iura omnesque rationes et actiones que et quas habeo et mihi competunt contra homines et bona hominum terracine et cuiuslibet alterius partis occasione rerum mearum quas recuperaveram de dicto ligno et quas homines terracene mihi abstulerunt per violenciam (spazio bianco) Actum janue.....etc. » (140) Vendite di muli in F 49, V 4, P 49, F 48 (femmina) per prezzi che vanno da L. 2. 10 a L. 16. 0. 2; di cavalli in F 51 e 200 rispettivamente per L. 70 e 8. 5; di un bue in T 5 per L. 4. 10; di pecore e capre in G 1 per L. 17. (141) Vendita di terre (talora con case) in F 34 e 39, 84 e 85, 177, 164 e 188, 178 e 179, 184, e 185 (in relazione con l’affitto di F 186), 187; P 33, 39, 79, 113, 133; V 1, 28, 30, 31; G 6; T 1; 2. (Talora si stipula la facoltà di riscatto da parte del venditore, al prezzo di vendita, entro un certo termine; spesso si ricorre alla quitanza anticipata, vedi nota 75). Vendita di case: V 6, 11; P 1, 117. (1 prezzi sono variabilissimi, e non v’è modo di ragguagliarli perchè nei contratti non v’è mai la superficie del terreno o la quantità degli ambienti venduti ma solo la loro ubicazione). - Affitti di terre in P 24, 136, 186; di case in F 47, 132, 189; di appartamenti in F 19, 26, 206, V 7, 9; di stalle in V 8, di botteghe in F 8, 47 e 48, P 28 e 29, 43, 90 e 91. (Sono interessanti i contratti d’affitto, di case e appartamenti nei quali l’impegno da un anno sale anche a cinque, e non è contemplata la disdetta in nessun modo; per i prezzi valgono le stesse osservazioni che per le vendite; e gli affitti di botteghe dove tra padron di casa e inquilino si crea una forma di simbiosi: drappiere con sarto, produttore di vino con taverniere). (142) Contratti di servizio e di lavoro in P 18, 83, F 124 (in quest’ultimo il futuro ser- — 203 — * * * La nostra rassegna è finita. Rimangono soltanto da dire due parole sul metodo seguito nell’elaborazione dei regesti. In essi ho cercato di riportare tutti i dati caratteristici e che avevano un significato storico ed economico sopprimendo invece i particolari, anche perchè in nota avevo dato il testo'completo di sette strumenti sui quali sono modellati i molti altri d’e-o-uale natura giuridica, con frasi e formule immutabili. Quando ho ritenuto opportuno di aggiungere eccezionalmente anche qualche particolare l’ho messo tra parentesi per distinguerlo dalla parte sostanziale che è riferita per tutti gli atti- ho invece omesso nei regesti altri particolari, dei quali mi sono servito nelle note del presente studio (citando l’atto secondo il numero d’ordine che ha nella serie) per evitare ripetizioni superflue. Mi sono sforzato di far corrispondere a formule e a sostanza giuridica eguali nel cartulario, formule eguali nel mio riassunto. Infine ho tradotto i nomi di persona, ma mi sono limitato a italianizzare la desinenza dei cognomi (salvo nei casi in cui la traduzione italiana è certa e conosciuta, come De Auria = D’Oria), perchè mi pareva arrischiato tradurre p. es. un de Rubeo con un Rosso, quando vi sono altrettante probabilità perchè si debba tradurlo Rossi o Derossi (144). vitore s’impegna tra l’altro a « me carnaliter non miscere cum muliere aliqua de tua domo »); contratti di garzonato in P 103, 107-108, 112, T 4, 8. Questi ultimi sono particolarmente gravosi, sia per la durata dell’impegno (che arriva fino a otto anni) sia perchè il più delle volte chi stipula il contratto non è l’apprendista ma il padre o chi ne fa le veci sia perchè il compenso è esiguo: vitto, vestiario e pochi soldi; anzi nel caso del garzonato di pellicceria, professione abbastanza elevata, i parenti dell’apprendista debbono pagare quaranta soldi per gli alimenti. (143) 1 testamenti (F 70 e 71) non hanno grande interesse per noi, perchè il valore totale dell’eredità non è dichiarato e conosciamo soltanto quello dei legati (pei quali anche V 15, P 50 121, 131, F 75). Invece le doti rispecchiano la condizione sociale ed economica delle varie famiglie: Oiovannina Basso, che sposa uno della ricchissima casata dei Gualterio, avrà ben 650 lire genovine di dote; Fiordaprile che sposa un coltellato, malgrado il suo poetico nome non ne avrà che 40; altrettante toccheranno a Benedettina che sposa un panettiere; mentre Sibillina figlia di un campagnuolo e sposa di un altro campagnuolo avrà in dote un appezzamento di terreno con una casa comprato di fresco per 18 lire (P 4, 5, 6; 42; F 75; 85). (144) Aggiungo che, per evitare al tempo stesso ripetizioni di nomi e confusioni di persone, ho costantemente riferito verbi, pronomi e apposizioni all’ultimo nome citato: p. es. nella frase « Nazario di Como a nome d’Ostachio di Como suo socio, riceve da Pietro di Pontegano a nome di Alberto Laxerti etc. », il primo « a nome » va riferito a Nazario di Como, il secondo a Pietro di Pontegano; nella frase: « Giacomo Monleone compra da Lanfranco di San Giorgio per conto di Azzetto suo fratello », il « suo » va riferito a Lanfranco; etc. — 204 — l documenti raccolti sono bastati, s’io non m’illudo, a una rassegna minuziosa e senza troppe lacune dei vari aspetti dell’attività economica di Genova in un dato momento. Certo, ognuno che abbia letto questo studio potrebbe osservare — e io non avrei nulla da contrapporre — che è arrischiato estendere a un periodo più largo conclusioni che si fondano sulle cifre e sui dati di un mese solo. A tali obiezioni non posso che replicare quanto ho detto all’inizio: la storia economica di un mese non basta a far intuire quella di due secoli; ma se ripeteremo gli assaggi, avremo una successione d’immagini che potranno darci un’idea sufficiente della continuità, come le istantanee del film riproducono senza visibili intermittenze il movimento della vita. DOCUMENTI m GIAN U IN 0 PREDONE (Registro I, parte II, folli 24 r. - 40 r.) 1. 1 marzo. — Maestro Michele abitante in Ovada, procuratore di Caracosa fu Zantaramo Guardatore e di Alda di lui vedova, vende a Enrico D’Oria fu Pietro un « hedifficium sive superficiem » in Genova, contrada di S. Matteo, per L. 16. gen. e gliene lascia quitanza. 2. 1 marzo. — Riccobono Coxano scriba e Oberto Bonaventura, a nome proprio e di tutti gli accomandatari di Amico Chiarella, ricevono da Enrico Bargano e da Saonino di Bonifacio L. 115.4.10 genovine, di cui 79.17.6 per commenda fatta da Rustichino a nome d’Amico Chiarella a Ugone di Pontedecimo; 19.3.6 date dal Chiarella a Saonino in Bonifacio; 16.3.10 da pelli d’agnello e di capra reaccomandate dal Chiarella al Bargano. 3. I marzo. — Martino di Chiavari lanaiolo compra da Giovanni Robino lana sottile d’Oltremare per L. 18.12 gen., pagabili entro le calende di maggio. 4. 1 marzo. — Giovannina del (fu) Giacomo Basso dichiara a suo fratello Obertino e a Guglielmo Basso, tutore degli altri figli e eredi di suo padre, che essi pagarono e debbono pagare (sic) a Vincigente Gualterio e a Giacomino suo figlio, di lei marito, L. 650 gen. per sue doti legatele dal padre per testamento. — 208 — 1 marzo. — Vincigente Gualterio e Giacomino suo figlio ricevono da Guglielmo Basso e dagli altri eredi di Giacomo Basso L. 650 gen. per le doti di Giovannina. 6. 1 marzo. — Guglielmo Basso a nome dei figli ed eredi del fu Giacomo, e Obeitino Basso si dichiarano debitori di Vincigente Gualterio per le doti di Giovannina Basso, nonostante la quitanza ottenuta, e promettono pagarle in diverse rate. 7. 2 marzo. — Tedesco Rafacan di Pavia e Divizia, coniugi, ricevono a mutuo grazioso da Rufino di Castronovo L. 5.2 pavesi restituibili entro le calende d agosto. 8. 3 marzo. — Bonavia Maimone di Noli promette a Enrico Suppa di consegnargli alla riva d’Albenga tre pezzi d’antenna (due dei quali grossi 6 palmi e uno grosso 5 palmi e mezzo, lunghi uno 28 cubiti, un altro 33, il terzo 35) entro 1 8 aprile, per L. 66 gen. delle quali 56 pagate subito e 10 pagabili alla consegna. 9. 3 marzo. — Giacomo Ravaldo banchiere, a nome proprio e dei fratelli, dichiara all’Abate Giovanni del monastero di S. Alberto di Butrio, a Supergio monaco de suddetto monastero e Dattilo converso e sindaco del detto monastero di aver ricevuto il saldo d’ogni suo credito verso il monastero stesso. 10. 3 marzo. — Giovanni di S. Alberto di Butrio, Supergio e Dattilo, a nome proprio e del monastero, fanno quitanza a Giacomo Ravaldo e fratelli per quanto essi dovessero al monastero. Fideiussore Albertino fu Pietro Lombardi. 11. 3 marzo. — Delomede Maniavacca a nome proprio e dei soci, pei quali comprò dal Comune di Genova il pedaggio di Gavi per l’anno corrente, e dei Marchesi di Gavi, vende a Guglielmo Mulo di Voltri l’introito del pedaggio marchionale e comuna e di Gavi che si riscuote presso Voltri, per un anno al prezzo di L. 72 gen. paga i i a rate mensili (1). (1) Pubblicato da Ferretto, Documenti genovesi di Novi e Valle Scrivici, in B.S.S. S., voi. 11, p. 229. - 209 12. 3 marzo. — Niccolo Cancelliere figlio di Pasquale Candeliere (sic) riceve a commenda da Giannino Predone fu Oberto L. 55.16.8 gen., investite in un mutuo fatto a un tal Sardo, da portare in commercio in Sardegna. 13. 3 marzo. — Gianone Scarena lanaiolo abitante in S. Croce di Castello compra da Giovanni di Sestri Levante 4 cantari e 26 rotoli di lana « de rotamine » per L. 12 15 pagabili entro Pasqua. 14. 3 marzo. — Antonio Bicuollo di Piacenza, a nome proprio di Guglielmo Rato e degli altri suoi soci, riceve da Rainaldino del Molino a nome di Bergundio Bergundi e soci denari a cambio per L. 46.10 prov. pagabili alle fiere di maggio di Pi ovins. 15. 3 marzo. — Lanfranco Campopiano riceve da Giovanni Spezzapietra soldi 22 e den. 6 gen. pei quali promette consegnargli entro 15 giorni in Sampierd arena 10 « staminali » di rovere lunghi al piede 5 cubiti, al braccio 5 palmi e mezzo. . 16. 3 marzo. — Nazario di Como a nome d’Ostachio di Como suo socio, riceve da Pietro di Pontegano a nome di Alberto Laxerti di Bergamo due some di panni stanforti di Como contenenti 28 pezze che il Laxerti aveva avuto da Ostachio a Milano con l’incarico di consegnarle a Genova. 17. 3 marzo. — Guglielmo Chiapone di Piacenza a nome di Musso Giavoni di Tortona riceve L. 75 imperiali da Rufino Straciano che le doveva al Giavoni. 18. 3 marzo. — Giacomina vedova di Simone Rapa pone il figlio Ughetto a servizio presso Ogerio Nive d’Alba e Pietro di lui fratello, per un anno, pel compènso di L. 4 gen., tre delle quali riceve; gli altri 20 soldi le saranno pagati alla fine dell’anno (1). (1) Pubblicato da Ferretto, Documenti intorno alle relazioni tra Alba e Genova, in B. S. S. S., p. 181. 14 — 210 19. 4 marzo. — Giovanni Tromba di Sestri Ponente' e Divizia coniugi ricevono a mutuo grazioso soldi 40 gen. da restituirsi entro Pasqua. 20. 4 marzo. — Giovanni Pagano di Piacenza a nome proprio e dei soci riceve da Giovanni del Pozzo banchiere denaro a cambio per L. 200 prov. pagabili alle fiere di Bar. 21. 4 marzo. — Simone Rubeo lanaiolo e Altadonna sua moglie ricevono da Giovanni Robino lana sottile d’Oltremare per L. 9.6 gen. pagabili- entro le calende di maggio. 22. 4 marzo. — Filippo Stacione riceve a commenda da Guglielmo Guercio di Carrubiodritto L. 40 gen. provenienti da altra commenda e investite nel capitale comune, da portare in commercio in Francia e Provenza, tornando a Genova o prose guendo per il Mediterraneo Orientale. (S’impegna a non « mutuare cursalibus la commenda). 23. 4 marzo. — Filippo di Rivotorbido tintore compra da Giovanni di Mantova tintore cenere per L. 8.10 pagabili entro le calende di settembre. 24. 6 marzo. — Alda Di Negro abbadessa del monastero di S. Maria di Latrenor’ Sibilla di Mora, Sibilla di Palo, Elena e Giulietta Negrone monache affittano a Calzarino di Murta una terra in Murta, località la Crosa. 25. 6 marzo. — Rubaidino Scornamontone riceve a commenda da Rubaldo Brav di Cogoleto soldi 42 gen. investiti nel capitale comune, da portare in commer a Bonifacio e in Sardegna. .\i) <; ' 1 -• 26. 6 marzo. — Rustico Paxano riceve a commenda da Alda di Lei vi Predone L. 5 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio a Messina. — 211 — 27. 6 marzo. — Bertolotto di Sozziglia vende a Negro tintore di S. Maria Maddalena un quartiere e un’ottena della barca « Caguazza » comprata da Giacomo Salmone di Portovenere per L. 7.10 gen. delle quali rilascia quitanza. 28. 6 marzo. — Enrichetto di Camogli drappiere affitta per due anni a Amico di Rapallo sarto un banco in ripa di Genova, davanti alla bottega di Giacomo Panzano per l’affitto annuo di 60 soldi in tre rate. 29. 6 marzo. — Amico di Rapallo promette dare a Enrico di Camogli per due anni 90 soldi all’anno in tre rate, per avere i ritagli della sua bottega. 30. 6' marzo. — Rofredo Bramanzoni di Siena a nome proprio e dei sòci riceve da Viviano Zembrino di Lucca denaro gen. a cambio per L. 400 prov. pagabili a Ugolino Teste di Lucca e soci alle fiere di Bar. 31. 7 marzo. — Pietro Peterio d’Alessandria dichiara di dovere a Giacomo Monleone lanaiolo L. 31 gen., resto del prezzo di panni a lui venduti, che pagherà entro due mesi. 32. 7 marzo. — Rinaldo Pinello fa quitanza a Oberto di Levante speziale per tutto ciò che gli deve Pagano di Goano. 33. 7 marzo. — Giovanni Malocello, tutore di Lanfranchino fu Tommaso Malo cello, e Lanfranco, Giacomo, Enrico Malocello fratelli, vendono a Tommaso Colonato un appezzamento di castagneto in Borzoli località Funtimal per L. 100 gen., delle quali rilasciano quitanza. 34. 7 marzo. — Tommaso Colonato dichiara dovere a Giovanni Malocello etc. L. 100 gen. nonostante la quitanza a lui rilasciata, 212 — 35. 8 marzo. — Guglielmo Balbo di Soziglia e Morina coniugi ricevono da Desiderato Visconte denaro gen. per 50 mazzi d’oro filato eguali al campione avuto, da consegnarsi in ragione di 10 al mese, fino alle calende d’agosto. Per 25 mazzi è fidejussore Oberto de Porta Piacentino. 36. 8 marzo. — Guglielmo Balbo di Soziglia e Morina coniugi promettono a Oberto Piacentino de Porta di risarcirlo da qualunque danno e obbligazione verso Desiderato Visconte per la fidejussione a loro fatta. 37. 8 marzo. — Marino Marchesano di Bonifacio riceve a commenda da Giacomo Ravaldo banchiere e dal socio di lui Obertiuo Coxano L. 80.7.6 gen. investite ne^ capitale comune, da portare in commercio in Corsica e Sardegna. Giacomo ava o dichiara che del suddetto capitale fanno parte L. 6 di proprietà di Àdelasia mog di Riccobono Coxano. 38. 8 marzo. — Saonino di Bonifacio riceve a commenda da Giacomo banchiere per il banco di lui e del socio Obertiuo Coxano L. 25.3.4 gen. a iu commercio a Bonifacio, in Corsica e in Sardegna. 39. 8 marzo. — Desiderato Visconte vende a Guglielmo figlio di ®onVaS.Sa^-jascja dena teri’eni in territorio di Livellato (Polcevera) per L. 16 gen. delle qua quitanza. 40. 8 marzo. — Balduino Todesco di Moneglia dichiara di dovere a Ro^an^_a_ sarto soldi 45 gen. per delega di Obertino Ferrari e Giovanni suo frate , mura, pagabili entro S. Michele. 41. pji0. 8 marzo. — Giacomino Morello riceve a commenda da Alda di done L. 5 gen. investite nel capitale comune da portare in comcaercio a — 213 42. 9 marzo. — Guglielmo coltellaio figlio di Guglielmo Posatore riceve da Giovanna vedova di Gerardo Barlete L. 38. 5 gen. delle L. 40 a lui promesse per doti di Fiordaprile sua moglie. 43. 10 marzo. — Ugo Marino e Adelasia vedova di Montanaro Marino affittano a Lanfranco del Porto macellaio un banco nel macello del Molo per 5 anni, per l’annuo affitto di L. 5 gen. 44. 10 marzo. — Rainerio Varixio riceve a commenda da Giacomina di Portavacca rivenditrice soldi 40 gen. investiti a parte in tafferie da portare in commercio in Sicilia. 45. 10 marzo.— Adelasia e Alda fu Sibilla fu Guido Spinola fanno procura a Niccolò Paciano nella lite che hanno contro gli eredi di Andreolo de Mari, nipote di Sibilla e suo erede. 46. 11 marzo. — Enrico macellaio di Soziglia viene eletto arbitro da Andrea Ne-grino drappiere da una parte e da Tealdo sarto e Niccolò suo figlio anche a nome di Benvenuta moglie di Tealdo dall'altra, per vertenze sorte tra essi. 47. 11 marzo. — Enrico Tedesco di Soziglia riceve intero pagamento da Gianuino Rubeo di Fossatello del lodo di L. 16. 13 a lui fatto per nolo della nave « S. Erasmo » e d’ogni altro suo credito. 48. 11 mano. — Giacomo Bocherio (Boucher?) di Digne promette a Ogerio di Prè pel'icciaio, Baldovino Francesco e Astesano pellicciai, di consegnar loro in Genova tutti i vai di coniglio che potrà avere entro S. Michele per il compenso di soldi 25 gen. il cento. 49. 1.1 marzo. — Saxone di Rivarolo vende a Simone della Costa di Rivarolo fu Gregorio un mulo baio per soldi 50 gen. dei quali rilascia quitanza. — 214 50. 11 marzo. — Bonvassallo Sardena riceve da Giacomo Cibo a nome di sua moglie Pietrina fu Guglielmo Ginace L. 65 gen. che Sibilla vedova di Gionata del Campo e sua sorella gli lasciava per testamento. 51. 11 marzo. — Guglielmo Cavalli di Piacenza compra da Guglielmo Bruno di Piacenza e soci 6 canne e un palmo di brunetta d’Ypres per L. 7. 13 gen. pagabili entro le calende di maggio. 52. 11 marzo. — Oberto Forello di Moneglia, Calvetto fu Corrado De Mari di Mo-neglia e Amigone di San Saturnino ricevono a mutuo grazioso da Albertino di S. Maria delle V igne cassaio L. 7. 10 gen. restituibili entro le calende di giugno. 53. 12 marzo. — Amigone di San Saturnino e Oberto Forello di Moneglia promettono a Calvetto fu Corrado De Mari di risarcirlo da ogni danno che emergesse dall’obbligazione contratta con Albertino di S. Maria delle Vigne. ‘ 54. 12 marzo. — Armano Ravazelte di Bergamo riceve a mutuo grazioso da Gu gli elmo Leccacorvo, Leonardo Rozo e soci L. 69. 4. 6 gen. restituibili entro le calende di giugno. 55. 12 marzo. — Aimerico di Rapallo abitante in Rivotorbido e Vassallino lanaio suo figlio dichiarano di dovere a Giovanni Robino e a Guidetto di S. Ambrogio scrj L. 6. 15. 7 gen., resto del prezzo di lana « rotaminis » di Tunisi a loro ven che pagheranno entro le calende di giugno. 56. 12 marzo. — Montanino fu Folco Guercio a nome proprio e del fratello Ste dona metà dell’introito del pedaggio sulle some transitanti per Val Trebbia, da tenuto in feudo per il marchese Corrado Malaspina, a Fazio Cipolla procurato! e quest’ultimo (1). (1) Pubblicato da Ferretto, Doc. Novi, 231-232. — 215 — 57. 12 marzo. — Montanino , fu Folco Guercio a nome proprio e del fratello Stelinó cede per L. 200 gen. i loro introiti del pedaggio sulle some transitanti per Val Trebbia a Ottone delle Isole (1). 58. 13 marzo. — Giovanni Bottaro « bambaxarius » (2) riceve da Oberto di Voltaggio cera per L. 19 gen. pagabili a semplice richiesta. 59. 13 marzo. — Guglielmo de Bacho di Piacenza compra da Rinaldo Rustegaccio anche a nome di Ugo Burino e soci pelli d’agnello per L. 28. 7. 10 pagabili entro due mesi. 60. 14 marzo. — Bonjour de Fréjus (Bonusjornus de Freçulio) compra da Niccolò Vedereto pepe per L. 15 gen. pagabili entro la metà di maggio. 61. 14 marzo. — Niccolò Contessa di Pontremoli fa procura a Pietro speziale, figlio di Aicardo di Mercato, per riscuotere da Micheletto Candeasco fu Dondidio soldi 25 imperiali. 62. 14 marzo. — Perizolo Allegri di Cremona compra da Amico di Moneglia lana di Bugia per L. 96 gen. pagabili entro Pasqua. Fidejussore Benintende di Bergamo. 63. 14 marzo. — Cristiano Grimaldi riceve a commenda da Guglielmo Leccacorvo e Giacomo Ravaldo banchieri L. 200 gen. dai denari della società Opizone, Niccolò e Tedisio Fieschi, investite nel capitale comune, da portare in commercio a Safi. 64. 14 marzo. — Franceschino Camilla riceve a commenda da Guglielmo Leccacorvo e Giacomo Ravaldo banchieri L. 200 gen. dai denari della società Opizone. Niccolò e Tedisio Fieschi, investite nel capitale comune, da portare in commercio in Oltremare. (1) Pubblicato ibid., 232. (2) Venditore di tessuti di cotone. 216 — 65. 14 marzo. — Giovannino figlio emancipato di Marino Marino riceve a commenda da Guglielmo Leccacorvo e Giacomo Ravaldo banchieri L. 200 dai denari della società Opizone, Niccolò e Tedisio Fieschi, investite nel capitale comune, da portare in commercio in Oltremare. 66. 14 marzo. — Giacomino Morello riceve da Gianuino Predone fu Oberto denari gen. a vendita per 100 once e un tarino messinesi pagabili un mese dopo che la nave « Olivetta » di Natale Gobelli sia arrivata a Messina o ad altro porto. (Oltre le consuete garanzie gli dà in pegno 6 balle e mezzo di panni contenenti 28 pezze di panni lombardeschi, 5 di panni vermigli franceschi, 7 di panni verdi di Chalons, 4 di panni blu di Chalons e 2 di brunetta di Douai, comprati coi suddetti denari). 67. 15 marzo. — Oberto di Levanto speziale fa procura a Ugone Baxanno per riscuotere a suo nome da Guglielmo Braccioforte drappiere L. 10 gen. che questi ebbe ordine di pagare dal console del Borgo. 68. 15 marzo. — Enrico di S. Stefano, Oberto Morello e Giacomo di Prè drappieri ricevono a mutuo grazioso da Guglielmo Leccacorvo e soci L. 60 gen. restituibili a ^ richiesta entro Pasqua. 69. 15 marzo. — Oberto Rundana e Carievaro Rundana ricevono da Ugo Burrino denari gen. a cambio per L. 16 prov. pagabili alle fiere di Lagny. 70. 15 marzo. — Testamento di Giacoma, vedova di Marino Ingegnere, desidera esser sepolta in S. Andrea della Porta, designa come eredi Sibillina, Caracosa e Giovan^ nina figlia di Caracosa, costituisce vari legati, dispone per il pagamento di a cun debiti. 71. 16 marzo. — Testamento di Tuttadonna, vedova di Baldovino Garello ^ Struppa: desidera esser sepolta in S. Andrea della Porta e designa come ere i versali Rolando, Omodeo, Guadagno e Guglielmo suoi figli. - 217 — 72. 17 marzo. — Giovanni mereiaio di Porta compra da Antonio Bicuollo, Guglielmo Rato e soci feltri per L. 20. 7 gen., pagabili entro quindici giorni. 73. % j* • t i 17 marzo. — Leonardo Rozo, Guglielmo Leccacorvo e Giacomo Diano ricevono da Bernardo Zemurerio di Parma a nome suo e di Pietro Tilone di Parma, di Giacomo Rezio e di Rolando Bonsignori di Siena denari gen. a cambio per L. 400 prov. pagabili alla fiera di Bar. 74. 17 marzo. — Sardenino Sardena riceve a commenda da Guglielmo Leccacorvo e Giacomo Ravaldo banchieri L. 100 gen. dai denari della società Opizone, Niccolò e Tedisio Fieschi, investite nel capitale comune, da portare in commercio in Spagna. 75. 18 marzo. — Suzobono di S. Donato riceve da Gianuino Predone' fu Oberto L. 20 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio a Bugia. 76. 19 marzo. — Idetto di Bozzolo a nome proprio e come erede del fu Barcone dichiara a Bonvassallo Sardena a nome di Guizzardino fu Carievaro di Bozzolo, di dovere a quest’ultimo 50 soldi gen. resto di un lodo di L. 4, che pagherà entro le calende di agosto. Montessano di Mercato fidejussore. 77. 19 marzo. — Idetto di Bozzolo promette a Montessano di Mercato di risarcirlo da qualunque danno e obbligazione verso Bonvassallo Sardena per la fidejussione a lui fatta. 78. 19 marzo. — Albergato di Meleta erede del fu Beltrame Grasso di Meleta dona a Lanfranco Grillo le sue ragioni e diritti su L. 23. 10 gen. che Beltrame doveva ricevere da Lorenzo Pescatore per panni venduti a Giovanni Parodi. 79. 19 marzo. — Desiderato Visconte fa procura a Guglielmo Balbo di Guaxina per ricevere un terreno nella pieve di San Cipriano vendutogli da Candido di Guaxina. 19 marzo. — Guglielmo Vescica macellaio affitta a Armanino fratello di Gennaro macellaio la metà d’un banco nel macello di Sozziglia, di proprietà di Oberto Grimaldi e di quelli di San Lazzaro per l'affitto annuo di soldi 50 gen. pagabili entro carnevale. ., . - : ^ r -.'•■■■> i ç . ...... — *"• "; ‘ ' ' 81. 19 marzo. — Ugo Croce riceve a commenda da Gaeta di Porto Maurizio L 6 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio a Bugia. 82. 19 marzo. — Pietro Menazato giura sul Vangelo che per i cinque prossimi anni non sarà più console dei mercanti di Piacenza fuori di Piacenza e non accetterà tale consolato. 83. 20 marzo. — Guglielmo Oravano fu Simonetto balestriere entra per un anno al servizio di Rinaldo Carnigio pel compenso di soldi 20 gen. pagabili alla fine dell’anno, vitto e vestiario. (Promette con giuramento essendo maggiore d’anni 17 ed opera col consenso di Lanfranco di Siena e di Giovannino Salvo suoi parenti). 84. 20 marzo. — Giacomo Monleone lanaiolo compra da Lanfranco di San Giorgio per conto di Azzetto suo fratello allume per L. 10. 8 gen. pagabili entro le calende c i maggio. 85. 20 marzo. — Gandolfo Naso da Sagona cede a Giovanni Di Negro tutte le sue ragioni e diritti verso Manuele D’Oria per L. 9 gen. e per la penalità di esse. 86. 20 marzo. — Gerardo Amico di Piacenza a nome proprio e dei soci riceve in deposito L. 50 gen. da restituirsi a semplice richiesta. 87. 20 marzo. — Enrico Tiba riceve da Giacomo Finoamore a nome del figli0 erede del fu Bonvassallo di lui fratello il pagamento completo di una commenda per 210 — la quale Bonvassallo aveva dichiarato già aver ricevuto L. 25 di melgoresi (1) da investirsi in panni stanforti d’Arras. 88. 20 marzo. — Pasquale Butino proscioglie da ogni impegno Ugo Salano notaio riguardo a soldi 50 da lui promessi per affitto d’una terra per i suoi nipoti, dei quali era fidejussore Natale speziale. 89. 21 marzo. — Benvenuta fa Guglielmo Plazio di Zoagli fa procura a Giacomo Simia suo marito per le eventuali differenze contro Adelasia di lei sorella. 90. 21 marzo. — Guglielmo di Camogli drappiere affitta per un anno a Giacomo dAlbaro e a Giovanni di Vezemo sarti un banco della bottega da lui tenuta in Ripa di Genova, per l’affitto annuo di 60 soldi gen. pagabili in tre rate. 91. 21 marzo. — Giacomo d’Al baro e Giovanni di Vezemo dichiarano dovere a Guglielmo di Camogli 35 soldi gen. per avere da lui per un anno i ritagli della sua bottega. 92. 21 marzo. — Ugo di Rapallo lanaiolo compra da Giovanni Robino lana « rota-minis » di Tunisi per L. 12 gen. pagabili entro le calende di giugno. 93. 21 marzo. — Giovannino di Niccolò Spinola (presente e riceve da Giacomo e Giovanni Begino L. 177. 10: gerì, per L. in mutuo da Lanfranchino Gualterio a nome suo. 94. 21 marzo. — Giovanni Bargalio calzolaio riceve da Andreolo calzolaio a mutuo grazioso soldi 20 gen. da restituire entro un anno. i 1 (1) La moneta di Melgueil, avente corso anche nella vicina Montpellier e, nel secolo XII, tanto diffusa da servir come modello a quella di Genova (cfr. Casaretto, op. cit., 15 sgg.) consenziente il padre; 120 torn. chci ebbero — 220 ■='• \i* , t , !■ . 11 95. 21 marzo. — Giacomo Simia procuratore della moglie Benvenuta fu Guglielmo Plazio di Zoagli da una parte, e Adelasia moglie di Bonagiunta speziale figlia del suddetto Guglielmo dall’altra, eleggono Rinaldo Castello di Leivi e Rubai do di Giovanni Balbo arbitri per ogui vertenza che sorgesse tra loro per questioni di doti o di successione tra fratelli e sorelle. 96. 21 marzo. — Benvenuta moglie di Giacomo Simia approva l’elezione dell aibitro (e in caso d’inadempienza s’obbliga a pagare L. 100 gen. a Bonagiunta;. 97. 21 marzo. — Ugo Barla di Varazze riceve a mutuo da Obertino Giallone di Multedo (Pegli) L. 18. 4 gen. che renderà otto giorni dopo il ritorno a Genova de suo bucio « San Giacomo » dal viaggio di Hyères per il sale. 98. 22 m'irzo. — Arnaldo di Montemaggio riceve a commenda da Oberto di Le vanto speziale L. 7. 5 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio c Tunisi. 99. 22 marzo. — Andreolo Usodimare figlio di Giacomo (consenziente il ^aC*re^r-sente) riceve a commenda da Guglielmo Leccacorvo e Giacomo Ravaldo ancn L. 150 gen. dai denari della società Opizone, Niccolò e Tedisio Fieschi, inves ìte^ parte in agostali (in ragione di 53 soldi e 10 den. gen. ciascuno) da portare in mercio a Tunisi. 100. 22 marzo. — Baliano Di Negro figlio di Giovanni riceve a commen(^-e^ Guglielmo Leccacorvo e Giacomo Ravaldo banchieri L. 150 gen. dai denari della Opizone, Niccolò e Tedisio Fieschi. investite a parte in milliaresi, da portare m mercio a Tunisi. 101. 22 marzo. — Ansaldo fu Idone Mallone riceve a commenda da Leccacorvo e Giacomo Ravaldo banchieri L. 100 gen. dai denari della società Niccolò e Tedisio Fieschi, investite a parte in milliaresi, da portare in commercio Genova. — 221 — 102. \ 22 marzo. — Enrico Mallone riceve a commenda da Gugliemo Leccacorvo e Giacomo Ravaldo banchieri L. 150 gen. dai danari della società Opizone, Nicco o e Tedisio Fieschi, investite a parte in milliaresi, da portare in commercio a lumsi. 103. 23 marzo. — Boterio tornitore e Martino di Rivotorbido * qui facit cartas » vengono eletti arbitri da Giovanni di Piacenza da una parte, da Elia Tasca e Milano (sic) dall’altra per qualunque vertenza che sorgesse tra loro; sentenziano che Elia Tasca e Milano dian loro in pegno 10 soldi gen. 104. 23 marzo. — Ugo di Brescia taverniere e Adelasia sua moglie ricevono a mutuo grazioso da Andreolo calzolaio soldi 30 gen. restituibili entro un anno. (Adela-sia opera col consenso di Giovanni Besagnino e Nicoletta di Romania suoi parenti). 105. 23 marzo. — Rufino di Rivalgar maestro d’ascia prende per un anno a servizio e a imparar l’arte sua Dalfinetto figlio di Buongiovanni d’Albaro, impegnandosi presso il padre a tornigli vestiario e calzatura (sotto pena reciproca di L. 5 in caso d’inadempienza). 106. 24 marzo. — Guglielmo Alpe speziale fa procura a Fazio Cipolla per tre anni, per esigere dagli uomini delle terre di Corrado Malaspina il pedaggio delle some transitanti in Val Trebbia, Val d’Aveto, Gavi e terre del Marchese Malaspina, con l’obbligo di rimetterne la metà a quest’ultimo. 107. 25 marzo. — Bernardino tornitore di Leivi e Oberto di Portavacca cuoiaio pongono per 8 anni Nicolino nipote del primo a servizio e a imparar l’arte presso Giovanni Pomaio cuoiaio che gli fornirà vitto e vestito. 108. 25 marzo. — Bernardo tornitore, tutore di Niccolino, promette a Oberto Porta-vacca di risarcirlo da qualunque danno per l’obbligazione contratta con Giovanni Pomaio. — 222 109. 25 marzo. — Guglielmo Ferro figlio di Giacomo di Casamavali (presente e consenziente il padre) riceve a mutuo grazioso da Giacomo Recco speziale soldi 20 gen. che vennero pagati al figlio di Bonifacio Rodoano a saldo d’un debito, restituibili entro tre mesi. HO. 25 marzo. — Simonetto figlio di Guglielmo De Mari riceve a commenda da Ugo Colonato L. 20. 5 gen. investite a parte in 80 mazzi d’oro filato, da portare in commercio a Tunisi. 111. 26 marzo. — Alberto Cavallo di Bergamo compra da Giacomo Martesana di Como, per L. 80 gen. pagabili entro un mese, 14 cantari di cotone d’Oltremare che debbono venir consegnati a suo fratello Martino a Bergamo o a Milano. 112. 26 marzo. — Giovanni figlio di Martignone Cocone di Levanto pone per 4 anni il fratello Benedetto a servizio e a imparar l’arte presso Bianco pellicciaio, e promette vestirlo, calzarlo e pagare 40 soldi all’anno per gli alimenti. 113. 26 marzo. — Feliciano Feliciani affitta a Ardito di Beogna notaio due « partes » della tenuta già condotta da Coxello di Canexio e fratelli nella villa di Canexio per l’annuo affitto di soldi 10 deu. 8 piacentini pagabili il giorno di S. Andrea. 114. 26 marzo. — Leonardo Rozo e Guglielmo Leccacorvo a nome proprio e dei soci ricevono da Opizone Tignete d’Asti L. 27 gen. a cambio per L. 48. 7. 6 di pisanim minuti pagabili tre giorni dopo che sarà giunto a Pisa. 115. 26 marzo. — Rofredo Bramanzoni di Siena a nome proprio e dei soci riceve da Giovanni Rovegno denaro gen. a cambio per L. 200 prov. pagabili alle fiere maggio di Provins; se il Rovegno non le avrà allora, pagherà per esse in G"'enova L. 800 gen. entro le calende d’agosto, — 223 — 116. 27 marzo. — Guglielmo Bozello d’Arenzano abitante in Varazze dichiara di dovere a Martino d’Augusto L. 3 gen., resto del prezzo di 7 pezze di cotone a lui vendute, che pagherà entro le calende di maggio. 117. 27 marzo. — Amico Verduno a nome proprio e di Niccolò suo fratello, e il fratello Giacomo Verduno cittadini di Genova, figli del fu Baldizòne Verduno. ricevono da Feliciano Feliciani cittadino di Piacenza e dai suoi nipoti L. 700 gen. prezzo di « cunctis et universis » i casamenti, ospizi etc. con mura, solai, curie, case, col diritto di riva etc., situati nel borgo di Piacenza presso S. Brigida. (Col consenso di Aicardo Camodea Novarese, console di Genova, il quale constata che la vendita è fatta a interesse del minore Niccolò Verduno fu Giovanni Verduno. L’atto è rogato nel palazzo della curia del console). 118. 27 marzo. — Feliciano Feliciani promette di non aumentare l’affitto a Lorenzo Besenzone oltre quanto doveva per affitto al fu Giovanni Verduno a partire da San Michele (1). 119. 27 marzo. — Ottolino di Rapallo lanaiolo e Verde sua moglie comprano da Lanfranchino Riccio a nome di suo zio Ansaldo Riccio lana « rotaminis » di Tunisi per L. 20. 2, 6 gen. pagabili entro maggio. 120. 27 marzo. — Paolo Pevere (Piper) di Nizza e Raimondo del Poggetto di Nizza oomprano da Oberto di San Tommaso 10 cantari di pepe per L. 75 gen. pagabili entro S. Giovanni di giugno. 121. 28 marzo. — Frate Enrico ministro del monastero della chiesa di Santo Spirito in Bisagno riceve da Enrichetto Oabergato il legato costituito in favore del monastero da Mingdonia vedova di Giovanni Osbergato. (1) I nomi « de Verduno » e « de Besençono » hanno qualche sapore francese: ma, a parte il fatto che Verdun aveva pochi rapporti con l’Italia e Besançon, più legata alla nostra penisola dalla strada del Sempione-Giura (cfr. Schulte, 1, 68 sgg.) si chiamava latinamente meglio Vesontium o Besontium òhe1 Besenzonum, vediamo la famiglia Verduno citata tra le astigiane in Rosso, Documenti... Asti, passim. Esiste infatti presso Asti un villaggio di questo nome. 224 — 122. 28 marzo. — Pietro Cigognidi e Alda sua moglie comprano da Gasparo Ferrari lanaiolo una pezza di panno azzurrino ( « blaueti » ) per L. 4. 15 gen. pagabili entro due mesi. 123. 28 marzo. — Enrico Tiba a nome proprio e di Adelasia madre e procuratrice di Bonifacio Tiba, e Richelda vedova di Guglielmo Tiba a nome di Rubaldino e Gavino di lei figli, concedono a Giovanna vedova di Ravicia di Bonifacio a nome di Ogerino suo figlio due case in Bonifacio presso le mura del castello, alle medesime condizioni nelle quali avevano cedute prima al marito di lei, cioè « publico amore » con l’obbligo di far le veglie nel castello di Bonifacio, dandole i Tiba quanto il comune di Genova è tenuto a dar loro per borghesatico di Bonifacio. 124. 28 marzo. — Niccolò di San Siro speziale compra da Paolo Piperata di Lucca zafferano per L. 105. 12 gen. pagabili entro la metà di maggio. 125. 28 marzo. — Egidio Cortecomense di Pavia pellicciaio dichiara di dovere a Folco Armanigra L. 50 imperiali, resto del prezzo di vai a lui venduti, che pagherà entro otto giorni in Pavia. 126. 28 marzo. — Giovanni Verdera Borgognone pellicciaio e Giovannino suo figlio ricevono a mutuo grazioso da Alberto di S. Maria delle Vigne cassaio L. 5 gen., restituibili entro la festa di S. Michele. 127. 29 marzo. — Simonetto di Chiavari abitante in San Siro compra da Fulcone Armanigra carta («papirum») per L. 26. 13 gen. pagabili entro un mese a semplice richiesta. 128. 29 marzo. — Folco Rubeo coltellaio fu Bellengerio del Molo riceve a commenda da Guglielmo di San Giorgio candelaio L. 5 gen. investite a parte in acciaio, da portare in commercio in Sicilia, — 225 — 129. 29 marzo. — Folco Rubeo coltellaio fu Bellengerio del Molo riceve a commenda da Oberto di Levanto speziale L. 10 gen. investite a parte in 112 verricelli di ferro e in 8 soldi in denaro da portare in commercio in Sicilia. 130. 29 marzo. — Folco Rubeo coltellaio fu Bellengerio del Molo promette a Oberto di Levanto speziale e a Guglielmo candelaio di recarsi a Lipari e raccogliervi o farvi raccogliere fino a mille cantari d’allume di Lipari buono, legale e mercantile, dando 13 tarini d’oro per ogni 33 cantari portati a Lipari, e pagando per nolo un tarino ogni cantaro. Procurerà anche trovare fino a 100 cantari d’allume bianco. Le spese e l’allume per metà a Oberto, per un quarto a Guglielmo, per un quarto a Guglielmo e Oberto insieme. 131. 29 marzo. — Boso Legato erede del fu Simone Carplano dichiara di dovere a Franceschetta moglie di Giovanni Uberti soldi 20 gen., resto del legato a lei fatto dal fu Simone, che pagherà entro sei mesi. 132. 29 marzo. — Ansaldo Begalio riceve a commenda da Pietro Picenino L. 12 gen. investite a parte in 60 mazzi d’oro filato, da portarsi in commercio a Marsiglia e Montpellier. 133. 29 marzo. — Giacomo Simia e Benvenuta coniugi vendono a Guglielmo Ugone Salario una terra in S. Urcisino, cappella di Comago, per L. 14. 11 di Genova, delle quali rilasciano quitanza. 134. 29 marzo. — Guglielmo Ugone Salario promette a Giacomo e Benvenuta Simia che restituirà loro la terra a lui venduta, se entro le calende d’agosto la riscatteranno al prezzo di L. 14. 11 gen. 135. 29 marzo. — Ansaldo Begulia riceve a commenda da Gianuino Predone fu Oberto L. 43. 17. 7 investite a parte in 219 mazzi d’oro filato da portarsi in commercio a Marsiglia e Montpellier. Gianuino Predone dichiara che di questo capitale fanno parte L. 8. 4 di Giacomo Bosso di Sauro, 15 — 226 — 136. 30 marzo. — Guizzardo Lucchese affitta ai fratelli Oberto e Guglielmo Ver-gagui una sua terra cou casa iu Barbasarda, per un anno (con 1 obbligo di potai e e cavare la vigna, e di dargli ogni anno la metà del raccolto del vino, delleiba e degli altri frutti, e il terzo dell’olio) per l’affitto di soldi 40 gen. 137. 29 marzo. — Paolo Pevere di Nizza compra da Frate Oberto di banto Spirito di Bisagno a nome del monastero 6 pezze di panno di Firenze per L. 34 gen. pagabili entro San Giovanni di giugno. 138. 29 marzo. — Lanfredo di Firenze tintore abitante in Rivotorbido compra da Ranieri Donzello a nome suo e di Gherardo Tornaquinci guado per L. 8. 6 gen. pagabili entro le calende di giugno. Fidejussore Oberto di San Tommaso. 139. 30 marzo. — Bartolomeo Rodolfi d’Alessandria a nome proprio e del socio Lanfranco Paviglione compra da Giacomo Negrobono 4 pezze di panno d'Arras (due delle quali bianche e due « sanctimeslerii » ) per L. 43. 9. 8 gen. pagabili entro due mesi. Fidejussore Giacomo d’Alessandria drappiere. 140. 31 marzo. — Simone Mozo d’Alessandria dichiara dovere a Giacomo Monleone lanaiolo L. 10 gen. resto del prezzo di panni a lui venduti, che pagherà entro le calende di giugno. 141. 31 marzo. — Oberto Buonvicino di Piacenza abitante in Genova riceve a commenda da Giacomo Negrobono a nome suo e dei soci L. 146 gen. investite a parte in 2 mila vai e 7 pezze di panno francesco, da portare in commercio in Sicilia. 142. 31 marzo. — Pietro Peterio d’Alessandria compra da Ricco Rubeo di Firenze due pezze di panno < norantorum » per L. 24. 10 gen. pagabili entro le caleude di giugno. Fidejussore Giacomo di Alessandria drappiere. — 227 — 143. 31 marzo. — Baldo Corigiario drappiere dichiara di dovere a Guglielmo Rato di Piacenza L. 14. 6 gen. resto del prezzo di 3 pezze di panno di Provins a lui vendute, che pagherà entro due mesi. 144. 31 marzo. — Alberto Pagano di Piacenza compra da Giacomo Negrobono 7 pezze di panni d’Arras e 2 pezze di biffa per L. 102. 4. 6 gen. (contata la ripa) pagabili entro le calende di giugno. Fidejussore Giovanni de Caselis di Piacenza. 145. 31 marzo. — Raimondo Raimondi di Como riceve da Florio Telgar di Bergamo a nome di Alberto Laxerti di Bergamo 6 balle di panni stanforti di Como contenenti 42 pezze che il Laxerti ricevette a Milano da Lanfranchetto Lavello socio del Raimondi, con l’incarico di consegnarle a Genova. BARTOLOMEO FORNARI (Registro IV, folii 1 r. - 23 t.) (1). 1. ( Un mutuo, illeggibile per le lacerazioni nella parte essenziale.) 2. 7 marzo. — Guantino Delela borghese di Bonifacio riceve da ldo di Savi gnone merci a vendita per L. 18. 7 gen. pagabili entro 15 giorni dall approdo della nave « Gilietta » in Bonifacio. 3. 7 marzo. — Giovanni de Campis borghese di Bonifacio riceve da ldo di Sa vignone merci a vendita per L. 11. 21/2 gen. pagabili entro 15 giorni dall approdo della nave « Gilietta » in Bonifacio. 4. in- 7 marzo. — Guglielmo Tartaro riceve da Guglielmo Bonizo L. 65. 2 gen vestite in provisine, da riscuotere da Simone Gualterio nelle fiere di maggio di Pro vins (provenienti da 118 bisanti saraceni di Siria che il Bonizo doveva ricevere in zucchero a lui venduto); oltre a un’altra commenda a lui fatta anteriormente. 5. 7 marzo. — Guglielmo Monleone calzolaio abitante in Fossatello riceve da Vas sallo Bovero di Cerreto, podestà di Sestri Levante, la quitanza d’ogni suo ci edito verso di lui e la fu Giovanna sua moglie. (1) I margini dei primi folii sono guasti da lacerazioni o umidità. 229 — (>. 8 marzo. — Oliviero Tasso fa (procura) a Nicoloso Calvo banchiere per riscuotere dal Comune di Genova, o chi per esso il suo salario di castellano del castello inferiore di Savona, e quanto gli spetta per il mutuo di 40 soldi % contratto al tempo della podesteria di Menabono di Torricella, e di altri 40 soldi % tempo della podesteria di Guiscardo di Pietrasanta, e altri mutui. 7. 8 marzo. — Iliano drappiere fa procura ad Alessandro figlio di Grimaldo d’A-renzano per riscuotere da Guglielmo Sardena di Nizza L. 87 l/z gen. a lui dovute per prezzo di panni, altre L. 6 per 1 pezza di mezza lana e 10 soldi per un mutuo fatto a Guglielmo. 8. 8 marzo. — Guglielmino e Giacomo Di Negro fu Oberto affittano per un anno a Pietro Felice «de Bruxia » una bottega con un solaio per 6 lire gen. pagabili a quadrimestri. 9. 8 marzo. — Filippo Venerando di Noli fa procura a Musso Calderario di Piacenza socio di Feliciano Feliciani, per riscuotere a nome suo e di Armano Pinello e soci L. 20.0 prov. a lui dovute a cambio alle prossime fiere di Bar: e per riscuotere da Guido Barba e soci di Lucca L. 116 prov. a lu: dovute a cambio nelle medesime fiere. 10. 8 marzo. Romanello di Levanto sarto abitante in S. Ambrogio riceve a mutuo grazioso da Simonetto di Levanto sarto abitante iu Prione soldi 38 gen. restituibili entro Pentecoste. IL 8 marzo. — ... (lacerazione) e Enrico Joferro di Varazze ebbero... a vendita da Ugo di Sestri Ponente merci per L. 22 gen. pagabili entro 15 giorni dall’approdo a Genova del bucio « Paradiso » degli Ascheri e soci di ritorno dal viaggio da Hyères per il sale. 12. 8 marzo. — Giovanni Bellemani fa procura a Giacomo Pipino d’Alessandria per esigere da frate Belemgo di Alessandria nipote di Uberto scriba L. 9 gen. che questi gli deve per prezzo di cordovani. — 230 — 13. ò' marzo. — Marchisio Caxicio fu Pasquale, erede di quest’ultimo, da una parte, Giacomo di Ottone Usodimare dall’altra eleggono arbitri per le loro controversie Ansaldo Falamonica e Niccoloso Lucchese. 14. 8 marzo. — Ruffino Bargone borghese di Bonifacio riceve a vendita da ldo di Savignone merci per L. 12. 4. 9. gen. pagabili entro 15 giorni dall’approdo della nave « Gilieta » in Bonifacio. 15. 8 marzo. — Diotisalvi fu Oliviero Maestro riceve a vendita da Giacomo Musso di Langasco denari gen. per 33 bisanzi saraceni di Siria pagabili entro un mese dall’approdo della nave « San Giuliano » nel porto di Acri. 16. 8 marzo. — Bartolomeo Rodolfi d’Alessandria a nome proprio e del socio Lanfranco Paviglione (compra) da Alberto Sperone di Piacenza e soci panni di Châlons per L. . . . (lacerazione) e soldi 4 gen. pagabili entro due mesi. Fidejussore Giacomo d’Alessandria drappiere. 17. 8 marzo. — Ugo delle Piane di Polcevera dichiara a Corrado Calvo banchiere di aver depositato nel banco di Niccolò Calvo suo fratello L. 8 gen. da pagare a Guglielmo Brasile entro otto giorni da Natale. 18. 8 marzo. — Guglielmo Vesulla maestro dichiara di dovere a Guidetto di Valenza soldi 53 gen. per 6 bisanzi sarac, di Siria, dei quali fu fidejussore per Giovanni Basso, e che pagherà entro Natale. 19. 8 marzo. — Enrico Brunengo affitta a Pietro di San Giorgio l’appartamento superiore della sua parte di una casa che possiede « prò indiviso » con lui, per un anno da S. Michele e oltre quel termine fino a Natale per 3 lire all’anno. 231 — 20. .9 marzo. — Giovanni Alpani tutore dei figli del fu suo fratello Simone a nome dei pupilli riceve da Giacomo Spinardo L. 56 gen. resto del debito contratto da Marco e Buongiovanni Spinardi verso il fu Simone per L. 100 gen. di cuoio di bove di proprietà comune dei predetti Giovanni e Simone e dei figli e accomandatari di quest’ultimo. 21. 9 marzo. — Giacomo Spinardo di Savona dichiara d’aver pagato a Giovanni Alpani a nome dei figli del fu Simone Alpani L. 56 per il debito etc., e s’impegna ad ottenere il consenso dei fratelli Buongiovanni e Marco assenti. 22. 9 marzo. — Nicoloso Calvo banchiere riceve in società da Oliviero Tasso L. 50 gen. da mettere a frutto nel proprio banco amministrandole a profitto della società, restituibili entro un anno. (Atto rogato sotto il portico della casa di Nicoloso). 23. 10 marzo. — Lanfranco Cicala fa procura a Andreolo di San Genesio per esigere da Giacomo Lercari L. 1400 tornesi che questi ricevette per lui dai messi del Re di Francia, (da mandargli a Genova investite come sembri meglio a Andreolo) (1). 24. 11 marzo. — Bartolomeo Rodolfi d'Alessandria a nome proprio e del socio Lanfranco Paviglione compra da Ugo Burrino di Piacenza panni di Chalons e di Saint-Quentin per L. 66. 16 gen. pagabili entro due mesi. Fidejussore Giacomo d’Ales-sandria drappiere. 25. 11 marzo. — Armano « bambaxarius » riceve a commenda da Giacomo de Porta L. 25 gen. da adoperarsi in terra in compre e vendite nell’arte sua, restituibili entro un anno (tenendo per sè la metà degli utili). 26. 11 marzo. — Giovanni Ottone Usodimare per due parti, Vincenzo Usodimare per la terza affittano ad Ambrogio Grillo a nome del socio Oberto Usodimare un appartamento nella loro casa nella quale abita Guglielmo di Friburgo, per due anni a decorrere dalle calende d’aprile, per L. 8 all’anno. (11 Pubbl. in Belgrano, Documenti. . . S. Luigi 75-76. p — 232 — 27. Il marzo. — Simone Gualterio fa procura a Ugone di Baxiano per îi.scuotere da Ranuccio Ayguino(ne) di Piacenza L. 316 soldi 16 den . ... (laceraz.) gen., prezzo di lana lavata a lui venduta. 28. 11 marzo. — Guglielmo Cavalli di Piacenza compra da Ugone Burrmo di Piacenza e soci una pezza di panno verde di Châlons per L. 13. 8. 4 pagabili entio due mesi. 29. 11 marzo. — Rolando Cappellaio di Monleone riceve da Giacomo Musso di Langasco L. 10 gen. a vendita per 30 bisanzi sarac, di Siria pagabili entro 15 giorni dall’approdo dalla nave « San Giuliano » di Oberto Camilla nel porto d Acri. 30. 11 marzo. — Giovanni Pagano di Piacenza e soci ricevono da Giacomo Burge to e Pietro Englesco di Piacenza denari gen. a cambio per L. 50 provisine pa gabili alle fiere di Bar. 31. 11 marzo. — Guglielmo formaggiaio abitante in Sozziglia, in casa di Pietro Spegio, compra da Gianuino di San Donato formaggio per L. 6. 16 gen. pagabili entro 15 giorni. 32. 11 marzo. — Pellegrino Prina (o Perna) di Moza riceve da Precaccio di Fia-scara fu Capello di Marco merce per L. 5 gen. restituibili entro le calende di maggio. Fidejussore Aliprando Piceno di Moza. 33. 11 marzo. — Precaccio di Frascara fu Capello di Marco compra da Gianuino di San Donato formaggio per L. 3. 14 gen. pagabili entro le calende di maggio. (Oltre alle consuete garanzie obbliga anche i suoi diritti verso Pellegrino Prina e Aliprando Piceno di Moza). — 233 — 34. 11 mirzo. — Giglio fu Guglielmo Danielde di Pegli e Benvenuta coniugi vendono a Guglielmo Signato di Pegli una casa ossia torre con un forno, e la terra annessa, per L. 92 */2 gen- delle quali rilasciano quitanza. 35. 11 marzo. — Giovanni Rubeo mereiaio compra da Pietrino di Narbona a nome di maître Alois Berton (Alvico Bertone) merci per L. 16 gen. pagabili a semplice richiesta insieme alle L. 3 ritenute da Pietro di Narbona per proprio fitto o mercede ossia feudo. 36. 11 marzo. — Federico marchese di Gavi riceve a mutuo grazioso da Giovanni marchese di Gavi L. 32 gen. restituibili entro le calende d’aprile. (1) 37. 11 marzo. — Opicino di Palmata e Ansaldo Vernazzano di Voltri comprano da Armano Ferro di Sozziglia una mula rossa per L. 10 gen. pagabili entro le calende d’agosto. 38. 11 marzo. — Rofredo Bramanzoni di Siena a nome proprio e dei soci riceve da Alberto Piceno di Piacenza denaro gen. a cambio per L. 200 prov. pagabili alle fiere di Bar insieme ad altre L. 300 prov. a lui egualmente dovute. 39. 11 marzo. — Ansaldo Lomellino fu Giacomo riceve da Giglio di Pegli fu Guglielmo Danielde di Pegli L. 100 gen., resto del prezzo di L. 200 per la metà del mulino, del torchio e delle chiuse di Regaiano a lui venduti. (Le rimanenti L. 100 — 92 i/„ delle quali investite in una casa con terreno — gli furono già date da Guglielmo Signato di Pegli per incarico di Giglio). 40. 11 marzo. — Guglielmo Oavagno scriba del Comune di Genova vende a Guglielmo Carcagente un locum e un quarto della nave « Racoza », che è di quaranta luoghi, per L, 25 gen. e ne rilascia quitanza. (1) Pubblicato in Ferretto, Docum----Novi, 231 (con regesto scorretto). — 234 — 4L 11 marzo. — Guglielmo Siguato di Pegli per incarico dei coniugi Giglio fu Guglielmo Danielde e Benvenuta paga a Ansaldo Lomellino L. 92 Vs Sen‘ °^e stesso doveva loro, per prezzo della casa, terra e forno a lui venduto; e che essi dolevano al Lomellino, per prezzo della metà del mulino, terra, torchio e chiuse di Regalano. 42. 11 marzo. — (Simone) fu Martino D’Oria fa procura a Musso Calderario, Guglielmo Quattrocchi e Silvestro P . . . . lamberto per esigere da frate Guy de Basenville precettore del Tempio L. 125 torn. mandate da fra Raynault de Viquier (Raynaldus de vicherio) Maestro del Tempio (per lettere sigillate del 1° maggio 1252) (1). 43. 11 marzo. — Albertino de Stubeneris tornitore fa remissione a Pietro Elxe abitante in Rapallo dei suoi diritti per la commenda di L. 10 gen. latta a lui e a Guglielmo Avenant (Avenente) di Marsiglia (riservandosi invecei diritti verso l’Avenant). 44. 11 marzo. — Gandolfino Monteggio di Rapallo e Rolando Clavonerio di Nuxigia dichiarano dovere a Alberto de Stubeneris L. 3 gen. per la quitanza da lui latta a Pietro Elxe, che pagheranno 30 soldi entro Natale, 30 soldi entro la Pasqua seguente. 45. 12 marzo. — Simone Mozo d’Alessandria compra da Ugo Burrino di Piacenza e soci panni di Chalons e di San Quintino per L. 65. 10 gen. Fidejussore Giacomo d’Alessandria drappiere. 46. 12 marzo. — Lanfranco Cigala fa procura a Andreolo di San Genesio per esi gere da Giacomo Lercaro L. 1400 torn. che questi ricevette per lui dai messi del di Francia (da mandare a Genova investite come meglio sembri a Andreolo; (2). 47. 12 marzo. — Giovanni di Mongiardino affitta per 5 anni a Giacomo di Naxo taverniere una casa in Genova, in campetto dei fabbri, per L. 10 gen. d’affitto annuo. (1) Pubblicato in Belorano, Docum . .. San Luigi, 75. (2) Pubblicato in Belorano, Docum . . . San Luigi, 76 (simile alla procura precedente). — 235 - 48. 12 marzo. — Giacomo di Naxo taverniere promette a Giovanni di Mongiardino, oltre quanto è stipulato nel precedente contratto, che venderà quanto meglio potrà 20 mezze all’anno del vino Sampierdarenese di lui. 41). 12 marzo. — Giulia vedova di Giovanni Musso di Sozziglia vende a Oliviero Costa di Rivarolo un mulo bruno per L. 16 gen. delle quali rilascia quitanza. 50. 12 marzo. — Oliviero Costa dichiara dovere a Giulia vedova di Giovanni Musso di Sozziglia, nonostante la quitanza a lui rilasciata, L. 8 gen. resto del prezzo del mulo a lui venduto, che pagherà in due rate eguali entro S. Giovanni di giugno e entro San Michele. 51. 12 marzo. — Giovanni marchese di Gavi compra da Nicoloso Erode De Mari un cavallo baio balzano nel muso e nei quattro piedi per L. 70 gen. pagabili entro Natale. (1). 52. 13 marzo. — Giacomo Rubeo d’Asti riceve a commenda da Pasquale Cazulo L. 50 gen. da portare in commercio in Francia e Provenza. 53. 13 marzo* Rofredo Rramanzoni di Siena a nome proprio e dei soci riceve da Pasquale Vinderti denaro gen. a cambio per L. 700 prov., pagabili alle fiere di Bar insieme ad altre L. 300 prov. a lui egualmente dovute. 54. 13 marzo. — Ugo Pisano vende a Giovanni di Sestri Levante e a Giovanni Zoc-colaro di Sozziglia due « partes » di una barca di 10 remi per L. 10 gen. delle quali rilascia quitanza. (1) Pubblicato in Ferretto, Documenti. .. Novi, 233. 13 marzo. — Baongiovauni Tribogna riceve a mutuo grazioso da Giacomo Pi nello L. 56 gen. restituibili entro le calende di giugno. 56. 13 marzo. — Pasquale Vinderti dichiara a Guido fu Federico Ganigi (o Gamgi) di Lucca che delle L. 700 prov. che Rofredo Bramanzoni gli promise pagare a cambio alle fiere di Bar, L. 600 prov. erano sue; gli cede pertanto i diritti inerenti. 57. 13 marzo. — Giovanni Pagano di Piacenza a nome proprio e dei soci riceve da Ruffino Barenterio di Piacenza e soci denaro gen. a cambio per L. 200 prov. pag alle fiere di Bar. 58. 14 marzo. — Ido di Savignone fa procura a Nicoloso di Savignone suo fratell per riscuotere dal comune di Genova il suo salario come castellano di Bonifacio, e qua lunque altro suo credito (1). 59. 14 marzo. — Giacomo Rubeo di Asti riceve in accomandita da Adelasia di Guido Corso di Sozziglia L. 30 gen., provenienti da una commenda a lui fatta ^ Corso, da portare in commercio in Francia e Provenza, con facoltà di mandarle riviera di Siria. 60. 14 marzo. — Guglielmo Tigna pellicciaio compra da Gerardo Amico di Piacenz e da Giovanni Pagano di Piacenza vai per L. 87. 6 gen. pagabili entro San Giovar di giugno. 6L 14 marzo. — Obertino figlio emancipato di Pietro D’Oria riceve a comtnen da Andreolo di San Genesio L. 70 gen. investite nel capitale comune, da poi tare commercio a Tunisi. (1) Pubblicato in Ferretto, Documenti... Novi, 233. — 237 62. 14 marzo. — Tommaso e Simone Lomellino vengono eletti arbitri pur le controversie che sorgessero tra Guglielmo (Zaca) e il figlio Idetto da una parte, e Marchisio Scorticavacca a nome proprio e dei figli dall’altra. 63. 14 marzo. — Bonauaro Peluco borghese di Bonifacio fa procura generale a Si-mona sua moglie. 64. 14 marzo. — Guglielmo Cavalli di Piacenza compra da Oberto de Cariis di Piacenza e soci panni per L. 9. 12. 3 gen. pagabili entro Pasqua. 65. 14 marzo. — Giacomo Rubeo d’Asti riceve a commenda da Simone Lomellino L. 180. 572 genv investite nel capitale comune, provenienti da altra commenda, da portare in commercio in Francia e Provenza, con facoltà di mandarli alla riviera di Siria (1). 66. 14 marzo. — Giacomo Rubeo d’Asti riceve a commenda da Tommaso Lomellino L. 358. 16 gen. investite nel capitale comune, provenienti da altra commenda, da portare in commercio in Francia e Provenza, con facoltà di mandarle alla riviera di Siria. 67. 14 marzo. — Panzanino Panzani riceve da Ruffino Lavandaro di Piacenza e soci denari gen. a cambio per L. 87. 17. 8 prov. restituibili alle fiere di Bar. 68. 14 marzo. — Giovanni Gallo Sauro riceve a commenda da Guglielmo Valle speziale L. 5 gen., investite a parte in libre 100 di zenzero e libre 25 di spezie, da portare in commercio in Sardegna e a Bonifacio. (1) Pubblicato in Rosso, Documenti... Asti, 167-118. 238 — 69. 14 marzo. — Simone Gualtiero fa procura a Albertallo Mazagie di Bergamo per ritirare 36 some di lana lavata, ossia 72 balle, depositate in casa di Lanfranco Pulvino di Tortona, per il prezzo delle quali ricevette dal Mazagie L. 1005 gen. (1). 70. 14 marzo. — Oberto de Cariis di Piacenza a nome proprio e dei soci riceve da Andrea de Orto denari gen. a cambio per L. 200 prov. pagabili a Obertino Spinola o a Giacomo Picardo delegati di Andrea, alle fiere di Bar. 71. 14 marzo. — Giglio fu Guglielmo Danielde di Pegli riceve a mutuo grazioso da Guglielmo Signato di Pegli L. 7*/2 gen. restituibili entro Pasqua. Fidejussore Guglielmo fu Giacomo delle Piazze di Pegli. 72. 15 marzo. — Andreolo Pallavicino dichiara aver ricevuto presso Ceuta da Lanfranco Belenzano a nome e coi denari di Simone Grillo 100 bisanzi milliaresi che il Pallavicino aveva dati a Ghisolfino Cibo per Amico Suppa per un’obbligazione fatta per mandato di Ghisolfino (come da atto del 1250). 73. 15 marzo. — Oberto Avvocato senior promette a Simone Grillo, di risarcirlo da qualunque obbligo contratto per lui in qualunque occasione. 74. 15 marzo. — Rolando di Cogorno cimatore compra da Rubaldo Serrino drappiere merce per L. 23 gen. pagabili entro le calende d’agosto. 75. 16 marzo. — Giovanni di Pegli panettiere di Prè cede a Rolando di Sozziglia formaggiaio le sue ragioni contro il fu Giovanni Musso di Sozziglia e i suoi eredi, per L. 40 gen. delle doti di Benedettina figlia del Musso e moglie di Giovanni, che dovevano pagare in solido Rolando di Sozziglia e il Musso; e per L. 5. 6 gen. che il Musso dichiarò dovergli nel suo testamento. (1) Pubblicato in Ferretto, DocumentiNovi, 233-234, — 239 — 7(î. 16 marzo. — Ranieri Bonaccorso e Caccia fu Ranieri di Riccio di Firenze dichiarano a Borgo fu Pietro a nome suo e dello zio Ranighio fu Borgognone, che Albizo Rove-nesso di Firenze deve al fu Pietro e a Ranighio L. 34. 10 di pisanini minuti delle quali era stato fidejussore Giuseppe fu Dato di Firenze; e se ne fanno fidejussori. 77. 16 marzo. — Giuseppe fu Dato di Firenze promette a Ranieri Bonaccorso e a Caccia fu Ranieri di Riccio di Firenze, fidejussori verso Borgo fu Pietro e lo zio Ranighio per L. 34. i/2 pisane pagabili entro le calende di luglio, che se Albizzo Rovenesso di Firenze non pagasse lo proscioglieranno dall’obbligazione. 78. 16 marzo. — Nicoloso di San Siro speziale compra da Simone Lomellino garofano per L. 48. 15. 9 pagabili entro le calende di settembre. 79. 17 marzo. — Simone Gualterio compra da Bernardo Zamorerio di Parma 30 pezze di « noranteris » per L. 556. 5 gen. pagabili entro la metà di luglio. 80. 17 marzo. — Giovanni Ascherio a nome proprio e dei soci riceve da Rainaldo Valletaro di Piacenza e soci denaro gen. a cambio per L. 100 prov. pagabili a Guglielmo Gragnano di Piacenza alle fiere di Bar. 81. 17 marzo. Simone Gualterio fa procura a Musso Calderaro e a Guglielmo Quattrocchi di Piacenza per ricevere da Pierre Blondel (Petro Brondello) di Lagny 12 balle di zenzero depositato presso di lui da Lanfranco Gualterio suo parente. 82. 18 marzo. Lanfranco di San Giorgio banchiere a nome proprio e dei soci riceve da Oberto Stancone L. 274. 3. 4 gen. a cambio per L. 200 prov. pagabili alle fiere di maggio di Provins. 83. 18 marzo. Laufianco Chierico vende a Enrico Cubolio e Giovanni Cubolio, padre e figlio, di Langasco, un appezzamento di terreno a vigne e bosco, con una casa, posto nella pieve di Langasco località Insul, (che fu suo padre Oberto Chierico comprò dal fu Lanfranco banchiere) per L. 18 gen. delle quali rilascia quitanza. 240 - 84. 18 marzo. — Enrico Cubolio e Giovanni Cubolio di Langasco dichiarano dovere a Lanfranco Chierico L. 6 gen., resto del prezzo della terra con casa a loro venduta, non ostante la quitanza a loro fatta. 85. 18 marzo. — Enrico Cubolio e Giovanni Cubolio di Langasco promettono di dare a Bello fu Giacomo Guercio d’Insul per dote di Sibillina figlia di Giovanni Cubolio e moglie di Bello la terra e la casa d’Insul comprata da Lanfranco Chierico. 86. 18 marzo. — Rofredo Bramanzoni di Siena a nome proprio e dei soci riceve da Giuliano Guadagnaben e soci L. 8221/2 gen. a cambio per L. 600 provisine forti pagabili a lui o a Giovanni Farogno o a Guglielmino Guadagnaben figlio di Giuliano alle fiere di maggio di Provins. 87. 18 marzo. — Pietro Peterio d’Alessandria compra da Zaccaria drappiere panni franceschi per L. 39. 12. 9 gen. pagabili entro due mesi. Fidejussore Giacomo d Alessandria drappiere. 88. 18 marzo. — Pietro Peterio d’Alessandria compra da Pietro Bono drappiere una pezza di panno verde di Sens ( « Sasna » ) per L. 15. 17 gen. pagabili entro due mesi. Fidejussore Giacomo d’Alessandria drappiere. 89. 19 marzo. — Bernardo Scotto di Piacenza a nome proprio e dei soci riceve da Oberto Stancone denari gen. (provenienti da cera che lo Scotto ebbe da Enrico Nepitella) a cambio per L. 200 prov. pagabili alle fiere di Bar. 90. 19 marzo. — Andreolo Usodimare riceve a commenda da Giacomo Gattilusio L. 101. 0. 6 gen., investite nel capitale comune, provenienti da altra commenda, da portare in commercio a Tunisi. — 241 — 91. 19 marzo. — Giacomo Gelasco di Voltri fa remissione a Guglielmo Caricati di Porto Maurizio di quanto gli fu dato a commenda presso Savona da portare a nolo a Genova: riservandosi il regresso per il caso che lui o altri ricuperino in tutto o in parte un barile contenente una guarnizione di ferro, che il Caricati dichiara aver perduto. 92. 19 marzo. — Giacomo ferraio riceve a commenda dal fratello Gregorio clavo-nerio soldi 50 gen. investiti a parte in una cassa nuova, da portare in commercio in Oltremare. 93. 19 marzo. — Simone Gualterio riceve da Guglielmo Bonizo denari gen. a cambio per L. 319 prov. pagabili alle fiere di maggio di Provins; se non le pagherà a quelle fiere, darà a cambio a Genova entro un mese dopo le fiere 20 denari gen. per ogni 12 denari prov. 94. 19 marzo. — Diotisalvi fu Oliviero Maestro riceve da Giacomo Musso di Langa-sco L. 15 gen. a vendita per 45 bisanzi saraceni di Siria pagabili entro un mese dall’arrivo della nave « San Giuliano » di Oberto Camilla e soci ad Acri. 95. 19 marzo. — Giovannino figlio di Simone di Portavacca riceve da Giacomo Musso di Langasco L. 6 gen. a vendita per 18 bisanzi saraceni di Siria pagabili entro un mese dall’approdo della nave « San Giuliano » di Oberto Camilla e soci ad Acri. 96. 19 marzo. — Giovanni Ascherio cittadino Genovese scrive ai pedaggeri di Tortona annunciando loro le spedizioni di some di lana, cotone, zenzero e altre merci che fece e farà a Tortona in casa di Lanfranco Pulvino; etc. ( Vedi nel testo la nota 118). 97. 19 marzo. — Ugo tintore di Prè compra da Manuele Amore allume appartenente a Obertino Pietro D’Oria, per L. 5. 17. 7 pagabili entro maggio. 98. ' 19 marzo. — Pagano tintore di Fossatello compra da Manuele Amore allume appartenente a Obertino Pietro D’Oria per L. 9. l/.2 gen. pagabili entro maggio. 16 - 242 — 99. 19 marzo. — Guglielmo Dedato tintore compra da Manuele Amore allume appartenente a Obertino Pietro D’Oria per L. 8. 9. 7 gen. pagabili entro maggio. 100. 19 marzo. - Rubaldo tintore di Prè compra da Manuele Amore allume appartenente a Obertino Pietro D’Oria per L. 8. 5 gen. pagabili entro maggio. 101. 19 marzo. — Martino Gambone tintore compra da Manuele Amore allume appartenente a Obertino Pietro D’Oria per L. 8. 18 gen. pagabili entro maggio. 102. 19 marzo. — Enrichetto Sapana riceve a commenda da Raimondo fabbro bat-tifoglio L. 20 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio a Messina. 103. 20 marzo. — Simone fu Ottone ferraio di Voltaggio riceve da Cantatore Montaldo intero pagamento d’ogni suo debito. 104. 20 marzo. - Simone Gualterio e Nicoloso Di Negro fu Giovanni ricevono da Lanfranco di Parma a nome di Ottobono Picamiglio suo cognato denari gen. a cambio per L. 1000 prov. pagabili alle fiere di maggio di Provins. 105. 20 marzo. — Oberto Buonvicino Maniavacca di Piacenza figlio di Buonvicmo Buonvicini di Piacenza dona a Delomede Maniavacca L. 100 gen. in compenso dei molti benefici e servigi da lui ricevuti (Seguono le consuete garanzie e penalità). 106. 20 marzo. — Pons Bosse (Poncius Bossus) di Tolone dichiara dovere a Pellegrino Dondo di Varazze L. 10 gen., resto del debito di L. 80 gen. contratto da suo padre, il fu Aicard Bosse (come da atto di Tommaso di Tolone), che pagherà entro la metà di maggio o per le quali fornirà sale (trasportato a sue spese nel porto di Genova) in ragione di 18 denari gen. per mina, entro aprile. Fidejussori Giacomo Bianco di Varazze e Baruch giudeo (Parucus Judeus) di Tolone. (1). (1) In realtà l’ebreo Baruch era di Hyères, come si vede da F 146, dove è ripetuto il suo nome così: « Parucus Judens de Tellone (cancellato) Aeris », — 243 — 107. 20 marzo. — Baldovino Barca di Cogoleto cede a Ilione drappiere a nome di Guglielmo Caito fu Giovanni Caraxoni di Cogoleto le proprie ragioni contro Guglielmo Caito e i suoi beni per 26 yoldi gen. a lui dovuti. 108. 20 marzo. — Giacomo Bosso Sauro cede a Giovanni Negrone di S. Stefano le azioni e le ragioni contro Natalino di lui figlio al quale ha dato a commenda L. 15 gen. per l’Oltremare, e che fu condannato da un lodo a rendergli le L. 15 accomandate e altre L. 15 utili della commenda. 109. 20 marzo. — Giovanni Negrone di Santo Stefano riceve da Gianuino Predone fu Oberto denaro gen. a vendita per 6 once di tarini al peso di Messina pagabili entro un mese dall’approdo nel porto di Messina della nave « Olivetta » di Oliviero Cadore e soci. HO. 20 marzo. — Rofredo Bramanzoni di Siena a nome proprio e dei soci riceve da Guglielmo Guigues (Guigi) di Nizza e da Giofredo Folco di Cobrio L. 135. 8. 11 gen. a cambio per L. 282. 3. 7 bologniue minute pagabili a loro o a Bertramino Sardo ossia Bertramo Stella o a Giacomo Graulerii, in Bologna entro 20 giorni. 111. 21 marzo. — Oberto Camilla fa procura al cognato Giovanni Bisaccia per vendere, alienare, affittare e disdir l’affitto di una sua casa in Voltaggio comprata da Gregoriano Rubeo calzolaio. 112. 21 marzo. — Mariano d’Arenzano e Enrico Pisano d’Arenzano ricevono a commenda da Guglielmo Valle speziale L. 3 gen. investite a parte in 20 libbre di candele, 6 libbre di spezie, 37 libbre di zenzero, da portare iu commercio a Marsiglia. 113. 21 marzo. — Enrico D’Oria fu Pietro riceve da Nicoloso Tartaro L. 1416. 13. 4 gen. a cambio per L 1000 tornesi pagabili alle fiere di maggio di Provins. 244 — 114. 21 marzo. — Rofredo Bramaozoni di Siena a nome proprio e dei soci riceve da Tommaso Bonaventura e da Guglielmo de Campis denari gen. a cambio per L. 300 prov. pagabili a loro o a Diotisalvi Buonaventura alle iìere di maggio di Pi ovins. 115. 21 marzo. — Buonristoro Forceti di Firenze fa procura a Ruggero Uguccioni i Ugueçoni) di Firenze per riscuotere qualunque suo credito proveniente da commende, mutui o altre obbligazioni. 116. 21 marzo. — Simonetto D’Oria fu Martino riceve da Giovanni Pagano di Piacenza e soci L. 175. 10. 9 gen. a cambio per L. 125 tornesi pagabili in Francia entro l'8 maggio. OO 117. 21 marzo. — Alda vedova di Giglio Reverdito di Pegli e il genero Oberto fu Ansaldo Benpagato per una quarta parte, e Rolando fu Guglielmo Armano di Pegli per la metà vendono a Simone Mignardo le parti suddette d’un appezzamento di castagneto in Pegli, località Pastinello. per soldi 45 gen., dei quali rilasciano quitanza. 118. 21 marzo. — Mariano d’Arenzano e Enrico Pisano d’Arenzano ricevono a commenda da Ilione drappiere L. 29 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio a Montpellier. 119. 21 marzo. — Marchisio Porco di Pegli compra da Dondino speziale merce per L. 3. 15 gen. pagabili entro venti giorni. 120. 21 marzo. — Simone Grillo dichiara a Nicoloso Grillo figlio di Amico Grillo a nome del padre che questi possiede nella sua nave « San Brancaccio » che è in custodia di Giovanni Panzano la 38a parte proveniente da una commenda di L. 140 gen.; pertanto cede a Nicoloso quanto gli spetta per la parte suddetta. Nicoloso concede a Simone facoltà di accomandare e spedire la nave. 245 — 121. 21 marzo. — Nicoloso a nome di Amico Grillo suo padre riceve da Simone Grillo L. 113. 17. 1U gen. resto di una commenda di L. 140 che Amico aveva fatta a Simone (oltre alla 38tt parte della nave • San Brancaccio » ). 122. 21 marzo. — Andreolo Di Negro figlio di Giacomo riceve a commenda da Giovanna moglie di Enrico di Negro fu Ansaldo L. 18 */ì fìen- delle sue estradoti. investite nel capitale comune, da portare in commercio a Tunisi. 123. 21 marzo. — Guido Spexa di Bobbio riceve a mutuo grazioso da Giovanni Pacano di Piacenza L. 6 gen. restituibili entro un mese. b ° 124. 21 marzo. — Guglielmo fratello di Castellino Remolani entra in servizio per due anni da Opizone Palmata di Voltri per soldi 50 gen. all’anno, vitto e vestito. 125. 21 marzo. — Vivaldo Robino di Savona borghese di Messina, partecipe della nave « Paradiso di Messina » a nome proprio e dei soci promette a Benvenuto speziale fratello di Arduino speziale di portarlo a Tunisi sulla nave con 52 barili di miele, « et pondera tresdecim de teffaniis et vernigatis et corbam unam de vetris et pondus unum de agalica et barilia duo centracata piena et ballas decem tellarum et capsiam et asnesse et compagnam tuam » e una botte con 6 mezzaroli di vino, partendo da Genova entro otto giorni: Benvenuto speziale pagherà per nolo L. 10. 5 gen. 126. 22 marzo. — Ansaldo D’Oria fa procura a Percivalle D’Oria fu Guglielmo per riscuotere da Baldo Pevere d’Alessandria il capitale e gli interessi della commenda di L. 38 l/2 oen- a fatta per la Sardegna. 127. 22 mnrzo. — Giovanni Ascherio riceve da Nicoloso Di Negro figlio di Giovanni a nome e dai denari di Simone Gualterio depositati nel banco di Niccolò Tor-torino e soci, denari gen. a cambio per L. 1000 prov. pagabili alle fiere di maggio di Provins. — 246 — 128. 22 marzo. — Tommaso Bonaventura riceve a commenda da Giacomo bardena a nome di Lanfranco Usodimare L. 25 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio in Oltremare. 129. 22 marzo. — Baldovino Diotisalvi riceve a commenda da Lanfranco Bottai io a nome di Sibilla moglie di Giovanni Baiolo L. 3 4/2 gen. investite nel capitale comu ne, da portare in commercio a Tunisi. 130. 22 marzo. — Guglielmo Vivaldi e Martino Usodimare fanno procura a Astesano di San Matteo per riscuotere dal comune o dai mercanti d'Alba quanto evono per il patto di concordia concluso dagli ambasciatori per un lodo fatto a Guglie mo contro gli uomini e il comune d’Alba (1). 131. v» di M^S" 22 marzo. — Bonsignore Silva di Noli vende a Niccolò Merula borghese T C^lì 0*611 • sina un quartiere d’un bucio degli Ascheri chiamato « S. Antonio » Per ’ delle quali rilascia quitanza. 132. 22 marzo. — Giacomo D’Oria a nome proprio e del fratello Matteo j^ro tre anni (a decorrere dalle calende di maggio) a Giordano Frenerio una ca^r{ron(jj0 proprietà davanti al palazzo dell’Arcivescovo di Genova dove abitava il fu ^ Frenerio, per L. 4. 12 gen. annue pagabili a trimestri. 133. 22 marzo. — Giacomo di S. Giorgio riceve da Lanfranco di Sozzig *a gamento del capitale e utile della commenda di L. 22 l/3 a lui fatta. 134. i Buonuom° 22 marzo. — Giacomo di Promontorio riceve a mutuo grazioso da Sozziglia L. 25 gen. restituibili entro un anno. (1) Pubblicato in Ferretto, Documenti... Alba, 182. — 247 — 135. 22 marzo. — Guido Capelli di Tortona dichiara dovere a Peire Martino di Caiar-co L. 47 gen. resto del prezzo di 8 pezze di stanforti d’Arras a lui venduti (1). 136. 22 marzo — Guasco Sardena riceve da Enrico di Levanto soldi 40 gen. per transazione e accordo (e ne rilascia quitanza),. in luogo di una commenda di soldi 100 melgoresi fatta dal fu suo fratello Ansaldo Sardena e Benvenuto Toscico, per riscuoter la quale Guasco fece procuratore Enrico. 137. 22 marzo. — Enrico di Levanto promette a Guasco Sardena, che lo aveva fatto procuratore per riscuotere 100 soldi melgoresi da Benvenuto Toscico, di restituirgli quanto potesse poi riscuotere dal Toscico, defalcando 40 soldi genovesi a lui già dati. Guasco Sardena promette a Enrico di Levanto che se apprenderà che il Toscico abbia pagato la somma in tutto o in parte al fu Ansaldo Sardena, restituirà i 40 soldi gen. già riscossi. 138. 23 marzo. — Simone Gualterio fa procura generale a Giovanni Toscano (per riscuoter crediti, pagar debiti, ricever merci etc.) in Francia e nelle fiere di Francia e di Champagne (e per mandargli le merci in Genova per mare e per terra, prima e dopo di sè, a rischio e pericolo di lui Sindone). fc ' ' * * ‘ -• * .fi 139. 23 marzo. — Ansaldo Capellerio di Colonato riceve a commenda da Scoto Capellerio L. 5 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio in Oltremare. 140. • > ■ i.'-f rery , , • . 23 marzo. — Giovanni Gaffa drappiere compra da Pasquale Butino dal capitale comune del banco di lui, delle biffe vergate, e' dichiara dovere L. 183. 2 gen., resto del prezzo dei panni predetti, che pagherà entro la metà di maggio. 141. 23 marzo. — Guglielmo de Campo riceve a commenda da Nicoloso Serrino drappiere L. 35 gen. dai denari di Simone Mulferro investite nella società comune, da portare in commercio a Bugia. I ' v-.C (1) Pubblicato in Ferretto, Documenti... Novi, 235. F — 248 — 142. 23 marzo. — Ansaldo Riccio riceve a commenda da Viviano Zambrino (in margine: Zandrino) di Lucca L. 8. 5 gen. da portare in commercio a Tunisi (giatis e senza il quarto degli utili) 143. 24 marzo. — Nicoloso Serrino drappiere compra da Giacomino di Quarto al lume per L. 45 gen. pagabili entro maggio. 144. 24 marzo. — Buongiovanni Marracio pellicciaio di Porta S. Agnese i iceve a commenda da Pasquale Butino L. 20 gen. investite nel capitale comune, da poi in commercio a Bugia. 145. 24 marzo. — Pasquale Butino e Giacomo Salario fanno procura a Am e Vallicella per riscuotere da Jachino Calda il denaro che ha presso di sè a loro 146. 25 marzo. — Bartolomeo Rodolfi d’Alessandria a nome proprio ed Lanfranco Paviglione d’Alessandria compra da Guglielmo Bruno di Piacenza 3 pezze di panno di Douai per L. 54. 4 */2 pagabili entro la metà di magg jussore Giacomo d’Alessandria drappiere. 147. 25 marzo. — Baruch Giudeo d’Hyères riceve da Boninsegna drappiere ^uerci0 glia L. 10 gen. a vendita per olle di sale (buono e venale) da consegnare ^re di Varazze (trasportandolo a proprie spese da S. Nicola al capo d’Hyèies ^ denari giorni dall’arrivo di Guercio con una caracca sulla piazza d’Hyères, in iag>°IJ1 5 V2 gen. per olla. 148. oc . . „ I Lombardi -o marzo. — Simone cuoiaio fu Giovanni cuoiaio, Alessina tu * ^ Qor. panettiere e Guglielmo d’Alessandria coniugi, e la moglie di Simone, ricevon ^cCordo rado Calvo a nome del fratello Nicoloso Calvo L. 23 gen. per transazione e^a in luogo di L. 200 gen. che Nicoloso Calvo dichiara aver ricevuto da bardi panettiere in custodia. — 240 149. 25 marzo. — Oberto fu Simone Piculo del borgo di Voltri e Alessina di Messina figlia di Oberto Rubeo di Messina, coniugi, ricevono da Alessandria (sic) vedova del Piculo e madre di Oberto L. 25 gen. per transazione e accordo in lnogo dei diritti successorii del fu Simone. (Alessina si obbliga essendo maggiore di anni 17 col consenso del marito e col consiglio di Guglielmo Riccio di Voltri e di Guglielmo Mulo suoi parenti). 150. ’ . . . . ■ ‘ I ' ' » • i : ■ 26 marzo. — Alessandria vedova di Simone Piculo dichiara dovere al figlio Oberto Piculo L. 14 gen. resto della transazione di L. 25, nonostante la quitanza a lei rilasciata. 151. 26 marzo. — Alessandria vedova di Simone Piculo dichiara dovere per incarico di Oberto Piculo suo figlio L. 11 gen. a Baldo Celasco, per un debito di Oberto verso di lui, pagabili a semplice richiesta. 152. • L. • • ; • i '. • • ■ l \ 1 • i .1 • ' t 26 marzo. — Bonifacio Scotto d’Asti riceve da Pietro Garreto d’Asti denaro gen. a cambio per L. 139 astensi pagabili ad Asti entro Pasqua., (Oltre alle garanzie consuete dà in pegno 5 balle di panni lombardi e una di cordovani, comprati col denaro suddetto) (1). • » i ‘ •• 5 ■ ! ' • r .V 1,1 » 153. 26 marzo. — Rofredo Bramanzoni di Siena a nome proprio e dei soci riceve da Oberto Stancone denaro gen. a cambio per L. 500 prov. pagabili alle fiere di maggio di Provins. * 26 marzo. — Rofredo Bramanzoni di Siena a nome proprio e dei soci riceve da Enrichetto Passio denaro gen. a cambio per L. 200 prov. pagabili alle fiere di maggio di Provins. . •/•.!*:. - 1 * ' i * k 155. " ......... ■ :i . . ■ > ; . . • , • . », J . .. . 26 marzo. — Rinaldo Bustigassio (in margine: di Piacenza) fa procura al fratello Giovanni Rustigassio per amministrare tutti i suoi affari e beni (con facoltà d’agire, trattare e far transazioni in suo nome). (1) Pubblicato in Rosso, Documenti... Asti 168. Cfr. nel testo pag. 186 e nota 69. — 250 — 156. 26 marzo. — Giano Poenzola dichiara a Giacomo Manogrosse sarto di avei portato seco a commenda dai denari di lui L. 10 gen. nel viaggio per la Marittima, sul legno di Giacomo Corso di Varazze e soci che naufragò tra Terracina e Monte Circello; gli cede pertanto i suoi diritti e le sue azioni etc. ( Vedi nel testo la nota 139). 157. 26 marzo. — Niccolò Baiamonti borghese di Messina riceve da Daniele Greco di Savona denaro gen. a vendita per 10 once di tarini ogni marco gen. pagabili entio quindici giorni dall’approdo del suo bucio « San Giuliano » a Messina. 158. 26 marzo. — Giovannetta fu Pagano di Deiva riceve a mutuo grazioso da Verdina moglie di Guglielmo barbiere di Deiva fratello di lei L. 5 gen. restituì entro S. Michele. 159. 26 marzo. — Rofredo Bramanzoni di Siena a nome proprio e dei -s<^1 da Raniero Loboco di Dixmude (Dicamua) (1) L. 390 gen. a cambio per 1 L. 5 anticipate, e ne rilascia quitanza. 174. Ai Pegli riceve da 28 marzo. — Altilia di Pegli vedova di Giacomo Beogna 1 kanco, e ne ri' Nicoloso Calvo banchiere L. 4. 7 gen. che erano depositate nel suo lascia quitanza. 175. cede a Nicolo*30 28 marzo. — Rubeo de Volta fu Giovanni Rubeo de jjromesse Per Alberico le sue ragioni contro Idetto di Negro per L. 31 gen. a mezzo di Baldo Usodimare. 176. • e dei soci nolegg1 28 marzo. — Peire Thomas di Marsiglia a nome proprio gjena, una galea a Berizello Buonricupero e a Bonaventura Giglio e soci, mercanti i _ quali v0" armata, sua e dei soci, chiamata Bonaventura, con 122 uomini gatori e 10 < supersalientes » ) etc. ( Vedi nel testo la nota 137). 27 marzo. — Nicoloso Erode Finale vende a Simone Gualterio un -chiamato « San Francesco », per L. 253 — 177. 28 marzo. — Filippo Gattilusio riceve da Oberto di Struppa fratello di Maestro Ursone a uoine suo e di Giovanni Rato di Struppa il legname, i rottami e i catenacci che essi gli avevano promesso; Giovanni Rato rilascia quitanza del prezzo. 178. 29 marzo. — Ingo Rasasso di San Matteo fu Marino di San Matteo, e la moglie Giovanna a nome di Dorina loro figlia (della quale Ingo è legittimo amministratore) vendono a Fioria di Cornigliano fu Rubaldo Rogeto un appezzamento di terreno con muri e un edificio in contrada di S. Matteo, per L. 37 gen. delle quali rilasciano quitanza. 179. 29 marzo. — Fioria di Cornigliano fu Rubaldo Rogeto dichiara dovere a Ingone Rasasso di San Matteo L. 25 gen., resto del prezzo di un terreno con muri e edificio a lei venduto, 9 delle quali pagherà entro quindici giorni dopo Pasqua, 19 entro un anno dopo Pasqua; nonostante la quitanza a lei rilasciata. 180. 29 marzo. — Giacomo Sclavina di S. Ambrogio e Rossa coniugi ricevono a mutuo grazioso da Peruccio fu Diotisalvi di Firenze soldi 20 gen. restituibili entro maggio. 181. 29 marzo. — Pietro Polpo De Mari riceve da Guglielmo Ugone di Finale, gabelliere della gabella del Finale, a nome suo e di Giacomo Scriba di Finale gabelliere, intero pagamento della sua parte di gabella, ossia di 11 mila mine di sale vendute in quella gabella a partire da Ognissanti; e ne rilascia quitanza. 182. 29 marzo. — Pellegrino Pisano d’Arenzano ed Enrico Pisano, padre e figlio, ricevono a mutuo grazioso da Guidetto di Valenza L. 10 gen. restituibili a semplice richiesta. 183. 29 marzo. — Simone Mozo d’Alessandria compra da Ottaviano di Donato pezze di mezza lana per L. 49 1/2 gen. pagabili entro due mesi. - 254 184. 29 marzo. — Oberto Riccio de Campis e Simone Picamilio fu Giacomo vendono a Enrico D’Oria terre in villa Campi per L. 25 gen., e ne rilasciano quitanza. 185. 29 marzo. — Enrico D’Oria dichiara a Oberto Riccio de Campis che restituirà a Simone Picamilio le terre da lui comprate se entro sette anni le riscatterà al prezzo di L. 25 gen. 186. 29 marzo. — Enrico D’Oria affitta per sette anni a Oberto Riccio de Campis le terre comprate da Simone Picamilio per quaranta soldi gen. all’anno. 187. 29 marzo. — Federico Grillo vende a Giacomo Trasta un appezzamento di terreno a castagneto e a bosco situato nel territorio di Casuli, località Porcilasco, tenuto in affitto da Simone Croce, per L. 40 gen. delle quali rilascia quitanza. 188. 29 marzo. — Giovauni di Travi fu Giacomo dichiara a Giacomino di Travi fu Vassallo che gli restituirà la terra da lui comprata se entro Natale la riscatterà al prezzo di soldi 25 gen. 189. 29 marzo. — Rinaldo Bonifacio riceve da Ruggero Uguccioni di Firenze a nome suo e dei soci Buonristoro e Ranieri L. 11 gen. per affitto annuo di una casa da lui tenuta, già di Giacomo Brossone (contando nell’affitto L. 5 già avute da Oberto Bonifacio suo padre, e L. 5. 6 depositate da Buonristoro a nome di esso Rinaldo nel banco di Pasquale de Balneo). 190. 29 marzo. — Oberto Mazuco e Simone Mignardo scrivono a Giacomo Mazuco e a Ottolino Ferrario che hanno ricevuto da Filippo Calderario a nome di Ottolino L. 68. 15. 9 gen. per le L. 48. 12 melgoresi ricavate da 160 cuoi di bove che Ottolino ricevette da Giacomo Mazuco (defalcando scese, avarie e noleggio dei quali gli scriventi avevano promesso risarcire Filippo Calderario e Ottolino) onde vogliono sia lasciata quitanza a Ottolino Ferrario. — 255 — 191. 29 marzo. — Ugo Di Negro a nome di Pietro Polpo De Mari riceve da Oberto Riccio de Campis intero pagamento di L. 6 l/2 gen. dovute a Pietro di Lanfranco Rubeo. 192. 29 marzo. — Rolando di Saint Gilles di Marsiglia riceve da Filippino Maio-cello L. 90 gen. a lui dovute per nolo di 84 torselli di panni portati nella sua galea da Aigues-Mortes a Genova. 193. 29 marzo. — Giacomino di Gavi di Campo riceve a commenda da Andreolo Rexio dai danari di Simone Gualterio L. 763. 8. 8 gen. investite a parte in zafferano e seta da portare in commercio a Marsiglia. (1) 194. 30 marzo. — Giacomino di Gavi di Campo riceve a commenda da Simone Gualterio L. 770. 3 gen. investite a parte in zafferano e seta da portare in commercio in Francia (2). 195. 27 marzo. — Lanfranco tornitore (figlio emancipato di Giovanni Clapa tornitore) riceve a commenda da Giacomo Minuta dai denari suoi e del fratello Marino L. 10 gen. provenienti da altre commende verso il fu Marco Minuta di lui padre, da adoperare in Genova nella sua arte fino a tutto agosto. (Restituirà il capitale e metà degli utili). 196. 31 marzo. — Guglielmo di Camogli dichiara a Giovanni Pagano di Piacenza a nome del socio Musso Calderario, il quale ricevette da Giovannino Marino per conto di Guglielmo L. 600 torn. dal suo capitale da lui esportato, che vuole gli sieno rimandate le L. 600 torn. investite come meglio a lui sembri (a rischio di Guglielmo). 197. 31 marzo. — Delomede Sepu[l]chro di Rato figlio di Giacomo Sepu[l]chro. e Tommaso Bonaventura dichiarano a Nicoloso Tartaro che egli s’è obbligato per preghiere di Delomede per L. 7 gen. verso Rubaldo barbiere in occasione d’un giudizio fatto a sua figlia Benvenuta. (1) Atto annullato (come da annotaz. a margine) e sostituito dal seguente. (2) Pubblicato in Ferretto, Documenti... Novi. 237. — 256 - 198. 30 marzo. — Bartolomeo Rodolfi d’Alessandria a nome proprio e del socio Lanfranco Paviglione compra da Ricco Rubeo di Firenze 2 pezze di panno d Inghilterra per L. 37 gen. pagabili entro 2 mesi. Fidejussore Giacomo d’Alessandria drappiere. 199. 31 marzo. — Simone tintore di Montelongo compra da Obertino Pietro D Oria un otre d’allume per L. 5. 7 gen. pagabili entro maggio. 200. 31 marzo. — Castello Calvo vende a Hestore (sic) di Chiavari un cavallo rosso con una stella in fronte per L. 8. 5 gen. delle quali rilascia quitanza. 201. 31 marzo. — Simone Mozo e Bartolomeo Rodolfi d’Alessandria comprano da Gerardo d’Oltremare 4 pezze verdi di Chalons per L. 61. 4. 1/2 pagabili entro maggio. 202. 31 marzo. — Guglielmo Tentino, Tommaso di Neo, Alberto Garibaldo, Trincherio di Chiavari (ognuno per una parte) ricevono a mutuo grazioso da Giovanni Bisaccia L. 40 gen. depositate nel banco di Filippo Calderario, restituibili entro le calende d'agosto. 203. 31 marzo. — Pietro Peterio d'Alessandria compra da Ugo Burrino di Piacenza e soci 2 pezze di Valenciennes per L. 9 J/2 gen. pagabili entro due mesi. 204. 31 marzo. — Giacomo Morello riceve da Enrico Sardena figlio di Bonvassallo Sardena denaro gen. a vendita per 80 once di tarini al peso di Messina pagabili entro 20 giorni dall’approdo della nave « Uliva » di Oliviero Çodore (1) e soci a Messina. (Oltre alle consuete garanzie dà in pegno 19 pezze di panno colorato francesco, 1 di panno lombardo e 8 « purpuretas * comprate con quei denari). 205. 31 marzo. — Simone Mozo d’Alessandria compra da Giovanni di Rovegno panni franceschi d’Arras per L. 100 gen. pagabili entro due mesi. (l)Vedi per una diversa grafia del nome F 109. — 257 — 200. 31 marzo. — Oberto di S. Matteo fu Pietro Monaco calzolaio a nome proprio e dei fratelli Riccobono e Bonaventurino affitta per due anni a Gualterio tornitore un appartamento inferiore della sua casa in borgo S. Stefano per 10 soldi gen. all'anno; rilascia quitanza del primo anno d’affitto. (Autorizza Giovanna moglie di Gualterio a tenere un telaio nell’appartamento). 207. 31 marzo. — Guido Vinea scriba riceve a commenda da Bernardo fabbro di Sestri Levante L. 13 gen. investite a parte in anelli d’oro con zaffiri e in « cragulos » (reticelle?) di seta con ottone, da portare in commercio in Sicilia. 208. 31 marzo. — Bonifacio De Mari di Finale riceve a commenda da Simone Gualterio L. 25 gen. investite nel capitale comune da portare in commercio a Maiorca. 209. 31 marzo. — Bonifacio Nepitella riceve da Oberto Rubeo di Sozziglia L. 300 gen. a vendita per 817 bisanzi saraceni di Siria pagabili entro un mese dopo l'approdo della nave « San Giuliano » di Oberto Camilla e soci ad Acri. (Oltre alle consuete garanzie darà un pegno a scelta del Rubeo sulla nave). 210. 31 marzo. — Simone Mozo d’Alessandria compra da Ugo Burrino di Piacenza e soci stanforti d’Arras e altri panni franceschi per L. 106 gen. pagabili entro due mesi. Fidejussore Giacomo d’Alessandria drappiere. 211. 31 marzo. — Alberto Pagano di Piacenza compra da Giovanni Pagano di Piacenza e soci 2 pezze di stanforti inglesi per L. 38. 8 gen. pagabili entro due mesi. 212. 31 marzo. — Bonifacio De Mari di Finale riceve a commenda da Nicoloso Erode De Mari L. 39. 12 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio a Maiorca. »7 9 — 258 — 213. 31 marzo. — Ansaldo Stralleria dichiara a Guidetto di Valenza che delle L. 244. 12. 6 gen. che Giovannino Stralleria fu Amico Stralleria ricevette a commenda per il viaggio di Tunisi L. 100 appartengono a Guidetto (sebbene sieno state dichiarate di esso Ansaldo); gli cede pertanto ogni ragione su di esse. 214. 31 marzo. — Guidetto di Valenza riceve da Ansaldo Stralleria intero pagamento del capitale e del profitto della commenda di 350 bisanzi saraceni di Siria a lui fatta (come da atto di Pietro Sapariti, 8 luglio 1250, che gli restituisce). 215. 31 marzo. — Pietro Hazanello e Pietro Gabernia fanno procura a Ami getto Streiaporci e a Oberto Stancone per riscuotere da Ugolino Belmonte di Siena e da Capitino di Siena e soci L. 429 prov. delle L. 622 prov. depositate da Pietro Gabernia in casa di Ugolino e nella sua tavola (cancellato e sostituito con la parola: società); la riscossione verrà effettuata a favore di Simone Streiaporci. (Fra i testi v’e Rofredo Bramauzoni). 216. 31 marzo. — Pietro Mazanello compra da Simone Streiaporci panni francesi pel prezzo dei quali farà riscuotere dai procuratori Amigetto Streiaporci e Oberto Stancone L. 429 prov. delle 622 depositate in Francia etc.) se i procuratori non potessero riscuotere la somma, entro due mesi dopo averne avuto notizia la pagherà a Genova danari genovini, al cambio del giorno della provisina in Fi ancia. » GIOVANNI VECCHIO (Registro I, folii 248 r. 269 t.) 1. 1 marzo. — Rubeo de Volta fa Giovanni Rubeo de Volta riceve da Pietro Luxiar-do di Sestri Levante L. 5 gen. resto di L. 8 prezzo di una terra a lui venduta, e ne rilascia quitanza. * 2. 1 marzo. — Enrico Predone di Rapallo per due parti, Simone di S. Ambrogio per una terza parte, vendono a Giovanni di S. Giovanni di Hyères a nome suo per un quarto e di Raimondo d’Aurignac (Aurignacho) di Marsiglia per tre quarti una barca con sette remi per L. 6. 15 gen. delle quali rilasciano quitanza. 3. 1 marzo. — Bertolino Nespola vende a Baldovino Monterosato un terreno nel territorio di Monteleragni per L. 2 gen. delle quali rilascia quitanza. 4. 1 marzo. — Zaccaria de Castro vende a Marino Strallario un mulo baio per L. 16. 0. 2 delle quali rilascia quitanza. 5. 2 marzo. — Giovanni Purpurro (o porporaio) figlio emancipato di Guglielmo Ferro promette al padre di provvedere alla vita e a- tutte le necessità di lui (sotto pena di L. 50 gen. in caso di inadempienza). — 260 2 marzo. — Falco Zaccaria vende a Villano Rubeo di Vernazza una casa in Palazzolo alla Fontanella per L. 220 gen. delle quali rilascia quitanza. (L’atto viene compiuto in presenza di diversi testi e di Simone Vernazzolo che era proprietario della casa). 7. 2 marzo. — Villano Rubeo di Vernazza affitta a Giacomo di fontanella e Giovanna coniugi l’appartamento inferiore d’una casa comprata da Fulco Zaccana pei L. 4. 15 gen. all’anno. 8. 2 marzo. — Bonanato macellaio prende in affitto da Villano Rubeo di Vernazza una stalla nella casa da lui comprata da Fulco Zaccaria, per soldi 30 gen. all anno. 9; 2 marzo. — Simone macellaio prende in affitto da Villano Rubeo di Vernazza l’appartamento superiore in una casa da lui comprata da Fulco Zaccaria, per soldi 40 gen. all’anno. l 10. 2 marzo. — Fulco Zaccaria dichiara a Simone Vernazzolo d’aver ricevuto, lui presente e consenziente, da Villano Rubeo di Vernaccia L. 220 gen., prezzo d una ca sa a lui venduta... 11. 2 marzo. — Guido Varese de Fundico vende a Ogerio di S. Matteo una c asa in Genova per L. 15 gen. delle quali rilascia quitanza. 12. 2 marzo. — Verde moglie di Armano tornitore a nome del marito limette a Guglielmo tu Enrico Restori e a Oberto Formaggiaio le obbligazioni da lui contratte (con altro atto di Giovanni Vegio). 13. 3 marzo. — Gianuino Colla riceve da Lanfranchino figlio di Melchiorre L. <• 4 gen. per prezzo e cambio delle quali- deve once di tarini al peso di Sicilia, pagabili quando sarà arrivata la nave « Olivetta » in Sicilia, al primo porto dove approderà. 261 — 14. 3 marzo. — Bonagiunta tornitore figlio di Oberto di Zoagli tornitore riceve da Giovanni Racono di Zoagli intero pagamento di quanto gli era dovuto. (Notai ignoti, busta 111) 15. 3 marzo. — Amico Streiaporci riceve da Nicolò Guizulfo a nome di Beatrice monaca del monastero di S. Maria di Valle Cristi in Rapallo L. 3 gen. legate a Beatrice da sua moglie Ada, e ne rilascia quitanza. 16. 3 marzo. — Guglielmo Rapallino di S. Donato riceve da Giovanni Racono di Zoagli intero pagamento di quanto gli era dovuto, a nome di Alberto Buxone. 17. 3 marzo. — Giovanni Racono di Zoagli dichiara dovere a Rapailino 30 soldi geu. che restano del suo debito e che pagherà entro tre anni, nonostante la quitanza a lui rilasciata. 18. 3 marzo. — Manfredo cassaio riceve da Giovanni Racono di Zoagli intero pagamento di quanto gli era dovuto. 19. 3 marzo. — Giovanni Racono di Zoagli dichiara dovere a Manfredo cassaio soldi 15 gen. che restano del suo debito e che pagherà entro due anni, nonostante la quitanza a lui rilasciata. 20. 3 marzo. — Oberto Racono di Zoagli riceve da Giovanni Racono di Zoagli suo fratello intero pagamento di quanto gli era dovuto a nome di Alberto Buxone. 21. 3 marzo. — Giovanni Racono di Zoagli dichiara dovere a Oberto di Zoagli L. 3 gen. che restano del suo debito e che pagherà entro tre anni, nonostante la quitanza a lui rilasciata. — 262 — 22. 3 marzo. — Montanaro Passano riceve da Rolandino Passano fu Rubaldello L. ò. 8 "en. resto di L. 20. 18 gen. a lui dovute. 23. 4 marzo. — Giovanni Leccavele riceve da Rubaldino Bianco di Chiavari a nome di Alberto di Gavi L. 7. 0. 20 (= L. 7. 1. 8) gen. per la paga del mese di marzo. 24. 4 marzo. — Guglielmo figlio di Lanfranco Porporato di Lucca riceve da Bartolomeo figlio di Giallone Dolce di Lucca L. 12 gen. a cambio per L. 22. 10 di lue-chesini minuti pagabili a lui o al socio Paganello di Lucca in grossi, in ragione di 12 deuari minuti per grosso, entro quindici giorni a Lucca. 25. 5 marzo. — Enrico fu Ottobono Mallone riceve da Marchisio Porto di... (abrd' sione) intero pagamento di L. 102 gen. a lui accomandate. 26. 5 marzo. — Tedisio Fieschi conte di Lavagna vende a Natale Ferro di San . • • (iabrasione che rende illeggibile il testo per due righe) un appezzamento di terre»0 per L. 20. 5 gen. delle quali rilascia quitanza. ‘>7 Cd • • 5 marzo. — Giovanni fu Fulcone Monteassignano e Novella coniugi, e Giovano1 loro tìglio, ricevono a mutuo grazioso da Giacomo Lugo « bambaxarius » L. 12 geo-* restituibili entro un mese. 28. 5 marzo. — Giovanni fu Fulco Mozo di Monteassignano e Novella coniugi e Giovanni loro figlio dichiarano a Giacomo Lugo di dovergli vendere una terra i Clapella. oltre al mutuo a loro fatto, per 40 soldi gen. dei quali si dicono già soddisfattici). 5 marzo. — Oberto di Vedereto dichiara a Giovanni Vecchio notaio a notfie di Guglielmino Caliga Palii che Giovannino suo figlio ricevette a commenda da Guglielmi™ L. 25 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio a Bugi»- — 263 — 30. 5 marzo. — Giovanni di Barbarolia di Quarto e il figlio Simone vendono a Giovanni di Quarto figlio di Amico di Quarto un appezzamento di terreno in Quarto, località Barbarolia per soldi 22 gen. dei quali rilasciano quitanza. 31. 6 marzo. — Giovanni di Barbarolia di Quarto e il figlio Simone vendono a Guar-rano di Crosa un appezzamento di terreno in Quarto, località Praixellum, per soldi 11 gen., dei quali rilasciano quitanza. 32. 6 marzo. — Salvo di Rapallo figlio di Corrado di Rapallo riceve a mutuo grazioso da Ugo Calega soldi 27 gen. restituibili entro Natale. 33. 6 marzo. — Alda vedova di Nicola de Aldone riceve a mutuo grazioso da Enrico di Asturo L. 10 gen. restituibili entro le calende di maggio. 34. _ Peroaldo de Aldone promette a Alda vedova di Nicola de Aldone la quale si obbligò verso il fu Giovanni Pendone e Giacomo Leccavele per L. 200 cen. verso Giacomo Papia scriba per L. 60, di risarcirla da queste obbligazioni ... & * J (Manca la fine dell’atto). m GUGLIELMO DI PEGLI (Notai ignoti, busta HI) (1) 1. 1 marzo. Guglielmo Dente di Voltaggio compra da Giovanni Battista macellaio pecore e capre (cosi come sono e coi loro difetti) per L. 17 gen. pagabili entro le calende di settembre. Fidejussore Niccolò Zoccolario di Fossatello. 2. 1 marzo. Enrico di S. Stefano drappiere manomette e libera la propria serva Sibilina, già chiamata Çoura, originaria di Valenza, concedendole tutti i diritti della cittadinanza romana e della nascita ingenua. 3. 1 marzo. — Sibilina schiava di Enrico di S. Stefano drappiere riceve a mutuo grazioso da Pepo Amata di Toscanella L. 7 gen. restituibili a semplice richiesta. 4. ........— Guglielmo Curio figlio di Raimondo Curio Negro riceve a commenda da Guglielmo Vento L. 10 gen. investite nel capitale comune, da portare in commercio a Tunisi o in Barbaria e in Sicilia. 5. 1 marzo. — Guglielmo d’Albaro fu Giovanni Gambagrossa d’Albaro fa procura al Iratei lo Rolando per affittare i suoi terreni e possessi (domestici e silvestri, colti o incolti, a chiunque e a qualunque prezzo) posti nel territorio di Moneglia. (1) I margini superiori dei folii sono a brandelli. — 265 — (i. 2 marzo. — Guglielmo Curio figlio di Raimondo Curio Negro di Ventimiglia riceve a commenda da Boneto bafctifoglio L. 5 gen. investite in oro filato e asole da portare in commercio a Tunisi. 7. . 3 marzo. — Guglielmo di Quarto di Barbarola vende a Giacomo di Quinto di Laca un appezzamento di terreno a vigneti e castagneti nel territorio di Pomario località Naxo per L. 7 gen. delle quali rilascia quitanza. 8. 3 marzo. — ... affittano a Pagano ... un appartamento per un anno per L. 3. 6 gen. pagabili mensilmente. (Molto lacerato) 9. 3 marzo. — Giovanni Pino Serrino riceve a mutuo grazioso da Giovanni Torano fu Fulcone Caralio di Monteassignano, dai denari di Giovannino fu Oberto di Monteassignano, L. 3. 5 gen. restituibili entro Natale. 10. 3 marzo. — Tedeo (sic) Bartolomei di Castaldo di Montaldo riceve da Manente Bernardi Senese a nome suo, di Bericello Senese e d’altri soci, merci per L. 50. 18 gen. pagabili entro il 12 marzo. 11. 3 marzo. — Zucca di Concorezzo di Milano e Viviano Gallico di Portovenere ricevono a mutuo grazioso da Manente Bernardi Senese a nome suo, di Bericello Senese e d’altri soci, L. 31 gen. restituibili entro un mese. Fidejussore Volpello Volpelli di Montaldo. 12. 3 marzo. — Zucca di Concorezzo di Milano dichiara a Viviano Gallico di Portovenere che ebbe per sè solo il mutuo da Manente Bernardi e soci, nonostante che il Gallico si sia impegnato in solido con lui: e promette risarcirlo da ogni obbligazione derivante. 13. 3 marzo. Giacomo fu Guido Pete(rio) riceve a mutuo grazioso da . . figlio di Ogerio di Val Trebbia soldi 33 gen. restituibili entro S. Giovanni. 14. 4 marzo. — Martino di Montaldo riceve a mutuo grazioso da Manente Bernardi Senese a nome di Bericello Senese e altri soci L. 27. 9 gen. restituibili entro il 17 marzo. 15. 4 marzo. — Federico detto Fico fu Alberto di Capriano riceve in deposito e custodia (cancellato e sostituito con la parola: comodato,) da Antriguccio fu Mugnaiguo Fiorentino un ronzino brano e rossiccio stimato L. 20 di pisanini minuti e promette di portarlo a Firenze e restituirlo al fratello di lui Bono di Mugnaiguo o ai soci entro lunedì. 1(>. 5 marzo. — Biagio fu Guido Bono di Corneto riceve a mutuo grazioso da Manente Bernardi Senese a nome suo, di Bericello Senese e soci, L. 20 gen. restituibili entro un mese. (È maggiore di 20 anni e agisce col consenso di Andrea e Guezio di Corneto e di Pietro di Palio). 17. 5 marzo. — Ranuccio fu Bono Fiorentino a nome proprio e del socio Bonfìgliolo figlio di Bonsignore Fornari fu Fiorentino (sic) riceve da Aliotto fu Bonaccorso di Lucca a nome di Giovanni tìglio d’Amato e di Tramontano tìglio d’Aldebrandino di Firenze suoi soci, L. 100 gen. a cambio per L. 179. 10 di lucchesini minuti pagabili a Lucca entro 15 giorni in grossi, in ragione di 1 grosso ogni 12 minuti, e di 22 den. lucchesi minuti per ogni soldo gen. 18. 5 marzo. — Zura vedova di Pietro di Castello e suo figlio Pasquale ricevono a mutuo grazioso da Castellino Paxano notaio dai denari di Tedisio Fieschi conte di Lavagna L. 100 gen. restituibili entro un anno a semplice richiesta. 19. 5 marzo. — Ugolino fu Falcone di Lucca e Luparello fu Lapo di Lucca e Cam-pore cuoiaio di Lucca ricevono da Rustichellino fu Rustichello di Lucca L. 58 genovine a cambio per L. 108. 15 lucchesi minute pagabili a lui o a Pandolfino suo genero o a sua moglie a Lucca in grossi in ragione d’un grosso ogni 12 minuti, entro le calende d'aprile. — 267 20. 5 marzo. — Oberto di S. Stefano tintore compra da Ranieri Donzello Fiorentino a nome del socio Gherardo Tornaquinci Fiorentino guado per L. 28. 9 gen. pagabili entro due mesi. 21. 5 marzo. — Guglielmo di Quarto di Bozaredo fu Pietro Maiencia riceve da Baldovino di Quarto fu Ansaldo un corello con manici e una barbieria con un barile di guarnizioni che aveva accomandato a Bertoletto figlio di Bonico di Quinto o di Nervi e da questo passato a lui, a nome di Guglielmo. [g S fü Ü1 ül lü ®lilll!ll!illllü®ül®Eil®@ TOMMASO DI S. LORENZÜ (Notai ignoti, busta li) (1) 1. 6' marzo. — Pietro di Rainecio fu Pietro vende a Fuleo di Casella 3 appezzamenti di terreno nella villa di Rainecio per L. 3. 10 gen. delle quali rilascia quitanza. 2. 6 marzo. — Fulco di Casella dichiara a Pietro di Rainecio che gli renderà i terreni da lui comperati se entro 6 anni li riscatterà al prezzo di L. 3. 10 gen. 3. 9 marzo. — Rubaldo di Montemaggio a nome di Simone Balbo riceve da Lanfranco Pietra soldi 20 gen. e una mina di frumento che doveva a Simone, e ne rilascia quitanza. 4. 16 marzo. — Giovanni fu Cassano di Montemaggio affitta per otto anni a Enrico Ferrario di Savignone il servizio del fratello Anselmino perchè impari l’arte sua, ricevendo vitto e vestito. 5. 16 marzo. — Giovanni Salmuira compra da Giovanni Balbo di Croce (Fieschi) un bove rosso e bianco per L. 4. 10 gen. pagabili 10 soldi entro otto giorni, 2 lire entro S. Michele, 2 lire entro S. Martino. Fidejussori Baldovino Riccio e Giovanni Fontana. (1) Atti rogati a Savignone. Pubblicati in Ferretto, Documenti . . . Novi, pp. 229-238. — 269 — 23 marzo. — Contessina fu Bellone Salvariccio fa procura a Perrone Silva per agire nelle cause che le intenterà Giovanni figlio di Guido davanti all’Arcivescovo o ai consoli dei placiti. 7. 23 marzo. — Baldo Riccio da una parte, Perello suo fratello da un’altra, Opi-cello da un’altra fanno arbitri delle differenze che sorgessero tra loro per questioni di proprietà, Nicola Sementella e Ogerio Noceto. 8. 23 marzo. — Bonico Pietra affitta per sei anni a Enrico ferraio il servizio del fratello Guglielmo perchè impari l’arte sua, ricevendo vitto e vestito e in capo al termine un paio di tanaglie e un martello. 9. 30 marzo. — Baldovino del Bosco compra da Fulco di Casella merci per soldi 11 ge- (3) Sui primi, cfr. Schaube, cit. pag. 339 e ssgg. sugli altri, Di luci-'. pag> conomia genovese nel sec. XII: La nave i contratti marittimi ecc. Torino, Bocca, 60 e ssgg- . orprto Cancel- (4) Cfr. Schaube, Storia del comm. cit. pag. 347, e i particolari in u here e Ottobono Scriba, trad. di Giovanni Monleone, pag. 129, 226. — 275 appellatur salvaterra. M.CC.LXXXX.VI. kalendis Marcii »; e il Mas-Latrie, a cui ne fu comunicato il testo, ritiene congruamente che la parola salvaterra stia a significare salvezza in senso di garanzia o di assicurazione contro la pirateria (1). La magistratura ci è descritta con grande precisione e vivacità da un frate domenicano, arcivescovo di Sultanieh in Persia, che, verso il 1328 inviò al Cardinale de Farges una proposta De modo Saracenos extir-pandi. Secondo il zelante prelato YOfficium Robarie che funzionava in Genova era contro Deam et bonum Christianitatis et contra statuta Ecclesie militat in hac parte: la fondazione di esso tendeva a risarcire i danni che i pirati e corsari genovesi avessero prodotti sulle persone e sulle merci di altre popolazioni, purché non fossero state in guerra con Genova, ma, considerando imparzialmente i danneggiati, senza distinguerli secondo la loro religione, e sopratutto parificando i saraceni ai cristiani, paralizzava tutti gli sforzi che si duravano in oriente per distruggere o almeno ridurre le possibilità commerciali e militari dei saraceni, e in modo particolare quelle dei Sultani di Egitto. Dal punto di vista religioso YOfficium Robarie pareva una offesa a Dio e una calamità pubblica. L’Officium Robarie funzionava in questo modo: in una sala del palazzo del Comune (potrebbe esservi qui un errore nella designazione della sede, perchè l’iscrizione del Cuneo fu trovata nel palazzo di S. Giorgio, oppure, sui principii del trecento YOfficium al quale successe quello della Mercanzia, si trasferì nel palacio novo Communis) (2) era collocata una cassa, arca o capsieta, a tre chiavi. Chiunque, cristiano giudeo, saraceno, a qualunque nazionalità avesse appartenuto, e fosse stato danneggiato in mare da genovesi purché non si fosse trattato di genti in guerra col Comune di Genova, poteva introdurre nell’arca direttamente o per mezzo di un suo rappresentante, e, se avesse preferito, anche in maniera segreta, nullo sciente, una cedola contenente il suo reclamo e il nome del depredatore. La competenza a giudicare sui ricorsi era del Consilium Robarie o de robariis, composto da quattro sapientes, come ci è rilevato dall’unico documento che, su di esso, si trovi nell’Archivio di stato genovese (3). Dei (1) Cfr. Mas-Latrie, L 'Officium Robarie ou l’Officium de la Piraterie à Gênes au moyen age, in Bibl. de l'École des Chartes, 1892, pag. 264 e ssgg. (2) Cfr. Grosso e Pessagno, Il Palazzo del Comune di Genova, a cura della Società Ligure di Storia Patria, Genova, 1933, pag. 78 e ssgg. (3) Archivio di Stato di Genova, Coll. Manoscritti, n. 710. Dagli accenni che contiene questo frammento di registro è chiaro che i masseti tenevano, secondo gli Statuti, regolarmente i loro cartularii. Riportiamo il testo, la cui lettura fornirà particolari che necessariamente dobbiamo trascurare nell’esposizione. MCCCL - Compera pacis debet que sunt scripte super Officium Robarie L.MDCCCXXXX sol. X, Den. I. seu loca XVI seu libre XXXX sol. X, den. I, — 276 — quattro sapienti, tre avevano una chiave ciascuno della cassetta: in determinati giorni dell’anno aprivano la cassa, davano un giudizio sommario sulla consistenza del ricorso, che, se era ritenuto fondato, passava al Consilium plenario. La procedura era semplicissima, e le decisioni del Consilium avevano tale forza obbligatoria che nè appello, nè eccezioni nè pretesti ne pote- Recepimus in MCCCLI die XXVIII1 octobris in Dagnano Picamilio per sentenziali! sibi datam. L.DCCC. Item in Antonio Domestico in racione Henrici Vegii in VI pro libris XXXV — L.C Item in D. Iohanne de Cruce in VI pro libris X sui salarii in expensis L.XXVIII, sol. X Item in Raphaele de Ooasco in VI pro libris XX sol. X in expensis L.VII, sol. II, den. X Item in Iacobo Ansolascho nomine dicti officii in CXVIII pro libris VI sol. X L.XVII sol. Il Item in Antonio Domestico bancherio pro libris V sol. XVI, den. X, unde nobis L.XV1II den. XIIII Item die XIII januarii in Iohanne Picho speciario prò salario Henrici Vegii pro libris XVI sol. X L.L ltem in Andreola uxor Isnardi Aurie per sententiam seu declarationem in CXVIII L.DCCLXXX sol. X, den. II. In lanino Anzolascho nomine officii unde nobis pro libris XIII sel. II, den. VI L.XXXX sol. X, den. I. Pag. 116 v. Expense Officii Robarie debet nobis Item solverent Manfredona uxori Boulinario de Manarolia in XX1111 accipiente noncio sive executori pro capcione Carloni Maroceli L.I, sol. V Item quas habuit Raphael de Comorascho de Monelia in dieta compera L.VII, sol. II, den. X L. II, sol. X ltem per Franciscum Comunalem in II pro expensis quinterni et papiri et alia expensa L. sol. XV, den. X ltem prò Francisco Comunale in II et sunt pro D. Celesterio pro quodam Consilio ut continetur in racione dicti Francisco L. II, sol. X. Pag. 117 v. die Iacobus de Caxolasco noncio officii debet nobis pro Francisco Comunale bancherio olim massario officii pro resto eius quod debet L. sol. XIII, den. IIII. Item pro Filipo de Bon Johanne unde nobis in XXIII L. I sol. X. MCCCLIII die ultima marcii Iacobus Caxolascho nuncio officii robarie debet habere usque calendas aprilis ad complementum eius quod habere debet L. VI. Pag. 118 v. Dedit nobis in expensis factis pro sospitale......officii. ltem in noncio qui iverit ad Bartholomeum patronum navium ad Portumvenere pro pensione pannorum de Sardinia et a Iacobo Casale L. I sol. V. Pag. 118 v. MCCCLIII die ultime decembris Habuit in Antonio Domestico unde nobis L. VI Item in MCCCVI die XX maji Occasione antea habuerat in compera pacis Libris XVII sol. III pro L. VI Item antea in MCCCL habuit Lib. XXXX sol. X den. I in compere pacis in CVIII L.XIII sol. II den. VI. — 277 — vano ritardare o impedire l’esecuzione (1). L’Officium era servito da quattro massarii, amministratori, i quali erano tenuti « idonee cavendi de omni eo et toto quoti ad manus eoruin pervenerit ». Il numero dei massari starebbe pure a indicare che la quantità degli affari trattati dalVOfficium era rilevantissima. Ora, l’istituzione poteva certamente essere deplorata dalla coscienza cristiana di quei tempi, che vedeva protetti da una istituzione pubblica gli ebrei e più di tutti i mussulmani contro la pirateria, ma rispondeva pienamente al senso giuridico e commerciale dei genovesi, che ebbero come un domma ltem in Fhilipo de Bon Johanne in XXVI L. I sol. X ad racionem de libris XXXI1 pro loco. Item MCCCLV die III decembris Accipientes Iohanna uxori Boulanerio de Manarolia in CV111 L.I. Pag. 118 v. MCCCLI die XXV Julii Officium quatuor sapientium exercentes de robariis consilio quod Leonardus Cattaneus, Bartholomeus de Campofregoso, Antonius de Mari et Benedictus Dondedeis fuerunt per ipsum Officium ellecti constituti et ordinati in Massariis et pro massariis dicti officii ad recipiendum et exigendum illas quantitates pecuniarum contentas in quadam cedula extracta per ipsum officium ut supra. Contra Philippum de Auria et socios supradictos patronos et contra fidejussores ipsorum. Cognoscentes officiales dicti officii quod ex dictis quatuorum massariis sunt impediti supradicti Leonardus et Benedictus volentes ut ea que sunt declarata executioni mandetur. Loco vero ipsorum quatuor subrogaverunt massarios ad supradicta lohannem Scotum et Secundum Bartholomeum de Campofregoso Ipsi Idonee caventibus de omni eo et toto quod ad manus eorum pervenerit De faciendo eorum officium bene et legaliter ea die Dictum Officium approvabit Dagnanum et Cosme Picamilium pro securitatibus si volunt intercedere pro ipso Iohanne Bartholomeo vel altero eorum. MCCCXXXX die XV septembris (Supra) scripta Cartularia et processus consignati fuerunt mihi Iohanino de Saulo notario et scribe dicti officii robarie per Georgium Sacum notarium et que Cartularia fuerunt dimisa in custodia Domino Georgio per Franciscum de Forzano notarium olim scribam dicti officii in annum de MCCCXXXXVIII proxime preterito. Primo Cartulariuin unum anni de MCCCXXXX Item Cartularium anni de MCCCXXXX1III ltem Cartularium annorum de MCCCXXXXV1 in MCCCXXXXV1I. Item Cartularium aliud annorum de MCCCXXXXVI et XXXXVI1 Item Cartularium annorum de MCCCXXXXVII Item Cartularium de MCCCXXXXVIII Item manuale unum papirus in quo nihil reperitur scriptum. (1) In tal modo, espone l’arcivescovo di Sultanieh (cfr. Mas-Latrie, L’Officium, cit. pag. 268) nessun navigante osa visitare i navigli che si recano ad Alessandria, per timore di incorrere nell’ira della Repubblica di Genova, iram Communitatis, che, per mezzo dell’Officium Robarie, \o costringerebbe a restituire tutto ciò che avrà preso. — 278 — costante il principio della libertà di commercio e sperimentarono tutti i mezzi legali per seguirlo e ottenerlo. L’istituto senza dubbio integrava i trattati con le potenze islamiche e li completava con elementi che nei rapporti economici sono essenziali, e cioè la buona fede e la parità di trattamento. II. I Consoli del Comune del 1208 inviarono « al Murroco in una galea Nicola Mallono e Enrico Detesalve ambasciatori al Miramolino (Emir-el-Moslemin, titolo che assumevano allora i Sultani del Marocco) i quali firmarono con esso pace infino a due anni » (1) e forse i termini del concordato furono ristretti a causa dello stato di guerra che era fra i Genovesi da una parte e i Pisani e i Marsigliesi dall’altra. Ma fu rinnovato di volta in volta, e nel 1223, gli ambasciatori di Genova Enrico di Mulassana e Nicola Embrono ottennero una nuova ratifica. 1 traffici fra Ceuta e Genova e le intromissioni dei Genovesi nella politica del Marocco, dopo che cominciarono le lotte fra i numerosi discendenti del fondatore del grande impero almoade, Abd-el-Mumen, sono accennati frequentemente dagli annalisti genovesi (2). Nel 1233 fu inviato come ambasciatore a Ceuta Jacopo di Marino: l’annalista non ci fornisce alcun ragguaglio sugli scopi e i risultati di questa missione; ma non si può dubitare che essa sia stata in correlazione con gli avvenimenti politici che si svolgevano nel Marocco. L’anno precedente, Ceuta, che non si era ancora riavuta dalla strage e dalla depredazione a cui era stata sottoposta da Mamun re di Murcia e dal fratello di lui Abu-Musa, aiutati da dodicimila cristiani spagnoli assoldati, si trovò in nuove angustie, perchè Abu-Musa, ribelle al fratello, si era fatto gridare principe di Ceuta ed aveva assunto il tilolo di Mowaied. Il califfo Mamum coi se allora sulla città e la strinse d’assedio. Ma dovette toglierlo dopo qualche mese per correre contro l'altro pretendente, Jehia; ed in questo frattempo, Ceuta era stata conquistata da Ibn-Hud, re di Murcia, che aveva compensato col possesso di Almeria Abu-Musa. A reggere la città come suo delegato Ibn-Hud aveva inviato un el-Fascini, che i nostri annalisti chiamarono (1) Ooerio Pane, trad. di Giovanni Monleone, pag. 55. (2) Ogerio Pane, Marchisio Scriba, Maestro Bartolomeo, trad. Monleone, passim. — 279 — Agostino (l). Ed accadde che tre mesi dopo gli abitanti di Ceuta insorsero contro Agostino, lo scacciarono dalla città ed elessero principe un berbero chiamato Janescti. Durante il principato di Janescti avvenne ciò che si disse la briga con i Genovesi. Su di essa abbiamo due versioni. La prima è quella dell’annalista maestro Bartolomeo (2). Per quanto sia nota, riportata co-m’è anche recentemente dal Cessi, crediamo opportuno riprodurla letteralmente: « Dunque nel medesimo anno (1234), nella festa di S. Bartolomeo apostolo, corse voce nelle parti di Setta {Ceuta) che i crociati Calcurini (sono gli spagnoli assoldati da Mamun, che, vestiti da crociati combattevano per i mussulmani) erano andati con grandissimo esercito all’assedio di Setta a cagione di prendere esso luogo e gli uomini. Allora i genovesi che erano in quelle parti con molte navi e con grandissima quantità di bisanti, di merci e di dovizie, furon colti da timore. Perocché temevano la perdita delle persone e delle cose, se essa terra venisse presa dai predetti Calcurini. E pari-menti avevano timore di combattere contro cristiani segnati con la croce. Ma poiché essi calcurini avevano già catturato presso Cadeso (Cadice) e nello stretto certe navi dei Genovesi e taluni degli uomini di Genova, cioè Guglielmo Negrone e Balduino Spiono, i Genovesi che erano in Setta munirono dieci delle maggiori e migliori navi a cagione di andar loro incontro. Ma essi Calcurini ebbero buone parole e restituirono il detto Guglielmo di Negrone e gli altri Genovesi che avevano seco. E così i Genovesi si stavano da una parte; e infine i Calcurini si misero sopra vento e posero il fuoco in una piccola nave vecchia che avevano e che avevano presa, ed essa nave spingevano sopra le navi e i legni dei Genovesi per abbruciarli. Allora i nostri, vedendo che non potevano difendersi dal fuoco, abbandonarono le cose e tutto ciò che avevano in Setta e vennero a Malica (Malaga) con esse dieci navi. I Calcurini catturarono un certo bucio carico, apparecchiato per venire a Genova, e gli altri legni ch’erano in esse parte bruciarono col fuoco. Di poi i Genovesi delle dette dieci navi a Malica celebrarono consiglio e fu deliberazione del consiglio e lor volontà di armar bene due navi, e in esse mandarono seicento uomini bene agguerriti a Setta, per difensio-ne di essa terra e delle cose. Le quali due navi approdarono presso Gume-ria, nel luogo che chiamasi Tarfonoli (Capo Teluan), e di là essi uomini andarono per terra a Setta. E quattro delle dette dieci navi vennero a Ge- (1) Cfr. Amari, Nuovi ricordi ambici, cit. pag. 561 e ssgg. (2) Maestro Bartolomeo, cit. pag. 120 e ssgg. Cessi R. Studi sulle « Maone » medioevali, in Arch. Stor. Hai. anno LVI1, vol. I disp. 1-2, 1921. La prima parte della narrazione di Maestro Bartolomeo si riferisce agli avvenimenti fra le imprese ceutine di Mamun e di Ibn-Hud. — 280 — nova e le altre e le predette due navi andarono a Tunesi. E messere Remedio (1) potestà di Genova, ricevute lettere dal soldano di Setta che si mandassero a lui soccorsi ed egli farebbe la metà delle spese ed anco più a volontà del podestà e del comune di Genova, per autorità del consiglio mandò ivi diciotto galee e quelle quattro navi delle predette, le quali erano venute a Genova, a cagione di portare le vittuaglie e le altre cose necessarie a esse navi e galee. Da prima andarono quattro galee, alle quali fu costituito capitano messere Lanfranco Spinola; di poi andarono dieci galee, alle quali fu costituito capitano il nobil uomo Ottobono di Camilla. Dopo andarono le altre quattro galee con le dette quattro navi, alle quali fu costituito capitano Ingone di Bonifacio della Volta. E furono venduti dodici denari fino a dieci anni in ogni mina di sale per diciotto mila libbre, a cagione di fornire le spese delle predette navi e galee. E come i detti ammiragli ovvero capitani dimandavano e richiedevano al soldano di Setta le spese che aveva promesse e la restituzione dei danni che i Genovesi avevano patiti da parte dei Calcurini, il detto soldano, temendo la potenza dei Genovesi, mandò per i barbari (berberi)-, ed essendo quasi tutta la città di Setta piena di essi barbari, certi galeotti delle galee vennero a rissa con certi sarraceni e così tutti gridarono alle armi. E fu impresa la battaglia e i saraceni corsero ai fondachi e posero il fuoco in essi fondachi e nelle case, e cosi molti di qua e di là furono morti e uccisi, e grandissima quantità di robe dei Genovesi andò arsa e perduta ». L’anno seguente, una ambasceria genovese per ottenere il pagamento delle somme occorse nell’allestimento della spedizione e il risarcimento dei danni durante la rissa, non ottenne alcun risultato: si mandò allora Carbone Malocello, che, tentate inutilmente le vie conciliative, sfidò « il soldano e gli uomini suoi a viva voce e virilmente . Poi visto inefficace anche questo espediente cavalleresco, Carbone Malocello, per suggerimento degli altri capitani delle navi genovesi, partì per Siviglia « a cagione di raccogliere e assoldare cavalieri e condurli all’assedio di Setta ». Ed a Siviglia morì. E qui il testo di Maestro Bartolomeo non è più chiaro: esso dice infatti: « uditosi dunque rumore che i nostri stavano ed erano all’assedio di Setta, furono ivi mandate quattro galee bene armate in soccorso dei nostri genovesi che erano presso quella città, e ogni cosa fu ad essi mandata da Genova e da parte del comune di Genova ». Sicché parrebbe che, mentre gli ambasciatori trattavano col sultano, i Genovesi bloccavano la città da mare. Invece, l’annalista tenterebbe di farci credere che l’assedio della città per mare e l'assalto che ne (1) Remedio Rusca, da Como. — 281 — seguì « con i trabocchi e con le altre macchine », siano cominciati dopo che le qùattro galee spedite dal Comune furono giunte davanti a Ceuta. Le ostilità durarono a lungo, senza che per altro i Genovesi siano riusciti a penetrare nella città: ed abbiamo infine un secondo passo di Maestro Bartolomeo sibillino quanto il precedente: « poi andò finalmente ambasciatore per il comune di Genova Suzio Pevere e secondo la forma del trattato che portò da Genova fu eletto un altro capitano, cioè Ugo Lercari, i quali entrambi dovevano rimanere con dieci galee e una certa quantità di navi, se non potesse farsi convenevole e onorabile concordia. Tuttavia con onore grandissimo del comune di Genova fu fatta la concordia e così tutti i capitani eccetto il detto Carbone con tutte le galee e con alcune navi tornarono a Genova ». La seconda versione è data dall’estratto di un codice arabico di Copenhagen pubblicato daH’Amari (1), il quale comincia « Il fatto avvenne così. Arrivati a Ceuta codesti Rum in lor navi per fare traffico delle loro merci, ragunossi grande numero di essi nella dogana e nel borgo. Allora disegnarono d’impadronirsi della città con artifizii e raggiri: ma Iddio frustrò codeste macchinazioni e dileguaronsi i castelli in aria che essi avevano fabbricati ». E fallì perchè Janescti, conosciuto il disegno, chiamò le kabile delPinterno e ne presidiò Ceuta. 11 resto della narrazione concorda quasi punto per punto con quella di Maestro Bartolomeo. I Genovesi, dunque, secondo l’esposizione dell’anonimo cronista a-rabo, appena Janescti assunse il potere, volevano impadronirsi di Ceuta: l’episodio iniziale della lotta e l’incidente con i Calcurini sarebbero stati i pretesti. Volevano veramente i Genovesi impossessarsi della città marocchina, oppure, quell’Agostino che era rimasto per poco più di tre mesi il rappresentante di Ibn-Hud, era invece un rappresentante di Genova, e l'impresa contro Janescti era a vantaggio di lui? Non possiamo rispondere al quesito ma crediamo lecito supporre che il racconto, piuttosto confuso e reticente, di Maestro Bartolomeo, fornisca materia di dubbio (2). (1) in Nuovi Ricordi ecc. cit. pag. 615. (2) La grande prosperità economica raggiunta da Ceuta, in quei tempi, era il risultato dell’appassionata operosità dei Genovesi e in modo particolare del sistema che essi seguirono e dei principii a cui si ispirarono costantemente nella loro espansione coloniale. I Genovesi anticiparono di sette secoli i criterii moderni di colonizzazione: essi non sfruttavano le colonie, le consideravano come un allargamento territoriale della madre patria, ne suscitarono le energie, ne coltivarono razionalmente le risorse, introdussero nuove industrie legarono intimamente le colonie e gli scali marittimi commerciali col retroterra. Le colonie sul Mar Nero furono tramite per il commercio delle pellicce e del grano di Russia; a Fo-cea si riprese l’industria delPallume; a Scio quella del mastice, ed in più si misero salde ili. In riassunto, i Genovesi residenti a Ceuta o interessati al traffico con quella città, di fronte alla minaccia dei Calcurini, allestirono una prima flotta di dieci navi: di queste, due sbarcarono a capo Tetuan seicento armati; il Comune di Genova inviò diciotto galee, quattro al comando di Lanfranco Spinola, dieci al comando di Ottobono de Camilla, e quattro al comando di Ingone della Volta. Tutto questo dal 24 agosto, giorno della festività di S. Bartolomeo, alla fine di dicembre 1234. Con queste spedizioni hanno rapporto i due documenti che seguono: L Simone pellicciaio, genovese, figlio del fa Giovanni Boccaccio, promette a Pagano Huma-ulla, da Recco, di andare in sua vece in una delle quattro galee che il Comune di Genova spediva a Ceuta. 6 settembre 1234. •Eg0 Symon Pelliparius. Januensis. filius quondam Johannis Bucatii. confiteor me accepisse et habuisse a te Pagano de Sumaulla de Recho. libras tres et soldos sedecim denariorum Janue. abrenuncians exceptioni non numerate peccunie. et doli et conditioni sine causa, pro quibus promitto et conuenio tibi, quod pro te et tuo nomine ibo in una ex quatuor Galeis, quas comune Janue. mittere debet ad Septam, uel alias quocumque uoluerit postquam exierunt de portu Janue. et seruiam in ea in quo ivero totum illud seruicium quod facere debuero et mihi pertinebit ad faciendum, quousque dicte Galee reverse fuerint de illo uiagio, quod sunt facture, nisi iusto dei impedimento remanserit uel licentia comitis seu Amiragii ipsarum nec ab ipsa Galea siue Galeis nec ab earum seruicio me remouebo. tam in eundo quam redeundo et stando, usque ad earum aduentum. Alioquin si de predictis in aliquo contrafecero vel ut supra non obseruavero. promitto tibi duplum nomine pene dicte quantitatis, rato manente pacto fondamenta per quella della seta, i cui prodotti diventarono celebri in tutto J’Oriente: i marmi di Scio e i tipi di vini del periodo genovese sono ricordati ancora oggi. Maestro Bartolomeo e l’anonimo cronista arabo affermano che gli interessi e le ricchezze dei Genovesi in Ceuta erano pressoché incalcolabili: non dovrebbe parere strano se i Genovesi, di fronte alle turbolenze politiche che minacciavano di distruggere la città, la quale dal lato economico poteva dirsi una loro creazione, abbiano mirato ad assicurarsene il dominio. — 283 — et pro inde omnia mea bona tibi pignori obligo. Insuper nos Monardus de Sancto Matheo et Polinus dorator. promittimus, tibi dicto Pagano, nos facturos et curaturos sic. quod dictus Symon ut supra tibi promisit et conuenit attendere, obseruabit et complebit, et contra non ueniet. Alioquin promittimus tibi dare duplum nomine pene, dicte quantitatis. «t restituere totum dampnum et lesionem quod uel quam habueris siue sustinueris a communi, si aliquod inde sustinueris constituentes inde nos primos et principales debitores, abrenunoiantes iuri de principali primo conueniendo. Unde pro pena et ad sic obseruandum omnia nostra bona tibi pignori obligamus. Testes Albergator de Re-cho et Wilielmus de Drudo, et Johannes de Lauania. MCCXXXIIII indictione VI die VI septembris inter nonam et vesperas. Actum in apotheca Sancti Laurencii quam tenet Lantelinus notarius. Archivio di Stato di Genova, Sezione Notai (Gli altri notai appartengono allo stesso fondo). Not. Gianuino dk Predono, I, fol. 254, N. B. 2. Gandolfo, figlio del fu Filippo da Fontanabuona promette a Giribaldo da Recco, figlio di Ingone Capobianco, di imbarcarsi in sua vece nella galea di Recco che insieme con le altre dovrà partire per Ceuta, e di cui è comite Guido Pollicino. 7 settembre 1234. Ego Gandulfus filator filius quondam Philipi de Fontanabuona, confiteor me accepisse et habuisse a te Girbaldo de Recho filio Ingonis de Albo capite, libras tres et soldos quindecim Janue abrenuncians exceptioni non numerate peccunie. pro quibus promitto tibi pro te et tuo nomine ire in Galea de Recho cuius comes est Guido Poli-cinus que debet ire ad Septam uel quocumque commune Janue. eam cum aliis Galeis mittere uoluerit postquam exiuerint de portu Janue. et in ipsa Galea facere et complere, totum illud seruicium. quod in ea facere deberes, tamquam si esses in ipsa, tam in eundo quam redeundo et stando, usque ad totun viagium completum, nisi iusto dei impedimento, aut licentia comitis ipsius Galee, seu amiragii comunis Janue remanserit. Alioquin penam dupli dicte quantitatis, si ut supra non obseruavero. uel in aliquo de predictis contrafecero, tibi stipulanti promitto rato manente pacto. Unde pro pena et ad sic obseruandum. omnia mea bona tibi pignori obligo. Insuper ego Villanus de Ravecha promitto et conuenio tibi dicto Girbaldo me facturum et curaturum ita. quod dictus Gandulfus attendet et obseruabit ut supra et in nullo contra-ueniet. Alioquin promitto tibi dare duplum dicte quantitatis nomine pene, rato manente pacto, et restituere et emendare totum dampnum. quod inde a communi Janue. uel potestate seu ab octo nobilibus uel ab aliqua persona pro ipso communi, posses incurrere uel habere, infra mensem unum postquam a me fuerit requisitum. Undo pro — 284 — pena et dampno et ad sic obsernandnm omnia mea bona tibi pignori obligo, inde constituo me proprium et principalem debitorem. Abrenuncians iuri de principali primo conue-niendo. Testes Johannes Lecalossum filator, et Armaninus de Valletan. MOCXXX1III. indictione VI die VII septembris. Actum Janue in domo Martini de Rauecha quam habitat dictus Armaninus. inter nonam et vesperas (1). Not. Ctianuino de Predono, I, fol. 255, N. 2. IV. A questo stesso periodo, e cioè al quarto trimestre del 1234, I annalista genovese riporta l’unica operazione finanziaria che, secondo lui, il Comune abbia concretata in armonia con le necessità delPavvenimento, 1 emissione di un debito pubblico redimibile in dieci anni, garantito e ammorfiz-zabile nello stesso tempo dall’aggravamento della dogana sul sale di dodici denari per mina {circa un quintale,) e fino alla concorrenza di diciottomila libbre. Una compera salis, uguale, nella struttura economica e giuridica adottata dalla finanza genovese, alle altre compere. E il Cessi nota giustamente che in questa operazione non si ha il carattere della mahona, perchè nel rapporto manca ogni concetto societario, « si che non sa come si pos sa parlare di società di armatori cui sia concesso 1 esercizio dell impresa, dove è Io stato che arma ed esercisce in proprio tutto il negozio della squadra, ma non vi ha nemmeno alcun rapporto di partecipazione convergente sulla nave. Lo Stato provvede ai bisogni navali in relazione allo stato di guerra esistente coi saraceni; per coprire la spesa, non sopportabile dagli ordinari mezzi del tesoro, accende un debito con l’apertura di un prestito da estinguersi colla cessione di determinate entrate dello Stato, il sale (2). Vedremo che l’operazione conclusa della finanza genovese per Ceuta non fu unica, ma vi furono più mutui, e, quello che fu peggio, un lungo strascico di impegni del Comune verso privati e verso armatori. Intanto, la spedizione navale del primo semestre del 1235, secondo la narrazione di Maestro Bartolomeo e secondo gli atti notarili che trascriveremo, fu aneli essa esclusivamente curata e allestita dal Comune, e non vi è traccia di incarichi navali o guerreschi affidati a privati, siano stati soli o raccolti in società. Secondo gli accordi o convenzioni che il Comune di Genova aveva fissati fin dal secolo precedente con le ville del suo distretto e con le cit- (1) L’indizione è ancora quella cominciata il 25 settembre 1233. (2) Cessi R. Studi sulle Maone, cit. pag. 8, nota 2. — 285 — tà delle due Riviere (1) anche nella guerra a carattere offensivo che mosse contro il sultano di Ceuta, i convenzionati fornirono galee ed armati. Dai nostri documenti appariscono le galee armate dalle ville di Val Bisagno e di Val Polcevera, da Rapallo, Sestri, Chiavari, Recco, da Albenga, Venti-miglia e Portomaurizio: seguono ben cinque galee armate da Portovenere o da suoi naviganti: Mealdo, Rolando, Qallo, Melano e Viviano. In un’altra galea si imbarcarono gli uomini di Vernazza; un bucio fornirono i Còrsi; e certamente furono requisite e inviate al blocco di Ceuta le galee private di Lanfranco Spinola, Oglerio di Baldovino, Anfosso Arcanto, Rolando Lavaggi e socii, Cancelliere e Mignardi, Bonavia; e partecipò all’impresa anche il legno chiamato Caracossa. Quanto all’equipaggiamento ed agli armati, il contributo fu dato quasi totalmente dai liguri: ma i nostri atti, oltre al concorso di una piccola nave di còrsi, accennano alla presenza di qualche marinaio o soldato di Novi, di Bobbio, di Pisa e di Messina. 1. Bertolotto di S. Martino d'Yrchis e Dolce, figlia del fu Bonivassallo da Rapallo, liberano da ogni responsabilità il notaio Guidono da Sant’Ambrogio il quale si era reso mallevadore presso due degli Otto Nobili di Genova che Maieto da Rapallo avrebbe partecipato all'impresa di Ceuta. 30 marzo 1235. Nos Bertolotus de Sancto Martino de Yrchis et Dulcia filia quondam Boniuas-salli de Rapallo jugales una confitemur tibi Guidoni de Sancto Ambroxio notario quod tu te et tua prò Maieto de Rapallo nostro mandato et uoluntate intercessisti fideius-sisti et obbligasti uersus Johannem Guercium et Nicolosum de Grimaldo ex octo nobilibus pro Communi ut scriptum est manu Jacobi Pauiete notarii quod Maietus dictus ibit et stabit et arma sibi posita habebit et portabit in lignis que ire debent Septam pro Communi et quod te et tua bona obligasti, et proprium et principalem constituisti Johanni Bianco de Caruaro ut continetur in carta inde facta manu Oglerii Fornarii hodie pro judice, et renuentes excepcioni precedentis mandati et omni excepcioni et juri unde promittimus tibi restituere in tua uoluntate omnem dampum et dispendium et quodcumque incurreris uel quod feceris occasione predictarum intercessionum et obligacionum et quod de predictis omnibus et singulis te indempnem et bona tua et tuos heredes conseruare liberare et extraere promittimus ab omni persona per nos et heredes nostros et specialiter a dicto Communi et dicto Johanne uel ab aliis personis pro eis. Alioquin si in aliquo de predictis contra fecerimus uel contra factum fuerit (1) Cfr. Libri Jur. Reip. Qenuen. in H. P. M. Vol. I, passim. — 286 — penam dupli librarum quatuor et solidorum quatuor januinorum et tocius dampni et dispendii de quanto et quociens contra factum fuerit promittimus ita quod pena comissa et exacta omnia supradicta et singula firma premaneant, et pro pena et pie-dictis omnibus obseruandis et attendendis omnia nostra tibi pignori obligamus, quisque nostrum in solidum abrenuncians epistole divi Adriani et nove constituciom et specialiter ego Diuitia abrenuucians juri ypothece senatus consulto vellejano et legi qua cauetur ut uxor pro se obliget nisi uersum sit utilitatem eius, conlitendo hanc obligacionem utilitatem meam versum fuisse, faciens hec omnia uoluntate dicti uin mei et consilio Jacobi de Sancto Ursecino et Junii de Langasco, quos meos appello uicinos et propinquos, et confiteor me esse maiorem annis uiginti, jurans insuper ad sancta Dei euangelia ut supra attendere et obseruare. Testes Rubaldus Bissatia et dicti consiliatores. MCCXXXV. indicione VII, die XXX marcii, inter terciam et nonam. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelmus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214-1240, fol. 180 v. N. 3. Adveurando, famigliare di Simone de Camilla promette a Tommaso di Chiappe o di adoperarsi in modo che invece di lui andrà all’impresa di Ceuta Pietrino Çarçare, 30 marzo 1235. Ego Abdeurandus qui sto cum domino Simone de Camilla promitto et conuemo tibi Thome de Clapeto me facturum et curaturum ita et sic quod Petnnus e arearis ibit in galeis siue navis seu lignis secundum quod de uoluntate co fuerit uel eorum nuntii que debent ire Septam pro Communi Janue, et quod porta arma que sibi fuerint imposita ad portandum, et quod stabit in dictis ignis in eis in eundo et stando et ueniendo usque ad tres menses uel minus secun u“ de uoluntate Admiragii ipsorum lignorum fuerit. Ahoquin si ut supra non o ser et in aliquo contra fecerit promitto tibi dare nomine pene solidos trigmta octo den -riorum januinorum unde pro pena et ad sic obseruandum omnia mea ona qipiia obligo. Testes Johannes Maça, Nicolosus de Ramando et Wilhelm* de Stella^ MCCXXXV. indicione VII, die XXX marcii inter terciam et nonam. Actum Ja in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelmus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214-1240, fol. 131, N. 1 — 287 — 3. Giacomo Musso, da Messina, si impegna con Oberto Ferravo, di Santa Giì^a di Lavagna a fare in modo che Raimondo di Sploia parteciperà all'impresa di Ceuta invece di Oberto. 30 marzo 1235. Ego Jacobus Mussas de Messana promitto et conuenio tibi Oberto Ferrano de Sancta Julia de Lauania me facturum et curaturum ita quod Raimundus de Sploia ibit in «•aleis siue navis seu lignis que mitti debent Septam pro Communi Janue in uolun-tate Octo nobilium uel eorum nuntii, et quod portabit arma illa que sibi fuerint imposita ad portandum et quod seruiet in dictis galeis usque ad tres menses uel tantum minus quantum fuerit de uoluntate Amiragii ipsorum lignorum, et si contra fecerit uel ut supra non abseruauerit promitto tibi dare solidos quaraginta januinorum postquam cognitum fuerit et manifestum ipsum contra fecisse, et hoc sub pena dupli dicte quantitatis, et sub obligacione bonorum meorum, abrenuncians juri de principali primo conueniendo. Testes Rubaldus de Acola et Wilielmus de Leiorno. MCCXXXV. in-iudicione VII, die XXX marcii, inter terciam et nonam. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214-1240, fol. 131 v. N. 2. 4. Viviano da Portovenere dichiara a Tedisio de Forno che se Muto di Rolandina non parteciperà alla spedizione di Ceuta come si è impegnato con gli Otto Nobili, pagherà 40 soldi genovini otto giorni dopo che sarà giunta la notizia che Muto non si sarà imbarcato. 31 Marzo 1235. Ego Uiuianus de Portuueneris promitto et conuenio tibi Todesio de Furno quod si Mutus de Rollandina non iuerit in galeis siue navis seu lignis que ire debent Septam pro Communi Janue secundum quod promisit Octo nobilibus quod ego dabo tibi solidos quadraginta januinorum infra dies octo postquam cognitum fuerit et manifestum ipsum non iuisse in dictis galeis et inde a te fuero requisitus. Alioquin penam dupli tibi stipulanti promitto, obligans tibi omnia bona mea pignori. Testes Rubaldus de Cucurno et Uiuiuolus de Cucurno, et Rodulfus de Croisi. Millesimo CCXXXV. indicione VII, die ultima marcii, post completorium. Actum Janue in ecclesia Sancti Laurentii. Not. Enrico de Porta, 1214-1240, fol. 132, N. 1. — 288 — Giovanni Gambaldo si impegna con Bandino di Gxdino, rettore della Chiesa di Soriana, a fare in modo che Giovanni Gorgoglione, da Lavagna, andrà in vece di Gugliélmino dal Campo, nell'armata che il Comune di Geno va allestisce contro Ceuta. 2 aprile 1235. Ego Johannes Gambaldus promitto et conuenio tibi Bauduino de Gufino rectore de Soriana de potestatia Sigestri me facturum et curaturum ita quod Johannes Gorgoionus de Lauania ibit prò cambio Willelmini de Campo fratre tuo in galeis Communis Janue que mittuntur Septam pro eodem Communi, et quod stabit et seruiet in eis usque ad tres menses uel tantum minus quantum fuerit de uoluntate Amira-gii ipsarum galearum, et si contra fecerit promitto tibi dare pro eo solidos quadraginta januinorum infra dies quindecim postquam fuerit manifestum et cognitum ipsum non iuisse in dictis galeis uel in aliquo predictorum contra fecisse. Alioquin penam dupli tibi stipulanti promitto rato manente pacto, pro qua pena et ad sic obseruan-dum omnia bona mea tibi pignori obligo. Testes Marinus filius Carelli, et Johannes eius nepos, MCCXXXV. indicione VII, die II aprilis inter terciam et nonam. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de Porta, 1210-1240, fol. 132, N. 2. (i. Morando da Milano dichiara di aver ricevuto da Baldizzone di Rosso, da Repia, trenta soldi genovini per il quale compenso andrà in sua vece nelle galee che il Comune di Genova allestisce contro Ceuta. 3 aprile 1235. Ego Morandus de Mediolano qui sto in contrata Sancti Donati confiteor me accepisse et habuisse a te Baudiçono de Robeo de Repia solidos triginta octo janui norum abrenuncians excepcioni non numerate pecunie, pro quibns promitto et conuenio tibi ire prò te et tuo nomine et loco tui in galeis Communis Janue que ire debent Septam pro ipso Communi et stare in eis et seruire usque ad tres menses uel plus minus secundum quod de uoluntate dictarum galearum fuerit Amiragii. Alioquin penam dupli tibi stipulanti promitto, obligans inde tibi omnia mea bona pignori. Insuper ego Otonellus Gaia promitto et conuenio tibi dicto Baudiçono me facturum et curaturum ita quod dictus Morandus attendet et osseruabit ut supra tibi promisit — 289 — et conuenit, quoti si non fecerit promitto tibi dare duplum nomine pene de quanto contrafecerit idest fuerit contra factum, obligans inde tibi omnia mea bona pignori, abrenuncians iuri principali primo conueniendo. Testes Pascalis notarius, et Ribaldus de Cucurno et Setember filius Gandulfi de Repia. MCCXXXV. indicione VII, die III aprilis inter primam et terciam. A.ctum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214-1240, fol. 182, N. 3. 7. Guglielmo, tedesco, e Giulia moglie di Giacomo borgognone liberano da ogni responsabilità Giovanni Ber folio il quale aveva garantito presso gli Otto Nobili di Genova che Giacomo avrebbe partecipato alVimpresa di Ceuta. 5 aprile 1235. Nos Willielmus Tedescus qui sto in domo Berfolii et Giulia uxor Jacobi Borgognoni confitemur tibi Johanni Berfolio quod intercessisti et obligasti te et tua Octo nobilibus pro Jacobo dicto marito mei Giulie quod ipse ibit et stabit in galeis que mittuntur Septam pro Communi Janue secundum quod alii qui fuerint in eisdem missi stabunt et seruient in uoluntate superstantis ipsis galeis unde promittimus tibi quisque nostrum in solidum extrahere te et tua et deliberare et indempnem seruare ab omni dampno et grauamine quod a dicto Communi seu a quacumque alia persona pro ipso Communi habueris uel sustinueris occasione dicte intercessionis et obligacio-nis, et insuper dictum dampnum restituere totum integre infra dies octo postquam dictum dampum datum si per te uel tuum nuncium fuerimus requisiti. Alioqnin penam dupli de tanto dampno quantum passus fueris tibi stipulanti promittimus, obligantes inde omnia nostra bona pignori quisque nostrum in solidum, abrenunciantes noue costitucioni et epistole diui Adriani, insuper ego Giulia predicta voluntate dicti mariti mei et consilio Beneuenuti Spaerii et Guaschi Bucarii quos meos appello uicinos et propinquos abrenuncians iuri ypothece senatus consulto vellejano. Testes Manfre-dus guardator et dicti consiliatores. MCCXXXV. indicione VII, die V aprilis inter terciam et nonam. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214 12, 140, fol. v. N. 132. 19 — 290 — 8. Ottone da Bergamo, figlio di Giannino, laniere, libera da ogni responsabilità Gaffo-rio da Chiavari e Giovanni Colombo i quali si erano resi mallevadori presso gli Otto Nobili che egli avrebbe partecipato all'impresa di Ceuta. 18 aprile 1235. Ego Oto de Bergamo filius Januini lanerii confiteor uobis Gaforio de Clauaro et Johanni Columbo quod intercessistis pro me Octo nobilibus quod ego ero in galeis que debent mitti Septam pro Communi Janue, et quod obligastis uos et bona uestra eisdem pro me ut in cartulario Communis continetur, unde promitto uobis quod si aliquod dampnum uel grauamen habueritis uel substiueritis ab ipsis Octo uel ab aliqua persona pro ipso Communi Janue occasione dicte obligacionis et inteicessionis quod extraham et conseruabo uos indempnes et restituam et emendabo totum dampnum quod inde habueritis infra dies XV postquam per uos uel uestrum nuncium fuero requisitus, sub pena dupli de quanto damnum passi fueritis uel grauamen et sub obligacione bonorum meorum, et sic i uro ad sancta Dei euangelia attendere et obseruare ut supra. Testes-Rogedrius iudex et Johannes Sclafa de Clauaro. MCCXXXV indicione VII, die XIII aprilis ante terciam. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de porta, 1214-1240, fol. 134 v. N 1. 9. Bertolotto, figlio di Ingone della Volta, costituisce suo procuratore suo fratello Lanfranco perchè regga in sua vece la podesteria di Groppo, fino al suo ritorno dalla spedizione di Ceuta. 14 aprile 1235. Ego Bertolotus filius domini Ingonis de Volta constituo te Lanfrancum fratrem meum et loco mei et uice pono ad regendum et tenendum potestatiam de Gropo usque ad aduentum de Septa et ad iusticiam et racionem faciendam inter homines ipsius potestatie et ad recipiendum omnes condiciones et drictus quas et quos in eadem potestatia sum recepturus, dans tibi plenam licenciam et bailiam ut predicta omnia usque ad aduentum meum facere possis et debeas, sicut egomet possum et possem et quidquid inde feceris in predictis occasione predictorum ratum et firmum habere et tenere promitto. Testes Pascalinus de Mancasco et Rodegerius iudex et magister Ni-colosus. MCCXXXV indicione VII, die XIIII aprilis inter primam et terciam. Not. Enrico de Porta, 1214-1240, fol. 135, N. 1. — 291 — io. Marchesio calzolaio da Sori e suo figlio Marinetto dichiarano di aver ricevuto da Marco della Ferrara da Usciano 36 soldi genovini e che per questa somma Marinetto andrà in vece di Marco all’impresa di Ceuta, che prepara il Comune di Genova. 14 aprile 1235. Nos Marchisius calegarius de Sauro qui sto ad Sanctum Donatum et Marine-tus eius filius confitemur accepisse a te Marcho de la Ferrara de Usiano solidos tringita sex denariorum Janue abrenunciantes excepcioni non numerate pecunie prò quibus ego Marinetus iussu patris mei dicti promitto et conuenio tibi dicto Marcho prò te et tuo nomine et prò tuo cambio ire in galeis siue lignis que debent mitti Septam pro Communi Janue. et stare in eis tamdiu quam fuerit de uoluntate superstantis ipsis lignis, promittentes tibi quisque nostrum in solidum extrahere te et liberare et indempnem conseruare ab omni dampno et grauamine quod inde a Communi Janue uel aliqua persona pro ipso Communi possis substinere et habere. Alioquin penam dupli de tanto quantum dampnum passus fueris uel grauamen tibi stipulanti promittimus obligantes inde tibi omnia nostra bona pignori, quisque nostrum in solidum, abrenunciantes noue constitucioni et epistole diui Adriani, et ego dictus Marinetus specialiter facio hec predicta consilio Johannis de Porta et Bertramis de Turgio guar-datori quos meos appello uicinos et propinquos et confiteor me esse maiorem annis decem et septem. Iurantes ut supra attendere et obseruare et non contrauenire nisi iusto Dei impedimento. Testes Jacobus de Sexto et dicti consiliatores. MCCXXXV indicione VII, die XIIII aprilis inter terciam et nonam. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214-1244, fol. 135 v. N 2. 11. Pasqualino, figlio di Colombo da C hia p peto dichiara di aver ricevuto quaranta soldi genovini pei quali si obbliga a partecipare all’impresa di Ceuta che prepara il Comune di Genova, in luogo di Vassallo di Pietramanza. 16 aprile 1235. Ego Pascalinus filius Columbi de Clapeto confiteor tibi Vassallo de Petraman-ça me habuisse et recepisse a te Ottonebono de Bosco rectore de Serra solidos quadraginta quinque jonuinorum abreuuncians excepcioni non numerate pecunie pro quibus promitto et conuenio tibi ire prò te et tuo nomine et prò cambio tuo in galeis siue lignis que mittentur Septam pro Communi Janue et in eis stare et seruire tamdiu quod fuerit de uoluntate superstantis ipsis lignis, sub pena dupli et obligacione bonorum — 292 — meorum. Insuper Marchisi us Ferrus promitto et conuenio tibi dicto Vassallo de Petra me facturum et curaturum ita quod dictus Pascalinus attendet et obseruabit ut supra. Alioquin promitto tibi te extrahere et deliberare et indempnem conseruare ab omni damno et grauamine quod i ude a Communi Janue uel ab aliqua persona pro ipso Communi posses pati uel sustinere, sub pena dupli de quanto dampnum passus fueris uel substinueris occasione predicta et sub obligacione bonorum meorum, abrenuncians juri de principali primo conueniendo. Testes Rodegerius Judex, et Johannes Quatuor Uxores. MCCXXXV indicione VII. die XVI aprilis inter primam et terciam. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214-1244, fol. 137, v. N. 1. 12. Trencherio Gallo, di Portomaurizio dichiara di aver ricevuto da ldone di Roescalla figlio di Rabagio de Murta, 4 lire e 7 soldi genovini, pei quali andrà in sua vece nella spedizione di Ceuta. 21 aprile 1235. Ego Trencherius Gallus de Portomauricio confiteor me accepisse et habuisse a te Idone de° Roescalla filio Rabagii de Murta libras quatuor et solidos septem januinorum in quibus sunt computate libre tres quas a Communi Janue accepisti de quibus omnibus a te me bene quietum et solutum uoco abrenuncians excepciom non numerate pecunie pro quibus promitto et conuenio tibi ire in galeis siue lignis Communis Janue que Septam mitti debent pro eodem Communi, et stare in eis tantum quantum fuerit e uoluntate Amiragii seu comitis ipsorum lignorum, bene guarnitus uno corello erreo ue pancera et una capellina, scuto et spata et lancea et aliis armis necessariis *lu® 1 imposite fuerint ad portandum, alioquin penam dupli tibi stipulanti promitto, obligans inde tibi omnia mea bona pignori. Insuper ego Bonifacius de Portumauricio promitto et conuenio tibi dicto Idoni me facturum et curaturum ita quod dictus Trencherius attendet et obseruabit ut supra et quod te extraham et deliberabo et indempnem conseruabo ab omni dampno et grauamine quod inde a Communi Janue uel ab alia persona pro ipso Communi pati uel substinere posses constituendo me inde primum et principalem debitorem abrenuncians juri de principali primo conueniendo. Alioquin penam dupli dicte quantitatis tibi stipulanti promitto, obligans inde tibi omnia mea bona pignori. Testes Bonusuassalus judex Scala, Vitalis notarius et magister Nicolosus MCCXXXV. indicione VII, die XXI aprilis inter nonam et uesperas. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214-1244 fol. 139 v. N. 1. — 293 — 13. Oliva, moglie di Enrico de Orto e Brasilotto suo figlio, liberano da ogni responsabilità Ottone de Cruce che aveva garantito agli Otto Nobili del Comune di Genova che Brasilotto sarebbe andato all’impresa di Ceuta. 26 aprile 1235. Nos Oliua uxor Enrici de Orto et Braxilotus eius filius confitemur tibi Ottoni de Cruce quod intercessisti pro me Braxileto Octo nobilibus de libris tribus januinorum ex eo quod debeo ire in galeis Communis Janue que debent mitti Septam pro ipso Communi et te tua ipsis Octo obligasti unde promittimus tibi quisque nostrum in solidum extrahere et deliberare et te iudempnem conseruare a dicto Communi et ab omni alia persona pro ipso Communi occasione dicte obligacionis et intercessionis sub pena dupli de quanto dampnum passus fueris uel grauamen, et sub obligacione bonorum nostrorum quisque nostrum in solidum, abrenunciantes noue constitucioni et epistole diui Adriani, faciens hec ego dicta Oliua consilio Rolandi Barbani et Jacobi notarii quos meos appello uicinos et propinquos. Testes Joannes de Carro et dicti consiliatores MCCXXXV indicione VII, die XVI aprilis inter nonam et uesperas. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214-1244 fol. 138 N. 1. 14. Simonetto da Bargagli fu Ruffino di Rozo, dichiara di liberare da qualsiasi responsabilità Giovanni di Lavagna che si era reso mallevadore presso gli Otto Nobili di Genova per Simonetto che doveva partecipare all’impresa di Ceutv nelle navi del Comune. 28 aprile 1235. Symonetus de Bargalio quondam Rufini de Roço confiteor tibi Johanni de Lauania quod intercessisti pro me Octo nobilibus de eo quod debeo ire in nauibus Communis Janue que debant mitti Septam pro Communi Janue et quod te et tua bona eia inde obligasti, unde promitto tibi te extrahere et deliberare et indempnem conseruare a dicto Communi et ab omni persona prò ipso Communi de omni dampno et grauamine quod ab ipso Communi occasione diete obligacionis et intercessionis habere posses et sustinere sub pena dupli de tanto quantum dapnum passus fueris tibi stipulanti promissa et sub obligacione bonorum meorum, jurans ut supra attendere et obseruare et non contrauenire et confiteor me esse maiorem annis viginti quinque. Testes Ansaldus Buferius et Albertus Leon. Millesimo CCXXXV indicione VII, die XXVIII aprilis inter nonam et vesperas. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214-1244 fol. 142 v. N. 1. — 204 — 15. Manfredino da Bergamo, Pietro da Bergamo, Janabel da Lodi, abitanti in Lodi, dichiarano di aver ricevuto da Durante di Andrea di Corvaria, da Bianeto figlio di Aicardo e da Guglielmo da Priore tredici genovine e mezza, per il quale compenso promettono di andare in loro vece nella spedizione contro Ceuta. 29 aprile 1235. Nos Manfredinus de Bergamo et Petrus de Bergamo et Janabel de Laude habitatores Laude quisque nostrum prò tercia parte confitemnr accepisse et habuisse a uobis Durante de Andrea de Coruaria et Bianeto fìlio Aicardi et Willelmo de Priore libras tredecim et dimidiam denariorum Janue abrenunciantes excepcioni non numerate pecunie pro quibus quilibet nostrum pro parte sua uidelicet ego Manfredinus dictus pro Bianeto et ego Petrus de Bergamo prò Durante et ego Janabel prò Willelmo Priore promittimus et conuenimus cuilibet uestrum ut supra dictum est ire prò uobis et uestro nomine et prò uestro cambio in nauibus Communis Janue que debent mitti Septam pro ipso Communi et stare in eis et seruire tamdiu quod fuerit de uoluntate comitis siue Amiragii ipsarum nauium et portare arma illa que nobis fuerint imposita ad portandum per Octo nobiles. Insuper promittimus et conuenimus quisque nostrum illi pro quo uadit cambium extrahere illum et conseruare indempnem a Communi Janue et omni alia persona pro ipso Communi et restituere et emendare totum dampnum ipsum infra mensem unum postquam quilibet nostrum fuerit requisitus ab illo pro quo vadit cambium et hoc sub pena dupli de tanto quantum danpnum proinde passi fueritis uobis stipulata et promissa et sub obligacione bonorum nostrorum. Insuper ego Petrus de Bergamo qui sto in Suselia promitto et conuenio uobis predictis Durante et Bianeto et Willielmo me facturum et curaturum ita-quod predicti Manfredinus et Petrus et Janabel attendent et obseruabunt ut supra uobis promiserunt et conue-nerunt quod si non fecerit uel ut supra non obseruauerit promitto uobis restituere et emendare totum infra mensem unum postquam a uobis uel aliquo uestrum fuero requisitus illud dampnum quod inde passi fueritis a Communi Janue uel ab aliqua persona pro ipso Communi credendo uobis de dicto dampo et expensis quod uel quas proinde feceritis et substinueritis in uestro sacramento, et hoc sub pena dupli tocius dampni et expensarum quod uel quas passi fueritis uobis stipulantibus promitto rato manente pacto, constituendo uobis inde me primum et principalem debitorem et pagato-rem. Abrenuucians iuri de principali primo conueniendo pro qua pena dupli et ad sic obseruandum omnia bona mea uobis pignori obligo. Testes Gualducius de Coruaria et Tealdus filius Armanenti Ferri de Coruaria et Petrus de Georgio de Coruaria. MCCXXXV indicione VII. die XXVIIII aprilis post terciam. Actum Janue in apotheca Sancti Laurentii quam tenet Lantelinus notarius. Not. Enrico de Porta, 1214-1244, fol. 142, N. 3. 295 16. (1) ........ di S. Lorenzo costituisce suo procuratore Oberto Zocolario per riscuotere dal Comune di Genova tutti i denari dovuti per la spedizione di Ceuta sulla galea di Savona e nel bucio dei Corsi. 31 maggio 1235. + Ego..............de Sancto Laurencio constituo te Obertum zocolarium meum certum nunoium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a communi Janue omnes soldos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii Septe quo ivi in galea Saone et redii in bucio corsorum prò dicto comuni et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub volta Fornariorum die XXXI madii inter nonam et vesperas. Testes Macia lanerius et Oliverius fratres. MCCXXXVI. Not. Bonvassallo di Cassina registro degli anni 1237 in 39, fol. 33 v. 17. Martino Merello di Bargono, da Sestri, costituisce suo procuratore Pietro Battisacco per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la partecipazione all’impresa di Ceuta nella galea del Bisagno. 14 luglio 1236. Ego Martinus Merellus de Bargono de Sigestro constituo ordino et facio te Petrum Batisachum presentem et recipientem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et recipiendum a Communi Janue uel a quacumque persona prò dicto Communi illos solidos quindecim Janue quos recipere debeo a dicto Communi occasione exercitus et galearum Septe in quo fui prò dicto Communi in galea Bissanis ut ipsos solidos quindecim pro me et nomine meo a dicto Communi possis exigere et recipere sicut egomet possim et te procuratorem ut in rem tuam te ordino facio et constituo promittens quod quicquid inde feceris de predictis et occasione predictorum ratum et firmum habebo sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub porticu domus quondam Ogerii Panis die XIIII julii (MCCXXXVI) inter terciam et nonam. Testes Adaminus Scriba de Castro et Magister Januinus. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 144 v. N. 1. (1) Lacuna nel testo. — 296 — 18. Giovanni di Monleone costituisce suo procuratore Guglielmo de Garibaldo, scudaio, per riscuotere dal Comune di Genova ciò che gli è dovuto per la, partecipazione all’impresa di Ceuta nella galea di Oglerio di Baldovino, e, nell'andata, nel bucio dei Corsi. 15 settembre 1236. Ego Johannes de Monleono constituo te Guillermum scutarium de Garibaldo presentem et recipientem meum procuratorem et specialem nuncium ad petendum et exigendum pro me et nomine meo solidos triginta januinorum et totum id quod in cartulario Communis Janue uel in alia scriptura autentica dicti Communis reperiretur me habere debere pro seruicio quod feci et gessi stando in exercitu januensi apud Septam in galea Oglerii de Baldoino et eundo in bucio corsorum uersus Septam, et qui denarii restant mihi habendum de mense uno et dimidio, constituens te ut dictos denarios possis petere et exigere a dicto Communi et ab omni persona pro ipso Communi existen-te, promittens quod quicquid inde feceris me ratum et firmum habere et tenere et in aliquo contra non uenire sub obligacione bonorum meorum. Testes Obertus de Terredo notarius et Arnaldus de Aqui habitator Janue. Actum in angulo domus quam habitat magister Bartholomeus notarius die XV septembris (MCCXXXVI) inter terciam et nonam. Not. Giovanni Vegio, 1235-1253, fol. 13 v. N. 1. 19. Giovannino Raficota, di Ventimiglia, elegge per suo procuratore Giovanni Capsiario notaro, perchè riscuota dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la parte presa sulla galea di Ventimiglia alla spedizione di Ceuta. 15 settèmbre 1286. Ego Johanninus Raficota de Vintimilio in presencia iussu et voluntate Simonis patris mei constituo ordino et facio te Johannem Capsiarium notarium presentem et reccipientem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum et reccipiendum a communi Janue vel ab aliquo alio prò ipso communi solvente soldos meos quos servivi in Galea Ventimilii que iuit Septam et Yspaniam prò communi Janue et in servicio communi Janue promittens quicquid inde feceris in predictis vel circa predictam me ratum et firmum habiturum et teniturum sub obligatione bonorum meorum. Actum Janue ante domum S. Laurentii qua moratur Guillielminus Capsiarius die XV septembris ante terciam. (MCCXXXVI. indictione VIII) Testes Rodegerius Judex et Petrus Cicada. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 148, N. 3. 297 — 20. Nicola da Oentarena di Messina costituisce suo procuratore Alamanno di Rubaldo per riscuotere la paga che gli deve Tealdo da Porlovenere perchè servì da marinaio nella sua galea nel viaggio di Ceuta. 21 novembre 1236. Ego Nichola De Centareni de Messana constituo ordino et facio te Alamanum de Rubaldo presentem et reccipientem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et reccipiendum a Tealdo de Portuveneris vel ab aliquo pro eo soldos quattuordecim Janue quos mihi dare debet pro marinaria cuiusdam viatici maritime quem cum eo feci in sua Galea et ad omnia faciendum in iudicio et extra sicut ego possum et omnia facienda que merita earum postulant promittens quicquid inde feceris ratum et firmum habebo et tenebo sub obligatione bonorum meorum. Actum Janue ante domum qua maratur Paganus Judex de Cucurno. Die XXI novembris post completorium Testes Bartolameus Executor et Enricus draperius de Porta (MCCXXXVI indictione nona). Not. Gian Dino de Predono, I, fol. 153, N. 3. 21. Guglielmo Rosso di Montenero costituisce suo procuratore Pasquale di Montebruno per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la spedizione di Ceuta. 5 gennaio 1237. -(- Ego Wilielmus Rubeus de Montenigro constituo te Paschalem de Montebruno meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos meos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii Septe quo ivi prò dicto comuni et redii. et quicquid fecerit in predictis dictus Paschal ratum et firmum habere promito sub obligacione bonorum meornm. Actum Janue sub volta Fornariorum. Testes Girardus de Cruce et Obertus Cafaraina. die V januarii preter terciam MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 49 v. — 298 22. Guglielmo Negro Scarampa costituisce suo procuratore Giovanni figlio di Guglielmo Girbaldo, perchè riscuota la somma dovutagli dal Comune di Genova per la spedizione di Ceuta. 5 gennaio 1237. + Ego Willielmus Niger Scarampa constituo te Johannem fiilium Wilielmi Girbaldi meum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et reccipiendum a comuni Janue et ab octo nobilibus pro communi omnes soldos et denarios quos reocipere debeo a dicto comuni occasione viagii de Septa, quo ivi pro dicto comuni et redii, et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obbligacione bonorum meorum. Acfcum Janue sub volta Fornariorum die V januarii MCCXXXVII. ante terciam. Testes Johannes de Sigestro et Bonsegnor hosbergerius. Not. Bonvassallo de Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 49 r. 23. Enrico Margone (1), detto Bianco, costituisce suo procuratore Benvenuto pizzicagnolo per riscuotere le somme dovutegli dal Comune di Genova per la spedizione di Ceuta. 16 gennaio 1237 + Ego Enricus Margonus qui dicor Blancus constituo te Benvegnutum forma-iarium meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue et octo nobilibus pro comuni omnes soldos meos et denarios quos rec-cipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni et redii et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito. sub obligacione bonorum meorum, et ivi in Galea Rollandi de Portuvenere. Testes Paschal de Costa de Rappallo. et Octo de Sancto Laurencio. Actum Janue sub volta Fornariorum die XVI januarii inter nonam et vesperas MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 54 v. (1) Margone, palombaro? — 299 — 24. Bruscalupo di Portovenere costituisce suo procuratore Melano di Portovenere per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la spedizione di Ceuta. 16 gennaio 1287. + Ego Bruschalupns de Portuvenere constituo te Melanum de Portuvenere meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue. et octo nobilibus pro comuni omnes soldos meos et denarios et cetera ut supra in proxima carta. Testes Pasohal de Costa et Blantinus de Canneto. Actum Janue sub volta Pomariorum, die XVI januarii inter nonam et vesperas. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cabina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 55 r. 25. Pasquale di S. Lazzaro costituisce suo procuratore Guglielmo Boleto per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la spedizione di Ceuta a cui partecipò come balestriere nella galea di Anfosso Arcanto. 18 gennaio 1237. + Ego Pascal de Sancto Lazaro constituo te Wilielmum Bolletum meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum in iudicio et extra a comuni Janue, et octo nobilibus pro comuni omnes soldos meos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasioni viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni et redii pro balistario in Galea Anfussi Archanti. et possis alium procuratorem et nuncium tuo loco et vice constituere ad dictos soldos exigendos et ree-cipiendos et quicquid feceris in predictis ratum et lirmum habere et tenere sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub volta Fornariorum die XVIII januarii ante terciam. MCCXXXVII. Testes Marchus Ventus et Opizo notarius. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 55 v. 300 — 26. Giovanni da Bobbio e suo figlio Corrado di S. Giorgio dichiarano di aver ricevuto quattro genovine meno cinque soldi, ricevute da lui, per conto di Corrado, dal Comune di Genom, per la spedizione di Ceuta. 18 gennaio 1237. + Nos Johannes de Bobio et Conradus de Sancto Georgio eius filius confitemur accepisse a te Johanne Bergoguono libras quatuor minus soldos V. quos pro me Conrado reccepisti ab octo nobilibus pro comuni sive ab aliis pro comuni pro soldis mei viagii Septe. Renunciantes exceptioni non numerate pecunie et non accepte pro-mitentes tibi nos nullam de cetero occasione dictarum librarum UII. minus soldorum \ . adversus te vel heredes tuos facere requisicionem nec acionem movere, per nos ^el alium pro nobis et ab omni dampuo ad quod propterea incureres te extrahemus et liberabimus. Alioquin si de predictis in aliquo contrafecerimus penam etc. pro pena vero et dictis omnibus omnia bona nostra etc. Jurans ego Conradus ut supra atendere et complere, confitens me esse maiorem annis XVIII. hec omnia faciens consilio Oberti tinctoris de Levallibus et Johannis patris mei. Testes Andreas taia- tor et dicti consiliarii. Actum Janue sub volta Fornariorum die XVIII januarii ante terciam. MCCXXXVII. Not. Bonvasallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 55 v. Ugo Denti, fabbro, costituisce suo procuratore Giacomo speziale, figlio di Aicardo del Mercato del grano, perchè riscuota dal Comune di Genova la somma dovutagli pel maggio di Ceuta nella nave di Rolando Lavaggi e sodi 25 gennaio 1237. Ego Ugo Dentes ferrarius constituo ordino et facio te Jacobum Speciarium filium A leardi de mercato grani presentem et reccipientem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et reccipiendum a communi Janue vel ab aliquo alio prò ipso communi solvente libras VII Januinorum pro soldis quos servivi in bucio naue Mandi Lavagii et sociorum et pro diebus XV pro vianda tantum quantum fuerit constitutum pro communi Janue in quo bucio nave iui Septam et Yspan.am in sermcio communis Janue promittens quicquid inde feceris de predictis tam in excusando m condempnatione tua quam in aliis me ratum et firmum habitu-rum et teniturum sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue ante Apothecam quam tenet dictus Jacobus et fratres, die XXV Januarii circa sera Testes. Johannes Lauamnus drapenus et Ugo Barbenus de Sigestro (MCCXXXVII, indictione nona). Not. Gianuino de Predono, I, fol. 156, N. 2. 301 — 28. Geraldino della Foce, di Novi, costituisce suo procuratore Guglielmo di Prione per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la spedizione di Ceuta, a cui prese parte nella, galea di Gallo di Portovenere. 7 febbraio 1237. + Ego Girardinus de Fuce de Nova constituo te Wilielmum de Preone meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum prò me a comuni Janue et octo nobilibus pro comuni omnes soldos meos et denarios quos recipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni et redii in Galea Galli de Portuvenere. et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub volta Fornarium. die VII februarii inter terciam et nonam. Testes Bartholomeus Falaca et Rubaldus de Marino. MCCXXXVII. Not. Bonvasallo di Cassina, registro degli altri anni 1237 in 39, fol. 60 v. 29. Moruello figlio di Ventura di Poenzola e suo procuratore, dà procura a Festa di Poen-zola per riscuotere dagli Otto Nobili ciò che è dovuto a lui ed al padre per la spedizione di Ceuta a cui partecipò Tedesco di Poenzola. 9 febbraio 1237. + Ego Moroelus filius Venture de Poenzola et eius procurator constitutus ab eo ut aparet per cartam inde factam constituo te Festam de Poenzolo meum certum nuncium et procuratorem et dicti patris mei ad exigendum petendum et recipiendum a comuni Janue et octo nobilibus pro comuni omnes soldos et denarios quod dictus pater meus et ego pro eo recipere debet et habere a dicto comuni, occasione viagii de Septa, quo Todeschus de Poenzol quondam frater meus ivit pro dicto comuni et ocasione ven-dicionis quam Reaguinus filius quondam Faconcelli de Poenzol fecit dicto quondam Thodescho fratri meo de soldis et denariis quos reccipere debebat a dicto comuni ut per aliam cartam inde factam aparet. et quicquid feceris in predictis et in aliquo pre-dictorum ratum et firmum habere promito et dictus pater meus habebit sub obligacione bonorum meorum et dicti patris mei. Testes Symon de Castro et Ganducius taiator. Actum Janue sub volta Fornariorum die VIIII februarii inter terciam et nonam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 62 r. — 302 :to. Morando da Miliano, in pagamento di un mutuo ricevuto, accredita Anseimo calzolaio della somma che gli deve il Comune di Genova per la spedizione di Ceuta. 20 febbraio 1237. + Ego Morandus de Miliano confiteor me debere dare tibi Anseimo calegario soldos XX. Janue qui restant tibi ad solvendum de soldis XXX. quos tibi dare debebam ex mutuo quod mihi fecisti secundum quod continetur in carta facta manu Alberti de Laude notarii, quos soldos viginti volo quod tu habeas et percipias a comuni Janue de soldis meis et denariis quos a dicto comuni reccipere debeo occasione viagii Septe quo ivi prò dicto comuni cedens eciam tibi iura que habeo versus dictum comune pro soldis meis quantum pro soldis XX. et procuratorem ut in rem tuam te inde constituo, et promito tibi quod si dictos soldos viginti non habueris a dicto comuni vel aliquo pro comuni infra dies Vili, posquam marinarii vel maior pars eorum qui iverunt pro comuni Septam in Galea qua iverunt homines de Vernacia ego dictos soldos viginti tibi dabo et solvam infra dictos dies VIII. Alioquin si de predictis in aliquo etc. rato manente pacto pro sorte vero et pena etc. Jurans etc. et quod dictos soldos viginti a comuni te accipere permitam et non impediam. Testes Petrus Crispinus et Obertus de Cavacia de Riparolio. Actum Janue sub volta Fornariorum die XX februarii ante terciam MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 66 r. 31. Giovanni Riccio costituisce suo procuratore Simone Riccio per riscuotere dal Comune quanto gli deve per la spedizione di Ceuta alla quale prese parte nella galea degli uomini di Val Bisagno. 23 febbraio 1237. + Ego Johannes Ricius constituo te Symonem de Ricio meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto Comuni occasione viagii de Septa quo ivi prò dicto comuni in Galea qua iverunt homines vallis bisanis. et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub volta Fornariorum. die XXIII februarii inter nonam et vesperas. MCCXXXVII. Testes Girardus de Cruce et Rainaldus Bonifacius. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 69 r. — 303 — 32. Bonincerto Mereiaio, balestriere, da Pisa, costituisce suo procuratore Simone Belmosto perchè riscuota dal Comune di Genova la paya che gli deve pel servizio prestato nella galea Cancelliere e Mignardi nella spedizione di Ceuta. 24 febbraio 1287. Ego Bonus Incertus Mercerius Balestrarius de Pissis constituo ordino et facio te Symonem Belmustum presentem et reccipientem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et reccipiendum a comuni Janue uel ab aliquo alio prò ipso communi solvente soldo meos quos servivi in Galea Cançelerie et Mignardi que ivit Septam pro communi Janue et in servicio comunis Janue de mensibus V promittens quicquid inde feceris in predictis et circa predicta ratum et firmum habere et tenere sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue ante domum canonicorum S. Laurencii MCCXXXVII indictione nona, die XXIIII februarii inter nonam et vesperas. Testes Lanfrancus Peronus iunior et Petrus Contardus. Not. Gianuino de Predono, I. fol. 158, N. 2. 33. Anmldino e Bianca de Servo, Arnaldo de Oliveto, come erede di Obertino da Oliveto suo fratello, costituiscono loro procuratore Olderico de Servo perchè riscuota dal Comune di Genova quanto deve per la spedizione di Ceuta alla quale Ansaldino, Bianco e il fu, Obertino presero parte nella galea di Albenga. 26 febbraio 1237. Nos Ansaldinus et Blanchus de Servo et Arnaldus de Oliveto nomine Obertini de Oliueto quondam fratris mei constituimus ordinamus et facimus te Oldricum de Servo presentem et reccipientem nostrum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et reccipiendum a communi Janue vel a quacumque alia persona pro ipso communi soluente soldos nostros quos ego Ansaldinus predictus et Obertinus de Oliueto frator mei Arnaldi quondam seruiuimus in Galea Albingane que iuit apud Septam in servicio communis Janue promittens quicquid inde feceris in predictis vel circa predicta ratum et firmum habebimus et tenebimus sub obligacione bonorum nostrorum. Actum Janue ante domum canonicorum S. Laurencii die XXVI februarii inter nonam et vesperas. Testes Thomas de Sancto Laurencio et Reynaldus de Prema-uico. (MCCXXXVII, indictione nona). Not. Gianuino de Predono, I, fol. 160, N. 1. — 304 — 34. Obertiìio da Portovenere costituisce suo procuratore Simone da Albaro perchè riscuota dal Comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta alla quale egli partecipò nella galea di Polcevera. 26 febbraio 1237. + Ego Obertinus de Portuvenere constituo ordino et facio te Symonem de Albario presentem et reccipientem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et recipiendum a communi Janue vel a quacunque alia persona prò ipso communi solvente soldos meos quos seruiui in Galea pulcifere cuius comitis erat An-fussus Archantus et que iuit apud Septam in servicio communis Janue promittens quicquid inde feceris in predictis uel circa predicta ratum et firmum habere et tenere sub obligatione bonorum meorum. Actum Janue ante domum canonicorum S. Laurencii die XXVI februarii post vesperas (MCCXXXVII, indictione nona). Testes Johannes Barberius et Iohannes de Pratolongo de mercato grani. Not. Giancino de Predono, I, fol. 160, N. 3. 35. Tommaso Furello costituisce suo procuratore Mediolano da Portovenere per riscuotere dal Comune quanto gli deve per la spedizione di Ceuta. 26 febbraio 1237. -f Eo-o Thomas Furellus constituo te Mediolanum de Portuvenere meum certum nuncium et procuratorem ad esigendum et recipiendum pro me a comuni Janue omnes soldos meos et denarios quos a dicto comuni recipere debeo occasione viagii de Septa quo ivi prò dicto comuni, et de eo quod inde habueris possit tibi tenere libras III. quas tibi dare debeo et mihi mutuasti, et de quibus mihi ad presens cartam facturus es. et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub pena dupli et obligacione bonorum meorum. Testes Fredericus de Ripa et Obertus de Porta de Rapallo. °Actum sub volta Fornariorum die XXVI februarii ante terciam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1257 in 39, fol 70. r. — 305 — 36. Nicola da Iiecco costituisce suo procuratore Bonvassallo cinturiere per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la spedizione di Celila a cui prese parte nella galea di Melano da Portovenere. 28 febbraio 1237. + Ego Nicola de Recho constituo te Bonumvassallum centurerium meum certum nuucium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos meos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi prò dicto comuni in Galea Melani de Portuvenere et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promitto sub obligacione bonorum meorum. Testes Jacobus Razia, et Joannes Placentinus. Actum Janue sub volta Fornariorum die XXVIII. februari ante terciam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 73 r. 37. Giacomo de Vita, di Portovenere. costituisce suo procuratore Villano da Portovenere per riscuotere dal Comune di Genova quanto gii deve per la spedizione di Ceuta a cui prese parte nella galea di Bonavia. 5 marzo 1237. Ego Jacobus de Vita de Portuvenero constituo Villanum de Portuvenero meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos meos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagn ultramaris quo ivi prò dicto cumuni in Galea Bona vie et quicquid feceris id predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Testes Nicoletus de Clavaro et Rollandus tornator. Actum Janue sub volta Fornariorum, die V martii, inter nonas et vesperas. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1273 in 79, fol. 75 r. 20 — 306 — 38. Zenoese di Portovenere costituisce suo procuratore, per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta, Viviano di Portovenere nella galea del quale si era imbarcato. 5 marzo 1237. Ego Zenoese de Porfcuvenero constituo te Vivianum de Portuvenero meum certum nuncium °et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos meos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii Ultramaris quo ivi prò dicto comuni in Galea tua, et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere promitto sub obligacione bonoium meorum. Testes Fredericus de Ripa et Johannes Ratus. Actum sub volta fornariorum, die V marcii, inter nonam et vesperas. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 75 r. 39. Simona, moglie di Marco di Cravano, dichiara di aver ricevuto da Melano di Portovenere tre bisanti di migliaresi, sulla paga del figlio Opezzino morto a Ceuta. 6 marzo 1237. Ego Svmoiia uxor Marchi de Cravano confiteor me accepisse a te Melano de Portuvenero bisancios tres de milarensibus quos habuisti de rebus sive de soldis C picini quondam filii mei qui obiit in partibus Septe. Renuncians etc. Promitens tibi me nullam occasione dictorum bisanciorum adversus te facere requisicionem. et ab omni dampno ad quod incurreres occasione dictorum bisanciorum te et heredes tuos extraham et liberabo. Alioquin penam dupli stipulanti spondeo de quanto contrafecero, prò pena vero et dictis omnibus omnia ’bona mea habita et habenda tibi pignori ob igo. Hec omnia faciens consilio Jacobi de Fossato generi mei et Alberti de Panisi quos meos propinquos et vicinos appello. Actum Janue sub volta Fornariorum. Testes V^l anus e Casteleto et dicti consiliatores. dieVI marcii inter terciam et nonam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 75 r. — 307 — 40. Giovanni Pellegrino, da Chiavan, costituisce suo procuratore il prete Guadagno, custode di S. Lorenzo, perchè riscuota dal Comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta a cui prese parte nella galea di Chiavari. 6 marzo 1237. Ego Johannes Pelegrinus de Clavaro constituo ordino et facio te Presbiterum Guadagnum custodem Sancti Laurencii presentem et reccipientem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et reccipiendum a communi Janue vel a quacunque alia persona prò ipso communi soluente solidos meos quos seruiui apud Septam in seruicio communis Janue in Galea Clavari que iuit apud Septam in seruicio communis Janue. promittens quicquid inde feceris in predictis vel circa predicta ratum et firmum habere et tenere et non comtrauenire sub obligatione bonorum meorum. Actum Janue ante domum canonicorum S. Laurencii die VI Marcii ante terciam (MCCXXXVII, Indictione nona). Testes Octobonus Bachimus et Petrus Vetulius. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 161; N. 2. 41. Gibertino da Piconegrario costituisce suo procuratore Nicola da Montello per riscuotere dal comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta. 7 marzo 1237. -f Ego Gibertinus de Ficunegrario constituo Nicolam de Mantello meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum prò me a comuni Janue et octo nobilibus pro comuni omnes soldos meos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni, et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Testes Caretus tabernarius et Johannes de Monleone. Actum sub volta Fornariorum die VII marcii ante terciam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 76 r, — 308 — 42. Alberto Pasquale da Moneglia, costituisce suo procuratore Rodevamo guardatore perchè riscuota dal Comune di Genova la paga dovuta al figlio Guirolo, che andò a Ceuta nella galea di Sestri (Levante). 7 marzo 1237. Ego Albertus Pascualis de Monelia nomine Guirolii filii mei quondam constituo ordino et facio te Rodegarium Goardatorem presentem et reccipientem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et reccipiendum a communi Janue vel a quacunque alia persona prò ipso communi soluente solidos quos quondam Giu-rolius dictus filius meus seruiuit in Galea Sigestri que iuit apud Septam in seruicio communis Janue promittens quicquid inde feceris de predictis uel circa predicta ìatum et firmum habere et tenere et non contrauenire sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue ante domum canonicorum Sancti Laurencii die VII Marcii ante terciam (MCCXXXVII, indictione nona). Testes Spata de Vignollo et Obertus executor de Alquata. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 161, N. 2. 43. Oberto Grillo di S. Romolo costituisce suo procuratore Pasquale da Montebruno per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la spedizione di Ceuta. 7 marzo 1237. + Ego Obertus Grillus de Sancto ftomolo constituo te Paschalem de Montebruno meum*certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue et octo nobilibus pro comuni omnes soldos meos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Testes Wilielmus spaerius et Wilielmus de Lagneto. Actum Janue sub volta Fornariorum. die VII marcii inter terciam et nonam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 76 v. — 3Ò9 — 44. Confortino del Borgo di Moneglia costituisce suo procuratore Oberto Bavoso per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la spedizione di Ceuta. 8 marzo 1287. -1- Ego Confortinus de burgo de Monelia filius quondam Filipi constituo te O-bertum Bavosum meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a communi Janue et octo nobilibus pro comuni omnes soldos et denarios quos a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni, et possis de eo quod a dicto comuni habueris pro me tibi tenere libras V. quos (sic) tibi dare pro viginti bisanciis de miliarensibus, quos mihi mutuasti et a te reccepi. et confiteor accepisse. Renuncians etc. et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere promito sub pena dupli et obligacione bonorum meorum. Testes Marchisius de Rapallo et Amio-onus de Sancto Saturnino. Actum Janue sub volta Fornariorum. die VIII mar-cii inter nonam et vesperas. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 77 r. 45. Pasquale Boccadasino costituisce suo procuratore Guglielmo Boccaccio, per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta a cui partecipò con la nave degli uomini di Reccoi 11 marzo 1237. + Ego Paschalis Bucaasini constituo te Wilielmum Bucacium meum ceçtum nuncium et procuratorem ad exigendum petendam et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos meos quos recipere debeo prò viagio Septe quo ivi prò dicto comuni in Galea qua ivernnt homines de Recho. Testes Wilielmus Revoita et Ricobonus de Sancto Ambrosio. Actum Janue sub volta Fornariorum. die XI marcii ante terciam. MCCXXXVII. : j . ’ i . * ‘ > * «,» > Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 79 r. — 310 — 4G. Sassetto da Diano costituisce suo procuratore Passalacqua di Brìenzono per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta a cui prese parte nella galea di Chiavari. 11 marzo 1237. + Ego Saxetus de Diano constituo te Pasalaiguam de Brienzono meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi prò ipso comuni in Galea de Clavari et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito, sub obligacione bonorum meorum. Testes Marchisins de Rapallo. et Fredericus de Ripa. Actum Janue sub volta Fornariorum die XI marcii inter terciam et nonam. MCCXXXVII. Not. Box vassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 81 r. ~ O “ / 47. Raimondo Baliono di Chiavari, Settembre di Chiavari. Oberto de Curte, Guglielmo e Marchesio de tìacezia costituiscono loro procuratore Ferro da Chiavari per riscuotere dal Comune quanto è dovuto loro per la spedizione di Ceuta. 13 marzo 1237. + Nos Ramoudus Balionus de Clavaro. September de Clavaro. Obertus de Curte. Wilielmus de Bacezia et Marchisius de Bacezia constituimus te Ferrum de Clavaro nostrum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipien-dum a comuni Janue omnes soldos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivimus pro dicto comuni et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promitimus sub obligacione bonorum nostro-rum. Actum Janue sub volta Fornariorum. Testes Bonusvassalus de Montegio. Opizo de Clavaro et Rollandus de Garibaldo. die XIII marcii ante terciam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo de Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 82 v. 48. Raimondo Paerna di S. Romolo costituisce suo procuratore Marcoaldo di S. Romolo per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta, a cui prese parte nella galea di Melano da Portovenere. 13 marzo 1237. 4- E^o Raimundus Paerna de Sancto Romulo constituo te Marchoaldum de Sancto Romulo meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos et denarios quos a dicto comuni reccipere debeo occasione viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni in galea Melani de Portuve-nere et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Actum sub volta Fornariorum. Testes Monterubeus. Rainaldus Bonifacius et Lanfrancus Mei. die XIII. marci ante terciam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 83 r. 49. Ugo Conte da Rapallo costituisce suo procuratore lngone Maizone per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta. 14 marzo 1237. + Ego Ugo Comes de Rapallo constituo te Ingonem Maizonum meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum prò me a comuni Janue omnes soldos meos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi prò dicto comuni, et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub volta Fornariorum, die XIIII marci inter terciam et nonam. MCCXXXVII. Testes Fulco Marzonus et Viviamus de Rapallo. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 83 v. — 312 — 50. Obet'to da Bistagno st tuisce suo procuratore Pietro Muratore perchè riscuota dal Comune di Genova quanto deve dargli per la spedizione di Ceuta a cm partecipò con la galea armata dagli Albenganesi. 15 marzo 1237. +■ Ego Obertus de Bestagno constituo te Petrum Muratorem meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum et reccipiendum prò me a comuni Janne omnes soldos meos quos reccipere debeo a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi prò dicto comuni in galea quam armaverunt Albinganenses et quicquid inde feceris ratum et firmum habere promito sub obligacione bonorum meorum. Testes Jacario-ta nepos Saoine de Castro et Salvus de Jocio. Actum Janue sub volta Fornariorum. die X\ marci inter nonain et vesperas. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 84 v. 51. Giovanni Avegno da Uscio, costituisce suo procuratore Rolando Medico, cappellaio, perchè riscuota quanto gli deve il comune di Genova per la spedizione di Ceuta alla quale prese parte nella galea di Recco. 16 marzo 1237. Ego Johannes Auegni de Augusio constituo ordino et facio te Rollandum Medicum Capelerium absentem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et reccipiendum a communi Janue vel a quacunque alia persona prò ipso communi soluente soldos meos quos seruiui in Galea Rechi que iuit apud Septam in seruicio communis Janue. promittens quicquid inde feceris de predictis vel circa predicta me ratum et firmum habere et tenere et in aliquo non contrauenire. sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue ante domum canonicorum S. Laurencii die XVI Marcii inter primam et terciam (MCCXXXVII indictione nona). Testes Symom Mus-sonus et Bernardus de Monleono. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 168, N. 2. — 313 — 52. Ugo Stecca, da S. Romolo, costituisce suo procuratore Vivaldo da Bogliasco perchè riscuota dal Comuue di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta a cui prese parte con la galea di Porto (Maurizio). 16 marzo 1237. -f Ego Ugo Stechade Sancto Romulo constituo te Vivaldum de Boiasco meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni in occasione viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni in galea de Portu, et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Testes Symon de Castro et Opizo notarius. Actum Janue prope domum Porcorum die XVI marcii inter terciam et nonam MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 8ó r. 53. Lanfranco Faraglione da Rapallo costituisce suo procuratore Rubaldo di Noatario per riscuotere dal Comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta a cui prese parte nella galea di Rapallo. 17 marzo 1237. I£go Lanfrancus Faraionus de Rapallo constituo Rubaldum de Noatario meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi in Galea de Rapallo, et quicquid fecerit inde ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Testes Ugezonus taiator et Nicola Archerius. Actum Janue sub volta Fornariorum. MCCXXXVII. die XVII marcii ante terciam indictione VIII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 3c), fol. 85 r. — 314 — 54. Oberto Ferro da S- Romolo costituisce suo procuratore Vivaldo da Bogliasco perchè riscuota dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la spedizione di Ceuta, a cui partecipò nel legno di Caracossa. 17 marzo 1237. + E^o Obertus Ferras de Sancto Romulo constituo te Vivaldum de Boiasco * O meum certum nuncium et procuratorem, ad exigendum petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni in ligno Caracoxe. et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere promito sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue in domo qua habitat dictus Vivaldus. Testes Obertus Brelius et Ugo Steca. Die XVII marcii ante terciam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 85 r. 55. Oberto Brelia da S. Romolo costituisce suo procuratore Vivaldo da Bogliasco perchè riscuota dal Comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceuta, a cui prese parte nella galea Lanfranco Spinola. 17 marzo 1237. + Ego Obertus Brelia de Sancto Romulo constituo te Vivaldum de Boiasco meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum, petendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos et denarios quos reccipere debeo et habere a dicto comuni occasione viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni in Galea Lanfranchi Spinu-le. et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito, sub obligacione bonorum meorum. Testes Ugezonus taiator et Ferrus Rainaldus. Actum Janue in domo quam habitat dictus Vivaldus die XVII marcii ante terciam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 85 v. 315 — 56. Tedisio di Bertolotto costituisce suo procuratore Alessandrino suo figlio perchè riscuota dal Comune di Genova quanto gli è dovuto per la spedizione di Ceuta. 17 marzo 1287. ■+■ Ego Thedisius de Bertholoto constituo te Alexandrinum filium meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum et reccipiendum a comuni Janue omnes soldos et denarios quos a dicto comuni reccipere debeo et habere occasione viagii de Septa quo ivi pro dicto comuni et quicquid feceris in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Testes Pinus de Camulio et Ido macellarius. Actum Janue sub volta Fornariorum. die XVII marcii ante terciam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 N. 39, fol. 85 v. 57. Pietro V crina costituisce suo procuratore Rubaldo Beivi osto, perchè riscuota dal Comune di Genova quanto gli deve per la spedizione di Ceida. 18 marzo 1237. 4- E>*o Petrus Verina constituo te Rubaldum Belmustum meum certum nun- 1 O cium et procuratorem ad exigendum petendum et recipiendum a comuni Jamie et omni persona prò comuni omnes soldos et denarios quos recipere debeo et abere a dicto comuui occasione viagii de Septa quo ivi prò dicto comuni, et de eo quod inde prò me habueris possis tibi tenere soldos XLIII. junue quos tibi adhuc dare debeo de precio grani quod a te recepi, et quicquid feceris in predictis ratum et iìrmum habere et tenere promito, sub pena dupli de quanto contrafieret. sub obligacione bonorum meorum. Testes Johannes Cafaraina. et Wilielmus Bormios. Actum Janue sub volta fornariorum die XVIII. marcii inter terciam et nonam. MCCXXXVTI. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 86 r. 316 — 58. Paganino di Alberto da Portovenere dichiara di aver ricevuto da Rolando Capellino la paga che gli doveva il Comune di Genova per la spedizione di Ceuta a cui partecipò nella galea di Gallo da Portovenere. 18 aprile 1237. Ego Paganinus de Alberto de Portuvenere confiteor me accepisse et habuisse a te Rollando Capellino integram solucionem de denariis quos pro me recepisti a comuni Janue prò seruicio quod feci in ytinere Galearum Septe quos seruiui in Ga-tea Galli de Portuvenere de quibus te feci meum certum nuncium et procuratorem in reccipiendo sicut continetur in carta mihi facta manu Thome Constacii notari ut dicimus, promittens tibi quod nullam de cetero aduersus te uel heredes tuos uel aliquam personam pro te per me vel aliquam personam pro me faciam requisitionem nec actionem movebo occasione predicta. alioquin penam dupli de quanto mihi requisitio facta fuerit tibi stipulanti promitto, et proinde omnia mea bona abita et habenda tibi pignori obligo. Actum Janue in domo dicti Rollandi die XVIII Aprilis circa terciam (MCCXXXVII, indictione nona) Testes Amicus magister axie et Conradus de Melaço. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 178, N. 3. V. L’esistenza di una mahona costituitasi per queste spedizioni di Ceuta è stata affermata sempre, dal Mas-Latrie al Manfroni, ed è stata negata dal Cessi. Dalla nostra documentazione sono chiarissimi tre distinti elementi finanziari]’ in legame con l’impresa di Ceuta, e cioè: mutui contratti dal Comune, un debito dei Sultano e una mahona. Ci fermeremo sul primo degli atti notarili che faremo seguire, e cioè quello del 15 settembre 1236, nel quale Guglielmo Fornari dichiara ad Andrea di Arnolfo che appartengono ad Arnolfo nella mahona di Ceuta quaranta bisanti, nel debito del Sultano cento bisanti, e nei mutui quindici bisanti di migliaresi, ma che, nelle rispettive partite, questi crediti sono intestati a lui Guglielmo. Una dichiarazione negli stessi termini, salve le cifre, egli rilascia nello stesso giorno a Fulco-ne di Cerro. Così fa anche Adelasia Fornari: e si vede che la famiglia Fornari aveva interessi e crediti in tutti e tre gli istituti. — 317 — Non ci occuperemo dei mutui, perchè non sono determinati, e d’altra parte conosciamo il sistema generale seguito dal tesoro genovese quando aveva bisogno di entrate straordinarie. Ci limiteremo al debito del Sultano é alla mahona. È evidente che la concordia che l’annalista genovese e l’anonimo redattore della cronachetta araba danno come chiusura al sanguinoso incidente, considerò due punti: il primo, un vero e proprio atto di pacificazione di ordine diremo privato fra cristiani e saraceni, che vennero alle armi e al saccheggio nella briga o rissa inter christianos et calcitrinosi e il secondo una ripresa di rapporti di carattere pubblico fra Comune di Genova e Sultano di Ceuta. Ambedue i punti ebbero come conseguenza la considerazione dei danni patiti dai Genovesi, come privati, durante la rissa, e di quelli sofferti dal Comune per la spedizione armata. Chi avrà la pazienza di leggere i nostri documenti, osserverà che vi sono creditori del Sultano, o per grano fornito, o, come accadde pel banchiere Ugone Fornari, per somme liquide, e creditori della mahona: e noterà, pure, senza sforzo, che la mahona rappresenta l’insieme dei creditori danneggiati per effetto della rissa. Citiamo, a caso, l’atto del 22 aprile 1236, nel quale Giacomo da Sori afferma di « dover ricevere ed avere nella mahona di Ceuta per effetto della perdita che fece nella rissa fra cristiani e saraceni una somma imprecisata di bisanti i quali sono intestati a lui scripti sunt super me, nella mahona ». Nella sostanza i numerosi atti notarili che ora trascriveremo sono uguali: ma quello del 2 maggio 1237 contiene qualche particolare degno di rilievo, perchè ci dice anche il modo materiale col quale si intendeva la mahona: si era formato un cartulario dei danneggiati di Ceuta e ciascuno di essi vi aveva il proprio conto, ratio. Non è necessario che ci dilunghiamo sulle conclusioni. La mahona non si è costituita prima della spedizione armata, ma si formò in seguito alla pace: manca pertanto in essa lo scopo che comunemente si attribuisce alle mahone medievali, ed è assente da essa ogni carattere societario. Anzi, il concetto ormai abituale di individuare le mahone in « associazioni a partecipazione applicate ad un negozio marittimo di armamento e di navigazione a base di obbligazioni individuali » dev’essere escluso affatto. Questa mahona di Ceuta, nella sua essenza, ci si rivela come una serie di denunzie di attività economiche distrutte o minorate: le denunzie erano annotate in un registro, valutate nel loro fondamento, accertate da verifiche; i danni venivano poi risarciti da speciali collettori, tante volte ricordati nei nostri testi, i quali, verisimilmente, avevano il compito di chiedere la rivalsa sui danneggiatori e, in mancanza, sul tesoro sultanile, e tacitare il creditore. Confessiamo che anche per noi queste conclusioni erano inattese. — 318 — Ma come giustificare la diversità profonda della dottrina tradizionale? Prima di tutto dando alla parola mahona l’etimologia e il significato che sono suoi proprii. Mahona deriva dall’arabo ma-unah, come giustamente ha notato l’Amari: ma-unah vuol dire « assistenza ». Però mi parrebbe pericoloso assimilare « assistenza » a società per imprese comuni. Se rimarremo nel senso letterale di ma-unah vedremo subito che assistenza ha per sinonimo aiuto, e che i berberi di Ceuta usarono questo eufemismo per scansare termini umilianti: essi non rifusero i danni dati col ferro o col fuoco ma aiutarono o, per dire esattamente, indennizzarono i danneggiati. Su questo sistema di interessi e danni sofferti o previsti da privati Genovesi, in quanto facenti parte del Comune di Genova, si svolse successivamente l’istituto della mahona. Vogliamo ricordare brevemente la mahona più celebre e che ebbe vita e sviluppo più lunghi, quella dell’isola di Scio. Nel 1346 gli estrinseci o fuorusciti genovesi e i Grimaldi di Monaco minacciarono un’incursione sulla capitale della Liguria. Il doge e il Consiglio, volendo provvedere alla difesa e abbandonando d’altra parte il proposito di allestire una flotta per conto diretto del Comune, si rivolsero ai cittadini incitandoli ad armare almeno venticinque galee a loro spese ed a metterle a disposizione del Governo. In sostanza le condizioni erano queste: gli armatori avrebbero preso parte alla spedizione; lo Stato li avrebbe indennizzati da qualunque danno cui sarebbero andati incontro, nelle galee, nelle persone e nelle cose; a garanzia di questo rimborso lo Stato vincolava il reddito sulle compere dei luoghi cittadini: tutte le spese di esercizio sarebbero rimasti a carico dello Stato. Come si vede, l’ossatura della mahona, se si mette su di un piano subordinato il rapporto degli armatori fra di loro e quelli fra armatori, partecipi e marinai di ciascuna nave, consiste essenzialmente, fra lo Stato e gli armatori delle navi, nell'obbligo del risarcimento degli eventuali danni (1). Come è poi noto, la spedizione contro Monaco fu inutile, perchè i fuorusciti e i Grimaldi si sottomisero. Allora, giacché le spese di esercizio dell’armata erano sopportate dallo Stato, e gli armatori non avevano subito alcun danno, come avrebbero potuto essere indennizzati, mentre pure avevano sostenuto spese e fatiche nel- I allestimento e nell armamento delle galee? Dal punto di vista contrattuale, gli armatori mancavano di titolo per domandare un risarcimento, perchè questo era legato alla condizione del danno effettivamente sofferto, e la condizione non si era attuata. Il Governo deliberò di servirsi della squadra per proteggere gli interessi genovesi in oriente e sopratutto per riacquistare co- (1) Per i particolari, cfr. Stella, Annales Genuenses, in Muratori, XVII, 1086, e Hopf, Stona dei Giustiniani di Scioy trad. in Giornale Ligustico, 1892. — 319 — Ionie perdute. La convenzione fu pertanto modificata precisamente nel punto costitutivo dalla mahona, e cioè su quello del rifacimento dei danni, i quali non furono più garantiti da titoli del debito pubblico, ma dal reddito degli acquisti o meglio delle conquiste che l’armata avrebbe realizzati, e la cui amministrazione fu concessa agli ammiragli fino alla liquidazione del totale delle somme rappresentanti i danni, non quelle di gestione che rimanevano, come prima, a carico dello Stato. La squadra, agli ordini di Simone Vignoso, massarìus et massario nomine di essa, conquistò armata mano Focea e Scio, e quindi, nota il Cessi, si presentarono due punti: la determinazione deH’ammontare delle spese, dei danni e degli interessi da rimborsarsi, e la regolazione della indennità per l’opera prestata: come conseguenza il regolamento dei diritti degli armatori su Scio e Focea (1). Crediamo inutile seguire le fasi deU’assestamento delle relazioni fra il Comune di Genova e la Mahona: il lato interessante per noi era quello che metteva in rilievo il solo carattere di quest’ultima. La mahona di Cipro non ebbe figura diversa. Un primo trattato fra il regno di Cipro e Genova si ebbe forse nel 1135: ma si conosce il testo più antico, fra le convenzioni intervenute per disciplinare la posizione dei Genovesi in Cipro, soltanto nel privilegio della Regina Alice nel 1218: durante il periodo che va da questa data al 1371, con rapporti amichevoli si alternano lotte, intrighi, conflitti di giurisdizione e di interessi, avvenimenti drammatici e pacificazioni (2). Ma, nel 1372, per una questione di precedenza insorta fra gli ambasciatori di Venezia e quelli di Genova, durante la cerimonia dell’incoronazione di re Pietro II, avvenne una mischia, e i beni dei Genovesi nell’isola furono saccheggiati e parecchi uomini furono uccisi. Per vendicare l’offesa e per ottenere la reintegrazione dei danni sofferti Genova armò una flotta potente che assalì Nicosia, impose al Re condizioni di pace durissime, ed assunse come pegno del mantenimento degli obblighi del Re la città di Famagosta. La mahona era l’espressione, in armonia con quelle precedenti, dei danneggiamenti ai beni ed alle persone dei Genovesi; per la liquidazione dei crediti che spettavano loro, i mahonisti formarono un consorzio, con protettori e procuratori, che dovevano riscuotere le indennità e ripartirle, « e, in linea subordinata, per l’amministrazione dei territorii concessi dal Re di Cipro a garanzia delle pattuizioni » (3). (1) Cfr. Cessi R. Studi sulla Maona, cit. pag. 11. (2) Cfr, Mas-Latrie, Histoire de l’ile de Chypre, Parigi, 1852; ma per gli avvenimenti del secolo decimoquarto, vedi Florio Bustrom, Cronica dell’isola di Cipro, ed. Mas-Latrie, Mélanges Historiques, Tome V. Paris, 1884. (3) Cessi R. Studi cit. pag. 45. — 320 — In tutti i casi, Ceuta, Scio e Cipro, la mahona non è che una massa privata di creditori di potenze straniere per danneggiamenti ricevuti, e i cui diritti lo Stato ligure ha rivendicati con spedizioni armate. Ecco ora i documenti su questo ultimo capitolo. 1. Giovanni, figlio di Lanfranco, tornitore dichiara a Giovanna, moglie di Capodoro di aver perduto SO bisanti di miliaresi nella rissa di Ceuta e che i bisanti sono accreditati nella maona, e la somma è la metà di genovine 26 àccomendategli. 13 aprile 1236. Ego Johannes filius Lanfranci tornatoi’is presencia iussu et vuluntate dicti patris mei confiteor tibi Johanne uxori quondam Capitis auri et recipienti nomine filiorum tuorum et dicti quondam Capitis auri quorum tutrix sive curatrix es quod in perdicta quam feci apud Septam in rixa que fuit inter christianos et saracenos fuerunt bisancis LXXX. de medietate de accomendacione librarum XXV. quam mihi fecit Baldoinus de Christo portanda in viagio ultremaris et quas confessus f’uit esse dictorum filiorum tuorum de qua accomendacione est carta facta manu Azonis notarii et quod dicti bisanci sunt in illis bisancis quos reccipere debeo in madona Septe occasione diete perdite restauracionis ipsius et qui bisancii sunt super me scriptis in ipsa madona. unde promito tibi recipienti nomine dictorum filiorum tuorum dare et solvere tibi secundum quod tibi contingerit sive dictis filiis tuis pro dicta accomendacione et pro dictis bisanciis. de toto eo quod reccuperavero et habebo de dicta madona. et de illis bisanciis quos in ipsa maona reccipere debeo et super me sunt scripti in ipsa maona retento mihi quarto proficui. Alioquin penam dupli etc. pro sorte vero et pena omnia bona etc. Actum Janue sub volta Fornariorum. die XVIIII aprilis ante terciam MCCXXXVI. Testes Symon de Castro et Andreas de Fraseneto. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 89, fol. 7 v. o Oberto di Cafaro cede a Nicoloso de Aldo il diritto a percepire 190 bisanti di miliaresi che gli competono nella maona di Ceuta in compenso dell’abbuòno di 61 lira genovina al cui paganento era stato condannato in giudizio. 18 aprile 1236. Ego Obertus de Cafaro confiteor me debere dare tibi Nicoloso de Aldo libras LXI Janue de quibus tibi fui condempnatus occasione unius mutui et accomendacionis. secundum quod in laude inde facta manu Oberti de Cerredo notarii continetur, unde et pro quibus libris LXI do cedo et trado tibi dicto Nicoloso et in te transfero omnia — 321 — circa acciones et raciones reales et personales utiles et directas atque mixtas que et quas habeo et habere possem et mihi competant seu competere possunt in madona Septe, et versus saracenos et universitatem Septe et contra collectores constitutos et quos pio tempore constituerint ad colligendum bisancios qui colliguntur et pro tempore colligunt apud Septam occasione mende et restauracionis dampni et perdite facte et dati Januensibus apud Septam in rixa facta inter Christianos et saracenos occasione bisanciorum CLXXX de miliarentibus quos reccipere debeo et habere in dicta ma-dona sive a dictis saracenis et universitate de quibus super me sunt scripti in dicta madona occasione perdite et dampni mihi dati in dicta rixa sive occasione restauracionis et mende ipsius perdite et omnia iuria et raciones que habeo in dictis bisancis CLXXX tibi do et cedo ut dictis racionibus et iuribus omnibus uti agere et experiri possis, realiter et personaliter utiliter et directe, exigere et replicare defendere et pacisci, et ipsos bisancios recipere et habere et omnia demum facere in iudicio et extra que et sicut ego possem possum vel unquam potero et procuratorem ut in rem tuam te nunc constituo, hoc tamen inter me et te acto et tibi salvato expresse, quod si antequam solucionem dictorum CLXXX bisanciorum sive ipsos bisancios habeas vel alius pro te vivens de aliis bonis meis in quibus solucionem dictarum librarum LXI. vel illius partis earum que restabit tibi adsolvendum consequi possis et habere, possis licenter et sine omni mea contradicione et non obstante hac cessione et datione in ipsis bonis et de ipsis bonis solucionem integram dictarum librarum sive eius quod restabit ex eis tibi solvendum consequi, et habere, et petere, preter in. terris et molendino meis de terricio in quibus solucionem habere et exigere nullo modo possis nec debes, et eo inter me et te acto et mihi salvo quod si de bonis meis solucionem dictarum librarum LXI inintegrum habueris vel heredes tui antequam dictos bisancios habueris, omnia dicta iura et raciones in me revertantur et ad personam meam sint sicut erant ante hanc cessionem et ipsis racionibus et iure uti possim et experiri pro ea parte bisanciorum quam non habueris sicut unquam potui et possem si hec dacio et cessio facta non esset et hoc instrumento non obstante et predicta omnia rata et firma perpetuo habere promitto sub pena dupli de quanto contrafieret et obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub volta Fornariorum. Testes Wilielmus de Arda et Symon Morellus. die XVIII aprilis ante terciam MCCXXXVI. Not. Bonvassallo di Cassina, Registro degli anni 1237 in 39. Carta 6 r. 3. Giovanni, figlio di Lanfrancò tornitore, dichiara che ha perduto 381/2 bisanti di miliaresi nella rissa di Ceutà, sulle lire 16 e soldi 15 genovine dccomendategli dà Baldovino de Vinderedo. I bisanti perduti sono iscritti nella maona di Ceuta. 18 aprile 1236. + Ego Johannes filias Lanfranci tornatoris presencia iussu et voluntate dicti patris mei confiteor tibi Baldoino de Vindercio quod in perdita quem feci apud Septam in rixa que fuit inter christiaaos et saracenos, fuerunt bisanci LVIII 1/2 de miliarensibus de accomendacione librarum XVI et soldorum XV quam mihi fecisti portandam 21 — 322 — in viagio ultramaris et de qua accomendacione est carta facta manu Bonvassalli de Cassina notarij et quod liabeas dictos bisancios in illis bisancis quos recipere debeo in madona de Septa. et quos sunt super me scripti in ipsa madona. occasione dampni et perdite dicte sive restauracionis ipsius perdite, unde do cedo et trado tibi omnia iura actiones et raciones que et quas kabeo occasione librarum LVIII 1/2 in dieta madona et versus saracenos et universitatem Septe et contra collectores constitutos et qui pro tempore constituerint ad colligendum bisancios qui coJigunt et colliguntur apud Septam pro restauracione perdite et damni dati Januensibus apud Septam in dieta rixa, et contra omnem personam occasione dictorum bisanciorum, et in ipsis bisancis ut dictis mei etc, et procuratorem ut in rem tuam te inde constituo, et si habueris bisancios, vel alius prò te debeo habere de ipsis bisancis quartum proficui contingentem de tota dieta accomendacione. Actum Janue sub volta Furnariorum, die XVIII aprilis ante terciam MCCXXXVI. Testes Symon de Castro et Andreas de Fraseneto. Not. Bonvassallo di Cassina; Registro degli anni 1237 in 39, fol. 6 v. 4. Giacomo dà Sori accredita Bonaventura di San Rómòlo delle somme accomendategli, perdute nella rissa di Ceuta e iscritte nella maona. 22 aprile 1236. -|- Ego Jacobus de Sauri confiteor tibi Oberto Cafaraine reccipienti nomine Bonaventure de Sancto Romulo quod in illis bisancis quos reccipere debeo et habere in madona Septe occasione perdicte quam feci apud Septam in rixa facta inter chri-stianos et saracenos, et qui bisanci sunt super me scripti in dieta madona. sunt dicti Bonaventure bisanci CX 1/2 de miliarensibus, quos de accomendacione librarum XXV. quam habebam dicti Bonaventure in dieta rixa amisi, unde promito tibi' dicto Oberto dare et solvere dicto Bonaventure secundum quod ei contingent pro dicta accomendacione de toto eo quod recuperabo et habebo occasione dictorum bisanciorum qui super me sunt scripti in dieta madona. Alioquin penam dupli tibi Oberto stipulanti spondeo, prò sorte vero et pena omnia bona mea etc. Actum Janue sub volta Furnariorum, die XXII aprilis ante terciam MCCXXXVI. Testes Opizo notarius et Fredericus de Ripa. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1287 in 39, fol. 9 v, 5. Enrico banchiere dichiara ad Ansaldo Gallato che nella rissa di Ceuta ha perduto bisanti 346 e 5 miliaresi sulla somma accomendatagli e che la perdita è garantita dall’iscrizione nella maona di Ceuta. 23 aprile 1236. 4- Ego Enricus bancherius confiteor tibi Ansaldo Galleto quod in perdieta quam feci apud Septam in rixa facta inter christianos et saracenos perdidi bisancios CCCXLVI. et miliarenses V. de accomendacione quam mihi feceras, de qua accomen-dacione est carta facta manu Fosse notarii MCCXXXIII die XV augusti et quod dicti bisancii sunt et recipere debes et in eo quod recipere debeo in madona de Septa quod super me scriptum est unde promitto tibi dare et solvere tibi secundum quod tibi contingerit et pervenerit pro dicta accomendacione de toto eo quod recipiam et recuperabo vel alius pro me de eo quod recipere debeo in dicta madona occasione dicte perdite et restauracionis ipsius et in quibus bisanciis sunt bisancii XXIIII soldi VIII. et denarii IIII. de capitale dicte accomendacionis et residuum et lucrum unde debeo habere quartum ipsius residui. Alioquin si de predictis in aliquo contrafecero penam dupli tibi stipulanti spondeo. Pro sorte vero et pena omnia bona mea etc. et partem tibi obvenientem de eo quod recuperavero possim tibi mitere Januam cum testibus ad tuum resegum et fortunam et portare illud quo Deus mihi administraverit in accomendacione ad quartam proficui. Actum Janue sub volta Fornariorum die XXVIIII aprilis ante terciam MCCXXXVI. Testes Mainetus de Nervio. Wilielmus de Seramaiore et Fredenzonus de Albario. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1287 in 39, fol. 13 v. 6. Giacomo da Sori accredita Giovanni e Oberto Cafarana delle somme accomandategli e perdute in parte nella rissa di Ceuta, inscritte nella maona. 22 aprile 1236. • Ego Jacobus de Sauri confiteor vobis Johanni Cafarane et Oberto Cafarane fratribus quod vos debetis reccipere et habere occasione accomendacionis librarum XX. et soldorum XII. quam mihi tu fecisti portandam in viagio Septe ut in carta facta manu Bonisvassalli de Cassina notarii continetur in bisancis quos reccipere debeo et habere iu maona de Septa et quos in ipsa maona sunt rescripti occasione perdite quam feci apud Septam in rixa facta inter christianos et saracenos scilicet bisancios LXXXXIL et miliarenses VII 1/2 quia in ipsa perdita fuerunt de accomendacione dicti bisancii LXXXXII. et miliarenses 1/2. unde et promito vobis dare et solvere — 324 — vobis secundum quod vobis contingerit pro dicta acomendacione. de toto eo quod rec-cuperabo et habebo de eo quod reccipere debeo in dicta maona et de eo quod super me in ipsa madona scriptum est. et quod inde vobis pervenerit possim vobis mittere ad vestrum resegum et fortunam. Alioquin penam dupli etc. Pro sorte vero et pena omnia bona mea etc. Actum Janue sub volta Furnariorum die XXII aprilis ante terciam MCCXXXVI. Testes Opizo notarius et Fredericus de Ripa. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 9 r. 7. Giovanni tornitore confessa a Giovanni de Monleone che, sull’accomenda di lire genovine 15 1/2 fattagli, lia perduto nella rissa di Ceuta 55 Usanti di miliaresi e 8 miliaresi, che sono ora scritti nella maona. 23 aprile 1236. + Ego Johannes tornator presencia iussu et voluntate Lanfranci tornatoris patris mei confiteor tibi Johanni de Monleone tornatori quod in perdita quam feci apud Septam in rixa facta inter christianos et saracenos, amisi bisancios LV. et miliarenses octo de miliarensibus de accomendacione librarum XV 1/2 quam mihi fecisti de qua accomendacione est carta facta manu Bonisvassalli de Cassina notarii et quod dicti bi-sancii et miliarenses sunt in eo quod recipere debeo et super me scriptum est in madona Septe unde promito tibi dare et solvere tibi totum quod tibi contigerit et pervenerit pro dictis bisanciis et accomendacione de toto eo quod reccuperavero et habuero vel alius prò me de dieta maona et de eo quod scriptum est super me et recipere debeo in dieta maona, retento mihi quarto proficui si quod fuerit. Alioquin si de predictis in aliquo contrafecero penam dupli etc. Pro sorte vero et pena et dictis omnibus omnia bona mea etc. Actum Janue sub volta Fornariorum. die XXIII aprilis MCCXXXVI ante terciam. Testes Opizo notarius et Fredericus de Ripa. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 9 v. 8. Guglielmo balestriere, di Nervi, confessa di aver perduto 50 bisanti di miliaresi e 5 miliaresi sull’accomenda di lire genovine 5 1/2 fattagli da Giovanni di Mercato. La somma è iscritta nella maona di Ceuta. 29 aprile 1236. + Ego Wilielmus balestrerius de Nervio confiteor tibi Johanni de Mercato quod in perdita quam feci apud Septam in rixa facta inter christianos et saracenos amisi bisancios de miliarensibus L. et miliarenses V. de accomendacione librarum V 1/2 quam tnihi fecisti portandam in viagio Tunesis de qua accomendacione est carta publici notarii, unde do cedo et trado tibi dicto Johanni omnia jura actiones et rationes reales et personales utiles et directas que et quas habeo vel babere possem et — 325 — mihi competunt quantum pro bisanciis L. et miliarensibus V. in maona Septe et contra saracenos et universitatem et saracenos Septe et contra collectores qui sunt constituti et pro tempore constituerint ad colligendum bisancios qui coliguntur apud Septam occasione perdite sive restaurationis perdite quam Januenses fecerunt Janue in dicta rixa et quos abeo in quantitate bisanciorum qui colliguntur et in eo quod scriptum est super me in ipsa maona ut dictis racionibus et iuribus uti agere et experiri possis realiter et personaliter utiliter et directe et omnia demum facere in iudi-cio et extra sicut ego facere possem possum vel unquam potui et procuratorem ut in rem tuam te nunc constituo. Actum Janue sub Volta Furnariorum, die XXVIIII aprilis MCCXXXVI. Testes Mainetus de Nervio. Wilielmus de Seramaiore et Freden-zonus de Albario. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 12 v. 9. Giovanni figlio di Lanfranco tornitore dichiara a Guglielmo Morrino che ha perduto, nella rissa di Ceuta, 172 bisanti e 8 miliaresi sulla somma accomendaiagli. La perdita è iscritta nella maona di Ceuta. 29 aprile 1236. + Ego Johannes filius Lanfranchi tornatoris presentia iussu et voluntate dicti patris mei confiteor tibi Wilielmo Morrino quod in perdita quam feci apud Septam in rixa facta inter christianos et saracenos amisi bisancios centum LXXII. et miliarenses VIII. de accomendacione librarum XLVII1. quam mihi fecisti portandam in viagio ultramaris de qua accomendacione est carta facta manu Bonisvassalli de Cassina notarii et quod dictos bisancios et miliarenses habere et recipere debes in eo quod recipere debeo in madona de Seta et quod scriptum est super me in ipsa madona, unde do cedo et trado tibi omnia jura accionnes et racciones reales et personales utiles et directas que et quas habeo quantum pro bisancis CLXXII et miliarensibus VIII. in dicta madona et contra saracenos et universitatem Septe occasione perdicte dicte et restauracionis ipsius perdite quantum pro dictis bisancis. et contra collectores qui constituti sunt et pro tempore constituentur in dicta mahona et ad colligendum bisancios qui apud Septam colliguntur occasione restauracionis perdite quam Januenses fecerunt in dicta rixa, et iura que abeo in ipsis bisancis. quantum pro bisanciis CLXXII. et miliarensibus VIII. ut dictis racionibus etc. Actum Janue sub volta Fornariorum die XXVIIII aprilis MCCXXXVI ante terciam. Testes Mainetus de Nervio. Wilielmus de Seramaiore et Fredenzonus de Albario. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 13 r. 326 — io. Giovanni figlio di Lanfranco tornitore confessa al padre dì aver perduto nella rissa di Ceuta bisanti S89 e 4 miliaresi sulla somma accomendatagli da lui, e che la perdita è iscritta nella maona di Ceuta. 29 aprile 1230. + Ego Johannes filius Lanfranci tornatoris confiteor tibi dicto Lanfranco patri meo quod in perdicta quam feci apud Septam in rixa facta inter christianos et saracenos amisi bisancios DCCCLXXXVIIII. et miliarenses IIII. de accomendacione quam miki fecisti portandam in viagio ultramaris et de qua accomendacione est carta publica et quòd dictos bisancios habes et recipere debes in eo quod recipere debeo in madona Septe et quod scriptum est super me in dieta madona unde promito tibi quod ego dabo et solvam tibi secundum quod tibi pervenerit pro dicta accomendacione de omni eo quod aliquo tempore recipiam et habebo vel alius prò me de eo quod recipere debeo in dieta madona et quod in ea super me scriptum est in ea occasione perdite quam feci in dieta rixa. Alioquin penam dupli tibi stipulanti spondeo Pro sorte vero et pena omnia bona etc. Actum Janue sub volta Fornariorum die XXVIIII aprilis ante terciam MCCXXXVI. Testes Mainetus de Nervio. Wilielmus de Seramaiore et Fredenzonus de Albario. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1236 in 39, fol. 13 r. 11. Guglielmo di Albaro dichiara ad Oberto Castaldo di aver perduto 150 bisanti di miliaresi sulla somma di 25 genovine accomendategli, e che la somma perduta è iscritta nella maona di Ceuta. 9 maggio 1236. + Ego Wilielmus de Albario presencia iussu et voluntate Jngonis de Albario patris mei confiteor tibi Oberto Castaldo quod in perdicta quam feci apud Septam in rixa facta inter Cristianos et saracenos perdidi bisancios centum quinquaginta de miliarensibus incamaratos de accomendacione librarum XXV. quam mihi fecisti de qua est carta facta manu Azonis notarii, curente MCCXXXI. die XXIII. madii. et quod dicti bisanci sunt in eo quod recipere debeo et super me scriptum est in madona Septe. unde promito et convenio tibi dicto Oberto dare et solvere tibi tantum quantum tibi pervenerit pro dictis bisanciis de dicta accomendacione de toto eo quod recuperabo et habebo de dictis bisancis. et de omni eo quod reccipere debeo et super me scriptum est in dieta madona. Alioquin si de predictis in aliquo contrafecero penam du- — 327 — pli tibi stipulanti spondeo. Pro sorte vero et pena omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo, et quicquid dictis bisancis reccuperavero et tibi pervenerit possim tibi Januam mitere ad tuum resegum et fortunam. Actum Janue sub volta ìornaiio rum die VIIII madii. ante terciam MCCXXXVI. Testes Mainetus de Nervio. Wilielmus de Seramaiore et Fredenzonus de Albario. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 19 r. 12. Lanfranco Bolbonino dichiara ad Ansaldo Galleto che, della somma accomendatagh, ha perduto, nella rissa di Ceuta, 246 bisanti e 9 miliaresi, che sono iscritti nella maona di Ceuta. 13 maggio 1236. + Eo-o Lanfrancus Bolboninus confiteor tibi Ansaldo Gallete quod in perdita quam feci apud Septam in rixa facta inter christianos et saracenos amisi bisancios UCXLVI. et miliarenses VIIII. de miliarensibus de accomendacione quam mihi fecisti de qua est carta manu Aurembaldi notarii ut confitetur, et quod dicti bisanci sunt in eo quod reccipere debeo in madona Septe et quod super me scriptum est in ipsa madona. unde promito et convenio tibi dicto Ansaldo dare et solvere tibi secundum quod tibi contingerit. et quantum tibi contigerit pro dictis bisanciis et dxcta accomendacione. de toto eo quod recuperavero et habebo vel alius pro me de quod reccipere debeo in dicta madona. retento tantum mihi quartum proficui si quod fuerit. Alioquin penam dupli etc. Pro sorte vero et pena etc. et quicquid inde tibi contingent de eo quod recuperavero possim tibi Januam aducere vel mitere cum testibus ad tuum rese cum et fortunam, et portare illud si voluero in accomendacione. quo Deus mihi melius administraverit ad quartam proficui. Actum Janue sub wita Fornanorum die XII! madii MCCXXXVI. ante terciam. Testes Mainetus de Nervio. Wilielmus de Seramaiore et Fredenzonus de Albario. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 m 39, fol. 21 v. 13. Nicoloso de Aldo dà procura a Nicoloso Giberto per riscuotere la somma cedutagli da Oberto de Cafaro sulla maona di Ceuta. 14 maggio l^ob. j_ e>0 Nicolosus de Aldo constituo Nicolosum de Giberto absentem meum certum nuncium et "procuratorem et meo loco et vice ad exigendum petendum etreccqnendum nro me et meo nomine bisancios CLXXX de miliarensibus quos reccipere debeo m madona Septe sive in bisanciis qui colliguntur et colligentur apud Septam occasione — 328 — perdite quam Januenses apud Septam fecerunt, et quos bisancios CLXXX. Obertus de Caffaro reccipere debebat in dieta madona et super eum scripti erunt et qui Obertus milii iura ipsorum bisanciorum cessit secundum quod continetur in carta ipsius cessionis facta manu mei Bonivassalli notarii, et quicquid fecerit in predictis in aliquo predictorum ratum et fìrmum kabere et tenere promitto sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub volta Fornariorum. Testes Marckisius Zurlus et Martinus de Sancto Greorgio. die XIIII madii inter terciam. MCCXXXVI. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 22 v. 14. Enrico banchiere dichiara a Guglielmo da Quarto di aver perduto nella rissa di Ceuta 152 bisunti di miliaresi e 5 miliaresi sulla somma di 50 genovine accomenda-tagli. I bisanti sono iscritti nella maona di Ceuta. 14 maggio 1236. + Ego Enrico» bancherius confiteor tibi Wilielmo de Quarto quod in perdita quam feci apud Septarn in risa facta inter christianos et saracenos perdidi bisancios de nutarensibna CLIL et miliarenses V. de accomendacione librarum quinquaginta quam nubi fecst. portandam in viagio ultramaris de qua accomendacione est carta ut dico et quod ips, bisanci sont et habere debes io illis bisancis quos recipere debeo et super me snnt scnpti in madona So,,te. et promitto tibi dare et sol vere tibi toturn i quod tib. pervenerit et contigerit pro dictis bisancis CXLTI. et prò dieta accomandacene de omni eo quod recuperavero et babebo vel alius prò me de dieta maona et de b,sane,s quos ree,pere debeo indicta maona occasione diete perdite, retento tantum AI,V„,r°“r !' q“ail*um P™ dict» accomendacione si quidem fuerit. £n :r T m °°“trafe“ra“ ^ dapli tibi stipulanti spondeo. »uti Jr t ,Pr °7,a t et°' q"iCq"id de diCtia biSM”=ÌS tibi fort, f aT”1 t C™ totibus et ad“cere *d t>»« resegum et UOOXXXVI T , M Z f ,fWior““- di» MI madii ante terciam. MCCXXXVI. Testes Marckisius Zurlus et Martinus de Sancto Georgio Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 22 v. 320 — 15. Ugo Pomari crea suo procuratore Enrico banchiere per riscuotere 900 bisanti di cui è creditore nella maona di Ceuta. 15 maggio 1286. + Ego Ugo Fornarius constituo Enricum bancherium meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum prò me et meo nomine bisancios noningentos de miliarensibus vel circa quos reccipere debeo a rege Septe et illos bisancios quos reccipere debeo et habere in madona Septe et quicquid mihi habuerit dictus Enricus fecerit in predictis ratum et firmum habere et tenere promitto sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub volta Fornariorum. Teste» Nicola de Sancto Laurencio et Symon Respectus, die quinto decimo madii inter terciam et nonam MCCXXXVI. \ Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 24 r. 16. Giovanni da Sestri Levante costituisce suoi procuratori Guglielmo Ferrari e il di lui figlio Guarnieri per riscuotere 128 bisanti di miliaresi dei quali è creditore nella maona di Ceuta. 16 maggio 1236. Ego Johannes de Sigestro tornator, constituo te Wilielmum Ferarium de Preono presentem et Groarnerium filium tuum absentem et quemlibet vestrum in solidum meos certos nuncios et procuratores, et meo loco et vice ad exigendum petendum et reccipiendum pro me et meo nomine bisancios CXXVIII de miliarensibus quos recipere debeo et habere in madona Septe et in bisanciis qui apud Septam colliguntur occasione perdite et restauracionis ipsius perdite quam Januenses fecerunt apud Septam in rixa facta inter christianos et saracenos et qui bisancii CXXVIII sunt de accomendacione quam feci Crexemben de Fossato, de qua accomendacione est carta facta manu Bonivassalli de Cassina notarii, et qui Crexemben mihi jura cessit quantum pro dictis bisancis secundum quod in alia carta continetur, et quicquid inde recuperaveritis vel habebitis tu vel dictus filius tuus de dictis bisanciis et possis tu vel et ipse filius tuus mihi Januam aducere vel mitere cum testibus ad meum resegum et fortunam et id portare si volueris in accomendacione Beo propicio ad quartum proficui, quo Deus mihi administraverit, et quicquid tu vel dictus filius tuus fecerit in predictis ratum et firmum habere et tenere promitto sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub volta Fornariorum. Testes Obertus Castaldus et Obertus Cafaraina. die sexto decimo maii inter terciam et nonam. MCCXXXVI. Not. Bonvassallo di Cassina registro degli anni 1237 in 39, fol. 25 v. — 330 — 17. Armano tornitore costituisce suoi procuratori Guglielmo Ferrari e il di lui figlio Guar-nieri per riscuotere la somma di 128 bisanti miliaresi di cui è creditore verso la maona di Ceuta. 16 maggio 1236. + Ego Armanus tornator constituo te Wilielmum Ferarium de Preono presen-tem et Goarnerium absentem et quemlibet vestrum in solidum meos certos nuncios et procuratores et meo loco et vice ad exigendum peteudum et reccipiendum in iudicio et extra prò me et meo nomine bisancios CXXVIII. de miliarensibus, quos reccipere debeo et liabere in madona Septe et in bisanciis qui apud Septam colliguntur occasione perdite et restauracionis ipsius perdite quam Januenses fecerunt apud Septam in rixa facta inter christianos et saracenos, et qui bisancii CXXVIII sunt de accomendacione quam feci Crexemben de Fossato de qua est carta manu Bonisvassalli de Cassina notarii, et qui Crexemben et cetera eodem modo et forma ut supra in proxima carta, et eodem die bora et loco. Actum Janue sub volta Fornariorum. Testes Obertus Castaldus et Obertus Cafaraina. die XVI madii inter terciam et nonam. MCCXXXVI. Not. Bonvassallo di Cassina, reg. degli anni 1237 in 39, fol. 25 v. 18. Ottobuono, figlio di Nicola della Croce, costituisce suo procuratore Baldovino Scotto per riscuotere dal Re di Ceuta 1516 bisanti di miliaresi che rappresentano il danno patito a Ceuta: di essi 800 sono diUgone Guelfo e di Guastavino da Albenga. 16 maggio 1236. + Ego Ottobonus filius quondam Nicolai de Cruce constituo Baldoinum Scotum meum certum nuncium et procuratorem ad exigendum petendum et reccipiendum a rege Septe bisancios MDXVI. de miliarensibus quos mihi dare debet occasione grani mei quod habuit vel alius pro eo tempore rixe facte inter christianos et saracenos apud Septam et quicquid dictus Baldoinus inde habuerit possit mihi Januam aducere et mitere cum testibus ad meum resegum et fortunam et possit et debeat ipse Baldoinus de ipsis bisanciis si eos recuperaverit dare DCCC. bisancios Ugoni Guelfo vel eius misso qui bisanci DCCC sunt ipsius Ugonis et Guasta vini Albingane. et si ipse Baldoinus ipsos bisancios omnes non habuerit dare debeat de eo quod habuerit dicto Ugom vel ems miss° partem ei obvenientem pro suis bisanciis. et quicquid fecerit dictus Baldoinus in predictis ratum et firmum habere et tenere promito sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue sub volta Fornariorum die XVI madii inter terciam et nonam. Testes Ottobonus de Cruce et Wilielmus carderarius. MCCXXXVI. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237-39, fol. 26 r. — 331 — 19. Ottobono figlio del fu Nicola della Croce dichiara ad Ugone Guelfo e a Guasta,vino di Albenga che del suo credito di bisanti 1516 che ha verso il re di Ceuta, bisanti 808 sono di loro ragione. 16 Settembre 1236. + Ego Ottobonus filius quondam Nicolai de Cruce confìteor tibi Ugoni Guelfo reccipienti prò te et Guastavino de Albingana quod de illis bisancis M. D. XVI. quos reccipere debeo a rege Septe occasione grani quod habuit vel alius pro eo tempore rixe facte inter christianos et saracenos sunt tui, et dicti Guastavini bisanci DCCCVIII. unde volo quod tu et ipse Guastavinus dictos bisancios DCCCVIII. habeas sine omni mea contradicione. Actum Janue sub volta Fornariorum. die XVI ma-dii inter terciam et nonam. MCCXXXVI. Testes Ottobonus de Cruce et Wilielmus carderarius. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 26 r. 20. Guglielmo, figlio di Ugone Fornari il Vecchio, confessa ad Adalasia, sua Zia che i crediti che ha nella maona di Ceuta, nel debito del Sultano e nel Mutuo per Ceuta appartengono alla stessa Adalasia. 14 settembre 1236. Ego Wilielmus filius Ugonis Fornarii maioris in presencia jussu et voluntate dicti patris mei confiteor tibi Adalaxie amite mee quod Ratione mea de Septa habeo de tuis Madona Septe bisancios LXXV. et in debitu Soldani bisancios Li et in Mutuo bisancios VIII 1/2 et sunt omnes bisanci CXXXIII 1/2. Unde et quibus do cedo et trado tibi omnia Jura Acciones et Raciones Utiles et directas reales et personales que et quas habeo vel habere possum et mihi competunt in dicta Madona et Mutuo et debito Soldani quantum pro predictis bisancis CXXXIII 1/2 ut ipsis Juribus Rationibus et Acio-nibus possis uti et experiri et super te uel quemcumque uolueris scribi facere et ipsos reccipere uel facere recipere ad tuam uoluntatem si ego met possum uel possem seu umquam potui et te procuratorem ut in rem tuam facio et ordino, dans tibi liberam potestatem et licenciam faciendi ad modo de eis quicquid ad tuam voluntatem et beneplacitum promittens quicquid inde feceris uel alios pro te ratum et firmum etc. Actum Janue in domo qua moratur dicta Adalaxia die XIIII septembris inter terciam et nonam (MCCXXXVI Indictione VII[). Testes Nicolaus de Bissane et Ugo de Aqualonga. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 181, n° 3. — 332 — 21. Adalasia Fornari costituisce suo procuratore Corrado Porcella ‘perché riscuota i crediti che ha nella maona di Ceuta, nel debito del Sultano e nel mutuo di Ceuta. 14 settembre 1236. Ego Adalaxia constituo ordino et facio te Conradum Porcelam absentem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum exigendum et recipiendum de madona Septe et de mutuis et debito Soldanis uel ab illis qui constituti sunt ad solucionem faciendam perdentibus in dicta madona et in aliis videlicet ad recipiendum in ratione siue manifestatione quam fecit frater meus Ugo Pomari us apud Septam CCCV libras et in ratione et manifestatione quam fecit Willielmus filius dicti Ugonis et nepos meus in Madona libras LXXV et in debito Soldani libras L et libras VIIiy2 que sunt in mutuo Septe ita ut libras supradictas prò me et nomine meo petere exigere et recipere possis sicut egomet possum et possem et te procuratorem ut in rem tuam facio et constituo, dans tibi licenciam plenam et potestatem illas in Januam mittendi quando ipsas pro me recuperaueris cum testibus ad meam fortunam, promittens quicquid inde feceris ratum et firmum habere et tenere sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue MCCXXXVI die XII1I septembris in domo quam habitat ipsa Adelaxia. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 146. N. 1. 22. Ugo Fornari confessa alla sorella Adalasia, vedova di Guglielmo di Roderico, che nella perdita fatta a Ceuta il giorno di S. Andrea 325 ]/2 bisanti appartenevano ad essa, e, per la stessa cifra, le cede i crediti che gli competono nella maona di Ceuta. 14 settembre 1236. Ego Ugo Fornarius maior confiteor tibi Adalasie uxori quondam Guillielmi de Roderico et sorori mee quod in amisione quam feci apud Septam in festo Sancti Andree in mea racione quam feci apub Septam de eo quod amiseram sunt de tuis in Madona Septe bisancios CCCXXV 1/2 qui sunt de illa acomendatione quam mihi fecisti in viatico Septe librarum nonagintarum trium. Ut in carta facta manu Salmoni notarii continetur MCCXXXIIII Indictione VII die ultima septembris. inter terciam et nonam. Unde et pro quibus do cedo et trado tibi omnia jura acciones et raciones utiles et directas que et quas habeo et mihi competunt et competere possunt in dicta Madona. vel in aliquo seu aliquibus pro ipsa Madona. quantum pro dictis — 333 — bisancis COCXXV 1/2 ut ipsis juribus rationibus et accionibus uti et exsperiri possis, et ipsos super te vel super aliutn scribere facere et recipere ad tuam voluntatem sicut egomet possum uel possem seu umquam potui et te procuratorem ut in rem tuam facio et constituo dans tibi licentiam et potestatem faciendi admodo de eis ad tuam voluntatem et beneplacitum, promittens quicquid inde feceris per te ratum et firmum etc. sub obligacione etc. Actum Janue in domo qua moratur dicta Adalasia die XIIII septembris inter terciam et nonam (MCCXXXVI indictione VIII). Testes Nicolaus de Bissane et Ugo de Aqualonga. Not. Gianuino de Predono, I, fol, 1S1, N. 2. 23. Ugo Fornari dichiara a Giacoma che appartengono a lei alcune somme intestate a lui nella maona di Ceuta, giacche derivano da una accomenda affidatagli da Carbone Malocello, marito di Giacoma. 14 settembre 1236. Ego Ugo Fornarius maior confiteor tibi Jacobe predicte (1) quod habeo de tuis in Madona Septe in mea ratione bisancios CCLXXXII miliarensium qui fuerunt de quadam acumendacione librarum LXXVII Janue quam mihi fecit Carbonus Malocel-lus quondam Vir tuus. In viatico Septe. Unde et pro quibus do cedo et trado tibi omnia jura acciones rationes reales et- personales utiles et directas que et quas habeo vel habere possum et mihi competunt in dicta Madona. quantum pro predictis bisancis CCLXXXII. miliarensium. Ita ut ipsos possis accipere et super te vel quemcumque volueris scribi facere et omnia demum facere que tibi placuerit ad tuam voluntatem admodo et te procuratorem ut in rem tuam te ordino et facio. Promittens quicquid inde feceris per te vel alium de predictis ratum et firmum habebo et tenebo. Sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue in domo qua moratur Jacoba (uxore quondam Carboni Maloceli) die XIIII septembris inter nona et vesperis. Testes Lanfrancus de Insulis et Com-fortuus Georgius, (MCCXXXVI, Indictione VIIIÌ. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 147, N. 5. (1) Si riferisce ad un atto precedente stipulato con la stessa Giacoma, vedova di Carbone Malocello. — 334 — 24. Ugo e Guglielmo Fornari, padre e figlio, dichiarano ad Ingoile Grimaldi che sono sue alcune somme nella maona di Ceuta, nel debito del Sultano e nei mutui, iute-, state ad essi. 14 settembre 1236. Nos Ugo Fornarius et Guillelmus eius fìlius in presencia iussu et uoluntate dicti patris mei confitemur tibi Ingoni de Grimaldo quod habemus in Madona Septe et in debito Soldani et in mutuis de tuis videlicet ego Ugo in mea ratione sunt de tuis bisanci GX in Madona, et in mutuis bisanci XLI et ego Wilielmus predictus in mea ratione sunt bisanci CL in Madona, et in mutuis bisanci XV et in debito Soldani bisanci C: realiter et sunt bisanci COCCXVI miliarensium et pro quibus damus cedimus et tradimus omnia jura rationes et acciones utiles et directas et rea-les et personales que et quas habebimus in predicta Madona., Mutuis et debito Soldani quantum pro supradictis bisancis CCCCXVI ut ipsos accipere et super te uel quemcumque uolueris scribi facere. Dantes tibi plenam licentiam et potestatem faciendi ex his quicquid vulueris et te procuratorem ut in rem tuam constituimus et facimus promitentes ratum et firmum habere et tenere quicquid inde feceris vel alius pro te sub obligatione bonorum nostrorum. Actum Janue domo qua moratur dictus Ingo, die XIIII septembris (MCCXXXVI, indictione VIII). Testes Simon Siluagnus et Octo Adalardus. Not. Gianuino de Predono, I, fol.147, N. 2. 25. Ugo Fornari costituisce suo procuratore il figlio Guglielmo perchè riscuota i bisanti di cui è creditore dalla maona di Ceuta. 14 settembre 1236. Ego Ugo Fornarius predictus constituo ordino et facio te Wilielmum filium meum presentem et reccipientem meum certum nuncium et procuratorem ad petendum recipiendum et exigendum omnes illos bisancios quos reccipere debeo in Madona Septe et quos manifestaui et ad faciendum ipsos scribere super quemcumque volueris ad tuam voluntatem et ad omnia mea négocia facienda et ad dimitendum in loco tui quemcumque volueris ad predicta facienda. Promittens quicquid feceris de predictis vel circa predicta. ratum et firmum habere et tenere sub obligatione bonorum meorum. Actum Janue ante domum qua moratur dictus Ingo, die XIIII septembris inter nonam et vesperas. Testes Simon Siluagnus et Octo Adalardus. (MCCXXXVI, indictione VIII). Not. Gianuino de Predono, I, fol. 147, N. 3. — 335 — 26. Ugo Fornari dichiara a Girardo di Valenza che appartengono a quest’ultimo alcune somme che ha nella maona di Ceuta e nei mutui. 15 settembre 1236. Ego Ugo Fornarius maior confiteor tibi predicto (1) Girardo de Valencia quod habeo de tuis in Madona Septe in mea ratione bisancios CCIIII ei in Mutuis bisancios VI miliarensium et sunt bisanci OCX. Unde et pro quibus do cedo et trado tibi omnia jura acciones et rationes utiles et directas que et quas habeo in dicta Madona et mutuis quantum pro dictis bisancis OCX et qui bisanci OCX sunt de quadam accomendacione librarum LX Janue quam mihi dictus Girardus fecit pro viatico Septe. Et ipsis iuribus possis uti et experiri sicut egomet possum seu possem vel unquam potui et te procuratorem ut in rem tuam te ordino et facio et faciendi idcirca quicquid volueris pro te vel alium sine omni mea omniumque pro me contradicione. et super te vel quemcumque volueris ipsos scribi facere promittens quod quicquid inde feceris per te vel alium ratum et firmum habebo ec tenebo sub obligacione etc. Actum Janue ante domum Facii Turgii, die XV septembris inter terciam et nonam. (MCCXXXVI, Indictione VIII). Testes Balduinus Osbergatus et Octo Turgius. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 149, N. 2. 27. Guglielmo, figlio di Ugone Fornari il Vecchio, dichiara a Fulcone di Cerro, procuratore di Lagone Rainaldo, che alcune somme inscritte nella maóna di Ceuta appartengono a Rainaldo. 15 settembre 1236. Ego predictus Wilielmus filius Ugonis Fornarii maioris et in presencia jussu et voluntate dicti patris mei confiteor tibi predicto Fulconi (2) reccipienti nomme et vice dicti Ugonis Rainaldi quod habeo in mea racione de rebus dicti Ugonis Rainaldi in Madona Septe bisancios LXXV et in debito Soldani bisancios L et in mutuis bisancios VII 1/2 et sunt bisanci CXXXII 1/2. Unde et pro quibus do cedo et trado tibi predicto Fulconi recipienti nomine dicti Ugonis Rainaldi et eius vice omnia jura acciones et raciones que et quas habeo in dicta Madona et debito Soldani et in dictis mutuis quantum pro predictis bisancis CXXXII 1/2. Ut ipsis juribus et rationibus (1) 11 predicto si riferisce ad un atto di accomenda concluso fra i due nella stessa data, (2) Fulconi de Cerro di Ripa, come da un atto precedente. — 336 - uti et experiri possis in iudicio et extra sicut ego met possum vel possem seu unquam potui et super te vel quemcumque volueris ipsos scribi facere et te procuratorem ut in rem tuam te dicto nomine ordino et facio dans tibi dicto nomine recipienti plenam licenciam etc. promittens etc. sub obligacione etc. Actum Janue ante Apothecam qua moratur dictus Fulco in Ripa, die XV septembris inter terciam et nonam (MCGXXXU, indictione VIII). Testes Obertus Adalardus et Obertus Spavaldus. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 150, N. 8. 28. Guglielmo Fornari dichiara ad Andrea di Arnolfo da Ca.ritare che appartengono a lui 265 bisanti di miliaresi inscritti nella maona di Ceuta. 15 settembre 11336. Ego Guillielmus filius Ugonis Fornari maioris in presencia iussu et voluntate dicti patris mei Ugonis confiteor tibi Andree (1) reccipienti tuo nomine et patris tui quod habeo de tuis vel dicti patris tui in mea ratione in Madona Septe bisancios CL et in debito Soldani bisancios C et in mutuis bisancios XV miliarensium et sunt bisanci COLXV miliarensium. Unde et pro quibus do cedo et trado tibi omnia jura acciones et rationes utiles et directas reales et personales que et quas habeo in dieta Madona et in debito Soldani et in mutuis quantum pro dictis bisancis CCLXV miliarensium ut ipsis iuribus et rationibus possis uti et experiri sicut ego met possum vel possem seu unquam potui et te procuratorem ut in rem tuam facio et constituo, dans tibi plenam et liberam potestatem faciendi ex eis admodo quicquid volueris per te vel alium sine omni mea contradicione et omnium personarum pro me. et faciendi ipsos scribi super vel quemcumque volueris ad tuam voluntatem promittens quod quicquid ex eis feceris per te vel alium ratum et firmum habebo et tenebo sub obligatione bonorum meorum etc. Actum Janue in Apotheca quam tenet Jacobus Recha speciarius, die XV septembris inter terciam et nonam. (MCCXXXVI, Indictione VIII). Testes Jacobus Recha speciarius et Villanus Cibo. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 148 v. n. 2. (1) Andrea di Arnolfo da Caritare, come da un atto precedente. 337 25). Guglielmo Fornari dichiara che appartengono a Piccamiglio dei Piccamigli alcune somme nella maona di Ceuta. 15 settembre 1236 Ego Guillielmus predictus filius Ugonis Fornari maioris in presencia iussu te voluntate patris mei Ugonis Fornarii confiteor tibi predicto Picamilio (1) quod habeo in mea ratione de tuis in Madona Septe bisancios LXXXI in debito Soldani bisancios L et in mutuis bisancios VII 1/2 et sunt bisanci CXXX VIII1/2. Unde et pro quibus do cedo et trado tibi omnia iura acciones et rationes reales et personales utiles et directas que et quas habeo in dictis Madona mutuo et debito Soldani quantum pro predictis bisancis CXXXVIII 1/2 ut ipsis juribus rationibus et acionibus uti et experiri possis et super te vel quemcumque volueris ipsos scribi facere ad tuam voluntatem sicut ego met possum vel possem seu unquam potui et te procuratorem ut in rem tuam facio et constituo dans tibi plenam licentiam et potestatem faciendi idcirco quicquid volueris per te vel alium ad tuam voluntatem promittens quicquid de predictis feceris per te vel alium ratum et firmum habebo et tenebo sub obligacione bonorum meorum. Actum Janue in Apotheca qua morantur cumenses que est de Sardenis, die XV septembris (MCCXXXVI, indictione VIII) Testes Jacobus de Sauro et Guillielmus Osbergerius. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 149 v. n. 3. 30. Ugo e Guglielmo Fornari accreditano Antonio Elefante delle somme che, per suo conto, hanno nella maona di Ceuta. 15 settembre 1236. Nos Ugo Fornarius predictus et Guillielmus eius filius in presencia iussu et voluntate dicti patris mei confitemur tibi predicto Anthonio (2) reccipienti tuo nomine et fratrum tuorum quod habemus in Madona Septe in debito Soldani et in mutuo de tuis et fratrum tuorum videlicet ego Ugo predictus in mea ratione in Madona bisancios CXVIIII et ego Wilielmus in mea ratione in Madona bisancios XXX et in debito Soldani bisancios XX et in mutuo bisancios III et sunt omnes bisanci CLXXII. Unde et pro quibus damus cedimus et tradimus tibi predicto Anthonio reccipienti tuo nomi- (1) Piccamilio de Piccamiliis di cui ad un atto precedente. (2) Antonio Elefante col quale stipulano un atto della stessa data e che, nel cartulario, precede questo. 22 - 338 — qr^atrLW * “r^rrrr:: possumus vel Pos*/Xntes'tibi ^eccipienti predicto nomine plenam potestatem facimus et constituimus _ ..........auemcumque volueris ipsos facimus et ^ yolueris et super te uel quemcumque volueris ipsos faciendi ex nis aamouu ^ i «mnînmmie uro nobis contradicione w-*» - - promittens ^ P A(jtuo JanM ante domnm Stregiaporcoram -|Ua morltar dietas U«o Fornarins, di» XV septembris inter tereiam et nonam. Testes Baldiçonus Fornarias. Bnrgenis Balierarias et Niehoiosins Fornanns. Not. Gianuino de Predono, I, fol. 148, N. 2. 31. « Onmcava e Guqlielmo Formica, savonesi, cessionarii dei loca (1) della na-Gmcorno <7 , ^ ^ ^ ^ ^ plafealonga_ Qberto della Porta e Guqlidmo da Quarto, dichiarano ai creditori che la nave fu incendiata a Ceuta dai Calcurini, e per indennizzare gli stessi creditori cedono loro il diritto alle somme che dovranno percepire dal Sultano, dall’università di Ceuta e dai saraceni. 26 febbraio 1237. 4- Nos Jacobus Caracapa et Wilielmus Formica saonenses confitemur vobis Bul-de Plathealonga. Oberto de Porta et Wilielmo de Quarto nos debere dare vobis fai° 'os quingentos XLVII. bonos de miliarensibus et rectos, scilicet tibi Bulgaro !SanC. rTTrJIII et quartam pro precio locorum novem navis cuiusdam que dice-wTsanctus Marchus que nobis vendidisti et tradidisti, et tibi Oberto bisancios f-T VII pro precio locorum IIII. dicte navis que nobis vendidisti et tradidisti, et tib. W liplmo de Porta bisancios XXXVIIII. et quartam, pro precio unius loci dicte na- • m nobis vendidisti et tradidisti, et que navis erat locorum XVI. et que navis V1 busta fuit apud Septam per calculinos. pro quibus bisanciis DXLVII. damus cerf0 s et tradimus vobis in solutum pro dictis partibus omnia iura raciones et actio-im^eaies et personales utiles et directas que et quas habemus et nobis competunt n6S re^em Septe, et saracenos et universitatem Septe et versus collectores quicon-7'tuti sunt et pro tempore erunt pro tempore ad colligendum bisancios. pro restauratione dampni et perdite illati et illate Januensibus apud Septam atque adversus ra 10 ne Janue et in ipsis bisancis qui colliguntur, et denique adversus omnem personam dict^occasione nobis obnoxiam pro bisancis DXLVII. nobis debitis occasione dampni nobis illati pro locis quatuordecim dicte navis, et in ipsis locis, ut dictis racionibus (1) Sui loca e le partes di una nave, cfr. Di Tucci, Studi suit economia genovese nel secolo decimosecondo: La nave e i contratti marittimi. La Banca privata, Torino, Bocca, 1933. — 339 — et iuribus uti agere experiri possitis realiter et personaliter utiliter et directe excipere et replicare deffendere et pacisci et omnia demum facere in iudicio et extra sicut nos facere possemus. possumus vel umquam potuimus, et procuratores ut in rem vestram vos inde constituimus, promitentes vobis dictam cessionem perpetuo ratam et firmam habere et tenere, et quod ipsa iura nemini cessimus nec in aliquem alienavimus preter quam in vos. et ipsa iura vobis deffendere et expedire ab omni persona si pro nobis vel facto nostro impedirentur et non aliter de deffensione teneamur, preterea promiti-mus vobis nos facturos et curaturos ita quod si aliquis pro nobis de dictis bisanciis reccuperatuin est vel reccuperabitur quod illud totum vobis solvetur et dabitur. Alioquin si de predictis in aliquo contrafecerimus seu contrafactum fuerit, et ut supra non observatur penam dupli de quanto et quociens contrafecerimus seu contrafactum fuerit vobis stipulantibus spondemus, rato manente pacto pro pena vero et dictis omnibus omnia bona nostra etc. Actum Janue in talamo palacii quo tenet curiam Consul civitatis de iusticia. Testes ^Vilielmus de Quinto iudex. Bonifacius Redoanus et Wilielmus de Pagana, die XXVI februarii inter terciam et nonam. MCCXXXVII. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237, in 39, fol. 71 v. 32. Bulgaro di Platealònga, Oberto della Porta e Guglielmo di Quarto accettano la cessione di crediti dell’atto precedente. 26 febbraio 1237. + Nos Bulgarus de Plathealonga. Obertus de Porta et Wilielmus de Quarto confitemur vobis Jacopo Caracapa et Wilielmo Formice saonensibus vos nobis integre satisfecisse de illis bisanciis D.XLV li. quos nobis dare debebatis pro precio XIIII. locorum navis que dicebatur sanctus Marchus que loca vobis vendidimus et dictam satisfacionem nobis fecistis hoc modo silicet cedendo nobis iura et raciones vobis competentes contra regem et saracenos Septe et alias personas vobis obnoxias occasione bisanciorum vobis debitorum occasione dampni et perdite combustionis dictorum locorum et ut continetur in carta ipsius cessionis hodie facta manu Bonisvassalli de Cassina notarii, unde promitimus vobis nos nullam de cetero occasione precii dictorum locorum adversus vos vel heredes vestros facere requisicionem nec acionem movere per nos vel heredes nostros seu per aliam pro nobis personam. Alioquin si de predictis in aliquo contrafecerimus seu contrafactum fuerit, penam dupli de quanto et quociens contrafactum fuerit vobis stipulantibus spondemus, pro pena vero et dictis omnibus omnia bona nostra etc. Actum Janue in talamo palacii quo tenet curiam Consul civitatis de iusticia. Testes Wilielmus de Quinto iudex. Bonifacius Redoanus et Wilielmus de Pagana, die XXVI februarii inter terciam et nonam. MCCXXXV II. Not. Bonvassallo di Cassina, registro degli anni 1237 in 39, fol. 72 r. — 340 — 33. Pietro Doria confessa a Tedisio Fiaschi che sul eredito cha agli ha nella maona di Ceuta, competono a Tedesio bisanti 215 di miliaresi. 27 aprile 1287. Ego Petrus Aurie confiteor tibi Tedisio de Flisco quod de eo quod scriptum est in cartulario perdentium Septe et quod dicitur Maona contingunt ex occasione accomendacionis librarum CCCC solidorum VI a te habebam bisancios CCXXVI miliariarensium unde do cedo et trado tibi omnia iura raciones et acciones reales personales et mixtas que et quas habeo et mihi competunt et competere possunt in dieta maona usque in dictam quantitatem librarum contra omnes personas de ipsis iure racionibus et accionibus uti possis et experire utiliter et directe realiter et personaliter et modis omnibus quibus egomet possum et possim et unquam melius potui et inde procuratorem ut in rem tuam te facio et constituo. Testes Ugo de Flisco et Tigno-sus de Lagneto et Beltramus de Lagneto. Actum Janue ante domum heredum Symonis de Camilla inter uesperas et completorium die XXVII aprilis (MCCXXXVII). Not. Giovanni Vegio, II, fol. 187, N. 5. 34. Vassallo di Vedereto confassa a Nicola de Bernizzone che sull'accomenda di 65 geno-vine fatta da lui, rimane creditore nel cartulario dalla maona di Ceuta per quanto la partita sia iscritta al nome di Vassallo. 2 maggio 1237. Ego Vassallus de Uedereto confìteor tibi Nicole de Berniçono quod ex accomendacione librarum LXV quam mihi fecisti habes et habere debes in Maona Septe in racione mea scripta in cartulario perdentium Septe libras CLXXII 1/2 miliaria unde do cedo et trado tibi omnia mea iura raciones et acciones utiles et directas et mixtas que et quas habeo et mihi competunt et competere possunt in dieta maona contra omnes personas usque in dictam quantitatem, ut ipsismet racionibus et accionibus uti possi et experire utiliter directe realiter et personaliter et modis omnibus quibus ego possum et unquam melius potui et te inde procuratorem ut in rem tuam facio et constituo. Testes Matheus Pectenerius et Guillelmus Guiginus de Castello. Actum Janue in apotheca quam habitat Jacobus Rocha inter nonam et terciam, die II ma-dii (MCCXXXVII). Not. Giovanni Vegio, II, fol. 190, N. 3. EMILIO PANDI ANI J* <2* J* IL PRIMO COMANDO IN MARE DI ANDREA D’ORIA CON UNO STUDIO SULLE GALEE GENOVESI Dopo un secolo tumultuoso per passioni partigiane, dopo avere saggiate Signorie straniere e dominazioni di capi-partito cittadini, Genova iniziava il sec. XVI sotto la signoria di Luigi XII, Re di Francia, cui la conquista del ducato di Milano (1499) aveva aperto la via per ottenere Genova. 11 nuovo governo aveva retto, nei primi tempi, con mano sicura il timone della orgogliosa Repubblica, ma le dolorose sconfitte subite dai Francesi nel Regno di Napoli, per opera degli Spagnoli, nei primi anni del’500, dovevano avere scosso il prestigio francese in Genova e, d’altro lato, le mire segrete del Papa ligure Giulio 11, che tendevano a liberare la patria dal dominio straniero, avevano incoraggiato il partito anti-francese in Genova a tentare di scuotersi di dosso la dominazione di Francia. Nel 1506 una sollevazione contro i Nobili, mutatasi presto in aperta ribellione agli ordini del Governatore francese, aveva obbligato il Governatore stesso ad abbandonare la città, ed il presidio francese a ritirarsi nella fortezza di Castelletto. Ma pochi mesi dopo, nell’aprile del 1507, un forte esercito francese, comandato dallo stesso Re di Francia, era disceso contro Genova e l’aveva sottomessa. 11 Re non era stato troppo severo verso i ribelli; tuttavia aveva imposto che costruissero a loro spese una grande fortezza sulla punta del Promontorio, ove sorgeva la torre della Lanterna, faro di Genova, per imbrigliare la irrequieta popolazione genovese. Il castello era sorto in breve tempo e, a giudizio dei competenti, era la più bella e più sicura fortezza che si potesse vedere in Europa. Essa era chiamata comunemente fortezza della Lanterna, o di Codefà, (Capo del faro) dal luogo ove sorgeva, o anche Briglia, o la Mauvoisine, perchè poteva paralizzare, in caso di lotta con i Genovesi, ogni commercio nel porto (1). (1) La sollevazione genovese e la riconquista di Genova da parte del Re di Francia furono trattate nel mio lavoro: « Un anno di storia genovese » in Atti della nostra Società, vol. XXXVll. — 344 — Passarono pochi anni di tranquillità, durante i quali il governo francese in Genova si fece sempre più severo e sospettoso, per le trame che si stavano ordendo fuori di Genova, con l’occulto consenso del Papa Giulio II, contro i Francesi; poi la volontà del Pontefice apparve manifesta con le spedizioni navali inviate ripetutamente da lui nel 1510, contro Genova, e finalmente, la famosa Santa Lega del Papa con la Spagna e l’impero, dopo avere rovesciato improvvisamente il dominio francese in Lombardia (1512) muoveva alla liberazione di Genova. Il Governatore di Genova sperò di avere qualche aiuto dalla Francia per via di 'mare, ma, prima dell’arrivo della flotta, la Santa Lega faceva invadere la Liguria da un corpo di milizie, guidato da un genovese, Giano Fre-goso, che da anni era condottiero di una compagnia di mercenari, in gran parte liguri, al servizio della repubblica di Venezia. E’ assai probabile che egli stesso avesse proposto e caldeggiato il pronto invio di un piccolo esercito rapido e manovriero contro la Liguria. L'ardente desiderio di ritornare in patria, la speranza di dominarvi come Doge, doveva porgli il fuoco nelle vene e fargli bruciare le tappe del ritorno alla sua terra. Attraversato l’Appennino per la valle del Nure e dell’Aveto, egli giungeva in Chiavari il 17 giugno 1512. Il Governatore francese di Genova, Francesco di Rochechouard, alla notizia della marcia del Fregoso, chiedeva urgenti soccorsi al La Palisse comandante dell’esercito francese in Lombardia, e questi, che era tutto affaccendato nella ritirata delle milizie verso Alessandria, mandava assicurazione che avrebbe inviato qualche compagnia di fanti, ma in effetti non giungeva alcuno. Intanto il Fregoso spediva un trombetta a Genova ad intimare la resa. Il Rochechouard lo voleva fare impiccare perchè le lettere che egli portava erano dirette ai magistrati genovesi e non a lui, poi, per intercessione dei magistrati stessi si contentava di farlo imprigionare nel Castelletto. Le milizie del Fregoso si avvicinavano intanto senza contrasti a Genova; il Governatore, non avendo milizie sufficienti e non fidando nella buona volontà di patrizi e di mercanti genovesi, che si dichiaravano pronti a sostenere il dominio francese, si ritirava nel vespro del 20 giugno 1512 nella robusta fortezza della Lanterna, che era certamente ben provvista per resistere ad un lungo assedio. Altre milizie francesi erano inviate a rafforzare la guarnigione del Castelletto, vecchia, ma solidissima fortezza, in magnifica posizione per dominare la città; invece un centinaio di Svizzeri, addetti alla custodia del Palazzo del Governo, riceveva l’ordine di imbarcarsi per la Francia. Giano Fregoso entrava in città e vi iniziava il suo governo sotto la protezione della Lega e specialmente del Papa Giulio II, il quale vedeva — 345 — appagato il desiderio, da lungo tempo accarezzato, di liberare la Liguria dai « barbari ». Sappiamo dal Sanudo che, alla notizia della presa di Genova, il Papa « mostrò grandissima leticia et cridò: Fregoso! Fregoso! » e volle che tutta Roma fosse illuminata sfarzosamente nella notte del 26 giugno « che pareva tutta Roma ardesse de jubilo » ed insistette perchè anche a Venezia fosse fatta festa ed infatti vi si fece » sonar campano a S. Marco e cussi per tutta la terra » e si fecero « lumiere » ed una processione (1). Il nuovo Doge genovese non ebbe tuttavia facile vita nei primi tempi del suo governo. I Francesi tenevano ancora le due fortezze del Castelletto e della Lanterna, che erano di grave impaccio alla vita normale della città. 11 Castelletto minacciava il centro di Genova; la Lanterna dominava con le artiglierie tutto il porto. Genova, come diceva il cronista genovese Bartolomeo Senarega, era assediata dalle sue stesse fortezze. Si prevedeva anche l’arrivo di una flotta francese, che avrebbe tentato, con il soccorso dei castelli, la riconquista della città, perciò si prendevano febbrili provvedimenti per impedire la riscossa francese. Il Pontefice inviò sei bombarde di bronzo, mille palle di ferro e ventimila libbre di polvere, ed ottenne che la Repubblica veneta ed il Re di Aragona inviassero navi in soccorso. Nel contempo il nuovo Doge apriva le ostilità contro il Castelletto. Dopo lungo e potente bombardamento il castellano si decise alla resa. Da documenti genovesi risulterebbe che la fortezza fosse stata assai danneggiata dalle artiglierie e perciò si inferirebbe che la resa fosse stata necessaria; da notizie veneziane e francesi pare invece che il castellano non avesse fatto interamente il suo dovere, sì che al suo ritorno in Francia fu processato per tradimento e mandato a morte. Degno di grande lode per il suo valore fu il castellano della fortezza della Lanterna che per quasi due anni resistette all’assedio dei Genovesi. Intorno a quest’epica lotta l’autore del presente scritto darà tra poco un racconto che potrà forse essere interessante. Qui basterà dire che una flotta francese apparve un giorno per riporre il governo francese in Genova, ma era ormai troppo tardi, ed allora essa si contentò di rifornire di uomini,» di armi, di provvigioni, la fortezza della Lanterna, e si ritirò in tempo per evitare uno scontro con le navi della Lega, che accorrevano in soccorso della città. Giunsero infatti due galee pontificie, tre venete e, poco dopo, sette aragonesi comandate dal famoso Villamarino e restarono a guardia di Genova sino all’approssimarsi dell’inverno, poi ritornarono alle loro sedi, lasciando (1) Sanudo M., Diari, XIV, 421, 450, 453, 454, 456. — 346 — al Doge la cura di provvedere ad una flotta genovese per la difesa della Repubblica e per il blocco della Lanterna (1). L’antica Repubblica di Genova non aveva mai avuto una flotta statale; essa si era sempre servita, nei casi di guerra, delle navi appartenenti alle famiglie cittadine, ingaggiandole per un determinato periodo di tempo. Ciò era stato sempre causa di gravi inconvenienti, perchè se le ostilità si prolungavano oltre il periodo di ingaggio occorreva persuadere gli armatori e le ciurme a proseguire il servizio aumentando le paghe; a volte qualche patrono di nave abbandonava alla chetichella la flotta; spesso il timore di guasti o di perdite del naviglio rendeva tiepide le azioni guerresche. D’altra parte le finanze della Repubblica non permettevano di accollarsi le spese di una flotta di proprietà dello Stato. 11 Doge ricorse al vecchio sistema di ingaggiare cinque « barchie », un galeone, due brigantini, per la tutela delle navi in viaggio per i mari e quattro navi per il blocco della Lanterna, ma volle anche ripristinare una buona usanza sorta neH’ultima metà del Quattrocento, cioè quella di due galee « di custodia », per guardia contro i pirati, le quali appartenessero allo Stato, essendo evidente la necessità di un nucleo, sia pure modesto, di forze dipendenti dalla Repubblica. Occorreva dunque affrettare la fabbrica e l’allestimento di due galee e perciò Giano Fregoso e l’Ufficio di Balia pensarono di ordinarne subito l’impostazione, ma, per i tiri della Lanterna, non era da pensare ai cantieri presso il porto, e perciò si decise di impostare le galee alla marina di Sarzano, piccolo porticciolo tra le colline di Carignano e di Sarzano. Il porticciolo è oggi colmato di terra, ma v’è qualche vecchio che ricorda la piccola, graziosa insenatura, ed il caratteristico scoglio della Campana che sorgeva in mezzo ad essa. 11 cantiere era probabilmente nella parte più interna del porticciolo, presso la foce del Rivotorbido. La costruzione delle galee ed il loro armamento avvennero negli ultimi mesi del 1512 e nei primi mesi del 1513, con prontezza assai notevole; ma ciò che più interessa è il fatto che il Governo prepose alla costruzione di esse Andrea D’Oria, il quale iniziò così la sua carriera navale. Nato nel 1466 in Oneglia da famiglia patrizia, ma non doviziosa, egli aveva sino a quel tempo offerto la sua spada a Signori italiani, pur conti- (1) Le notizie qui esposte sulle vicende genovesi sono tratte dal Senareoa: « De rebus genuensibus commentaria ab anno MCCCCLXXXVIII usque ad. annum MDXIV » e dalle note appostevi da me nella nuova edizione dei « Rerum italicarum scriptores » curata oggi dal Sen. Pietro Fedele. Circa la fortezza della Lanterna cfr. anche Ch. de la Ronçiere, Histoire de la Marine française. Paris, 1906, volume III. — 347 — riuando ad interessarsi alla politica della sua patria e doveva avere acquistato fama di abile negoziatore e di esperto capitano, se nella cacciata dei Nobili da Genova, nel 1506, era stato inviato al Re di Francia a proteggere gli interessi del patriziato ligure e nel 1507 era stato consultato dagli stessi nobili sui mezzi da seguire per liberare Monaco dall’assedio dei popolari genovesi. Nel 1510 era stato ospite, con altri gentiluomini genovesi, del capitano Contarmi, comandante della flotta veneta, inviata dal Papa verso Genova per tentare di cacciare i Francesi. Finalmente, nel 1512, egli rientrava in Genova con Giano Fregoso e da un suo biglietto, conservato fra le carte dell’Archivio di Stato di Genova, sappiamo che nel luglio aveva preso parte all’assedio del Castelletto, e a tal uopo aveva requisito per ordine del Doge 49 archibugi nella casa di madonna Battistina, vedova di Giovanni D’Oria (1). Nello stesso mese era stato inviato a Pavia con un uomo di leggi per tentare di ridurre il tributo che la Lega chiedeva a Genova per le paghe degli Svizzeri. Nel novembre dello stesso anno aveva diretto la costruzione di un riparo in capo al molo, che doveva servire per difendere quel luogo dai tiri della Lanterna e per piazzarvi artiglierie. Abbiamo ancora una lista di spese, presentata da lui al Governo, per l’acquisto e per il trasporto di fascine, di terra, di letame, di botti, e tavole di galea e altro legname per la costruzione del riparo; tra le altre spese è segnata questa: « e più, per dati a li galeoti veneti che portorono terreno de note, corno par distintamente per le polise date da Jo. Maria de Pegio, L. LXXV1, s. V. » (2). H D’Oria aveva dunque usufruito per quel lavoro uomini delle galee venete, che in quel tempo erano a Genova. A questo fatto accenna forse un ammiraglio veneto, Cristoforo Canale il quale lodava l’abilità del D’Oria nel servirsi dei suoi galeotti anche in opere pubbliche « come (dice egli) fece durante lo sverno, fabricando il molo di Genova » (?). La notizia non è esatta, ma forse in essa è ricordato, mutando molte cose, il « ridotte » effettuato dal D’Oria sul molo, usando galeotti veneti (cfr. Appendice p. 368). Il Governo affidò dunque ad Andrea D’Oria, con atto del 6 ottobre 1512, l’incarico di sorvegliare la costruzione delle galee, assicurandogliene il comando appena fossero armate. Non meravigli questo improvviso mutamento di carriera del patrizio ligure. Oltre alla millenaria tradizione, occorre pensare che ogni ligure era allora forse più di oggi esperto nell’arte del navigare perchè le (1) Archivio di Stato di Genova; Diversorum filza 76-3096. La dichiarazione testimoniale del Doria ha la data 2 maggio 1513. (2) Archivio di Stato di Genova; Diversorum filza 76-3096; die XXIÌ novembris 1512. Rado expensarum repaguli fadi in capite molis per Nobilem Andream de A uria. — 348 — relazioni di ogni genere fra le città delle Riviere si effettuavano in quel tempo per via di mare, essendo le strade assai disagevoli, e riuscendo perciò più veloce, più comodo, più sicuro il transito per mare. Per avere una direttiva nella costruzione delle nuove galee si estrasse dalle carte dell’archivio un progetto redatto nel 1510, duranteil Governo francese. In esso il Governatore Francesco di Rochechouard aveva steso un contratto con il savonese Martino Oxilia q. Batt. per la costruzione in Savona di quattro galee sottili. La carta era stata scritta il 7 dicembre 1510 ed il costruttore si era impegnato di consegnare le galee complete entro il 15 aprile 1511. Il governatore aveva promesso di pagare per tale opera scudi 3000 e cioè scudi 750 per ogni galea, dando un primo acconto di scudi 200, poi altre somme ogni 15 giorni, fino a raggiungere un quarto della somma totale. . . Avrebbe pagato il secondo quarto quando le galee fossero « incinte » cioè con la ossatura completa, il terzo quarto quando fossero « fassiate » cioè l’ossatura fosse rivestita di tavole, e l’ultimo quando esse * in teria erunt complete, fassiate et nigre (cioè impeciate) ac apte ad deducendas in mare ». 11 Governatore si era riservato di eleggere una commissione composta di un maestro stipatore, un calafato, un maestro d’ascia ed un altro esperto per esaminare i legnami ed i ferramenti e proporre e disporre modifiche. Martino aveva accettato questi patti ed anche di pagare una penale in caso di inadempienza, con la fideiussione del nobile Andrea Scarola q. Agostino, cittadino di Savona. 11 progetto servì ottimamente nel caso attuale, perchè conteneva una esatta specificazione dei materiali da usarsi nella fabbrica delle galee, alla quale pare avesse posto mano anche il magnifico Prégent, ammiraglio francese famoso in quei tempi. Ora il Governo genovese faceva ricopiare quelle norme ed affidava al Nobile Andrea D’Oria l’incarico di farle eseguire nella fabbrica delle nuove galee. La carta che contiene questi ordini comincia così: « A volere fare una Galera sotile per l’altagliaria e negotii moderni è necessario « farla corno de soto è scripto. « Primo vole essere longa Ghoa cinquantasei de rota in rota, fin cinquan-« tasepte. 4 ltem aprire a la mezania in contuare parmi XV e non mancho, ma qualche « cosa più, in arbitrio del Maestro, da uno quarto a uno tercio e medio parmo. « ltem la aitesa et altre ragione consequente lasamo a lo arbitrio del Maestro * chi desidera havere honore. « Ben avisemo che queste ultime che maestro Joane da Otone ha fato, sono 1! es N N V *03 c ce eu O > o !--- E E < S > X o O C V O ô> s i--- o ce jü ce 15 bx) ce O -a ce o > t*--- o ce c ÇJ c/3 a> O O n 3 cê i--- -5 3 ce 3 u. i--- J3 C/3 ce r* 13 CD •a i evi , Quattro servi, un paggio e il cuoco. Deve portarsi dursi ri r^Va ° 6 tant° *U' quanto 1 Massari (i quali hanno l’obbligo di contrae 3 enova un ^miglio per ciascuno) devono recare anche le armi con- egna e alla partenza daU’Ufficio di San Giorgio, che le riceverà in consegna al ritorno. Le norme più importanti riguardano il Capitano, come rappresentante esponsabile del governo e sono evidentemente rivolte ad abolire abusi e ad assicurare la difesa armata e la regolare amministrazione della città. on solo egli ha l’obbligo di non allontanarsi dal palazzo e di non ormire altrove, ma non può intervenire a banchetti o a pranzi e cene in casa a trui, e in genere deve evitare tutti i contatti che possano allontanarlo a compimento dei suoi doveri. Gli sono perciò assolutamente proibiti l’eser-cizio del commei ciò. anche per mezzo altrui, la riscossione di qualunque in-e ito provento, 1 accettazione di doni o di gratificazioni da chicchessia, a cominciare dal Re di Cipro, sotto qualunque pretesto, la partecipazione agli appalti delle gabelle e ogni sorta di accordo o convenzione coi propri ufficiali e dipendenti o con qualsiasi altra persona, che possa nascondere uno scopo di lucro personale. Queste disposizioni sono generalmente estese anche ai Massari, che non possono essere consoli di alcuna nazione nè patroni in alcun giudizio e coi quali il Capitano ha l’obbligo di curare l’esatta e scrupolosa amministrazione, di impedire qualunque estorsione o prepotenza da parte dei dipendenti, di sorvegliare perchè non si paghino stipendi o compensi di qualsiasi genere a chi non presti regolare e continuato servizio, di compensare regolarmente e senza ritardo chi lo merita, ma di eliminare con periodiche revisioni chi non compie regolarmente il proprio ufficio. Il Capitano non può fare alcuna spesa senza il consenso dei Massari; ogni anno si devono rendere i conti, e i notai addetti àgli uffici finanziari debbono tenere in perfetto ordine i registri e consegnarli all’Ufficio entro un anno dalla fine del rispettivo incarico. Oltre alla parte amministrativa, oggetto di particolari cure, il Capitano ha anche la funzione giudiziaria esercitata in suo nome dal vicario: egli deve però personalmente almeno due volte per settimana sedere in tribunale a rendere giustizia; e gli è anche affidata la tutela dell’ordine pubblico, con l’obbligo di punire prima, di allontanare poi, se occorre, dalla città le persone pericolose. Quando si tratti di più gravi provvedimenti, come l’espulsione, deve avere il consenso degli altri ufficiali, evidentemente per evitare eccessi o vendette. Numerose norme riguardano la custodia e la difesa della città e del porto, materia della massima importanza a cagione dei pericoli derivanti — 397 — dai numerosi nemici e rivali e anche dai difficili e poco amichevoli rapporti col Re di Cipro. Perciò revisione periodica delle armi e delle munizioni, di cui deve esser tenuto esatto inventario; sorveglianza della disciplina e dello scrupoloso adempimento dei propri doveri da parte degli addetti alla difesa della città, delle mura e del porto; proibizione di aprire di notte le porte, eccettuata quella della marina e solo in caso di assoluta necessità; sorveglianza sulle navi che entrano nel porto, specialmente se il numero sia tale da destare sospetti, proibizione a chicchessia di entrare nel castello e prendere misure o disegni delle mura; custodia continua e scrupolosa delle mura stesse, delle porte e delle torri. Tutti questi ordini sono rivolti naturalmente alla conservazione del possesso e questo ha uno scopo nettamente commerciale. Di qui il provvedimento che si può considerare fondamentale: quella proibizione tanto ai genovesi quanto agli estranei di toccare qualunque altro porto dell’isola che ha lo scopo di conservare a Genova il monopolio del commercio di Cipro e di assicurare al-l’Ufficio di San Giorgio gli stessi proventi per i quali si è appunto sostituito all’amministrazione dello Stato. La colonia ha così l’intento di continuare e garantire il monopolio genovese del commercio marittimo dell’isola; deve bastare a sè stessa per le spese dei funzionari e della sua amministrazione e assicurare un congruo utile all’Ufficio; ma le norme che ne regolano il governo non hanno il carattere di esoso sfruttamento e di tirannica imposizione che si suol attribuire al Banco, mirano piuttosto all’incremento dei redditi attraverso l’aumento della popolazione e la sua tutela e difesa. Così non soltanto si deve provvedere a che la città non manchi di viveri, assicurando con periodiche ispezioni che ci sia costantemente provvista di grano almeno per nove mesi, ma si prende una serie di misure per riparare le abitazioni rovinate e abbandonate e per far ripopolare la città che le vicende anteriori e i diminuiti traffici hanno impoverita e spopolata. È notevole in questi provvedimenti la presenza, accanto al Capitano e ai Massari, del Viceconte, magistrato del quale non si indicano esplicitamente le funzioni e il modo di elezione, ma che appare indigeno e rappresentante della popolazione locale, e con lui un certo numero di burgenses, parola con la quale sono sempre indicati gli abitanti indigeni. Due di costoro insieme con due genovesi devono far parte della commissione da nominarsi ogni anno, appunto per provvedere alla restaurazione e al ripopolamento della città. La partecipazione di questi elementi locali appare più evidente e importante in determinate evenienze, come la morte improvvisa del Capitano o di altri ufficiali, e in particolar modo nel sindacato dei funzionari giunti al termine della loro missione. Quando venga improvvisamente a mancare il — 398 — Capitano, i Massari e l’Ufficio della moneta devono convocare entro quattro giorni i mercanti genovesi stabiliti a Famagosta e a Nicosia ed anche il Viceconte e i burgenses, videlicet idonei. Chi precisamente siano e come designati questi burgenses idonei non è detto nè appare da altre indicazioni, ma si tratta indubbiamente dei maggiorenti locali. A tutti costoro spetta l’elezione del Capitano provvisorio, il quale deve rimanere in carica finché non venga il nuovo eletto da Genova, avere lo stipendio che sarebbe spettato al defunto per lo stesso periodo di tempo ed essere sottoposto al sindacato alla fine della funzione. L importanza data all’elemento locale appare specialmente nella nomina dei sindacatori destinati a rivedere e giudicare l’opera dei funzionari usciti d ufficio. Complicata la designazione di questi magistrati straordinari: il Capitano e gli altri ufficiali con sei mercanti genovesi residenti a Famagosta e quattro ex melioribus et honestioribus b urgens ibus, in tutto diciassette persone, debbono procedere con molte formalità, e col diritto da parte degli esaminandi a ricusarne un numero proporzionalmente stabilito, alla designazione di quattro incaricati di scrivere in tante cedole i nomi dei possibili sindacatori distribuiti in due borse, una per i nobili e l’altra per i popolari. Finalmente dalle borse si estraggono a sorte due nomi di burgenses e due di mercanti genovesi, e questi sindacatori, che non possono ricusare la nomina, prestati tutti i giuramenti di rito, per tre giorni debbono invitare con pubblico bando chiunque lo voglia a presentare reclami e denuncie e procedere poi, quando lo credano opportuno, anche senza accuse altrui ma di propria iniziativa, all’esame della gestione dei funzionari. Le sentenze dei sindacatori, esecutive quando abbiano tre voti concordi su quattro, non ammettono appello, ma tutti gli atti debbono essere trasmessi all’Ufficio di San Giorgio, al quale spetta il giudizio sull’opera dei sindacatori stessi e il diritto di punire i denuncianti che siano apparsi calunniatori. Non è possibile affermare se questo sistema complicato, riproducete del resto i metodi elettorali in uso nel tempo, abbia raggiunto lo scopo di garantire la retta amministrazione e un efficace ed effettivo suo controllo: quel che appare evidente è l’intendimento delI’Ufficio di assicurare il buon governo e la retta giustizia e di dare nel controllo larga partecipazione agli elementi locali. E nemmeno si dimenticano le opere di previdenza e di carità, stabilendo una ritenuta a favore dell’ospedale di Santo Stefano su tutti gli stipendi e le paghe dei dipendenti dall 'Ufficio. Dell’esosa tirannide che è stata così frequentemente attribuita all’Ufficio di San Giorgio in questi ordinamenti non esiste alcuna traccia. I Protettori vi appaiono anzi animati dalle migliori intenzioni; certo, essi erano piuttosto mercanti che politici e miravano all’utile economico, ma per raggiungerlo e conservarlo volevano — 399 - la retta amministrazione e la sicura giustizia e non trascuravano l’intervento e la cooperazione degli elementi locali. Può essere che non sempre gli esecutori interpretassero esattamente nella pratica attuazione gli ordini ricevuti, che la distanza tra il governo centrale e la colonia e il frequente mutare dei dirigenti il magistrato delle Compere ne affievolisse l’autorità e l’efficacia, ma questo non infirma la bontà e l’onestà delle intenzioni nè l’acuto senso pratico dei Protettori, i quali comprendevano che l’ordine e il bene della colonia erano elementi fondamentali di un loro ben inteso interesse. Il sistema economico, del resto comune nel tempo dell’assoluto monopolio a favore di Famagosta, ha potuto essere dannoso al porto stesso e ai suoi possessori, ma non può essere accusato di tirannide, anche se tale era chiamata dal Re di Cipro o dai concorrenti nello sfruttamento commerciale. Oli ordinamenti del Banco, partendo, com’era naturale, dall’interesse dell’Ufficio e di Genova, sono improntati al desiderio di riparare ai mali anteriormente lamentati e a una cura della regolarità e legalità amministrativa e di governo che risponde alle migliori tradizioni coloniali e a un retto senso di giustizia e rappresentano una oculata e salda affermazione di dominio in un punto delicato e importante del Mediterraneo orientale che fu presto perduto, non certo per una pretesa tirannide dei dominatori, ma per le condizioni politiche dell’isola, per le gare che intorno ad essa si combattevano e per la intrinseca debolezza dell’agitata e torbida vita interna genovese. 111. Tien dietro allo Statuto del 1448 una serie di norme e provvedimenti, fino al gennaio del 1463, per lo più riferentisi alla elezione del Capitano è degli altri ufficiali. Una specie di regolamento in data 21 novembre 1447 stabilisce appunto le norme per le elezioni (1). I Protettori convocano almeno sessanta partecipi delle Compere, azionisti cioè del Banco, i quali, prestato il giuramento di rito ai Protettori che poi si ritirano, procedono immediatamente alla designazione di 24 elettori cui spetta poi di eleggere i quattro proposti per ciascun ufficio da coprire. In ogni caso non può essere designato chi (1) Queste norme hanno notevole analogia e trovano conferma in quelle poco doDo emanate per Caffa e per le altre colonie del Mar Nero. Cfr. A. Vigna, Codice diplomatici*Tpa TC 78*” h Signoria deW Ufficio diSan Giorgio, Atti Soc. Ligure — 400 — non raccolga i due terzi dei voti e tra i designati la scelta spetta al Duce. Così la decisione definitiva è rimessa al Capo dello Stato, il che prova che non esiste un’assoluta separazione tra il Governo e l’Ufficio di San Giorgio. Un processo verbale del 2 maggio 1449 mostra seguite interamente queste norme e reca i nomi dei sessanta chiamati dai Protettori, dei 24 elettori da essi designati e dei quattro eletti, tra i quali il Duce Pietro Fregoso designa Antonio De Franchi a capitano e i Protettori a lor volta ne confermano la nomina. Egualmente avviene per gli altri uffici (nel 1450 si nomina anche il medico e gli si devono anticipare 150 lire), e la stessa procedura è seguita negli anni successivi; è anzi notevole che il Duce sceglie talvolta chi non ha avuto il maggior numero di voti: così avviene nel 1450 per Antonio Lercari che ha avuto 19 voti contro 21 a Francesco Saivago e 23 a Napoleone Lomellini. Sopraggiunti nel 1449 gli atti del sindacato di Pietro De Marco capitano nel 47 e i registri della masseria, l’Ufficio prende la decisione di massima che la revisione degli atti di ciascun anno debba essere affidata a coloro che in quell’anno hanno coperto l’ufficio di Protettori e sono perciò maggiormente in grado di valutare se i funzionari si sono attenuti agli ordini e alle disposizioni impartite; perciò vien deciso che i Protettori del 1447 rivedano gli atti relativi a Pietro De Marco, quelli del 48 la gestione del suo successore Galeazzo Pinelli; a suo tempo spetterà a quelli del 49 la revisione dell’operato di Antonio De Franchi. Nelle elezioni di questi anni non sono compresi i Massari, che, sebbene nominati nello Statuto del 1448, devono essere stati soppressi subito dopo; infatti una petizione comunicata dai Protettori al Consiglio di San Giorgio nel 1451 richiede il ristabilimento di quegli ufficiali che si eleggevano anche prima del 47, e che essi, come avveniva un tempo, possano poi succedere al Capitano. Ne segue lunga e arruffata discussione; i pareri fondamentali sono due: di Filippo Cattaneo che appoggia la proposta di ritornare all’antica forma di elezione e di Lodisio Grillo che si oppone risolutamente, ricordando che ne sono derivate contese e litigi; si ritorni se si vuole alla nomina dei Massari, escluso però il loro diritto di succedere al Capitano. Anzi, aggiunge Battista Calvi, se i Protettori credono necessaria la nomina dei Massari per l’amministrazione di Famagosta, abbiano autorità di nominarli direttamente e senza tener conto della classe sociale cui appartengono, purché siano onesti e di buona fama. La votazione non dà alcun risultato: la proposta Cattaneo ha 59 voti contro 36, l’altra 37 contro 38. Necessario compromesso, è presentata allora la proposta che la cosa sia deferita interamente ai Protettori e agli otto consiglieri da essi designati, e questa raggiunge la necessaria proporzione dei due terzi dei votanti con 69 voti favorevoli e 8 contrari, astenuti i Protettori e gli 8 aggiunti. — 401 — Questi, rimessa a loro ogni decisione, hanno creduto opportuno di non fare alcuna innovazione. Non hanno cioè ristabilito l’ufficio dei Massari, i quali infatti non sono più nominati, nè si trova traccia di loro elezioni, mentre sono nominati gli scribi o notari della masseria, che ne hanno assunto probabilmente le funzioni, e che, essendo ufficiali inferiori, non possono contrastare l’autorità del Capitano. Frattanto, in seguito alle richieste di aiuto del Capitano uscente, e dati i pericoli sempre maggiori del possesso minacciato da ogni parte, è stata decisa la nomina di un Commissario e Prefetto incaricato di provvedere alla difesa e ai bisogni della colonia, alla situazione generale dell’isola, c on la missione di trattare col re di Cipro, e alla fine di dicembre i Protettori eleggono Napoleone Lomellini, assegnandogli un cancelliere, quattro servi e un cuoco, cui si aggiunge poi anche un ragazzo. Ma il Lomellini indugia e mette innanzi ogni sorta di pretesti: ai primi di gennaio gli si aumenta l’assegno; in febbraio non è ancora partito e presenta altre richieste che non dimostrano certo un grande disinteresse nè un profondo civismo, ma che sono assai probabilmente ispirate dalla preoccupazione della situazione generale in oriente e dall’incombente pericolo turco. E . Protettori deliberano che sarà compensato al ritorno secondo i suoi meriti e indennizzato dei danni eventuali. Tutto questo attesta una situazione interna torbida e indisciplinata-ed ecco affiorare anche, dove meno si attenderebbe, il conflitto tra le classii l: le categorie sociali. Proprio per l’elezione del Capitano, nel gennaio 1452 scoppia un aspro dissidio tra i 24 designati dal Consiglio dei 60 a scegliere , quattro da proporsi al Duce per la nomina: tanto gli artefici quanto I mercanti pretendono che i quattro debbano appartenere alla loro classe tervengono , Protettori a mettere pace e fanno ricordare dal notaio, sotto la pena contenuta negli Statuti, l'obbligo di eleggere 1 quattro senza restri, zone d, classe, ma « apthres et idoneos ad administrationem dicti offici]. Alla bue vinta opposizione degli artefici che appaiono i più irriducibili, è stabilito che la scelta cada su due per classe. Tra i quattro designati Pietro legoso sceglie Antonio Qiniberti, che è confermato dai Protettori- è probabile die appartenga agli artefici, ma non è esplicitamente detto Dall'insieme di questi provvedimenti e dalla discussione allora seguita ta che i sessanta del Consiglio convocati dai Protettori sono trenta nobili (qmndeam nobilium albomm, totidem coloris nigri) (1) e trenta popola-(quindic, artefici e quindici mercanti) e che i designati agli uffici debbono liguri, cì.^,7'r”^°iC0l0ri ° parti,i 51 <"» P- 'e c°lonie Tauro- 26 — 402 — essere alternativamente nobili e popolani (per il 1453 i quattro designati all’ufficio di Capitano sono infatti tutti nobili e l’eletto è Lamba Doria), ma che profondi dissidi dividono tra loro anche i popolani, pretendendo ciascuna delle parti una regolare alternativa negli uffici. E questi contrasti che minano alFinterno la solidità e la forza della Repubblica si ripercuotono anche nelle colonie, indeboliscono 1 autorità degli ufficiali e creano, con quelle alternative di classe, disformità di criteri e di azione. Del resto l’indisciplina e il tipico infrenabile individualismo, pericolosa minaccia’agl’interessi generali e alla sicurezza dei dominii, sono attestati dal fatto che i mercanti genovesi sono i primi a disobbedire alle ripetute proibizioni di toccare altri porti fuori di Famagosta e a non rispettare le misure imposte per rifornire la città di viveri e metterla perciò in grado di resistere a ogni minaccia dei nemici, onde quegli ordini devono essere ripetuti con frequenza che è indice della loro scarsa efficacia. I vari provvedimenti particolari in favore di Famagosta, la nomina di cittadini genovesi che da Chio come importante osservatorio debbono fornire informazioni, l’invio di grano appositamente acquistato in Sicilia, i compensi e gli onori a Damiano Lomellini che ha occupato il castello di Limis-so, i provvedimenti e le nomine per questo castello contrastano con la intima ' debolezza del governo, il quale nel faticoso tentativo di equilibrio tra le classi sociali trasporta anche nel reggimento della colonia i dissidi che logorano all’interno la vita cittadina. In questa situazione e nell’aggravarsi delle minacce esterne è naturale che si facciano sempre più frequenti i rifiuti degli eletti ad accettare gli uffici, sopra tutto quando la vita interna genovese è maggiormente agitata, come dopo la caduta di Pietro Fregoso nel 1458 e il breve dominio del Re di Francia e l’infuriare delle contese tra Adorno e Fregoso. Nel 1458 uno solo dei quattro eletti e successivamente interpellati accetta l’ufficio di Capitano; due anni do po nessuno vuol assumere gli uffici minori della colonia e la scelta dev essere fatta fuori delle norme consuete. Nel 1462, quando già Famagosta è assediata dal Re di Cipro Ludovico di Lusignano, l’anno stesso in cui Genova, al dire dell’annalista Giustiniani, pare non si sazi di mutare governi e signorie e di far conoscere a tutto il mondo la sua instabilità, è nominato l’ultimo Capitano in forma regolare, Bartolomeo de Luxoro. I 24 elettori riuniti il 16 marzo, durante uno dei brevi ducati di Lodovico Fregoso, hanno proceduto alla scelta, avvenuta questa volta tra gli artefici e di color bianco-Alla fine di ottobre il Luxoro non è ancora partito e, dopo molte indecisioni e l’allegazione di molti pretesti, finisce col ricusare assolutamente l’ufficio e in suo luogo Ludovico Fregoso, che intanto ha avuto il tempo di essere deposto e ristabilito nella carica suprema, sceglie Raffaele Soprani, disposto ad accettare. — 403 — Frattanto, pochi giorni prima, 1*11 ottobre, gli otto protettori di quell’anno, annullata l’elezione dei precedenti otto aggiunti e sostituitili con altri otto - tutto questo indica chiaramente l’anormalità delle condizioni - nominano senza le consuete formalità Acellino Lercari a succedere al Luxoro quando questi abbia finito l’ufficio che pochi giorni dopo, forse anche per questo provvedimento, ricuserà definitivamente. L’elezione del Lercari è dovuta al fatto che lo si designa ad eventuali trattative col Soldano anche per le colonie del Mar Nero; poi, quasi a compenso, avrà l’ufficio di Famagosta, mentre al Soprani, che a tante difficoltà si è sobbarcato, si deliberano speciali compensi quando, finito l’ufficio, non possa facilmente tornare in patria: con che si accenna evidentemente alle difficoltà derivanti dall’assedio. Anche in questi ultimi provvedimenti e in mezzo a tanti pericoli non si dimenticano le questioni e le pretese dei partiti. 1 Protettori infatti, ad evitare i dissidi sorti altre volte, essendo stabilito che il successore di un ufficiale che non abbia compiuto il suo tempo debba essere del medesimo colore, deliberano che quando Raffaele Soprani venga a morire, precauzione dovuta evidentemente all’eccezionale momento, lo sostituisca appunto il Lercari, e, se questi sia assente, altro del medesimo colore. Con questa designazione cessano i provvedimenti contenuti nel codice: Famagosta è ormai agli estremi; dopo pochi mesi deve arrendersi e dalle sue mura si abbassa per sempre la croce di San Giorgio. Ma più assai che per un preteso dominio esoso e tirannico la colonia è perduta per le minaccie esterne e le preponderanti forze avversarie, ma anche per una intima debolezza di governo che frustrale buone intenzioni e i saggi ordinamenti dell’Ufficio, perchè in essa e nei suoi rappresentanti si riflettono, tanto più pericolose di fronte agli esterni nemici, le lotte interne che intorbidano la vita cittadina. E se ne può ricavare l’ovvia e semplice conclusione che anche perii sicuro possesso e il proficuo sviluppo delle colonie è indispensabile il saldo e organico governo e il disciplinato ordinamento della madre patria. ' 9 ' • ' ■ ' * ' ' » . ■ _ _ ORDINAMENTI E STATUTI DI FAMAGOSTA ■ MCCCCXXXXVI1 JUU'l Leggi e ordini per la città di Famagosta città dell’isola di Cipri fatti mentre essa era sotto lo governo della casa di S. Giorgio di Genova. Acopiati fedelmente da una Copia autentica che ha avuto il Sc Giulio Pallavicino da un Nobile Genovese questo anno 1597, a 20 Ottobre in Genova. Di Giulio Pallavicino q. Agostino q. Francesco. Al Molto 111. Sig. Il Sig. Agostino Pallavicino q. Filippo mio Sre Ossmo MCCCCXXXXVII die XXIII Julij Protectores comperarum Sancti Georgij excelsi communis Janue, cupientes omni studio omnique cura et mente invigilare circa amplificationem et incrementa civitatis Famaguste nobis carissime ut civitas ipsa in brevi reformata sentiat commodum, et populus ille incrementa et fructum translationis dominij in nos facte, omni modo iure via et forma quibus melius et validius possumus, statuimus et ordinamus ut infra. Mandantes et expresse committentes spectabili viro Petro de Marco Capitaneo dicte Civitatis, Damiano Lomellino et Francisco de Ligiolis Massarijs, Quatenus his acceptis, sfcatim vocatis vocandis ut inferius disponitur omnino intendant executioni et observantie inferius descriptorum, et singula singulis refferendo illi' ad quos pertinet exequantur sub pena et penis inferius expressis. Primum enim Raptum violentiam et actus insuportabiles et alienos ad habitandum libere civitatem illam mulierum sive matrimonio copulatarum sive nou, ex omni parte abhorrentes et molestissimos habentes decernimus de cetero abstinendos esse sub pena a iure statutas, omnes autem matrimonio copulatas concubinali actu aut aliter violenter ab aliquo detentas mandamus relaxandas suis maritis si requisiverint et si non requisiverint per generale preconium quod omnino fiat infra dies tres incipiendos a die receptionis presentium, quatenus maritate si mariti elegerint, et non maritate ad parentes suos si illi elegerint revertantur infra mensem unum ne in his aliquis iniuriam ulterius patiatur, et propterea omnino relaxentur ut libere redeant ad maritos et parentes et hec exequantur a Capitaneo et Vicario presentibus et futuris sub pena salarij — 408 óùiuslibet ipsorum unius mensis irremissibiliter applicata massarie exigenda in suis sindacamentis et facto preconio diligenter et severe procedatur elapso termino contra delinquentes, et semper quod casus exigeret, puniantur in futurnm delinquentes e pena a iure statuta. 2. — Quicumque habitaturi de cetero dictum locum pro anno uno habeant salvum conductum tutum et liberum pro debitis quibuscumque extra civitatem contractis, et inde recedere et redire possint libere suo arbitrio, accedentes autem cum uxore et familia habeant salvum conductum pro duobus annis pro debitis contractis extra civitatem et inde recedere possint arbitrio suo, et de his fiat preconium et observetur, sed advertatur hoc capitulum non habere locum pro illis subditis regijs prohibitis receptari ex forma federum. 3. — Nulli liceat vendere aliquod officium nec emptum exercere sub pena dupli valoris seu estimationis valoris officij applicata massarie Famaguste irremissibiliter exigenda, et de his fiat preconium et inde diligens inquisitio per Capitaneum massa-rios et officium monete et executio sub pena solvendi de proprio exigenda ab illo seu illis qui fuerint causa inobservantie huius Capituli. 4. — Scribe autem curie debitam solutionem promissam ex constitutione tabule solutionum notariorum Janue et ultra soldos decem pro libra, eius quod permissum est in Janua accipi habere debeant et nihil ultra pro scripturis instrumentis et actis conficiendis, sub pena dupli applicata massarie et hoc publice noti licetur. 5. — Scriba massarie omnes reformationes ad se et officium suum pertinentes observet sub dicta pena, lites a bisantijs quinquaginta infra, intra tres dies petitionis vel saltem infra octo dies verbo vel scriptis summarie reiectis cavillationibus quibuscumque, terminentur per Capitaneum sive Vicarium suum aut duos eligendos de tribus mensibus in tres menses per Capitaneum massarios et officium Monete; a bisantis vero quinquaginta usque in centum infra dies quindecim per predictos singula singulis referendo, a bisantis autem centum supra serventur statuta communis Janue hactenus in civitate illa observata. 6. — Sit semper munita civitas victualibus pro anno uno vel saltem pro mensibus novem ut non defficiat nec permittatur extrahi si non esset fulta pro mensibus tresdecim, sub pena amissionis et ultra ducatorum centum usque in mille a Capitaneo et mas-sarijs exigenda, qui teneantur de duobus mensibus in duos menses bis vel saltem semel victualia revidere sub pena ducatorum decem pro singulo applicata ut supra. 7. — Similiter quibuscumque duobus mensibus anni bis vel saltem semel revidere debeant una cum officio monete omnia arma et munitiones communis, et egentia et egentes reparatione reparari et aptari faciant sub dicta pena. Que autem erunt in privatas personas bis in anno quia utile erit. 8. — Nullus scriptus ad stipendium illius civitatis obligatus ad excubias deficiat iu mense ultra ter, qui defecerit ultra ter nisi legitima excusatione precedente cognoscenda per Capitaneum massarios et officium monete et approbanda per illos cassetur a stipendio et alius subrogetur per predictos nec in mense ultra tres sponta-turas cavalerius habere possit si plures habuerit vel notitia esset Capitaneo sive massarijs aut officio monete, quod aliquis defecisset ultra et non fuisset eis denunciatus, condemnatus sit cavalerius pro quolibet a bisantijs centum usque in ducentos et qualibet vice applicandos massarie et irremissibiliter exigendos, a Capitaneo et massarijs sub pena eadem pro singulo, et capitaneus revideat omni nocte saltem semel in unam quatuor vigiliarum excubias et pro reliquis bene provideat. — 409 — î). — Sumptibus illius Civitatis nobis ignotis providere intendentes eo meliori modo quo possumus et ex omni parte tota mente incumbere commodis et amplitudini illius tam diu orbitate urbis ut de cetero in melius dirrigatur divina clementia concedente, statuimus quod aliquis officialis illius civitatis habens vel exercens aliquod officium in ea civitate nullum salarium vel provisionem ultra sibi debitam vel debitum ratione officij ad quod electus est percipiat vel percipere possit, et nihil ultra vigore aliquarum litterarum, sub pena dupli exigenda tam a solvente quam a recipiente quam etiam a quocumque iubente illud vel illam solvi applicanda ut supra. 10. — Frequens recessus navis cum qua fuerit expeditus a vobis spectabilis Petrus de Marco capitaneus fuit causa ut nequiverimus providere litteris officiorum et stipendiorum concessorum pro illa civitate. Itaque attenta egestate illius massarie, statuimus quod prefatus Capitaneus una cum massarijs. officio monete, quatuor ex melioribus civibus sive burgensibus ipsius civitatis et duobus ex prestantioribus civibus Janue mercatoribus residentia,m habentibus in Famagusta vel Nicosia eligendis per Capitaneum massarios et officium monete, Misso preconio de presentatione omnium litterarum officiorum stipendiorum et provisionum illius civitatis, que presentari debeant infra dies tres coram eis, revideant omnes litteras officiorum salariorum et provisionum et quod moderentur et annullentur illa salaria illeque promissiones de quibus maiori parte prenominatorum videbitur super quibus omnibus diligenter advertant et intendant ad bonum illius civitatis remota omni spe premij, omni odio, omnique humana gratia. 11. — Mittantur annuatim nobis exemplum cartulariorum massarie, et per primum passagium rationes introitus et exitus illius civitatis, et inventarium munitionum sub pena ducatorum viginti quinque usque in centum a Capitaneo et Massarijs exigenda. 12. — In celebratione consiliorum vocentur boni cives mercatores et burgenses intendentes ad bonum inter quos propter virtutes et famam d. M. Thome et Johannis Bibiorum et Thome Maneel non diminuentes propterea famam et devotionem aliornm quos etiam commendamus tamen istos si non eliguntur nec revocantur de cetero volumus eligantur et vocentur ad consilia ut eorum fidei et virtutum nec non accepte nobis eorum devotionis fructum sentiant. Registrentur premissa in regulis. MCCCCXXXXVIII die XXII Januarij In nomine Sancte et Individue Trinitatis Patris et Filij, efc Spiritus Sancti, Beatissime Marie semper Virginis, Beati Georgij martiris, Gloriosissimi Vexilliferi Ja-nuensium et totius curie celestium triumphantis Amen. Nos Simon Justinianus prior, Illarius Grillus, Andalo Marrufus, Guirardus de Goano, Babilanus Ceba, Lodisius de Oliva et Albertus Spinula septem ex octo protectoribus comperarum Sancti Georgij anni de 1447 — Absente tantummodo Nobili Urbano de Nigro egrotante — Bartolomeus de Zoalio prior, Hieronimus Lercarius, Lucianus de Grimaldis, Cristoforus Tonsus, Odoardus de Prementorio, Manuel Salvaigus, Dominicus Bartolomeus de A.uria, et Antonius de Cassana protectores Comperarum Sancti Georgij anni de 1446. — 410 — Habentes ex deliberatione in celebri contione facta super his et alijs bayliam ainplam. intendentes divino favente presidio consulere et providere augumento et amplitudini civitatis Famaguste, cuius dominium in protectores dictarum comperarum translatum est, ut ipsa divina gratia mediante in melius et regimen illius civitatis dirigatur et bene contenta succedant, Maturo et longo examine precedente sumptis informationibus oportunis, omni modo iure via et forma et causis quibus melius et validius possumus regulando statuimus et ordinamus infrascripta servari debere in ipsa civitate ab illa die in antea qua pervenerint ad notitiam Capitanei Famaguste et aliorum officialium de quibus inferius fit mentio seu quam primum in Famagusta luerint publicata, que publicari facere teneatur Capitaneus infra sex dies immediate secuturos post presentationem ab inde in antea quam diu ipsa civitas erit sub regimine et dicione nostra et nostrorum successorum sub peDa et penis inferius specificatis applicatis ex nunc pro ut ex tunc massarie Famaguste, approbantes ex nunc quecum-que alia statuta dicte civitatis et alia per nos antea missa in quantum contenta in his regulis et statutis non contravenirent. Mandantesque sub pena florenorum in auro centum Capitaneo Famaguste, quattenus his acceptis congregari faciat Massarios officium monete et vicecomitem illius civitatis, coram quibus ea legi faciat et pubblicari, indeque registrari in actis curie Famaguste et in Massaria infra alios dies sex immediate secuturos, ut de eis copia tieri possit illis ad quos pertinebit. Que regule et statuta sunt ut infra. 1- — Primo quod Capitaneus presens et quilibet successurus in officio Capita-neatus Famaguste per rectum vel indirectum per se vel interpositam personam non possit audeat vel présumât facere vel fieri facere mercantiam in dicta civitate nec in insula Cipri, nec cum aliquo habitante vel diversante in dicta civitate vel insula illa participare gratia mercandi et aliquo pertinenti ad mercantiam sub pena fiorinorum in auro ducentorum usque in quingentos arbitrio videlicet a ducentis supra suorum sin-dacatorum, considerata qualitate et quantitate mercantie et participatione et cum quo que pena sit applicata massarie. -• — Item quod dictus Capitaneus per rectum vel indirrectum ullam habere possit ve! présumât intelligentiam cum aliquo officiale vel stipendiario dicte civitatis, nec ab aliquo qui stipendium percipiat audeat accipere per se vel interpositam personam per rectum vel indirrectum aliquod exemium tributum vel promissionem aliquid habendi quod sit alicuius premii utilitatis vel commodi, sub pena florenorum quinquaginta in auro, et ultra usque in ducentos arbitrio suorum sindicatorum, consideratis debite considerandis a quinquaginta tamen supra et ultra teneatur ad restitutionem rei donate applicata massarie. 3. — Item quod dictus Capitaneus non audeat vel présumât quovis modo aliquod exemium a quavis persona accipere, preter quam exculentum et poculentum, quod non excedat valorem bisantiorum decem, et tamen non audeat per se vel interpositam personam quovis modo dare operam quod ei mittantur exemia ipsa promissa, Nec per rectum vel indirrectum a Ser.mo Djmino Rege vel ab aliquo quovis alio aliquod exemium vel tributum seu promissionem aliquam alicuius utilitatis accipere possit, sub pena ducatorum decem usque in quingentos pro singulo et singula vice et etiam ultra arbitrio sindicatorum, considerata qualitate ac valore exemij seu tributi, et tamen teneatur ad restitutionem rei donate et promissionis seu gratie ei concesse vel facte applicanda massarie. — 411 — 4. — Item quod Capitaneus non audeat dormire nocturno tempore extra pala-cium nisi contingeret casus necessitatis alicuius provisionis vel suspicionis belli tempore, sub pena aureorum viginti quinque pro singula vice applicanda ut supra. 5. — Item quod Capitaneus nocturno tempore non permittat aliquo casu aperire aliquod hostiorum dicte Civitatis, sub pena a ducatis quingentis usque in mille arbitrio sindicatorum suorum, salvo in casu magne necessitatis, quo casu hostium marine tantum servatis ordinibus antiquis, et cum consilio eorum qui solent vocari, et cum diligentissima custodia possit si obtentum erit servatis omnibus servandis aperiri hostium predictum marine tantum. 6. — Item quod Capitaneus et massarij omni ebdomada semel revideant illos quibus datur stipendium, et si quem invenerint deticere illum in cartulario massarie notari et cassari faciant, nec stipendium- in aliquem perveniat, sed remaneat in massaria, et omni die lune revideant spontaturas stipendiariorum, et quos invenerint in ebdomada ultra unam habere spontaturam salvo iusto impedimento duas, cassent sub pena ducatorum decem a Capitaneo exigenda irremissibiliter et a singulo massariorum quinque. Qui etiam vinculo iuramenti et sub dicta pena teneantur scrutari diligenter omni ebdomada fraudes que committuntur in excubijs, et si invenerint cavalerios et subca-valerios culpare in aliquo eos pro prima vice puniant in penam ducatorum decem pro singulo, quos irremissibiliter exigant, secunda vero vice eos privent ab officio. 7. — Item quod dictus Capitaneus vel massarij seu scriba massarie vel subrnas-sarie per rectum vel indirrectum per se vel interpositas personas non audeant vel présumant quovis modo participare in aliquibus cabellis Famaguste sub pena florenorum in auro quingentorum a Capitaneo exigenda, trecentorum a singulo massariorum. ducentorum a scriba et centum a submassario, que pena irremissibiliter exigatur a quolibet contrafaciente, et adveniente tempore venditionis cabellarum curent dicti Capitaneus et massarij quod conspiratio vel cabella non interveniat, et si quem vel quos conspirare vel cabellam agere invenerint, puniant illum seu illos a florenis in auro viginti quinque usque in ducentos applicandis massarie, et hoc publice proclametur ante per mensem unum temporis subhastationis ter, et initio etiam subhastationis saltem semel. 8. — Item quod massarij nec scriba massarie nec cavalerij nec submassarius audeant vel présumant per rectum vel indirrectum cum aliquo stipendiario mercan-tiam facere vel eis vendere res vel merces cum promissione accipiendi tot de suis pagis vel aliter, sub pena florenorum in auro a viginti quinque usque in centum a singulo contrafaciente vice singula exigenda, nec de victualibus venalibus in illa civitate quovis modo se impedire vel intromittere possint gratia negotiationis sub dicta pena applicata ut supra. 9. — Item quod omni mense semel Capitaneus et massarij et vicecomes revideant una cum officio monete munitiones communis et devastatas reparari faciant sub dicta pena et neuter ipsorum elavem suam committat alteri, scilicet semper in aperitione omnes adsint, et donec magazenum seu statio dicte munitionis erit aperta présentes sint. Ita quod in absentia alicuius ipsorum Capitanei massariorum et vicecomi tum nec aperiri nec exportari aliquid possit et in presentia ipsorum omnium claudatur, clavesque ipsi Capitaneus Massarius deputatus et vicecomes videlicet quilibet unam teneat, quam nulli recommittere possit, nisi in casu necessitatis seu impedimenti legitimi, quo casu facta noticia officio monete quod interesse debeat possit recom-miti persone fideli, et hec sub pena florenorum in auro viginti quinque usque in centum pro singulo et singula vice, qua fuerit contrafactum applicata massarie. — 412 — 10. — Item quod omni mense vel saltem de duobus mensibus in duos menseS semel Capitaneus Massarij una cum officio monete et vicecomite revideant quomodo civitas frumento abundet, et conentur semper provisionem habere pro anno uno vel saltem pro mensibus novem et semper reimplicetur ut evitetur omne periculum, et hoc sub pena florenorum in auro quinquaginta a Capitaneo, a singulo massanorum vigintiquinque et decem a singulo officialium monete et vigintiquinque a vicecomite si fuerint négligentes in predictis vice qualibet qua contrafecerint, in pena eorum officii exigenda. 11. — Item quod Capitaneus et Massarij pagas facere debebunt secundum redditus F.unaguste et pecunias quas pro tempore habuerint non diferant ultra tres dies temporis quo solvendo venerint secundum redditus et pecunias quas habuerint vel habere debuerint, sub pena florenorum in auro vigintiquinque a Capitaneo, et decem a singulo massariorum exigenda vice qualibet qua contrafecerint, et solutiones paga-rum fieri faciant in pecunia, et non de mercibus, sub dicta pena. 12. — Item quod Capitaneus omni ebdomada non feriali saltem bis sedeat ad scannimi Curie et lusticiam ministret et ministrari faciat sub pena florenorum quatuor in auro, et de hoc nisi legitima causa interveniente in suo sindacamento per acta curie conficienda dictis duobus diebus fidem facere teneatur in fine officii sui, vicarius vero suus omni die non feriali mane et post prandium sub pena bisantiorum quinque pro singula vice, salvo tamen iusto impedimento. 13. — Item quod Capitaneus et Massarij in fine anni sui teneantur solidari facere rationes cartularij massarie quibus solidatis infra mensem, postea statim exemplari faciant dictum cartularium, illudque exemplum bene revisum mittere annuatim debeant cum primo passagio Mag.co offitio Sancti Georgij sub pena ducatorum ducentorum a Capitaneo et centum a singulo massariorum exigendorum. II. — Item quod Capitaneus provideat ne Cavalerij aliquas extorsiones vel propter spontaturas vel propter executiones seu occasione carcerum alicui faciant sub pena florenorum decem in auro pro singulo et singula vice, qua fuerit sibi denunciatum quos si invenerint contrafacere severe puniant. 15. — Capitaneus autem Famaguste habere debeat infrascriptam comitivam videlicet unum vicarium iuristam bone fame quem quilibet secum ducere teneatur, ca-valerios unum vel duos arbitrio officij, duos subcavalerios, servientes in numero consueto, duos tubicines, quatuor famulos quos a Ianua secum ducere teneatur sub pena ducatorum vigintiquinque pro singulo, Pagium unum equos quatuor, coquum unum, massarij vero famulum unum pro singulo, quos secum a Ianua ducere teneantur, sub pena ducatorum viginti pro singulo. 16» — Item quod Capitaneus et Massarij a Ianua secum portare debeant arma sua offendi bilia et defendibilia pro persona eorum, que ostendere debeant M.co officio Sancti Georgij mandaturo poni Marcum sive signum super illa que in principio officij sui ostendere debeant officio monete in Famagusta et ea tenere in camera ipsorum, eaque in fine eorum officij teneantur tradere et consignare offitio prefato illa collocaturo in magazeno munitionum et in illa de Ianua delata pro personis suis et de traditione confici faciant scripturam, cuius exemplum mittatur prefato officio, sub pena florenorum in auro viginti a singulo, videlicet tam a Capitaneo quam a massarijs con-trafacientibus penitus in Famagusta exigenda et applicanda ut supra. 17» — In electione autem officij monete et aliorum officiorum sint cives et bur-genses ex melioribus et utilioribus et melioris fame, et si contingat fore defectum ali- — 413 — cuius coloris, suppleatur da alio colore vel non habeatur respectus ad collores dummodo viri boni et virtuosi timentes deum sint, qui intendant ad bonum pacificum et augumentum illius civitatis, illi vero tales elligantur quia nihil est quod nobis gratius fieri possit, quam totis viribus et conatibus eligantur viri virtuosi qui omnes intendant amplitudini illius civitatis et bono et pacifico statu eius, propter quod statuimus quod illi qui sunt boni et virtuosi et qui suis facultatibus non parcent pro augumento ipsius civitatis, et in atrahendo aviamentum et traficum et negotiationem ad ipsam civitatem illi eligantur honorentur et bene tractentur, qui eligendi ad dicta officia enitantur ea agere una cum Capitaneo et massarijs modosque tenere quod fagiolati et familie de diversis partibus veniant illuc habitatum, eosque benigne tractare debeant, ipsis vero eligendis in principio officij sui deferatur iuramentum quod bene fideliter et diligenter exercebunt officium ipsum ad honorem et gloriam I. D. Ducis excelsi communis Ianue et Mag.ci offitij Sancti Georgij ad bonum et augumentum illius civitatis, remotis odio errore, prece, precio et omni humana gratia. 18. — Nullo pacto concedatur licentia alicui persone cuiusque status gradus conditionis vel preheminentie existant portum alibi facere quam in Famagusta in his et pro his pro quibus non licet portum facere alibi quam in Famagusta. Et hoc sub pena a florenis ducentis usque in quingentos in auro a Capitaneo exigenda et si per aliquem contrafieret detur opera illum severe punire et nihilominus contra D. Regem prote-stetur, et fiat quicquid fiendum sit ne contrafiat. 19. — Adveniente quod absit casu mortis Capitanei pro tempore existentis tum de mandato massariorum et officij monete, quibus hec eo casu datur balia, statuatur dies fiende ellectionis successoris que fieri debeat infra quatuor dies immediate secuturos post mortem, et citentur mercatores Ianuensfes Nicosie commorantes et omnes mercatores Ianuenses qui erunt in Famagusta, et vicecomes citetur et adsit adsintque in palacio in loco solito burgenses, videlicet idonei salvo iusto impedimento, et congregatis ipsis massarijs et officio monete vicecomite mercatoribus Ianuensibus qui ex Nicosia venerint, ommibus mercatoribus Ianuensibus et burgensibus idoneis Famagoste qui in Famagusta erunt qui salvo iusto impedimento poterunt interesse in palacio procedatur ad denominationem illorum qui iudicabuntur ad dictum Capitaneatus officium idonei et inde procedatur ad electionem magis idonei ad ballotolasfsive calculos aut lapillos albos et nigros et ille intelligatur et sit electus qui plures obtinuerit balloto-las albas, sive lapillos seu calculos albos, dumodo ad minus obtineat duas tertias partes albas, et ille qui sic obtinuerit sit Capitaneus et successor Capitanei defuncti usque qui electus vel eligendus in Ianua ibidem applicaverit, qui sic electus loco defuncti habeat potestatem et bailliam Capitaneo attributam et cum salario similiter quod datur Capitaneo. Ita tamen quod diminuantur salariait expense debita et debite heredibus Capitanei defuncti, et ita massarij et officij monete calculent et moderent quod propterea massaria non perferat maiores sumptus quam si casus non intervenisset, sub pena solvendi de eorum proprio; heredibus vero Capitanei defuncti detractis expensis omnibus si non exercuerit officium mensibus sex detur salarium usque ad complementum mensium sex, si excesserit menses sex, nihil proptera pro tempore quo restaret sibi exercere solvatur et qui eligendus ut supra stare debeat sindicamento et solvere condemnationes que contra ipsum fierent per suos sindicatores. 20. — Si contingat mori in officio aliquem officialem de cuius successore non sit provisum surrogetur alius idoneus per Capitaneum Massarios et officium monete cum quatuor ex melioribus mercatoribus Ianuensium in Famagusta commorantibus, et — 414 — casu quo ia Famagusta mercatores Ianuenses non essent, vocentur ex melioribus mercatoribus Januensibus Nicosie commorantibus et dicta surrogatio fiat ad calculos albos et nigros, in qua electione obtineant ad minus due tertie partes calculorum alborum, que surrogatio duret usque successor eligendus per Mag.um officium Sancti Georgij applicuerit Famagnstam, et qui surrogandus habeat illud salarium quod habebat ille iu cuius locum fuerit surrogatus, diminutus expensis que solute fuissent per ipsum defuuctum. Ita quod massaria non perferat ampliora onera. Qui surrogatus stare debeat sindicamento et solvere condemnationes que contra ipsum fierent per sindicatores aliorum officialium. 21. — Adveniente vero tempore eligendorum sindicatorum Capitanai massariorum, vicarii, et aliorum officialium qui eligi debeant infra dies tres immediate secuturos post exitum ipsorum debeat capitaneus successor sub pena florenorum in auro centum congregari facere massarios officium monete et quatuor ex melioribus et honestioribus burgensibus et sex Ianuenses mercatores ex honestioribus residentibus in Famagusta si tot erunt, si non suppleatur ex illis ressidentibus in Nicosia, qui erunt numero omnibus computatis decem septem et accepto per eos iuramento fideliter agere et facta notitia Capitaneo veteri quod det suos suspectos inter quos ex burgensibus si erunt viginti quinque idonei dare possit sex, ex Ianuensibus autem si erunt tot idonei inter Famagustam et Nicosiam dare possit etiam sex, si vero non tot repe-rirentur diminuatur numerus ad ratam, et ex reliquis ad ballotolas albas et nigras eligi debeant quatuor per dictos Capitaneum, massarios, officium, et alioscon-vocatos, in qua electione due tertie partes ballotolarum albarum obtineant, in quibus quatuor si erunt nobiles et populares idonei accoloriti servetur consuetudo, si non, approbentur meliores ad ballotolas sive calculos sive lapillos albos et nigros, et ad minus obtineant due tertie partes, inter quas intelligantur inter decem septem undecim et si tot ex causa legitima non intéressent et fiat ellectio per illos ex dicto numero qui haberi poterunt dummodo apponatur omnis diligentia habere numerum ordinatum, et in dicta electione obtineant due tertie partes illorum qui aderunt. Qui tamen omnes sub pena ducatorum viginti quinque pro singulo citari debeant, ex quibus duabus ter-tijs partibus burgensium et mercatorum Ianuensium approbatorum debeant nomina et pronomina scribi in cedulis particulariter et in saculis duobus poni videlicet nobiles in uno populares vero in alio, ex quibus sepe misculatis extrahantur due cedule vi-dilicet de quolibet saculo et illi quibus sortes obvenerint electi sint sindicatores videlicet duo mercatores Ianuenses, et duo burgenses, et qui quatuor electi sint et esse debeant sindicatores officialium sindicandorum qui officijs suis proxime functi erunt, et accepto omnes iuramento quod bene et fideliter procedent, remotis odio, prece, precio et omni humana gratia compellant capitaneum processorem satisdare coram ipsis de florenis in auro mille singulum massariorun de florenis in auro quingentis singulum scribanum de florenis in auro ducenti quinquaginita, cavalerios de florenis centum in auro custodem porte limiso de florenis in auro ducentis, submassarium de florenis in auro centum, et reliquos officiales de ea quantitate de qua ipsorum sindicatorum discretioni videbitur, firmis tamen remanentibus fideiussoribus prestitis coram Mag.co officio Sancti Georgij. Inde per dies tres continuos faciant preconisare quod volentes querelam exponere cintra ipsos olim officiales singulos nominando vel contra eos aliquid petere accusationem suam seu petitionem fecisse et deposuisse debeant infra dies octo sequturos a, die proclamationis. Qua deposita infra dies tres compelant accusatum vel illum a quo — 415 — aliquid petitur respondere cura iuramento, inde intelligantur assignati dies octo pro termino actori et reo ad probandum quibus probationibus factis immediate ellapso termino suprascripto intelligatur de novo assignatus terminus aliorum dierum octo qui sit communis actori et eo ad probandun et reprobandun postea procedatur per ipsos sindicatores ad expeditionem processus infra dies duodecim absolvendo vel condemnando pro ut eis videbitur, quorum sententie ferende per tres ex eis concordes valeant et teneant ac exequantur non obstante aliqua appellatione vel reclamatione, cui non sit locus quo ad supersedendun executionem seu ad ipsam executionem impediendam. Qui sindicatores habeant potestatem et arbitrium puniendi ipsos olim officiales secundum eorum demerita et criminum qualitates tam corporaliter quam pecunialiter, procedendo summarie et de plano sine strepitu et figura iudicij reiectis cavilationibus quibus-cumque sola facti veritate inspecta etiam per viam inquisitionis seu denunciationis nemine etiam instante. Ita tamen quod in punitionibus et processibus corporalibus si casus exigeret propter dubietatem vel obscuritatem processus, consulant iuri peritum si eis videbitur. Verum ut ipsis sindicatoribus frenum sit procedere ut iustum erit et ut videatur si vel tepide processissent vel maliciose egissent, teneatur Capitaneus Famaguste successor Capitanei sindicati mittere processus absulutorios vel condemnato-rios cum actis et actitatis in illis sindicamentis Mag.co officio Sancti Georgij illos sindicatores vel commendaturo de bono opere vel de malo correcturo si ipsi officio videbitur, et quia interdum suscitant calumniosi accusatores, teneantur dicti sindicatores contra calumniosos accusantes procedere pro ut processissent contra accusatum, illosque condemnare si saltem non probaverint semiplene vel coniecturas ostenderint deficientibus sibi probationibus quibus eorum conscientie indicent illos non mereri condemnari, et taliter procedant et faciant quod mereantur penam ne indebite quis ab aliquo malestetur. Nullus autem electus sindicator possit se excusare vel recusare sumere tale onus sub pena florenorum centum in auro applicanda massarie. 22. — Si aliqui rixossi homines male fame habitarent vel residentiam haberent in Famagusta et committerent rixam dignam punitione pro prima vice puniantur iusticia mediante per capitaneum pecunialiter vel corporaliter secundun criminis qualitatem si ulterius male agerent expellantur de civitate illa et tota insula, et hoc casu interveniant massarij et officium monete, et quod per duas tercias partes obtentum fuerit ad calculos albos et nigros exequatur, et fiat preconium omni mense semel ut male compositi se abstineant rixam committere. 23. — Non permittant Capitaneus Massarij et custodes castri aliquem forensem intrare castrum nec mensurare muros civitatis seu castri sub pena a florenis decem usque in quingentos. 24. — Si naves navigia vel vasa aliqua forensium applicarent in portum Famaguste vel ad loca vicina seu etiam alienigena non permittantur intrare civitatem nec dormire tot vel usque ad tantum numerum, quod aliqualiter dubitari possit de ipsis seu de aliquo discrimine, nec possit aliquis forensis ascendere muros civitatis vel in aliquod fortilicium intrare sub pena duorum ictuum corde nec nocturno tempore possint ire per civitatem nisi in casu necessitatis cum licentia capitanei et cum lumine sub simili pena, et in hoc diligenter advertant Capitaneus Massarij etcavalerij facto semper pnus preconio, quando casus exigeret, et hec exequantur sub pena a florenis decem usque in centum arbitrio sindicatorum applicanda ut supra. 25. — Eligantur annuatim duo Januenses et duo burgenses per Capitaneum M assarios et officium monete qui habeaut arbitrium revidendi edes sive domos ruinatas — 41 ô — et ruinosas, illasque reparari faciendi sumptibus illorum, et locare eas pro tempore voleutibus eas reparare si ad illis quorum interesset non repararentur, nec non dandi et assignandi partem agri harum domorum volentibus habitare Famagustam cum uxore et familia si eam habebit vel velit accipere, cum aliqua tamen recognitione alicuius terratici assignandi necessarie in signum recognitionis dominij et superioritatis pro ut Capitaneo, massarijs, officio monete et illis quorum eligendis videbitur. 26. — Singulis tribus mensibus teneatur Capitaneus huiusmodi statuta et alia missa et alia quelibet pertinentia ad bonum illius civitatis legi facere in presentia sua coram massarijs et officio monete sub pena bisantiorum centum pro singula vice qua contrafecerit. 27. — Teneantur etiam Capitaneus et massarij in principio eorum officij revisis omnibus munitionibus de eis confici facere inventarium, cuius exemplum cum primo pasagio annuatim mittere debeant Mag.co offitio Sancti Georgij sub pena florenorum in auro centum applicanda massarie. 28. — Non andeat Capitaneus durante tempore sui offitij alicui convivio interesse nec in domo aliena prandere seu cenare sub pena bisantiorum centum pro singula vice applicanda ut supra. '29. — Nullas expensas audeat facere Capitaneus, que non sint ordinarie et que fieri faciet, semper faciat cum auctoritate massariorum et officij monete cum eorum deliberatione sub pena solvendi de proprio salvo si exigeret casus sumptuum extraordinariorum necessariorum; qui deliberari debeant per ipsum Capitaneum Massarios et officium monete ac duas tertias partes ex melioribus Januensibus in Famagusta commorantibus cum illis melioribus burgensibus Famaguste qui tum in Famagusta erunt: et qui non excedant ducatos centum, a ducatis vero centum supra si exigeret casus interveniant etiam Januenses in Nicosia commorantes. Declarato tamen quod advertantur fieri deliberationes et sumptus tale quod merito approbari possint per M.cum offitium Sancti Georgij, in offitio Sancti Georgij reservatur arbitrium approbandi et reprobandi tales deliberationes et sumptus in totum vel pro parte. 30. — Item pro exemplari bono et tutella ipsius civitatis teneantur Capitaneus et massarij sub pena florenorum decem pro singulo providere quod continuo in turribus maioribus illius civitatis, quibus sunt deputati homines octo pro custodia continuo per vices diurno tempore unus homo in qualibet turri sit ex dictis octo et per vices omni die sic servetur ordo quod unus in una quaque sit, et cavalerij sub pena decem bisantiorum pro singulo teneantur diligentem inquisitionem omni die facere in qualibet turri et contrafacientes punire in bisantijs duobus pro singula vice. 31. — Porte vero Limiso continue quando est aperta sint cum suis armis ad illius custodiam homines duodecim, et in turri diurno tempore stent continue tres, nocturno vero tempore deputati; et non deficiat in aliquo quin continue habeatur diligens custodia sub pena bisantiorum decem a con.li sive custode exigenda, et totidem a cavalerio cuius officij erit illos revidere et florenorum decem a Capitaneo si fieret negligens premissa exequi facere. 32. — Statutum est insuper quod notarij sive scribe tam curie quam massane per inventarium ressignent suis successoribus cartularia et scripturas tam Massane quam curie, que inventaria infra annum a die finis officij presentare debeant Magn.co officio Sancti Georgij et hec sub pena florenorum in auro centum pro singulo, de quibus coram sindicatoribus suis etiam fidem facere teneantur. 33. — Massarij Famuguste ad penam florenorum quinquaginta pro singulo teneantur retinere consuetum caposolduin a stipendiarijs omni paga convertendum in — 417 sustentationem hospitalis Sancti Stephani et hospitium de quo distincte in cartulario massarie scribi faciant diligenter rationem et pecuniam ipsam distribuant in dictam piam causam omni paga vel de tempore in tempus secundum necessitatem occurrentem, de qua distributione appareat in dicto Cartulario quem in presentiam vel Capitanei seu officij monete faciant. 34. — Menia civitatis bene fulta sint lapidibus, quos nullus asportare audeat nec ex rnenijs sive ex muro pro libito proycere, sub pena unius usque in decem bisan tiorum ab asportante vel siue causa illos proyciente pro singulo et singula vice exigenda. De lapidibus vero qui mittuntur et mittentur pro munitione habeatur diligens custodia quod reponantur vel in stationem darsinarum seu alibi vel in locis idoneis ut tempore necessitatis habeatur hec bona provisio, de quibus tam Capitaneus quam massarij quam etiam officium monete et seu aliquod officium deputandum super his et alijs habeant bonam diligentiam sub pena bisantiorum centum pro singulo. 35. — Massarij Fumaguste non possint quovis modo esse consules alicuius nationis nec pro aliquo advocare seu litigare in iudicio sub pena bisantiorum centum pro singulo et singula vice qua contrafactum fuerit. est facta celebris deliberatio Quod adveniente tempore eligendorum officialium de quibus in propositione et contractu fit mentio videlicet Capitanei, Massariorum, Castellani si eligentur scribe curie et scribe massarie, Cavalierorum duorum et custodis sive officialis porte limiso Civitatis Famaguste, domini protectores Comperarum Sancti Georgij accepto corporali iuramento faciant convocari et congregari in camera residentie ipsorum, tot ex bonis participibus dictarum Comperarum bone opinionis et fame, quot sufficiant habere congregatos in dicta camera sexaginta, quorum sexaginta ibidem congregatorum nomina et cognomina in cedulis singulatim scribantur que cedule sexaginta in duobus sacculis ponantur, ex quibus officium Sancti Georgij extrahat accoloritos viginti quatuor quibus dari faciat iuramentum, quod procedent ad electionem quatuor ad quodlibet officium ex probioribus et honestioribus ac magis idoneis civibus quos iudicaverint aptiores ad illa officia ad que illos elegere habebunt, secundum eorum puras et rectas conscientias in virtute iuramenti per eos prestiti remotis odio amore prece precio et omni humana gratia, quas electiones eadem die faciant antequam de dicta camera discedat, non interveniente his electionibus dicto offitio, quod prestito iuramento stati m recedat. Remanentibus in conclavi ipsis viginti quatuor electores, et ipse electiones ad ballotolas albas et nigras faciant, sed nullus ex ipsis quatuor eligendus esse possit, qui ad minus non habeat duas tertias partes ballotolarum albarum, illi vero qui habuerint ballotolas sexdecim albas et abinde supra intelligantur esse ex numero quatuor mittendorum IU. D. Duci iuxta formam Contractus ad quem relatio habeatur. Remaneat tamen et sit arbitrium potestas et balia in ipsum officium Sancti Georgij et excusationis et compulsionis eligendorum iu omnibus iuxta formam instrumenti contractus predicti. Forma electionis officialium officij Sancti Georgij anni de 1447 sub die XXJ novembris talis est: — Famaguste specificatorum in contractu translationis dominij Famaguste cuius 27 — 418 — MCCCCXXXXYIItl die veneris 2» maij Spectabiles Domini octo protectores comperarum Sancti Georgij in integro numero congregati Janue in palacio de Mari videlicet in Camera magna solite ressi- dentie officij sui et quorum qui his interfuerunt nomina sunt hec D. Darius Calvus prior Lucas de Grimaldis Francns Spinula Thomas de Domoculta Gaspar Cattaneus Paulus Iudex, et Nicolaus de Monelia Iacobus Iustinianus q- Iacobi Attendentes advenisse tempus et esse faciende electiones futuri Capitanei et aliorum officialium quorum nomina iuxta formam contractus in scriptis mittenda sunt I. D. Duci, lecta forma regule ad hanc materiam pertinentis, convocatisque tot ex participibus dictarum Comperarum quod sufficerent ad habendum congregatos sexa-ginta, ex quibus infrascripti qui comparuerunt nomina et cognomina fuerunt descripta in singulis cedulis et quorum nomina qui his affuerunt sunt hec, et posita in quatuor saculis iuxta colores Petrus Bapt.a de Auria Bartholomeus de Auria q. Iacobi Salvaigus Spinula Barnabas de Vivaldis Anfreonus Spinula Obertus Squarzaficus Bartholomeus Imperialis q. Opecini Leonelus Spinula Illarins Grillus Antonius Gentilis q. Guiraldi Tobias Pinellus Augustinus de Nigrono Federieus Centurion us Tomas Pallavicinus Petrus de Mari Paulus de Auria Franciscus Salvaigus Paris Cattaneus Andreas de Marinis Baptista Lomellinus Urbanus de Nigro Benedictus de Nigro Hieronimus Lercarius Nicolaus de Grimaldis Ceba Obertus de Grimaldis Martinus de Grimaldis de Oliva Franciscus Cibo Antonius Marabotus Antonius Lomellinus Nicolaus Antonius Lomellinus Raphael Alpanus Augustinus de Furnarijs Paulus Iustinianus de Campis Filippus de Francis Ficonus Iacobus de Prementorio Cosmas Adurnus Iobannes Scalia Obertus Salicetus Christofforus Campanarius Benedictus de Corsio Bartholomeus Parisola Lodisius de Reco Nicolaus de Cane vali Johannes de Domoculta Antonius de Canali Bartholomeus Gattus Andreas de Francis Turturus Antonius de Zoalio Brancaleo Marruffus Petrus Bapt.a Iustinianus Antonius de Valletari Dominicus de Ronco Matheus Marosus Iacobus de Oliva q. Antonij Lodisius de Casana Bernardus de Zerbis — 419 — Raphael de Viviano Basilius Asinelius Bartholomeus de Zoalio Paulus Merlasinus Iohannes de Reco ea die immediate Precedente sortisatione extracta sunt de sacculis per d. priorem dictorum d.no- rum protectorum cedule infrascriptorum, quorum nomina sunt hec videlicet Petrus de Mari Benedictus de Corsio Tomas Palla vicinus Bartholomeus Gattus Federicus Centurionus Christofforus Campanarius Tobias Pinellus Obertus Salicetus Paulus de Auria Iohannes de Domoculta Bartholomeus Imperialis Bartholomeus Parisola Martinus de Grimaldis de Oliva Matheus Marosus Franciscus Cibo Petrus Bapt.a Iustinianus Benedictus de Ni grò Raphael de Viviano Hieronimu8 Lercarius Andreas de Francis Turturus Bapt.a Lomellinus Lodisius de Casana Raphael Alpanus Iacobus de Oliva q. Antonij Qui superius nominati congregati in loco suprascripto coram spectabili officio Sancti Georgij acceperunt quisque iuramentum, quod unicuique prestitum est a me notario infrascripto tactis corporaliter scripturis in omnibus et per omnia prò ut continetur in regula pertinente ad electionem officialium descripta in presenti Cartai.® in cartis septem coram eis lecta a me notario, inde abierunt prefati domini protectores. Qui viginti quatuor quorum prior est d. Petrus de Mari intellecta regula supra-scripta et tenore sacramenti quo ligati sunt, volentes procedere ad approbationem quatuor ad unum quodque officiorum infrascriptorum. intellectis nominibus requirentium, alijsque denominatis absolventes se ad ballotolas albas et nigras approbaverunt infra-scriptos ad infrascripta officia, qui fuerant illi qui prevaluerunt ceteris alijs denominatis secandum iudicium ballotolarum, quorum numerus repertus est nitra illum limi, tatum in regala ita de uuo quoque. Et primo ad officium capitaneatus Famaguste cum obligatione quod ille qui fuerit ellectus servata forma contractus teneatur accipere Johannem Andream de Salario in cavalerium suam cui dictum officium cavalerie collatum est a dominis protectoribus in retributionem laborum expensarum et provisionum. Et sub ea lege unde eligatur dictas capitaneus elegerunt et denominaverunt infra-scriptos ex quibus unus quem maluerit I. D. Dux eligendus approbandus et confirmandus est ab ipso officio D.noram protectorum Sancti Georgij in capitaneum et pro capitaneo Famaguste pro anno uno iuxta formam regule, quorum nomina sunt hec Martinus Iustinianus Bartholomeus de Levanto q. Galeatij Antonius de Francis olim Lux ardas Cosmas Aduraus Ad officium scribanie curie Famaguste pro anno uno Baptistam de Goano Antonium de Precipiano Iohannem de Brugnolis, et Conradum de Vico. 420 — Ad officium seribanie massarie Famaguste Lazarum de Garbarino Iulianum de Turri, et Iohanuein de Caneto Iacobum de Opicijs Ad alteram cavalariani Andream de Cravili Nicolaum Tarigum de Bisanne Gasparis et Andream de Predono Fructuosium de Costa de Portufino. Ad officium porte limiso, Paulum de Ponte Baptistam Lecaveleum Lazarinum Boiolum Benedicti Laurentium Grillum q. Andreoli errorem de Lazarino qui vocatur Iohannes die XXVIIIJ mai,i Electus Johannes Boiolus Benedicti, quia error fuit meus in scribendo Lazarinum, vocatur enim Johannes. ea die statim Reversi domini protectores in cameram officij sui acceptis nominibus p scriptis a dictis viginti quatuor electoribus inde statim accesserunt ad piese prelibati I. D. Ducis, qui illa presentaverunt, qui prelibatus dominus Dux J1S1S . lectis nominibus uniuscuisque superius descripti ex ipsis nominibus piesen a is a dicto officio, Maluit eligi ad officium capitaneatus virum egregium Francis Luxardum nominatum et electum ex dictis quatuor ad ipsum o ciu p taneatus ab ipso I. D. Duce. Qui domini protectores audito verbo suo et natione et electione confirmaverunt et approbaverunt dictum Antonium in api ut supra. die XV maij Electus est ad officium subcastelanie Famaguste Antonius Uliconus p uno, promissio et littere sunt in foliatio. die XXVIII maij Electus est ad officium Burgorum Famaguste pro anno uno Taridanus de Po dio Iohannis, promissio et littere sunt in foliatio, MCCCCXXXXV1IIJ die Iovis XV maij Spectabiles d. protectores comperanim S.ti Georgij in integro numeio congie gati, et quorum qui his affuerunt nomina sunt hec — 421 D. Darius Calvus prior Francus Spinula Nicolaus de Monella Lucas de Grimaldis Thomas de Domoculta Paulus Iudex et Iacobus Iustinianus Cognoscentes admodum necessarium fore eligere aliquos cives Ianue bone fame in Rhodo, et Chij commorantes qui curam habeant dare advisaciones ipsis dominis protectoribus de negocijs et novis Cipri nobis et similiter Capitaneo Famaguste, de his que digna erunt advisacione sua, quoniam quando ipsi d. protectores nullas habeant advisaciones de rebus illis, et qui eligendi habeant baliam pro negociis arduis si contingeret advisare ipsos d.nos protectores expendere quantum necessitas requireret et prout commiserint ipsi d.ni protectores, quorum electorum in Chio nomina sunt hec Iohannes de Marinis Pesagnus. • • ) jn 0hjo Antonius Justinianus olim Lugris . ) Manuel de Rapalo q. Johannis. . . ) . , ,T. , .i i- f ln Rhodo JNicolaus italianus..........) MCCCCXXXXVI1II die jovis XVIII septembris Spectabilia officia D.norum protectorum comperarum Sancti Georgij annorum de 1447 et 1448 in numeris legitimis congregata, et quorum qui his affuerunt nomina sunt hec vid. anni de 1447. D. Francus Spinula Tomas de Domoculta Gaspar Cattaneus Paulus Judex Nicolaus de Monelia Iacobus Iustinianus, absente tantummodo Lucas de Grimaldis d. Dario Calvo Ex officio autem anni MGCGCXXXX octavi qui his afluerunt nomina sunt hec D. Barnabas de Vivaldis prior Augustinus de Furnarijs Andreas de Marinis Obertus de Roca et Baptista Lomellinus Dominicus de Bargalio Absentibus tantummodo Andrea de Francis, et Petro Bapt.a de Auria ex officio autem anni 1449, qui his affuerunt nomina sunt hec: D. Simon Iustinianus prior Urbano de Nigro Marinus Grillus Nicolaus de Grimaldis olim Ceba et Audalo Marrufus Lodisius de Oliva Guirardus de Goano Cum allatum sit ex Famagusta nuper et sindicamentum Egregij Petri de Marco et exemplum cartulariorum massarie annorum de 1446 et 1447 et partim de 48 nondumque decretum fuerit ad quodnam officium ipsorum annorum pertineat et pertinere debeat iurisdictio eorum que gesta sunt per dictum Petrum et tempore suo in dicto Ca-pitaneatus officio et etiam revidere ea que ut supra allata sunt, intelligentes ea melius decerni et dirimi ab illo officio a quo Capitaneus electus est et a quo processerunt — 422 — commissiones et tractatus quod pleniorem notitiam de omnibus ab ipso officio ordinatis et commissis habere debet quam sequentia officia, unde iudicantes congruum esse ut unum quodque officium sicut habuit onus et expeditionum sui tempoiis Capitanei et officialium et commissiones dare, ita habeat onus revidere gesta per officiales ab ipso officio elactos, Itaque volentes ordinem condere de cetero servandum statueiunt decreverunt et ordinaverunt quod officium dominorun protectorum anni MCC septem habeat dicere et iurisdictionem exercere in sindicamento d.i Petri et omnibus finem ponere que gesta sunt ab ipso Petro olim Capitaneo ab ipso officio electo, ta quod sicut d.m officium de MCCCCX XXXVII habet expedire et finem ponere negocys sui officji, ita intelligatur gesta per dictum Petrum Capitaneum, et ea que tempore suo gesta fuerunt esse de iurisdictione officij de 1447; successive autem iurisdictionem habeat exercere officium d.norum protectorum de 48, supra gestis et admmistratispei Nobilem Galeacium Pinellum etofficiales Famaguste electos ab ipso officio de X > ipsum vero officium de XXXXVIIIJ habeat iurisdictionem suam suis loco et tempore in E»re. — 464 — della Cisalpina, i porti di Genova, di Spezia e di Savona dl^ra""°egl,e®mj’1 pori del Mediterraneo: un’infinità di derrate verranno a og > commercio delle provincie cisalpine verrà tutto a radunarsi nellla vosa Riviera per indi estendersi nei vari rami di terra. A poco a poco 1 gemo marittimo s’impadronirà dei Cisalpini ... : una quantità di ricchi città entro terra armeranno dei bastimenti, ed ecco aperto u commerciale, utile ad entrambi, ove potranno impiegarsi migliaia di sogge i e presentare nello stesso tempo un aspetto imponente alle Potenze mantti- me____Vis unita fortior» (1). . Nè le proposte erano limitate soltanto alle anticamere del giornalismo, a voti di più o men numerosi platonizzanti della politica. Quei voti dalla stampa, dalle associazioni e dagli organi ufficiali d’un paese si indirizzavano fino al governo dell’altro. La Società di Pubblica Istruzione di Milano inviava al Governo provvisorio di Genova proposte e discorsi per illustrare i vantaggi reciproci dell’unione con Milano. « La repubblica cisalpina », diceva uno quegli indirizzi, « stendendosi sino ai due mari avrà per primo oggetto a creazione di un porto franco, il che Genova potrebbe prevenire decidendosi per l’unione____Mancando Genova dei prodotti necessari alla sua sussistenza, perderebbe tutte le passività del commercio ed acquisterebbe un diritto sui prodotti della Lombardia » (2). « L’unico mezzo, dunque, (o Genova), per sistemarti ricca e grande e seguire ad interessare del tuo commercio 11 talia superiore, è l’unione con la repubblica, ora cisalpina ma quanto prima italiana » (3). Quelle proposte e quei voti non eccheggiarono solo nel caldo ambiente degli entusiasmi unitari della prima ora. 11 Rota ha dimostrato che il gruppo democratico cisalpino si mise al lavoro con grande serietà e combattività, collaborò con la Francia rivoluzionaria e con Napoleone, finché sperò per mezzo loro di appagare le proprie aspirazioni territoriali, preparò 1 in surrezione nello stato pontificio con l’intento di proclamare la repubblica e dichiarare l’annessione alla Cisalpina; a questo fine e d’accordo coi democratici romani, iniziò un’intensa agitazione che mise a capo aU’ammutinamento del (1) Termometro politico, 16 agosto 1797, vol. Ili, pag. 113. (2) Termometro politico, 8 luglio 1797; vol. III, p. 7. (3) Memoria al sovrano popolo genovese recitata dal cittadino Poggi, membro della Società di P. I. di Milano nella seduta 11 messidoro a. I della libertà cisalpina. Sulle mire annessioniste e sui tentativi unitari della borghesia democratica cisalpina, cfr. Albert Du-FOURCQ, Le régime jacobin en Italie, étude sur la république romaine, 1798-1799, Paris, 1900, p. 68: Ettore Rota, L’Austria in Lombardia e la preparazione del movimento democratico cisalpino, Milano - Roma - Napoli, Albrighi e Segati, 1911, cap. V. e Carlo Morandi, Idee e formazioni politiche in Lombardia dal 1748 al 1814. Torino, Bocca, 1927. Pubblicazioni della Facoltà di scienze politiche, della R. Università di Pavia, capp. II-V. — 465 — 25 dicembre 1797 che costò la vita al generale Duphot e decise l’intervento francese nella capitale pontificia (1); mise poi tutta l’energia nel risolvere a proprio favore la questione di Lucca, facendosi paladino dei principi di libertà e di uguaglianza e sostenitore della sua rigenerazione (2); dichiarava infine coraggiosamente che il Direttorio cisalpino non avrebbe mai « sofferto che il Granduca s’armasse per difendere gli aristocratici lucchesi o per qualunque altro pretesto » e che le truppe cisalpine, confinanti, dopo l’occupazione di S. Leo, con la Toscana e con Massa, avrebbero facilmente saputo « tenere in soggezione quel piccolo Re 2 (3). Questo linguaggio trovava opportuno commento nella petizione di una società di lucchesi al Direttorio francese per l’annessione alla Cisalpina, provocata, com’è facile intendere, dagli stessi Cisalpini (4) e nelle trattative condotte avanti energicamente allo stesso scopo dal ministro cisalpino a Parigi, contro le quali manovrava il deputato ligure per guadagnare alla sua patria i territori della destra della Magra sino a S. Stefano nella gole dell’Aulla (5). Non ostante questa vivace campagna della stampa e del partito democratico cisalpino, i rapporti ufficiali con la vicina repubblica del Tirreno furono inizialmente improntati a una certa cordialità, sia pur diplomatica, e si mantennero poi quasi sempre corretti. 11 Testi, ministro degli Esteri della Cisalpina, nel comunicare il 18 luglio 1797 al Governo provvisorio di Genova la notizia della costituita nuova repubblica democratica, nel linguaggio colorito del tempo, affermava avere <• per il più caro dei doveri quello di conservare un’amica corrispondenza coi popoli liberi dell’Italia ed in particolare col governo provvisorio di Genova, ripromettendosi dalla di lui lealtà il corrispondente ritorno ». E il Governo provvisorio non volendo essere da meno, incaricava delle felicitazioni ufficiali il cittadino Girolamo Serra, deputato presso il generale in capo dell’armata francese in Italia, e si affrettava ad esprimere « la sensazione profonda dell’intera nazione ligure per la fausta nuova dell’esistenza della Cisalpina », e confermava « i sentimenti invariabili di amici) Rota, pp. 281 ss. Cfr. pure S. Pivano, Albori costituzionali (1796), Torino, Bocca, 1913; e fra i più recenti i ben nutriti scritti di Renato Sòriga, L’idea nazionale e il ceto dei « patrioti » avanti il maggio del 1796. Estr. dagli « Atti del XIV cong. della Società nazionale per la storia del risorgimento italiano ». Estr. Trento 1927; e Ugo Foscolo e il suo amico anglo-italo Augusto Borzi Granville. « La Lombardia nel Risorgimento italiano », 1928, n. 1. Estr. Milano 1928. (2) Lettera del Testi, ministro degli esteri della Cisalpina, al Porro, da Milano, del 20 frimale a. VI (10 die. 1797): in Archivio di Stato di Milano, Ministero Esteri, cart. 273. La riproduciamo in Appendice, doc. 8. (3) Lettera del Testi al Porro, del 23 friinale a. VI (13 dicembre 1797); in Arch. stato Milano, Ministero Esteri, cart. 273. La riproduciamo in Appendice, doc. 9. (4) Lettera Bertuccioni, da Parigi, del 23 dicembre 1797, Colucci, III, 403. (5) Lettere Bertuccioni, da Parigi, dei 13 e 26 gennaio 1798; Colucci, III, pp. 410,416-417. 30 — 466 — cizia e di attaccamento che uniranno in un vincolo indissolubile le due nazioni che avendo acquistato quasi contemporaneamente l'esercizio della loro inalienabile sovranità, sono naturalmente alleate per coltivare e per difendere di concerto i comuni loro interessi e diritti » (1). Alla notizia delle « turbolenze » genovesi del settembre, il Testi « in prova del suo interessamento per la tranquillità di quei abitanti », si affrettava ad offrire « di far marciare un soccorso di guardie nazionali nel caso che il governo (genovese) credesse di averne bisogno » (2). Pochi giorni dopo, sollecitando il Governo provvisorio di Genova per la estradizione di 53 reclute delle legione cisalpina, che viaggiando da Nizza a Milano s’erano ammutinate per cattivo trattamento ed avevano disertato a Savona passando ai servizi della Repubblica Ligure, faceva appello alla « buona intelligenza che passar deve fra le due repubbliche » e alla « identità degli interessi » (3). E non diversamente che come prova di amicizia per la Cisalpina fu presentata la decretata riduzione a metà della tassa sugli immobili che i cittadini di Fosdinovo possedevano nel territorio della Repubblica ligure: testimonianza di amichevoli rapporti che il Testi chiedeva si stendesse anche a tutti gli altri abitanti delle Alpi Apuane (4). Ma questa corrispondenza di mutue cortesie diplomatiche non addormentava, nè affievoliva la vigilanza delle due repubbliche e il reciproco sospetto. Bastò che il Serbelloni, incaricato straordinario della Cisalpina a Parigi, in aggiunta al Rangoni ed al Visconti, ottenesse dal Direttorio francese affidamento di garanzia di bandiera dai barbareschi (5), garanzia che formò poi l’art. 10 del trattato di commercio franco - cisalpino del 3 ventoso a. 6° (21 febbraio 1798) (6), e già la repubblica ligure se ne allar- (1) La lettera del Testi al Governo provvisorio della repubblica di Genova, del 30 messidoro a. V (18 luglio 1797), e la risposta del Governo provvisorio, del 25 luglio, sono in A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. 7. Le riproduciamo in Appendice, doc. 1 e 2. (2) Lettera da Milano del 24 fruttidoro a. V (10 settembre 1797): in A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. 7. La riproduciamo in Appendice, doc. 4. (3) Lettera del Ministro degli affari esteri al Governo provvisorio di Genova del 29 fruttidoro a. V (15 settembre 1797): in A. S. Gen. Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. 7. In Appendice doc. 5. (4) Lettera del Testi, ministro degli affari esteri della repubblica cisalpina al Governo provvisorio della Ligure, del 14 brumaio a. VI (14 nov. 1797): A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 1/2845, fase. 7. In Appendice, doc. 6. (5) Lettera Bertuccioni del 23 dicembre 1797, da Parigi, in Colucci, III, 400. (6) Il trattato di commercio tra la Francia e la Cisalpina fu stipulato insieme con quello di alleanza. La sua approvazione, per gli oneri che importava, incontrò vivacissima resistenza da parte dei Consigli della Cisalpina, ed avvenne solo verso la fine del maggio 1798, in seguito a violenze del Direttorio francese e del generale Brune. Cfr. Antonio Zano-lini, Antonio Aldini e i suoi tempi: narrazione storica, Firenze, Le Monnier, 1864, pp. 104 ss., cap. VIII e i docc. annessi, ed inoltre Cusani, Storia di Milano, V, 219-226, e Franchetti, pp. 448 e fonti ivi citate. — 467 — mava vivamente vedendo accordata bandiera franca ad una repubblica appena nascente ed avanti che avesse dei porti, mentre veniva trascurata una nazione « che esercitava la navigazione da gran tempo e che era l’unica sua risorsa » (1). Peggio ancora, quando la Cisalpina inviò presso il Governo provvisorio ligure Gaetano Porro, uno dei più irrequieti suoi rappresentanti, ed acceso propagandista unitario (2). L’occasione era di « complimentare la repubblica ligure per la sua riconosciuta indipendenza ». Ma esaurito quel facile e breve compito, ne aveva altri più delicati e duraturi: mantenere la buona intelligenza fra le due nazioni, a patto però « in ogni occasione procurasse di vantaggiare gli interessi della nascente repubblica cisalpina »; « mettersi al fatto delle disposizioni del governo e degli abitanti di quel paese » nei riguardi della repubblica cisalpina e « sull’unione della medesima »; additare al governo i mezzi per giungere almeno ad un trattato di confederazione, qualora « non abbia luogo la desiderata unione »; spiare accortamente la condotta dei ministri degli altri stati, vegliare « incessantemente per conoscere le segrete trame, i rapporti e le corrispondenze degli emigranti tanto francesi, che cisalpini », « procacciarsi delle corrispondenze negli altri paesi delle due Riviere », procurarsi « l’amicizia particolare delle persone che sono nelle cariche influenti del governo », « conoscere da vicino .segretari e confidenti e informatori degli agenti di Corti estere », per « mettersi al fatto col di loro mezzo di quanto si passa non solo in Genova, ma ancora presso gli altri governi di Europa »; spiare la condotta di quanti riterrà sospetti, comunicare al governo i nomi di quelli che da Genova o da altre località della Liguria si recavano a Milano o nella Cisalpina; sostenere con « riguardi » e particolari « segni di amicizia tutti gli italiani il di cui attaccamento per la Cisalpina fosse conosciuto ». Nel disimpegnare tutti questi compiti, egli doveva agire con cautela e con tatto (è un punto sul quale ritornano frequentemente quelle ed altre istruzioni); « nascondere la sua condotta politica agli occhi di tutti », essendo « la segretezza e la destrezza i principali caratteri di un diplomatico », « assicurarsi tutti i mezzi possibili » per essere esattamente e tempestivamente informato, ed adoperare a questo scopo « l’amicizia, il patriottismo, lo spionaggio », « non lasciare niente di (1) Lettera del Bertuccioni, da Parigi, 26 dicembre 1797, in Colucci, III, 404. (2) La comunicazione del Direttorio della Cisalpina al Governo provvisorio di Genova relativa alla missione del Porro è del 25 brumaio a. VI (15 nov. 1797). Le credenziali firmate dal Testi son del 9 frimaio (29 nov. 1797). Diploma di nomina e credenziali sono in A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. 7; le istruzioni, dell’8 frimaio (28 novembre) nell’Arch. Stato di Milano, Ministero esteri, cart. 273. Il 12 frimaio (2 dicembre 1797) il Porro partecipò il suo arrivo a Genova e chiese udienza al Governo provvisorio per presentare le credenziali (A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. 5). — 468 ■— intentato ». Linguaggio di rude franchezza. Forse le necessità di quell’ora, gravida di mutamenti e di incertezze, imponevano quelle misure, e il Porro, nel cui temperamento era più la stoffa del ministro di polizia, qual era stato, che del diplomatico, era l’uomo della situazione (1)- Egli si mise al lavoro con energia, prese a ricevere in casa sua elementi notoriamente ostili al governo ligure e al mantenimento dell’autonomia cittadina, fece servire la cittadina sua moglie come anello di collegamento fra amici liguri e cisalpini e il suo governo) ed ebbe così poco tatto e si scarsa prudenza, che piesto quell’armeggio dette nell’occhio ai membri del Governo provvisorio di Genova. In questa azione politica il governo Cisalpino, non ostante consigli di prudenza, sosteneva decisamente il suo rappresentante diplomatico. In una lettera del 30 frimaio (20 dicembre) il ministro degli esteri cisalpino, a nome del governo lo lodava per le informazioni da lui fornite circa la situazione politica della Liguria, lo spirito pubblico e talune possibilità di manovre politiche a tendenze unitarie, e lo incitava « sempieppiù ad agire onde rendersi col suo zelo e coi suoi talenti utile alla causa della libertà e della indipendenza italiana». « Travagliate pure con prudenza, destrezza e calore, e siate persuaso che la vostra condotta, lungi dall’essere disappio-vata, vi continuerà a meritare la giusta stima del governo e dei cittadini » (2). La Cisalpina intendeva profittare della caotica situazione interna della consorella del Tirreno per mettervi un dito, allungare poi la mano e il braccio, onde... stringere nell’amplesso. All’annunzio dei moti genovesi del 22 dicembre, il ministro cisalpino degli esteri, espresso il suo mediocre rincrescimento « non per la ragione che gli aveva suscitati, ma per le conseguenze sinistre che potrebbero aver luogo in seguito, se il popolo volesse farsi giustizia per sè stesso e non riposare sui suoi propri magistrati », suggeriva al suo rappresentante a Genova di studiare, qualora fosse richiesto il suo intervento, se era da « interporre la sua opera », e in qualunque caso gli raccomandava di regolarsi a norma del ministro francese « e con maggiore circospezione ancora, giacché la nostra situazione - osservava • esige alcuni riguardi, di cui la Francia può dispensarsi a suo piacere » (3). (1) Vedi le istruzioni al Porro in Appendice, doc. 7. (2) Riproduciamo in Appendice, doc. 10, il dispaccio del 30 frimaio (20 dicembre 1797). (3) Dispaccio del Testi al Porro da Milano, del 7 nevoso a. VI (27 die. 1797) Arch. stato Milano, Ministero Esteri, cart. 273, che riproduciamo in Appendice, doc. 11. — 469 — III. L'atteggiamento dei partiti politici genovesi circa la fusione con la Cisalpina. L’azione del governo della Cisalpina non si limitò soltanto a voti e ad affermazioni di principio; ma si esplicò in notevoli sforzi per tradurre in realtà per via diplomatica quelle aspirazioni territoriali. Costituita appena la Cisalpina, il governo provvisorio di Milano aveva dedicate molte cure a dirigere una memoria sui « gravi svantaggi provenienti alla Repubblica cisalpina dalla viziosa configurazione del suo territorio » (1), ed aveva inviato sul finire del maggio 1797 a Parigi un proprio rappresentante per chiedere l’annessione della Liguria, del Lucchese, della Marca di Ancona (2). Più tardi, mentre per mezzo di emissari e con l’invio del Porro studiava di determinare in Genova un movimento per la fusione con la Cisalpina, dava istruzione al Serbelloni, ambasciatore presso la repubblica francese, di collaborare col Visconti per l’unione della Liguria e di lutti i popoli d’Italia in una repubblica (3); faceva insistere per ottenere da Bonaparte la promessa di Parma e della Liguria, da Talleyrand quella di tutta l’Italia centrale (4). L’argomento fondamentale per caldeggiare quell’unione era, si sa, la necessità di costituire uno stato talmente esteso, che, pur non eccitando la gelosia delle altre nazioni bastasse a sè stesso, assicurasse alla Francia vantaggiose condizioni di privilegio, senza addossarle le responsabilità del governo diretto. Un documento diplomatico di singolare interesse spiegava i motivi che dovevano far preferire l’unione della Liguria con la Cisalpina a qualunque altra sistemazione politica. Quel documento, vergato a mezzo del febbraio 1798 dal Porro plenipotenziario cisalpino, e diretto a neutralizzare l’altro progetto di unione della repubblica ligure alla Francia inviato al Direttorio di (1) « Esposizione ctalcuni gravi svantaggi » ecc. memoria voluminosa, anonima e senza data, ora nell’Archivio di stato di Vienna: cit. in Albert Pinoaud, Bonaparte président de le république italienne, Paris, Perrin, 1914, t. II, pp. 54-55. (2) « Coup d’oeil aux frontères que la république Cisalpine devrait avoir sous tous les rapports, physiques, politiques et de justice », in A. Pinoaud, cit. II, 56. (3) Istruzioni al Serbelloni, del 26 brumaio a. VI (16 nov. 1797), cit. dalPArch. di Vienna, in Pinoaud, II, 58. (4) Lettere del Visconti al Melzi, del 16 febbraio e 7 marzo 1793, cit. in Pinoaud, II, 58. — 470 — Parigi dal Ministro francese a Genova, suggeriva al Visconti, ministro della Cisalpina a Parigi, alcune considerazioni che dovevano sconsigliare l’unione con la Francia. 11 documento non fa mistero della disistima del Cisalpino verso il Ligure; ma parla con rude franchezza anche alla repubblica madre. L’unione della Liguria alla Francia, dice in sostanza quel documento, sarebbe contro la storia e contro la geografia; sarebbe una palese violazione di quel principio dei « confini naturali » che è la giustificazione delle lotte combattute dalla Francia sul Reno e del suo intervento nelle cose d’Italia. « La Francia ha adottato la massima dei confini naturali, e perciò ha steso i suoi confini fino al Reno..... Sono dunque persuaso che seguirà gli stessi principi anche riguardo all’Italia, e non vorrà, mentre acquista da un lato in virtù di un sistema, seguirne uno tutto opposto per acquistare dall’altro ». Un acquisto territoriale oltre i confini naturali apporta « ordinariamente al conquistatore gravi spese, guerre continue, mentre piccoli e di breve durata sogliono essere i vantaggi »; nè forse v’è un popolo più del ligure opposto all’indole dei francesi, nè altri « pieni di un orgoglio nazionale in ragione inversa dei propri mezzi, incapace di vivere libero e di ubbidire agli altri, sempre pronto a ricorrere al tradimento ed alla insurrezione ». Se quel « nuovo dipartimento di forma lunga e stretta, pieno di montagne e di stiade impraticabili », venisse unito alla Francia, diverrebbe il rifugio di tutti i pre-ti refrattari e gli emigranti, formerebbe una perpetua Vandea che la Fiancia non potrebbe sottomettere che col mantenervi sempre un’intera armata ». Nè troppo apprezzabili sarebbero gli utili che la Francia potrebbe tian e dal Genovesato: il commercio della Riviera di Ponente non potrà essere accresciuto, se non a patto che sia sottratto a quello di Marsiglia; per quello di Levante sarà sempre preferito il porto di Livorno, sempre sicuramente neutiale, più sicuro, meno eccentrico di Genova rispetto alla penisola italiana. Comunque, quei piccoli eventuali vantaggi dell’unione, certo bilanciati da inevitabili e gravi danni da essa derivanti, potrebbero essere meglio assicurati, senza alcuna noia o. spesa o preoccupazione, se la repubblica ligure fosse annessa alla Cisalpina; in tal caso, gli inglesi rimarebbero certo esclusi dai porti cisalpini, e i francesi sarebbero favoriti e predominanti ». Per la Cisalpina il Genovesato sarà un « acquisto imbarazzante e dispendioso »; ma essa ha la stessa lingua e i medesimi costumi, ed abbonda di grano da mutai e con la Liguria che non ne produce. Infine l’acquisto non ecciterà le invidie delle altre nazioni, come invece avverrebbe per la Francia nella ipotesi che la grande repubblica, derogando ai suoi princìpi, s’impadronisse delle terre di qua dalle Alpi (1). (1) Riproduciamo in Appendice, doc. 20, l’interessante documento da noi trascritto dall’Archivio di Milano, Archivio Marescalchi, cari. 47, fase. 14. — 471 — L’idea della fusione con la Cisalpina guadagnava continuamente proseliti anche nel Genovesato. « Tutti i buoni e illuminati patrioti » liguri, affermava, con certo ottimismo amplificatore, un documento contemporaneo, (1) erano per l’unione alla Cisalpina. Erano perciò ostili al governo democratico che aveva in programma il mantenimento dello statu quo e l’autonomia della repubblica. Loro capi riconosciuti in Genova erano i fratelli Boc-cardi, i quali avevano sempre lavorato a quella finalità « con tutti i loro partigiani che non erano pochi », e, si affermava, anche quel Francesco Massu-cone, aderente in cuor suo, non ostante le esteriori apparenze, al partito degli unionisti, per prendere vendetta sui nobili al potere che lo avevano richiamato dalla missione straordinaria a Parigi affidatagli il 10 agosto 1798 (2). Vantavano numeroso seguito anche nel territorio. Autorevole rappresentante a Rapallo era l’Assereto, che godeva « meritatamente la stima e la confidenza di tutti i buoni; « l’ottimo Assereto », già segretario di Stefano Rivarola a Parigi nel giugno 1797. 1 patrioti della Riviera di Levante, sempre secondo quel documento, avrebbero invece preferito « pei loro particolari interessi, di unirsi con la Cisalpina, stante la loro situazione, e la necessità in cui si trovavano di tirare dai piani della Lombardia i grani e le derrate di cui mancavano ». Quel partito incontrava qualche simpatia anche nella Riviera di Ponente, dove però la massima parte dei patrioti preferiva l’unione alla Francia per gli stessi motivi economici che spingevano quelli del Levante a far causa comune coi Cisalpini, e dove « l’altra classe dei patrioti regionari s voleva circoscritta la democrazia alla sola Liguria, soprattutto perchè, influenzati dai preti, paventavano di vedere inquinata la purità della loro Religione se uniti a « qualche altro popolo italiano, un po’ più spregiudicato di loro ». Liguri del Levante e quelli di Ponente s’incontravano poi nel desiderio che il centro del governo non rimanesse (1) È il dispaccio al Direttorio esecutivo della Repubblica Cisalpina, edito da C. Cantò, Corrispondenze dei diplomatici della repubblica e del regno d’Italia, 1791-1914, Milano, Agnelli, 1884, pp. 22-24. Vedi pure il sostanzialmente conforme dispaccio Bertuccioni da Parigi, del 14 marzo 1798, al suo governo, in Colucci, 111, 431. (2) 11 nome del Massucone è qui stabilito per congettura come completamento dell’iniziale M. dataci dal Cantù, op. cit., p. 23. Frane. Massucone tenne l’ufficio di incaricato di affari a Parigi dal nov. 1792 al 22 sett. 93, inviato straordinario a Torino dal 21 luglio 1797 al 9 giugno 1798, e a Milano dal 19 luglio al 29 dicembre 1798; tornato il 30 dicembre 1798 a Torino quale Delegato presso il Governo provvisorio del Piemonte, fu espulso dal generale Grouchy con provvedimento, subito dopo revocato, del 15 marzo; il 19 marzo venne richiamato dal suo governo. Su di lui, cfr. Vitale, Diplomatici e Consoli, Genova 1934, pp. 47, 167, 154, 314 e l’introduzione all’altro volume in corso di stampa, dal titolo Dispacci dei Diplomatici genovesi a Parigi, 1787-1793, contenente i dispacci suoi e di Cristoforo Spinola da Parigi. — 472 — a Genova, « temendo troppo d’incontrare di nuovo le passate oppressioni » (1). Si sospettò che perfino qualche rappresentante diplomatico genovese non vedesse male l’ipotesi che la Liguria si sciogliesse in un più ampio organismo statale. Tra essi fu accusato ritrovarsi quel Giuseppe Bertuccioni, già deputato del Governo provvisorio della Ligure a Parigi, il quale, richiamato in patria, si presentò al successore 8 stravolto con eccessiva alterazione e mala soddisfazione v per aver sentite sul suo conto voci di una congiura contro la patria, formata e concretata con gli ex nobili che si trovavano a Parigi, e dicerie circa un suo « progetto di annientare la repubblica liguie, piocu-randone e sollecitandone l’unione alla Cisalpina ». Calunnie, nuli alùo che calunnie, egli asseriva, e « non vedeva l’ora di smascherarle davanti al Direttorio della patria e di render palese a tutto il mondo la purità delle sue intenzioni ed operazioni » (2). Ma non ostante questa larga simpatia, gli unitari tra la fine 1797 e i primi del 1798 erano ancora minoranza, se pur rispettabile e combattiva. Non ancora nelle viste dei governi e nelle menti di quanti erano pensosi delle sorti d’Italia s’era maturata ed imposta come indeclinabile e suprema quella necessità dell’unione nazionale, in forma unitaria o ledei ati-va, che doveva percorrere lungo cammino nel triennio con cui si chiuse il secolo, così denso di avvenimenti e di mutamenti, così istruttivo e significativo per la nostra formazione a vita unitaria. Certo la coscienza di una nostra unità nazionale, fondata non nella comune lingua e letteratura e sulle comuni memorie di Roma, ma su un sentimento politico comune, con la congiunta necessità di tradurre quell’ideale nazionale in realtà politica, appariva man mano sempre più chiara ed energica ai migliori italiani di qualunque parte della penisola (3). Ma non ancora esuli ed emigrati giacobini, venuti su da ogni classe sociale e rappresentanti del comune sentimento della nazionalità italiana, nell’ospitale centro di Milano e poi in Genova dive- (1) Dispaccio cit. in CantD, p. 23. Vedi pure una lettera da Genova del 13 frimaio a. IX (3 dicembre 1800) di Giulio Cesare Tassoni, Deputato Cisalpino presso la repubblica ligure, al Cittadino Galvani, Deputato della Cisalpina presso la repubblica Elvetica; in Cantù, pp. 230-231. (2) Lettera di Luigi Lupi, ministro plenipotenziario della Repubblica ligure presso la Repubblica francese, da Parigi, del 7 aprile 1798, in Colucci, III, 454-455. Della voce corsa sul conto del Bertuccioni e del di lui arresto si ebbe eco nel giornale parigino Amis des lois, n. 967, 20 germile, sotto il titolo « Varietà », cui ribattè esurientemente il Lupi, il testo della risposta è riprodotto in Colucci, III, 459-460. Sul Bertuccioni e sul partito unitario genovese, cfr. Vitale, Onofrio Scassi, Genova 1932, Atti Società Ligure di Storia Patria, vol. LIX, pag. 47-48; e l’ampio e diligentissimo studio critico dello stesso, Un giornale della repubblica «il Redattore Italiano » e le sue vicende, in « Atti Soc. Ligure di Storia Patria », v. LXI, Genova 1933, specie pp. 30 ss. (3) Cfr. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, Laterza, 1925, pag. 277. — 473 — nuta, dopo il declino delle armi francesi del penultimo e dell’ultimo anno del secolo, unico ostello di quanti non avevano piegato sotto la raffica restauratrice austro-borbonico-russa, — avevano abbassate le barriere che tenevano separate le varie regioni d’Italia, specie la meridionale dalla settentrionale, e non ancora colla loro vita in comune in quelle due città avevano realizzato quel vivente concetto dell’Italia una. Non ostante ore passeggiere di entusiasmo cosmopolitico o nazionale, ombrosità ed inimicizie, ravvivate dal risorgente e spesso iroso municipalismo e dalla secolare tradizione di reggimento autonomo, informavano tuttora, tra il ’97 e il ’98, i rapporti ufficiali degli stati della penisola. E quei sospetti appunto la Francia seppe sfruttare a suo vantaggio, e quelle inimicizie non sdegnò di tener vive con abile gioco di promesse. Contro gli unitari stava dunque, a Genova, la compatta fazione degli oligarchi, ostilissimi non solo a qualunque unione con le repubbliche dell’est o dell’ovest, ma timorosi di qualsiasi ingrandimento che, unendo alla Liguria nuove popolazioni, poteva diminuire il loro credito in patria e attraversare il loro sogno di restaurazione oligarchica. Capi autorevoli erano i Rivarola, gli Spinola, i Doria emigrati. Di quel gruppo faceva parte quel Cristoforo Spinola, già ministro plenipotenziario dal 1792 della repubblica aristocratica di Genova a Londra, richiamatone poi appena avvenuta la trasformazione del governo in senso democratico, il 26 giugno 1797, e fermatosi lungo la via del ritorno a Parigi nella prima metà di luglio (1). Tra essi erano probabilmente anche Vincenzo Spinola e Stefano Rivarola, rispettivamente ministro e deputato straordinario della Serenissima presso la Repubblica francese, che il neo-costituito Governo provvisorio di Genova richiamò in patria il 10 luglio 1797, perchè rendessero conto delle loro missioni (2), minacciando loro la confisca dei beni a profitto della cassa nazionale, se avessero tardato oltre il dodicesimo giorno (3). Tra essi probabilmente il segretario del Rivarola, Giuseppe Assereto, e quel Guiraud, già console della repubblica genovese a Parigi, che il Direttorio genovese denunziava quali « indiziati rei »,come i tre precedenti, di « attentato contro la libertà ed indipendenza della Repubblica Ligure con abuso delle cariche ad essi rispettivamente affidate », per l’arresto e la traduzione dei quali il Comitato delle relazioni estere della Liguria ordinava si facessero precise istanze presso il minici) La lettera del richiamo di Cristoforo Spinola da parte del nuovo governo genovese, del 26 giugno 1797, è in A. S. G., Litterarum, reg. 181-1957, n. 3. (2) Lettera del Comitato delle Relazioni estere al citt. Bartolomeo Boccardi, Ministro presso la Repubblica francese, da Genova, 10 luglio 1797; Colucci, III, 41-42. (3) Lettera del Comitato relazioni estere al Boccardi, del 15 luglio 1797; in COLUCCI, III, 42-43. — 474 — stro francese Locroix (1): l’ultimo dei quali, all’indomani della proclamazione del Governo provvisorio di Genova, prese il volo da Parigi e si rese irreperibile (2). Vi appartenevano inoltre molti e molti altri di Genova e del territorio. Erano tutti secondati, per le loro ricchezze e per il loro largo credito, da non piccolo numero di avvocati, di negozianti, di preti. Con questi elementi, - incondizionatamente subordinati e devoti, o perchè creature di quelle grandi casate, o perchè molto si erano giovato nel passato della protezione dei patrizi e molto speravano per l’avvenire, riguardando essi il patriziato come pietra angolare di qualunque sistema politico, la dura roccia incrollabile nel fluttuare incessante dei marosi, - gli ex patrizi tenevano la campagna; organizzavano, soprattutto per mezzo dei preti, insorgenze antidemocratiche ed antifrancesi, come quelle di Fontanabona e di altre località; ed erano così rispettati per la loro potenza, che il governo, pur sedando quei moti e reprimendo il risorgente brigantaggio, trattò con certa indulgenza i colpevoli, per non inasprire troppo i « loro principali, noti e temuti ». 11 partito indubbiamente più forte e preponderante nei pubblici affari era costituito quasi tutto dagli ex nobili compromessi nella rivoluzione, e veniva sostenuto decisamente dal governo francese e dai suoi rappresentanti presso la repubblica ligure. Mirando a combattere i nobili dell’oligarchia, essi volevano all’antica repubblica opporre un’altra poggiante su basi diverse, ma tale che permettesse loro di mantenere la propria preponderanza. Sognavano perciò un allargamento territoriale quale argine alla prima; o se quell’ingrandimento si fosse dimostrato inattuabile, non sarebbero rifuggiti neppure dall’idea dell’unione con la Cisalpina unicamente per rendere impossibile un ritorno dell’oligarchia che li avrebbe perseguitati quali organi principali della rivoluzione. Questo partito era largamente rappresentato nei Consigli del governo di Genova, aveva a capo i due fratelli Serra, — Carlo, istallatosi a Parigi e postosi con foga straordinaria, insieme col ministro (1) Lettera del Comitato relazioni estere al Boccardi, del 25 luglio 1797, COLUCCI, 111, 44-45. Il Rivarola e Giuseppe Assereto partirono il 15 luglio: li aveva già preceduti Cristoforo Spinola. Il richiamo di Vincenzo Spinola in quella fsrma imperiosa gli fu intimato il 30 luglio e 5 agosto. Cfr. le lettere del Boccardi dei 16, 24, 30 luglio e 7 agosto 1797, in Colucci, III, 47, 53, 68. (2) Lettere di Bartolomeo Boccardi al Comitato delle relazioni estere, da Parigi 7 e 13 agosto 1797: in Colucci, III, 75-76, 91. Sul Guiraud e sugli altri genovesi a Parigi tra il 1797 e il 1793 e sulla loro attività politica, vedi l’introduzione, parte della quale, per cortesia dell’autore vedo in bozze, del Vitale ai suoi Dispacci dei Diplomatici genovesi a Parigi, 1787-1793, in corso di pubblicazione nella « Miscellanea di Storia Italiana » della Deputazione delle provincie subalpine », pp. 58 ss. — 475 — Fravega, a servizio di quel programma; Qiovan Battista, faciente parte della Consulta a Genova, in stretta collaborazione coi membri della Commissione; — e si giovava del credito e delle ricchezze di Oaspare Sauli, di Anna Pieri Brignole e degli altri Brignole, dei Pareto, dei membri della Commissione e della Consulta, concordi tutti nel proposito d’ingrandimento della repubblica per sincero sentimento patrio, per farsene merito ed anche per innalzare il loro credito personale e familiare. IV. Il problema dell’esistenza e dell'ordine interno della Repubblica ligure. Il trionfo delle idee unitarie avrebbe segnato la fine della repubblica genovese. Nell’ipotesi di una repubblica del Piemonte o dell’ingrandimento della Cisalpina, il territorio ligure per la sua posizione sembrava fatto per servire di arrotondamento ai due stati contermini. Il Bertuccioni additava chiaramente quel pericolo da Parigi (1). Naturale che il governo genovese vivesse di continuo sotto l’incubo di quella inquietante eventualità. Naturale che non si appagasse delle espressioni con cui agenti e generali francesi applaudivano alla rigenerazione della repubblica ligure ed alla sua libertà ed indipendenza; ma mirasse ad ottenere dal governo francese una più positiva e più solenne manifestazione dei suoi sentimenti che lo rendesse tranquillo rispetto a quel grave e fondamentale problema e sgombrasse ogni timore di unione alla Cisalpina (2). Naturale che non si appagasse delle generiche dichiarazioni, verbali e scritte, del generale Bonaparte (3), nè di quelle esplicite di alcuni membri influentissimi dei Cinquecento e del Direttorio francese, che assicuravano da qualunque pericolo di divisione del territorio della repubblica ligure; e che insistesse (1) Lettera del Bertuccioni al Comitato relazioni estere, da Parigi, del 26 febbraio 1798; Colucci, 111, 424. (2) Istruzioni consegnate dal Direttorio esecutivo della Repubblica ligure al citt. Luigi Lupi, ministro plenipotenziario presso la repubblica francese, consegnate il 21 marzo 1798; in Colucci, III, 447. (3) Lettera del Bertuccioni al Ministro delle Relazioni estere, del 4 febbraio 1798, in Colucci, III, 419-420; ed Istruzioni al cittadino Lupi, del 21 marzo 1798, in Colucci, III, 444-445. — 476 — presso il Faypoult (1), ministro plenipotenziario francese, presso Napoleone, presso Talleyrand (2), presso il Direttorio perchè la promessa, ottenuta dal generale in capo e firmata in Genova dal Faypoult, fosse ratificata dal governo francese con « un legale documento » di portata internazionale (3). Un articolo segreto del trattato di Campoformio garantiva, è vero, « l’isolata, indipendente esistenza della repubblica ligure» e stipulava l’unione a quest’ultima degli ex feudi imperiali; ma voci e notizie sulle sorti della penisola erano tali, da giustificare il più vivo allarme. Non solo, infatti, il Re di Sardegna si manteneva in vita, non ostante le mene e le trame delle due repubbliche vicine ed il continuo sonare a stormo dei suoi nemici, ma un trattato di alleanza con la Francia conteneva pure l’assicurazione che sarebbe migliorata la sua condizione. Ciò non poteva verificarsi che a danno soprattutto della Repubblica ligure. Era una spada di Damocle sospesa sul suo capo, un dubbio angoscioso che ne paralizzava la vita. Quella minaccia e la persistente insicurezza sulle sorti della repubblica, abilmente sfruttate da ex nobili e da retrogradi, generavano « una perniciosa incertezza nei buoni cittadini e fomentavano i faziosi nelli criminosi loro disegni. Quindi succedevano le emigrazioni; quindi li commercianti sospendevano il corso dei loro affari; e quindi nasceva il bisogno delle misure di maggior precauzioni e di maggior forza armata che assorbivano le entrate della cassa nazionale ed obbligavano il governo a gravose imposizioni, alle quali pochi si prestavano di buon animo, dopo le ben note giatture che avevano sofferto e soffrivano li cittadini » (4). In tal modo il problema dell’esistenza politica era inscindibile da quello (1) Il Faipoult presentando al Doge il 6 marzo 1796 le credenziali di Ministro plenipotenziario tiene a riassicurare il governo genovese del « vivo interesse che la repubblica francese prende alla prosperità e alla sicurezza della nazione genovese », e mette in rilievo gli argomenti che devono « contribuire a confermare per sempre la buona armonia regnante fra Genova e la Francia: prossimità dei due paesi, industriosa attività dei loro abitanti, antichità dei loro legami commerciali e politici, e finalmente la posizione così rimarchevole del territorio di Genova, limitrofo di due Potenze, le quali già da lungo tempo meditano di dividerselo, e della Francia che non avrebbe alcun vantaggio ad ingrandirsi a sue spese ». 11 discorso, messo a stampa su due colonne, in italiano e in francese, è fra le « Lettere dell’inviato straordinario francese presso la Repubblica ligure », conservate nell’Archivio di stato di Genova, Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. I, doc. del 6 marzo 1796. (2) Lettera del Talleyrand al Bertuccioni da Parigi, del 18 nevoso a. VI (8 gennaio 1798), in Colucci, III, 416. (3) Lettera del Comitato delle Relazioni estere della Repubblica ligure al Bertuccioni, del 3 gennaio 1798, in A. S. Gen., Litterarum, 181/1957, che riproduciamo in Appendice (doc. 12), cui il Bertuccioni rispose il 13 gennaio (Colucci, III, 409-415). Vedi la lettera del Bertuccioni al suo governo del 26 febbraio 1798 (Colucci, III, 421-425) e il * Tableau de la Ligurie, rapport à sa position géographique et aux relations politiques avec les gouvernements qui l'environnent », ibid. III, 425-430. (4) Il passo riportato e le considerazioni che precedono sono svolte nelle « Istruzioni » al Lupi, in Colucci, III, 446 447. — 477 — della tranquillità interna e della politica finanziaria. Poteva assicurarsi riconoscimento internazionale ad uno stato incapace di mantenere l’ordine, di ridurre all’obbedienza i seminatori di preoccupazioni, gli organizzatori instancabili di turbolenze? Napoleone aveva più volte affermato che Genova non avrebbe avuto libertà, finché non avesse assicurato un ordinato e tranquillo governo. Raccomandazione frequentemente ripetuta dal Talleyrand, dal Faipoult, dal Bel-leville e da altri rappresentanti francesi. E invece, le fazioni vigoreggiavano; sorde ostilità erano fra nobili avversi al giacobinismo e nobili compromessi nella rivoluzione, tra elementi moderati ed estremisti insoddisfatti della raggiunta costituzione; forte scontento nell’alto clero e negli Ordini religiosi, privati di loro benefici e di loro ricchezze; allarme per la paralisi del porto e degli affari, per la irreligiosità francese, pel carico tributario, per le requisizioni legali ed illegali, pei soprusi, per le violenze da parte di comandanti e di truppe francesi. Le insorgenze, sedate in una località, scoppiavano più vivaci altrove, senza che il governo mostrasse decisa volontà di spegnerle del tutto; l’azione del Direttorio ligure era paralizzata e seriamente compromessa da riguardi e da interessi di varia natura. Ed ecco, dopo la mutazione politica del settembre 1797, il nuovo moto del 22 dicembre dello stesso anno, che generò arresti, aggravò timori e dubbi, accrebbe pericoli e « minacce del buon ordine, della pubblica quiete, della salute della patria » (1); moto che risaputo a Parigi, irritò Napoleone e lo dispose ancora peggio nei riguardi di Genova. Non poteva tutto ciò essere di grave pregiudizio all’indipendenza della repubblica? Questo appunto intuivano oscuramente quanti complottavano a Parigi contro il governo genovese; e questo il Bertuccioni denunziò al ministro degli esteri del suo paese (2). 11 governo ligure non intese a sordo. E come nel gennaio 1796, non ostante la crisi finanziaria, aveva autorizzato il suo rappresentante Vincenzo Spinola a negoziare un prestito alla Francia, a patto però che questa s’impegnasse a garantire l’integrità territoriale e l’indipendenza della Liguria, e prendesse impegno ad ostacolare il Re sardo a Loano e ad Oneglia (3), così sul finire del novembre 1797 inviò a Parigi il Bertuccioni col compito preciso di ottenere « tutti quei vantaggi che potessero tendere a consolidare la libertà, l’indipendenza e la prosperità della nostra repubblica, anche in conseguenza della convenzione di Montebello (4), e gli raccomandava (1) Gazzetta nazionale di Genova, 6 gennaio 1793, n. 30, a. I, p. 252; e Lettera del Ruzza, ministro degli esteri, a Luigi Lupi, del 23 aprile 1798, in Colucci, 111, 471. (2) Sulle preoccupazioni del Bertuccioni, vedi il dispaccio del 13 gennaio 1798, in Colucci, III, 412. (3) Dispaccio del Boccardo, del 2 gennaio 1796, in Colucci, li, 355; Lettera di Vincenzo Spinola, ibidem, li, 234 ss., 263 ss. (4) Lettera del Governo provvisorio della Rep. Ligure al Direttorio esecutivo della Repubblica francese, 28 novembre 1797; in Colucci, 111, 391. — 478 — di invigilare e procurare di iscoprire in tempo « per quanto era possibile » se fossero per seguire ulteriori cambiamenti in Italia, nel qual caso egli avrebbe dovuto fare « tutti quei passi che avrebbe giudicati convenienti per la conservazione ed integrità del territorio della repubblica, e della di lei am-pliazione » (1). Ma appena giunto nella capitale francese, il Bertuccioni ritenne non vantaggioso agli interessi della patria insistere per ottenere la ratifica della convenzione di Montebello e di Genova come quelle che erano state sorpassate dagli avvenimenti; e cominciò a tentare assaggi per la stipulazione di un trattato nuovo ex integro, che meglio garantisse appunto la libertà, l’integrità territoriale e l’indipendenza (2). Il governo di Genova tuttavia non intendeva, in vista di un ipotetico trattato venturo, buttare a mare un patto che, perfezionato e interpretato con buon volere soprattutto da parte del più forte, poteva tranquillizzare quanti erano giustamente preoccupati dei suoi destini. Ed insistè perchè il Bertuccioni presentasse al Direttorio una memoria, tradotta anche in francese, nelle quale « si esponeva il il desiderio e la necessità benanco che aveva questo rigenerato popolo di riportare dalla Repubblica francese un’aperta dichiarazione che garantisse la libertà e l’indipendenza della Repubblica ligure in qualità di alleata, e l’integrità del di lei territorio ». E quando il Bertuccioni, fisso nella sua idea della convenienza di stipulare un nuovo trattato con la Francia che sanzionasse l’art. 7 del trattato di Parigi del 9 ottobre 1796 e il meglio delle convenzioni di Montebello e di Genova dichiarò apertamente che egli non stimava di presentare quella memoria, espressione, a suo parere, di diffidenza e della maggiore ingratitudine « dopo che il governo francese aveva date replicate prove della sua parzialità per la repubblica ligure (3), e che egli non intendeva « destare sentimenti di disprezzo almeno, se non di disapprovazione verso il suo paese, nè egli essere l’organo disgraziato » (4), il Direttorio esecutivo ligure non dubitò affatto di richiamarlo. E il Lupi, subito inviato a sostituirlo, ebbe istruzioni precise di insistere perchè ottenesse dal governo francese « un legale documento » su quel cruciale problema. E ad ottenerlo, il Lupi si diè a lavorare intensamente ed accortamente, dal suo primo incontro con Talleyrand (5), sino alla fine della sua laboriosa missione diplomatica. (1) Istruzioni al citt. Bertuccioni del 28 nov. 1797, in Colucci, 111, 392. (2) Lettera di Bartolomeo Boccardi, da Parigi, del 18 die. 1797, e le lettere Bertuccioni del 17 die. 1797, in Colucci, HI, 181-185, 395-399. (3) Lettera del Bertuccioni al Ministro relazioni estere, da Parigi, 13 gennaio 1798, in Colucci, 111, 411. (4) Lettera del Bertuccioni, 13 gennaio 1798, in Colucci, III, 411. (5) Sui particolari di quel colloquio, vedi la lettera del Lupi da Parigi del 7 aprile 1798, in Colucci, III, 453-455. — 479 V. IL problema dell’ingrandimento territoriale. Prima vivere; poi ingrandirsi. Assicuratasi la garanzia di indipendenza e d’integrità territoriale, Genova intendeva ottenere dalla Francia l’impegno di aiuto per portare il suo territorio sino ai confini naturali ed unificarlo assorbendo non solo i possessi piemontesi di Oneglia e di Loano, che rompevano la continuità territoriale ,della repubblica sulla Riviera di Ponente, ma fortificandosi militarmente al nord, raggiungendo ad est il limite naturale della Magra. Una memoria presentata al Talleyrand dal Bertuccioni a nome del suo governo in un momento in cui sembrava si dovesse rimaneggiare tutta la carta politica della penisola, all’indomani della costituzione della repubblica romana e pochi mesi avanti la conquista del regno di Napoli, metteva in rilievo che la repubblica ligure non poteva sperare sicurezza e tranquillità, per poco che i suoi vicini avessero voluto crearle difficoltà o disturbarla, finché rimaneva entro i bizzarri suoi confini e finché la continuità territoriale era ostacolata da altrui possedimenti. Ad est i feudi imperiali già uniti alla Cispadana e i feudi, posseduti dal Granduca nella Lunigiana s’incastravano così profondamente col territorio ligure, da rendere difficile le comunicazioni tra parte e parte dello stato. Mentre il confine col Parmense correva ad un dipresso secondo limiti naturali, non altrettanto si poteva dire di quello verso il Piemonte. Feudi posti su quel limite, assegnati col trattato di Campo-formio alla repubblica ligure, erano enclavés fra terre dipendenti dal re di Sardegna; erano all’incontro in potere del Piemonte un piccolo forte quale Serravalle, compreso tra feudi appartenenti da molto tempo a Genova, e Ca-rosio circondata da terre genovesi e perciò agognata dalla repubblica tirrenica che vantava su di essa diritti antichi. Peggio ancora ad occidente; a nord di Savona, il territorio piemontese penetrava entro quello ligure con una striscia di terra che aveva sempre costituito il cammino dell’armata austro-sarda per attaccare i francesi a Savona o dalla parte del Finale; i principati piemontesi di Oneglia e di Loano, incastrati nel territorio della repubblica alla pari di altri piccoli centri della Riviera di Ponente, costituivano seri ostacoli alle relazioni politiche e commerciali del popolo ligure e alla stessa amministrazione piemontese. Erano confini bizzarri; spiegabili con la storia di quei feudi e di quei comuni, limitrofi a due stati un contro l’altro — 480 — armati e volti contemporaneamente alla stessa finalità di espansione territoriale. Erano frantumi di feudi e di stati, sopravvissuti lungo la via che spingeva fatalmente Casa Savoia ad assicurarsi approdi sulle coste nel Tirreno più comodi della stretta zona tra Nizza e Villafranca, non ancora travolti dallo sforzo secolare della repubblica di Genova diretta a crearsi uno stato territoriale rispondente al compito di dominatrice di quel mare che la geografica sua posizione sembrava assegnarle. Erano confini bizzarri che bisognava raddrizzare; e bisognava correggerli in modo, da permettere alla Repubblica ligure di rispondere a quelle supreme necessità della difesa propria e della Francia. Quanto importasse anche a quest’ultima rafforzare dal punto di vista politico e militare la posizione di Genova, già eccellente per natura, era stato documentato dagli avvenimenti della precedente guerra, durante la quale la semplice dichiarazione di neutralità di Genova aveva impedito alla « perfida Albione », padrona di Tolone e organizzatrice di rivolte in Provenza e nella Francia meridionale, di trarre partito dalla sua supremazia sui mari e di raccogliere il frutto dei mille ostacoli da lei seminati contro la Francia. Per rispondere a quelle finalità di ordine militare e politico, occorreva rafforzare la repubblica dandole confini più sicuri, baluardi di offesa e di difesa, portare cioè il confine orientale fino alla riva destra della Magra e annettere alla Liguria i villaggi di Caprigliola, Carignano, Giucano e Valdinovo, incastrati in territorio ligure e limite naturale verso le montagne, compensando la Cisalpina delle perdite precedenti con l’acquisto delle terre della Lunigiana appartenenti al Granduca; portare il confine ligure-piemontese al limite naturale segnato dal torrente Scrivia, annettendo così alla repubblica ligure Serravalle « usurpata », dicevasi, da Casa Savoia al momento della cessione dei feudi delle Langhe, e Carosio, la cui occupazione, in violenta antitesi con la sua postura naturale che l’assegnava chiaramente alla Liguria, veniva, con evidente semplicismo, spiegata con la debolezza dell’aristocrazia o con l’acquiescenza dei suoi membri alla Corte di Torino; spostare il confine sulla catena degli Appennini dal punto dove essi si staccano dalle Alpi fino a Montenotte, confine «di reciproca convenienza», si afferma in quello stesso documento, perchè se imponeva al Re sardo il sacrificio di Oneglia e di Loano e di « quelqu’autre miserable village d’une bien mince importance », lo compensava con quelli di Viosenna, Calizzano, Mallare, Arcore, ed eliminava a comune vantaggio la sorgente di interminabili querele fra i due stati vicini. E se per avventura nel baratto poteva accadere che il Re sardo avesse perduto più che non guadagnato, non si doveva per questo esitare. 11 governo genovese raccomandava al suo rappresentante diplomatico di ricordare al Direttorio esecutivo francese la parte presa dal Piemonte nella coalizione antifrancese, di far presente che a spese del Re sardo e non altrimenti doveva essere in Italia allargato il dominio della libertà; di ribattere che la perdita di Oneglia e 481 di Loano, da taluni ritenute indispensabili al Piemonte per i suoi rapporti con l’isola di Sardegna, non avrebbe resi più difficili quei rapporti, perchè i due paesi erano tuttora circondati da terre genovesi che bisognava attraversare per passare in Piemonte e sarebbero rimaste ugualmente inutili al Re di Sardegna, se la repubblica di Genova si fosse ostinata a rifiutare il passaggio pel suo territorio. Bisognava, dunque, come Genova non si stancava di insistere, affrontare il problema della nuova delimitazione con realismo scevro di intrighi e di falsi riguardi. E la realtà era che Genova, ordinata a repubblica democratica era amica della Francia; e nemico era invece il Piemonte, monarchico ed alleato dell’Austria e della coalizione europea. Equità e convenienza politica dovevano perciò imporre alla Francia il dovere di costituire un forte stato capace di resistere alle pressioni ed alle minacce del vicino Re sardo, unico mezzo per mantenere la pace e rialzare le sorti del commercio genovese, fulcro della prosperità comune della Francia e della repubblica del Tirreno (1). Genova poneva così con rude franchezza le sue esigenze di allargamento territoriale. All’intento di appagarle subordinava tutta la sua politica verso la Francia. All’espansione, oltre che ad assicurare l’indipendenza e l’integrità territoriale, dovevano mirare la ratifica, insistentemente richiesta, delle convenzioni di Campoformio e di Montebello e il trattato di amicizia e di alleanza, al quale lavoravano i suoi rappresentanti a Parigi. Su quel programma Genova insistette con fervore non minore che per la sua indipendenza (2). Più che dalla forza propria, più che da eventi internazionali, - che, dato il momento non potevano non essere che eventi guerreschi, - Genova sperava la soluzione del problema territoriale daH’amicizia o anche dalla « generosità » della vicina nazione. Come la Repubblica ligure aveva ottenuto, con la convenzione di Montebello, l’unione dei feudi senza corrispettivo alcuno, così sperava l’adempimento delle promesse annessioni territoriali mediante un trattato « qual deve essere tra una madre generosa con una figlia prediletta », secondo scriveva il cittadino Lombardi, incaricato di affari della repubblica ligure a Parigi (3). Un tratto di semplice generosità, dunque, e nulPaltro, (1) Questi concetti sono ampiamente svolti nel Tableau de la Ligurie, cit.; in Colucci, ILI, 425-430. (2) Nelle istruzioni al citt. Bertuccioni del 28 nov. 1797 gli s’impone di « fare l’espressa domanda: 1. che nel trattato di Rastadt sia garentita la riunione degli ex feudi imperiali alla repubblica ligure; 2. che sia pure fatta una rinuncia assoluta alla pretesa impe-rialità sopra qualsiasi parte del territorio della repubblica » (Colucci, III, 392). Son da vedere pure brani di lettere del Bertuccioni del 13 gennaio, 26 febbraio 1798, in Colucci, III, 413-414, 422-25: e infine le istruzioni al Lupi del 21 marzo 1798, in Colucci, III, 447-448. (3) Lettera del Lombardi al Direttorio esecutivo di Genova, del 30 gennaio 1798, a chiarimento della relazione del Bertuccioni al Comitato delle relazioni estere, in Colucci, III, 417-419. 31 — 482 — secondo alcuni, - e tra questi il Ruzza, ministro degli esteri genovese, essendo una « grande verità di non avere la Repubblica ligure che accordare alla Repubblica francese in corrispettività di quanto otteneva da questa, meno ciò che la Francia aveva voluto indipendentemente da ogni trattato » (1); ma anche più giusta visione dei motivi realistici che dovevano spingere la Francia ad una politica di amicizia verso la Repubblica ligure: riconoscimento cioè da parte della Repubblica francese « dei servigi che il popolo ligure le ha prestato nel corso dell’attuale guerra », volontà di rendere i liguri « più forti, per abilitarli a servire la Repubblica francese con maggiore successo in altre occasioni » (2). VI. L'alleanza con la Francia nelle viste del Governo ligure. Genova e la Francia avevano innegabili interessi comuni che potevano essere tutelati, solo se ie due nazioni adottavano una uniforme linea di condotta politica, e se consolidavano i loro rapporti politici e commerciali. La Francia ha due mari, afferma un dispaccio del Comitato delle relazioni estere al cittadino Bertuccioni del 3 gennaio 1798 (3), una navigazione da stabilire, colonie da sostenere, commercio da rianimare, grande influenza in tutto il resto degli affari generali di Europa da mantenere e sviluppare: è una grande potenza marittima; e come tale, non potrà « ogni qualche anno s evitare « la disgrazia » di una guerra, la quale o per interessi immediati delle potenze contendenti o per le rispettive loro alleanze, finirà col divenire guerra marittima. In questo caso il territorio di Genova, indipendente e isolato, le presenta (1) li brano è nelle Istruzioni al Lupi, cit., in Colucci, III, 445. Lo stesso concetto ritorna nel dispaccio del Comitato delle Relazioni estere al Bertuccioni del 3 gennaio 1798, dov’è detto che qualunque corrispettivo pei feudi imperiali della Lunigiana e di una parte dei paesi limitrofi allora appartenenti alla Toscana era esclusa dalle circostanze e dalla natura delle cose, giacché « di rimpetto ai nuovi acquisti, non possono certamente da noi proporsi nè compensazioni territoriali, nè indennità pecuniarie, essendo le prime inconcepibili con la Costituzione e le seconde con le finanze». Riproduciamo in Appendice (doc. 12) il documento. (2) Lettera del Lombardi, cit.; in Colucci, III, 419. (3) È nell’archivio di stato di Genova Registro delle lettere del Comitato relazioni estere dal 26 giugno 1797 al 14 luglio 1798, in Litterarum, vol. 181/1957. Lo riproduciamo in Appendice (doc. 12). Diverso in parte è il doc. riportato dal Colucci, III, 436-438. — 483 vantaggi di ogni maniera; e forma, per così dire, sotto l’ombra della neutralità che sarà sempre utile mantenere, un porto franco francese. La nazione genovese, composta di uomini liberi, coraggiosi, navigatori ed industriosi, può contribuire in una notevolissima misura a vantaggio della repubblica francese, sua naturale alleata e amica; « il suo porto, com’è dimostrato dalle vicende dell’ultima guerra, potrà somministrare un asilo finora inviolabile alle squadre francesi; il suo commercio può alimentare gli arsenali e facilitarne la sussistenza nel Mezzogiorno. Perchè Genova possa esercitare questa funzione utile agli interessi della Francia, è indispensabile che mantenga l’indipendenza. Se invece divenisse dipartimento francese, la Francia in caso di guerra dovrebbe difenderne il territorio; se divenisse parte della Cisalpina o di altra potenza che possa dichiararsi contro di lei, si troverebbe pure un giorno nella necessità di attaccarlo. Nell’uno e nell’altro caso, perderebbe i vantaggi che il Mezzogiorno della Francia potrebbe ritrarre da un popolo neutrale, commerciante e navigatore. Ma la Repubblica ligure potrà mantenere la propria indipendenza, solo a patto di « acquistare un qualche maggior grado di forza ». « Circondati come siamo, spiegava il ministro degli esteri genovese al suo rappresentante a Parigi, da potenze superiori a noi ed in gran parte nemiche del sistema repubblicano, non sarebbe lontano il pericolo di un cambiamento. Quindi l’accrescersi i mezzi per difendere la nostra indipendenza sarebbe lo stesso che assicurare sempre meglio i vantaggi che la nostra posizione può procurare alla Francia ». La « maggior consistenza della Repubblica ligure » sarebbe data non solo unendo alla repubblica i feudi della Lunigiana e dei vicariati del Pontremolese e del Fivizzanese che faciliterebbero le comunicazioni commerciali di Genova col Modenese e col Parmigiano, non solo incorporando i territori di Oneglia e di Loano, eliminando così l’origine prima dei dissidi tra Piemonte e Liguria e di danni gravissimi verificatisi anche nell’ultima guerra, ma annettendo anche Ser-ravalle, Carosio e tutto il Tortonese e l’Alessandrino. Motivi economici e supreme necessità militari imponevano quegli acquisti territoriali: « il suolo del Genovesato difetta di prodotti di prima necessità, di cui invece sovrabbondano il Tortonese e l’Alessandrino. Le sue provincie dalla parte di Novi sono quasi interamente indifese. Se queste provincie si riunissero a Genova, il commercio livellerebbe assai presto nel territorio della Repubblica la massa delle sussistenze: gli alessandrini e i tortonesi diverrebbero assai più ricchi di numerario; si renderebbero più facili, più abbondanti e più pronte le esportazioni che dovrebbero farsi a favore della nazione francese, e le due fortezze di Alessandria e di Tortona servirebbero da quella parte come sufficiente barriera alla repubblica di Genova, al momento medesimo in cui non solo non formerebbero contro la Francia aumento di forza tale da ingelosirla, ma — 484 — anche renderebbero più sicura ed utile l’alleanza della Liguria con la Francia. Insomma, salvo il caso - allora non verosimile - che si volesse lidurre in una sola repubblica tutta l’intera nostra penisola, era inteiesse della Francia non solo mantenere, ma ingrandire la Repubblica ligure. ^ Più che a rettifiche di confine, il governo di Genova intendeva, com’e chiaro, ad un allargamento territoriale tale, da appagare le sue aspirazioni secolari, da chiudere a proprio favore il duello a morte ingaggiato col vicino nemico e combattuto con congiure, con tentativi di sorpresa, con la violenza delle armi, con le arti sottili della diplomazia. La piccola e disorganizzata ed irrequieta repubblica del Tirreno avrebbe così steso a terra il forte e pugnace Piemonte che nel temperamento dei suoi abitanti, come nell’organizzazione militare e civile, aveva del monte e del macigno. Soluzione contraria a qualunque obbiettiva valutazione degli elementi di fatto. Ma Genova credeva aver dalla sua il validissimo appoggio della Francia; mentre il Piemonte monarchico si prevedeva non avrebbe potuto resistere fra quattro repubbliche ostili, e avrebbe dovuto fatalmente cedere al vicino più accorto o audace. Non ad un uomo di comune statura toccava l’attuazione di quel piano, ma « all’uomo grande che riuniva tutti i talenti della guerra e della politica », al quale sarebbe stato un nonnulla disporre le cose in modo che 1 equilibrio fosse conservato, e la Repubblica di Genova, prendendo una migliore attitudine negli affari d’Italia, divenisse tanto più meritevole di essere costantemente l’alleata e l’amica della nazione francese. L’unico modo con cui Genova poteva assicurarsi l’indipendenza e la libertà, era di allearsi con la Repubblica francese. Quella alleanza entrava nella linea tradizionale della politica estera che Genova aveva seguita, - la penultima volta durante la guerra per la successione austriaca, in cui la lotta, riaccesa dal popolo e dal governo genovese dopo il gesto rivoltoso che prende il nome dal Balilla, portò al ritiro delle truppe imperiali dalla Provenza; l’ultima volta, nel 9 ottobre 1796 quando Genova, verso promessa di aiuto militare francese, s’impegnava a chiudere i porti agli inglesi e a non rifornirne le navi di viveri e di munizioni (1), - e trovava una straordinaria forza di convinzione negli avvenimenti degli ultimi anni del secolo XVIII. (1) Vedi fra i molti lavori, Sciout, La République française et la République de Gènes, in « Revue des questions historiques, » vol. XLV, 1 gennaio 1889, p. 147 ss. & £ £ — 485 — VII. Il problema delle alleanze della Repubblica Ligure. Circa la possibilità d’un trattato di alleanza tra la Repubblica Ligure e la Francia, qualche assaggio fu fatto fin dai primo incontro col Talleyrand dal Bertuccioni, inviato straordinario del Governo provvisorio genovese (1). La necessità di apposito trattato, a modifica di quello stipulato, sotto la forza delle circostanze, dallo Spinola nell’ottobre del 1796, si venne chiarendo man mano che apparvero l’inopportunità e l’impossibilità di insistere per la ratifica di esso e della convenzione di Montebello, e a misura che, progressivamente orientandosi la Repubblica ligure verso la Francia, si vennero colorendo quel programma di graduali annessioni territoriali cui abbiamo accennato, e quella più stretta collaborazione tra le due repubbliche nella politica interna, in materia militare, negli scambi commerciali. Assai preferibile un trattato ex novo, che una dichiarazione di garanzia isolata, anche se consecutiva a trattato, pensava il Bertuccioni. Un accordo con la Francia che garantisse l’indipendenza e l’integrità liguri avrebbe fatto naufragare senz’altro i progetti di fusione con la Cisalpina cui lavoravano a Milano, a Genova e a Torino Cisalpini e unitari impenitenti, e le manovre della Corte di Torino, sempre pronta a sfruttare gli errori della non amata repubblica vicina. « Se ci manterremo isolati ed indifesi », rifletteva il Bertuccioni, « non faremo che sempre essere più esposti all’evento delle circostanze, e a dover servire per accomodare gli altri. Se invece si avrà un trattato, in cui vi sarà la garanzia del territorio e dell’indipendenza; oltre a non aver più a temere gli intrighi degli esteri, sara il governo molto più tranquillo anche nell’interno », « potrà giovarsi per ottenere tutti quei vantaggi che si possono ripromettere in oggi » (2). Consi derazioni, sulle quali il Bertuccioni da Parigi, il Roggiero da Milano ed altri rappresentanti genovesi ritornano spesso (3). Essi insistono soprattutto ne (1) Lettera del Bertuccioni al suo governo del 17 dicembre 1797, in Colucci, III, 396 ’ ©Lettere del Bertuccioni da Parigi, del 26 febbraio e 4 marzo 1798, Colucci, III, 425, 431. (3) « Quando avessimo una convenzione con la repubblica francese questa c. servirebbe molto per garantirci dall’altrui attentati e per darci un diritto di deliberare noi me desimi qualora arrivassero; e se per altre casualità non succedessero servirebbe a con -dare meglio il governo interno ». Lettera Bertuccioni del 4 marzo 1798, in Colucu, IH, . — 480 —1 rilevare i pericoli cui si troverebbe esposta la Repubblica ligure in caso di guerra. In tale eventualità, un piccolo stato come la Liguria, non poteva aver tanta forza da far rispettare la propria neutralità. Era imposs.b.le po. che si mantenesse neutrale con tutti. Qualche cosa sarebbe stata costretta prima o po. ad accordare: non mai tanto quanto si sarebbe voluto dalla parte cui si concedeva troppo per la parte avversa. Si sarebbe finito quindi per incorrere nell’ira dei due gruppi contendenti. Chiunque poi fosse stato il vincitore, si sarebbe divenuto sua conquista o si sarebbe servito a compensi. Meglio valeva, dunque, dichiararsi francamente; e se si aveva 1 abilità e la fortuna di attaccarsi al più forte, c’era da sperare nella riconoscenza del vincitore (1). Quale fosse l’alleata da scegliere, non v’era più alcun dubbio verso la fine del 1797. Troppi interessi la legavano ormai alla grande repubblica d’Oltralpe. Era ugualmente inevitabile che in caso di conflitti in Italia, Genova venisse trascinata a fianco delle repubbliche democratiche. Il riaccendersi della guerra nella penisola contro l’imperatore si prevedeva prossimo. Le operazioni militari contro Roma, i preparativi per la insurrezione del Napoletano si annunziavano come prodromi di una più vasta conflagrazione diretta contro l’imperatore- Premesso tutto ciò, non era più vantaggioso concludere l’alleanza prima che si aprissero le ostilità, onde pattuire i vantaggi proporzionati all’apporto che Genova avrebbe dato alla comune causa? Diversamente, non pattuiti a tempo, sarebbe mancato qualsiasi titolo giuridico per ottenerli, anche se si fossero fatti tutti i sacrifici possibili per meritarli. E non era preferibile un formale e solenne trattato con la Francia, anche perchè la potente repubblica vicina, pur senza trattati e senza garantire formalmente alcun vantaggio a Genova, esigeva da questa tutto ciò che avrebbe potuto ottenere con la stipulazione di un regolare accordo? Argomenti e riflessioni, il cui peso era evidente ai rappresentanti diplomatici ed a quelli che avevano la responsabilità del Governo. Rimaneva ancora qualche dubbio sul momento più acconcio alla conclusione dell’alleanza. Conveniva non lasciar tempo in mezzo e profittare, per ottenere condizioni migliori, del bisogno in cui era la Francia di marinai, del sopravvento che i « patrioti » guadagnavano nelle elezioni francesi, della generale convinzione circa l’opportunità di formare in Italia un certo numero di repubbliche federate tra loro, da opporre alla minaccia austriaca? Ma le condizioni fatte dalla Francia alla Cisalpina nel trattato di alleanza erano ben (1) È la critica alla politica della neutralità seguita quasi fin allora dal governo ligure. Vedi p. es. la lettera del 26 febbraio 1798 del Roggiero, ministro plenipotenziario ligure presso la Cisalpina, al Corvetto, presidente del Direttorio esecutivo, in A. S. Gen. Direttorio esecutivo, filza 1/177. Data la sua importanza, la riportiamo in appendice (doc. 23). — 487 — dure; e la pubblica opinione e i Consigli del governo cisalpino lo denunziavano come lesivo della libertà e della indipendenza e gravoso per le finanze; e Genova non voleva commettere l’errore di insistere proprio allora per un’alleanza che assai probabilmente sarebbe stata regolata dalle stesse vedute egoistiche. Rinviare a miglior tempo? Ma intanto come garantirsi contro le aspirazioni della monarchia sarda, decisa ad allargare la breccia nel territorio della repubblica e a congiungere i territori subalpini con Loano ed Oneglia? Quale difesa contro il partito che lavorava a Parigi, a Milano, a Genova per l’unione della Repubblica ligure con la Cisalpina? Quale garanzia contro ritorni offensivi della coalizione antifrancese? Poteva Genova lasciarsi cogliere dallo scoppio delle ostilità, diplomaticamente isolata, con le finanze dissestate, con una insufficiente difesa costiera e montana? Ma la stipulazione del trattato di alleanza ligure-francese presentava altre difficoltà. E la prima era che la Francia non intendeva concedere garanzia d indipendenza e d’integrità territoriale senza un adeguato corrispettivo almeno finanziario; e Genova, invece, non intendeva o non poteva offrir nulla. E come già nel gennaio 1796, per mezzo del Boccardo aveva dimostrato impossibile il prestito allora richiestole dalla Francia di 30 milioni, ridotto poi a 6-5 milioni, allegando la propria neutralità e difficoltà finanziarie, così anche questa volta, durante le trattative, il Direttorio ligure dichiarò ripetutamente che non era in grado di offrire nè un corrispettivo territoriale, vietandolo la Costituzione, nè uno finanziario, per la stato deplorevole del tesoro. Il Bertuccioni opinava che un trattato di amicizia colla potente nazione che alloia dettava legge in Italia e fuori poteva ben meritare un piccolo sacrificio, almeno « un segno di gratitudine », e suggeriva, « per ottenere molto con poco , di offrirle un contingente di marinai per la squadra di Tolone, per « la discesa in Inghilterra » o per quella qualunque altra spedizione di oltre mare che s’andava preparando e che era « in testa a tutto il Direttorio » (1). Ma il governo genovese fu contrario anche a tale impegno, avendo « 1 esperienza dimostrato quasi del tutto ineseguibile » il contingente di marinai (2). Ingenuamente esso sperava nella buona volontà della Fiancia, la quale, come aveva dichiarato di porre le sue armi disinteressatamente a servizio della libertà e della giustizia dovunque era il bisogno, e aveva preparata, organizzata e sostenuta la rivoluzione in Italia, così avrebbe messo il punto di onore - nei primi momenti del dominio francese in Italia non cadeva in mente neppure di dubitarne! - nel sostenere le nuove creazioni statali, nel rafforzarle, nell aiutarle a divenire maggiorenni e mature alla vita della libertà. 1 trattati met- (1) Lettera del 4 marzo cit.; Colucci, 43, III. (2) Istruzioni del Direttorio esecutivo a Luigi Lupi, in Colucci, III, 447. — 488 — tendo sullo stesso piano piccoli popoli liberi e grande repubblica francese, avrebbero documentato all’Europa e il disinteresse di questa e la maturità politica dei primi, giunti alla libertà di per sè, all’infuori della iniziativa francese. (« 1 fatti sono diversi », chiosava argutamente il Bertuccioni, « ma l’istoria si vuole che gli dica così ») (l). Si faceva assegnamento poi sulla posizione geografica di Genova, saldo puntello in caso di guerra, indispensabile alla Francia per signoreggiare la Cisalpina, per la lotta conti o 1 Inghilterra, per tenere in soggezione le truppe sarde. Vili. Proposta e trattative per un’alleanza ligure-cisalpina. Gli animi erano sospesi nel discutere tali problemi, allorché dal generale Berthier, in nome del Direttorio francese, giunse contemporaneamente ai governi di Milano e di Genova l’invito ad aprire trattative ufficiali pei un patto di alleanza e di commercio tra la Cisalpina e la Repubblica Ligure (2). Quell’invito, immediatamente comunicato dai due governi ai rispettivi loro rappresentanti diplomatici a Milano e a Genova, sorprendeva il ministro cisalpino a Genova, il Porro, in piena attività per determinare un moto in senso unitario. È di appena sei giorni dopo quell’invito, un dispaccio, fiettolosamente vergato dal governo di Genova, che informava il Roggeio, ministro plenipotenziario a Milano, circa maneggi del Porro « per alterare la pubblica tranquillità », circa suoi contatti con persone politicamente sospette, sul suo carattere torbido, su rimesse da lui ricevute eccedenti i normali bisogni, e lo incaricava di investigare destramente se egli agisse a suo capriccio o dietio istruzioni del governo, e se esistessero a Milano progetti pregiudizievoli alla Repubblica ligure (3). intensificò proprio in quei giorni il Porro la sua propa- (1) Lettera del Bertuccioni al suo governo, da Parigi, del 13 gennaio 1798, in Coluc- Cl, III; il passo è a p. 411. (2) La proposta del Berthier fu comunicata al Porro, ministro plenipotenziario presso la Repubblica ligure il 2 piovoso a. VI (21 gennaio 1798) dal Testi, ministro degli esteri della Cisalpina, che dichiarava si sarebbe « immantinente occupato di un tale oggetto », e lo avrebbe tenuto « esattamente riscontrato di quanto in seguito potrà aver relazione a questo affare ». Arch. Stato di Milano, Ministero degli Esteri, cart. 273, n. 1075. (3) A. S. Gen., Litterarum, filza 181/1957, Registro delle corrispondenze del ministro delle relazioni estere, lettera al citt. Roggiero del 27 gennaio 1798. La riproduciamo in Appendice (doc. 13). 489 — ganda unitaria, per giungere rapidamente ad una conclusione e far naufragare la proposta del Berthier? oppure fu il governo genovese che prese coraggio a denunziare le manovre unitarie del Porro, proprio allora che, propostesi quelle trattative di federazione fra le due repubbliche, fu palese a tutti che il Direttorio francese non approvava sinceramente i disegni unitari cui lavoravano il Porro e i suoi collaboratori? Forse una cosa e l’altra insieme. Era evidente, infatti, che un trattato di alleanza importava anzitutto la promessa dell’autonoma esistenza e l'integrità territoriale delle due potenze contraenti e il fallimento di qualsiasi progetto di fusione ligure-cisalpina. Ma appunto per questo, l’alleanza non era gradita al Direttorio della Cisalpina che aveva dato istruzioni al Porro di lavorare virilmente e con tutti i mezzi per l’unione, « assai più preferibile ad una confederazione », e che, non molti giorni avanti la proposta del Berthier, nella previsione che il congresso di Rastadt avrebbe sviluppato « situazioni più favorevoli », aveva lasciate cadere proposte di alleanza avanzate a mezzo del cittadino Assereto, dicendole « per lo meno precoci » (1). Neppure quell’unione ligure-cisalpina appariva facilmente realizzabile: anzitutto perchè il partito autonomista il più numeroso a Genova, era pronto a difendere, anche con la forza, la patria indipendenza; poi perchè il destino delle due repubbliche e di quasi tutta la penisola italiana era nelle mani della Francia. E quali fossero i reali intendimenti di quest’ultima, apparve chiaro dall’acquisto delle isole ionie mirante a fare del Mediterraneo « le lac français », come fin da quei giorni acutamente vide il ministro plenipotenziario genovese a Milano (2), e soprattutto dai duri patti imposti alla Cisalpina. Come l’obbligo di mantenere i 25000 soldati francesi, l’oneroso annuo tributo di 25 milioni e il comando di Peschiera, di tutte le altre piazze della Cisalpina e delle truppe francesi e cisalpine affidato ai francesi e ad un ufficiale venuto da Parigi, dovevano assicurare il predominio assoluto francese nella Cisalpina, così la Francia non cercava che un pretesto per intervenire apertamente in Liguria e farne un dipartimento francese. All’acuta sensibilità del Roggiero e del Direttorio genovese non sfuggì l’eventualità di quel pericolo. Essi anzi erano in possesso di elementi tali, da ritenere che la Liguria sarebbe già divenuta dipartimento francese, se non si fossero temuti e il malcontento del popolo ligure e le doglianze di tutta l’Europa. Nelle circostanze particolari in cui era l’Italia tra il finire del 1797 (1) A. S. Milano, Ministero degli Esteri, cari. 273; lettere del Testi al Porro, da Milano, 13 frimaio a. VI (13 dicembre 1797). (2) A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320; lettera del Roggiero al Comitato delle relazioni estere, del 30 giugno 1798. — 490 — e i primi del 1798 e mentre si svolgevano le discussioni al congresso di Rastadt, quel progetto era stato sospeso, è vero, ma non abbandonato. E un nonnulla lo avrebbe potuto far riprendere e condurre in porto. « Se la Liguria si governa da sè tranquillamente », spiegava il Roggiero al ministro degli esteri della Cisalpina nell’intento di dissuaderlo dai tentativi per la fusione delle due repubbliche, « i francesi, ritraendone, mercè la loro preponderanza, i vantaggi che offre la nostra situazione, non hanno motivo per privarci della nostra indipendenza. Laddove se fossimo agitati da forti dissensioni, non mancherebbero di dire che la tranquillità dell’Italia e la nostra propria felicità esigono di incorporarci alla Francia; lo che non riuscirebbe loro più difficile a farlo che a dirlo. Ciò supposto, se voi, Cisalpini, mettete in azione il vostro partito, promovete nel tempo stesso la reazione degli altri due (quello francofilo e quello autonomista); quindi i partiti e le dissensioni che lacerano la Liguria, e quindi i motivi di cui abbisognano i francesi per incorporarci al loro stato. Voi vedete perciò che i tentativi che fareste al presente per la riunione alla Cisalpina, la renderebbero per sempre impossibile. Liguri, siamo sempre italiani e vostri amici; lasciateci tali per bene reciproco e per quiete di tutti » (1). Più che la forza di questo ragionamento, - che cosa mai, in quel mutare di eventi e di posizioni, poteva riguardarsi così stabilmente costituito, da non autorizzare la speranza di un mutamento? - , valse a mutare il corso delle discussioni la proposta ufficiale per l’alleanza ligure-cisalpina. Il proponente, e per l’autorità sua, e per quella del Direttorio francese a nome del quale parlava, non eia tale da passarsene facilmente. Alle insistenze del Berthier si aggiunsero poi quelle dei ministri plenipotenziari francesi a Genova e a Milano. Faipoult, con nota ufficiale del 15 piovoso al ministro degli esteri genovese, sollecitava 1 inizio delle trattative, offriva i suoi buoni uffici per una pronta e perfetta intesa e additava i vantaggi di quella lega in una intimità, facilmente raggiungibile, di sforzi contro i comuni nemici del sistema repubblicano, in una maggiore reciproca confidenza che avrebbe eliminate mille occasioni di conflitti, a cominciare dalla prossima delimitazione di territorio delle due repubbliche e dalla questione delle prerogative del commercio, nel rendere più fi anche e libere le necessarie relazioni di commercio, nel rendere più intima la solidai letà e la collaborazione nei molti e gravi problemi comuni che attendevano una soluzione (2). Il Direttorio esecutivo di Genova incaricava tre giorni dopo Io stesso ministro degli esteri Ruzza di « aprire confidenzialmente discorso » col Faipoult (1) Lettera del Roggiero, del 30 giugno 1798 cit. sante & °“" °mm° p'°"is°'i°’ W* '■ — 491 — Sul trattato, del quale il Direttorio francese si faceva « mediatore » - la parola è nelle carte, di mano del Ruzza - (1), per fargli osservare le diverse circostanze in cui erano « le due nazioni ligure e cisalpina ”, e per « mostrargli la necessità di considerare in qualunque caso l’unione con un comune trattato con la repubblica francese, che garantisse, con le altre cose, alla Liguria la libera navigazione di rimpetto alle Potenze barbaresche » (2). Comunicava ufficialmente dieci giorni dopo al Faipoult di essere pronto ad entrare in trattative per l’alleanza, « anche all’oggetto di cattivare sempre più la benevolenza della repubblica francese, la di cui intervenzione può assicurare e rendere permanenti i vantaggi di tale alleanza »; e lo invitava infine a fissare una conferenza col ministro cisalpino e col rappresentante genovese (3), designato nella persona dello stesso Ruzza (4). Il governo genovese insomma si dichiarava disposto a trattare, a patto che lo stesso documento nel quale dovevano essere stabilite le condizioni dell’alleanza contenesse pure la garanzia, da parte della Francia, circa l’integrità territoriale e la libertà di bandiera contro le potenze barbaresche. Concepiva cioè l’alleanza con la Cisalpina inscindibile dall’assicurazione da parte della Francia circa il problema territoriale e la libertà della bandiera; subordinava, come chiarì il Ruzza, l’alleanza ligure-cisalpina alla conclusione dei rispettivi trattati di alleanza delle due repubbliche con la Francia. Si iniziarono, dunque, le trattative nella splendida sede del Faipoult, in piazza Fontane Marose. Non ostante l’ambiente di simpatia che il Faipoult cercò di determinare, si manifestarono presto i diversi punti di vista che dovevano arrenare ben presto le trattative. Il generale Berthier aveva previsto un contingente militare da fornire, in misura eguale di 5-6 mila uomini, da ciascuna repubblica. Il Faipoult, comunicando il piano di alleanza aveva notato che il « contingent mutuel » era « trop considérable » per la Liguria, ma aveva lasciato sperare che poteva essere modificato (5); e il governo geno- (1) A. S. Oen., Governo Provvisorio, mazzo 2/2946, Lettere del Ministro straordinario della repubblica francese presso la Liguria al Ministro delle relazioni estere di Genova. Le lettere cui accenniamo sono entro la pratica del 15 pluvioso. Le riportiamo in Appendice, doc. 17. (2) A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 2/2946, fase. I: Decreto del Direttorio esecutivo del 6 febbraio 1798, a firma Corvetto presidente, Molfino direttore. (3) Lettera del Comitato delle relazioni estere al Faipoult del 16 febbraio 1798; A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 2/2946, fase. I. (Appendice, doc. 17). (4) Decreto del Direttorio esecutivo a firma del Presidente Corvetto, del 19 febbraio 1798. Copia è in A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 2/2946, fase. I. (5) A. S. Gen, Governo provvisorio, mazzo 2/2946. Lettere del Ministro della Repubblica francese presso la Ligure al Ministro delle Relazioni Estere, fase. I. Quando il Ministro degli esteri della Cisalpina aveva confidenzialmente parlato del pari contingente militare da parte delle due repubbliche al rappresentante diplomatico genovese a Milano, questi aveva — 492 — vantaggio di detta convenzione da comunicare alla Francia non doveva « mai ed in alcun caso avere affetto Ud LUmumvui v *-*■***— *--------------. .v alcuno contro quella potenza e in verun modo alterare l’alleanza che di già sussisteva anco per costituzione tra la repubblica francese e la repubblica ligure »; includere la dichiarazione della Repubblica ligure del « suo desiderio di rinnovare l’alleanza con la Francia, mediante quelle maggiori spiegazioni che possono maggiormente assicurare la prosperità della nazione ligure e il mantenimento della democratica sua costituzione ». In questo senso appunto furono date istruzioni al Ruzza, sulla portata delle quali intervenne uno scambio, sia pur generale, di vedute col Faipoult. Ma le trattative col ministro cisalpino non andarono oltre il primo punto fondamentale. Il Porro intendeva, conforme le istruzioni del suo governo, che si parlasse di alleanza, senza precisare se offensiva o difensiva. Circa il contingente, proponeva fissarne uno in caso di guerra offensiva, l’altro in caso di guerra difensiva. Ma sempre a parti uguali. In caso di guerra offensiva, la potenza attaccante doveva dare tempestiva comunicazione all’altra; ma questa poteva ricusare l’aiuto del proprio contingente dietro parere dell’intera assemblea legislativa. Era quest’ultimo un particolare nuovo di grave portata, che avrebbe fatto dipendere la concessione o la ripulsa del contingente armato e l’esecuzione di parte essenziale del trattato non dal giudizio meditato degli elementi responsabili del Direttorio, al corrente degli affari più segreti e in grado di tener conto di tutti gli elementi di fatto e delle viste di politica generale, ma dall’umore dell’assemblea, facile ad essere influenzata dalla propaganda delle gazzette e dei « circoli » e dal timore di moti di piazza. 11 Ruzza non omise di ribattere; ma il Porro fu irremovibile. Nè più arrendevole si mostrò circa l’ammontare del contingente. Egli sosteneva che qualsiasi disuguaglianza nella misura di esso, oltre che contravvenire alle istruzioni del suo governo, era contraria ai « principi della democrazia »; che l’alleanza risposto facendo le più ampie riserve. (A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320, lettera del Roggiero da Milano al Ministro degli esteri di Genova, del 24 gennaio 1798). — 493 — proposta a contingente pari sarebbe stata sempre più vantaggiosa ai Liguri che ai Cisalpini i quali « non temevano parzialmente i loro vicini, ma solo l’imperatore, mentre i Liguri dovevano temerli tutti ». Non una parola circa pattuizioni commerciali. E allorché il Ruzza insistè con « alcune generali riflessioni », il Porro mostrò chiaramente di « disprezzare il commercio ». Rimbeccò il Ruzza le affermazioni del Porro, quella soprattutto secondo la quale l’imperatore vincendo i Cisalpini avrebbe schiacciato senz’altro i Liguri. Ma con maggiore impegno insistè nel combattere il punto di vista cisalpino relativo al contingente, circa il quale il Porro era riuscito a guadagnare il Faipoult, non certo per lo specioso motivo, da lui addotto, che « la disuguaglianza del contingente ripugnasse ai principi democratici ». Che cosa il Ruzza abbia allora obiettato, risulta da alcune note di suo pugno - ora fra le carte di archivio - approvate dal Direttorio esecutivo e trasmesse sostanzialmente al Roggiero, perchè direttamente lumeggiasse il punto di vista genovese presso il governo cisalpino: l’uguaglianza non doversi intendere aritmeticamente, ma in rapporto alle forze rispettive dei contribuenti; a queste soltanto doversi commisurare il contingente per la comune causa. « Un peso eguale, ripartito su due popoli di diseguale importanza e consistenza, spiegava il Ruzza, si risolverebbe in « un peso diseguale e non sopportabile e non giusto e non politico per conseguenza s, e in definitiva in un danno non per il popolo più debole soltanto, ma anche per quello più forte che dovrebbe abbandonare la causa comune, venendo così meno alla sua lealta e alle viste determinatrici del trattato, oppure sarebbe costretto a supplire con l’aumentare il proprio contingente s lo che verrebbe a ristabilire, dopo qualche inutile oscillazione, quello stesso equilibrio che avrebbe dovuto stabilirsi a principio ». « La democrazia, la giustizia, la politica, la natura comandano l’uguaglianza »; ma questa è fondata sopra la proporzione, conclude il Ruzza: « tutto ciò che non è calcolato sopra di questa base sarebbe vacillante, precario e rovinoso ». La proporzione del contingente era da valutarsi in base alle rispettive quantità dei pericoli da evitare, degli interessi e dei mezzi in potere delle parti, degli impegni da sostenere, della protezione, della difesa, dei vantaggi ai singoli e alla collettività. Senza questa corrispettività, un cittadino o un popolo avrebbe pagato un debito di un altro e sofferto quindi un aggravio. Queste a un dipresso, le riflessioni del Ruzza: « semplicissime osservazioni », e sì evidenti, egli riteneva, che anche il Porro non avrebbe dovuto dubitare nell’accoglierle come base di ulteriori trattative. Non era la prima volta che venivano prospettate a rappresentanti del governo cisalpino. Già il Roggiero, al ministro degli esteri cisalpino aveva rilevato che la Liguria promettendo un contingente militare di 5 - 6 mila uomini, « — 494 — s’impegnava a soccorrere con tutte le proprie forze i Cisalpini, mentre questi, promettendo lo stesso numero di soldati, offrivano appena un quarto delle loro forze, sul piede di allora di 19-20 mila uomini, e molto meno, quando si fosse attuato il progetto di un’armata cisalpina di 40.000 uomini. La obiezione non difettava certo di chiarezza e di forza logica; e il Roggiero da quella privata conversazione ricavò l’impressione che il ministro cisalpino ne aveva sentita la ragionevolezza, ma che non desisteva dalla posizione presa « per aver luogo a negoziare e cedere in appresso » (1). Continuarono le trattative in casa del Porro, nell’ufficio del Ruzza, con o senza l’intervento del Faipoult. E dopo frequenti colloqui, si giunse finalmente ad abbozzare una minuta di progetto di 13 articoli che riproduciamo in appendice (2), i cui punti fondamentali erano: garanzia vicendevole dei territori attualmente posseduti dalle due repubbliche; in caso di guerra offensiva contro una terza potenza, lo stato attaccante per ottenere l’aiuto militare doveva comunicare i motivi della guerra all’altro contraente; ma questo poteva rifiutarsi, se, a giudizio del Corpo legislativo, quei motivi non fossero ritenuti giusti; in caso di guerra difensiva, Io stato non aggredito non poteva per nessun motivo rifiutare il sussidio militare convenuto; qualora poi le due repubbliche venivano attaccate contemporaneamente o volevano intraprendere qualche operazione in comune, dovevano soccorrersi con tutte le forze, stipulando nuove condizioni a norma delle circostanze: impegno di stipulare, entro tre mesi dalla firma, un trattato di commercio fondato sulla base della comune utilità, in cui le due nazioni sarebbero reciprocamente trattate come le più favorite; scambio dei disertori e dei rei di qualsiasi delitto; espulsione perpetua dei rispettivi emigrati; mantenuti in vigore i capitoli relativi ai Bergamaschi lavoranti in Portofranco. Rimaneva tuttora insoluta la questione delPammontare del contingente. Ma anche su altri punti non mancarono osservazioni del Direttorio esecutivo: p. es. che la garanzia non dovesse eccedere il contingente militare o i nuovi patti da stipulare; che si dovessero specificare i reati pei quali si stipulava l’estradizione; che ie concessioni ai Bergamaschi venissero confermate, in quanto non fossero incompatibili con la Costituzione ligure. Intendeva poi fosse aggiunto un 14° articolo per cui il trattato di alleanza ligure-cisalpino non avrebbe effetto, « se non quando fossero conclusi i rispettivi trattati particolari di alleanza della Repubblica ligure e della Cisalpina con la Repubblica francese ». (1) Lettere del Roggiero al Comitato delle relazioni estere da Milano, 9 e 15 febbraio 1798: in A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. Le riproduciamo entrambe in appendice (docc. 18 e 19). (2) La minuta del trattato è in A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 2/2946 fase 1 È senza data, ed è racchiusa entro il doc. del 15 pluvioso. Vedi Appendice, doc. 17. — 495 — Quando il Ruzza in una conferenza privata, la sera del 7 marzo 1798, comunicò quelle osservazioni al Porro, questi gli parve « piuttosto docile anzi mortificato », e mostrò di non insistere neppure sulla parità del contingente. Si era arreso ai ragionevoli rilievi del ministro genovese; oppure, osservava con sottile arguzia il Ruzza, era « una speculazione per farsi credere capace di ragione »? Protestò invece per l’articolo aggiunto, in cui egli vide la mano del Faipoult, e seccamente troncò la discussione, dicendo che avrebbe riferito tutto a Milano ed atteso istruzioni. Il Porro sapeva bene che la Cisalpina lottava con tutte le sue forze contro l’asservimento impostole dal trattato di alleanza con la Francia; ed intuiva che il subordinare all’approvazione di questo la validità dell’alleanza ligure-cisalpina significava rendere aleatorio il puntello che da quest’ultima poteva derivarle, pel momento in cui la Cisalpina non avesse voluto consegnarsi mani e piedi legati alla Francia; significava: tutto con la Francia, nulla senza di essa. Ma la Repubblica ligure in quella proposta aggiuntiva difendeva sè stessa e la sua esistenza. Era militarmente debole e in preda ai partiti; angustiata dal deficit delle finanze; costretta ad offrire agevolezze e benefici di ogni genere alla Francia, senza averne alcun corrispettivo, senza neppure la garanzia deH’integrità territoriale, troppo a lei necessaria per difendersi dal Re sardo, dalla coalizione europea, dalle mene del partito unionista. Che valore poteva avere, senza la garanzia territoriale da parte della Francia, quella reciprocamente stipulata fra le due repubbliche italiane, contenuta, per giunta, entro i limiti modesti dei rispettivi contingenti militari e i patti eventuali in caso di guerra? Il governo genovese in un primo momento aveva sperato che il trattato di alleanza ligure-cisalpina risultasse di tale ampiezza, da regolare i rapporti, oltre che fra le due repubbliche, anche fra queste e la repubblica madre; aveva dovuto appagarsi poi di intavolare trattative con la semplice mediazione della Francia; dalla minuta del trattato erano infine scomparsi la garanzia e finanche il nome della Francia. Non venivano poi stipulate convenzioni commerciali, cui la Repubblica ligure giustamente teneva moltissimo. E se si era preso impegno di concludere, entro tre mesi dalla firma, un trattato di commercio, non si era neppur certi, dato il malvolere del Porro, che la convenzione del 1786 sarebbe stata sostituita da patti migliori. Non ostante tutto ciò, non ostante che la garanzia di integrità territoriale da parte della Cisalpina valesse politicamente e militarmente assai meno di quella francese, e il trattato non comprendesse patti commerciali, quell al leanza era pur sempre conveniente per Genova; anche perchè sarebbe stata stipulata in un momento in cui il Talleyrand faceva scintillare agli occhi dei Cisalpini il miraggio di un allargamento territoriale e di una « marma di — 496 — qualche considerazione » a spese dei vicini, e Napoleone prometteva alla Cisalpina « tutto il paese sino agli Appennini e il ducato di Parma », e lasciava prevedere come probabile l’assorbimento della Liguria (1). IX. Azione del partito unionista durante le trattative; atteggiamento della Repubblica francese. Genova, dunque, pur senza grande entus'asmo, poteva avviarsi a stringere quel patto di alleanza. Ma la Cisalpina non mostrava alcuna fretta. Aveva, sì, iniziate le trattative per compiacere al generale Berthier e al rappresentante diplomatico francese; ma le conduceva avanti alla stracca, senza volontà di pervenire ad una conclusione. Prova, indiretta ma significativa, ne è che, mentre il Ministro plenipotenziario della Cisalpina Porro conduceva quelle trattative, non smetteva affatto di lavorare per giungere all’annessione al suo stato di tutta la repubblica di Genova o almeno del porto della Spezia. Egli rimaneva sempre il capo riconosciuto del partito unitario, allora più vivo che mai. Continuamente intrigava in tutta la Liguria; con la sua propaganda unitaria attraversava le viste del generale Berthier per un’alleanza ligure-cisalpina e il segreto programma del Faipoult per l’annessione della Liguria alla Francia; scriveva al Visconti, ministro plenipotenziario della Cisalpina a Parigi, che * era tempo di agire per opporsi al tentativo del Faipoult, far conoscere al Direttorio che non conveniva alla Francia l’acquisto della Repubblica ligure » (2). c Giovane di talenti naturali, scaltro assai ed esercitato nel ministero della polizia, esaltato, vivo ed inquieto, » lo descriveva il Roggiero (3). A lui facevano capo quanti erano c rivoluzionari per mestiere >; persone di scarsa importanza, a giudizio del Roggiero, ma che tuttavia si davano tono, « si consideravano come una potenza, viaggiavano a dritta e a sinistra, cabalizzavano, (1) La duplice assicurazione fa data al proprio governo dal Visconti ministro della G salpina a Parigi. Cfr. lettera del Roggiero 15 febbraio 1798: A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24 2320. (2) Lettera dei Porro al Visconti, da Genova, 29 piovoso a. VI (17 febbraio 1798): A. S. Milano, Archìvio Marescalchi, can. 47, fase. 14. (3' Le:te-a da Milano al Corvetto, presidente del Direttorio esecutivo della Repubblica ligure, del 21 febbraio 1793: A. S. Gen., Direttorio esecutivo, mazzo 1 177 (è il 1 doc. della filza). Lo riproduciamo in Appendice, doc. 21. 497 - facevano dei sistemi, e con aria di importanza offrivano a questi e a quelli i loro servizi ». Alcuni esaltati si lasciavano imporre da quella gente e si arruolavano sotto le loro bandiere, convinti che fossero di sottomano sorretti da qualche governo. Ricevevano talvolta denaro, non perchè realizzassero i i loro disegni, ma perchè facevano da informatori. E di quei denari si servivano spesso per accrescere le fila del loro partito. Questo, il giudizio del Roggiero; nel quale è visibile lo sprezzo per quel partito e per il suo metodo di lotta. Tuttavia è un fatto che con tali mezzi il partito ligure-cisalpino acquistava di giorno in giorno proseliti, giungeva nel febbraio del 1798 a comprenderne intorno ai 20 mila. Aveva ad informatori il Fantoni (1), il Vita-liani, accesissimo rivoluzionario napoletano, già arrestato a Genova pei moti giacobini del marzo 1797, ma energicamente reclamato dal Faipoult quale naturalizzato francese (2), e il Salvador, viaggianti tutti da Milano a Parigi, e di lì a Genova, alla Spezia, a Lucca. Nel « Termometro politico » di cui era estensore appunto il Salvador trovavano sfogo le loro esuberanze verbali e i sogni di patrio rimaneggiamento. Con questi mezzi e con tali uomini, il Porro teneva mosse le acque, agitava discussioni e promoveva disordini fra popoli già turbati dal fermento delle passioni, eccitava gli spiriti in attesa degli eventi. Le preoccupazioni di quel momento accrescevano il pericolo. Dappertutto si vedeva o si temeva l’azione del Porro. Il Direttorio genovese, per es. aveva chiesto al Faipoult che, partito il secondo battaglione della mezza brigata, un nuovo corpo francese di non oltre mille uomini entrasse nel territorio della repubblica pel mantenimento dell’ordine e della tranquillità interna, e ne aveva avuto buon affidamento dal rappresentante francese, e promessa di suoi buoni uffici presso il generale in capo Berthier (3). La richiesta non era che 1 esecuzione (1) Credo si tratti del noto Giovanni Fantoni (Labindo), nato a Fivizzano il 27 gennaio 1755, uno dei tribuni che partecipò ai moti di Reggio nel 1796 e che rispondendo al famoso quesito dell’Amministrazione generale della Lombardia del 6 vendemmiale a. \ (27 settembre 1797), proponeva la creazione di due repubbliche in Italia: una, anstodemocra .ca, dal Tevere e dal Metauro in giù; l’altra democratica, dalle Alpi ai manf.no al Tevere e Metauro, alla quale dava per confine a settentrione i Grigioni e lo Stato Veneto a levante .1 Serchio e il mare Adriatico, a mezzogiorno il Metauro, gli Appennini toscan, ed fl Serdno; a ponente il mar Tirreno e Ligustico, gli Appennini del Genovesato e ,1 P.emonte. Cfr. Giov. Sforza, Contributo alla .ita di Giovanni Fantoni (Labindo), m « Cornale stanco e letterano della Liguria » a. VII, 1905 aprile-giugno, pp. 121 ss, luglio-settembre pp. 241 ss, o«obre^cern-b^ pp. 361 ss. Vedi pure Memorie storiche, in calce alle sue Poesie, Italia, 1823, vol. Ili, PP' ^rSciOUT, La république française et la république de Gènes, in < Revue des questions historiques », gennaio 1339, t XL\, pp. 150-151. (3) Nota di mano del Ruzza, ministro degli affan Intera, e delle F.nanze, del 27 gennaio 1793: A S. Gen, Direttorio esecutivo, mazzo 1 177, doc. 3. 38 — 498 — di misure prese di accordo col Bonaparte per l'istallazione e la conservazione del nuovo governo. Tuttavia essa diè luogo a larghe vociferazioni di prossima rivolta del popolo genovese e di avversione ai francesi; tanto che il Berthier si affrettò a prendere accordi col generale Sérurier, allora a Milano, e a disporre che una colonna mobile si tenesse pronta a marciare su Genova a qualunque richiesta del Faipoult (1). Ebbene anche in questo si vide un segno della sottile perfidia del Porro che in torbidi e misintelligenze tra francesi e genovesi avrebbe trovata buona occasione d’intervento negli affari interni della Repubblica ligure. Egli si sentiva sostenuto ed incoraggiato dall’alto. 11 suo governo gli aveva dato istruzioni in quel senso; ed egli s’era messo all’opera con tanta foga, ed aveva stesa subito tale rete di rapporti e d’intrighi, che quell’attività e le persone che lo attorniavano furono presto note al governo piemontese, e la voce corse al Roggie.ro a Milano e al Lombardi incaricato di affari a Parigi. È vero poi che il governo cisalpino aveva in parte temperate quelle istruzioni; ma solo per dare soddisfazione al Berthier che aveva fatta « qualche rappresentanza sulla condotta del cittadino Porro » (2). 11 programma era tutt’altro che abbandonato. Non dava forse esca il furbissimo Talleyrand, promettendo ai Cisalpini « una marina di qualche considerazione? » E il Bonaparte, parlando degli affari di Roma col rappresentante della Cisalpina a Parigi e del progetto di mandare in Sardegna il duca di Parma, non aveva rinsaldate quelle speranze? Quelle promesse, venendo tanto dall’alto, costituivano bene più che un affidamento. Alla perspicacia di uomo intelligentissimo, quale il Roggiero, non sfuggì, è vero, che quei discorsi erano null’altro che lusinghe per indurre i Cisalpini ad accettare i duri patti imposti dal trattato di alleanza con la Francia. Ma vigilare era supremo dovere; tanto più, che correva con troppa insistenza la voce dello smembramento della Liguria. I Cisalpini avevano preso sul serio quegli affidamenti, e soffiavano a tener desti gli scontenti alla Spezia, con la speranza di giungere prima o poi all intervento ed all annessione. Il movimento creato dal temperamento bollente del ministro Porro doveva apparire tanto serio, che un uomo, non disposto a dar credito a quelle teste bruciate, suggeriva tuttavia al governo di « stare oculati dalla parte del Levante », per impedire un moto separatista degli spezzini, incitava i Consigli della repubblica a trovare « un sistema mercantile atto a conciliare gli interessi della Centrale con quelli del Golfo », pensando che « con questo mezzo quegli abitanti, liguri da tanto tempo, non vorrebbero sicuramente (1) Lettere del Roggiero al Comitato delle relazioni estere, da Milano, 9 febbraio 1798; A. S. Qen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. (2) Per tutto ciò, cfr. la lettera del Roggiero del 9 febbraio 1798, cit. — 499 — staccarsi dai loro fratelli per unirsi ad altre popolazioni », denunziava al governo Cisalpini che importavano nel Genovesato coccarde del loro paese, si allarmava alla notizia della diserzione di alcune centinaia di soldati della Spezia passati al servizio della Cisalpina attratti dal miraggio di miglior soldo, suggeriva di invigilare i confini e di non permettere l’uscita dalla Repubblica ligure se non a chi avesse passaporto rilasciato dalla municipalità, o da ministro straniero purché vistato dal ministro degli esteri genovese, e di far entrare solo i Cisalpini con passaporto rilasciato dal ministro genovese a Milano: misura quest’ultima che avrebbe permesso al governo di essere « istruito di tutti i corrieri che si spedivano, la cui frequenzapoteva essere subito un avvertimento » (1). Quei suggerimenti non erano privi di ragionevolezza e di opportunità. Da Parigi il residente genovese informava che il partito dell’unione, forte di un ventimila aderenti, si agitava per far insorgere il popolo della Spezia e chiedere l’annessione alla Cisalpina; che il Vitaliani era pronto a partire da Parigi per Genova, e di lì col pretesto di recarsi a Lucca, sarebbe andato alla Spezia per sollevare la città, e a questo scopo aveva ricevuto dal ministro Porro duemila delle seimila lire promessegli dal governo. Da Milano il Roggiero denunziava al suo governo tal capitano Bisiotti, romano, « giovanotto di buona fisonomia », esiliato a Genova dall’antico governo, passato al servizio della Cisalpina, da poco entrato nel territorio ligure, « intrigante e con la testa piena di progetti e di rivolgimenti politici » (2). Erano notizie che rispecchiavano una preoccupante situazione di fatto, trasmesse da zelanti patrioti ai rappresentanti diplomatici genovesi; o erano progetti di fantasie agitate o di qualche « rivoluzionario per mestiere »? 11 Roggiero volle veder chiaro; e se ne aprì col ministro di polizia di Milano, che per le sue relazioni coi membri del Direttorio e con tutti i rivoluzionari, poteva avere cognizione di quelle trame, e ne parlò con un membro del Direttorio che gli pareva solitamente ben informato e di buona fede. E il ministro di polizia l’aveva riassicurato abbondantemente; e quel membro del Direttorio « con tono di verità, sulla sua parola d’onore » l’aveva cerziorato che il Direttorio non pensava affatto a progetti del genere, che nessuno dei direttori ne aveva sentito parlare, che se il Porro s’immischiava di « quegli intrighi » si sarebbe compromesso personalmente, e « il governo lo avrebbe disapprovato ». Erano, dunque, manovre di queirirrequieto e agitato ministro e dei suoi aderenti, « rivoluzionari per mestiere », concludeva soddisfatto il Roggiero. (1) Quanto sopra risulta dalla lettera del Roggiero al Comitato delle relazioni estere, da Milano, 15 febbraio 1798; A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. La riproduciamo in appendice, doc. 19. (2) Lettere del 9 febbraio 1798; A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. — 500 — Comunque, era bene stare in guardia, egli esortava; era opportuno che il croverno ligure si facesse portare « le valigie delle lettere procedenti dalla Riviera di Levante », che si assicurasse se « il corriere avesse lettere a parte > e le aprisse tutte per venire a perfetta cognizione delle cose (1). Il Direttorio esecutivo genovese non solo tenne gli occhi aperti e adotto le misure di precauzione circa i passaporti e la censura della corrispondenza per sorprendere la fila dei progetti rivoluzionari, ma insistè pure presso i suoi rappresentanti a Milano, a Parigi, a Torino, perchè vigilassero e riferissero. E quando dal Berthier e dal Faipoult venne fatta la proposta di alleanza ligure-cisalpina, si affrettò a prenderla in considerazione e ad incontrarsi col ministro francese e cisalpino, e insistette perchè non si troncassero le trattative, nella certezza che fintanto chè si parlava di alleanza, avrebbero dovuto « svanire o almeno restare sospese le idee di unione e tutti i tenta ivi o intrighi ad essa relativi • (2). Ma appunto per questo, il Porro, come abbiam detto, la tirava per le lunghe con espedienti di malferma salute o di altro, si mostrava irremovibile sul punto del contingente, non faceva conto alcuno dei desideri del governo di concludere accord, commerciali (3). Nella stessa tattica concordava il governo cisalpino, che procras inava di continuo l'invio delle istruzioni al suo rappresentante a Genova. Ed a e insistenze del Roggiero rispondeva allegando voler prima conoscere il nsuh iato delle trattative di alleanza franco-cisalpina, già aperte a arigi. e era esatto, era parte soltanto del vero. Il rappresentante ligure a Milano aveva invece appurato che il motivo vero di quei continui rinvìi era che , Cisalpini, aspiranti ad ingrandimenti territoriali, non intendevano legarsi le man, con la Liguria mediante un trattato di alleanza, che implicilamente ne avrebbe stipulata « la isolata indipendenza ». Riconoscevano, è vero, l’impossibilita immediata di effettuare quel loro piano di espansione territoriale; ma speravano . neNa confusione delle cose attuali, nel cambiamento dei direttori francesi, in qua c e nuova crisi politica » (4). Trattative per un'alleanza ligure-cisalpina, si, ma trattare non voleva dire concludere, e le trattative non avrebbero certo allo abbandonare o modificare il piano; « tanto più con un ministro del carattere (1) Lettera del 21 febbraio 1798, del Roggiero al Corvetto, in A. S. Oen., Direttorio esecutivo, mazzo 1/177. . , , ( . (2) Lettera del Comitato delle relazioni estere al Roggiero, in Milano del 23 febbraio 1798; A. S. Qen., Registro della corrispondenza del Ministro delle relazioni estere, I^W«^18V1957.una de] porrQ a] suo govenlo della quale parla il Roggiero nel dispaccio del 2 marzo. A. S. Oen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. (4) Lettere del Roggiero del 9 e 26 febbraio 1798 al Comitato delle relazioni estere; A. S. Qen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320; e Direttorio esecutivo, L177. 501 del cittadino Porro, circondato, com’egli era, da persone che volevano agire ». « Attenzione e vigilanza! », esortava il Roggiero da Milano (1). V’era bisogno! Intensificata appena la vigilanza per fronteggiare gli eventi in seguito alla partenza da Genova dei due battaglioni francesi richiamati dal Berthier, si venne a sapere che « diversi marcati cittadini », ostili al governo ed altri che viaggiavano da Genova a Milano e a Parigi in stretta intelligenza col governo cisalpino, lavoravano attivamente a determinare nella capitale ligure e in varie località del territorio disordini che dovevano essere poi sfruttati a dimostrare la incapacità della Repubblica ligure ad una « indipendente ed isolata consistenza » e la necessità della fusione con la Cisalpina. 1 capeggiatori del moto, nella certezza del prossimo trionfo del loro piano, erano usciti dal riserbo e lavoravano alla luce del sole, cercando di profittare dell’imbarazzo in cui si trovava la Repubblica ligure all’indomani della partenza delle truppe francesi. Uno del più focosi aderenti e propagandisti del partito dell’unione, Luigi Piedi, pontremolese, stabilitosi di recente a Genova, medico della Legazione cisalpina, frequentatore assiduo « delle spezierie della città », dove quotidianamente si fucinavano notizie allarmanti, e fiero, da qualche tempo, della coccarda cisalpina che recava sul cappello, assicurava che ben presto sarebbero partiti e il Faipoult e il ministro di Svezia e il Porro, sarebbero venute truppe cisalpine, e i liguri un bel mattino si sarebbero risvegliati « trovandosi cisalpini » (2). 11 Porro, volendo con un colpo di audacia rompere gli indugi, nel circolo costituzionale fra pubblico plaudente promoveva addirittura la proclamazione della « repubblica italiana ». E’ naturale che il governo ligure se ne allarmasse. Preoccupato dell’ordine pubblico, e di quel « fermento » che poteva avere serie conseguenze internazionali, reclamò presso il generale in capo della repubblica francese, Berthier, ricordandogli che il governo francese aveva reiteratamente date assicurazioni esplicite sull’indipendenza della Liguria, sulla sua avversione a progetti e tentativi di fusione; sollecitandolo a notificare al governo e al popolo cisalpino « in modo efficace » quelle intenzioni ed « assicuranze s del governo francese; e mostrandogli la necessità che in Liguria venissero destinate nuove truppe francesi per poter far fronte a qualunque evento (3). Copia di quella lettera avviò al Roggiero con ordine di spedire apposito corriere sulle piste del (1) Lettera del Roggiero al Corvetto, da Milano, del 2 marzo 1798: A. S. Gen., Direttorio esecutivo, mazzo 2/178. (2) Arch. S. Qen., Direttorio esecutivo, mazzo 2/178, doc. del 7 marzo 1798. Un po’ più tardi, il Saliceti si espresse quasi con le stesse parole col Boccardi che si apprestava a prendere il suo posto di ministro ligure a Vienna. Cfr. Pinoaud, p. 69, n. 3. (3) Indirizzo del Ministro delle relazioni estere della Repubblica ligure Ruzza al citt. Berthier, generale in capo dell’Armata della repubblica francese in Italia, 2 marzo 1798; A. S. Gen, Registro delle lettere del Comitato delle relazioni esteriori dal 26 giugno 1797 al 14 luglio — 502 — Berthier, allora in viaggio allo scopo di allestire la difesa ai confini della Cisalpina, per consegnargliela immediatamente, con la raccomandazione di insistere sulla necessità di provvedimenti immediati. Più pressanti esortazioni al Mariani a Parigi, affinchè ottenesse dal Direttorio esplicite ed energiche dichiarazioni che assicurassero la repubblica ligure e stroncassero nettamente velleità annessioniste della Cisalpina, indagasse quanto di vero fosse nelle voci largamente diffuse, di annessione della Spezia alla Cisalpina quale terra di compenso, e vigilasse sulla condotta degli aderenti al partito dell’unione (1). il Berthier, non ostante si trovasse a corto di truppe per aver spedito undici mila uomini verso la Svizzera e quindici mila per Roma, e non avesse forza sufficiente per rispondere ai compiti vari e complessi assuntisi contemporaneamente dal Direttore francese, intuita la gravità della situazione, ordinò al generale Sauret di far partire immediatamente per Tortona un battaglione di soldati francesi, prometteva di farne partire dopo poco un secondo, a minaccia dei legislatori cisalpini dichiarava ad alta voce che avrebbe mandato a Genova duemila uomini, proclamava che aveva dal suo governo ordini di « proteggere per quanto gli era possibile il governo della Liguria », esortava il rappresentante ligure e poi direttamente il governo genovese a mostrare energia contro i sobillatori, ad arrestare quanti eccitassero torbidi « senza riguardo alcuno a qualunque coccarda che le stesse possano avere », a far richiamare i ministri degli altri stati che agissero contro le istruzioni del Direttorio francese, dirette a tutelare le integrità territoriali e la costituzione della Repubblica ligure. « Non ci vuol debolezza! », concludeva il Berthier, indaffarato in numerose faccende, licenziando il Roggiero. « Un governo che ha una costituzione deve agire con fermezza e deve difenderla con energia. ... Se siete deboli, siete perduti. Bisogna agire con vigore e con repubblicana franchezza; se avete a lagnarvi della condotta di qualche ministro estero, scrivete al Direttorio fermamente; date una nota franca e leale. . . Avete la Francia e il suo governo che vi protegge. Vi replico che son qua per proteggervi e che la Francia così vuole. Ma ve lo replico e non posso abbastanza replicarlo: ci vuole energia ». E 1798, Litterarum, vol. 181/1957, e lettera del 2-3 marzo 1798 del Governo al Roggiero. Le riproduciamo entrambe in Appendice (docc. 26 e 27). Copia è anche tra le Lettere originali del Bellevilie console generale della repubblica francese al Ministro delle relazioni estere in Genova: A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 2/2946, 3, fase, entro la lettera del 15 ventoso a. VI (5 marzo 1798). (1) A. S. Gen., Registro della corrispondenza del Ministro delle Relazioni Estere. Lettera al Mariani a Parigi, del 5 marzo 1798: A. S. Gen, Litterarum, 181/1957, disp. 221. Riproduciamo in Appendice il doc. (N. 28). — 503 — il Roggiero, comunicando al suo governo quelle parole e interpretandole come ispirate da franca lealtà e da disinteressato amore per l’indipendenza genovese, rincalzava: « Qualunque sia per essere la nostra sorte, io son persuaso che la reputazione, di cui ha goduto finora il popolo ligure, di avere un carattere energico e intollerante di giogo, possa influire moltissimo a determinare più in una maniera che nell’altra, chi può decidere di noi. Se conserviamo la medesima reputazione, possiamo sperar bene; ma se ci lasciamo toccare il polso e dimostriamo che non solo ci è possibile il difenderci dall’estero, ma neppure di reggere l’interno, io non posso non prevedere delle tristi conseguenze » (1). 11 Direttorio esecutivo non intese a sordo. Diè ordine alla commissione criminale di indagare sulle circostanze di fatto circa l’apprezzamento e le voci messe in circolazione dal medico Piedi che derivavano dal suo cliente Porro (2); organizzò la guardia nazionale, emanò rigorose disposizioni contro sobillatori e promotori di disordini, intensificò la vigilanza, procedette a qualche arresto, accreditò coi pieni poteri presso il governo della Cisalpina il Roggiero, fin allora semplice rappresentante, perchè parlasse e trattasse con maggiore autorità (3). Ma intanto impensate novità giungevano da Parigi. Il Talleyrand ed alcuni Direttori francesi avevano espresse le loro meraviglie per l’iniziativa del Berthier circa il trattato ligure-cisalpino. E la notizia, giunta rapidamente a Genova e a Milano, raffreddò ancor più il ministro cisalpino, che non aveva mai nutrito eccessive simpatie per quel trattato (4). Più allarmante l’altra notizia giunta da Parigi e diffusa con compiacenza da ex nobili genovesi emigrati, secondo la quale porzione del territorio ligure e cisalpino sarebbe ceduta al re del Piemonte in contraccambio dei paesi fra Po e Alpi, che passerebbero alla Francia: baratto nel quale quel Re avrebbe molto guadagnato, com’era da argomentare dalla gioia provata alla Corte di Torino al giungere della notizia che fruttò al corriere, latore di essa, la generosa man- (1) Lettera da Milano 5 marzo 1798 del Roggiero al Ruzza: A. S. Gen., Lettere originali del Roggiero, Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. Due giorni dopo, il Berthier teneva ad assicurare al Roggiero la protezione della Francia: « Non dubitate: tutto andrà bene: vi mando per ora tutto quello che è necessario; e in ogni evento vi proteggiamo tanto efficacemente da lontano che da vicino ». Lettera del 7 marzo del Roggiero al Ruzza. A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. Riproduciamo le due lettere del 5 e 7 marzo in Appendice, (doc. 29 e 30). (2) A. S. Gen., Direttorio esecutivo, mazzo 2/178: doc. del 7 marzo 1798. (3) Lettera del 5 marzo 1798: A. S. Gen., Registro delle lettere del Comitato delle relazioni esteriori, Litterarum, 181/1957: disp. 243. (4) Lettera del Roggiero al Ruzza del 5 marzo 1798, cit. A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. Su quel che ne pensasse il Ruzza, vedi la sua lettera del 10 marzo 1798, in A. S. Gen., Direttorio esecutivo, voi. 2/178. — 504 — cia di 18 luigi (1). Non erano purtroppo notizie fantastiche! Una lettera contemporaneamente spedita dal Visconti, ministro cisalpino a Parigi, al Porro, allora a Milano, metteva a giorno quest’ultimo di un progetto di divisione pel quale la Liguria sarebbe divenuta dai confini occidentali a Savona « proprietà » francese, da Savona a Sestri Levante verrebbe assegnata al Re di Sardegna, da Sestri a Pontremoli alla Cisalpina, e recava 1 as sicurazione di un membro influentissimo nel Direttorio, secondo la quale, di lì a pochi mesi, la Cisalpina avrebbe avuto « il primo porto del Mediterraneo ». U Roggiero che, grazie al diligentissimo servizio di informazioni, potè vedere subito quella lettera e venire a conoscenza delle notizie giunte da Parigi alla Corte di Torino, ebbe un colpo gravissimo. Era la minaccia a morte della repubblica. Col passare dei giorni, le notizie si precisarono, ma apparvero ancor più preoccupanti: non uno smembramento della Liguria, difficile, non fosse altro perchè bisognava mettere di accordo gli appetiti territoriali dei tre principali stati limitrofi, ma l’assorbimento totale di essa da parte della Cisalpina. 11 Berthier dava infatti assicurazioni al Celentani, segretario particolare del Testi ministro degli esteri cisalpino, che il Direttorio di Francia era intenzionato di incorporare alla Cisalpina il Piemonte, Genova e parte della Toscana per fare la « repubblica del Nord dell’Italia », mentre il rimanente della penisola avrebbe formata la « repubblica del sud » (2). X. Verso l'alleanza ligure-francese. Oggi non è più un mistero per nessuno che la Francia abbondava in quelle ampie promesse di annessioni territoriali per lusingare ed adescare gli stati della penisola che voleva far servire al suo gioco politico. Sappiamo che le vere intenzioni del Direttorio francese, espresse nelle istruzioni al Belleville, incaricato di affari a Genova, erano di impedire che le due repubbliche ligure e cisalpina stringessero troppo intimi legami, perchè (1) Lettere del Roggiero al Ruzza del 14 marzo 179S: A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24 2320. Le stesse notizie con leggere modificazioni, sono ripetute nella lettera del 21 marzo 1798. Le riproduciamo entrambe in Appendice, docc. 31 e 32. (2) Lettera del Roggiero al Ruzza del 24 marzo 1798: A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24 2320. La riproduciamo in Appendice (doc. 33). - 505 — non ne derivasse il desiderio dell’unione (1). Oggi sappiamo che i rap presentanti della Francia, i quali stimolavano quelle brame di ingrandimento territoriale, agivano dietro precise istruzioni del ministro Talleyrand che aveva raccomandato di far concepire, in caso di vittoria sui nemici coalizzati, « éspérances favorables à l’accomplissement de quelques unes de ces vues », ma di usare di quella tattica di affidamenti e di promesse « sobrement, et de manière à ne pas engager le Directoire et à ne point nous [il governo francese] compromettre » (2). Ma è interessante constatare che ci fu allora qualcuno, a Genova e fuori, che intese chiaramente il gioco della diplomazia francese. Per il Roggiero, non c’era dubbio che le fatte e reiterate promesse alla Cisalpina erano « l’orpello onde rendere meno schifosa l’amara pillola del trattato » di alleanza che la Francia con tutti i mezzi imponeva, e che il Consiglio cisalpino degli Anziani, pur dopo la firma dei plenipotenziari a Parigi, non intendeva ratificare (3). «Inverosimili» quelle promesse e quelle notizie sembravano poi al Direttorio genovese, che le metteva in rapporto con le « espressioni di amichevoli sentimenti e con le nuove assicurazioni del Berthier in nome della Repubblica francese, che davan luogo a concepire grandi speranze (4), con le proteste da lui fatte contro gli intrighi dei Cisalpini a Lucca, nei Baliaggi italiani della Svizzera, a Genova, con la minaccia di inviare una mezza brigata a protezione del governo lucchese (5). Pel Direttorio genovese, quelle notizie erano un cumulo di invenzioni per procurare seguaci alla tesi dell’unione, per lusingare i cisalpini, o anche espediente per trovar denaro, di cui sembrava che la Francia avesse inestinguibile sete. (Non aveva forse il Berthier dichiarato a Genova che se i Liguri non fossero « in caso di compiacerlo, si vedrebbe costretto a secondare le mire dell’unione, in premio dei sussidi che poteva avere dal governo Cisalpino? » (6). E non aveva lo stesso Berthier, appena 48 ore dopo il prestito forzoso generale della Cisalpina, imposto un altro prestito di un milione settecento ottanta due mila cinquecento tornesi, (1) Quanto affermiamo nel testo risulta p. es. dalle Notes et correspondances du Baron Redon de Belleville consul à Livourne et à Gênes, par H. De Chanoy, Paris, 1892, t. Il, p. 7, doc. CCI. (2) Notes et correspondances du Baron Redon de Belleville, cit., t. II, p. 51, lettera del 24 brumaio (14 novembre 1798), doc. CCXXXV. (3) Lettera del 24 marzo 1798: A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320, La riproduciamo in Appendice, doc. 33. (4) Lettera del Ruzza, a nome del Direttorio esecutivo, al Roggiero, del 17 marzo 1798. A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320 (entro la lettera del Roggiero al Ruzza, da Milano, del 14 marzo 1798). (5) Lettere del Roggiero al Ruzza del 24 e 25 marzo: A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. Riproduciamo in Appendice (doc. 34) la lettera del 25 marzo. (6) Lettera del Roggiero al Ruzza, del 25 marzo 1798, cit. V — 506 — obbligando i privati a pagare determinate somme in cambiali tirate sopra altrettante obbligazioni della Cisalpina sulla Repubblica francese?). Comunque, uno o molteplice il motivo ispiratore della politica francese, il Direttorio ligure intendeva chiaramente che, nel rapido mutare di eventi e con la minaccia del partito dell’unione e della Cisalpina da un lato, dell’Inghilterra, delle altre Potenze coalizzate e gli appetiti territoriali del Piemonte dall’altro, e coi fuochi della rivolta tenuti accesi da rappresentanti del regime oligarchico e da nobili dell’ex governo provvisorio, era ben pericoloso perdurare nella politica dell’isolamento. Era facile prevedere che, nonostante l’ostinata, eroica resistenza, il trattato di alleanza tra la Francia e la Cisalpina alla fine sarebbe stato firmato; era noto ormai che un altro trattato regolava i rapporti fra la Corte di Torino e la Francia: quello assicurava alla Cisalpina, fra l’altro, garanzia di bandiera dalle Potenze barbaresche; questo prometteva ampliamenti territoriali a danno della Liguria (1). Insomma i due stati limitrofi, di buona o malavoglia, avevano risoluto o si avviavano a risolvere il problema delle alleanze. 11 Direttorio genovese invece aveva intavolato trattative per un’alleanza con la Cisalpina; ma quando sperava concluderle, veniva a conoscere che questa non poteva assumere impegni senza preventiva esplicita autorizzazione della Francia (2). Aveva sperato di realizzare l’unità territoriale ad occidente a spese del Re sardo; ed invece « la Corte di Torino era confermata nella fiducia non solo di poter sussistere, ma ancora di avere ingrandimento sopra una parte del territorio ligure », e il partito piemontese che lavorava a Parigi in questo senso sembrava che non avesse che da vincere l'unico, debole ostacolo, derivante dal progetto di dividere tutta la penisola in tre sole repubbliche (3). Che fare ? 11 Ruzza affermava che « i Liguri saprebbero morire tutti, piuttosto che sottomettersi ad un giogo infame e da tanti secoli aborrito » (4). Ma non era forse miglior consiglio e del supremo interesse dello Stato uscire dall’isolamento diplomatico, fra tante insidie, e nel quasi generale orientamento, volontario o forzoso, della penisola italiana verso la Francia? Meglio vincere tutte le perplessità circa la questione della precedenza del trattato (1) Lettera del Ministro degli Esteri al Boccardo a Rastadt, del 31 marzo 1798: e Lettera del Direttorio esecutivo al Lupi, a Parigi, del 2 aprile 1798; A. S. Gen., Registro della corrispondenza del Ministro delle relazioni estere, Litterarum, 181/1957, disp. 290 e 294. (2) Lettera del Roggiero al Ruzza, da Milano, 21 marzo 1798; A. S. Gen., Lettere del Roggiero al Comitato delle relazioni estere a Genova, Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. Lettere del Ruzza al Boccardo, ministro a Rastadt del 31 marzo 1798; ibid. Registro delle lettere del Comitato delle relazioni esteriori, Litterarum, 181/1957. (3) Lettere del Ruzza al Lupi, a Parigi, del 2 aprile 1798; A. S. Gen., Registro delle lettere del Ministro delle relazioni esteriori: Litterarum, 181/1957, disp. 294. (4) Lettera del Ruzza al Roggiero 17 marzo 1798, cit. — 507 — con la Francia; meglio guadagnare il tempo perduto rinsaldando i vincoli di amicizia con la potente repubblica che era arbitra dei destini d’Italia e di gran parte dell’Europa centrale. Giacché il rimaneggiamento politico della nostra penisola era inevitabile, era meglio, come scriveva il Roggiero al Ruzza, che avvenisse d’accordo con la Repubblica ligure, anziché col Re sardo (1). Questi appunto i motivi che suggerirono al Direttorio genovese di abbandonare definitivamente le trattative liguri-cisalpine e di riprendere quelle per un’alleanza con la Francia. La missione a Parigi del ministro plenipotenziario Luigi Lupi (2) segnò appunto la ripresa di quel nuovo, più deciso orientamento che doveva presto sboccare in una stretta comune azione politica e militare della Repubblica Ligure con la vicina nazione d’Oltralpe. (1) Lettera del 28 marzo 1798: A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. (2) La missione del Lupi a Parigi è del 21 marzo 1798. Le istruzioni, in pari data sono in Colucci, III, 444-448. APPENDICE I. — Lettera del Testi, Ministro degli Esteri della Cisalpina, ai Cittadini componenti il Governo provvisorio di Genova, del 30 messidoro a. V (T.8 luglio 1797). A. 5. Gen., Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. 7. IL — Lettera del Governo provvisorio della Repubblica ligure ai Cittadini componenti il Direttorio della Repubblica Cisalpina, del 25 luglio 1797. A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. 7. III. — Lettera del Cav. Damiano di Priocca, Primo Segretario di Stato del Re di Sardegna per gli affari esteri, al Citt. Lupi, membro del Comitato delle Relazioni estere della Repubblica ligure, del 1« agosto 1797. - A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. 3. IV. - Lettera del Testi, Ministro degli Esteri della Cisalpina, al Governo provvisorio di Genova, del 24 fruttidoro a. V (10 settembre 1797). — A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. 7. V. — Lettera del Ministro degli Esteri al Governo provvisorio della Repubblica di Genova, del 29 fruttidoro a. V (15 settembre 1797). - A. S. Gen., Governo provvisorio. mazzo 1/2945, fase. 7. VI. — Lettera del Testi, Ministro degli affari Esteri della Cisalpina, al Governo prov-visorio ligure, 14 brumaio (4 novembre 1797). - A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 1/2945, fase. 7. VII. — Istruzioni del Direttorio della Repubblica Cisalpina, al cittadino Gaetano Porro, Inviato straordinario e Ministro presso il Governo provvisorio della Repubblica ligure, dell’8 frimale a. VI (28 novembre 1797). — Arch. di Stato di Milano, Ministero Esteri, cart. 273. Vili. — Lettera del Testi, Ministro degli Esteri della Cisalpina, al Citt. Porro, del 20 frimale a. VI (10 dicembre 1797). — Arch. di Stato di Milano, Ministero Esteri, cart. 273. IX, _ Lettera del Testi, Ministro degli Esteri delia Repubblica Cisalpina, al cittadino Porro, del 23 frimale a. VI (13 dicembre 1797). — Arch. Stato di Milano, Ministero Esteri, cart. 273. — 510 — X. — Lettera del Testi. Ministro degli Affari esteri della Cisalpina, al citt. Porro, del 30 frimale a. VI (20 dicembre 1797). — Arch. di Stato di Milano, Ministero Esteri, cart. 273. XI. — Dispaccio Testi, del Ministro delle relazioni estere della Cisalpina al citt. Porro, del 7 nevoso a. VI (27 dicembre 1797). — Arch. Stato di Milano, Ministero Esteri, cart. 273. XII. — Lettera del Comitato delle relazioni estere della Repubblica ligure al Bertuccioni, Deputato della Repubblica ligure a Parigi, del 3 gennaio 1798. — A. S. Gen., Litterarum, vol. 181/1957. XIII. — Lettera del Ministro delle Relazioni Estere della Repubblica ligure al citt. Bertuccioni, Deputato presso la Repubblica francese, a Parigi, del 27 gennaio 1798. — A. S. Gen., Litterarum, vol. 181/1957. XIV. — Lettera del Roggiero, Ministro plenipotenziario a Milano, al Comitato delle Relazioni Estere, del 30 gennaio 1798. — A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. XV. — Lettera del Direttorio esecutivo della Repubblica ligure al Bertuccioni a Parigi, del lu febr. 1798. — A. S. Gei).. Litterarum, vol. 181/1957. XVI. — Lettera del Faipoult, Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario della Repubblica francese presso quella di Genova, al Comitato delle relazioni estere di Genova, del 15 pluvioso a. VI (3 febbraio 1798). — A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 2/2946, fase. 1. XVJI. — Documenti circa le trattative per l’alleanza tra la Repubblica ligure e la Cisalpina. Genova 6 febbraio - 8 marzo 1798.— A. S. Gen., Governo provvisorio, mazzo 2/2946, fase. I (pratica del 15 pluvioso). XVIII. — Lettera del Roggiero al Comitato delle relazioni estere della Repubblica di Genova, del 9 febbraio 1798. — A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. XIX. — Lettera del Roggiero, Ministro plenipotenziario della Repubblica ligure presso la Cisalpina, al Comitato delle relazioni estere in Genova, del 15 febbraio 1798. — A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. XX. — Lettera del citt. Gaetano Porro, Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario della Rep. Cisalpina presso la ligure al Visconti, Ministro plenipotenziario presso la Rep. francese, da Genova, 29 piovoso a. VI (17 febbraio 1798). — Arch. St. Milano, Arch. Marescalchi, cart. 47, fase. 14. XXI. — Lettera del Roggiero da Milano, al Citt. Corvetto presidente del Direttorio esecutivo della Repubblica ligure, del 21 febbraio 1798. — A. S. Gen., Direttorio esecutivo, mazzo 1/177. XXII. — Lettera del Roggiero al Comitato relazioni estere, del 24 febbraio 1798. — A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. XXIII. — Lettera del Roggiero, ministro plenipotenziario della Repubblica ligure presso la Cisalpina, al citt. Corvetto, presidente del Direttorio esecutivo, del 26 febbraio 1798. — A. S. Gen., Direttorio esecutivo, mazzo 1/177. XXIV. — Lettera del Roggiero [come sopra] al Ruzza, ministro delle Relazioni estere della Rep. ligure, da Milano, del 2 marzo 1798. — A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2320. XXV. — Lettera del Roggiero [come sopra] al Corvetto, presidente del Direttorio esecutivo, da Milano, del 2 marzo 1798. — A. S. Gen., Direttorio esecutivo, mazzo 2/178. — 511 — XXVI. Lettera del Ruzza al Roggiero del 2-3 marzo 1798. — A. S. Gen., Litterarum. vol. 181/1957. XXVII. Indirizzo del Ministro delle relazioni estere della Repubblica Ligure, Ruzza, al citt. Berthier, Generale in capo dell’armata della Repubblica Francese in [talia. del 2 marzo 1798. — A. S. Gen., Litterarum, vol. 181/1957. XXVIII. Lettera del Ministro delle relazioni estere della Repubblica ligure al citt. Mariani, incaricato di affari della Repubblica a Parigi, del 5 marzo 1798. — A. S. Gen., Litterarum, vol. 181/1957 XXIX. Lettera del Roggiero al citt. Ruzza, del 5 marzo 1798. — A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/3320. XXX. Altra lettera come sopra, del 7 marzo 1798; ibidem. XXXI. Lettera del Roggiero al Citt. Ruzza, del 14 marzo 1798. — A. S. Gen., Lettere Ministri Milano, mazzo 24/2820. XXXII. Lettera come sopra, del 21 marzo 1798; ibidem. XXXIII. Lettera come sopra, del 24 marzo 1798; ibidem. XXXIV. Lettera come sopra, del 25 marzo 1798; ibidem. - . . 30 Messidoro anno V (18 luglio 1797). Ai Cittadini Componenti il Governo Provvisorio di Genova. Cittadini, Con quella gioia, che può solo sentirsi da un cuore acceso di sacro amore di libertà, io compio verso di voi a questo dovere del mio Ufficio, partecipandovi in nome del Direttorio Esecutivo 1 esistenza alla Repubblica Cisalpina, e la sua, proclamata libertà nel giorno memorabile del 21 Mietitore. L’invitta Nazione Francese, con una generosità della quale non sono capaci, che le anime libere, à usato del diritto di sua conquista in un modo ignoto sin ora nell’istoria del Genere Umano, e dando alla Nazione Cisalpina una Costituzione democratica ha eretto un monumento di gloria a se medesima, e di felicità a questi Popoli, che nou perirà giammai nella memoria degli Uomini. Possa il genio antico di questa bella parte d’Europa risvegliarsi fra noi, e ricondurre l’età fortunata dei Scipioni, e dei Fabi. Possa la fortuna d’Italia coronare cosi fausti principi, e riconducendo gli Uomini al naturale esercizio de: loro diritti erigere fra di essi 1 impero delle leggi e della virtù, il solo legittimo nella civile società. La Repubblica Cisalpina avrà per il più caro dei suoi doveri, quello di conservare un’amica corrispondenza coi Popoli liberi dell’Italia, ed in particolare con il Governo provvisorio di Genova, ripromettendosi dalla di lui lealtà il corrispondente ritorno. Nell’esprimervi i sinceri sentimenti del Governo Cisalpino, permettetemi, Cittadini, di unirvi anche quelli di sincera stima e considerazione, che vi professo. Salute e Fratellanza. Il Ministro degli Affari Esteri Testi (*) Nella pubblicazione dei documenti lasciamo la grafia originaria. Sciogliamo le poche abbreviazioni indispensabili alPintelligenza del testo, 33 — 514 — 2. Il Governo Provvisorio della Repubblica Ligure ai Cittadini componenti il Diiettorio della Repubblica Cisalpina. Cittadini, La lettera che ci ha scritta in vostro nome cotesto Ministro degli Affari Esteri il Cittadino Testi ha accellerato l’esecuzione delle precedenti nostre disposizioni di accreditare un Cittadino Ligure appresso di voi ad oggetto di felicitare cotesta Repubblica Cisalpina circa la sua installazione occorsa il giorno 21 Mietitore dello scorso 9 luglio. Per esseguire l’indicata commissione è stato da noi elletto il Cittadino Girolamo Serra già costì dimorante in qualità di nostro Deputato presso il Generale in Capo dell’Armata Francese in Italia Bonaparte. Egli è incaricato d’esprimer vi la sensazione profonda che ha eccitata nella intera Nazione Ligure la fausta nuova della esistenza della Rep.ca Cisalpina, ed i sentimenti invariabili di amicizia, e di attaccamento, che uniranno con un vincolo indissolubile due Nazioni che avendo riacquistato quasi contemporaneamente l’esercizio della loro inalienabile sovranità sono naturalmente alleate per coltivare, e per diffendere di concerto i comuni loro interessi, e diritti. Siete in conseguenza pregati, Cittadini Direttori, di accogliere favorevolmente il predetto Cittadino Girolamo Serra, e di prestar piena fede a tutto quello che sarà per dirvi a nome nostro, e della Repubblica Ligure circa l’oggetto sopraindicato. * Salute e Fratellanza. Genova, dal Palazzo Nazionale, li 25 luglio 1797. 3. 1 Agosto 1797. Il Cav.re Damiano di Priocca, Primo Segretario di Stato di S. M. il Re di Sardegna per gli affari esteri, al Cittadino Lupi, Membro del Comitato delle Relazioni estere della Repubblica ligure. Signore, La Maestà del Re mio Sovrano, che ha preso tuttora intima parte alla felicità della Nazione Genovese, minore non ne prende certamente a quella, ch’essa si propone del cambiamento del suo Governo. Come inalterabili sono i suoi sentimenti verso la Repubblica di Genova, inalterabile è pure la sua amicizia per lei, qualunque sia la forma di Governo da lei adottata. Grata quindi la M. S. alla cortese partecipazione, che e nelle credenziali del nuovo Incaricato d’affari Cittadino Massucone, e per bocca di questi le fu fatta di questo cambiamento, ha fatto conoscere nell’udienza data allo stesso Incaricato d’affari, ed a me ordinato, di significare a lei, che eguale a quella della Repubblica Genovese è la sua costante premura di ben vicinare con lei, e di stringere viemmaggiormente quelFamicizia, che si compiace di vedere da lei pure desiderata. Così in questi salutevoli oggetti d’entrambi i Governi, sarà graditissimo il soggiorno a questa Reai Corte del nuovo Incaricato d’affari, com’è persuasa la M.tà del Re, — 515 cie j,ia ito pur riuscirà al Governo Provvisorio di Genova quello del suo Consigliere os^i ncaticato de suoi affari presso di lui, il quale ha ordine di coltivare senza interruzione presso il Comitato delle Relazioni Estere le migliori relazioni fra i due Stati, e s rin0ere ra essi la più sincera armonia. Prego pertanto la di lei persona di farlo riconoscere in taie qualità presso il Governo Provvisorio, e presso cotesto Comitato e e reazioni Estere, onde a lui pure sia data piena fede, semprechè spiegherà spe-cia mente li sensi di perfettissima stima, e benevolenza di S. M. verso cotesta Repubblica. Ho 1 onore intanto di raffermarmi colla più distinta considerazione. Torino, il primo Agosto 1797. Divot.mo Obblig.mo Servitore Damiano 4. Milano, 24 Fruttidoro a. V (10 sett. 1797). Testi, Ministro degli affari Esteri della Repubblica Cisalpina, al Governo Provvisorio della Repubblica Ligure. Cittadini, D ordine del Direttorio Esecutivo, mi affretto di prevenirvi, Cittadini, che sulla notizia qui giunta che siano cosi insorte delle turbolenze, esso Direttorio in prova del suo interessamento per la tranquillità di cotesti abitanti è disposto di far marciare un soccorso di Guardie Nazionali nel caso che codesto Governo credesse di averne bisogno. Attenderò quindi che abbiate la compiacenza di abilitarmi ed informare il Direttorio del vero stato in cui si trovano costi le cose, e se vi occorre qualche soccorso di gente onde possa darsi tutta la premura di spedir velo in quel modo, tempo, e luogo che sarete per indicarmi. Salute e Fratellanza. C. Testi 5. Milano, 29 Fruttidoro V (15 settembre 1797). Testi, Ministro degli affari Esteri della Repubblica Cisalpina, al Governo Provvisorio della Repubblica Ligure. Cittadini, Mi fo un dovere di raccomandarvi la persona del cittadino Pipiu Capitano della Legione Lombarda, e Commissionato della nostra Repubblica pel reclutamento, che si porta presso di voi per implorare la restituzione di molte reclute ch’egli conduc«va da Nizza a Milano, e che in N. di 53 hanno disertato in Savona passando al servizio della vostra Repubblica. So bene, cittadini, che per mancanza d’espressa convenzione non ha la Repubblica Cisalpina il diritto di reclamare contro un tal atto, ma non è men vero però, che attesa la buona intelligenza che passar deve fra le due Repubbliche, e l’identità degli interessi non è senza fondamento la speranza ch’io nutro che vogliate avere in quest’affare dei riguardi che ponno diventare utili anche a voi stessi, mettendovi in diritto di esigere dalla nostra repubblica un eguale trattamento in casi consimili. 516 — Credo ancora necessario di osservarvi, che le reclute in questione non debbano considerarsi, che come una proprietà individuale del mentovato cittadino, giacché le accennate reclute sono state raccolte, vestite, e mantenute a tutto suo carico da più di due mesi. . Voglio lusingarmi, Cittadini, che prendendo in considerazione tali riflessi, non ricuserete di apprezzar le ragioni che vi saranno verbalmente esposte con documenti autentici in comprova di quanto si asserisce dal cittadino Pipiu proprietario delle reclute medesime che sarà il presentatore di questa; e spero nella generosità repubblicana che vi distingue che vorrete farlo partire contento di voi, onorando colla vostra bontà la mia debole interposizione. Attenderò con piacere una qualche risposta, onde parteciparla prontamente al mio collega Ministro della Guerra, dal quale mi viene positivamente raccomandato un tale affare a cui ancora incombe più da vicino il conoscerne il risultato. Profitto ben volentieri d’una tale occasione per rinnovarvi i sinceri sentimenti della mia stima e considerazione. Salute e Fratellanza. Testi 6. 14 Brumaio a. VI (4 novembre 1797). Testi, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Cisalpina, al Governo Provvisorio della Repubblica Ligure. Cittadini, L’esecuzione da voi accordata agli abitanti di Fosdinovo della tassa del 50 per 0/® su i beni da’ medesimi posseduti in cotesti Stati, è certamente una prova, che voi avete voluto dare della vostra amicizia per la Repubblica Cisalpina. Fondato su questo, il ' Direttorio mi commette di pregarvi in suo nome a voler estendere tale esenzione a tutti gli altri Cittadini dell’Alpi Apuane, che possedono nel Ligure territorio, e darne quindi le opportune vostre disposizioni al bramato effetto. Và persuaso questo Governo, che vi compiacerete di aggiungere con ciò un nuovo titolo alla di lui gratitudine, mentre io nel mio particolare vi rinnovo le proteste della mia considerazione. Testi 7. Libertà Eguaglianza. Milano, 8 Frimale a. VI Rep. (28 novembre 1797). Il Cittadino Gaetano Porro, nominato dal Direttorio Inviato Straordinario, e Ministro presso il Governo Provvisorio della Repubblica Ligure, si conformerà alle seguenti Istruzioni. 1. Partirà al più presto possibile per la sua destinazione. Procurerà subito arrivato darne parte a quel Governo per mezzo del Comitato incaricato delle relazioni Esteriori, cui rimetterà la copia conforme delle sue Credenziali, colla domanda 517 - di essere formalmente ricevuto, e riconosciuto nel grado, che dal Direttorio gli viene assegnato. 2. Spiegherà carattere d'inviato straordinario a tenore delle sue credenziali onde complimentare quella Repubblica per la sua riconosciuta indipendenza; terminato il qual’atto resterà come semplice Ministro. 3. Adoprerà tutti li mezzi necessari, onde mantenere la buona intelligenza che esiste fra le due Nazioni, e procurerà in ogni occasione di vantaggiare gl’interessi della nostra nascente Repubblica. Si farà un dovere a tal effetto tosto che sia arrivato di mettersi al fatto, con cautela però, e prudenza, nelle disposizioni in cui trovansi il Governo, e gli abitanti di quel Paese sul proposito della Repubblica Cisalpina e sull’unione della medesima, e farà indi passare al Governo una memoria dettagliata col suo parere a fine che se non abbia luogo la desiderata unione si possa almeno formare un trattato di confederazione. 4. Anderà per quanto però gli sarà possibile d’intelligenza col Ministro della Repubblica Francese. Sarà perciò tenuto prima di vedere altre persone Diplomatiche partarsi da questi, e chiedergli la sua assistenza in nome del Direttorio. 5. Tostocchè sia stato ricevuto lo parteciperà qui al Governo col canale del Ministro degli Affari Esteri, e ne darà notizia agli altri Agenti, e Ministri diplomatici della nostra Repubblica, con i quali entrerà in corrispondenza periodica, onde comunicarsi reciprocamente le notizie delle Corti, e de’ Paesi presso de’ quali rispettivamente resiedono, e per gli altri oggetti che riguardar possono la loro carica. 6. Spierà accortamente la condotta del Ministro della Casa d’Austria e dell’Inghilterra, come altresi del Console, e dell’Agente della Corte di Napoli, onde essere al fatto di quanti passi potranno darsi dai medesimi. Veglierà incessantemente per couoscere le segrete trame, i rapporti, e le corrispondenze degli Emigrati tanto Francesi che Cisalpini. 7. Non mancherà di procacciarsi delle corrispondenze negli altri Paesi delle due riviere, e sopratutto negli altri Porti del Mediterraneo per sapere ancora le relazioni dei nostri nemici. 8. Non si mescolerà in alcun partito, nè in privato, nè in pubblico; sarà anzi suo dovere di mostrare uu eguale contegno con tutti, e non prenderà parte alcuna negli oggetti riguardanti il Governo interno del Paese. 9. Si procurerà altresi l’amicizia particolare delle Persone, che sono nelle Cariche influenti, e nel Governo, con delicatezza però, e prudenza, e prenderà delle misure onde conoscere da vicino i segretarj, e confidenti degli altri Agenti delle Corti Estere per mettersi al fatto col di loro mezzo di quanto si passa non solo in Genova, ma ancora presso gli altri Governi d’Europa. 10. Quantunque debba Egli vedere tutti gli Agenti, e Ministri Diplomatici delle Potenze amiche della nostra Repubblica che colà ritrovansi, è un suo dovere indispensabile però di trattare particolarmente i Ministri de’ Governi Democratici, e deve accortamente evitare le sorprese di quelli de’ Monarchi, e specialmente Vienna, Inghilterra, Napoli, e Roma. Ogni atto d’affettata amicizia o confidenza coll’Agente dei mentovati Governi, potrebbe renderlo sospetto all’occhio dei Concittadini, e del Direttorio. 11. Il primo dovere d’un Diplomatico è quello di rendere scrupolosamente informato il Governo da cui dipende di tutto quello che possa avergli rapporto sia lontano, sia vicino su tutto ciò che concerne gl’intrighi delle Corti straniere, e dei loro Agenti. — 518 — S’assicurà quindi di tutti i mezzi possibili per esserne con esattezza istruito, non lascerà niente intentato. L’amicizia, il patriottismo, lo spionaggio sono le vie di cqì bisociia servirsi per arrivare all’intento. Colla stessa esattezza deve tenere qui riscontrato il Governo pel canale del Ministro degli Affari Esteri. Il menomo ritardo, o la menoma negligenza relativamente a questo articolo sara riguardato come una mancanza. È autorizzato a tal fine a fare delle spese segrete, purché queste non montino a gran somma, e quando lo crederà necessario, ed indispensabile, e che gli saranno rimborsate in vista della sua nota giustificativa. Nasconderà al contrario la sua condotta politica agli occhi di tutti. La segretezza e la destrezza debbono essere i principali caratteri d’un Diplomatico. Custodirà iridi colla più grande cautela le sue carte, non accorderà la sua confidenza a persona alcuna, e si guarderà specialmente de’ famigliari. 12. Trasmetterà per copia conforme tutta la sua corrispondenza officiale, e diplomatica, che avrà con quel Governo. Prenderà de’ mezzi, onde assicurare il recapito de’ suoi Dispacci al ministero degli Affari Esteri, e ne’ casi di particolare, ed assoluta urgenza spedirà de’ Corrieri straordinari. 18. Veglierà incessantemente, e non permetterà che il decoro della nostra Repubblica sia per ombra attaccato ne’ discorsi, o negli scritti tanto per parte del Governo, quanto de’ particolari. 14. Si farà un dovere di intervenire a tutte le feste, che si daranno da quel Governo, e da quelle che verranno celebrate dal Ministro Francese, e dagli Agenti delle Potenze libere. La sola covenienza io regolerà ne gli altri inviti, chi si faranno dagli Inviati de’ Monarchi. Non trascurerà egualmente di festeggiare con pubblici segni le feste particolari della nostra Repubblica. 15. Farà tutto il suo possibile per evitare in sua casa la frequenza delle Persone, che sono pubblicamente conosciute per essere state troppo attaccate alla coaliz-zazione, o ad uno dei partiti. 16. Riconoscerà, ed accorderà la sua assistenza, e protezione pubblica, e privata ad ogni Cittadino Cisalpino, che reclamasse il suo ajuto. E’ del suo preciso dovere di far rispettare il Nome Cisalpino, e sarà tenuto di domandare formale riparazione ogni qualvolta gli consterà che uno di questi abbia ricevuto de’ torti, o saprà che sia stata insultata la coccarda Nazionale. Negherà poi la sua assistenza a chi non porta la Coccarda Nazionale, e che non si faccia da lui preventivamente riconoscere come Cisalpino. Sarà dunque tenuto a tal uopo di comunicare il suo arrivo a tutti li Cisalpini, e protesterà loro una tale determinazione in nome del nostro Governo. 17. Spedirà de’ Passaporti ai Cittadini Cisalpini, e ne rimetterà notizia al Ministro degli Affari Esteri. Non mancherà altresì di dare avviso di tutte le Persone estere che da colà si porteranno ne’ nostri Stati, specialmente se saranno rivestite di qualche carattere, o se gli siano sospette per altri titoli, e se per le loro aderenze, o opinioni. Prenderà nota di qualunque Cisalpino si porterà in Genova, e ne parteciperà qui l’arrivo. Farà spiare la condotta di quei che crederà sospetti, e specialmente de’ varj Emigrati della nostra Repubblica, che colà si trovano. Tutti gli Italiani, il di cui attaccamento per la nostra Repubblica sia conosciuto, debbono meritare dei riguardi e de’ segni d’amicizia dal Ministro della Repubblica Cisalpina. 18. Le sole lettere segnate dal Ministro degli Affari Esteri, o dal Direttorio munite del corrispondente sigillo saranno da lui riguardate come ufficiali, e ad esse — 519 — solamente sarà tenuto di conformarsi. Trasmetterà con esattezza le gazzette, che colà sortono, come altresì le Leggi, e gli Editti i più classici, che saranno emanati da quel Governo. 19. Occorrendo che debba assentarsi per malattia, o per altri oggetti, sarà obbligato di darne prontamente parte qui al Governo acciò si possa da questi spedire i necessari poteri ad altra persona, che crederà a proposito, con avvertenza, che qualora trattisi di assentarsi pei suddivisati oggetti, debba preventivamente riportarne la licenza dal Governo Cisalpino. Il Direttorio Esecutivo confida ne’ talenti, e nella probità del suo Ministro, perchè il nome Repubblicano venga al medesimo tempo amato, rispettato, e vantaggiati gl’interessi della comune Patria. Alessandri 8. Libertà Eguaglianza. In nome della Repubblica Cisalpina. Milano, 20 Frimale a. VI Rep. (10 dicembre 1797). Testi, Ministro degli Affari Esteri, al Cittadino Porro, Inviato straordinario, e Ministro Plenipotenziario presso la Repubblica Ligure Cittadino Inviato, e Ministro Plenipotenziario. [Omissis] Non posso nel corrente ordinario scrivervi cosa di positivo sull’affare di Lucca giacché il Direttorio istesso, vedendo l’importanza dell’oggetto, e nella ferma risoluzione d’occuparsene seriamente, [deciderà] all’orchè gli siano pervenuti degli schiarimenti più positivi che aspetta. Voi intanto potrete rispondere a codesto Governo, ed agli individui, che potranno parlarvi d’una tal cosa con termini generali, e vaghi, assicurandoli però, che il Direttorio Cisalpino vedrà sempre con piacere la rigenerazione di qualunque paese d’Italia, e l’estensione dei principi] della libertà. . Mi commette il Direttorio di comunicarvi, che prendendo in considerazione i vostri servizij, e la nomina di Ministro presso codesta Repubblica, condiscende ben volentieri a lasciarvi gli abiti, e le uniformi che già v’erano stati pagati come Ministro di Polizia; ma che non può però derogare alla massima già fissata per rapporto alla carozza, e cavalli. Potrete dunque su tal proposito scrivere al cittadino Maspoli incaricato dal Direttorio e prendere col medesimo i necessari concerti. V’accorda però il Direttorio medesimo altre L. 6000 a titolo d’indennizi e per le prime spese, e che vi faro tenere per la prima occasione. Comunicherete verbalmente a codesto Governo, che il Cavaliere Azara mi partecipa officialmente che la Corte di Spagna non solo ha riconosciuta la nostra Repubblica, ma che ha nominato per Ministro in Milano il Sig. Don Nicola Blasco d’Orozio, già Ministro in Amburgo. Il Direttorio trova ragionevole quanto voi riferite sul particolare della fran-chiggia della Bandiera Cisalpina, e non mancherà di dare i passi necessari presso il Governo Francese. Le barche di Massa, di cui mi parlate, ed in generale tutte quelle che avranno bandiera Cisalpina dovranno meritare la vostra protezione, ed assistenza, dovendo prestarvi per ora interinalmente anche alle funzioni di Console a riguardo delle medesime. [Omissis] Testi 9. Libertà Eguaglianza. In nome della Repubblica Cisalpina. Milano. 18 Frimale a. VI Rep. (13 dicembre 1797). Testi, Ministro degli Affari Esteri, al Cittadino Porro, Ministro plenipotenziario presso la Repubblica ligure. [Omissis] Passando all’argomento importante di Lucca, il Direttorio Esecutivo a cui l'ho sottoposto, mi commette di dirvi, che la Repubblica Cisalpina, la quale non può forse al momento occuparsi di quest’impresa, vedrà però con gran piacere dilatarsi la Libertà in Italia, e il Popolo Lucchese scuotere il giogo dei suoi tiranni costituendosi in Governo Democratico, e il Direttorio non potrà mai soffrire che il Gran Duca di Toscana s’armi per diffendere gli aristocratici Lucchesi o per qualunque altro pretesto. Le nostre Truppe che da una parte confinano colla Toscana dopo l’occupazione di S. Leo, e dall’altra a Massa ove vanno a radunarsi per diffendere quella spiaggia potranno facilmente tenere in soggezione quel piccolo Re. Voi parteciperete al Governo Ligure questi sentimenti del Direttorio soltanto verbalmente, e non già con nota ufficiale. A prima occasione sicura potrò darvi ulteriori schiarimenti. Rapporto alla Lega offensiva, e diffensiva di cui mi ha parlato il Cittadino Assareto credo che ne sia per lo meno precoce la trattativa nelle presenti circostanze. Il Congresso di Rastadt potrebbe svilupparne delle più favorevoli ai nostri reciproci interessi, e l’unione sarebbe assai preferibile a una confederazione. Ciononostante, voi potrete, come avvisate benissimo intender le loro proposizioni, indi domandar tempo per consultare il Governo. Rapporto alla comunicazione dei passaporti che concedete a quelli, che vogliono entrare nella Repubblica basterà, che me ne indichiate con ogni ordinario i nomi. Ciò serve soltanto per tenermi informato di quelli che entrano, massime se sono forestieri. L Ambasciatore di Francia a Roma mi ha spedito una staffetta con una nota di quel Governo contro 1 occupazione di S. Leo da Bonaparte, si mostra sorpreso di tal fatto dopo chè Roma ci ha riconosciuti. Io vado a rispondergli, che S. Leo è geograficamente compreso nella Legazione di Ravenna, benché i Papi lo avessero mentalmente aggregato al Ducato di Urbino, che la Legazione di Ravenna, essendo stata ceduta alla Repubblica Cisalpina doveva questa impossessarsi di S. Leo che ne è da ogni banda circondato. Vedremo cosa dirà il Sig. Ambasciatore. Vi mando i soliti giornali, e vi dico Salute e Fratellanza. rrr__r — 521 — io. Libertà Eguaglianza. In nome della Repubblica Cisalpina. « Milano, 30 Frimale a. VI Rep. (20 dicembre 1797). Testi, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Cisalpina, al cittadino Porro, Inviato Straordinario, e Ministro Plenipotenziario presso la Repubblica Ligure. Cittadino Inviato, e Ministro, Ricevo i vostri due dispacci in data 27 corr., uno de’ quali m’è stato rimesso dalla Cittadina vostra Moglie, cui mi farò sempre una premura di far esattamente tenere le vostre lettere. Vi ringrazio delle notizie, e degli schiarimenti, che mi date sulla situazione politica di codesti abitanti, e del Governo, e v’invito sempreppiù ad agire onde rendervi col vostro zelo, e con i vostri talenti, utile alla causa della libertà, e della rigenerazione Italiana. Travagliate pure con prudenza, destrezza, e calore, e siate persuaso, che la vostra condotta lungi dall’essere disapprovata, vi continuerà a meritare la giusta stima del Governo, e de’ Concittadini. Vi raccomando soltanto, Cittadino Ministro, di non comparire mai in nessun Club, nè di prendere parte attiva nelle loro determinazioni, e ne’ passi, che saranno questi per dare, affine di non somministrare de’ pretesti a chi forse col tempo potrebbe gettare dell'odio sulla vostra persona, malignandone le intenzioni, e fare de’ torti alla purità delle mire e de' desi-derj della sana parte del nostro Governo, e della Nazione. In una delle vostre passate lettere, mi dite, che codesto Comitato delle relazioni Estere v'avea fatto sentire, che non avrebbe tardato a spedire i nuovi Poteri, e le convenienti Patenti al Console Ligure, residente in Ferrara pel porto di Goro. Fin qui non mi è niente ancora pervenuto, e v’incarico a nome del Direttorio a replicarne le istanze per la pronta spedizione, giacché si è ordinato all’Amministrazione del basso Po di sospendere il Decreto, col quale veniva ingiunto a quel Console d’abbassarne le armi. La prima sessione in Rastadt dopo il Cerimoniale segui li 9 dicembre a 11 ore, e durò fino alle 3, e la terza alla sera del giorno istesso dalle 6 alle 9. Sinché Bonaparte non arrivi, son persuaso che nulla di decisivo potrà aver luogo. Il cittadino Melzi trovavasi a Strasbourg ove attende il Generale in Capo, per recarsi indi col medesimo al Congresso. Domenica avrò il piacere di presentare al Direttorio il Cittadino Roggieri, e non mancherò dal canto mio di eontracambiare al medesimo quanto è stato praticato da codesto Governo verso la vostra persona. Il Direttorio Esecutivo, avendo preso in considerazione le raggioni addotte dal Cittadino Visconti, e che lo hanno determinato a domandare la dimissione dall’Ambasceria di Vienna, l’accetta aspettando gl’ulteriori riscontri da Parigi, onde determinarsi sul particolare del prefato Cittadino Visconti. — 522 — Il Cavaliere Bussi, Ministro del Papa, avendo preteso d’avere la preferenza al Ministro di Genova, ho rimesso la sua presentazione alla susseguente Domenica. V’accuso la ricevuta della lettera speditami tempo fa col mezzo del Cittadino Visconti, e vi dico Salute e fratellanza. P. S. M’affretto d’accusarvi la ricevuta della lettera speditami col cittadino Monticelli. Vi prego a mettere le date alle vostre lettere. Vi risponderò alla medesima nel venturo ordinario. Vi ringrazio intanto delle notizie, che mi date, e siate persuaso, che dal canto mio non mancherò profittarne. Testi 11. Libertà Eguaglianza. In nome della Repubblica Cisalpina. Milano, 7 Nevoso a. VI Rep. (27 dicembre 1797). Testi, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Cisalpina al Citt. Porro, Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario presso la Repubblica ligure. Cittadino Ministro Plenipotenziario, Ho ricevuto la vostra del B corrente cui rispondo brevemente. Mi rincrescono alquanto i movimenti che costà hanno luogo, nou per la ragione che gli ha suscitati, ma per le conseguenze sinistre, che potrebbero avere luogo in seguito, se il popolo volesse farsi giustizia per se stesso, e non riposare sui suoi propri Magistrati. Nel caso che il Governo voglia in tale occasione interporre la vostra opera, dovrete regolarvi, come ben riflettere, a norma del Ministro Francese, e con maggiore circospezione ancora, giacché la vostra situazione esige alcuni riguardi di cui la Francia può dispensarsene a suo piacere. Domenica il Direttorio riceverà in pubblica udienza le credenziali del Ministro del Papa Cavaliere Bussi. Il Cittadino Birago destinato Ministro in Roma ha ricevuto ordine dal Direttorio di tenersi pronto a partire. Le nostre truppe sono entrate in Pesaro, ove sono state molto ben accolte, ed ove sembra la rivoluzione già finita. Vi rimetto i fogli, e vi dico Salute e Fratellanza. Testi — 523 — 12. Genova, 3 Gennaio 1798. Il Gomitato delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure al Cittadino Bertuccioni, Deputato della Repubblica Ligure presso la Repubblica francese. Cittadino Collega, Nel Dispaccio dei 25 scorso decembre inoltrato col Corriere ordinario, di cui a cautela troverete annesso il duplicato, vi fu significata la soddisfazione colla quale dal Governo è stato inteso il vostro rapporto, che non vi fosse luogo di concepire apprensioni relativamente alla parte principale della vostra missione riguardante la Libertà, indipendenza, integrità, ed unità della Repubblica Ligure. Questa grata notizia augurava un facile, e prospero esito dell’altra analoga incombenza concernente la ratifica non tanto del Trattato di Parigi dei 9 ottobre 1796, quanto della Convenzione di Montebello, e dell’altra qui firmata da questo Ministro Faipoult, quale ratifica si desidera dal Governo per assicurare più legalmente la Nazione della garanzia della Repubblica Francese sopra li suddetti importanti oggetti. Ma la vostra lettera dei 17 d.o Xmbre recata dal corriere Migone anoncia invece le difficoltà da voi, e dal Citt.o Ministro Boccardo rilevate, per le quali siete passato a suggerire di aprire col Governo Francese un nuovo Trattato, più tosto che di insistere sulla medesima ratifica. Confermate lo stesso nella successiva dei 23 pervenuta col corriere Cattaneo, e raguagliate in un tempo quanto vi è riuscito di scoprire riguardo al territorio lucchese, ed alla supposta divisione di esso fra la Toscana, e la Repubblica Cisalpina. Il Governo avendo preso il tutto nella più seria considerazione, si è determinato di incaricarvi a rimettere al Direttorio Esecutivo l’acclusa memoria con unirvi copia di detto Trattato e di dette Convenzioni, ed a richiedere in nome della Repubblica nostra una risposta tante volte, quante crederete opportune discretamente. La vostra penetrazione vi farà facilmente comprendere, che una dichiarazione di garanzia isolata, sebbene consecutiva a trattati, o convenzioni precedenti motivate nella memoria, comparirebbe meno regolare secondo il sistema diplomatico, e che perciò probabilmente il Direttorio risponderà essere la nostra domanda materia di un nuovo Trattato. Nel caso pertanto di somigliante espressa, o ijnplicita risposta, dovrete voi usare di tutta la destrezza, di cui siete capace per indagare quale possa essere l’idea del Governo francese, e quale a un di presso lo scopo, a cui dovesse tendere l’offerta, oppure l’insinuazione di questo nuovo Trattato. Sara quindi vostra premura di riferire al Governo quanto vi sarà rissultato per attendere le ulteriori istruzioni, con quelle specifiche autorizzazioni, e credenziali, che saranno proporzionate. Quanto poi al contenuto indetta vostra dei 23 Xbre il Governo v’invita a ponderare le seguenti osservazioni. Il Trattato, di cui si proponesse l’apertura relativa all’acquisto dei già Feudi imperiali della Lunigiana e di una parte de’ Paesi adiacenti che attualmente appartengono alla Toscana, non può avere per base, che l’interesse generale, e ben calcolato — 524 — della Repubblica Francese. Qualunque altra correspettività è essenzialmente esclusa dalla natura delle cose, e delle circostanze, giacché dirimpetto ai nuovi acquisti non possono certamente da noi proporsi nè compensazioni territoriali, ne indennità pecuniarie, essendo le prime incompatibili con la Costituzione, e le seconde colle finanze. Sull’interesse adunque, e sul solo interesse della Francia può ragionevolmente fondarsi la speranza di un accrescimento di territorio. E sotto questo rapporto sembra evidente difatti, che se la Repubblica Francese avesse un vero interesse alla conservazione della Repubblica Ligure in uno stato d’indipendenza isolata, dovrebbe senza dubbio averne altrettanto a procurarle una qualche maggiore consistenza. Se in Francia fosse deciso, che il territorio della Repubblica Ligure debba finalmente aggregarsi alla Repubblica Cisalpina, o alla Francese, sarebbe evidentemente inutile qualunque Trattato, e sarebbe quindi assurdo il proporlo in una tale supposizione. Bisogna, dunque, partire dall’altro supposto, che cioè la nostra Repubblica secondo le mire del Governo Francese debba rimanere isolata. Questo piano conviene sicuramente all’interesse generale della Francia. Questa potenza ha delle colonie da sostenere e de’ bisogni commerciali, oltre la sua grande influenza in tutto il resto degli affari generali di Europa, e avrà quindi anche spesso la calamità di una guerra marittima. Ed in quel caso il territorio di Genova indipendente, e isolato le presenta dei vantaggi di ogni maniera, e forma, per così dire, sotto l’ombra della neutralità, che sarà sempre utile di mantenere, un Porto franco francese. Ed è dimostrato, che questi vantaggi non possono egualmente ricavarsene in qualunque altro sistema. Poiché se la Liguria diventasse un Dipartimento francese, la Francia dovrebbe diffonderlo in caso di guerra, e se venisse un Dipartimento cisalpino, sarebbe forse un giornonella necessità di attaccarlo. Ed i vantaggi, che il Mezzogiorno della Francia potrebbe ritrarre da un Popolo neutrale, commerciante, e navigatore, sarebbero egualmente perduti. Questa esistenza isolata però sarebbe difficile a conservarsi nella attuale posizione d'Italia, quando la Repubblica Ligure non acquisti un qualche maggior grado di forza: circondati come siamo da Potenze superiori a noi, ed in gran parte nemiche del sistema Repubblicano, non sarebbe lontano il pericolo di un cambiamento. Quindi l’accrescersi i mezzi di difendere la nostra indipendenza sarebbe lo stesso, che assicurare sempre meglio i vantaggi, che la nostra posizione può pio-curare alla Francia. Ma sebbene la riunione di Feudi della Lunigiania, e de’ Vicariati del Pontremolese, e del Fivizzano potesse essere molto interessante da quella parte anche per la più facile comunicazione del nostro commercio col Modenese, e col Parmiggiano, sarebbe però ancora d’una maggiore importanza la riunione d’Oneglia, e Loano che tagliano il territorio della Repubblica, e la formazione di una barriera nella Lombardia Piemontese. Questi riflessi sono tanto più forti nel caso, in cui la Francia non pensi d’inalzare una grande Potenza in Italia, che potrebbe un giorno dive1-nirle nemica. Che se ciò non fosse, se il Corpo Legislativo di Francia intendesse di formare in questa penisola una sola Repubblica, o almeno di dare alla Cisalpina una decisa preponderanza, sarà allora difficile il defendersi da una riunione, ed è allora inutile, come si è detto, l’apertura di qualunque Trattato. In una parola: o è deciso, che la Repubblica Ligure abbia una esistenza isolata, ed allora si può sperare un accrescimento di forza, che non sarebbe mai tale da ingelosire la Francia e che non farebbe che rendere sempre più utile, e sicura la nostra alleanza; o l’interesse generale d’Italia, e la nuova bilancia di Europa, che sarà probabilmente determinata a Rastadt, — 525 — esigono l’esistenza in Italia di una grande Repubblica ed è fuor di proposito il sollecitale a nostro favore delle riunioni parziarie. che dovrebbero ricadere ben tosto, e confondersi nella generalità del sistema. Avendo in vista quanto sopra, potete opportunamente aprire con cotesto Ministro delle rélazioni estere qualche discorso sulla materia, con prendere argomento dal nuovo progetto di divisione, che si suppone fra la Repubblica Cisalpina, e la Corte di Toscana, oppure anche dalla voce, che si è qui divolgata, e che forse a quest’ora si sarà propagata in Francia ancora, il cui trattato di alleanza fra la detta Cisalpina, ed il Re di Sardegna. Sarà egualmente vostra premura di riferire con sollecitudine al Governo il ris-sultato di questo discorso quando avrà avuto luogo, con prevenirne per sua cognizione il citt.o Boccardo, o l’incaricato d’affari, che lascierà. Dopo quanto si è scritto al citt.o Boccardo coll’ordinario corriere dei -5 Xbre relativamente alle notizie di città, che vi saranno dallo stesso state comunicate, il Comitato stima di raguagliarvi ugualmente di un falso allarme occorso in detto giorno -5 dopo le ore tre pomeridiane. Furono in tale ore sbarrati dalle terrazze, e finestre varii colpi di fucile secondati poi da molti altri. Questi spari improvvisi, e repplicati in più posti non mancarono di allarmare la popolazione della città, alcuni individui della quale si portarono al Palazzo naziooa e ad avisarne il Comitato di Polizia, dal quale furono tosto spedite alcune pattuglie per la città all’oggetto di far cessare detti sbarri. Non mancò il detto Comitato di procurar di indagare l’oggetto di tali sbarri con l’arresto anche di più peisone, ma tanto a e sami, quanto dai rapporti delle Pattuglie, altro non è fin ora risultato, se non c e a 1 sbarri erano in molti un effetto d’allegria per essere il giorno successivo quello sta i i to per Radunanze dei Comizi primarii, i quali di fatti hanno avuto luogo con la maggiore tranquillità. Sono in oggi terminati senza notabile confusione, e sono stati nomina gli elettori del Corpo Legislativo, enei giorno 12 corr.e, a Dio piacendo, sarà o stess^ installato, e cesseranno per conseguenza le penose funzioni del Governo Provvisorio, suoi Comitati. Salute. P. S. Vi trasmettiamo anche la traduzione francese della memoria, che dovete presentare a codesto Direttorio unitamente. Vi avverto che le copie statevi conse&n Trattato di Parigi e della Convenzione di Montebello sono tradotte dall origina e in francese, e che l’uno e l’altra si troveranno copiate in francese appi esso i i — 526 — 13. Genova, 27 gennaio 1798. Il Comitato delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure, al cittadino Bertuccioni, Deputato presso la Repubblica francese. Cittadino, [Omissis] Si ànno risconti, che questo Ministro Cisalpino faccia dei maneggi, tendenti ad alterare la pubblica tranquillità. Ammette in sua casa persone sospette. Il suo carattere manca non di comparire torbido. Riceve frequentemente delle rimesse eccedenti le spese del suo mantenimento. Si può credere che operi per capriccio, ma si può anche credere, che abbia delle instruzioni da codesto Governo. Il Comitato vi incarica per parte del Direttorio di indagare destramente se esista costì qualche progetto pregiudiziale alla nostra Repubblica. 14. Milano, 30 gennaio 1798. Ruggiero, Ministro plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Repubblica Cisalpina, al Comitato delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure. Cittadini! Nell’atto, che ricevo il vostro dispaccio de 27 corrente, mi si presenta cauta occasione di farveue pervenire la risposta consegnandola al cittadino Costa, di pronta partenza per costì. Credo benissimo, che cotesto Min.o Cisalpino potesse avere avuto al principio della sua Missione, delle istruzioni per coltivare il progetto della riunione della Liguria alla Cisalpina. Preoccupato da questo sospetto, io credei di non poter meglio servire la Patria, che per mezzo d’una condotta franca, e leale. Trovandomi adunque o col Ministro degli affari esteri, o con alcuno dei Direttori io non mancai di parlargliene amichevolmente e di far loro capire che non solamente erano vani i loro tentativi, ma erano contrari al fine, ch’essi si proponevano. «Ammettendo, vado loro dicendo, che.in Genova vi siano tre Partiti: uno per essere indipendenti, e questo comprende la massa della Nazione; l’altro, che vorrebbe piuttosto la unione alla Francia; ed il terzo finalmente per unirsi alla Cisalpina, sarebbe scusabile di tentare con maneggi di aumentare il numero di quest’ultimo partito, se la sorte della Liguria dipendesse unicamente dai soli Liguri. Ma non potete negarmi, che tanto i Liguri quanto i Cisalpini non possono essere presentemente, che quello che piacerà alla Francia. Non potete ignorare, che essa non vuole assolu- — 527 — tamente la riunione della Liguria alla Cisalpina. Dovete sapere, che dopo l’acquisto delle isole venete nell’arcipelago, l’idea favorita dei francesi si è di fare del Mediterraneo le lac français/ che a tal effetto la maggior parte, anzi tutta la Liguria, e il porto d’Ancona converrebbero moltissimo ai medesimi; e finalmente io vi dico francamente di avere dei dati tali da credere, che la Liguria sarebbe già un Dipartimento francese, se non si temesse il malcontento del Popolo Ligure, e le doglianze di tutta l’Europa. In tale stato di cose è sospeso, e non abbandonato il progetto. Se la Liguria si governa da sè tranquillamente, i francesi ritraendone, mercè la loro preponderanza, i vantaggi, che offre la nostra situazione, non hanno un motivo per privarsi della nostra indipendenza. Laddove, se fossimo agitati da forti dissensioni, non mancherebbero di dire che la tranquillità dell'Italia, e la nostra propria felicità esigono d’incorporarci alla Francia; lo che non riuscirebbe loro più difficile a farlo, che a dirlo. Ciò supposto, se voi Cisalpini mettete in azione il vostro partito, promuovete nel tempo stesso le reazioni degli altri due; quindi i partiti, e le dissensioni, che lacerano la Liguria, e quindi il motivo, di cui abbisognano i francesi per incorporarci al loro stato. Voi vedete perciò, che i tentativi, che fareste al presente per la riunione alla Cisalpina, la renderebbero per sempre impossibile. Liguri, siamo sempre italiani, e vostri amici; lasciateci tali per bene reciproco, e per quiete di tutti » . Non han potuto a meno di convenire della forza di questo ragionamento e mi persuado, che questo Governo non abbia portato più oltre i suoi maneggi. È vero, che non tralasceranno di sperare sulla volubilità delle cose umane e dei progetti delle Potenze, che non sono ancora totalmente fondate dal lungo gravitare, e perciò è probabile, che influiti dal carattere ardente di cotesto loro Ministro non saran sempre cosi pronti a disapprovare qualche piccolo maneggio, per cui si possono languidamente vivificare le predilette loro speranze. Ed è perciò, ch’io non tralascio di ripetere in ogni circostanza la mia dimostrazione sull’impossibilità della riunione italiana. Non credo però, che questo Governo se ne occupi attivamente, e il Trattato d’alleanza, che mi ha proposto ne sembra una prova. In quanto alle rimesse, il Comitato deve calcolare che il Ministro Porro ha avuto dodicimila lire per le prime spese di stabilimento oltre l’onorario di ventiquattro mila lire annue. Non mancherò nulla di meno d'indagare se vi fosse qualche progetto, per comunicarlo immediatamente al Comitato. Non so come interpretare l’incarico, che mi date per ordine del Direttorio di fare la domanda dei mille uomini deliberati dai Consigli al Generale Berthier, giacché foste prevenuti della sua partenza per Mantova col mio dispaccio dei 24 corr., da cui avrete rillevato, che detto Generale si era mosso per la spedizione di Roma. Io congetturo, che questo articolo fosse da voi preparato prima dell’arrivo del corriere, che vi avrà recato detta mia de’ 24. Starò dunque aspettando nuove instruzioni per sapere, se io debba scrivere al Generale, oppure se il Comitato stima meglio di ciò fare direttamente. Ieri seguì la festa per celebrare la riconoscenza dei Cisalpini verso la Repubblica francese. Io fui il solo dei Ministri Esteri, che accompagnò il Direttorio, gli altri si scusarono non credendo per loro conveniente di assistere ad una funzione, in cui si abbruciarono le corone, ed altre insegne Reali. Al ritorno dal Lazzaretto, ossia campo della Federazione, ove il Direttorio e il suo corteggio si portò a cavallo, fummo a pranzo dal Ministro degli affari Esteri. Prima di andare a tavola arrivò un corriere da Parigi spedito dal Ministro Visconti. I Direttori si mostrarono molto seri dopo averne preso lettura. Si affettò il più gran mistero. Ho penetrato però, che per uno degli articoli del Trattato d’alleanza, che stan negoziando in Parigi, la Francia esige di tenere a perpe- — 528 — tuità nei stati della Cisalpina 25 mil’uomini di truppa francese, per 1 quali la Cisalpina dovrebbe pagare venticinque milioni annui; che tutte le piazze, come Pe-schiera e altre sarebbero sempre guarnite di truppa francese; che tanto questa, quanto la truppa Cisalpina sarebbero comandate da un generale francese, che si spedirebbe da Parigi, sotto gli ordini però del Direttorio Cisalpino, che in tutti i luoghi, ove si trovassero delle truppe francesi, e cisalpine l’uffiziale delle prime a rango eguale dovrebbe aver sempre la preferenza per comandare la piazza; e che finalmente tutta l’amministrazione militare necessaria ai suddetti 25 mil’uomini sarebbe tutta francese. Il ministro Visconti avendo fatte molte difficoltà, pare che i francesi avrebbero declinato dalla parola a perpetuità, ma non volessero perciò sostituirne un’altra, che precisasse limitazione di tempo. Ha dunque spedito per chiedere istruzioni. Domani questo Governo spedisce il corriere, e vengo assicurato che piuttosto che sottoscrivere a sì dure pretese, i Direttori offrono al Ministero francese di dare la loro dimissione. Sperano con ciò di ottenere condizioni più moderate. Salute e considerazione. Roggiero P. S. Vi m.indo il discorso pronunziato ieri in occasione della funzione dal Presidente Moscati. 15. Genova, 1 febbraio 1798. Il Direttorio Esecutivo della Repubblica Ligure al Cittadino Bertuccioni, Deputato presso la Repubblica Francese. Cittadino, Prescinde per ora il Direttorio esecutivo dall’insistere sulle instruzioni, che vi furono date dal Governo Provvisorio relativamente alla domanda delie ratifiche delle due Convenzioni di Parigi, e di Montebello, e di quella concertata in Milano col Generale Bonaparte, e sottoscritta in Genova dal Ministro Plenipotenziario Faipoult. Come altresì prescinde dall’incarico, che pure vi ha dato lo stesso Governo Provvisorio, e che non avete seguito, di presentare al Governo Francese il foglio contenente l’invito di una formale di lei spiegazione rapporto agli oggetti in esso foglio espressi. E venendo al punto, che forma la sostanza del Vostro Dispaccio del 18 spirato Gennaro, e che vi ha dato motivo alla spedizione del Citt.o Lombardi, il Direttorio per procedere con accortezza, vuole in primo luogo essere precisamente informato, se il progetto di aprire un nuovo trattato colla Francia sia stato fatto, e motivato attivamente da codesto Ministro degli affari esteri, o da qualche membro del Direttorio, oppure se proceda da semplice interpretazione, che voi, ed il Citt.c Boccardo abbiate data ai discorsi intesi da detto Ministro. Inoltre, siccome qualunque trattato si aprisse, non dovrebbe avere per parte nostra altro oggetto, se non di ottenere alla Repubblica Ligure quella magior consistenza, che le assicuri la sua isolata conservazione o per mezzo del commercio, o con l’am-pliazione del territorio, quindi il Direttorio prima di determinarsi, desidera parimenti di essere informato della probabilità, che possa esservi per conseguire un tal fine. — 529 — Rapporto al commercio ben sapete, che in falta dei prodotti del territorio Liguie, si riduce il nostro ad un commercio di mero transito, e che nulla più potrebbe fav ri , e renderlo florido, se non la sicurezza della navigazione dirimpetto ai Barbaresc i. E circa l’ampliazione del territorio voi avete sotto gli occhi il loglio e e osser vazioni, che vi fu consegnato prima della Vostra partenza, in cui \ iene indicato ciò, che potrebbe convenirci; sebbene altre riflessioni si potessero oia aggiungete supposto, che fossero per verificarsi le vociferate minorazioni sopra lo stato con la demissione del Duca di Parma dalla sua residenza attuale. Non deve però mai perdersi di vista l’avvertimento inculcato sulle dette osservazioni, cioè che da noi poco, o nulla si può offerire alla Francia in correspettivita, e compenso di quanto essa ci accordasse, e che il solo interesse, che ha a Francia per la nostra isolata esistenza è quello che dovrebbe indurla a procurarci la necessaria maggiore consistenza^ ^ ^ corrier6) che si spedisce al Citt.o Boccardo, ed in sua assenza al Citt.o Mariani Segretario dell’ordinaria Legazione, con rinnovare i riclami per il rilascio dei noti bastimenti stati predati a cagione della loro provenienza dal Portogallo, ed ancora di efficacemente procurare una eccettuazione, o qualche modificazione in favore della Nazione Ligure amica ed alea a della Repubblica Francese relativamente alle misure già deliberate che codesto Cons g del 500 per l’arresto dei generi di prodotto o manifattura inglese e dei basti-menti, che avranno toccati , porti dell'Inghilterra, avendo I, notaa d, vale m,ura causata qui grave sensazione per li danni gravissimi, che se ne prevedono al comme . Col rftorno del detto corriere, che dovrà segnire .1 pii. presto, attende .1 D,rettorie cattegorica risposta per quindi poter passare a quelle ulter,or, determmaa.om nella soggetta materia, che saranno proporzionate, ed intanto vo, non mancate d, coltivare il ministro, » quelli altri soggetti del Governo che «tonerete, per r,cavare d, essi maggiori cognizioni e schiarimenti. Salute. 16. Gênes, 15 pluviose a. VI rep. (3 febbr. 1798). L’envoyé extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire de la Republique française près celle de Gênes, au Comité des Relations extérieures. Hier j’ai reçu du Général et chef de l’armée d’Italie, une lettre par la quelle il m’informe que le Directoire éxécutif, par une suite de Pintóre s qu’il prend à la tranquilité de l’Italie et à l’affermisement des nouveaux Etats Républicains, que ai de 1^Liberi a fondé recemment, verrait aver plaisir les deux Républiques L.gunenne et Cisalpine, se unir par un traite de,ai; an ^—Ligurien, l’ouverture de cette alliance, suri» quelle il écrit en meme tems an ctoyen Porro, Ministre de la Republique Cisalpine, 54 — 530 — reconnait sans peine tous les avantages que peut produire à l’Italie exécution du piojet du Directoire executif. Les deux nouveaux Etats, ne peuvent tiop iesseirei leur intimité, pour eu imposer par l’aggrégation de leurs force et e leuis efforts, aux ennemis naturels du système Républicain, de leur intérieur ou du dehors. Une alliance décuplera la confiance entre les deux Peuples et les eux Touveinements. Cette confiance suffira seule pour prévenir, pour écarter mille c uses occasionelles de discussion, qui autrement, pourraient intervenir à l’occasion de mi e e teriitoiie où de prérogative de commerce. Les deux pays ont des relations cessaires, qui en deviendront plus libres et plus franches. Enfin un ennemi étranger ne pourrait guere nuire à l’une sans que l’autre fut exposé. oila des motifs puissants pour s’allier. Le Général Berthier parle d’un contin-g mu ue de 5 à 6 mille hommes. Ce contingent serait probablement trop considé-modificaT'1 6 Ce^a l^an du Général serait peut être suxeptible d’une ri r) ' 0r*°’ pistre de la Repub.e Cisalpine. Celui ci sur la lettre du Général tives T’ em^iess® déciii à son Gouvernement, pour avoir des instructions posi-Ministrp Vn 0n,°U avec Plaisir au Gouvernement Ligurieu, comme je l’ai fait au parties une n^* +US+ ^ °®Ces — P» Direttorio. ’ persona da destinarsi da parte del *-«• >» »n. rispettivi poteri. nchiudere, previa la comunicazione de' Che secondo il concetto da esso Min o PWmiH ^ dovrebbero consistere: ‘ P formato> g^ articoli del trattato eonvenL“S“Uire “”ì" * « <»><» -pi— che si, uomini pefpfr?Eepnbbli*l“rred?d”T P™Porzio“at». d“ d. 3 m. nativa d, dare in vee’e di ^ 3. Di patuire che si debba mantenere la convenzione del 1786 finn v, S1 d8V“g“ f es‘es“di commercio fra le due EepubbÜIe °°° 4. Patuire che non debba uermpff-prei «l,,- • degna la quaie potesse m quataque “ * * Sa''' vantaggio di detta Convenzione efficacia, e rispettivo avere ^ - T % ““ fra i* EePabWi“ Fr““Se ° CÜT Ligure SUS' La Repubblica Ligure darà parte del trattato al Governo della Lm’hW Francese, e gli significherà il suo desiderio di rinovare l’aleanza° n Rep^bhca quelle maggiori spiegazioni, che possano maggiormente assicurare 1 ^ Nazione Ligure, ed il mantenimento della democratica sua costi.turi™”8 Genova, li 16 febbraio 1798. Il Comitato delle Relazioni estere al Cittadino Faipoult, Ministro straordinario. 11 Duettorio esecutivo dopo aver preso in seria pnns.'rW • della vostra lettera d'ufflcio dei 8 corrente (15 nluviotlT contenuto di significarvi in risposta, essere disposto d’entrare nella fattoti™ d'u" ^ H °0m‘toto ■1 Coverno della Repubblica Cisalpina anche all'oggetto di «attivare sempre'prtk \ 532 — benevolenza della Repubblica Francese, la di cui intervenzione può assicurare, e rendere permanenti i vantaggi di tale alleanza. Siete pertanto invitato a compiacervi di disporre una conferenza presso di voi ove debbono al detto fine rendersi tanto il soggetto che eleggerà il Direttorio, quanto il Ministro plenipotenziario Cisalpino. r*, , , •j ■ Per detto Comitato Salute e considerazione. -1- Corvetto^ Presidente 19 febbraio 1798. Sentito il rapporto del Cittadino Rnzz», il D. E. deereta: Il Cittadino Ruzza è incaricato di entrare in conferenza snl pnnto del proposto trattato col Ministro Repubblica Cisalpina coll’intervento del Ministro di Francia. Corvetto, Presidente Molfino, Direttore Al Cittadino Ruzza, Ministro degli affari esteri, Genova Non mi dispiace che il vostro incomodo; del resto vi attendero col massimo pia cere. Se però tornasse più comodo che io venissi alla vostra casa, non avete che farmelo sapere. p0RB0 Genova, 2 marzo (12 ventoso). L’inviato straordinario e Ministro plenipotenziario della Repubblica Cisalpina presso la Ligure al Ministro degli affari Esteri della Repubblica Ligure. Ho il piacere di parteciparvi officialmente che la citta , esaio del territorio di Pano sono definitivamente riunite alla Re,lU ) ,“1“ P ' Ss. A norma dei desideri del mio governo, che credo comuni al vostro, v. prego sare qualche giorno, onde avanzare la conclusione del nostrei Trattato. Non ho alcuna difficoltà a prestarmi a quanto chiedete p P » che ciò venga fatto anche da tutti gli altri Ministri. Porro Salute e considerazione. Genova, li 14 ventoso anno 6° (4 marzo 1798). Cittadino Ministro, Sebbene con ogni piacere, e per tutti i riguardi verrei alla vostra ’casa pure per secondare quanto mi dite nel vostro biglietto, io resterò m casa atendendo,, della mattina sino ad un’ora dopo mezzo giorno. p0R$0 Salute e fratellanza. — 533 — Il Cittadino Porro raccomanda al Cittadino Ministro Ruzza la pronta risposta sull’affare pendente del trattato onde possa approfittarsi della posta di giovedì, tanto più clie spera il Cittadino Porro di potere ottenere il permesso di portarsi per qualche giorno a Milano, subito che la cosa sia conclusa. Da casa, 16 ventoso anno 6 Rep. (6 marzo 1798). [In foglio a parte, di mano del Ruzza). Che si stabilisca indefinitamente una aleanza senza esprimere difensiva ed offensiva. Che si patuisca un contingente diverso nel caso di essere una delle due Potenze attaccata, dal caso in cui voglia attaccare lesivamente. Che nel caso una delle due Repubbliche volesse muovere guerra attiva, sia obligata a parteciparne preventivamente l’altra Repubblica, la quale potrà ricusarsi di somministrare il contingente. Il solo Direttorio però non potrà fare detta ricusa, bensì il Corpo legislativo. Venendo al punto del contingente si è spiegato essere le sue precise istruzioni di non acconsentire ad alcuna disuguaglianza, meno quella di suplire in danaro al minor numero della Truppa etc. [Porro] ha preteso di coonestare questa istruzione con dire che secondo i principi della democrazia non devono più ammettersi aleanze con patti di contingenti disuguali. Ha aggiunto che l’aleanza proposta sarebbe sempre più vantaggiosa per i Liguri, che per i Cisalpini, i quali non temono parzialmente i loro vicini, ma solo l’imperatore, quando i Liguri devono temerli tutti. Ha poi disprezzato l’oggetto del Commercio. F.t [Faipoult] ha completata la l.a proposizione che ripugni ai principi democratici la disugual ianza del contingente. Io ho confutata la seconda ed in specie la replica che l’imperatore vincendo i Cisalpini vincerebbe anche i Liguri. Ho fatto altresì alcune generali riflessioni sul Commercio, senza però toccare la vigente convenzione etc. E vedendo che insiste sempre nella detta eguaglianza, non ho parlato dell’ar-ticolo della riserva di far dipendere l’effettuazione del Trattato dalla conclusione dei rispettivi trattati d’aleanza colla Francia. Ed ho terminato la conferenza con far sentire essere necessario di far presente al Direttorio la medesima insistenza. [A tergo del foglio che contiene, di mano del Ruzza, gli appunti che precedono]. Se debba rispondersi in voce, o in scritto al Citt. Porro facendogli osservare che la sua insistenza circa il contingente è contraria a principj della democrazia, perchè non può darsi eguaglianza senza la proporzione sia per riguardo alli rispettivi impegni sia per riguardo alle rispettive forze. Se debba indicarsi a Porro la condizione, ossia riserva che non debba aver effetto l’aleanza proposta fino alla conclusione dei rispettivi trattati colla Francia. Che si chiami il cisalpino ad una nuova conferenza che in essa si facciano le osservazioni sopra il punto del contingente provando conforme ai principj dell’uguaglianza la proporzione. E con dare su di ciò una nota non firmata. A Belleville non lascia Faipoult alcuna incombenza d’ingerirsi in questa pratica. Federici — 534 Osservazioni. [Di mano del Ruzza]. La somministrazione di un contingente per la difesa di una causa comune deve essere essenzialmente calcolata sopra le forze rispettive dei contribuenti. Questa piopoizione è dettata dai rapporti immutabili delle eguaglianze, che è quanto il dire della giustizia. Se un Governo ha una massa di mezzi maggiore del doppio di un altro, non può esigere da questo una eguale contribuzione senza caricarlo di un peso disuguale, e non sopportabile e non giusto, e non politico per conseguenza. Un aggravio non proporzionato, e non sopportabile ricadrebbe necessariamente in i ovina di chi fosse astretto a sofrirlo, e la causa comune andrebbe ad essere pregiudicata per la mancanza inevitabile di quei mezzi, che si sarebbero inutilmente forzati per un breve spazio di tempo. Questo inconveniente rifluirebbe allora sul Governo più forte, giacché o bisognerebbe, che questo abbandonasse la causa comune, locchè sarebbe opposto alla sua lealtà, e alle viste, che avrebbero motivato il contratto: e sarebbe costretto a supli-re con l’aumento del suo contingente; locchè verrebbe a ristabilire dopo qualche inutile oscillazione, quello stesso equilibrio, che avrebbe dovuto stabilirsi a principio. La democrazia, la giustizia, Ja politica, la natura comandano l’eguaglianza: que-sta è ondata sopra la proporzione: tutto quello che non fosse calcato sopra di questa base, sarebbe vacillante, precario, e rovinoso. Ma la proporzione d’un contingente deve ancora calcolarsi in una ragione complessa. La rispettiva quantità dei pericoli da evitare, degli interessi e dei mezzi che sono in potere delle parti ed impegni da sostenere deve in complesso somministrare la misura proporzionale della rispettiva contribuzione. Le contribuzioni applicate agli individui sono giuste, quando il contribuente ne ricava una protezione, una esa, e un vantaggio coi rispondente. Senza di questa correspettività, un cittadino pa0heiebbe il debito di un altro, e soffrirebbe quindi un aggravio. Questi principj sono egualmente applicabili a quelle società; che si misurano col mezzo de’ loro Governi per un oggetto comune. Il Ministro delle relazioni estere è sicuro, che il Citt.o Porro Ministro Pienipotenziai io della Repubblica Cisalpina troverà ragionevoli queste semplicissime osservazioni, o le addotterà per base di successivi congressi. [Appunti di mano del Ruzza]. 1. Vi sarà aleanza fra le due Repubbliche. 2. Le due Repubbliche si garantiscono vicendevolmente i Stati di cui sono attualmente in possesso. 3. ) 4 j...........Qui devono inserirsi gli Articoli dei sussidi. 5. Quando una Repubblica vorrà intimare a qualche Potenza la guerra, per avere il sussidio contenuto dovrà comunicare all’altra i motivi che la muovono a dichiarare la guerra. 6. In caso che i suddetti motivi non fossero trovati giusti dalla Repubblica che è richiesta di accordare i sussidi, essa potrà rifiutarli. 7. Tale rifiuto non potrà farsi dai due rispettivi Direttori, ma questi dovranno partecipare la dimanda ai rispettivi Corpi Legislativi, che soli potranno pronunziare il rifiuto. 8. Nei casi che una delle due Repubbliche venga attaccata da qualche potenza, l’altra non potrà in nessun caso rifiutare i sussidi convenuti. 535 — tempo essf dovp80 ^ ^ ^ RePubbliche venissero attaccate nello stesso del'e nuove 00^ °•'TT™ tUtte le lor° f°rze ««P^ndo in tale occasione 11. Da qui innanzi sulle reciproche dimande le due Repubbliche si restiti,, seno vicendevolmente tutti i disertori „ rei d, qualunque sia^X, ‘ sol Territorio dd'ZZ ““ ?“* d“ Eet"‘bbH“’ P»‘™ essere ricavati lemto ,0 dell altra, anz, ne dovranno essere perpetuamente espulsi. ed indirti»?rr38”^ rrUi’ “*PÌtali ° "Amenti addati alle compagnie : x:r—-—-;;r “— Al 2 L obbligo reciproco della garanzia non potrà eccedere il contingente da stipularsi, o i nuovi patti, e condizioni che venissero concordati. C°nt,^ente bucare Saran"0 8pecificati 1 delitti ^ convenzione, che si dovrà pnb- , • i .1A1 K 13 Potrà aver luogo la conferma delle concessioni in quanto sarà com patibile con la Costituzione Ligure. sara com- li risneftivftrattftrr?!*^/! t"mt‘ tra*“»'»« »»n quando saranno oouchiusi colla Repubblica Francese ™ ^ ^ 6 d“k «->*“ Tortona17,3! «“ “ * * Sdegna Novara e 1748 Trattato di Aquisgrana, in cui fu ceduto al Re di Sardegna Vigevano e Anglisert ossia l’alto Novarese etc, la parte del Pavese situata fra il Pò, ed il Tesino con la città di Piacenza, a condizione etc. Altro trattato del 1751 fra l’Austria e Sardegna enunciato etc. [Appunti di mano del Ruzza], Convenzione per la Banca di San Giorgio e PInten denza di Milano con l’intervento de Collegj, del 23 Febbraio 1780, duratura per anni 5 J! u in sostanza convenuto il reciproco ribasso delle dogane per le merci e ^Genova " VaM° L°mbardia Aust“> e dalla Lombardia vengono ze di CRe!TaZÌ°ne; 6 rÌf0ma dÌ 6SSe d6Ì 15 MarZ° 1786 Più vantaggiosa alle finan-altri dazi del ^ al COn^° . [Di mano del Ruzza], Non avrà effetto il presente Trattato, se non quando a anno concimisi li rispettivi Trattati particolari d’alleanza della Repubblica Ligure della Cisalpina colla Repubblica Francese. 536 — Genova, 8 marzo 1798. [Di mano del Ruzza], Ieri se™ ha avuto luogo 1. conferei» »1 “P1”^ era piuttosto docile, anzi mortificato. No» ha più obiettato molto «Mj. ^ contingente, ma sarà forse una speculazione per farsi credere '*P J un a„gg9ri. ha spiegata qualche fierezza contro l’articolo aggiunto, con mento di Faipoult. arrivo a Roggeri. Manderà tutto a Milano, ed io questa mattina ma , ^ ^ sera. Il Console Francese mi ha domandato un Francesi. Intanto domanda ancora un miglior alloggio per il comandante delle trupp [Appunti di mano del Ruzzai. Trattato> d’alean.a Cisalpina con l’articolo della garanzia del Pavighone Cisalpino Barbareschi. . üoninhhlioa Ligure, meno il Nuovo piano d’Italia con molto vantaggio della Repub Glolfo] della S[pezial. Il nuovo Ministro Francese per Genova. Piemonte. Resterà in sospeso e l’articolo del contingente. alla condizione Riflettere se si potesse lasciare all’arbitrio della Fi an . ^ ^ Prancia. che non abbia effetto il trattato fino alla conclusione del D,jov del Direttorio Roggero nella lettera de! 26 Febbraio scritta al Piesidente consiglia a "differire ogni trattativa d’aleanza con la Francia prendervi Sollecita invece quella con la Repubblica Cisalpina offerendosi p positiva ingerenza. nuesta dalla con- E teme che la condizione di far dipendere 1. conclusione d. que elusione di quella, sarà proposta per parte della medesima Cisalpina. 18. Genova, 9 febbraio 1798. Roggiero, Ministro plenipotenziario della Repubblica Liguie presso la Repib ° Cisalpina, al comitato delle Relazioni Estere. Cittadini, Una persona, che suppongo francese, h, scritto al Generale rito di eotesta * O-rale Serrurier tenerci pronto a f«. tnonL rrs Z'a " e Itrlier, 1 un. limile relazione deve essere molto - 537 esagerata, che codesto Popolo ha sempre amato 1 soldati francesi, e che 1 aumento del numero di questi richiesto dal Governo era in seguito alle misure di precauzio e concertate prima d’ora col Generale Bonaparte, per istabilire il nuovo gov Egli mi ha promesso di scrivere in questo senso a Berthier e ra an o a^p ta notizie del Cittadino Faipoult. Lo stesso Generale Berthier ha scritto al & mis ro ono di aprire quanto prima colla nostra Repubblica un trattato di aeanza o , diffensiva, alla riuscita del quale avrebbe non poco contribuito il Ministro Faipoult, a cui ne ha scritto parimente. Questo Direttorio Esecutivo dehi eiava la trattativa, come a principio sembrava pure essere l’intenzione del sudetto «ener Berthier; ma per non dimostrare di volere escludere l’influenza di coesom) cese, ha fatto rispondere al Cittadino Porro di parlarne con suddetto Mims ro e col Governo Ligure; che in seguito questo Ministro delle Relazioni Esterej ^ebbe concertate le instruzioni dietro le quali avrebbe dovuto rando, che il Ministro Faipoult avrebbe cercato più i nostri che i lor.interess^ ho applaudito a tale determinazione. Avverto però il Comitato che l’idea di questo M n i stero si è di procrastinare l’invio delle instruzioni adducendo per motivo, che prima vorrebbero sapere il risultato delle trattative aperte in Parigi. Lo che pon esse, vero, ma forse ancora vorrebbero differire, per vedere l’esito degli affari poi tic» di quella Gran Nazione, Pretendono alcuni, che vi sia in Parigi qua c p moto. Tutti i fogli di Francia hanno stampato una lettera d’un anonimo in data d Strasborgo, il di cui contenuto fa sospettare, che vi sia un partito contrario _ che attualmente prepondera. Si avvicinano inoltre le elezioni i Cisalpini desiderano di vedere lo sviluppo di un sì prossimo avvenire prima di concludere con i Liguri un Trattato, sperando, che le cose possano cambiare vamente all’Italia a seconda de’ loro desideri d’ingrandimento. A questo proposito per quante diligenze io abbia fatte non ho potuto rilegare, che questo Governo abbia dato al Ministro Porro delle instruzioni di fomentare fra noi alcun Partito, almeno da qualche tempo a questa parte, giache al principio del missione dello stesso credo benissimo che le mire fossero dirette a favorire ^teme il Partito dell’Unione; inseguito però per quante viste abbia presentato il suddetto W nistro mi vien supposto, che gli sia stato risposto non esser questo il tempo oppoi tu-no di occuparsi di detto progetto, o almeno di prendervi una parte attiva, e ciò anche ad insinuazione del Generale Berthier, il quale deve aver fatta qualche rappresentanza sulla condotta del Cittadino Porro. Nulla di meno io crederei, che non si vorrebbe perder di mira il Golfo della Spezia, ed invigilare i malcontenti seppur ve ne sono, di quei contorni, perchè se non direttamente, indirettamente almeno sarebbero dai Cisalpini favoriti. A tal ogetto invito il Governo a ricercare, se mai si fosse introdotto nella Liguria un certo Capitan Bisiotti, Romano di Nazione, al servizio Cisalpino, o-iovinotto di buona fisonomia, uno che in tempo dell’antico governo fu esiliato in Genova Costui lo credo intrigante, e la sua condotta merita di essere esaminata. Parla di progetti di Lucca, ma in sostanza so, che ha offerto i suoi servizi a questo Ministero. Scrivono da Parigi essere stato colà arrestato un certo Accinelli genovese per qualche trufferia. Qui fu arrestato giorni addietro il Cittadino Giambone, che ora i-cesi esiliato. Venne da me un abbate non so se mandato espressamen te, e mi pai lo dell’aresto di suddetto Giambone, come d’uu Cittadino Genovese. Io le dissi, che aveva inteso parlar di lui, come dico, che portava coccarda rossa e che percio io non lo riconosco per Ligure, ma come spagnolo, o Parmigiano. — 538 — Sospetto, che l’accaduto a Giambone abbia alquanto allarmato alcuni dei nostri ex nobili, che qui si trovano. Si presentano da me tanto il Cittadino Cesare Doria, quanto il Cittadino Giancarlo Brignole per far visare i loro passaporti. Il primo si disse diretto per Tonno, l’altro per Parigi. Dicesi però, che ambedue siano per quest’ultimo destino. So, che qui la Polizia vigila sopra detti nostri ex nobili, alcuni de’ quali si pretende, che siansi veduti da questo Ministro di Torino. Se mai il Governo ere-desse opportuno, ch’io ne prendessi esatte informazioni potrò farlo facilmente pas. sando buonissima corrispondenza, e col Direttorio, e con i suoi Ministri Cisalpini. crive a arigi il Ministro Visconti, che assolutamente Roma sarà democratizata e che due patrioti Romani, fra i quali un certo Angelucci, che trovavansi colà, si son fatti partire dal Direttorio diretti per la Romagna, affine di cooperare all’organiza-zione di quei Stati Pontifici. Si formerebbe adunque una Repubblica Romana. Vi è per chi crede sempre al primo piano, cioè di collocare in detti stati il Duca di Parma. Si pretende, che il bisogno di denaro, ed altre mire politiche determineranno i francesi a muoversi quanto prima contro Napoli, la di cui forza militare è di 40 mi-a nomini elettivi, sebbene si porti a 54 mila nominali. Le rappresentanze a quella Unte di annuire la sua truppa si dicono fatte non dal Generale Berthier, come vi segnai ma da quel Ministro Francese risiedente presso Sua Maestà Siciliana. I l r,a le C;njdlZ;°ni che dal Ministero di Parigi venivano proposte a questo Diret-pel trattato d alleanza, oltre le già indicatevi vi erano ancora le seguenti: In et f l dover ogm semestre il Direttorio Cisalpino presentare al Direttorio francese stato dettagliato delia truppa Cisalpina. Di non potere i Cisalpini senza il consenso del Direttorio di Parigi dichiarare la guerra alle Potenze amiche della Francia. Pare per altro, che la prima condizione, c oe quella di dover soldare nella Cisalpina 25 mila francesi, bastasse per tutte le r, ' , ,e,De S1.a pero’ Vl conferm°, che questo Direttorio ha fatto delle rimostranze ifcio dette condizioni, e che piuttosto di sottoscriverle ha offerto di dimettersi. Riguardo nostro Trattato con i Cisalpini è da rimarcarsi, che il Generale Berthier è quello, e ha suggerito il soccorso reciproco de’ 5 a 6 mil’uomini. Questa condizione non relativamente eguale. I Liguri prometterebbero di soccorrere i Cisalpini con tutte le loro forze mentre questi non ne darebbero all’occorrenza, che il quarto, calcolando °io piede attuale di 19 a 20 mil'uomini. Si occupano peraltro nei Consigli di for/ organizzare un’armata di 40 mila soldati. Ogni Municipalità dovrebbe tornirne uno in ragione di ogni centinaio d’abitanti. Salute e considerazione. Roggiero di P‘S' La preS6nte vi sarà resa da UQ parente dell’aiutante generale Franceschi: i pei ora ignoro il nome, ma vengo assicurato che l’occasione è cauta. 539 i». Milano, 15 febbraio 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Cisalpina, al Comitato delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure. Cittadini, Nella mia d’ien non vi parlai dell’arrivo in Roma delle truppe francesi. Ho saputo di poi, che questo Direttorio ne aveva ricevuto la notizia uffiziale dal generale Berthier, il quale scrive, che il Papa non si era mosso da colà: lo che molto imbarazzava detto Generale. Qui si van preparando le instruzioni pel trattato d’alleanza con la nostra Repubblica, e col corriere di domenica prossima si spediranno a codesto Ministro Porro. Quello delle Relazioni estere dovea oggi venire a pranzo da me, e comunicarmele. Ma una leggera indisposizione lo ha impedito, e me ne ha fatto parlare dal suo Segretario. Domani andrò a vederle. Già l’articolo principale si è quello del reciproco soccorso difensivo di 6 mila uomini. Su di che ho rinnuovato le mie obbiezioni, facendo capire, che la condizione non sarebbe proporzionata allo stato rispettivo delle due Repubbliche. Noi daremmo la totalità delle nostre forze con sommo nostro discapito per soccorrere i Cisalpini, mentre essi non somministrerebbero al bisogno, che il quarto delle loro. Il Ministro ha sentito la ragionevolezza di questo rilievo, ed ho compreso, che non desiste per ora, tanto per aver luogo a negoziare, e cedere in appresso. , p1 Sa™Un altr° arfcicol° che ben maneggiato potrebbe all’occorrenza obbligare questa Repubblica a soccorrerci con tutte le sue forze, e si è quello con cui le due Repubbliche si garantiranno reciprocamente le loro attuali possessioni. Quest’articolo, per quanto possono rassicurare i trattati merita di essere considerato in contrapposizione di due asserzioni: u na del Mi nis fcro Talleyrand; e l’altra dal Generale Bonaparte, ambedue rife-rite dal Ministro Visconti a questo Governo. Uno degli articoli del trattato di commercio, che la Repubblica Cisalpina va negoziando con la Francia, porta che i prodotti d’uno stato importati nell’altro non pagheranno, sotto la propria Bandiera, che il terzo del dazio fissato. Visconti osservava alleyrand, che tutto questo era a puro vantaggio dei Francesi, giacché i Cisalpini avevano marma. Ministro francese rispose, che questa obbiezione svaniva col fatto saturandolo, che ben presto, e forse prima, che si sottoscrivesse il trattato, i Cisalpini avrebbero avuto una marina di qualche considerazione. In quanto al Generale Bonaparte, Egli, parlando col Ministro Visconti degli affari i Roma, disse che i medesimi potrebbero essere ben vantaggiati dalla Repubblica isalpina mentre da una parte la stessa avrebbe potuto acquistare tutto il paese sino agh Appennini, e dall’altra decidendosi il Duca di Parma a stabilirsi in Sardegna, e ad abbandonare i suoi domini nel continente alla Cisalpina, trovandosi allora i confini di questa attigui alla Liguria, era facile di fondere in uno i due stati. Potrebbe essere, che tanto il discorso di Bonaparte, quanto quello di Talleyrand non avessero altra mira che quella d’indurre i Cisalpini a sottoscrivere di buon animo — 540 — j. • • alt™ mie del trattato d’aleanza, col lusingarli le dot. condizioni già accennatevi in altro mie ^ Q ^ Direttorio ai vantaci, e di futuri ingrandimenti, nulla di me , ^ vi è chi sia informato per darò 1. W-*"“^"‘flnno avere alla Cisalpina vuole, ebe il Ministro Visconti abbi» se , smentiscano questa pat- ii golfo della Spezia; sebbene le informazioniho ^ ^ ^ partioolare ticolarità, limitandosi alle due frasi sopra ac ■ missione nell’isole del aggiungerò, che il cittadino;Ponssie^ ^“erravano le Levante mi ha detto, che in tutti i Paesi, p Salendo in Italia l’opinione STTlSLTS —1“ Ess^ cittadino Poussielgùe si à dimostrato con me di 7c£ nel su, dispaccio de-27 passato per + esistesse qualche progetto contrario alla nostra Repub blica. sl Ber lettera de’ aritmetici! e perciò io credei indicare baste dalla parte di 7 c.te dicendo l’oggetto aritmetico. E dissi, c e i Spezia non tentassero di Levante, cioè vegliare, che i malcontenti verso di riuscire alla staccarsi da noi per unirsi ai vicini, 1 qua 1 convi q .q gQn riunione generale forse potrebbero coltivare quella parz a^ ^ per fintare persuaso, che questo Governo non pensi per ora ad a i sarebbero fra noi il noto partito della Riunione, avendogli dimostrato che dJ acca. contrari al suo fine. Con tutto ciò è naturale di credere, che carattere di co- rezzare i loro aderenti, tanto più attese le disposizioni naturali, oss ‘osto Wsser0 un sistema mercantile atto a conciliare^. toressi della centrale con quelli del golfo; allora io son persuMO che^qneg ^ Liguri da tanto tempo, non vorrebbero sicuramente staccarsi da ad altre popolazioni. Pannrro con lettere dirette Venerdì scorso qui gionse spedito da Porro un certo Capu ^ ^ al Direttorio, e per quanto ho penetrato portavano dei proge 1 P che questo Governo non possa nemmen per ora occuparsene atti ^ ^ Suddetto corriere venne da me per farsi sottoscrivere ilpassap giovinetto genovese di anni 16 circa nominato Loren» mi Ruffino Vi era pure con i suoi un certo Salverezza, procedente d > disse che aveva comprato N.o 30 doline di cocarde persuaso, che lo faccia per negozio; nulla di meno credo m ques i p ’ digs che abbondare che di mancare d’attenzione. Domandando notizie, que daUa Spezia erano disertati da 300 circa dei soldati il detto Battaglione per andare al servizio della Cisalpina, e sull’osservazione, ch’erano da questa meno ^»8* dunque, noi mi rispose il Capurro, che avevano dai Cisalpini vino, e carn . ^ che si dia ad intendere ai soldati quel che non esiste, mentre se non son formato questa Repubblica non passa, che 8 soldi di Milano, e le razioni i pan . , la carne si aggiungono in tempo di guerra. Non sarà forse inutile, che a sopra quest’oggetto, e che si addotti il metodo dei passaporti proposto co a > dando ordini ai confini di non lasciar passare, ossia uscire alcuno, che non sia mum del passaporto della Municipalità, o di quello dei Ministri Esteri visa o Pei° e , nostro delle Relazioni Estere, e di non. lasciare entrare procedenti dalla Gisa pina, quelli muniti d’un passaporto visato del Ministro Ligure in Milano. È vero, che ques u — 541 — tima misura non potrebbe addottaci, che per quelli procedenti da facile ad iludersi, potrebbe omettiersifattene^ spedisC0Q0; e la fre. precauzione, il Governo sarebbe mstruito di quenza di questi è subito un avvertimento. romibbliche Si dL, che la Francia inclini a fare un trattato d’alleanza con 1nuove repubbche Cisalpina, Ligure, Elvetica e Battava, e fare insieme come una speci^^o da Parigi, miglia. P;r quanto sento da questo Ministero lo stesso ne ha avuta> u» e dal Generale Berthier, ed il Ministro Faipoult si è su tal spiegato col cittadino Porro. Forse trattando tutti assieme si 1irm)0sto ai Cisalpini migliori condizioni, che separatamente. Quelle che detta Potè:» .ha ne sono una prova. Esse farebbero credere, che questo non fosse i d’intavolare negoziazioni con la Francia; ma gl’interessi e e qua' uard0 motivo che presi in complesso potrebbero avere un peso maggiore e meritare pi g ’ per cui un trattato generale per tutte sembra più vantaggioso, du>fratta*^separ È di qui passato questa notte il Generale Massena diretto per ^ma, e die si, che *a generale in Capo dell’Armata d’Italia, e che il generale Berthier storni a g . gazzetta francese vien segnato, che il primo comanderà la divisione delletruppe tra cesi, che resterà in Roma, e che il secondo continuerà a comandare in L mba dia^ Per mandar la presente profitto dell’occasione dei fratelli Sciamo e G o.. Prcfao Serra diretti per Alessandria, da dove li pregherò di farla passare per espresso Nov . Saluti e considerazione. Roggiero 20. Eguaglianza Libertà. Genova, li 29 Piovoso a. 6<> della Rep. Cisalpina Una ed Indivisibile (17 febbraio 1798). L’Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario della Repubblica Cisalpina presso la Ligure, Gaetano Porro a Visconti, Ministro plenipotenziario della Rep. Usal-^ D > pina presso la repubblica francese. Ti prevengo che il corriere spedito da Genova il 25 Piovoso e che ti porta una mia lettera, che avrai ricevuta col mezzo di Mariani, è stato fatto partire espressa-mente dal Ministro di Francia per portare al Direttorio un piano per riunii pubblica Ligure all. Francese. Son persuaso ohe Berthier non «a preven*io i, questa giacché egli al contrario sollecita la conclusione dell’alcanza, dunque P ” per opporti » questo tentativo e far conoscere al Direttorio che non conviene » >« questo acquisto. Tu avrai molte ragioni da dire; ma credo che non andrai in colesse anch’io te ne sugerisco qualcheduna. . La Natura ha diviso le Nazioni con dei confini naturali che non si devono oltrepassare; la Francia ha addottata questa massima e perciò ha steso il suo dominio> al Reno suo confine naturale; sono dunque persuaso che seguirà S^ss^nn^nc^ riguardo all’Italia e non vorrà, mentre acquista da un lato in virt o-uirne uno tutto opposto per acquistare dall’altra. Ciò che rende necessari ^ gran fimiti si è che i popoli che essi dividono sono differenti per lo più di gemo, di co»tu , — 542 — di lingua e di religione; perciò gli acquisti che si fanno da un popolo oltre questi gran confini ordinariamente apportano al conquistatore gravi spese, guerre continue, piccoli vantaggi e sogliono essere di breve durata. Non vi è del certo un popolo che più sia opposto all’indole de’ francesi che il popolo Ligure: superstizioso, ignorante, geloso, omicida, egoista e pieno d’un orgoglio nazionale in ragione inversa dei propri mezzi, incapace di vivere libero e di ubbidire agli altri, sempre pronto a ricorrere al tradimento ed all’insurrezione. Come mai un tal popolo potrà vivere riunito col francese? Egli al presente è vicino forse a mettersi in insurrezione, perchè dice che il nuovo sistema è contrario alla sua Religione, eppure la Costituzione ligure proclama la religione cattolica dominante, ed il Corpo Legislativo al suono del mezzo giorno interrompe le sue discussioni per recitare l’Angelus Domini. Cosa farebbe poi questo popolo, se vedesse attivata la Costituzione francese, scacciati i frati e le monache, proibite le sue ridicole processioni e chiuse le sue chiese? qual sarebbe quel prete ligure che volesse prestare il giuramento civico? Non v’ha dubbio, questo nuovo Dipartimento di forma lunga e stretta, pieno di montagne e di strade impraticabili, diverrebbe il rifuggio di tutti i preti refrattari e gli emigrati, formerebbe una perpetua Vandea, che la Francia non potrebbe sottomettere che col mantenervi sempre un’intera armata. Ma quest’armata non vi potrebbe sussistere a meno che la Francia non volesse mantenerla a sue spese. Le finanze della Liguria sono rovinate, i suoi nobili hanno fatto passare altrove il numerario. Essi non vogliono restare in Genova nel presente Governo, ove necessariamente e per i loro mezzi e per quelli de’ preti, che da loro dipendono, devono avere molta influenza: tanto meno poi vi resteranno sotto la Costituzione francese senza influenza e senza preti; per conseguenza le finanze deperiranno sempre più ed i Liguri non potranno mantenere l’armata che la Francia sarà obbligata a tener sempre nella Ligure. Gli utili che la Francia trarrebbe pel commercio e per la marina del Genovesato non sono così grandi quanto si vorrebbe far credere. Il commercio del Ponente non si può accrescere in Genova senza toglierlo a Marsiglia; quello del Levante si farà sempre per preferenza a Livorno, ove il porto è più sicuro ed ove sarà sempre neutrale. Nel Genovesato non vi sono boschi da costruzione, ed i marinai, sebbene abili, non sono nè avvezzi a’ grandi viaggi, nè toleranti di disciplina. Questi vantaggi che per sè sono piccoli e che sono compensati da molti danni, la Francia gli avrebbe ugualmente, se Genova appartenesse alla Cisalpina, poiché per tutte le ragioni possibili i francesi sarebbero favoriti e predominanti nei porti Cisalpini e ne sarebbero egualmente esclusi gl Inglesi. Benché Genova sia un acquisto imbarazzante e dispendioso per chi lo fa, pure può convenire , di più ai Cisalpini, che hanno l’istessa lingua e gli stessi costumi, che abbondano di grani e possono mantenerlo, giacché la Liguria non ne produce. È da ossei varsi ancora che l’unione della Liguria colla Cisalpina non ecciterà mai la gelosia che nascerebbe nelle altre Nazioni se venisse unita alla Francia, poiché allora si lascerebbe luogo a credere che questa aspirasse a nuove conquiste fuori de suoi limiti natuiali, non è dunque da supporsi che la gran Nazione, sempre giusta ed uguale a se stessa, voglia deviare dai principi che ella medesima ha proclamati e procacciarsi incomodi, spese e guerre per acquistare un suolo ingrato ed un compagno poco fedele e turbolento. Ti direi di più, ma è tardi. Addio. Salute e Fratellanza. Porro A tergo: Al citoyen Visconti, Ministre Plénipotentiaire de la République Cisalpine a Pans. Quais de Voltaire N. 1. — 543 — 21. Milano, 21 febbraio 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Repubblica Cisalpina, al Cittadino Corvetto Presidente del Direttorio Esecutivo. Cittadino Presidente, Ho l'onore di confermarvi, quanto vi scrissi in data di 17 cor.te col ritorno del coi nere spe ito dal Min.o Porro. Una sol cosa devo rettificare, e si è, che invece di aver spe i o questo Governo, come vi segnai, a Parigi, si è limitato a scrivere colla posta militare mandando copia a quel Min.o Visconti del dispaccio del cittadino Porro. S’io fossi s a o mstiuito dal comitato della verità del fatto mi sarei preso una premura di scrivere oi a itt.o Mariani, o al Cittadino Bertuccioni per contrapporre la mia relazione a quella del Min.o Cisalpino. Io credo, che il servizio pubblico esiga, che i diversi Ministri ella Repubblica siano puntualmente ragguagliati di quanto occorre costì, se non per altro, almeno per essere in caso di rettificare le altrui esagerate relazioni. Perdonate, citta ino Presidente, al mio patriotismo questa mia osservazione. Questo metodo è qui esattamente praticato, anzi questo Governo esige, che ogni Ministro corrisponda con gli altri delle diverse Legazioni. Voi sapete, che gli affari politici formano come una catena, e che un’anello all’altro corrisponde, di modo che conoscendoli tutti, si giudica meglio di ciascheduno in particolare. Del resto preoccupato dal dispaccio di Porro io incaricai il nostro Concittadino Lombardi di guardare, se poteva per mezzo de suoi amici scoprire qualche progetto, non dissimulandogli, che i viaggi d’un certo Vittaliani mi davano dei sospetti. Egli parlò con lo stesso, e col cittadino Salvador estensore del ermometro Politico». Ambedue biasimando i Liguri, che non volevano unirsi alla Cisalpina pretesero, che il loro partito andava giornalmente crescendo, e gli dissero, che c’erano da 20 mila firme circa per detta unione; che se questa non poteva riuscire si sai ebbe effettuata almeno quella del golfo della Spezia. Il cittadino Lombardi parlò di bel nuovo il giorno seguente con Vittaliani, ma o trovò più nserbato, e intento a distruggere le impressioni, che avevano potuto fare e prime conversazioni, volendo far passar le stesse come cose vaghe, e di pura accademia. Lo che confermò il nostro Lombardi nella sua prima idea, che i Cisalpini tentassero di far insorgere il popolo della Spezia, e di fargli chiudere l’unione alla Cisalpina. Di più mi riferì aver egli penetrato, che Vittaliani doveva ricevere da questo Governo la somma di lire seimila, a conto delle quali avea già avuto lire duemila dal inistro Porro: che dovea quanto prima ritornare a Genova, e che da costì addotto il pretesto d’andare a Lucca, si sarebbe portato alla Spezia per eseguire la meditata insurrezione. Tale è almeno il sentimento, ed il rapporto del cittadino Lombardi. Io non ho mancato di esercitare i miei mezzi per verificare il fatto, ma tutte le relazioni, che ho avuto distruggono l’opinioni del nostro concittadino. Con tutto ciò non sono stato tranquillo; ho voluto sperimentare ancora gli affetti della lealtà. E in primo luogo aveudo motivo di credere, che questo Ministro di Polizia per le sue relazioni con i membri del Direttorio, e con tutti i rivoluzionari, potesse avere qualche cognizione di questa trama, ne ho fatto cadere in acconcio il discorso, e con tutta la franchezza, e con la maggior energia mi sono adoperato a dimostrargli quanto un tal progetto impolitico, e contrario all’istesso fine, che si poteva proporre la Repubblica Cisalpina. E mi ha assicurato, che niente di tutto ciò sussiste. Mi sono indirizzato ancora a quel fra i membri del Direttorio, che mi sembra di miglior buona fede, e sospettando, che se non direttamente indirettamente almeno i Direttori favorissero il complotto con non disapprovare i progetti dei rivoluzionari per mestiere, gliene ho fatto sentire tutti gl ine venienti Ma e-li ancora mi ha assicurato con tono di verità, sulla sua parola d onore, che Direttorio non pensa a detto progetto; e che da nessuno dei Direttori ne ha ma. sentito a parlare; e mi ha invitato a tranquillizarmi, promettendomi al_p« n«m^o dei schiarimenti sul conto di Vittaliani. La Costituzione vietando i Direttori di con " “—te con i Ministri Esteri, non . quando „e avrò come a mio riguardo non è rigorosamente osservata, essendo ben visto da tutti i membri del Governo, spero, che non tarderà a presentarsi. Fra tanto io vi assicuro, ci a Presidente, che se si trattasse d’un mio affare particolare mi sarei tranqinlizato dalle assicurazioni avute da detto Direttore, perchè mi ha parlato con l’accento e perchè lo credo uomo di buona fede. Anzi mi aggiunse, che se mai il Cittadino Poi si volesse frammischiare in questi intrighi, altro non farebbe, che ^P j sonalmente, e che il Governo lo avrebbe disapprovato. Se vi resta qualche d , disse ancora, non mancate di dare una nota, e siate certo, che noi disapproveremo chmn-e tenesse eccitare fra voi la Scordi». Io gli risposi, che la -bastava. Con tutto ciò, e malgrado la persuasione, in cm sono, dell» buon, fede de Direttore, trattandosi della Repubblica ho stimato mio dovere prevenire il Direttone^ quanto mi ha esposto il cittadino Lombardi. Lo stesso crede che il Governo dovrebbe farsi portare a sè le valigge delle lettere precedenti dalla Riviera di Levante e vedere, se il corriere avesse lettere a parte, visitarle tutte per fatto Se avessi da conciliare i dubbi, che anch’io nutrisco di qualche cattivo ette del malcontento della Spezia con tutte le relazioni, ch’io ho, che questo GoYevno se ne ingerisca affatto,'direi, che qui vi sono delle persone, che per' -st^re jono rivoluzionarie. Esse si considerano come una Potenza, viaggiano a 1 , > cabalizzano, fanno dei sistemi, e con aria d’importanza offrono a questi, e a quelli loro servizi. Alcuni esaltati se ne lasciano imporre da costoro, e si arruolano so to i loro stendardi, persuasi, che sono assistiti da qualche Governo Alle volte ricevono dei denari non per l’oggetto dei loro sistemi, ma per iscopnre dai medesimi del """Questi denari poi servono alle volte ad accrescere il loro partito e con mezzi simili vanno avanti, e producono talvolta delle discussioni, e dei disordini nei pope>1 £ià animati dal fermento delle passioni. Potrebbe darsi, adunque, che un partito questa specie travagliasse fra noi il popolo, e specialmente quello della Speaa, senza che questo Governo vi fosse certiorato. Il carattere del Ministro Porro, voghono akum, che sia appunto di questa tempra e non sarebbe male essere mrcospettu Eg i «•iovane di talenti naturali, scaltro assai, ed esercitato nel mistero deHa Poli. , tato vivo ed inquieto. Io credo però, che la maggior nostra sicurezza debba riporsi nell affezione dei popoli alla Liguria. Se riesce di conciliare gl’interessi del a Spezia con quelli della Centrale, non avremo a temere gli effetti della miserabile as u . tanto, scusate, non parlo più al Direttorio; apro il mio cuore ansioso de bene> del a -tria al cittadino Corvetto, io interesserei al Governo Marco Federici, lo faiei Ministro — 545 — di Polizia. Io lo credo benissimo inclinato all’unione Cisalpina; ma lo credo un buon Re-pubblicano, un bravo Galantuomo, incapace di mancare al suo dovere. Se accetta, servirà con tatto il zelo la Patria. Io gli parlerei con franca lealtà, gli farei vedere, che il Governo non ignora forse il suo modo di pensare in materia politica, ma che conoscendo appieno la sua integra probità, il Governo si riposa sulla stessa nell’affidargli il posto il più importante della Repubblica. Se poi ricusa, allora mi pare, che si dovrebbe farlo eccitare dal Ministro Faipoult o fargli dare delle instruzioni precise, perchè come console francese non avesse ad ingerirsi degli affari della Liguria. Ma Marco Federici è probo, ama la Liguria, e stimolato non saprà ricusare. Bisogna, ch’io abbia una gran idea della vostra bontà, e pazienza per ardire dare il mio sentimento a chi può essermi maestro in qualunque genere. Ma questo è l’effetto naturale di tutti quelli, che s’interessano vivamente a qualche cosa, qualunque essa sia. Temono sempre, che non si pensi a tutto. Qualunque inezia passa loro per la mente è per loro un bisogno di dirla, ridirla e di tediare i loro amici con inutili osservazioni. Perdonatemi adunque questo sfogo patriotico, e siate persuaso, che comunque io vi abbia aperto il mio cuore non ho mai pensato a dar consigli, ma a ricevere io stesso delle saggie instruzioni. Mi son persuaso, scrivendo al Comitato, di parlare della nostra Bandiera per liberarla dai Barbareschi. Mi sembra veramente, che in Parigi dovrebbe ottenersi la medesima protezione, che si accorda ai Cisalpini, tanto più che oi è già stata promessa nella Convenzione passata da Vincenzo Spinola, Convenzione, che si eseguisce, in quel che è a nostro carico voglio dire per i quattro milioni. Del resto voi vedete, ch’io scrivo con effusione di cuore, che una porzione della mia lettera è diretta al governo, l’altra all’amico. Dell’una, e dell’altra parte fate l’uso, che si deve, con la ben nota vostra prudenza. Salute e Rispetto. Roggiero P. S. Compiegata troverete la copia d’una stampa pervenuta a questo Governo sugli affari di Roma. La presente vi sarà resa dal citt.no Tini. 22. Milano, 24 febbraio 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Cisalpina, al Comitato delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure. [Omissis] .... Per gli affari di Roma, e per i preparativi contro Napoli sono, o nò i francesi d’intelligenza coll’imperatore? Alcuni temono di nò, e prevedono una nuova rottura fra le due ultime Potenze. Il bisogno, che ha fatto sentire il generai Berthier a questo Governo di allearsi al più presto colla Repubblica Ligure sembra in parte avvalorare questo sentimento. Poiché, se fosse solo per la mira di obbligare i Cisalpini a rinunziare al loro progetto favorito dell’unione, la Francia ha dei mezzi più efficaci, e più pronti; basterebbe il dire: non voglio. Altri però credono, che l’imperatore, e la Francia siano 35 — 546 — perfettamente d’accordo. In tal caso fabbricano un altro sistema. Il ristabilimento della Polonia sotto il Principe Carlo Re Constituzionale; l’abbandono dello stato veneto all’Italia per parte dell’imperatore; ampi compensi a questi nell’impero ottomano, che rovina; e compensi alla Prussia in Germania. Il più fino politico si perde in questo labirinto. Da Rastadt si dovrebbe sapere qualche cosa di più, sebbene dicesi, che colà si rappresenti una vera comedia, Io fo’ dei voti per la Liguria. Saluti e considerazione. Roggiero P. S. Non sò, se vi abbia già detto, che il Cittadino Monge passando di qui per rendersi a Roma ha manifestato al Cittadino Dandolo di Venezia, per quanto mi ha quest’ultimo assicurato, che il progetto della Francia si era d’unire alla Liguria la maggior parte del Piemonte, con ritenere per frontiera francese tutta la linea di Coni. 23. Milano, 26 febbraio 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Repubblica Cisalpina, al cittadino Corvetto Presidente del Direttorio Esecutivo. Cittadino Presidente, Profitto del cittadino Regny per farvi avere la presente in iscontro di quanto vi siete compiaciuto segnarmi nel vostro foglio di 23 corr. Prima d’ora feci vedere a questo Ministro delle relazioni Estere l’irragionevolezza della base del contingente, e me ne parve lo stesso abbastanza convinto. Nulla di meno ho scritto al cittadino Porro di non desisterne per adesso, ma di penetrare il sentimento del Governo Ligure e riferire, per quindi ricavare le opportune instruzioni. Il punto stà, che questo Governo ha aperto il trattato per condiscendere ai sugerimenti del Direttorio francese, ma con animo, come già indicai al Comitato, di diferirne la conclusione. Per motivo apparente di questa dilazione si accenna il desiderio di far precedere il trattato colla Francia, come base di tutti gli altri; ho penetrato però, che il più forte motivo si è la renitenza di rinunciare al progetto dell’ U-nione. Temono i Cisalpini, che un trattato d’alleanza con la Liguria ne stipuli in certo modo l’isolata indipendenza. Concepiscono, è vero, l’impossibilità di effettuare per ora il piano favorito; ma nella confusione delle cose attuali, nel cambiamento dei Direttori francesi, in qualche nuova crisi politica sperano di trovare un momento favorevole al loro fine. Tale è il modo di pensare dei Cisalpini, siatene certo; nè crediate che le trattative possano variarlo, tanto più con un Ministro del carattere del cittadino Porro, circondato, com'egli è, da persone, che vogliono agire. Onde, attenzione e vigilanza. Ritornando al trattato con la Cisalpina vedo, che voi ancora pensate a farlo andar di fronte con quello colla Francia. Questo solo veramente può consolidare i nostri interessi politici, e commerciali. Mentre io lo desiderava ardentemente, un sol dubbio mi ha raffreddato. E questo il momento favorevole di negoziarlo, o converrebbe — 547 — forse aspettare tempi migliori? A giudicarne dalle condizioni che i francesi vogliono imporre ai Cisalpini, condizioni, che potete vedere nel mio dispaccio al Comitato dei 9 o 10 corrente si dovrebbe temere, che le circostanze attuali non fossero troppo propizie e perciò sembrerebbe meglio differire. Altronde abbiamo l’esempio, che anche senza trattati la Francia esige da noi tutto quello, che in suo favore potrebbe stipulare senza garantirci formalmente alcun vantaggio; e sotto quest’aspetto un trattato solenne sembra preferibile. Inoltre sento che in Francia il partito patriotico comincia a prevalere, si avvicina il tempo dell’elezioni. Un certo moto di generosità suole animare i patrioti, e potrebbe procurarci condizioni più discrete. Ad ogni modo conviene seriamente pensare all’oggetto della Bandiera, perchè se i Cisalpini ottengono, che la loro sia franca, e la nostra soggetta, sarebbe d’uno stimolo maggiore questa differenza ad accrescere fra noi il numero de loro aderenti. A questo proposito vi replico, che quel Ministro Visconti ha già fatto passare al suo Governo copia delle note uffi-ziali scritte da Talleyrand alle Potenze barbaresche in favore dei Cisalpini. Io credo, che il nostro Ministro in Parigi avrà avvalorate le mie instanze coll’articolo 8 della Convenzione segreta di Vincenzo Spinola, convenzione, che da noi puntualmente si eseguisce a favore dei francesi senza neppur esigere l’impiego convenuto di due milioni in pagamento dei creditori nostri nazionali. Non merita modo di essere calcolata la situazione attuale delle cose d'Italia relativamente ai trattati colla Cisalpina e colla Francia. E verosimile, che i francesi non siano d’accordo coll’imperatore e per la rivoluzione di Roma, e molto meno ancora per i movimenti contro Napoli. Le precauzioni usate di ben guernire tutta la linea contro gli Austriaci, considerando che anche a Ferrara, che non sembra piazza molto importante, vi sono 7 mil’uomini, 5 mila de’ quali di truppa francese, i soldati che dalla Francia ritornano in Italia, sono fatti che sembrano autorizzare il timore di nuova guerra contro l’imperatore. Su tal caso qual sarebbe l’interesse della Liguria? di essere alleata della Cisalpina, o di non esserlo? Sarebbe forse in nostro potere la scelta, e la Francia non ci obligherebbe ella a far causa comune? Se non ascoltassi che il mio amor proprio, e se considerassi che parlo ad uu maestto, tacerei; ma amo la Patria, non posso non occuparmi dei suoi interessi, parlo ad un amico, che può istruirmi, e che saprà compatirmi. Proseguisco adunque a ragionare, o a delirare. Nella supposizione, che fosse in nostro potere di scegliere un partito, credo pessimo quello adottato dal Governo passato di non dichiararsi mai apertamente nè in favore dell’una, nè dell’altra parte belligerante. Un piccolo stato, che si trova frà mezzo ai combattenti non ha forza da far rispettare la sua neutralità. E’ impossibile, che sia neutrale egualmente per tutti. Qualche cosa converrà accordare: non mai tanto quanto si vorrebbe dalla parte, a cui si accorda, troppo per la parte avversa. Quindi si urta con tutti e due. Qualunque sia il vincitore si diviene sua conquista, o si serve ai compensi. E’ meglio dunque dichiararsi francamente; e se si ha il talento, o la sorte di attaccarsi al più forte, la di lui riconoscenza deve essere profìcua. Se quei, che governavano in Genova si fossero alleati colla Francia prima delle vittorie di Bonaparte, a quest’ora il nostro stato non sarebbe intersecato da paesi stranieri, e non sarebbe rinserrato in sì angusti confini. Ma nella situazione attuale la neutralità non ci sarebbe permessa, saressimo costretti a far causa comune con le Repubbliche democratiche. In tal caso conviene diffeiire, o affrettare i trattati di alleanza? Ecco la questione sotto un altro aspetto. 35® — 548 — Se comandasse Bonaparte, abbiamo per prova, che farebbe dei progetti di trattati, e che non ne sottoscriverebbe alcuno, pronto poi a domandarne l’esecuzione riguardo al contingente, come se fosse stato solennemente stipulato. In questa ipotesi io crederei più vantaggioso a noi di far progressi nelle trattative, e di conchiudere prima delle ostilità, affine di far pattuire quei vantaggi, che in compenso delle nostre contribuzioni potessimo ragionevolmente domandare, vantaggi che se non pattuiti, non si avrebbe alcun titolo per ottenerli, sebbene si fossero fatti tutti i sacrifici possibili per meritarli. Se il Direttorio convenisse per avventura in questo mio sentimento, io credo che potrei coadiuvare al progresso del trattato con la Cisalpina con qualche nota, e più con i miei frequenti discorsi col Ministro delle relazioni estere, e con i membri di questo Direttorio, e mi lusingo, che riuscirei a persuaderli, che sono essi più di noi interessati alla pronta conclusione del trattato. Su di che aspetterò le opportune instruzioni, evitando per ora di parlarne, temendo di persuadere prima che convenga al Direttorio Ligure di stipulare; giacche son persuaso, che in questa materia vi sono molti altri riflessi da fare prima di decidere. . Non posso a meno però di riflettere, che sebbene i trattati siano un arma mal sicura, pure l’articolo, che garantirebbe alle due Repubbliche la possessione dei stati rispettivi dovrebbe per qualche tempo almeno rintuzzare l’alacrità dei Cisalpini e loro aderenti a tentare la totale, o parziale unione dei due stati, e quindi si avrebbe il vantaggio di godere d’una maggior interna tranquillità cotanto desiderabile, e cotanto economica per l’erario pubblico. Qui si aspetta il Generale Berthier. Io penso, che questa circostanza dovrebbe animare la mia corrispondenza col Comitato, ed eccitai o a in or marmi minutamente di quanto possa qui occorrere, non che a munirmi 1 leque instruzioni, sopra delle quali regolerò i miei discorsi, il mio contegno con detto generale. Scusate il tedio. „ s 0 , , ... Roggiero Salute e rispetto. 24. Milano, 2 marzo 1798. Rosero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Repubblica ’ Cisalpina, al Ruzza, Ministro delle Relazioni Estere della Repubblica igure. Ho veduto il dispaccio del Cittadino Porro. Egli scrive, che il Governo Ligure fa instanza per accelerare le trattative: accennale nostre impossibilità di accordare ne in uomini, che in denari un contingente eguale a quello della Repubblica Cisalpina; e conchiude, che qualora questo Governo voglia veramente fare il trattato converre e a a tarsi ad un contingente proporzionale, stipulando invece dei vantaggi comerciali, dei quali i Cisalpini potrebbero godere al momento; laddove essendo remoto il caso, che la Repubblica Ligure sia attaccata, vi è apparenza, che il sussidio difensivo da provvedersi dalla Cisalpina non sarà per cagionare alla stessa aggravio alcuno. Roggiero — 549 — 25. Milano, 2 Marzo 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Repubblica Cisalpina, al cittadino Corvetto Presidente al Direttorio Esecutivo. Cittadino Presidente, Vi confermo'le ultime mie, una cioè dei 21 o 22 pp. col cittadino Tini, l’altra col cittadino Regny. Proseguisco ad indirizzarmi a voi, cittadino Presidente, sino a tanto che sia installato il Ministro delle Relazioni Estere. Parlando ieri questo Ministro di Polizia con sua moglie degli affari di Lugano gli disse, che in Genova ancora vi erano dei movimenti, e che il partito dei malcontenti delle nomine fatte per i Consigli, e Direttorio si agitava fortemente nel momento attuale. Io pregai suddetta cittadina d’informarsi più minutamente dal marito, se aveva dei riscontri sicuri di tal notizia. Essa mi ha scritto stamane, che non c’era fondamento alcuno di quanto mi aveva parlato, e che non erano che voci vaghe. E' da rimarcarsi che il Ministro di Polizia vede in casa sua molti amici di Porro, cioè Fantoni, Vitalliani, ed altri; che sua moglie è donna di talento. Onde sotto qualunque velo io abbia voluto coprire la mia curiosità, è da credersi, che la stessa sarà stata più cauta nel biglietto, che nel discorso; nulla di meno è probabilissimo ancora, che il tutto sia effetto di vane dicerie. Però è sempre bene, che il Direttorio ne sia informato per invigilare, tanto più se cotesta città resta sguarnita di truppe francesi. Ho inteso, che Berthier abbia scritto essere ultimamente accaduto in Roma un tumulto. Una parte di quelle soldatesche francesi non pagata si portò in insurezione al Quartier generale a Monte Cavallo. Colà trovò della resistenza per parte della guar-niggione. Vennero" adunque a zuffa fra di loro, cioè la truppa subordinata contro quella in insurrezione. Il Popolo romano si attruppò, e con pugnali ferì dieci o dodici soldati francesi. Questi allora si unirono contro i Romani, fecero fuoco con i cannoni per tutta quella giornata, e per la notte seguente. Al primo colpo di cannone il Popolo si era dissipato, onde si presume, che non vi sarà stato mortalità, e tutto si era in appresso aquietato. Oggi è giunto un corriere da Parigi. Il Direttorio si è radunato ordinando agli uscieri di non ammettere alcuno. Da quanto ho potuto ricavare, detto corriere deve aver portata la risposta a quel dispaccio, con cui si esponeva al Gabinetto di Parigi l’impossibilità, in cui erano i detti Direttori, di sottoscrivere alle durecondizioni del proposto trattato d’alleanza, offarendo piuttosto i medesimi di dare la loro dimissione; e sicuramente, che detta risposta non è favorevole ai Cisalpini. Non ne ho ancora potuto penatrare i dettagli. E’ probabile, che questo Direttorio mandi a tal’appello un messaggio segreto ai consigli. Quel ch’è certo tin’ora si è che i Direttori non sono contenti, sebbene nello stesso tempo abbiano ricevute delle nuove speranze per l’ingrandimento della Repubblica Cisalpina; ed essendo fugito di Bocca ad una persona, che può aver letto i dispacci, che detto ingrandimento potrebbe essere di 200 mil’anime almeno, congetturo, che sia questione di Parma. Stuzzicata da me in varie guise la medesima 550 — persona mi ha detto: posso assicurarvi, che voi altri Liguri dovete molto invigillare in questo momento, e se la Francia non vi propone alcun trattato d’alleanza dovete temere; e dovreste a qualunque costo tentare di farne uno con la stessa. Tra varie questioni fatte in seguito di tale apertura pare, che abbiano qui qualche indizio per credere, che i francesi vogliono da una parte sostenere il Rè Sardo, e dall’altra, che vogliono aver dei riguardi per Napoli, mentre tutti gli altri Stati frà mezzo debbono essere rivoluzionati, compreso il ducato di Toscana. Quindi credono di veder porre in esecuzione un progetto, che comparve l’anno scorso in Francia fatto da un amico di Talleyrand, intitolato, per quanto mi si dice, vues sur l'Italie. Secondo questo progetto, le due estremità dell’Italia cioè Piemonte, e Napoli dovrebbero essere sotto d’un governo monarchico, e tutto il resto democratizato, concedere al Rè Sardo la Riviera di ponente sino a Savona. La Cisalpina poi dovrebbe essere ingrandita di tutto il Luchese, e torse anche della Toscana. Potrebbe darsi, che questi discorsi mi si facessero fare ad arte per intimorirci di dover essere preda del Rè Sardo, sperando di determinarci più tosto ad unirci alla Cisalpina. Non mancheranno dei dati al Governo ligure per ben giudicare, e discernere il vero dal fallo. Intanto io stimo mio dovei e di riferire quel che sento, e di occuparmi a svelare tutto quello, che mi sarà possibile per raguagliare prontamente il Direttorio. La presente vi sarà resa dal cittadino medico Gio. Batta Spontoni. Salute e rispetto. Roggiero P. S. Il Balliaggio di Mendrisio ha manifestato il suo voto di unirsi alla Cisalpina, e dicono che questo Governo ci abbia spedito delle truppe per assicurarsene. Vari di questi patrioti sebbene non apertamente sostenuti dal Direttorio, han tentato di far lo stesso in Lugauo, ma fin’ora indarno. Succedono però colà delle frequenti scara-muccie; e si dice, che il Direttorio voglia disapprovare, e richiamare dalle vicinanze di Lugano detti Patrioti, secondo alcuni, spediti dallo stesso Direttorio. 26. Genova, 3 Marzo 1795. Ruzza, Ministro delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure al Roggiero, Ministro Plenipotenziario presso la Cisalpina. Cittadino Roggiero, Annessa troverete copia d’un dispaccio, che si spedisce al Generale Berthier appresso del quale procurerete di coadiuvare quanto in esso si domanda, quando si trovi, o sia per arrivare presto in Milano. In caso diverso, farete passare avanti lo stesso corriere onde incontri detto Generale, gli consegni il dispaccio, ed attenda un tempo discreto la risposta, e lo provederete di quanto sarà necessario per continuare il viaggio. Accuso la ricevuta della vostra dei 28 febbraro. E non avendo altro a segnarvi tralascerò di scrivervi questa sera col corriere ordinario. Salute. Rozza — 551 — 27. Genova, li 2 Marzo 1798. Il Ministro delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure al cittadino Berthier, Generale in Capo dell’Armata della Repubblica Francese in Italia. Essendosi dal Governo procurato di suplire con una maggior vigilanza all’impro-viso mancamento dei due battaglioni per ordine vostro richiamati, viene di scoprire che si stanno in questa città ed in varii punti del territorio eccitando nuovi attruppamenti formati da persone, che mantengono delle corrispondenze in Milano, e che coltivano questo Ministro cisalpino, il quale ieri ha apertamente promosso nel pubblico Circolo costituzionale la acclamazione di una imaginaria Repubblica Italiana. Dalle cognizioni al Governo pervenute risulta, che si tenta un movimento, e che l’oggetto di chi lo và suscitando e di chi lo consiglia, è diretto a far credere che non possa la Nazione Ligure avere la sua consistenza indipendente, ed isolata, e quindi dissimulandosi, oppure palliandosi le funeste conseguenze, che sogliono ridondare da somiglianti incostituzionali movimenti, e tumulti, si insinua il ripiego della unione della Repubblica Ligure alla Cisalpina. Cittadino Generale, voi siete pienamente conscio, che le intenzioni del Governo sono affatto ripugnanti al progetto di tale unione, e ben sapete che lo stesso vostro Governo si è prononciato sulla indipendenza, ed unità della Rep.ca Ligure, e che di tanto più volte li di lui Agenti, e Ministri hanno assicurato questo Popolo, il quale è sommamente alieno dell’unirsi con li Cisalpini. Per dissipare però l’attuale fermento è necessario, cittadino Generale, che le intenzioni del Governo francese, e le sue assicuranze siano in modo efficace notificate al Governo, e Popolo cisalpino, ed intanto è necessario altresì, che si mostri di nuovo sul territ.o Ligure una qualche forza armata francese. Il Direttorio Esecutivo ve ne fà per mezzo mio le più pressanti instanze, e passa ad informare di questo dispiacevole incidente il Direttorio della vostra Repubblica, dalla benevolenza della quale si ripromette l’approvazione di ciò, che in vista dell’urgenza sarete per operare coerentemente alle di lei domande. Salute e considerazione. Ruzza 28. Genova, 5 Marzo 1798. Il Ministro delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure al cittadino Mariani, Incaricato d’affari della Repubblica Ligure a Parigi. Essendo cessate le funzioni dei Comitati, è stata resa a me nel giorno 3 corr.e marzo la vostra lettera dei 18 febraro passato, di cui ho reso conto al Direttorio esecutivo. Dopo il trattato di Campoformio, e dopo le reiterate assicuranze prononciate dal Governo, ed agenti della Repubblica Francese sulla isolata indipendenza della Repubblica Ligure, e sulla integrità del di lei attuale territorio, sembrava che non si dovesse da alcuno più pensare a progetti di smembrazione, o d’unione con altre Repub-35** — 552 - bliche. Pure esiste benissimo tuttavia un partito, che và eccitando l’idea di unire la Liguria con la Repubblica Cisalpina. Questo partito non ha più potuto restare oculto dopo avere alcuni individui dello stesso esternato il pensiero, che presenta l’oportunità di agire il tempo attuale, in cui si sono assentate da questa città, e territoriale truppe francesi richiamate con premura a Milano dal generale Berthier. Un movimento, un tumulto, che qui succedesse. si pensa che farebbe credere di non poter avere la Nazione ligure la sua consistenza indipendente, ed isolata; e quindi si insinua essere necessaria suddetta unione. Questo in sostanza è il piano, di cui è a parte il Min.o Cisalpino qui residente con diversi marcati cittadini di questa centrale, e del territorio, e ne sono intesi altri che viaggiano fuori del territorio, e che forse a quest’ora sono giunti a Parigi. Per distruggere una tale machina sarebbe necessario, che le intenzioni di codesto Governo, e le sue assicuranze fossero in modo efficace notificate al Governo, ed al popolo Cisalpino. Voi dovrete destramente indagare se, e con quelli mezzi si potesse ciò ottenere, invigilando sul contegno di chi fosse per fare costì delle prevenzioni, o degli intrighi relativamente all’oggetto suddetto. Si è qui inteso che sia stato sottoscritto in Parigi un trattato di alleanza con la detta Repubblica Cisalpina, in cui la Francia promette la Garanzia dei stati della medesima Repubblica attualmente posseduti, e quel che sarebbe molto più notabile la garanzia ancora della sua bandiera dei barbareschi. Si dice di più, che possa essersi sul tapeto un piano, in cui mediante un supposto compenso si attribuisce alla Repubblica Cisalpina il golfo della Spezia. Anche su questi importantissimi punti siete incaricato di prendere le possibili cognizioni colla maggiore sollecitudine, e circospezione per rapportarmi quanto sarà risultato. Il corriere Gio. M.a Reta non è ancora arrivato di ritorno. Salute. 29. Milano, 5 Marzo 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Repubblica Cisalpina al cittadino Ruzza, Min.o delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure. Cittadino Ministro, Vi scrissi ieri che avevo fatto proseguire alla volta di Roma il corriere Gio: Reta. Egli partì di fatti, ma incontrato fra Merignano, e Lodi il Generale Berthier, se ne ritornò da me con i dispacci. Andai subito dal Generale, e per quante istanze io abbia fatto, solo in questo momento, che sono le 2 pomeridiane, mi è riuscito di abboccarmi, tante sono le occupazioni, da cui è affollato. Egli mostra il più vivo rincrescimento di non poterci fornire una forza sufficiente. Gli dispiace, che l’ultimo battaglione sia partito per Corsica. Ha dato la marcia a llm. uomini per la Svizzera, de quali fanno parte i due battaglioni da costì richiamati. Ha fatto partire per Roma altri 15m. soldati e non sa come supplire a tutti — 553 — gli impegni, che ad un tempo stesso vuol prendere il Direttorio francese. Questi però gli ha ordinato di proteggere per quanto è possibile il Governo della Liguria. Nell’an-gustie, in cui si trova il Generale in capo di provvedere in tanti punti diversi farà intanto partire per costì almeno un battaglione; si abboccherà col Generale Serurier per sentire gli ordini dati da lui; e questa sera alle 6 sentirò meglio quel che sarà sperabile; il corriere si terrà pronto per partire. Eccovi in sostanza, cittadino Ministro, tutto quel che mi ha detto il Generale in capo, il quale mi ha promesso altresì di parlare col Direttorio Cisalpino. Io non ho tralasciato di fargli rimarcare gli articoli del vostro cürpaccio, che riguardano la condotta degli aderenti a cotesto Ministro Porro, ed ho impegnato replicatamente il discorso in modo da scoprire qual fosse l’idea della Francia sulla politica esistenza della nostra Repubblica. Ma egli mi ha replicato: Io non ho altre istruzioni, che quelle di proteggere, per quanto mi è possibile, il Governo della Liguria; e mi dispiace di non potervi spedire il numero di truppe, che vorrei. Un Governo che ha una Costituzione deve mantenerla, e difenderla da qualunque attacco. Del resto quantunque il titolo sia il medesimo, pure io credo che sia grande la differenza, che passa fra l’autorità del Generale Berthier alla plenipotenza del Generale Bonaparte. Le intenzioni della Francia non si potranno scoprire, che in Parigi. Qualunque sia per essere la nostra sorte, io son persuaso, che la riputazione, di cui ha goduto fìn’ora il Popolo Ligure d’avere un carattere energico, e intollerante di giogo, possa influire moltissimo a determinare più in una maniera, che nell’altra chi può decidere di noi. Se conserviamo la medesima riputazione, possiamo sperar bene; ma se ci lasciam toccare il polso, e dimostriamo, che non solo ci è fattibile il difenderci dall’estero, ma neppure di reggere l’interno, io non posso non prevedere delle triste conseguenze. Mi ha parlato altresì il Generale Berthier del trattato d’alleanza fra noi, e i Cisalpini. Egli non approva la nostra massima circa la proporzione del contingente. L’eguaglianza assoluta gli par giusta, e se non possiamo obbligarci per 6 mila uomini egli crede, che si debba farlo per 3. Ma da quanto ‘ho potuto congetturare da una breve conferenza avuta stamane con questo ministro Testi, i Cisalpini saranno per ora meno facili a conchiudere, che non lo sarebbero stati giorni sono. Tanto Talleyrand, che alcuni Direttori francesi, si son mostrati con Visconti sorpresi delle premure fatte da Berthier per questo trattato, e perciò sembi’ano inclinati prima di conchiudere a sentir altre nuove da Parigi, e io credo ancora da Genova sulle speranze, che Porro loro avrà fatto concepire in seguito delle critiche nostre circostanze. Il trattato d’alleanza di questa Repubblica con la francese è stato mandato da questo Direttorio al Consiglio di Giuniori, ed ho inteso, che questa mane vi fosse sul medesimo molto fuoco, e vivi dibattimenti, poiché le condizioni generalmente dispiacciono. Anche verso Lugano si dice, che i Cisalpini facciano delle trattative. Vi sono in quelli contorni attruppati dei patrioti dei Balliaggi Italiani, fra i quali sono mescolati dei cittadini Cisalpini, e questa notte è arrivato colà un fatto alquanto serio. I patrioti hanno ucciso due, o tré paesani, ossia contadini delle vicinanze di Lugano. Questi si sono riuniti in massa, e andati incontro ai patrioti li han disfatti, facendone molti prigionieri. Questo fatto deve esser vero, perchè lo tengo dallo stesso Ministro Testi. Salute e fratellanza. Roggiero — 554 — P. S. — Siamo alle 8 di sera, e vengo dal Generale, il quale mi ha consegnato una lettera per quel Generale Sauret a Tortona, da dove partirà un battaglione per costì, dicendomi che in appresso far seguitar questo da altre truppe, e dinanzi a due di questi legislatori Cisalpini ha spiegato, che ci manderà 2 mila uomini; non so se sia per politica, che abbia parlato di tal numero; giacché parlando a parte non ha più specificato la quantità. Egli affollato d’occupazioni, non entrava volentieri in dettagli. Interpellato da me, se aveva parlato al Direttorio; mi ha assicurato che lo stesso non aveva dato a cotesto suo Ministro istruzioni contrarie al trattato. Ma pure, replica, voi vedete quel che scrive il mio Governo, si tratta di cose di fatto. — Oh! rispos’egli, si travvede alle volte. Non si può impedire, che vi siano delle teste riscaldate. Ma un Governo che ha una costituzione deve agire con fermezza, e deve difenderla con energia; ed io vi replico che sono qui per proteggervi, e che la Francia così vuole. Se vi sono delle Persone, ch’eccitino dei disordini, si arrestino senza riguardo alcuno a qualunque cocarda, che le stesse possano avere. — Dite bene, Generale, ma quando si tratta di persone rivestite d’un carattere pubblico? — Cosa importa! si scrive in tal caso al Direttorio fermamente: avete voi dato al nostro Ministro ordine di far la tal cosa; sì, o nò? Se risponde negativamente allora si replica: dunque il vostro Ministro ha oltrepassato le vostre instruzioni, perciò piàcciavi richiamarlo. Non ci vuol debolezza, se siete deboli siete perduti. Bisogna agire con vigore e con repubblicana franchezza; se avete a lagnarvi della condotta di qualche Ministro estero scrivete come vi ho detto, date una nota franca, e leale, quando avrete la risposta parlare con me; avete la Francia, e il suo Governo, che vi protegge. Ma velo replico, e non posso abbastanza replicarlo: ci vuole energia —. Eccovi, o Cittadino Ministro, per quanto è possibile ricordarmene, le precise parole del Generale in capo Berthier. Piacciavi comunicarle al Direttorio di cui aspetto gli ordini per eseguirli con zelo, prontezza, ed energia. Sarebbe bene all’occorrenza, che mi provvedeste ancora delle credenziali presso il Generale in capo dell’Armata francese. Sono formalità: ma queste formalità influiscono sugli uomini, e v’influiscono anche le più piccole cose. Io temo però che il Generale Berthier non faccia qui una lunga dimora, ho inteso da qualcheduno ch’è probabile, che fissi il suo quartier generale in Ancona. Salute e fratellanza. Roggiero .30. Milano, 7 Marzo 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Cisalpina, al Cittadino Ruzza, Ministro delle Relazioni Estere della Rep. Ligure. Cittadino Ministro, Senza vostre lettere a rispondere, vi confermo la mia d’ieri l’altro col corriere Gio. Reta. Stasera ancora ho parlato un momento col Generale Berthier, ed ho inteso dallo stesso, che due compagnie di Granatieri erano già costì arrivate, alle quali altre ne succederebbero. Procurai d’introdurre il discorso sopra la necessità di lasciar fisso a Genova un numero competente da 800 a mille soldati, fin a che lo esigessero le circostanze nostre politiche, accennandogli, che in questo genere il troppo, e il poco sono per noi egualmente rovinosi. Ma egli salta sopra i dettagli, e sembra schermirsi da impegnarsi in fissazione alcuna. Mi rispose vagamente: Non vi dubitate, tutto andrà bene: vi mando per ora tutto quel che è necessario, e in ogni evento vi proteggiamo tanto efficacemente da lontano, che da vicino. Porse saranno le di lui occupazioni, che lo determineranno ad abbreviare il discorso con proposizioni generali. Si trovavano da lui dei Deputati Svizzeri, e da quanto ho inteso pare, che l’intenzione della Francia sia decisa riguardo ai Balliaggi Italiani. Il Generale disse a quei di Lugano: Unitevi alla Repubblica Elvetica. Se avete bisogno di protezione l’avrete dalla Francia. Essa non vuole nè ingrandir sè stessa, nè la Repubblica Cisalpina. Quei che vennero nelle vostre vicinanze a molestarvi sono persone non riconosciute da Potenza alcuna. Tre di questi sono già stati arrestati, fra quali un francese, che si dava il titolo di Generale in Capo: io li farò punire severamente. Con tutto ciò si dice generalmente che la Francia sia per accondiscendere alla Cisalpina del Balliaggio di Mendrisio, e ciò a cagione della sua situazione al di quà del lago di Como. Questo Direttorio mandò, come già vi segnai, al Consiglio de’ Giuniori il trattato d’alleanza sottoscritto dai suoi Ministri in Parigi; e sebbene si tenga il segreto, pure ho riscontrato, che sussiste quanto vi scrissi intorno agli articoli principali. Posso aggiungervi solamente che in detto trattato si fissò il numero di truppe, che potrà aver su’ piedi la Cisalpina, che sarà eguale a quello, che delle proprie vi la-scierà la Francia; cioè di 25 mil’uomini. Il Direttorio nel suo messaggio fa noto al Consiglio che niente ha trascurato per ottenere più vantaggiose condizioni, e che scrisse perfino ai suoi Ministri, che qualora non avessero potuto riuscire a farle migliorare, esso era pronto a dimettersi. Con tutto ciò tutti e tré i Ministri Cisalpini in Parigi han sottoscritto. Quindi gran dibattimenti nel Consiglio, e fin ora pare, che il partito maggiore sia quello, che non vuole ratificare il trattato, egli pensa d’inviare a Parigi una Deputazione. Se è vero, come lo sembra, che i Ministri Cisalpini abbiano contro le istruzioni del Direttorio sottoscritto il trattato, bisogna credere che a ciò siano stati indotti da forti timori di pregiudicare col loro rifiuto la sicurezza della Repubblica Cisalpina, come di fatto ho potuto arguire da certe proposizioni intese alla sfugita. Da Roma si hanno buoni riscontri. Si andava organizzando quella nuova Repubblica, e dopo essere stati fucilati 22 di quelli, che avevano voluto fare un ricevimento all’occasione della momentanea discussione frà le truppe francesi, regnava in quella città la massima quete. Salute e fratellanza. Roggiero — 556 — 31. Milano, 14 Marzo 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Cisalpina, al Cittadino Ruzza, Ministro delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure. Amico, Non posso spiegarvi quanto mi abbia allarmato la partenza improvvisa per costi del generale Berthier seguita ieri mattina. Nella notte egli aveva ricevuto un corriere da Parigi, il quale recò alcune lettere a questo Ministero. Una ne ho letto, ossia un articolo, diretto da quel Ministro ^sconti a Porro. Gli segna, che in Parigi è questione d’un progetto di divisione della povera nostra Liguria. Dall’occidente sino a Savona proprietà francese; da Savona a Sestri di Levante al Re di Sardegna; e da Sestri sino a Pontremoli alla Cisalpina. Aggiunge che non crede definitivamente adottato questo-progetto, e che egli farà il possibile per avere ancora la parte del Re Sardo. u m nlà pnma d’ora lo stesso Visconti scrisse a questo Min.o delle Relazioni Estere che Talleyrand gli aveva promesso accrescimento di territorio, e di marina. Col suddetto corriere gli marca, che detto Talleyrand l'ha assicurato, che. frà pochi mesi la Cisalpina avra il primo porto del Mediterraneo. Guardate, amico, quante stoccate io ricevo, e giudicate voi della profonda mia afflizione. R tornando a Berthier, egli è partito all’improvviso senza prevenirne alcuno. Dopo la partenza dello stesso, il Direttorio ha una di lui lettera nella quale gli assegna il tempo di 4 giorni, secondo alcuni, e secondo altri, di 48 ore per fardi saoere la decisione di questi Consigli sul trattato i -m ficano, o lo rigettano. e di g generale per tutti, eziandio per ■ — 557 — gli stessi francesi, non sarebbe da tirarne alcuna conseguenza per la Liguria, se non vi fossero le altre predette circostanze, che obbligano a far conto di tutto. Ad ogni modo io vivo nelle tribolazioni, e vi prego confidentemente di dirmi qualche cosa o per mia quiete, o per mia rassegnazione. In mancanza di sicure occasioni non vi mancheranno espressioni per farvi capire per la posta senza compromettere gli affari; il benché minimo cenno lo comprenderò. Salute e fratellanza. Roggiero P. S. Se mai pel servizio pubblico vi occorresse di far uso presso i francesi di quello, che scrive Visconti da Parigi, vi prego a farlo con le dovute cautele senza nominare alcuno per non comprometterli. l.mo perchè sarebbe un’abbusare d’una confidenza, che mi è stata amichevolmente fatta; in 2.do luogo perchè comprometterebbe il servizio pubblico, giacché obligandoli a maggior circospezione verso di me si taglierebbe il mezzo d’avere quelle nozioni, che per la Patria è interessante sapere. P. S. Boccardi mi ha fatto passare da Rastadt altro dispaccio diretto a suo fratello il direttore delle poste, a cui lo mando per mezzo del latore. 32. Milano, 21 Marzo 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Cisalpina, al citt. Ruzza, Ministro delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure. Cittadino Ministro, Ritornando al trattato si deve calcolare la composizione delle truppe Cisalpine venendomi supposto, che un terzo di queste sia di soldati, e ufficiali Francesi. Su quanto poi ai 18 milioni annui da pagarsi dai Cisalpini alla Francia si vuole che questa potenza nell’atto delle trattative li abbia assicurati, che procurerebbe loro mediante l’ingrandimento del loro territorio dei mezzi, onde reggere tal peso. Questa promessa, considerando la natura del trattato, non pare inverosimile, nè contrario all’interesse dei francesi l’eifettuarla. Riguardo a quel tanto che vi segnai nella mia mercoledì scorso 14 c.te speditavi coi cittadino Benzi, posso assicurarvi d’aver letto io stesso l’articolo relativo a noi della lettera di Visconti a Porro. Lo stesso ha scritto pure ufficialmente al ministro Testi siccome ho penetrato da buon canale; aggiongeva però, e parmi d’averlo segnato, che non credeva, che quel progetto fosse già definitivamente adottato. Su una sola particolarità mi sono ingannato, e si è quella, che concerne la speranza data al suddetto del primo porto del Mediterraneo. Vi dissi, che la stessa gli era stata data dal Min.o Talleyrand. Invece scrive, ciò essergli stato detto da qualche membro del Direttorio di Parigi. Qui si presume che il sistema dell’Italia sarà fissato a Rastadt. Il nostro trattato, che si stava negoziando con la Rep.ca Cisalpina mi è stato detto, che questo Ministro deve spedirlo a Parigi. A tal proposito interrogato da me il Ministro Testi mi rispose, che veramente erano imbrogliati, poiché essi non potevano più pren- — 558 — dere impegni senza il consenso della Francia; dal che io congetturo, che un trattato con la Repubblica francese vi sia qualche articolo analogo e questa risposta; tanto più, che nelle prime proposizioni, per quanto si disse allora, la Francia esigeva, che la Cisalpina non potesse far guerra ad alcuna potenza senza il consenso della prima. Salute e fratellanza. Roggiero 33. Milano, 24 Marzo 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Cisalpina, al citt. Ruzza, Ministro delle Relazioni Estere della Rep. Ligure. Cittadino Ministro, Privo in quest’ordinario di vostri Dispacci, vi confermo l’ultimo mio di mercoledì scorso. All'indomane fui a far visita al Generale Berthier. Lo trovai di buonis-s’umore, ben contento dell’accoglienza costì incontrata, della Guardia d’onore assegnatagli, dello spirito pubblico Ligure, della buona intenzione del nostro Direttorio, e sopratutta dell’unione, che aveva rimarcata con piacere fra le diverse nostre autorità costituite. Ieri egli si pose di bel nuovo in viaggio per Genova. Per quanto ho inteso dal Citt.o Vincenzo Spinola le intenzioni di questo Generale sono di farsi imprestare dai nostri ex-nobili cento mila scuti da rimborsarsi sugli effetti di Roma da liquidarsi quanto prima, kgli ha pregato suddetto nostro concittadino d’iudirizzarlo a qualche ex-nobiJe ricco, che potesse facilitargli l’intento. Spinola ha risposto col quadro dei danni sofferti eper la sospensione dei redditi di Francia. La medesima mira aveva il Generale sugli ex-no 11 lombardi da cui si lusingava di ricavare tre milioni. Uno degli oggetti della missione del Cittadino Celentam Segretario del Min.o Testi, si era appunto di rappresentare al Generale 1 impossibilità di avere detta somma, e quindi si pretende, che siasi determinato a ridurla ad 1 milione e lire &nn mila ìm^ii • V • guardo di positivo. NU“* Per° S° d‘rV1 * «Mst» ri- to Q“"d0.d6t1'0 Ci“adino Celentani si portò costi, non era ancora stato rancato dagl, anziani li noto trattato d'alleanza. Il generale Berthier facendogliene dei rimproveri gli di.se, che i Cisalpini erano ingrati, che il Direttorio di Francia era intenzionato d'incorporare all. Cisalpina il Piemonte, Genova, e parte della Toscana per fa,e la Repubblica del Nord dell'Italia, dovendo il rimanente della Penisola servire per formare la Repubblica del Sud: che tal* 0,-a ;i „ ^ ■ n a j:euit,OId servn e Per rifiuta del trattato non^ gli farebbe sorpresa, che il Dire'ttoVdi questi del^io li teÇ^ Cisalpina il ™ schifosa l’amara pillola del trattato. Nè mancano fatti ne i * * Prima d’arrivare in Milano il Generale Berthfe °rare S'm'le C0I1gettura-avevano approvata l’alleanza. Con tutto ciò e 1' ? ^ Camin0’ che 1 Seniori Cisalpini la rivoluzione di Mon tignosi 'edÆ“ * rimproverare i chiamato il distaccamento di 40 uomini eh a * * VemSS8 lmmediatamente ri- per quel comune; anzi mostrando il S n r le deî caT ^ del cattlv umore disse al Ministro Testi,. 559 - •che per proteggere il Governo lucchese egli avrebbe spedito a Lucca una mezza brigata francese. Si è lamentato similmente dei movimenti eccitati da questo Direttorio nei Bal-liaggi Italiani-Svizzeri, ed io suppongo, che i medesimi rimproveri si saranno estesi anche ai tentativi dei Cisalpini sulla Liguria. Se si deve credere a tutte le relazioni, ch’io ho su questi affari, sembrerebbe, che in tutto ciò vi fosse contraddizione tale da distruggere ogni combinazione politica. Salute e fratellanza. Roggiero P. S. — Da tutte le Gazzette francesi si conferma, che il generale Brune assuma il comando supremo dell’Armata d’Italia, e che Massena è destinato per Genova. Tutte si accordano egualmente ad annunziare dei gran cambiamenti in Italia. La nostra posizione è tale, che la nostra indipendenza isolata può accordarsi con qualunque siasi progetto. Pare deciso, che il Generale Bonaparte non andrà più a Rastadt, e che quel congresso non avrà che fare con gli affari d’Italia, che la Francia vuol sistemare da sè senza l’intervento della Germania. 34. Milano, 25 marzo 1798. Roggiero, Ministro Plenipotenziario della Repubblica Ligure presso la Cisalpina, al citt. Ruzza, Ministro delle Relazioni Estere della Repubblica Ligure. Vi confermo la mia d’ieri sera col citt.o David Invrea replicandovi, che Berthier deve aver fatte a questo Governo rimostranze contro gl’intrighi in Lucca, Svizzera, Genova. A fronte di tutto ciò, ho luogo di credere, che per aver denari vi farà presente, che qualora noi non fossimo in caso di compiacerlo, si vedrebbe costretto a secondare le mire dell’unione in premio dei sussidi, che da questo Governo potesse avere. E da rimarcarsi che l'autorità di Berthier non è quella di BuoDaparte. Io credo perciò, che non sarebbe male di farle intendere, che il nostro Governo ha esposto a Parigi lo stato delle nostre Finanze, e che quel Direttorio Esecutivo va concertando dei mezzi, onde sgravarsi in proporzione del peso, ossia dalla paga della truppa ausiliare, che ci erano necessarie. Insomma io penso che la mira dovrebbe essere di fargli nascere il timore di fare un passo falso. Pensate altronde che ben presto Berthier deve ritornare in Francia. Dicesi, che qui abbia avuto un milione. Roggiero (A tergo della precedente lettera). Scrivere a Roggero che nel prossimo mese di Aprile andrà a scadere un ricapito sulla Tesoreria generale Cisalpina, debitamente accettato, di lire quattrocento mila tornesi, affine che riferisca se probabilmente sarà estinto alla precisa scadenza, ed in tal caso come penserebbe far venire il denaro a Genova. \ L v> INDICE jt jt jt Pag. Albo dei soci al 31 dicembre 1934-XIII........... v La Società Ligure di Storia Patria nell’ultimo triennio......xlvii Vito Vitale Il contributo della Società Ligure alla cultura storica nazionale . . . lvii Carlo Bruzzo Capitolato, contratti e ordinamento dei lavori per la costruzione delle nuove mura di Genova nel 1630-32 .......... 1 Clelia Jona Genova e Rodi agli albori del Rinascimento.........67 Antonio Canepa Sopra un frammento d’una lapide medievale recentemente trovato in Sanremo...................155 Roberto Lopez L’attività economica di Genova nel marzo 1253 secondo gli atti notarili del tempo..................163 Raffaele Di Tucci Documenti inediti sulla spedizione e sulla mahona dei Genovesi a Ceuta 271 _ — 562 — Pag. Emilio Pandiani Il primo comando in mare di Andrea D’Oria, con uno studio sulle galee genovesi....................341 Vito Vitale Statuti e ordinamenti sul governo del Banco di S. Giorgio a Famagosta 391 Raffaele Ciasca Relazioni diplomatiche fra la Repubblica Ligure e la Cisalpina nel 1797- 1798 ................... 455