ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Volume LXXI ATTI SOCIALI V. VITALE- Ripresa — - Albo Sociale MONOGRAFIE A. RIGGIO - Genovesi e Tabarchini in Tunisia settecentesca R. DI TU CCI - Lineamenti Storici dell'industria serica genovese D. CAMBIASO - Casacce e Confraternite medievali in Genova e Liguria P. REVELLI - Per la corologia storica della Liguria -----------■ ■ - ....---------------- GENOVA NELLA SEDE, DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Vol. LXXI I GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO 1948 PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA ISTITUTO GRAFICO BERTELLO — BORGO S. DALMAZZO (CUNEO) RIPRESA (RELAZIONE DEL PRESIDENTE PROF. V. VITALE) . . La Società Ligure di Storia Patria riprende con questo LXXI volume degli Atti la propria attività scientifica. E’ vero che alla fine del 1947 si è distribuito il volume LXX (La schiavitù in Liguria, di Luigi Tria) ma questo era stato preparato negli anni anteriori, durante l’amministrazione della “ Deputazione di Storia Patria per la Liguria „ e stampato, tra molte vicissitudini tipografiche, nel periodo di transizione tra l’uno e l'altro ente, cosicché soltanto per quelle vicende di carattere tecnico il volume è uscito quando la Società aveva ripreso il vecchio nome e l’antica funzione. Nell’adunanza del 6 marzo 1948 il Consiglio Direttivo ha stabilito che, per il momento, data anche la necessità di ridurre le spese di stampa, dovesse essere redatto soltanto un breve cenno riassuntivo delle vicende della Società (e della Deputazione che per alcuni anni l’ha sostituita) a datare dal 1929, a cui si arrestava l’ultima delle relazioni sull’attività sociale dovuta al segretario del tempo, prof. Francesco Poggi. Secondo la consuetudine, questo breve cenno avrebbe dovuto essere compilato dal Segretario attualmente in carica ; ma poiché il caso aveva voluto che l'attuale Presidente avesse assistito, con nomi e funzioni diverse, a tutte le vicende e i passaggi, venendo quasi a rappresentare la continuità della vita sociale, è parso che a lui spettasse rievocarne le tappe. E lo farà con la maggiore brevità possibile, non solo per evidenti ragioni pratiche, ma per la convinzione che gli Atti nostri, destinati specialmente alle memorie scientifiche e alle pubblicazioni documentarie, non debbano essere ingombrati da troppo ampie e minute esposizioni, di valore storico molto limitato, sulla vita interna della Società ; e in questo apprezzamento è stato confermato anche dalle vicende che hanno accompagnato l’analitica relazione sul periodo 1917-29 e dalle recriminazioni, non sempre ingiustificate, di enti e persone, che ne sono derivate. Appunto in conseguenza di quelle lamentele, il Segretario prof. Poggi nella seduta del 1° aprile 1931 presentò al Consiglio direttivo le proprie dimissioni, che il Consiglio credette di dover accogliere, anche se con molto rincrescimento e riconfermando al Poggi la riconoscenza di tutta la Società per l’opera solerte, benemerita, disinteressata prestata per lunghi anni con profondo affetto e assoluta abnegazione. - Vi - Nella seduta del 16 maggio il nuovo Consiglio, eletto in quei giorni e del quale il prof. Vitale era entrato a far parte, lo pregò di assumere temporaneamente le funzioni di Segretario ; una temporaneità che dura, in forme diverse, da diciassette anni. Intanto la Società attraversava una crisi anche nella presidenza, perchè il prof- Enrico Bensa, che, nonostante la tarda età, aveva assunto con vivo fervore di propositi e di iniziative la direzione dei nostri lavori, colpito da malattia, non aveva potuto tradurre in atto i propositi stessi e aveva cessato di vivere alla fine di maggio. L’illustre Presidente, che agli studi storico-giuridici aveva dato tanti cospicui contributi, fu solennemente commemorato nell’Assemblea del 16 gennaio 1932 dal prof. Emilio Pan-diani con un eloquente discorso denso di dottrina e vibrante di affetto, inserito poi nel vol. LXI degli Atti. Nella medesima seduta l’Assemblea elesse a nuovo Presidente il prof. Mattia Moresco, Rettore dell’Università, cultore di studi storico-giuridici, e per qualche tempo, in passato, Segretario della Società 1 primi tre anni della presidenza Moresco sono stati molto attivi per quanto riguarda le pubblicazioni sociali: oltre ai volumi L1X-LX11I degli Atti, accolti con largo favore dai Soci e dagli studiosi (1), è stato pubblicato, nella Serie del Risorgimento, il secondo volume delle Lettere di Agostino e Giovanni Ruftìni dall’esilio a cura di A. Codignola e, in edizione a parte, Il Palazzo del Cornane di O. Grosso e G. Pessagno. Questa attività si è conchiusa col poderoso volume LX1V degli Atti, che conteneva l’albo sociale al 31 dicembre 1934, una breve relazione del Segretario sulla vita del sodalizio nel triennio, un suo succinto riassunto sistematico dell’opera scientifica svolta dalla Società (Il contributo della Società Ligure alla cultura storica nazionale) e ben otto monografie per diverso rispetto notevoli (2). (1) Voi. LIX: V. Vitale, Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo (1768-1836); voi LX: R. PlATTOLI, Lettere di Piero Benintendi mercante del 300 e G. Papaianni, L'Archivio di Massa; voi. LXI, miscellaneo: E. PANDIANI, Commemorazione di Enrico Bensa; V. VITALE. Un giornale della Repubblica Ligure. € Il Redattore Italiano* e le sue vicende; P. G. SALVI, Tre questioni di storia flnalese; 0. Pastine, L’arte del corallieri nell'ordinamento delle corporazioni genovesi; V. Vitale, Informazioni di polizia sull'ambiente ligure (1814-1816); vol. LXII: P. NuRRA, La coalizione europea contro la Repubblica di Genova, (1791-93); vol. LX1I1: V. Vitale, Diplomatici e Consoli della Repubblica di Genova. (2) C. Bruzzo, Capitolato, contratti e ordinamento dei lavori per la costruzione delle mura di Genova nel 1630-32; C. Jona, Genova e Rodi agli albori del Rinascimento ; A. CANEPA, Sopra un frammento di una lapide trovato in Sanremo; R. Lopez, L’attività economica di Genova nel marzo 1253 secondo gli atti notarili del tempo; R. Di Tucci, Documenti inediti sulla spedizione e sulla maficna dei Genovesi a Ceuta; E. Pandiani, Il primo comando in mare di Andrea Doria, con uno studio sulle galee genovesi; V. Vitale, Statuti e ordinamenti sul governo del Banco di San Giorgio a Famagosta ; R. ClASCA, Relazioni diplomatiche fra la Repubblica Ligure e la Cisalpina nel 1797-1798. — VII — Tanta attività, attestazione di rinnovato fervore di studi e di soddisfacente situazione finanziaria, chiudeva un ciclo della vita sociale. Mentre il volume LX1V era sotto stampa, un provvedimento governativo di carattere generale (Decreto 20 giugno 1935), riformava tutto l’ordinamento degli istituti italiani di studi storici. Per quanto ci riguarda, la nostra Società e la Sezione Ligure della Deputazione di Storia Patria di Torino venivano fuse a costituire la Deputazione di Storia Patria per la Liguria, alla quale erano aggregate, come Sezioni, le preesistenti Società di Savona e di Albenga-Ventimiglia. Avrebbe dovuto costituirsi anche una Sezione della Lunigiana, estesa sino a Massa e Carrara, con centro alla Spezia, assorbente le antiche Sezioni che facevano capo alle Deputazioni di Parma e di Modena, ma in realtà questa Sezione, formata soltanto sulla carta e variamente divisa e suddivisa per effetto delle tradizioni e delle rivalità locali, non ha funzionato mai. Il Consiglio Direttivo della nuova Deputazione era costituito dal Presidente di nomina ministeriale e dal Vicepresidente e da due Deputati designati dal Presidente e confermati dalla Giunta Centrale degli Studi Storici, oltre che dai Presidenti delle Sezioni. Praticamente un tale Consiglio non è entrato mai in funzione e la Deputazione, sebbene il Consiglio non fosse più eletto dai Soci, ha continuato ad essere governata dagli uomini che erano stati alla testa della Società. La fortuna ha voluto che al momento della trasformazione fosse a capo della Deputazione di Torino il nostro stesso Presidente e che, avvenuta la separazione di quella in quattro Deputazioni regionali (Torino, Milano, Genova, Cagliari), egli stesso fosse confermato a presiedere la Deputazione Ligure. A sua volta, egli designò a far parte del Consiglio Direttivo il Vicepresidente della Società Ligure, march. Paolo Alerame Spinola e il Segretario, prof. Vitale, con l'aggiunta del prof. Emilio Pan-diani, antico Socio e valoroso collaboratore degli Atti, cosicché non si ebbero mutamenti nelle persone e quindi nell’indirizzo scientifico e amministrativo dell’Ente. Se a ciò si aggiunge che locale, suppellettile, biblioteca, fondi amministrativi erano quelli stessi della Società, senza nessun apporto da parte della Sezione della Deputazione torinese, si dovrebbe concludere che il cambiamento era soltanto nel nome, se non fosse necessario riconoscere che c’erano alcune importanti innovazioni. A parte il fatto che i Soci erano esclusi dall’ eleggersi il Consiglio Direttivo, la Società, divenuta statale, perdeva 1’ autonomia scientifica e amministrativa. Essa doveva sottoporre alla Giunta Centrale il proprio piano di lavoro annuale e i bilanci, preventivamente approvati dall’ Assemblea, e anche la nomina dei revisori dei conti. Per quanto in verità non si siano avuti mai rilievi o opposizioni, si trattava di un’altra limitazione dei poteri sovrani dell’ Assemblea. Inconveniente assai più grave e - Vili - male accetto era che gli appartenenti alla Deputazione si trovavano divisi in due categorie: i trenta Deputati, partecipi di diritto, di nomina ministeriale, su designazione del Presidente, e i Soci volontari e paganti; distinzione che, male accolta dalla maggioranza dei Soci, ha provocato malumori e defezioni. Anche nel passato — e non può essere diversa-mente — la Società era stata costituita di elementi tecnici, gli studiosi per passione o per professione, e quindi collaboratori degli Atti, e gli amatori e dilettanti ; ma i primi, anche quando si chiamavano Belgrano, Desimoni, Vigna, Remondini, Staglieno, Pessagno, Issel, Imperiale, Poggi, non si sentivano affatto in condizione giuridica superiore agli altri Soci, i quali, a lor volta, erano lieti e onorati di secondare col loro voto e col loro favore l’opera di quegli insigni studiosi. Fu dovuto in gran parte al tatto e amabilità del Presidente Moresco, affezionatissimo alla vecchia istituzione, se non si sono avuti inconvenienti e la vita è continuata normale, quasi non si fosse cambiato che il nome. L’Assemblea, per esempio, ha sempre riunito Deputati e Soci, e nel corso di parecchi anni si sono avute due soltanto di quelle riunioni separate dei Deputati che pure erano volute dal vigente regolamento. Ma è innegabile che alcuni Soci si sono disamorati e che è diminuito il numero delle nuove adesioni. Anche l’attività scientifica è continuata immutata. Con molta opportunità, nei nuovi volumi degli Atti si è continuata la numerazione antica, in modo che oggi non si ha alcuna interruzione nella serie che vanta novant’anni di esistenza e di lavoro. 11 primo volume pubblicato dalla Deputazione (LXV della raccolta degli Atti) comprende i Documenti sul Castello di Bonifacio nel secolo XIII, ampia collezione di atti notarili che illustra la vita civile ed economica della più antica colonia genovese in Corsica, a breve distanza dalla sua fondazione. Questa serie integrata dai nuovi documenti sul castello di Bonifacio, pubblicati poco dopo, come i precedenti, dal prof. Vitale, ha richiamato l’attenzione specialmente degli studiosi della storia commerciale e giuridica che vi hanno trovato forme nuove e affatto speciali di rapporti economici e giuridici, massime per quanto riguarda la guerra di corsa (l). L’ampia monografia del P. Guglielmo Salvi intorno a un importante momento degli agitati rapporti tra Genova e il Finale (Galeotto del Carretto e la Repubblica di Genova) costituisce il volume LXVI. E’ un importante contributo a quella storia della prima metà del 400 che nella recente storiografìa ligure ha assai scarso sviluppo. La seconda parte di questo (l) Cfr. A. Lattes, Il diritto marittimo privato nelle carte liguri dei secoli XII e XIII, Tipografia poliglotta vaticana 1939 ; e specialmente A. SciALOlA, Contratti tipici del Castello di Bonifacio nel volume Saggi di diritto marittimo, Società Editrice del Foro Italiano, Roma 1946. - IX - studio non è stata consegnata dall’autore, che, allontanatosi dalla Liguria, sembra aver abbandonato i nostri studi. Ha tenuto dietro a questo volume una miscellanea contenente quattro studi: di C. Bruzzo, Note sulla guerra del 1625; di S. Rebaudi, Le statue dinanzi la facciata del palazzo ducale in Genova ; di A. Riggio, Tabarca e gli schiavi in Tunisia (1563-1702); e più esteso ed importante di tutti, di O. Pastine, La politica di Genova nella lotta veneto-turca dalla guerra di Candia alla pace di Passarowitz, acuta e diligente indagine che reca nuova luce non solo sui discussi atteggiamenti della Repubblica, ma su tutta la politica italiana della seconda metà del XVII secolo e al principio del XVIII, ed è importante perchè ne risulta, senza preconcetti o tesi prestabilite, che l’azione del governo genovese non era ispirata soltanto, come è uso dire, al proprio interesse grettamente inteso, ma a larga visuale della situazione generale italiana- E' insomma uno studio di ampio respiro che rientra nella migliore tradizione dei nostri Atti. Il vol. LXVIII è stato pubblicato in tre distinti fascicoli ; il primo comprende I Sinodi genovesi antichi di Mons. D. Cambiaso; il secondo l’accennata aggiunta ai documenti di Bonifacio ; il terzo, Liguria Antica di E. Curotto, che riprende una materia da lungo tempo trascurata negli Atti, è una riassuntiva esposizione sistematica della preistoria e della storia ligure fino alla caduta deH’Impero Romano. Finalmente nel 1942 fu pubblicato il volome LXIX : Le pietre sepolcrali di Arab Giamì (antica Cfiiesa di S. Paolo a Gala ta) pubblicate e illustrate da E. Dalleggio D’Alessio. Interessante per la riproduzione delle lapidi, il volume reca notevole contributo di nomi e notizie su molti genovesi deceduti a Pera tra il XIII e il XV secolo e si aggiunge alle numerose pubblicazioni sociali relative a quella importantissima colonia. Un altro manoscritto era pronto e già passato in tipografìa, quello di Luigi Tria sulla schiavitù in Liguria, quando, per l’intensificarsi delle azioni belliche sulla fine del 1942 e nei due anni successivi, ogni attività rimase sospesa. Naturalmente, con gli Atti rimase interrotta l’altra collezione alla quale negli ultimi anni si erano rivolte cure particolari. Genova possiede — ed è generalmente meno noto di quanto sarebbe necessario e doveroso — la più antica e quindi la più importante serie continua di atti notarili che si conosca, in quanto risale al secolo XII. Data l’estensione dei commerci e l’intensità della vita economica genovese medievale, questa raccolta fornisce un materiale di prim’ordine per la storia del commercio e del diritto in tutto il Mediterraneo, oltre a permettere a Genova'— unica tra le città italiane — di ricostruire la propria vita civile ed economica sin dal tempo del Barbarossa e di Enrico VI. Di questi preziosi documenti molte parziali e sporadiche pubblicazioni erano state fatte, massime nei nostri Atti, a cura di valenti studiosi, sopra tutti benemerito l’infaticabile Arturo Ferretto. I numerosi studi di italiani e. più, di stranieri sui documenti pubblicati, ma soprattutto nell’inesauribile miniera di registri originali hanno acuito il desiderio di una loro sistematica pubblicazione integrale, tanto più che uno studioso americano, il prof. Eugenio H. Bvrne dell’Università di Madison, circa trent’anni or sono ha fotografato i più antichi cartolari notarili, portandosi in America oltre diecimila fotografie, comprendenti non meno di cinquantamila documenti, che costituiscono il materiale di studio di una vera scuola di storia economica genovese fiorente presso quella Università. Valendosi della collaborazione degli studiosi americani e unitasi — per dividere l'onere finanziario della pubblicazione — con la “ Collezione di Documenti e Studi per la Storia del Commercio e del Diritto commerciale italiano ", la Storia Patria si è proposta di cominciare la pubblicazione integrale dei più antichi registri notarili. L’opera si è iniziata con un volume introduttivo — relatore il prof- Gian Piero Bognetti — sull’attuale composizione dei registri stessi, risultanti dal disordinato accostamento di frammenti di notai e di tempi diversi, sulla loro sistematica ricomposizione, con un piano organico limitato, per il momento, ai cartolari del secolo XII, come quelli che hanno per la loro antichità maggior valore e sono più esposti all’azione distruggitrice del tempo. Dopo il volume introduttivo (Per l’edizione dei notai liguri nel secolo XII, 195S) sono stati editi tra il 195S e il 1940 sette volumi, contenenti atti trascritti da collaboratori nostri e americani. La pubblicazione, che ha avuto larga eco in Italia e fuori, specialmente da parte dei cultori di storia economica e giuridica, è stata possibile sia perchè l’onere della spesa fu diviso con la "Collezione" predetta, sia perchè il fattivo interessamento del Presidente Moresco aveva procurato il necessario finanziamento. Purtroppo, lo scoppio della guerra, anche a causa degl’interrotti rapporti coi collaboratori americani, ha troncato questa attività, come poi le vicende ulteriori ogni manifestazione della vita sociale. E’ stata tuttavia una grande fortuna tra tante rovine che, sebbene il Palazzo Rosso abbia subito nei piani superiori gravissimi danni, la nostra sede non abbia avuto a deplorare che i vetri rotti e due soffitti pericolanti nelle stanze della biblioteca 'oggi riattati a cura del Municipio) e che nessun danno abbia subito la suppellettile libraria rimasta in sede. La parte più preziosa però — è noto che la Storia Patria possiede, in materia storica, una collezione di riviste e pubblicazioni di Società e Accademie italiane e straniere che non trova riscontro nelle altre biblioteche cittadine — era stata tempestivamente portata in salvo col generoso intervento dell’Ufficio municipale di Arte e Storia, al quale va tutta la nostra riconoscenza, tanto più che lo stesso Ufficio ha poi curato il ritorno in sede del materiale. Avvenuta la liberazione, il Ministero della Pubblica Istruzione ha nominato un Commissario per la Giunta Centrale degli Studi Storici, il quale a sua volta ha designato un commissario per ciascuna delle Deputazioni, con l’incarico di ricuperare le suppellettili, riattare 1a sede e rimetterla in funzione riattivandone la vita amministrativa e scientifica, ma con l’esplicita disposizione che prima di procedere a qualunque riforma organica nel nome e negli ordinamenti occorresse attendere un provvedimento legislativo già in preparazione. Con lettera 29 novembre 1945 il prof. Gaetano De Sanctis, Commissario presso la Giunta Centrale, affidava, con le norme su indicate, la temporanea reggenza della Deputazione al prof. Vitale che ha accettato perchè così non si interrompeva la continuità della vita sociale, e in una breve relazione, esposte le condizioni dell’Ente, non ha mancato di far presente quello che sapeva voto generale, il desiderio cioè che potesse ricostituirsi l’antica e gloriosa Società Ligure di Storia Patria, senza distinzione di diritti tra i suoi componenti. Il voto fu confermato — e subito trasmesso al Ministero — dall’As-semblea dei Soci tenuta il 6 aprile 1946, con la quale si riprendeva la vita sociale. Quest’Assemblea, dopo una breve relazione del Commissario, che si augurava si potesse procedere al più presto all’elezione del Presidente e del Consiglio Direttivo, deliberato l’adeguamento della quoia sociale a 200 lire e l’invito ai Soci vitalizi ad integrare anch’essi, nella misura che ritenessero più opportuna, la somma a suo tempo versata, stabilì di sospendere temporaneamente l’accettazione di nuovi Soci vitalizi, e diede mandato al Commissario di riallacciare i rapporti con i Soci che le dolorose vicende degli ultimi anni avevano allontanato o disperso. Fu anche espresso il desiderio che per facilitare questi contatti fosse quanto più possibile affrettata la pubblicazione del volume La schiavitù in Liguria, per il quale, dato il contributo dell’autore e uno straordinario sussidio ministeriale, la spesa non superava le possibilità finanziarie. Quanto all’opera Le Arene Candide di Luigi Bernabò Brea, egualmente cominciata a stampare, poiché per lo sbalzo dei prezzi della carta e della mano d’opera, la spesa era troppo superiore ai mezzi disponibili, ogni decisione veniva rimandata. L’autore, cui premeva la sollecita pubblicazione, chiese allora di essere sciolto da ogni impegno verso la Storia Patria, rimborsandola anche delle spese sostenute, e di provvedere per conto proprio all' edizione. Sebbene con molto rincrescimento, perchè si trattava di lavoro di notevole importanza e di argomento che si riconnetteva alla Liguria Preistorica dell’Issel già pubblicata negli Atti, la proposta dovette essere accolta. Appena compiuta la stampa, l’autore, affezionato Socio, fece omaggio della sua pubblicazione alla nostra biblioteca. Frattanto, con Decreto Legislativo 24 gennaio 1947 n. 245, pubblicato nella gazzetta ufficiale del 28 aprile, veniva restituita l’autonomia^alle Deputazioni e Sdcietà storiche istituite e riconosciute dallo Stato anteriormente al 28 ottobre 1922. La Società Ligure, sorta nel 1858 ed eretta in Ente — XII — Morale sin dal 1898, entrava naturalmente in questa categoria ; perciò l’assemblea, convocata il 31 maggio, dichiarava ricostituita la Società Ligure di Storia Patria e ritornato in vigore, in quanto applicabile, l’ultimo statuto, del 1927, da aggiornarsi a tempo opportuno, e fissava al 21 giugno successivo la nuova convocazione per procedere alla nomina del Presidente e del Consiglio Direttivo. Nello stesso tempo deliberava di conservare ai Deputati per tutto il 1947 ogni diritto come Soci effettivi, salvo a pregarli di comunicare nel 1948 se volessero ulteriormente far parte della Società. L’Assemblea del 21 giugno elesse a Presidente il Sen. Federico Ricci, a Vice presidente il march. Gian Carlo Doria e il prof. Vito Vitale, a Consiglieri : dott. Corrado Astengo, prof. Carlo Bornate, prof. Teofilo Ossian De Negri, prof. Bruno Minoletti, avv. Giuseppe Morgavi, dott. Pietro Muttini, prof. Emilio Pandiani, prof. Onorato Pastine, dott. Felice Perroni, prof. Giuseppe Piersantelli, gen. Abele Piva, avv. Agostino Virgilio. 11 Consiglio, convocato la prima volta il 19 luglio 1947, procedette all’assegnaEione delle cariche nominando Segretario il prof. De Negri e confermando tesoriere il dott. Astengo che da lungo tempo ricopriva questa carica con appassionato interesse e impareggiabile perizia ; ma si trovò di fronte alla grave crisi della presidenza perchè il Sen. Ricci, allegando le molteplici occupazioni e la mancanza di specifica competenza, non aveva accettato la nomina, resistendo anche alle più insistenti pressioni. Il Consiglio deliberò tuttavia di rinnovare le insistenze, salvo a prendere, se del caso, una decisione alla ripresa autunnale dei lavori. Infatti nella seduta del 10 dicembre, persistendo il Sen. Ricci nella sua decisione, deliberò di convocare l’assemblea il 20 dello stesso mese per procedere all’elezione del nuovo Presidente. E l’Assemblea portò i suoi voti sul prof. Vitale, forse in riconoscimento della diuturna opera data alla Storia Patria ; e poiché rimaneva scoperto uno dei posti di Vicepresidente, vi chiamò l’avv. Virgilio. NeH’assumere la carica il neo Presidente si disse grato ai consoci della prova di fiducia, ma deplorò l’abbandono della tradizione che voleva alla testa della Società uomini autorevoli e di primo piano nella vita cittadina. Si dichiarò tuttavia lieto di cominciare la nuova funzione presentando il volume finalmente compiuto su La Schiavitù in Liguria, assai ben riuscito dopo tante fortunose vicende, anche nella veste tipografica, del quale riassunse il contenuto indicandone l’importanza per la storia giuridica e del costume. Riacquistata l'autonomia amministrativa e scientifica e ricostituita negli organi direttivi, la Società si propone di riprendere con rinnovato vigore, per quanto la difficoltà dei tempi permetta, la sua opera di studio e di divulgazione della storia genovese. Ma qualunque attività essa debba svolgere occorre prima di tutto che gli amatori e i cultori di questa storia — - XIII - e sono molti a Genova e nella Liguria — le si stringano attorno confortandola con la loro adesione e sovvenendola con l’aiuto finanziario, indispensabile mentre le spese amministrative e di stampa sono tanto elevate. Basta pensare che se il costo di ogni copia del volume LXX, per 1 contributi dell’autore e del Ministero della P. I. non ha raggiunto le duecento lire della quota sociale, altrettanto non può dirsi del volume attuale che non ha avuto alcun sussidio straordinario. L’annua sovvenzione ministeriale pel 1948 di circa 70 mila lire rappresenta un aiuto molto modesto, onde, se non si vuol intaccare l’esiguo capitale della Società, si prospetta l’eventualità di dover sospendere o diradare le pubblicazioni, che sono la nostra stessa ragion d’essere. E anche un eventuale aumento della quota sociale che l’Assemblea voglia decidere potrà attenuare, non eliminare le difficoltà tra le quali ci dibattiamo- Due elementi costituiscono però una speranza e una promessa : l’affluire di nuovi Soci negli ultimi mesi, cosicché dopo gli sbandamenti e le perdite degli anni dolorosi, il numero dei soci è oggi press’ a poco quello del 1939; l’accoglimento da parte di Soci annuali e vitalizi dell’invito a rendere possibile la nostra vita con volontari contributi o con adeguamento di quote. Primo ne aveva dato di propria iniziativa l’esempio — e fu l’ultima prova di affetto all'amata Società — il compianto prof. Moresco, versando già nel 1945 tremila lire in adeguamento della sua quota vitalizia. Successivamente hanno versato allo stesso scopo diverse somme il march. Ambrogio Sauli, il march. Gian Carlo Doria e il march. Marcello Gropallo. I Soci on. Camillo Corsanego, prof. Manfredo Giuliani, Emilio Vaggi e Giovanni Vernazza hanno anch’essi anticipato contributi cospicui in attesa di trasformare in vitalizia la loro iscrizione, mentre numerosi altri (dott. L. Balestrieri, ing. F. Berini, prof. L. Bernabò Brea, Mons. D. Cambiaso, avv. A. Cappellini, avv. L. Carranza, “A. Compagna ”, Consorzio Autonomo del Porto, A. Dellepiane, prof. T. O. De Negri, G. Di Negro, A. Faini, Avv. G. Giampaoli, march. G- B Gritta, prof. O. Grosso, prof. N. Lamboglia, P. G. Lantrua, Municipio della Spezia, avv. L. Peirano, prof. G. Penaglia, prof. B. Penco, prof. P. Revelli, E. Valle, prof. V. Vitale, dott- L. Zonza) hanno risposto all’appello portando a tre a quattro a cinquecento e anche a mille lire la propria quota ; ricordo speciale meritano il signor Orazio Brignola che ha versato 5000 lire e l’avv. Giuseppe e il dott. Gerolamo Morgavi che, in più della quota annua, hanno dato 2500 lire ciascuno. Se, com’è augurabile, questi esempi saranno seguiti (purtroppo in questo genere di attività e di studi non si può fare assegnamento su altri aiuti e la Società deve contare soltanto sui propri Soci e sulla loro volonterosa propaganda) si potrà svolgere il programma che il Consiglio Direttivo si è tracciato e nel quale rientra anche il doveroso ricordo dei Soci scomparsi durante gli ultimi anni. Si tratta di un lungo elenco di insigni studiosi — XIV — e di benemeriti per il costante e devoto interessamento alla vita sociale, dai due ex Presidenti march. Cesare Imperiale di Sant’Angelo e Prof. Mattia Moresco e dal Segretario prof. Francesco Poggi a Giuseppe Pes-sagno, Enrico Guglielmino e Giovanni Monleone, a Paolo Alerame Spinola e Onofrio Sauli, e tanti altri. L’elenco è purtroppo molto lungo (l) e non sarà agevole raccogliere gli elementi anche per succinte biografie : sarà molto gradita la collaborazione dei Soci, almeno nel fornire dati e notizie. Vorremmo non interrompere la tradizione di un volume annuale di Atti, anche se di proporzioni ridotte ; per il volume LXXII, da pubblicarsi nel 1949, il materiale in parte è pronto in parte preannunciato. Un’iniziativa che ci sta molto a cuore è quella dei Notai. E’ un impegno d’onore al quale la Società non può mancare ; ma duplice è la (l) In attesa di poter raccogliere in un prossimo volume i cenni biografici, ci limitiamo a dare qui in nota un puro elenco, purtroppo già lungo, e forse, non pertanto, incompleto, dei soci defunti dopo il 31 dicembre 1934 : 1935: Canepa prof. Antonio, Capurro sac. Giuseppe, Fabbricotti Carlo Andrea, Manfroni prof. Camillo, Marsano mons. Alfredo, Poggi prof. Agostino. 1936: Campora prof. Giovanni, Costa Francesco Domenico, Levati P. Luigi Maria, Porrini prof, avv Raineri, Saivago Raggi march. Paris 1937: Berio avv. Fausto, Centurione Scotto march, ing. Carlo, Copello avv. Giovanni Mario, De Amicis mons. Giacomo Maria, Defornari march. Luigi, Fasce Rodolfo, Figoli De Geneys conte Eugenio, Lercari Gian Luigi, Pareto Spinola march, ing. Damaso, Serpi nob. don Giovanni, Valle prof. Leopoldo. 193S: Bassi prof. Adolfo, Bonguadagno dott. Gerolamo, Casaretto Emma ved. Drovanti, Cattaneo Adorno march. Luigi, Galdini avv. Vittorio, Lanza di Scalea principe Pietro. Mangini sac. prof. Emilio, Oliva Cesare, Pes di Yillamarina e d’Azeglio march. Salvatore, Serra march. Caterina. 1939: Berlingieri prof. avv. Francesco, Croce Beppe, Lattes prof. Alessandro, Sauli Scassi march, dott. Onofrio, Spinola march. Paolo Alerame. 1940: Ascari dott. Celso Mario, Bignone prof. Santo Filippo. Garibaldi Enrico Luigi, Ga-votti march. Lodovico, Imperiale di Sant’Angelo march. Cesare, Monaci sac. dott. Silvio. Preve Cesare, Rubatto Carlo, Sanguineti mons. dott David. 1941: Brunetti avv. Carlo Mario, Bruzzone rag. Michele, Cipollina avv. Marcello, Costanzo Alberto, Noberasco prof. Filippo, Pallavicino march. Alessandro, Passalacqua Marco, Pisano Giacomo, Rolandi Ricci n. h. dott. Gerolamo, Spinola di Lerma march. Luigi. 1942: Dall Orso Mario, De Ferrari avv. Francesco, De Ferrari principe dott. Gerolamo, Bruzzo gen. Carlo, Gavotti march. Lodovico, Gentile march. Gian Carlo, Pavesi dott. Camillo, Rinaldi prof. Evelina, Rollino mons. Francesco, 1943: Balduino conte dott. Giuseppe, Boccalandro avv. Francesco, Bruzzo gen. Carlo, Campanella ing. Tito, Cassanello dott. Paolo, Chiossone avv. David, Dufour ing. Gustavo, Guglielmino prof. Enrico, Massuccone avv. Francesco Giovanni, Panigada prof. Costantino, Pessagno march, dott. Giuseppe, Poggi prof. Francesco. 1944: Canevello prof. Edoardo, Doria Lamba march. Francesco, Maglione march, avv. Giuseppe, Sciolla avv. Odone. 1945 : Borlasca dott. Ugo, Cuneo dott. Nicolò, Giusti prof. Antonio, Pesce Maineri avv. Ambrogio, Ridella prof Franco, Serra cap. Italo. 1946: Bellotti prof. Silvio, Borzino Emilio, Donetti avv. Vincenzo, Maineri nob. Riccardo Moresco prof Mattia. Saivago Raggi march, dott. Giuseppe, Scemi Paolo. 1947: Bozzano ing. Cristoforo, Carrara dott. Venceslao, Massardo ing. Angelo, Monleone dott. Giovanni, Muttini prof. Pietro, Puri rag. Alessandro. 1948: Andriani prof. Giuseppe, Bagnasco mons. Gio Batta, Carrega march. Antonio, De Martini ing. Augusto, Noziglia dott. Augusto, Sauli Scassi march. Catinha n. Eattorno, Tobino dott. Alfredo. - XV - difficoltà. A parte la consueta e assillante questione finanziaria, non è agevole trovare i collaboratori per un lavoro di lettura e di trascrizione che non si presenta nè facile nè dilettevole. Un volume è però in lavoro da parte dell’Archivio di Stato, a un altro attende il prof. Giuseppe Oreste, ed altro materiale giacente presso la Società ha bisogno soltanto d’essere collazionato sugli originali. Anche il prof. Krueger dell’Università di Cincinnati sta compiendo la trascrizione di un notaio sulle fotografie già ricordate ; è nostro voto e proposito che quell’Università, oltre la collaborazione tecnica, si assuma almeno la parte maggiore dell’onere della stampa, tanto più che le nostre difficoltà sono accresciute dalla cessazione della " Collezione di Documenti e Studi ” che divideva con noi le spese, onde tutto il peso grava sulle nostre gracili forze. Bisogna sperare che la fortuna aiuti i nostri propositi e la nostra buona volontà. Certo è che la Società Ligure non può venir meno al dovere di continuare le due serie che le danno nome non oscuro tra le istituzioni italiane di studi storici. Le sue edizioni, costituenti il “Corpus” della storiografìa ligure, come presentazione di fonti documentarie e come opere di vasta e solida ricostruzione che non potrebbero essere compiute o almeno pubblicate da singoli studiosi, devono conservarle il tradizionale prestigio scientifico. Ma la Società sa di avere anche scopi divulgativi. Forse non senza ragione è stata talvolta accusata di essere troppo chiusa in se stessa e quindi poco conosciuta. Perciò il nuovo Consiglio ha ritenuto opportuno riprendere, rinnovandolo nelle forme, un esperimento già fatto nel passato. In anni ormai lontani (cfr. Atti, XLVI, fase. I pag. XLI segg.) si sono tenute nella sede sociale conferenze e conversazioni scientifiche, dopo qualche tempo interrotte forse per l’ambiente troppo chiuso o per il carattere troppo accademico. Nostro proposito è stato invece diffondere la conoscenza della storia nostra, intesa nel più largo significato e nei più diversi aspetti, divulgando presso un largo pubblico i risultati degli studi a carattere scientifico. In unione con la Sezione genovese dell’"Istituto di Studi Liguri” si è organizzata una serie di conversazioni intitolate appunto “Storia Nostra” e tenute nel salone della Camera di Commercio signorilmente messo a nostra disposizione. Hanno successivamente parlato : dott. Nino Lamboglia su Ampurias, la Pompei Catalana, e T archeologia ibero - ligure ; prof. V. Vitale . . : Vita e commercio nei notai genovesi del Duecento ; prof. Carlo Bornate . : La caduta di Costantinopoli e la perdita delle colonie genovesi del Levante ; prof. T. O. De Negri : Topografia di Genova antica ; prof. O. Pastine . . : Genova e l’impero Ottomano nei secoli XVII e XVIII; - XVI - prof. T. O. De Negri arch. C. Ceschi . prof. G. Piersantelli prof. P. Berri . . prof. V. Vitale dott. C. Astengo . Segni di Roma nei Monti Liguri; Architettura religiosa genovese dopo il mille; L’arte negli atlanti genovesi del Medioevo ; Una triade di medici genovesi del primo Ottocento; Guelfi e Ghibellini a Genova nel Duecento ; Genova nella numismatica. Le solite ragioni economiche hanno impedito di inserire in questo volume almeno un breve riassunto delle materie trattate. Speriamo di poterlo fare in avvenire: è infatti intendimento del Consiglio, confortato dalla buona affluenza del pubblico, di continuare la serie delle conversazioni, allargando la cerchia degli argomenti e invitando a parlare anche chi, fuori del ristretto ambito degli specialisti, possa intrattenere su materia interessante, sotto qualunque aspetto, la vita genovese e ligure del passato. Questi i nostri propositi ; ai Soci sorreggerli col fattivo consenso e con l’efficace contributo. - XVII - ALBO SOCIALE CONSIGLIO DIRETTIVO Vitale prof. Vito Doria march, dott. Gian Carlo Virgilio avv. Agostino De Negri prof. Teofìlo Ossian Astengo dott. Corrado Bornate prof. Carlo . Minoletti prof. Bruno Morgavi avv. Giuseppe . Pandiani prof. Emilio Pastine prof. Onorato Perroni dott. Felice . Piersantelli prof. Giuseppe Piva gen. Abele - Presidente - Vicepresidente - Vicepresidente - Segretario - Tesoriere - Consigliere » » » » » SOCI ONORARI Byrne prof. Eugène H. - Columbia University Doehaert prof. Renée - Université - Bruxelles ^ Ofi I rn-ir Krueger prof. Hilmar C. - University'Cincinnati -,Ohio New York Cinc.inna.ti, Lopez prof. Roberto S. - Yale University - New H^ferTConnécticut Reynolds prof. Robert L. - University'Madison'WTsconsìn—1 a a VvV A SOCI VITALIZI o Scons/\ Anfossi dott. Antonio (1927) Balduino Dott. Domenico (1924) Belimbau dott. Eugenio (1924) Bensa Felice (1929) Bibolini ing. G. B. Lerici (1929) Bognetti prof. dott. Gian Piero -Milano (1929) Bruzzo nob- dott. Alfonso (1934) Bruzzo conte Carlo (1931) Calpestri A. Italo - California (1896) Cambiaso march. Pier Giuseppe ( l929) Candioti Alberto M. - Buenos-Ayres (1924) Carpanini Pellegrino - Lerici (1924) Cattaneo di Beiforte march, ing. Angelo - Novi Ligure (1930) Cattaneo Adorno n. Luserna di Rorà march. Giuseppina (1930) Cerutti dott. Franco (1942) Codevilla Mario (1928) Cooperativa Garibaldi (Soc.diNavig.) Doria march, dott. Gian Carlo (1926) Drovanti Anna (1928) Drovanti Maria (1928) Durazzo march, dott. Giuseppe Maria (1930) Fontanabona Ettore (1896) (l) In parentesi la data di associazione. - Xvuì - Gallian Amalia V a Hopenainer (1926) Gallo march. Matilde n. Serra (1927) Garibaldi nob. avv. G. Nicolò (1930) Giordano prof. avv. Ludovico (1924) Gropallo march. Marcello (1920) Guagno ing. Enrico - Torino (1927) Guala Amedeo (1928) Lavoratti rag. Arturo (1941) Negrotto Cambiaso n. Giustiniani march. Matilde (1952) Pallavicino Gropallo march. Maria (1925) Pallavicino march, dott. Stefano Ludovico (1929) Peragallo magg.re Alberto (1928) Peragallo Cornelio - Roma (1926) Piccardo dott. Andrea Luigi (1928) Podestà Cataldi N. D. baronessa Giuseppina (1937) Puccio Prefumo conte dott. Francesco (1924) Puccio Prefumo Jon (1924) Raggi march. Antonio (1927) Sauli Scassi march, dott. arch. Ambrogio (1929) Scorza M. G. Angelo (1924) Serra march. Orso (1927) SOCI ANNUALI Accademia Ligustica di Belle Arti (1873) Amico Rinaldo (1948) Anfosso ing. Dario (1948) Ansaldo Rocco (1948) Antonucci avv. Giovanni (1942) Astengo dott. Corrado (1925) Balestreri dott. Leonida (1934) Barni prof. Gianluigi - Milano (1940) Bensa ing. Paolo (1930) Berini ing. Federico - La Spezia (1928) Berlingieri dott. Adrasto (1948) Bernabò Brea prof. Luigi - Siracusa (1942) Berri dott. Pietro - Rapallo (1943) Bevilacqua Agostino - (1948) Bianco Pompeo (1938) Biblioteca Civica Berio (1858) Biblioteca Civica “ Gian Luigi Ler-cari” (1928) Biblioteca Comunale di Sampierda-rena (1930) Biblioteca Comun. di Sanremo (1923) Biblioteca Comunale di Imperia (1932) Biblioteca della Facoltà di Ingegneria - Genova (1898) Biblioteca Nazionale S. Marco - Venezia (1929) Biblioteca Universitaria di Torino Bocksruth P. Michele O. S. B. - Liegi (1936) Bodoano avv. Angelo (1946) Boggiano Pico prof. sen. Antonio (1890) Bonzi p. Umile da Genova O M. C. (1942) Borgogno dott. G. B. (1932) Bornate prof. Carlo (1914) Bozzo Giuseppe (1948) Bozzola doti- Ferdinando (1948) Brignola Orazio (1934) Brunetti dott. Bruna (1948) Bruschettini prof. Giorgio (1948) Bruschettini dott. Mario (1934) Burlando dott. Federico (1947) Calvini prof. Nilo - Bussana (1939) Cambiaso mons. dott. Domenico (l 899) Camera di Commercio e Industria » Genova (1921) Camera di Commercio e Industria -La Spezia (1921) Canepa ing. Stefano - San Remo (1947) Cappellini avv. Antonio (1932) Caprile Enrico (1923) Carpaneto P. Cassiano O.M.C. (1937) Carpaneto sac. prof. Giuseppe (1937) - XIX - Cari-ansa avv. Livio - Pisa (1924) Casanova prof. Fausto (1938) Cassa di Risparmio di Genova (1923) Castello prof. Margherita (1934) Caumont Caimi conte Lodovico (1920) Centro di Studi Francescani per la Liguria (1939) Chelini Antonio (1946) Chiavola prof. Giorgio (1939) Chiesa avv. Aldo (1930) Chiossone Ernesto (1948) Ciasca sen. prof. Raffaele-Roma (1932) Circolo Artistico Tunnel (1882) Club Alpino Italiano, Sezione di Genova (1948) Codignola prof. Arturo (1923) «Compagna, A» (1923) Consorzio Autonomo del Porto di Genova (1922) Corsanego avv- Camillo - Roma (1923) Curotto prof. Ernesto (1940) D’Amico Francesco (1948) De Bernardi sac. Domenico - Argentina (1947) De Caro rag. Raffaello (1948) De Cavi march. Giannetto (1947) De Fornari Paolo Luca - Serravalle Scrivia (1932) Del Brenna rag. Giuseppe (1948) Del Carretto di Balestrino march- avv. Domenico - Albenga (1923) Dellepiane Arturo (1939) Dellepiane avv. Giuseppe - Fegino (1930) De Magistris Leandro (1948) De Micheli nob. Silvio (1948) De Negri prof. Teofilo Ossian (1932) Desimoni mons. Lazzaro (1923) Di Negro dott. Giulio - Marola (1942) Di Tucci prof. Raffaele-Cagliari (1920) Doria march. G. B. (1947) Doria Bombrini march. Rosetta (1925) Doria avv. Gustavo (1925) Doria Lamba dei March. Vittorio (1920) Facco sac. Ilario (1930) Faini Amelia (1948) Fassio Pio Giuseppe (1909) Ferrando Luigi (1925) Gerì rag. Claudio (1948) Giaccherò dott. Giulio (1945) Giampaoli avv. Giorgio - Carrara (1932) Gibelli ing. Guido (1948) Giuliani Manfredo - Pontremoli (1916) Giusta P. Domenico O. F. M. (1947) Giustiniani march. Enrico - Roma (1920) Giustiniani march Raimondo - Roma (1920) Gnecco Emilio (1947) Gotelli dott. Mario (1948) Gramatica di Bellagio conte Mimo -Pietra Ligure (1946) Gritta march. G. B. (1938) Guiglia avv. Giacomo - Roma (1928) Gustinelli dott. Carlo (1947) Istituto S. Maria Immacolata - Roma (1911) Labb ing. arch. Mario (1919) Lagostena prof. Angelo (l92l) Lamboglia dott. Nino (1931) Landi dott. Floro (1948) Lantrua P. Giovanni O. F. M. (1942) Lavagna colonnello Francesco (1921) Lertora prof. Elsa (1934) Lopez de Gonzalo Antonio (1948) Lopez de Gonzalo Mario (1948) Macciò dott. Mario (1940) Magnasco Fortunato (1947) Mannucci prof. Francesco Luigi (1947) Manzitti dott. Francesco (1947) Marchini dott. Luigi (1929) Mariani prof. Giuseppe (1938) Merlini rag. Ruggero (1942) Minoletti dott. Bruno (1936) Monchiero rag. Gerolamo (1939) - XX - Mordiglia avv. Aldo (1948) Morgavi dott. Gerolamo (1935) Morgavi avv. Giuseppe (1919) Morozzo della Rocca dott. Raimondo - Venezia (1957) Municipio della Spezia (1917) Municipio di Savona (1915) Musotti Clais - Rivarolo (1947) Oneto dott. Giuseppe (1948) Oreste prof. Giuseppe (1956) Origoni dott. Luigi (1948) Orsolino Ezio (1948) Orvieto Cesare - Preglia di Domodossola (1946) Pandiani prof. Emilio (1904) Parodi Alberto (1948) Parodi avv. Rinaldo (1929) Parodi Sandro (1948) Passalacqua dott. Ugo (1947) Pastine prof. Onorato (1925) Pastorino prof. Tommaso (1954) Peirano avv. Luigi - Vigolzone (l919) Pena glia prof. Giuseppe - Preglia di Domodossola (1956) Penco prof. Bianca (1940) Perosio avv. Giulio (1948) Perroni dott- Felice (1948) Persi prof. Guglielmo Paolo - Lecco (1924) Pesce dott. Giovanni (1956) Piersantelli prof. Giuseppe (1925) Piva generale Abele (1957) Predazzi avv. Camillo (1947) Puri ing. Ambrogio (1948) Puri dott. Augusto (1948) Quarello dott. Maria Giulia (1948) Raggio rag. Camillo (1948) Raggio rag. Cesare (1948) Raggio rag. Pietro (1954) Reggio march, ing. Giacomo (1906) Revelli Beaumont prof. Paolo (1928) Ricci sen- dott. Federico (1910) Riccioni rag. Leo (1947) Riggio prof. Achille - Reggio Calabria (1958) Rimassa Mario (1947) Rossi dott- Federico (1946) Rossi Francesco - Cairo Montenotte (1946) Rovereto prof. Gaetano - Chiavar* (1907) Saccomanno Ugo Sebastiano (1946) Sciaccaluga sac. Stefano (1948) Schiaffìni prof. Alfredo - Roma (1928) Scotti sac. Pietro (1948) Seminario Arcivescovile di Genova (1898) Serra march. Giovanni (1931) Serra avv. Luigi Serafino (1902) Servi rag. Stefano (1948) Società del Casino (1897) Società Economica di Chiavari (1916) Sopranis march, dott. Giuseppe (1920) Spinola march. Franco - Pagana (1925) Spinola march. Marco - Tassarolo (1925) Tortora cap. Virginio (1948) Tria avv. Luigi - Roma (1959) Triulzi avv. Guido (1928) Ufficio Belle Arti e Storia del Comune di Genova (1952) Vaccari Federico (1948) Vaggi Emilio (1948) Valle Emilio (1958) Varaldo dott. Alessandro (1916) Varni prof. Davide (1948) Venzano rag. Adriano (1941) Vernazza Giovanni (1954) Virgilio avv. Agostino (1906) Virgilio Iacopo (1948) Vitale prof. Vito (1914) Vivaldi Pasqua march. Umberto(194 Zonza Luigi (1929) Zuccarino mons- Pietro (1940) Roma ACHILLE RIGGIO GENOVESI E TABARCHINI IN TUNISIA SETTECENTESCA GENOVESI E TABARCHINI IN TUNISIA SETTECENTESCA Se il registro dei morti e dei matrimoni delPArchivio dei Cappuccini italiani di Santa Croce in Tunisi mette in suggestiva evidenza la parabola demografica degli ultimi tabarchini caduti in schiavitù nel 1741 (1), quello dei battesimi rivela la singolare vitalità di Tabarca genovese (2). L isola dei Lomellini, oltre alla sua importanza economica e militare, ha avuto una sua specifica funzione nello sviluppo delle colonie cristiane della Reggenza. I suoi robusti pionieri, di transito o fissati sul suolo, fornirono alle comunità cosmopolite della terraferma i risultati generosi delle loro più disparate attività sociali: industria, commercio, diplomazia, fede missionaria, medicina, ecc. Ma, principalmente, Tabarca dava le sue floride donne agli europei della Tunisia (3), quando in tutta la vasta estensione del territorio barbaresco la presenza del sesso femminile cristiano era vietato, e tollerato in casi eccezionali (4). A tal proposito, si può pensare che l’impresa di Younès-Bey sia stata proprio una lontana necessità simile (1) Cfr. ACHILLE RIGGIO, Cronaca tabacchina dal 1756 al primordi dell'ottocento, ecc., in « Revue Tunisienne » N. 31-32, 3° e 4° trimestre, 1937, passim. (2) Per notizie su questo registro, si veda A. RlQQlO, Comunità calabresi nell'Archivio dei Cappuccini italiani in Tunisia (1777-1807), in . Archivio Storico per la Calabria e la Lucania », 1939, fascicolo III-IV, pp. 363 e segg. (3) Non erano rare neppure le genovesi che andavano spose a stranieri. Il primo Atto di matrimonio è del primo luglio del 1781, in cui si legge che Franceseo Ant’Ubber, svizzero, si unisce a Nicoletta Testi, da Genova. (4) Tipico il divieto fatto ai francesi di condurre, o far venire donne, in Barberia. Sulla fine del secolo XVIII, la loro assenza portava « dans tous les esprits la tristesse & l’ennui». Non solo, ma dalla « monotonie accablante » derivavano « les vices les plus abominables, une entière corruption de moeurs, l’abandon aux plus honteux désordres». Cfr. Voyage en Barberie, ou Lettres écrites de l'ancienne Numidie pendant les années 1785 & 1786, ecc., par M. L’Abbé PoiRET Paris, M.DCC.LXXXIX, vol. I, pp. 7 e segg. - 4 — ai classici ratti dell’epoca eroica (5). Intrighi e dissidi per il possesso dell’isola celavano, forse, il vero incentivo dell’avventura, sorretta segretamente dalle varie collettività locali d’Europa (6). Insieme alla cupidigia del bottino, erano le giovani prolifiche donne di Tabarca che stimolavano musulmani e cristiani contro i solidi tabarchini (7). I quali, però, anche da captivi, vollero — in maggioranza — mantenere intatte le loro origini etnografiche, creando una superba casta, confusa, sì, nella policroma popolazione tunisina, ma non inserita in volgari rinnegamenti. Certo, influiva sui loro animi quella indipendenza, quasi sovrana, goduta nell’isola ospitale, dov’essi avevano costruite le loro case, “ornées de beaux jardins”, (8) e non meno li aveva sostenuti il soccorso religioso degli instancabili Cappuccini. Le esigenze materialistiche del vivere quotidiano dovevano, pertanto, imporre l’inevitabile, e numerose furono le tabarchine che sposarono stranieri, particolarmente francesi. Nell’elemento islamico — che ebbe anche la sua parte cospicua — con le donne entrarono pure i rinnegati di sesso maschile, e traccia dell’onomastica isolana si rinviene in documenti del tempo. Un Mustafà Leone, ad esempio, figura fra quei notabili che ospitarono, nel settembre del 1798, alcuni a i tanti di Carloforte, portati in schiavitù a Tunisi (9). Il dramma ta ar chino — di cui la trama è stata tessuta un po’ dappertutto (10) a za’ contornato di remota poesia, dai registri di Santa Croce, che rappre (5) «Il prit (Younès) vingt jeunes filles pour son sérail et quelques garçons pour les s /i j330), poi Cfr. Correspondance des Beys de Tunis et des Consuls de France avec la cour (, E. Plantet, Paris, 1394, vol. 11, pp 327. (6) Un naturalista francese ammetteva senz'altro che l’occupazione di Tabarca del 1 stata provocata da banali questioni donnesche, Cfr. Fragments d’un voyage dans les f Tunis et d'Alger, fait de 1783 a 1786 par LOUICHE RENÉ DESFONTAINES, publiés par Mr. De La Malle, Paris, 183S, vol. II, passim. (7) Bella razza, invero! Lo storico sardo Giuseppe Manno ce li descrive come ^ di fiorita gioventù o di robusta salute; corporatura di faticanti; bell'aria di volto, e ■ u p\ 1738 si erano graziate nelle femmine; palesi i segni di lieta fecondità». E per quelli che ne fabarca trasferiti dall’isola africana a quella di S. Pietro in Sardegna, informa che «al giungere in^jnser0 del conchiuso accordo (fra il Tagliafico ed il Marchese della Guardia) trenta matrimoni si ^ allo stesso tempo-, le giovani spose trovavansi tutte incinte nell’approdare in Caglia MARCELLO Vinelli, Un episodio della colonizzazione in Sardegna. Studio storico con inediti, Cagliari, 1896, pp. 38. (8) Cfr. POIRET, op, cit., pp. 177. ' del (9) Cfr. Pierre GRANDCHAMP, Les Tabarqulns de Tunis, in «La Tunisie Française» 15 e 22 novembre 1941. (10) A parte le pretese, più o meno legittime, di Venezia, di Torino, della Toscana, era presa di mira dalla Francia, dall’Inghilterra, dalf Austria, e, financo, dalla Danimarca. sentarono lo stato civile dei cristiani stabiliti nei domini del Bey. (11) La ricca, e sempre fiorente, colonia ligure era il fulcro su cui poggiavano e progredivano gli italiani di qualsiasi regione. L’ordinata amministrazione dell’isola creava nei rapporti affaristici uno spirito di reciproca tolleranza e di correttezza che permetteva — nei confronti degli indigeni e degli avventurieri di ogni paese — un normale svolgimento degli scambi commerciali. Anche quando la decadenza si affaccia inesorabile, i governatori di Tabarca sono di una meticolosità ammirevole. In un documento del 19 maggio 1708 si legge: — “Dichiara p. la presente seconda sottoscritta da mia mano come il sig. Abram Benjamin Franco, mercante Ebreo di Tunisi, ha sodisfatto e pagatto la lettera di cambio delle pesse otto cento trentatre e nas-seri (12) dieci sette; stata fatta dalli Sig.1 Rios di Livorno, per ordine mio al Exellmo Sig. Assen ben Alli Bei di Tunis, havendo me ricevuta la solita teschera (13) da quel suo Sig. Ciaia (14) a conto delle lisme (15) che paga questa Izola, dichiarandosi che la presente ricevuta resta duplicata onde compita la prima questa resti di niun valore. Ettore Doria guver.re cosi sotto scritto nel originale”. (16) Che la colonia tabar-china-genovese (17) dominasse sulle altre è anche provato dagli inediti (11) Tutte le confessioni religiose - eccetto, naturalmente, la maomettana - facevano capo a Santa Croce. Un curioso Atto del 12 settembre 1776 dice: - «Giacinto Rosovich, Ebreo, nato dal Rabbino Aron Talò e da Recca Bissès (Bessis) Ebrei Livornesi ; morto il Padre dopo qualche anno la Madre si portò a Tunis con Bastimento Veneto; fu convertita, ma non battezzata; al solo Figlio sud0 quale era in Età di anni 3 fu data l’Acqua Battesimale ed Ambedue passarono a Venezia in compagnia del cancelliere Veneto p colà battezzarsi la Madre, e compiuti con solennità le altre funzioni Ecclesiastiche al figlio». (12) Una pezza valeva 52 aspre (nasseri). (13) Permesso di esportazione. (14) Cioè, Kafiia, dall’arabo, nel significato di aggiunto, supplente. (15) Lestma, dall’arabo, nel senso di appalto, impresa, monopolio, imposta. (16) Estratto dall’archivio inedito del Consolato di Francia in Tunisia. Al tributo fissato per il Bey di Tunisi, bisognava aggiungere altre 350 piastre, di cui 100 in natura (corallo), al suo Kahia; diverse indennità alle tribù indigene dei dintorni di Tabarca; sei casse di corallo assortito, divise in due consegne semestrali, al Divano di Algeri; un quarto, ch’era il più bello, veniva conferito al Dey; rimborso delle spese per la spedizione di detto corallo. Tali tributi pesavano sensibilmente sul bilancio tabarchino e, già nel 1727, un viaggiatore inglese avvertiva che «le peu de profit qu’ils ont fait depuis quelques années à la pêche du corail, les obligera bientôt à aban-doner cet endroil». Cfr. Voyage de Mr. SHAW, M. D. dans plusieurs provinces de la Barberie et du Levant, ecc. Traduit de l’anglais, a la Haye, M.DCC.XLI1I, vol. I, pp. 176. (17) Per tabarchini propriamente detti bisogna intendere gli abitanti dell’isola, di cui una parte emigrò in terraferma, confermando la qualifica originaria. Tabarchini furono chiamati pure, erroneamente, i cittadini di Carloforte dell’isola di S. Pietro in Sardegna, allorché, nel 1793, vennero trascinati schiavi a Tunisi. Nei documenti ufficiali, però, vennero ben definiti «carolini». - 6 - e pochissimi registri rimasti presso alcune famiglie tunisine, provenienti dalle cancellerie dei consolati di Venezia, di Olanda, di Toscana, di Ragusa. Sopratutto era vivo in essa il sentimento religioso, e costante la pratica del più ortodosso culto esterno, per quanto tollerato dalle autorità musulmane (18). Nonostante le vessazioni del governo beilicale, dei notabili e dei corsari, i tabarchini non cessavano di mantenere rigogliose relazioni affaristiche ed amichevoli con i naturali del paese (19). I Cappuccini che non tralasciavano di segnalare sui loro libri le persecuzioni subite dai fedeli, lasciarono rarissime tracce concernenti la collettività ligure. (20) Del resto, i Bey spesso si servivano dei tabarchini per incombenze internazionali, e, nel 1763, Ali Bey volle ed impose a Venezia come console di quella repubblica nella Reggenza, il suo medico di corte, Giambattista Gazzo, genovese di Tabarca (21). Nel 1799, Hamuda Pascià, per trattare con il re di Sardegna, si valse dell’opera sagace di Giovanni Porcile, la più tipica figura tabarchina del Settecento (22). Di costui si hanno notizie nelle carte consolari di Venezia, tuttavia inedite a Tunisi, e nel suindicato primo registro dei battesimi, in data 2 gennaio 1777, come padrino di un Giovanfrancesco Borzoni, genovese. . f Ancora nella metà dell’ Ottocento, discendenti delle vecchie a miglie tabarchine e genovesi coprivano cariche ufficiali presso la corte del Bardo e nei consolati stranieri (23). L’arrivo dei carolini aumento (18) Nel 1755 (?) il «Tabernaculo o Sagrario» dell’ospedale Trinitario spagnuol _ . Tftnpz DOT 13 serem*- era stato dato «con atras alhaxas » dal «Senor Angelo Bogo, Consul en iui v pabU- sima Republica de Genova». Cfr. FR. FRANCISCO XlMENEZ, Colonia trinitaria de Tanex. calo IGNACIO BaüER, Tetuan, MCMXXXIV, pp. 189. Bìserta abitavano (19) Erano presenti nei centri più importanti del beilicato. Nel 1736, ^ ^ «muchos Tabarquinos libres con suos hijos y Mugeres». Cfr. FR. F. XlMENEZ, op. (20) Padre Ximenez, per un intiero decennio, ricorda soltanto due 'nC'^en*'^nez a puer- Iani: - «luan Bautista Tascia naturai de la Isla de Tabarca vendo de noche de ^ ^ Octubre tofarina, le assaltaron los Moros y con sus alfanges cruelmente le despedazaron en ^ jyjoro e 1717». Cfr. op. cit., pp. 259; «Nicolas Remba (Rombi) Tabarquino fue ferido pour^ cjr portato en cassa del Consul Ginoves, y alli murio a breve tiempo en 27 de JunI° na_ 1779 Giacomi op. cit., pp. 241. E nel libro dei morti di Santa Croce: «di 16 Giugno > jnn0cente-rodi di Genova. Dopo esser stato p lo spazio di cinque anni detenuto nella a ^ passò mente p ordine di Aly Ziri, il tutto sopportando con pazienza, con buona disposiz. all’Eternità, e fu sepolto in S. Ant.°, e S. Margherita». (21) Il Gazzo era imparentato con numerosi europei, e sua figlia Maria Enrico Arnoldo Nyssen, console di Olanda. (22) Cfr. A. RlQGIO, Cronaca tabarcdina, ecc., citata, passim. ^ (23) «Parmi les hahitants génois de Tabarca existent encore M. Bogo, C*ian^u) p|aCé dans de l’ancien consulat général d’Autriche; M. le Général Chevalier Antoine Bogo, — 7 — la già compatta massa dei liguri, nonostante il lento riscatto di gran parte di essi. Il Grandchamp, fra le carte di Dar-el-Bey, ha rinvenuta una “Nota de’ Tabarchini “ redatta, forse, nel 1799, dalla quale risultano elencate settanta sette famiglie su ottocento cinquantatre persone, di cui oltre la metà appartiene alla primitiva onomastica di Tabarca (24). La raccolta, qui pubblicata, degli Atti, riassunti e integrali, comprende soltanto ì soggetti che comportano esplicitamente la qualifica di genovese o tabarchino. Dal 1793, ed in alcuni casi anche prima, la cancelleria dei Cappuccini cessa la distinzione nazionale. Questo perché, ormai, le colonie europee sono tutte imparentate con i membri del vigoroso gruppo ligure. Uno studio approfondito, e corredato di documenti inediti, sarebbe necessario per alcune fra le più notabili famiglie isolane e genovesi, specialmente per i Gazzo, i Mendrici, i Capriata, i Raffo (25). E così per quelle che all’epoca del primo impero, ebbero o chiesero, per le vicende del momento, la cittadinanza francese. Restano, intanto, gli avventurosi registri parrocchiali dell’odierna “rue de l’Eglise“ a Tunisi, che provano la gagliarda e tenace presenza in Africa della gente italica. Achille Riggio la cour du Bey». Cfr. Mémoires pour servir à l'Histoire de la Mission des Capucins dans la Régence de Tunis (1624- 1868), par le R. P. ANSELME DES ÀRCS, Revus et publiés par le R. P. Apollinaire De Valence, Rome, i8S9, pp. 47. (24) Cfr. « Les Tabarquins de Tunis », cit. in «La Tunisie Française » del 22 novembre 1941. (25) Sul più illustre dei discendenti dei Raffo da Chiavari, si vedano interessanti notizie archivistiche in ERSILIO Michel, Esuli italiani in Tunisia (l8l5-lS6l), Milano, 1941, passim. A T T I(1) Battezzati sotto la Viceprefetta del Molto R. Pad.e Giuseppe da Serrano dell' Ordine della SSma Trinità della Redenzione degli Schiavi (2). 1. — Adi 30 7bre 1736 - Fran.00 Maria Mainieri. — Fù battezzato nel-l’Oratorio della SSma Nunziata un figlio legittimo di Antonio Manieri naturale i Genova, nato da Paola Eovo sua moglie naturale di Biserta, e li fù imposto ^ j"°^e di Fran.00 Maria. Il battesimo segui L’istesso giorno del suo natale, e furon i -drini: Monsieur Santiago Villet nativo di Marsilia, e Caterina Manieri, Cugina e Neonato (3). F. Giuseppe Serrano Viceprefetto 2. — Adi 26 9bre 1736 - Salvador Lorenzo Naxichi. — H 25 del d da Alberto Naxichi, e da Maria Marta Sanguineto Naturali di Sestri Domini^ Genova. Battezzato nella Cappella dell’Ospitale (4). Padrini: M°nsieur Dena (5) Cancelliere Francese e Madama Lucia Consorte di Monsieur n 3. — Adi 24 9hre 1736 - Isabella Cetau. — Da Manuelle Cetau^daM* Bianca sua moglie nativa di Tabarca. Padrini: Monsieur Ant° Titon, da i ar e Isabella.....(?). 4. — Adi 22 Gen0 1737 - Niccola Antonio Gandulfo. — Da Ant Gandulfo, e da Maddalena sua moglie dell’isola di Tabarca. Padrini. Lazzero e Niccoletta Parrodi Tabarchini. pili che indicano un (1) Per gli Atti, è necessario avvertire eh’essi racchiudono esclusivamente que ^ conjugi più nuovo soggetto genovese o tabarchino, sia genitori che testimoni, e quelli che concernono ^ documenti prolifici. Si tepga conto, inoltre, che dal 1701 al 1735, e dal 1739 al 1755 non esistono scrii “™'rann0 pUbbli-relativi ai Raffo di Chiavari — che, nell’Ottocento, diedero un Ministro alla corte beilicale 3 cati in un apposito saggio. ^ (2) Padre Serrano, amministratore dell’ospedale Trinitario spagnuolo, sostituì i Cappuc sione fino al 1738, relegati, per questioni di denari e di schiavi, a Capo Negro, da Ali Bey. j[>An (3) I coniugi Mainieri o Manieri dovevano essere, senza dubbio, schiavi, giacché la cappe nunziata era situata nel recinto del Bardo, destinata ai cristiani eh’erano al servizio dei Be>. .. Hiissen Bey a Padre (4) La cappella dell’ospedale Trinitario, la cui fondazione era stala concessa da n» Francisco Ximenez, nella primavera del 1720, adibita al culto dei cattolici. (5) In luogo di Pene, Cancelliere del consolato di Francia a Tunisi. - 9 — 5. — Adi 3 Marzo 1737 - Fran.'0 Chenesa. — Di Ani0 Chenesa, e Maddalena sua moglie, nativi di Ponzevera riviera di Genova. Padrini: Francesco Guarànà di Trapani e Maria Girolama Travo di Tabarca. 6. — Adi 24 marzo 1737 - Isabella Ugon — Nella Rea! Cappella di S. Luigi (6) Fù battezzata una Figlia di Tommaso Ugon Francese nativo di Ubano, e di Monaca sua moglie nativa di Tabarca, cui fu posto il nome di Isabella. Furono Padrini Monsieur Gio Fran.™ Ganlelmi di Marsilia, e Isabella Rosa Merain, nativa di Cisterin. 7. — Adi 13 maggio 1737 - Niccolo Marcenaro. — Di Sebastiano Mar-cenaro e Cecilia di lui Consorte, ambedue Tabarchini. 8. — Adi 13 maggio 1737 - NiCcoletta Ma. Lizzorio. — Di Giuseppe Lizzorio, e Dorotea Sua moglie deH’Isola di Tabarca. 9. — Adi 22 maggio 1737 - Maddalena Rosso. — Di Pietro, e Benedetta Rosso sua moglie dell’isola di Tabarca. 10. — Adi 2 Giugno 1737 - Alessandro Antonio Velia. — Di Agostino Velia e Renedetta Sua moglie Tabarchini. 11. — Adi 30 Luglio 1737 - Maria Niccoletta Fase. — Di Benedetto Fase Tabarchino e dAnna Maria sua moglie Giorgiana. 12. — Adi Pmo Agosto 1737 - Agostino Geara. — Di Fran.co Geara, e Anna Ma sua legittima moglie nativi di Tabarca. 13. — Adi 28 agosto 1737 - Giuseppe Pelerano. — Di Andrea, e di Margherita Pelerano sua moglie Tabarchini. 14. — Imo 7mbre 1737 - Maria Francesxa Natin. — Di Nicola Natin di Sestri, e di Brigida legittima moglie Tabarchina. Padrini: Sebastiano Moraia di Maiorca, e Teresa Rombo di Tabarca. 15. — 15 7bre 1737 - Fran.co Ma Poggio. — Di Andrea Poggio Genovese, e Agostina sua legittima moglie Tabarchina. Padrini: Monsieur Onorato Dimbas nativo d’Alera, e Francesca Maunier di Tabarca. 16. — 23 Sbre 1737 - Giovan Girolamo Villavecchia. — Di Sebastiano Villavecchia Tabarchino, e Maria sua legittima moglie, nativa di Sestri. Padrini: Giovanni Deumas Francese e Maria Girolama Travo di Tabarca. 17. — Adi 20 8bre 1737 (7) - Bianca Ma Vacca. — Di Giuseppe Vacca, e Paola di lui legittima moglie. Padrini: Fran.co Bogo, e Paola Mainieri Tabarchini (6) Situata nel fondaco dei francesi, nell’attuale «rue de l’Ancienne Douane». (7) Spesso l’ordine cronologico non è rispettato. — lo- is. — Adi 28 Obre 1737 - Benedetta Timon. — Di Andrea Timon nativo di Dore (?) riviera di Genova, e di Nicoletta, sua legittima moglie nativa di Sestri di Ponente. 19. — 26’ Sbre 1737 - Stefano Vacca. — Di Ambrogio Vacca, e Paola Maria sua legittima moglie, ambedue Tabarchini. Furono compari Monsieur Fran.co Maunier, nativo di Casye e Madalena Giani di Tabarca (8). 20. — Adi 21 aple 1738 - Giovanni Colombo. — Di Andrea, e di Ma Antonia Colombo Tabarchini. Padrini: Fran.co Guaiana di Trapani, e Maddalena Gera di Tabarca (9). Dal di 21 Aple 1738, fino al 24 maggio 1756: mancano tutte le memorie appartenenti a questa Missione, le quali memorie, cominciano a porsi in nuovo Registro dal Molto Rdo Pade Alessandro da Bologna Prefetto, e Provicario Apostolico di tutto il Regno di Tunis (10). 21. — Adi 24 maggio 1756 - Pietro Leone. — Di Cammillo Leone ed Agata sua consorte Schiavi Tabarchini. 22. — Adi 11 Giugno 1756 - Margherita Capriata. — Di Rartolomineo, e Maddalena Capriata sua moglie Schiavi Tabarchini. 23. — Adi 17 Luglio 1756 - Stefano Bogo. — Nella consolar Cappella Imperiale fù battezzato Li 19 luglio fù data l’acqua Battesimale al neonato, I ig io del Signr Fran.co Bogo di Tunis Cancelliere dell’Imperiai Nazione, e del a i0-ra Benedetta Segni di Genova legittima moglie. Fù levato al fonte dal Fili m ° Sigr e Kersch figlio del Console Imperiale, e della Illma Sigra Caterina di lui erman 24. — Adi 25 7bre 1756 - Ma Girolama Grosso. — Di Fran.co e di Te resa Grosso Tabarchini Schiavi. 25. — Adi 2 Ibre 1756 - Ma Mercenari. — Di Costantino Merceiian Schiavo Tabarchino, e da Teresa sua moglie Fran.ca. Non si fecero le so e del Battesimo p mancanza degl’Oli S.mi (11). 26. — Adi 24 7bre 1756 - Rosalia Ferrari. — Figlia di franco, e tonia Ferrari Tabarchini, L’istesso di in cui nacque, fù battezzata dalla iacc 0 (8) Nel 1728 fu inviato a Tabarca, come governatore dell’isola, Giovanni Antonio Giano, « ^ ^ mer», Génois, avec une garnison de 70 hommes pour la garde du chateau et des fortications au > Cfr. L. R. Desfontaixes, op. cit. Gli Atti di S. Croce ricordano più volte Giano o Giani. (9) Ultima registrazione di Padre Serrano. ■ ' ' del 175*), effettuato (10) Gli archivi dei Cappuccini andarono perduti durante il saccheggio di Tunisi uè > > dagli algerini in guerra contro il Bey. ^ (11) Fin dal Cinquecento le chiese di Tunisi ricevevano l’olio santo dalla Sicilia. Dal ^'ane’0 della 148, dell’archivio vescovile di Mazara, sappiamo che un Don Leonardo de Forteleone, y,ca'’0 , . jn città di Trapani, aveva sempre inviato, «dentro vasi propri», l’olio santo «a la Goletta di 11,11 un articolo di G. B, Ferrigno, comparso su «11 popolo di Trapani» dell’ottobre 1934- - 11 - trice; e p che poi la detta Battezzante venne in limore di non aver fatto bene il suo dovere a motivo della furia degli Algerini, che in que’ giorni appunto devastavano il paese, fù ribattezzata sub condictione il 24 9bre dell’anno sudd0 con solenne rito. Le furono Padrini Fran.co Napoli, e Antonia Leone di Tabarca. 27. — Adi 30 9bre 1750 - Ma Angelica l'ran.ca Sales. — Di Fran.co, e Ma Grazia Sales Tabarchini. 28. — Adi 8 Xbre 1750 - Pietro Maria Fran.co Mendrici (12). — Di Dionisio, e Ma Antonia Mendrici Tabarchini. 29. — Adi 13 Xbre 1756 - Bartolommeo Luzzoro. — Di Niccola, e Maddalena Luzzoro Tabarchini. 30. — Adi 2 Genn.° 1757 - Piccola Opizzo. — Di Simone, e Maddalena Opizzo Tabarchini. Padrini: Paolo Ma Marcantonio Corso, e p. Procura, Maria Rombo Tabarchina. 31. — Adi 9 Gemi0 1757 - Ma Maddalena Tosto. — Da Pietro Scarso dell’isola di Corsica, e pp Procura, da Limbania Leone Tabarchina, fù tenuta a Battesimo la detta figlia legittima di Natale e Carina Tosto. 32. — Adi 5 Aple 1757 - ? — Il di 5 stante si battezzo’ il neonato figlio del Sigr. Gio Batta e Pellegrina Giano, e gli fù compare il Sigr Gio Batta Gazzo di Tabarca. 33. — Adi 24 Aple 1757 - Serafino Giano. — Di Gio Batta e Pellegrina Giano «e gli fù compare il Sigre Gio Ratta Gazzo di Tabarca» (13). 34. — Adi 2 Agosto 1757 - Giuseppe Ma Costa. — Di Gio Batta e Lucrezia Costa sua moglie. Padrini: Gio Batta Gazzo, e Ma Antonia Mandrisi Tabarchina (14). 35. Adi 20 9bre 1/5/ - Ma Maddalena boix. — Di Monsieur Angiolo, e Giustina Foix Francesi. Padrino : Salvador Gandolfo Tabarchino. 36. — Adi 23 8bre 1757 - Andrea Niccola Moro. — Di Vincenzio, e Francesca Moro sua moglie Tabarchini. 37. — Adi 7 marzo 1758 - Caterina Ferraro. — Di Giorgio, e Teresa Ferraro Tabarchini. Padrini: Giuseppe Cipollini, e Agata Traversi «dell’isola suddetta ». (12) Probabilmente, il futuro medico Mendrici, rinnegato presso la corte del Bey, e giustiziato nel 181i. con Mariano Stinca, accusati di aver avvelenato Hamuda Pascià. (13) Evidentemente, si tratta del neonato di cui all’Atto del 5 aprile (N. 32), nel quale si era dimenticato di segnare il nome. (14) Dall’Atto del 2 ottobre 17c(i a questo del 2 agosto 1757, Padre Alessandro da Bologna non figura più in funzioni di Prefetto. Attraverso le scritture del registro non è facile seguire la presenza dei vari vicari apostolici. Tutto ciò che si poteva ricavare è stato pubblicato in A. Riggio, Cronaca tabarchina, ecc., citata, passim, - 12 - 38. — Adi 22 Agosto 175S - Pietro Rombo. — Di Niccola, e Caterina Rombo Tabarchini. 39. — Adi 17 9bre 1758 - Niccoletta Pizza (Opizzo). — Di Simone Opizzo, e Maddalena sua legittima moglie Schiavi Tabarchini. 40. — Adi 2.9 Gennaio 1759 - Giuseppe Ma Burlandi. — Di Felice, e Caterina Burlandi di Genova. 41. — Adi 5 Febb0 1759 - Giovanni Tosti. — Di Natale, e Caterina Tosti del «Regno di Corsica». Padrini: Carlo Mattei Corso e Ma Teresa Ferrari Tabarchina. 42. — Adi 24 Giù0 1759 - Gio Batta Agostino Pelerani. — Di Giuseppe e Anna Maria Pelerani di Tabarca. Padrini: Giuseppe Ma Pelerani, e Pellegrino Giano di Genova. 43. — Adi 24 luglio 1759 - Agostino e Maddalena Galibardo (gemelli). — Di Dom.co Fran.co, e Orsola Galibardo di Genova. Padrini: Giorgio Ferrari, e Teresa Ferrari di Tabarca, e della sda Giorgio Pelerano, e Caterina Rombo. 44. — Adi 5 Sbre 1759 - Teresa Caterina Monaca Giani. — Di Gio Batta, e Pellegrina Giani di Genova. 45. — Adi 26 7bre 1759 - Maria Teresa Marenghi. — Di Pasquale, e Caterina Marenghi Tabarchini. 46. — Adi 20 8bre 1759 - Margherita Ranieri. — Di Carlo Ranieri Veneziano, e di Ma Maddalena Tabarchina sua moglie. 47. — Adi 26 maggio 1760 - Anna Ma Ferrari. — Di Giorgio, e Teresa Ferrari Tabarchini. 48. — Adi 31 marzo 1760 - Veronica Ferrari. — Di Fran.co, e Marian-tonia. Ferrari. Padrini: Pietro Leone, Niccoletta Napoli di Tabarca. 49. — Adi 3 marzo 1160 — Gio Batta Opizzo. — Da Simone, e Maddalena Opizzo. Padrini : Antonio Sclade di Zante, e Maddalena Lusoro di Tabarca. 50. — Adi 2 Obre 1760 - Maria Teresa Nisen. — Legittima figlia del-l’illmo Sigr. Enrico Arnoldo Nisen (Nyssen) Console d’Olanda e della Illma Sigra Maddalena sua moglie. Fù battezzala l’istesso giorno avendola tenuta il Sigr Giulio Ponte di Genova. 51. — Adi 24 Genn0 1761 - Benedetta Pelerano. — Di Giorgio, e Ma Pelerano. Compare: Giuseppe Peirano Genovese. 52. — Adi 8 Febb0 1761 - Angiola Ma Rombo. — Di Niccola, e Caterina Rombo. Padrini: Fran.co Ma Figarella di Corsica, e Orsola Garibalda Tabarchina. - 13 - 53. — Adi 15 marzo 1761 - Margherita Pelerano. — Di Giuseppe, e Anna Ma Pelerano. Padrini: Lodovico Pellerano, e Maddalena Saccomano Tabarchini. 54. — Adi 22 marzo 1761 - Gio Batta Ferrari. — Di Fran.co Bonaventura e Fran.ca Ferrari. Il 24 stante fù levato al sacro fonte dal Sigr Girolamo Ferro di Genova. 55. — Adi 15 9bre 1762 - Maddalena Mercenara. — Di Gio Batta, e Fran.ca Mercenara. Padrini: Niccola Rorzone di Chiavari, e Teresa Ferrari di Tabarca. 56. — Adi 22 Xbre 1762 - Anna Maria Rainieri. — Di Carlo, e Maddalena Rainieri,.... e fù compare il Sigr Giuseppe Ma Castagnino di Genova (15). 57. — Adi Pmo marzo 1762 - Maria Elisabetta Rosso. — Di Bernardo, e Agata Rosso. Padrini: Alessandro Rombo di Tabarca, e Anna Ma Marelli di Napoli. 58. — Adi 24 marzo 1762 - Margherita Pelerano. — Di Giorgio, e Maria Pelerano. Padrini : Alberto Ruzzo, e Rianca Vacca Tabarchini. 59. — Adi 24- marzo 1762 - Paola Perceri. — Di Giovanni Perceri, e Renedetta di lui moglie. Padrino: Giuseppe Peirano di Genova. 60. — Adi 20 maggio 1762 - Niccolo’ Ferraro. — Di Fran.co, e Anna Ferraro. Padrini: Andrea e Caterina Parrodi di Tabarca. 61. — Adi 29 luglio 1762 - Giuseppe Ma Galebardo. — Di Fran.co, e di Mannella Galebardo. Padrini : Niccolò Vacca, e Rosa Rombo Tabarchina. 62. — Adi 25 7bre 1762 - Antonia Nisen. — Dall’Illmo Sigr Enrico Arnoldo Nisen, Console d’Olanda, e da Madama Maddalena sua moglie, nacque la da Fanciulla che fù battezzata privatamente il 27 stante, e fù compare il Sigr Fran.co Sales di Tabarca. 63. — Adi 25 Sbre 1762 - Pietro Serafino Sales. — Di Fran.co, e Ma Gratia Sales. Padrino : Giulio Ponti di Genova. 64. — Adi 24 Sbre 1762 - Giorgio Napoli. — Di Fran.co, e Coletta Napoli. Padrini : Alberto Buzzo e Agata Rosso di Tabarca. 65. — Adi 26 Febb0 1763 - Giusepe Opizzo. — Di Simone, e Maddalena Opizzo. Compare fù il &igr Giulio Ponte, ma, p Procura, lo tenne il Sigr Giusepe Castagnino di Genova. 66. — Adi 8 Gen0 1764 - Pietro Rombo. — Di Niccola, e Caterina Rombo di Tabarca. (15) 11 Castagnino coprì per un lungo periodo In carica di Cancelliere del Consolato di Olanda. — 14 — 67. — Adi 18 agosto 1764 - Girolamo Reimeri. — Di Carlo Reinieri Ve-nez:no e Maddalena Pellerani sua moglie Tabarchina. 68. — Adi 4 9bre 1764 - Antonio Perseo. — Di Gio Batta, e Bened» Perseo, il pmo di Bagno in Francia, l’altra di Tabarca. 69. _ Adi 6 Febb0 1765 - Agostino Pelerano. — Di Giorgio, e Ma Rombo Pelerano. Padrini: Giuseppe Dessani Genovese e Teresa Mercenaro. 70. — Adi 17 Febb0 1765 - Fran.co Giuseppe Sales. — Di Fran.co, e Ma Gratia Sales di Tabarca. 71. — Adi 24 maggio 1765 - Niccolo’ Giusepe Rosso. — Di Bernardo, e Agata Rosso Tabarchini. 72. _ Adi 10 luglio 1766 - Anna Maria Marcenaro. — Di Sebastiano e Brigida Marcenaro Tabarchini. Padrini : Agostino Rombo, e Angelica Marcenaro di Tabarca. 73. — Adi 25 agosto 1766 - Antonio Costa. — L’Illmo Sigr Gio Batta Gazzo (16), fu compare di detto figlio del Sigr. Gio Batta Costa di Genova, e Ma Gazzo sua Legittima moglie, battezzato privatamente, al quale si celebrarono le cerimonie ecclesiastiche il 25 d°. 74. — Adi 16 7bre 1766 - Ma Niccoletta Gandulfo. — Di Pasquale, e Maria Gandulfo sua moglie. Padrini: Mons. Fouche di Marsilia e Giustina Fouch-i di Tabarca. 75. _ Adi 26 Xbre 1766 - Anna Ma Napoli. — Di Fran.co, e Niccoletta Napoli. Padrini: Giuseppe Dassani di Genova, e Antonio Travo di lums. 76. — Adi 2 Genn0 1167 - Stefano Giusepe Bened0 Tagliavacche. — Di Dom.co, Caterina Tagliavacche di Genova. 77. _ Adi 8 Aple 1767 - Giovanna Sibilla Nissen. — Si battezzo’ il di 9 Madamosella figlia deH’Illmo Sigr Arnoldo Enrico Nissen, e di Madama Maddalena sua moglie. Fu compare il Sigr Dionisio Mandrici (Mendrici) di Genova. 78. — Adi 29 mag° 1767 - Ma Oliva Sophia Maconi. — Di Angiolo Agost0 Maconi di Carrara, e di Caterina Leone di Tabarca, sua moglie. Padrini . Fran.co Colombo, e Ma Leone di Tabarca. 79 _ Adi 1° Agosto 1767 - Agostino Pellerano. — Di Giusepe e Angela Ma Pellerano. Compare Giorgio Parrodi di Genova. 80. — Adi 30 7bre 1767 - Ma Benedetta Cerasa. — Di Gio:, e Angiola Cerasa. Compare, Nicciolo’ Vallacca, e Ma Rosa Vallacca iabarchini. (16) 11 Gazzo, dal 1763, era stato nominalo Console generale di Venezia a Tunisi. )■ - 15 - 81. — Adi 9 Genn0 1168 - Caterina Garibaldi. — Di Gabriele, e Orsola Garibaldi di Tabarca. 82. — Adi 21 Xbre 1763 - Giorgio Tommaso Rombo. — Di Niccola, e Caterina Iiombo. Padrini: Simone Granaro, Sardo, e Orsola Garibardo di Tabarco. 83. — Adi 15 marzo 1769 - Giuseppe Ma Sales. — Si fece il solenne battesimo in qsto istesso giorno del nato figlio del Sigr Fran.co e Ma Grazia Sales. Compare: Carlo Bogo di Tabarca. 84. — Adi 30 luglio 1769 - Fran.co Giuseppe Sciaccaluga nacque il 29: Si battezzò il 30. Furono i Genitori Rocco Sciaccaluga di Sturla Genovesato e Elisabetta Grosso legittimi consorti. Padrini: Fran.co Arditi di Genova, e Maddalena Tusella (?) di Marsilia. 85. — Adi 29 agosto 1769 - Guglielmo Tommaso Alzeto. —JNato di Gio Balta, e Margherita Alzeto. Si battezzo’ il 31 ; e lo tenne Monsù Guglielmo Bartolo di Marsilia, e Anna Ma Bevilacqua di Genova. 86. — Adi 22 7bre 1169 - Margherita Ciappin. — Nel 24 d° venne al fonte Margherita di Orazio Ciappin Veneziano e Caterina Citauda sua moglie. Furono padrini Nicola Cheippe di Tabarca e Monica Alzeto. 87. — Adi 24 Xbre 1771 - Bianca Ma Cantiero. — Fran.co Badacco di Genova e Angiola Minuti di Sardegna tennero al fonte li 22 d° Ma Bianca, figlia di Lazzero, e Maddalena Cantiero dell’isola di Bonifazio. 88. — Adi 24 Febb0 1771 - Teresa Grazia Grosso. — Venne a battesimo il 27 stante la da figlia di Bernardo, e Agata Rosso che fu tenuta da Lazzero de Pino di Genova, e da Grazia Leone Tabarchina. 89. — Adi 29 luglio 1772 - Ma Maddalena Sciaccaluga. — Tenne a battesimo il 22: La da figlia di Rocco e Elisabetta Sciaccaluga Pietro Palmieri di Genova, e Ma Maddalena Ruso di Tabarca. 90. — Adi 21 marzo 1773 - Ma Vittoria Arnux. — Nacque da Monsieur Giorgio Giacomo Arnux e da Maddalena Teresa Soviene ambedue di Marsiglia. Il Giorno medesimo p ragionevole causa fù battezzata solennemente in propria casa. Furono padrini il Sig Giuseppe Giano di Genova, e la Sigra Margherita Giano di Palermo. 91. — Adi 29 aple 1773 - Caterina Bagognano. — Di Marcantonio, e Angiola Rorgnano di Corsica. Padrini: Gio Na Falconi di Genova, e la Sigra Margherita Pulè Francese. 92. — Adi 3 aple 1773 - Ma Fran.ca Cerasa. — Figlia di Gio Cerasa, e Ma Bigio fu solennemente battezzata in questa Chiesa di S. Croce. Compare il &ig Dottore Agostino Gorgolione di Genova (17), Comare la Sigra Ma Costa di Tunesi. (17) Vico-Console di Venezia verso la line Settecento. - 16 - 93. — Adi 12 magg0 1773 - Nicola Fran.co Leone. — Di Antonio Leone di Tabarca, e di Elisabetta Ponsa di Minorca. Padrini : Fran.co Seghin di Majorca, e la Sigra Ma Grazia Leone di Tabarca. 94. — Adi 8 agosto 1773 - Leone Tommaso Tarzia. — Di Annibaie Tarzia Napoletano, e di Caterina Greco Palermitana. Padrini: Giuseppe Masi Pisano, e la Sigra Maddalena Pagano Tabarchina. 95. — Adi 13 7mbre 1773 - Ma Antonia Castagnino. — Legittima figlia del Sigr Giuseppe Castagnino, e della Sigra Teresa Bogo Castagnino di Genova, nata, battezzata il sud0 giorno. Compare il Capitano Giuseppe Peirano di Chiavari. 96. — Adi 1 marzo 1775 - Dorotea Borzoni. — Di Niccola Borzoni di Genova, e di Maddalena Leone di Tabarca. Padrini: Felice Borzoni, e la Sigra Benedetta Leviano. 97. — Adi 3 9mbre 1775 - Andrea Pagano. — Di Luca, e Maddalena Pagano. Padrini: il Sigr Cap.no Ant° Litvizza di Ragusa, e Chiara Rivano di 1 abarca. 98. — Adi 28 novbre 1775 - Carlo Sebastiano Poggi. — Di Pietro e da Elisabetta Poggi. Padrini : il Sigr Carlo Allegro di Genova. 99. — Adi 7 maggio 1778 - Rosa Orsi. — Di Bartolomeo, e Giustina Orsi di Pescia. Padrino: Niccola Castelli di Moneglia. 100. — Adi 4 Luglio 1778 - Ma Anna Mattei. — Di Giuseppe, e Fiora Mattei di Corsica. Padrini: Giuseppe Allegro di Genova, e Ma Fran.ca Rossi di Bastia. 101. — Adi 25 Febb0 1779 - Benedta Porzia d’Alessandro. — Di Vincenzo d’Alessandro, e Ma Ant.a Longo. di Manfredonia. Padrini: Salvatore Mellis di Sardegna, e Maddalena Borghero di Tabarca. 102. — Adi 5 aple 1779 - Ant. Girolamo Rosso. — Di Fran.co, e Ma Rosso. Padrino : Sebastiano Cipollino di Tabarca. 103. — Adi 3 marzo 1781 - Ma Anna Golard. — Di Giuseppe e Angiola Ma Golard. Padrino : Andrea Allegro di Genova. 104. — Adi 19 Genn0 1782 - Pietro Gentile. — Di Giacomo Gentile di Lingueglia, e di Maria Cerasa di Genova. Padrino : il Sigr Agostino Gorgoglione Cancelliere Veneto (18). 105. — Adi 1(> marzo 1782 - Agostino Leone. — Di Giuseppe Leone di Tunis, e di Anna Ma figlia di Agostino e di Paola Vinelli di Tabarca. Padrini : Gaetano Giunti di Livorno, e Chiara Rivano di Tabarca. (18) Prima delia sua nomina a vice-Console, il Gorgoglione era stato Cancelliere del Consolato veneto. — 17 - 106. — Adi lo agosto 1782 - Ma Assunta Allegro. — Di Andrea di Ant° Allegro di Quinto nel Genovesato, e di Ma Girolama Allegro. Padrino : Fran.co Barlolani di Portoferraio. 107. — Adi 9 Giug 1783 - Maria Vigne. — Maria Vigne, nata da Angelo Vigne e Teresa Malatesta Vigne di Genova legittimamente congiunti in Matrimonio fu battezzata solennemente in questa Chiesa curata di Santa Croce. Padrini furono il Sigr Carlo Allegro e la Sigra Vittoria Costa. 108. — Adi 2 7bre 1783 - Rosa Allegra. — Rosa Francesca Allegra figlia del Sigr Andrea, e Girolama Allegra di Quinto nel Genovesato, venne solennemente battezzata in questa chiesa curata di Santa Croce il sud0 giorno del med° Anno e mese. Padrino fu il Sigre Francesco Murat Mercante Genovese. 109. _ Adi 3 Feb 1786. — Francesco Riagio Leone figlio del Sigr Giuseppe Leone e Caterina Saccomane legittimamente congiunti in Santo Matrimonio venne al Mondo il giorno terzo di Feb: 1786 ed il giorno settimo del med° mese ed anno fù solennemente battezzato in questa chiesa di S. Croce. Padrino fù il Sigr Dottore Francesco Mandrisi di Genova (19). 110. — Adi lì mag0 1786. — Antonio Luigi Marino del Sigr Giouanni Marino, e Madalena Roccugnana legittimante congiunti in Santo Matrimonio, venne solennemente battezzato in questa Chiesa di S. Croce il giorno 15 del med° mese ed anno. Padrini furono il Sigr Giuseppe Turio Genovese e la Sigra Giouanna Rombo Tabarchina. 111. — Adi 13 marzo 1787. — G.....(?) Malaspina figlio di Giulio e Caterina Malaspina di Genova. Padrino fù Andrea Poggi e per procura lo tenne il Sigr Giouanni Ma Marcelli (?) da Roma. 112. — Adi 26 Xbre 178/. — Mariantonia Giara nata da Nicola, e Caterina Giara sua legittima consorte venne al mondo il giorno 18 Xbre 1787; ed il giorno 26 del dello mese ed anno fu sollenem'e battezzata in questa Chiesa di Santa Croce. Padrini furono Antonio Scano Schiavo d’ Arbos in Sardegna ; e Madalena Pittaluga Tabarchina. (19) Quest’Atto conferma l’ipotesi della nota 11. Si tratta in realtà dell’ infelice medico di Hamuda Pascià. Proprio in questi ultimi anni si è provata l’innocenza del napoletano Stinca e del genovese Mendrici nella supposta morte delittuosa del celebre Bey. Lo slorico tunisino Ben Dhiaf, in un suo manoscritto tuttora inedito, di cui circolano poche copie fra gli intellettuali musulmani di Tunisi, ha scritto: « Questa notte (20-21 dicembre 18ti) furono uccisi il cristiano Mariano, amico intimo di Hamuda Pascià, ed il suo medico, nominato .Mohamed el Mameluk (cioè il Mendrici), sospettati di avere avvelenato lo stesso Bey Hamuda, per ordine di suo nipote Salali. Sospetti completa mente assurdi, in quanto che Hamuda aveva una lesione al cuore, ed i suoi medici avevano già prevista la morte subitanea». Cfr. Pierre Grakchamp, A propos de Mariano Slinca, in «La Tunisie Française» dell’8 agosto lilii. Non è esatto, però, che i due siano stati giustiziati la medesima notte del colpo di stato di Mahmud-Bey contro Othman, fratello e successore di Hamuda. _ 18 — 113. — Adi 14 Xbre 1790. — Maria Lucia Matha Figlia di Antonio Matha della Villa di Caprus in Sardegna, e di Sebastiana Scassa di Bonifazio in Corsica..... fù solennemente battezzata in questa Chiesa di S. Croce. Padrini furono Nicola Moro di Genova e Ma Marino di Bonifazio. 11-i. — Adi 30 Gennaro 1793. — Gennara Maria Teresa Borghero figlia di Francesco e Giulia Borghero nacque li 27 di Gennaro e li 30 fu solennemente battezzata in questa Chiesa di S. Croce. Padrini il Sig. Giuseppe Perazzo di Genova e Rosaria Ferrara. 115. — 1793 24 Aprile - Luigi Leone. — Figlio del Sigr Giuseppe Leone e della Sigra Catterina Saccomano sua legittima consorte nacque li 8 d’aprile e li 14 fu solennemente battezzato. Padrini furono il Sigr Luigi Ghiro’ negoziante francese e la Sigra Teresa Milante Tabarchina. RAFFAELE DI TUCCI LINEAMENTI STORICI DELL’INDUSTRIA SERICA GENOVESE “ Alla memoria di MATTIA MORESCO ” [Statuti inediti del 1432) 0 ' * Capitolo I § 1 - Parecchie relazioni inviate nei secoli decimosettimo e decimottavo alle Autorità della Repubblica Ligure da commissarii incaricati di vigilare sulla situazione dell’industria e del commercio della seta, contengono una breve premessa storica nella quale concordemente e genericamente si afferma che l’una e l’altro, sorti da principii modesti, erano tuttavia da riportarsi a tempi molto antichi. Alcuni scrittori hanno voluto fissare, da punti di partenza precisi, i termini iniziali di quella manifattura che per lunghi anni ha rappresentato la sorgente forse più larga della prosperità di Genova e della Liguria; ma i documenti che adducono a riprova non ci sembrano conclusivi. Nell’inventario della Chiesa di San Paolo di Londra, inventario che appartiene' alla fine del duecento, si trova segnato “ vestimentum novum plenarium cum apparatu et parura de panno januensi et casula de Bokeran”; vi è pure annotata una “capa januensis cum circulis et avibus croceis et leopardis, item unus pannus de Janua rotellatus cum avibus bicapitibus ”. E riteniamo che si tratti di panni di lana, certamente drappi di lusso, ma non di seta. Genova, nel Duecento, si era emancipata dall’importazione di telerie e di lanerie fini, che, nel secolo precedente, esercitavano con grande larghezza le fabbriche ed i mercanti di Fiandra, e vi aveva sostituita un’industria propria, i cui prodotti avevano rapidamente conquistato anche parecchi mercati italiani ed europei (1). Si tenga poi presente che nel linguaggio tecnico il vocabolo panno faceva riferimento soltanto alla lana, giacché era questa la forma di tessitura più antica : le seterie furono chiamate fin dalla loro prima comparsa nel medio evo, panni di seta, definizione che rimase fin quasi al secolo scorso. Non ci pare nep- (l) Queste recise affermamoni vanno temperate secondo i risultati dei recenti studi; cfr. ROBERTO Lopez, Le origini dell'arte della lana nel voi. Studi sull’Economia Genovese nel Medio Evo. “ Documenti e studi per la storia del Commercio e del Diritto Commerciale italiano ”, Vili, Torino - Lattes, 1936 e RENÉE DOEHAERD, Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l’Outremont d’après les Archives notariales génoises au XIIIe et XIVe siècles. - Institut historique belge de Rome, Études d’histoire économique et sociale, I, Bruxelles - Rome, 1941, 3 voli. (n. d. r.) - 22 — pure decisivo l’inciso che si cita nell’inventario della metropolitana di Canterbury : “ par unum de panno rubeo de Genua cum stragulis et stellis aureis ” : anche qui crediamo che si debba descrivere una stoffa di lana elegante, decorata con motivi inseriti nella tessitura oppure ricamati, a strisce ed a stelle : ma non di seta. A parte il significato che si è potuto dare alla lega conclusa nel 1255 fra Genovesi, Fiorentini e Lucchesi, per il miglioramento dell arte della tessitura dei drappi lainettati in oro e in argento, sulla fede dei documenti editi dal Ferretto, si è concluso che negli ultimi anni del secolo decimoterzo Genova gareggiava con Venezia nei velluti e nei panni di seta. Ma per il periodo che precede questa penseremmo sia più prudente separare nell’attività della Liguria il commercio della seta dalla produzione della seta. Un traffico piuttosto forte in tessuti di seta nel porto della Superba si può documentare assai presto : nei secoli decimosecondo e decimoterzo, coli espansione progressiva, questo ramo di commercio, e sviluppato : si tratta evidentemente di stoffe già tessute in Calabria, in Sicilia e in Ispagna. Certamente, il movimento marittimo e commerciale della città, in quei due secoli, è stato tale da farci supporre che le notizie fornite dai testi sono troppo scarse ed inefficaci per darcene la misura, anche in materie di mercanzie delicate e di articoli di puro lusso. D altra parte, 1 assestamento politico e gli accordi commerciali con gli Stati del retroterra, resero presto il porto di Genova il punto naturale di transito fra il Mediterraneo e le zone lombarde e piemontesi, la Germa* nia meridionale, la Francia e la Svizzera. Intermediari interessati, ma larghi di ogni assistenza, a causa della loro partecipazione ai prò* venti dei pedaggi e delle tasse, tra la Liguria e i territorii subalpini, erano i feudatarii ai confini dello Stato Ligure, i marchesi di Voltaggio, di Gavi, di Capriata e di Ponzone : questa vivace e varia corrente di scambi si svolge su tessuti stranieri, di cui i Genovesi caricavano le loro galee e le loro navi, e che immagazzinavano nella dogana e nelle loro volte, pronti per la spedizione oltre Giogo, sulle lunghe carovane di muli. Gli accenni ad una industria locale sono limitati e non molto espliciti. Anche la presenza di una corporazione di porpo-rieri e di tintori fra il primo decennio del Duecento ci porterebbe a ritenere che la prima comparsa di una industria connessa con la seta sia stata quella della tintoria di stoffe già preparate. Verso la fine del Duecento, invece, l’industria della seta se non assume in Genova proprio le dimensioni volute da qualche scrittore, si presenta vivace e caratteristica. Lvidentemente i Lucchesi hanno concorso alla formazione dell’arte. E il ricordo più antico di questo concorso ci potrebbe apparire nella società che strinsero due mercanti di Lucca il 23 marzo 1303 in Genova per tessere zendadi. Dopo di - 23 — allora la lavorazione si consolida e si estende con grande rapidità, e i Genovesi ottengono nel 1315 oltreché la prevalenza della importazione nella Contea Venassina, privilegi assai ampi a Londra, a Bruges e ad Anversa. Ignoriamo le vicende che accompagnarono l’industria serica durante tutto il Trecento. Verso la fine di esso, secondo una matricola che è riportata nel codice degli Statuti, i seaterii, erano : Antonio da Bargagli, Antonio Peroleri, Domenico di Domoculta, Agostino de Michele, Urbano de Michele, Francesco Mariani, Brando Lemorini, Giovanni Grasso, Antonio Pini, Guglielmo Carletti, Secondino Carletti, Guglielmo Ranetta, Nicola Magnavacca, Gaspare di Obizzo, Giuseppe di Obizzo, Antonio Tagliolo, Stefano Restante, Michele de Rosselli, Cristoforo Chiavari, Guglielmo Amàdei, Jacopo Ricconello e Giovanni di Gravaigo (1). Come si vede, non molti. Sui principii del secolo successivo, forse più che da una lenta progressione di energie ordinate negli stessi limiti e da interessi in moto che si allargavano gradatamente, per iniziative nuove di cittadini privati e per favore di circostanze storiche ed economiche, l’industria della seta ci appare sotto proporzioni considerevoli. Un gruppo di famiglie, che, a quanto possiamo supporre, fecero capo a quella dei Peroleri, insieme con i Goano, gli Adorno, i Centurione, che si avvicendavano nel dominio della vita politica genovese, come prevalevano nella vita economica, da mercanti si trasformarono in industriali e in capitalisti. La ricchezza mobiliare, accresciuta enormemente nelle mani di quei gruppi famigliari che già si stringevano in alberghi convenzionali, in seguito ai traffici col Levante, con tutto il bacino centrale e occidentale del Mediterraneo, con l’alta Italia, la Germania, le Fiandre, l’Inghilterra e il Portogallo, richiedeva l’instaurarsi di una speculazione locale commercialmente redditizia, capace di creare una energica agglomerazione demografica, la quale, in fondo, sarebbe stata pure suscettiva di notevole importanza, nella politica cittadina, sempre mutevole. L’orientamento verso la salda costituzione dell’industria della seta era deciso, poi, oltreché dalla presenza di grandi disponibilità finanziarie interne, anche dalla condizione particolare dei centri di produzione più accreditati. L’industria serica (l) Infrascripti sunt seaterii defuncti ante tempus conditorum capitulorum artis seateriorum et reformationis ipsorum capitulorum: et primo Antonius de Bergalio, Antonius Perolerius, Dominicus de Domoculta, Augustinus de Michaele, Urbanus de Michaele, Franciscus Mariani, Brando Lomorini, Johannes Grassus, Antonius Pini, Guglielmus Carlettus, Segondinus Carlettus, Guglielmus Raneta, Nicolaus Mangiavacha, Gaspar de Opicio, Joseph de Opicio, Antonius Taiolus, Stephanus Restans, Michael de Rosellis, Christophorus de Clavaro, Guglielmus Amadei, Iacobus Riconellus, Johannes de Gravaigo: Statuti dell'Arte della Seta di Genova, manoscritto membranaceo della Biblioteca Universitaria di Genova, fol. 63. Citeremo questo manoscritto con l’indicasione Cod. veneziana, attivata già dagli emigrati lucchesi, sostenuta dall’esporta' zione in Levante e in Lombardia, si era stretta in regime protezio* nista col decreto del febbraio 1365; la crisi di Lucca era nella fase più pesante, dopo che era stato perduto il mercato francese, a causa della guerra. Non è chiaro l’apporto che dava in quel periodo l’industria serica bolognese, anche se si dovrà riconoscerne l’importanza, specialmente nella fabbricazione dei veli. Né in Italia, né tanto meno all’estero, vi era produzione sufficiente per la richiesta, quando l’uso dei panni di seta si diffondeva in tutta l’Europa. Ora Genova, nonostante le turbolenze politiche e l'urto continuo delle fazioni, che la condussero sotto la signoria dei Visconti, e non ostante la dura quanto gloriosa guerra per la difesa degli Angioini di Napoli, vincendo le inquietudini interne e le difficoltà che si opponevano al suo commercio, proprio in quel tempo, e cioè nel primo trentennio del secolo decimoquinto, si può dire abbia collocato su basi più che solide quell’industria che il decreto di approvazione degli Statuti, 6 marzo 1432, proclama ipso aspectu ipsoque effectu prae coeteris pretiosior, tanto da raccogliere numerosi artigiani, da recare prestigio alla città e ai cittadini, da aumentare i proventi pubblici e la ricchezza individuale e da sopprimere l’ozio nella città* § 2 - Gli Statuti del 1432 hanno una concezione unitaria dell’arte: la seta, in qualunque modo lavorata, da sola o combinata con lamettature d oro o d’argento, e così l’oro o l’argento filato, ogni tessuto con materia di oro o d’argento filato, i panni di seta mista, sono tutti elementi naturali dell’industria. I rami di specializzazione, cavatura, filatura, tessitura, tintura, non potevano formare elementi tecnici e associativi separati: essi dovevano rimanere fusi e legati nell’unica coordinazione dell’arte. Non era un concetto nuovo: si era maturato man mano che l’arte si sviluppava intorno alla forza centrale di essa, gli industriali. Prima, questi industriali, che erano piuttosto capitalisti, erano commercianti di seterie, facevano parte della associazione dei mereiai, rivenditori di manifatture di ogni sorta, e nel tempo stesso finanziavano e guidavano i primi prodotti locali. I seateri degli Statuti e del periodo posteriore avevano concentrato nelle loro mani la fabbricazione della seta e se ne erano riservato il commercio in città e l’esportazione. La tendenza di questi industriali fu costantemente quella di creare una organizzazione nella quale, sotto il controllo di essi stessi, fossero raggruppati tutti gli operai addetti ai diversi rami della lavorazione della seta. Gli operai non entravano nell’arte della seta come categorie o sindacati; è una dottrina e una pratica questa, che soltanto nei nostri tempi e per prime nel nostro - 25 — paese si sono realizzate. Industriali, venditori all’ingrosso, venditori al minuto, operai ed artigiani formavano tutti una sola corporazione, alla cui testa si trovavano i capitalisti. Il capitolo dello Statuto ordinava che non si poteva essere nominato console della corporazione se non si fosse stato gestore o proprietario di botteghe, che in questo caso significa laboratorio: o di magazzini, cioè venditore all’ingrosso o al minuto, oppure tecnico della lavorazione, non semplice operaio (magister et caporalis apothece seu volte, aut caput operis solusj. E chi non si trovava in queste condizioni non era chiamato neppure a votare per la nomina dei consoli (nemo etiam eligi possit consul neque vocem dare in electione consulum). Da questa associazione forzosa si sottrassero presto i tessitori, che, nell’arte, rappresentavano l’elemento manuale più necessario e più raffinato. Costituirono una associazione con proprii statuti, anche prima del 1440, perchè in un compromesso concluso 1’ 8 dicembre di quell’anno, due categorie di tessitori di panni di seta, videlicet illos qui fabricant pannos de pilo (vellutai), et illos qui fabricant camocatos, si impegnarono a ratificare ed osservare capitula ipsorum textorum prout jacent, salva una variante di procedura nell’elezione dei consoli. Un ritocco, di estensione assai notevole, si apportò a codesti statuti nel 1476. Le altre categorie di artigiani tentarono inutilmente di formarsi in associazioni per loro conto. I filatori cominciarono presto: il 2 ottobre 1432 si rivolsero al Doge ed al Consiglio degli Anziani del Comune e rappresentarono che la loro arte aveva avuto inizio da alcuni anni, nella città, con poco numero di operai: da qualche tempo si trovavano in copioso numero, e credevano giusto di avere anch’essi specialia statuta tendentia ad publicam utilitatem et ad augmentum dicte artis. Il Doge e il Consiglio degli Anziani commisero l’esame della domanda ad un collegio di giurisperiti i quali dovessero pronunziare anche con consiglio dei seateri. La domanda fu respinta. Il 7 settembre 1469 i consoli dei seateri espongono alla loro volta alle Autorità statuali che, come già parecchie altre volte, i filatori avevano domandato il riconoscimento di capitoli separati, mentre da trentasette anni erano vissuti sotto le regole dei setajoli. E la comunione dei capitoli era stata vantaggiosa ai filatori: i capitoli dello Statuto dell’Arte tendevano a sopprimere le divisioni e le materie di litigi fra coloro che esercitavano l’arte oppure a definire ciò che apparteneva ad essa. Fra gli altri capitoli fu approvato quello che dava ai consoli dei setajoli la competenza civile e penale sugli associati. Se questo principio viene smosso — dicono i Consoli — si ha la stessa figura morale dei figli che si ribellano all’autorità del padre o al principale e che creano la rovina della casa. I filatori, se potessero governarsi da loro, si darebbero ad ogni sorta — 26 - di frode: sarebbero subito capaci di “erigere caput contra principales artis 44. I Consoli pertanto insistono presso il Governo perché neghi la concessione di statuti particolari ai filatori. Il Governo si rimette al parere di due giureconsulti, Matteo Della Corte e Francesco Sofia, i quali presentano le loro conclusioni nel senso “ capitula non esse concedenda 44. Con decreto del 27 novembre .1480, si decide pure che il magistrato ordinario non abbia competenza per giudicare le frodi nella esecuzione dell’ arte e nella compravendita della seta (Cod. fol. 58). Il 15 dicembre 1500 i Sindaci dei filatori si rivolgono di nuovo al Governo per esporre che tutte le arti di Genova hanno i loro statuti e che soltanto i filatori di seta sono sottoposti ai capitoli dei setajoli. Ora hanno steso un testo di capitoli e ne chiedono 1 approvazione. Filippo di Clèves, che governava la città per Luigi XII, “ auditis consulibus artis seateriorum 4ì, i quali si riportano al testo dei loro capitoli, col consiglio degli Anziani, delibera “ non esse annuendum requisitioni 44 dei filatori. I quali non si scoraggiano per le tante ripulse e il 4 dicembre 1508 spiegano di nuovo che la loro arte è numerosissima, utile e necessaria alla città, e, per le frodi che si commettono contro l’arte e nella stessa arte, è veramente urgente che sia difesa e sorretta da statuti : tanto più che in quel tempo si trovavano legati nella stessa corporazione, dei setajoli e dei tintori, con i quali, giuridicamente, nulla avevano di comune. Gli statuti erano stati già elaborati: l’esame di essi era stato affidato ai giure-consulti Lorenzo de Villa e Benedetto Spinola, quando l’allora Governatore Agostino Adorno, per sospetti di guerra, ordinò che ogni cosa fosse sospesa. I filatori allora avevano offerto di nuovo la ripresa delle trattative a Gian Battista Adorno: e infine, nel 1506, la questione sarebbe stata risolta, “nisi fuisset subsecutus tumultus civitatis 44. Credo che il ricordo di questo tumulto sia stato un vero errore da parte dei filatori, perchè esso fu in gran parte provocato dai tintori, col loro capo Paolo da Novi, gridato poi Doge della Repubblica, non senza il concorso dei filatori. Comunque, alla richiesta si oppongono, come sempre, i consoli dei setaioli; e il risultato fu un decreto col quale la petizione dei filatori fu considerata come “omnino reicienda et reprobanda 44 (Cod. fol. 100 e segg.). Parallelamente si attuavano uguali tentativi da parte dei tintori, che, in qualche circostanza di breve durata, riuscirono nel lore intento. L’ 11 maggio 1472 (Cod. fol. 83 e segg.), Giovanni de Rosselli e Giovanni di San Salvatore, consoli dei setajoli, riferirono al Governo che l’arte della seta in Genova era ormai da considerarsi come una delle arti maggiori : come elemento integrante ne facevano parte i tintori, che si trovavano sotto la giurisdizione dei dirigenti di essa, come è chiaro da diversi capitoli. E giacché non avevano ottenuto - 27 — capitoli speciali i filatori di panni di seta, così anche i tintori non ne avevano avuti. Se non che, nel 1465 ai tintori fu riconosciuto l’uso di statuti “condita a certis civibus con grande pregiudizio dei setajoli. Sarebbe stato necessario, quando si fece quella concessione, prendere il parere dei seaterii, come richiedeva lo spirito degli Statuti e come era stata sempre la pratica seguita dal Governo : invece si agì illegalmente, “ in prejudicium tercii, inaudita parte E il primo effetto di quei capitoli dati arbitrariamente ai tintori fu la proibizione fatta ai setajoli di tingere perfino la seta propria. Il secondo e più grave fu che i tintori, “ presumentes non habere correctorem nisi suos consules et confidentes de impunitate male gesto-rum “, commettevano irregolarità senza fine. I setajoli perciò domandarono la revoca degli statuti dei tintori, lo scioglimento della loro associazione, l’incorporamento di essi nella corporazione dei seateri: in via subordinata, almeno la nomina di una commissione con l’incarico di giudicare se gli statuti fossero stati concessi “ fraudolenter vel non “. Il Governo affidò l’esame della questione ai Padri del Comune che, per legge, dovevano invigilare, fra l’altro, sugli emergenti degli operai e delle loro associazioni. I Padri del Comune, con un memoriale particolareggiato, riepilogarono le argomentazioni delle due parti: i setajoli sostenevano che i tintori avevano sempre tinta la seta dei setajoli, l’arte di quelli era sorta in quanto i setajoli avevano creata l’arte della seta, ora si vedevano su di una situazione capovolta, nel senso che, mentre prima erano i tintori a dipendere da loro, ora erano i setajoli a dipendere dai tintori: i quali avevano monopolizzato l’arte della tintoria. Gregorio Salvarezza e Paolo da Novi, quegli stesso che, nel 1506, avrà un breve periodo di splendore e di potenza, rappresentanti dei tintori, ritenevano l’arte della tintoria “ esse unam et per se ipsam divisam et dipartitam ab arte seateriorum “. Il Governo genovese, appunto perchè consapevole della diversità di lavorazione e dell’autonomia dell’arte tintoria, aveva concesso gli statuti. In un capitolo dei quali era stabilito che nessuno potesse essere tintore se prima non avesse imparato l’arte, passando cinque anni senza mercede con un maestro in Genova o nei sobborghi. Da questo capitolo era chiaro che a nessuno era permesso di fare il tintore se non si fosse assoggettato a quelle condizioni, tanto meno ai setajoli, che ignoravano l’arte tintoria. I Padri ddl Comune vagliata la cosa da ogni punto di vista, lungamente, e ascoltate con ogni attenzione le due parti in contesa, decretarono che ogni setajolo potesse avere o far tenere per suo conto una tintoria “ que sit patens et publica M, nella quale avesse facoltà di tingere o di far tingere “ tantummodo setam suam et ad se spectantem et pertinentem M con ogni varietà di colori, eccettuati il ere- mesile, la grana, il morello di cremesile e il morello di grana, i quali colori sono proibiti ai setajoli, in quanto spettano esclusivamente al tintore che sia “ docto magistro E i tintori rimasero, da allora in poi, con una loro associazione separata. Lungo il secolo decimoquinto ebbero statuti proprii gli stoppieri, statuti che furono riformati nel 1613. I cavatori, le cavatrici, i ragazzi e le donne di casa, occupati ad estrarre il filo dai bozzoli, la cui attività però di rado eccedeva trenta o quaranta giornate l’anno, rimasero senza ricognizione sindacale. Non abbiamo poi trovato alcuna traccia di associazioni tra fabbricanti di telai per tessitura: e parrebbe che, come non furono considerati operai specializzati i falegnami addetti alla ricostruzione delle navi, tanto che non fu creata una corporazione diversa da quella dei maestri d’ascia, alla stessa corpo-razione rimase ascritta, senza qualifica particolare, l’arte dei fabbricanti di telai. Gli statuti fissavano le norme per la composizione interna della corporazione, per il regolamento dei rapporti fra l’arte e gli estranei, e le regole per l’esercizio dell’arte. In Genova, il modo di costituzione delle associazioni artigiane è stato semplice ed uniforme. Gli artigiani si radunavano nella sagristia della chiesa il cui santo sceglievano come protettore, si rivolgevano a due o tre persone pratiche del loro mestiere, alle quali conferivano, provvisoriamente, la veste di consoli e, mediante l’intervento di un notaio, davano loro la facoltà di elaborare gli statuti, e si impegnavano a rispettare le norme che sarebbero state emesse e a mantenere in vita la corpo-razione. Questa risultava come una unione di persone vincolate soltanto dalla affinità del mestiere e dal fine strettamente economico di regolare l’ordinamento del lavoro e di vigilarne la produzione e lo smercio. A differenza della Compagna, che era stata formata da cittadini appartenenti a diverse classi sociali, a diversi mestieri e professioni, secondo requisiti determinati da una prospettiva politica, la corporazione artigiana genovese poggiava sull’obbligo di esercitare il mestiere secondo regole accettate volontariamente e sulla soggezione al foro dei consoli per quanto riguardava le infrazioni alle regole stesse, e comprendeva cittadini e forestieri. La politica genovese era stata sempre larga e liberale verso gli stranieri, sia per compensare i vuoti demografici lasciati dalla vastissima emigrazione cittadina, che si era trasportata in logge e scagni in quasi tutto il mondo canosciuto di allora, sia per limitare gli svantaggi del fuoru-scitismo, sia per il bisogno costante di mano d’opera nelle industrie e nel porto. Intieri aggruppamenti di fiorentini, di lucchesi, di piacentini compaiono nella Superba fin dal secolo decimoterzo: nei due - 29 — secoli successivi si emanarono privilegi speciali ai teutonici e ai lombardi. Ma era anche incoraggiata l’immigrazione isolata: l’artigiano forestiero aveva il solo obbligo di domandare l’autorizzazione di soggiornare nella città o nel Dominio alle Autorità dello Stato : e il permesso gli era sempre accordato e, in più, gli si concedevano anche riduzioni sull’importo dell’ avaria, cioè sulla tassa di capitazione a cui erano obbligati tutti indistintamente coloro che abitavano sul territorio della Repubblica. Gli operai stranieri diventavano così convenzionati, una posizione giuridica ben delineata che riconosceva agli stranieri il diritto alla protezione pubblica, come se fossero stati cittadini, senza esser costretti a rinunziare alla loro cittadinanza di origine. Non occorreva neppure una abilitazione speciale perché fossero ascritti all’associazione della loro arte, e nessuno degli statuti conteneva restrizioni o divieti per gli stranieri. Al più una somma più elevata come tassa di ammissione. La riforma costituzionale del 1528 soppresse alcuni impedimenti che, nel corso degli anni, si erano frapposti al libero esercizio delle arti da parte degli stranieri. La legge ne specifica uno che riguardava certamente un grosso deposito cauzionale o fiscale quasi una compra dell’arte per lavorare. Essa nota che il risultato di questa restrizione era “ ut emeriti fructu operarum suarum carere cogentur, quia in ministerio suo fuerunt instructi, ob inopiam non poterant impendereE decretò la soppressione di ogni differenza fra cittadini e forestieri circa il diritto di esercitare un’arte per se vel per alium, e dichiarò che lavorare era un diritto riconosciuto “ cuicumque domicilium habenti in praesenti civitate*», senza limite alcuno. Gli artigiani interpretarono questa libertà in maniera estensiva per quanto concerneva il pagamento della buona entrata per l’esercizio del mestiere, sostenendo che questo era il senso da dare alla frase contenuta nella legge: sine pecuniarum solutione. Un decreto dogale del 25 agosto 1533, anche per non privare le finanze pubbliche della quota che spettava loro sulla buona entrata degli artigiani, ordinò che per libertà delle arti da ogni impedimento, non si dovesse intendere pure immunità dai diritti determinati dagli Statuti per la buona entrata. Questa doveva essere corrisposta, come pel passato, nella misura indicata dagli Statuti per ciascuna corporazione. Se però per le altre arti fu adottato il principio di non subordinarle a criteri di nazionalità, il principio non rimase illeso per l’industria della seta. Gli statuti del 1432 consentivano l’ammissione nella corporazione a tutti coloro, cittadini o stranieri, che avessero compiuto un tirocinio di sei anni, senza retribuzione, in Genova o nei sobborghi, presso un maestro abilitato. Se fosse mancato questo - 30 - tirocinio, il Genovese, per entrare nella corporazione, avrebbe dovuto pagare venti lire genovine, una somma molto alta, e il forestiero, oltre a subire un esauie e ad essere riconosciuto ed accettato dai consoli e dai consiglieri, doveva pagare lire genovine trenta. Una deliberazione dei dodici riformatori della Repubblica in data 13 marzo 1529, volle che i forestieri non potessero darsi all’arte della seta né direttamente né indirettamente se non fossero venuti ad abitare in Genova e non ne avessero preso la cittadinanza. Le limitazioni però riguardano assai più gli industriali e i commercianti della seta che gli operai. Circa il cursus professionale di costoro nulla di particolare li distingueva dagli altri artigiani sia di Genova che della Penisola in quel periodo. Gli apprendisti si incartavano, come dappertutto e, trascorso il tempo stabilito, quasi sempre sei anni, subivano un esame davanti ai consoli della corporazione, ed erano dichiarati maestri, potevano aprire bottega, pagando quella buona entrata alla quale abbiamo accennato. Gli operai si aggruppavano ed erano riconosciuti nella corpo-razione secondo la specialità del loro mestiere, però la corporazione considerava l’industria dal punto di vista del suo prodotto finale, la seta lavorata e pronta per la vendita e l’uso, sottoponendo le fasi della lavorazione, dall’acquisto dei bozzoli alla seta perfetta, ad una gerarchia facente capo ai setajoli, i quali regolavano tutto ciò che concerneva l’arte, anche sotto l’aspetto economico. Anche mantenendo i propri statuti e la propria organizzazione sindacale, i tessitori non potevano lavorare, né direttamente, né per mezzo di garzoni salariati, alcun panno di seta, se non per commissione e per conto dei setajoli, sotto una pena che partiva da quattro fiorini d’oro, ma che era applicata ad arbitrio dei consoli dei setajoli. Si faceva eccezione a questa disposizione soltanto nel caso in cui il tessitore, rinunziando alla propria organizzazione, si fosse ascritto a quella della seta : allora gli era consentito di lavorare per suo conto, con due soli telai, aiutato dalla moglie e dai figliuoli, ed anche da famuli, necessari al maneggio dei telai, ma non da garzoni salariati, né da altre persone estranee alla sua famiglia. Doveva poi pagare, per la buona entrata, sette fiorini, se cittadino, dieci fiorini, se forestiero. E per metter su bottega per proprio conto, occorrevano un nuovo permesso ed una nuova tassa. Inoltre, se il tessitore fosse entrato nell’arte della seta, era tenuto a denunziare ai consoli dell’arte “pretium quod habere potuit de qualibet pecia panni sirici quam laboraverit “. E così doveva denunziare il prezzo della seta comprata per tesserla, per apparecchiare e - 31 - rivendere, e in più quello della seta venduta, che doveva essere esattamente quello segnalato ai consoli. Gli era proibito vendere al minuto, o comunque a tagli di misura inferiore a venti palmi (cinque metri). I setajoli avevano fissata la tariffa per la tessitura: velluti doppi, venti soldi genovini a braccio di tre palmi, velluti semplici, diciassette soldi genovini, panni vellutati, una lira un soldo e tre denari, panni alti o bassi, due lire e due soldi, camocati larghi, dodici soldi e mezzo, camocati stretti, dodici soldi e mezzo, zenzonini, secondo una convenzione di cui ci occuperemo presto. La tariffa degli statuti del 1432 era più bassa. Ma nel 1479 l’industria si era sviluppata moltissimo e della seta genovese era grande la richiesta dai mercati del Levante e della Spagna: la maestranza era aumentata di numero, quella della tessitura più delle altre, e davanti alle condizioni generali della vita, che, proprio in quel periodo, era caratterizzata dall’inasprimento dei prezzi dei generi di prima necessità, e davanti anche all’arricchimento continuo dei setajoli, si agitò per ottenere un ritocco più favorevole alle tariffe di lavorazione. Abbiamo allora uno dei casi più significativi di concordato sui salari della mano d’opera concluso fra datori di lavoro ed artigiani che la storia ricordi. Il concordato, che ci duole di non poter riprodurre integralmente, per la sua lunghezza, fu stipulato per la durata di otto anni e considerava questi punti ; l’accordo fra setajoli e tessitori doveva essere ritenuto come contingente e non significava una alterazione qualunque negli statuti delle due arti, anzi l’efficacia degli statuti, nella sostanza e nella forma, era da presupporsi come immutata, in modo particolare per quanto riguardava la tariffa delle paghe fissata per i tessitori. Durante gli otto anni in cui avrebbe avuto vigore la convenzione i tessitori avrebbero ricevuto-diciassette soldi genovini in contante per ogni libbra, per i velluti doppi, venti soldi in contanti per ogni libbra; per i zenzanini otto soldi, se di portata di ottantaquattro, dodici soldi se di portata fra gli ottantaquattro e i cento: per i camocati quattordici soldi al braccio, per i velluti venticinque soldi al braccio, ciò che ra^o-ua-gliava a diciassette soldi la libbra; per i velluti cremisini fini^ di ritaglio venti soldi al braccio e per i velluti cremisini fini e di assortimento diciassette soldi al braccio. Si potrebbe ora riassumere: non esistevano industriali nel senso attuale della parola, con stabilimenti e maestranze. L’organizzazione - 32 - che abbiamo descritta non ci dovrà indurre a questo concetto, che sarebbe veramente errato. Vi erano capitalisti, che avevano nel tempo stesso cognizioni sicure e larghe sulla tecnica della seta e che commettevano la lavorazione dei tessuti ad operai, come già avevano commessa l’estrazione dei fili dai bozzoli alle cavatrici; i fili, dalle cavatrici, passavano ai filatori, da questi ai tessitori, ai quali si consegnavano i disegni, eseguiti da pittori e da specialisti: infine il tessuto passava ai tintori, e da costoro agli stessi setajoli, che provvedevano alla vendita all’ingrosso, al minuto, al consumo interno ed alla esportazione. I setajoli, appunto perché seguivano con assistenza economica tutto lo svolgimento della lavorazione, formavano la corporazione totalitaria, nella quale le varie categorie di operai, meno i tessitori, erano rappresentati, ma di cui essi erano gli arbitri. I conflitti economici interni erano regolati dai Consoli, quelli fra le classi erano appianati o per mezzo di accordi diretti fra i rappresentanti delle categorie, oppure, ciò che avveniva molto più frequentemente, per mezzo di arbitrati, la forma più comune e simpatica della vita commerciale e industriale genovese. Naturalmente, giacché i tipi di tessuti in seta erano piuttosto poco varii, e determinati in ogni loro particolare tecnico, la sistemazione dei rapporti economici era anche più facile. Lungo il secolo decimosesto la produzione, con alcuni tipi per i quali, per esempio i velluti, si era raggiunta la perfezione, e le-sportazione in tutta l’Europa, aveva guadagnato un altissimo livello. Non abbiamo dati statistici per dimostrarlo, ma accenni in tutti gli scrittori, e, per riflesso, negli storici delle altre regioni, Modena, Reggio, Bologna, Venezia, Milano, la Francia, la Germania. Vorremmo riprodurre, anche per additare l’eccellenza a cui arrivò 1 arte, velluti custoditi nei Musei di Reggio Emilia e di Modena, per fornire una prova dell espansione del prodotto genovese: dobbiamo pero rinunziarvi. Ci limitiamo a raccogliere i dati numerici dei setajoli, e dalla quantità di essi si potrà dedurre agevolmente l’entità della lavorazione e del traffico. I setajoli che si aggrupparono nella corporazione appena dopo la redazione degli statuti furono sessantadue. Altri centodiciassette si iscrissero poco dopo: nel 1558 erano duecentoquarantadue ; ed altri molti ne registra la matricola fino al 1597. E fra i seateri troviamo i nomi delle famiglie più cospicue di Genova, comprese quelle che discendevano dagli uomini consolari della prima formazione del Comune, i Doria, gli Spinola, i Centurione, come troveremo tutte le famiglie che, nel 1528, erano entrate a far parte dei nuovi Alberghi nobiliari. Riportiamo in appendice, nella loro interezza, le matricole. - 33 - § 3 - Le notizie raccolte dal Belgrano, dall’Alizeri e dal Pan-diani, riassunte poi dalla Podreider, dicono che lungo il Cinquecento 1 arte della seta genovese era in pieno fiore : il Lencisa fa ascendere a 25.000 gli operai addetti alla lavorazione, che, poi, era esportata in tutto il mondo. I velluti cesellati, che furono veramente famosi, giungevano in Levante, in Francia e in Ispagna: una parte di essi era riservata al lusso delle dame e dei gentiluomini della città, lusso di cui si fa eco il Belgrano. Un’idea delle ricchezze tessili accumulate nelle case dei patrizi ci è data dall’inventario dei beni di Andrea Doria, nella villa di Fassolo. Pierino del Vaga e Nicolò Veneziano avevano dato cartoni e disegni per le tappezzerie e le decorazioni in velluto e in raso policromo. Le chiese ricevevano paramenti lussuosissimi, quasi sempre adornati con le armi dei donatori, i Lo-mellini, gli Spinola, i Fieschi. Il secolo seguente a noi pare il più vivace e il più coordinato nella storia dell’industria serica genovese : le cause ne sono varie e numerose, forse più di natura tecnica, e, forse, in parte dovute all e-norme accumularsi della ricchezza mobiliare nelle famiglie della Superba. Una relazione del 18 novembre 1664, che meriterebbe di essere riportata nel testo completo, inviata alla Giunta del Traffico, può essere considerata come la descrizione del punto più alto raggiunto dall’arte tessile; subito dopo accadde il declino. Ne indichiamo le informazioni più importanti, specialmente dal lato statistico. Nella Riviera di Ponente, in Val Polcevera, lavoravano diecimila maestre registrate, che incannavano le sete grezze: lavoravano per tutto l’anno insieme con le loro famiglie, e per parecchi setajoli committenti. Nella Riviera di Levante erano registrate 4553 maestre, che lavoravano alle sete grezze più sottili, che si avvolgevano a fili intorno a rocchetti. Da queste maestre, la seta passava ai filatori. Di maestri filatori, in Genova, in quell’anno si trovavano 160, ciascuno nella sua bottega, con i loro “ varighi •% o telai, come si chiamavano. Dice la relazione : “ al presente non travagliano tutti li detti varighi, vero è che ognuno di essi governa la sua famiglia in detto mestiere, e la maggior parte governa due o tre persone lavoranti ; di più ognuno di essi filatori avrà di sei in otto maestre che incannano sete per portarle sopra li varighi per filare e torcere : da detti filatori passano per mano del mercante ai tintori di seta “. Una caratteristica di questa industria era anche quella di occupare intere famiglie e di chiedere, soltanto quando fosse stato necessario, l’aiuto di lavoranti estranei. Di tintori di seta, continua la relazione, ve ne erano in Genova da 18 a 20, come capi e gestori di tintorie: ognuna di queste aveva l’opera di tutta la famiglia del tintore e la cooperazione di quattro lavoranti in media: però - si 3 - 34 - dà 9 nota - “la maggior parte di essi lavoratori sono padri di famigliaJ ciò clie fa presumere che gli operai addetti alle tintorie fossero in numero maggiore. “Tinte che hanno le sete - dice il testo - passano per mano del mercante alle orderici (orditrici). In Genova si trovavano in attività circa 140 orditrici, ciascuna con dieci o dodici maestre, che incannano la seta tinta “. Una volta compiuta 1 orditura, le sete, sempre per mano del mercante, erano affidate ai tessitori. In quell’anno erano in Genova più di 400 tessitori ed altrettanti telai, ogni telaio impiegava “tre persone compreso il padroneJJ. Nella ì-viera di Levante i telai erano un poco più di 3000, ed °&D* ^!° aveva il numero di operai uguale a quello dei telai di città. e a predetta Riviera vi sono al presente duemila cape, maestre i setti (nastri), e qualsivoglia di esse ha più telai che due o tre, secon o li figliuoli che tengono, cioè un telaio per ognuno, e lavorano tutto 1 anno di detto genere; hanno quantità di seta in casa per tutto 1 anno, da più mercanti “. In Genova e nei sobborghi vi erano poi 0 “duemila maestre di calzetteE vi sono “nel Dominio, in più J’ come a dire Rovereto, Sestri, Pegli, Voltri, Albissola, Ovada, o taggio, Novi e circonvicini, e nella Riviera di Levante, Quarto, ervi, Sestri, Levanto, Monterosso, Sarzana et altri lochi della Corsica, nei quali per due mesi continui infra l’anno vi sono le maestre che anno la seta nuova, le quali pure si sostentano. Vi sono pure tante a tre qualità di operai, come a dire pettinarli, remondatorii, ondatori altri che fanno ferri et istrumenti per detti maestri, altri che ann acque ai lavori, maestri di fogge et opere, e tanti altri pure si go vernano in detto mestiere, senza poi quelli che si impieg3110 P^^ fidali, ossia lavoranti di detti saeteri, in numero da 11® PlU § 4 - Una statistica ufficiale del Banco di S. Giorgio, che, come si sa, era 1 amministratore e il gestore di gran parte delle dogan genovesi, ci rileva quanto sia stata importante l’esportazione de a seta lavorata nella città e nel suo Dominio. L’esportazione non aveva vinto soltanto i mercati europei, ma si era affermata vittoriosamente anche su quelli del Levante: Eccone i dati più rilevanti: - 35 - DESTINAZIONE ANNO Quantità in libbre genovesi Spajrna......^ 1652 3081100 Totale 8142200 ( 1653 2945100 1654 2116000 Francia......^ 1652 571000 „ 2305900 1653 711700 1654 1023200 Inghilterra.....J 1652 867800 „ 2870300 1653 857700 1654 1145000 Fiandre ...... j 1652 542970 „ 2899670 1653 657400 1654 699300 Germania.....J 1652 424100 „ 1447200 1653 522000 1654 501100 Lisbona......j 1652 501900 „ 1628200 1653 504800 1654 621500 Lombardia.....' 1652 30650 82550 1653 22700 1654 29200 Sicilia e Levante . . . j 1652 60100 447600 1653 199700 1654 187800 Un totale generale di libbre genovesi 20.823.620, in appena tre anni. § 5 - Si produsse subito, dopo questa meravigliosa espansione, una crisi gravissima che segnò quasi la fine di questa industria, dalla quale tanto nome e così grande ricchezza erano ricaduti sulla Superba. La peste che decimò quasi tutta l’Italia continentale, produsse in Genova conseguenze funeste. Quasi tutti i tessitori, maestri ottimi nel lavorare, come dice Agostino Spinola in una relazione inviata ai Serenissimi Collegi nello stesso anno, erano morti; altri si erano sottratti alla moria con la fuga, ma avevano trapiantata l’arte fuori - 36 - dei confini della Repnbbliea. Per qualche anno la produzione della seta lavorata era quasi nulla. E i Franeesi avevano avuto 1 opportn-ni,à troppo facile1 di guadagnare i mercati spagnnoli, sui qua , la richiesta era sempre fortissima, e “con l’abbondanza e diversità d, essi lavori esportavano a segno che “a miglior bara o può pr°v Tuttavia, la situazione poteva essere considerata come perico-Iosa, ma non compromessa totalmente. Appena cessata la pesi'lenza, il lavoro era stato ripreso e l’ammontare della produzione, nel 1665 si calcolava a circa sette milioni e mezzo di lire genovesi. Ma 1 declino era segnato. Non abbiamo altri dati ufficiali per determinarne il corso e le conseguenze nell’economia cittadina. Ma verso a ne del secolo, alcune notizie raccolte dal Banco di S. Giorgio, provano che l’importazione sia di sete grezze che di sete lavorate superava di gran lunga l’esportazione, e proprio dalle stesse zone che, nei tempi precedenti, avevano accolto quasi esclusivamente il prodotto henoves Ecco le statistiche dal 1693 al 1697 per le sete grezze : 13 febbraio 1693 al 12 febbraio 1694 PROVENIENZA PESO ESTIMO Sicilia . . . balle 175 cant. 298.99 L. 161460. Levante . . 99 46 „ 121.75 99 57529 Calabria . . 99 100 „ 86.60 99 43840 Piemonte . . 99 16 „ 33.29 99 10486 Lombardia . 99 38 29.56 9 > 15960 Liguria . . 99 3.18 99 3219. 13 febbraio 1694 al 12 febbraio 1695 * Sicilia . . . balle 144 cant. 255.35 L. 137892. Calabria . . 99 111 „ 139.8 99 75475 Levante . . 99 17 „ 43.10 99 20415 Lombardia . 99 50 „ 51.54 99 27832. Piemonte . . 99 3. „ 237. 99 1116. 13 febbraio 1695 al 12 febbraio 1696 . Sicilia . . . balle 106 cant. 182 8 L. 110610 Levante . . 99 38 „ 87.4 99 44065 Calabria . . 99 56 „ 56.19 99 30340 Lombardia . 99 44 „ 35.4 99 21289 INTROITO L. 16206 5771.3. 7 / 4396.19. 99 99 1053.11 1097.13 99 96.15 L. 28622.1.3. L. 13827.10 •j * 7550.4 / 7 2048.8 99 1914.3.8. *19 7 7 115.3. 99 TT ■Ï547I8Z L. 11087.6. 9 9 4619.11 99 3042.8. - 37 — 13 febbraio 1696 al 12 febbraio 1697 PROVENIENZA Sicilia . . Levante . Calabria . Lombardia Piemonte . PESO balle 127 cant. 210 67 39 „ 83.13 15 „ 1881 24 „ 16.17 3 „ 0.51 ESTIMO L. 127980 42885 10256 9769 765 INTROITO L. 22829.10 „ 4220.29 „ 1028.8. 671.11 77 L. 18817.8. Napoli, Sicilia, Levante ESTIMO INTROITO balle 397 cant. 635.45 lib. 365632 36658.8 Lombardia „ 20 .. 22.15 „ 6248 429.12.6 37088.1.6 Ecco poi la statistica per le sete lavorate 1693 PROVENIENZA Lombardia Napoli 1694 Lombardia Napoli 1695 Lombardia Napoli 1696 Lombardia Napoli PESO Balle e ballotti 63 72 53 66 47 24 32 cantari 84.27 24 5 65.33. 86.13 82.49 69.24 28.89 48.25 ESTIMO lire g. 57369 16480 44706 56006 62560 49749 20668 34076 INTROITO lire g. 3943.-8. 1652.12. 3072.-4 5623.11. 4229.5. 4985.5. 2420.2- 3423.16 Mentre la relazione del 1665 concludeva, non senza orgoglio che “il smaltimento di tutto questo genere (e cioè la produzione della seta e dei velluti genovesi) tanto dentro come fuori si calcula uno anno per 1 altro per la somma di lire milioni 7.255.000 cavato da regula infallibile-, sui principi del Settecento la manifattura delle Seterie era in piena decadenza. Capitolo II § 1 - Caratteristica dell’industria serica genovese fu la perseveranza di uno stesso prodotto, specialmente per quanto riguarda la qualità e la bontà del lavoro. Leggi speciali approvate dallo Stato, le regole delle singole arti collegate, la vigilanza dei Consoli della Corporazione in un primo tempo, e del Magistrato della Seta a partire dal secolo decimosettimo, concorsero a creare e a mantenere un tipo costante di seta, che prendeva una garanzia diretta dal nome del setajolo fabbricante. La scelta della materia prima, la tessitura, la tintura, e poi le dimensioni della tela, il peso da dare alla stoffa, tutto era disciplinato ferreamente, in modo che la produzione, una volta accre ditata, avesse potuto conservare i mercati esteri, conquistati con tanta fatica. La coordinazione delle norme per la tessitura e la tintura delle sete è già elaborata negli statuti del 1432. I panni di seta dovevano essere fabbricati con pettini di misura e di larghezza uguale a que a dei panni, ed al pettine doveva essere impressa la marca di fabbrica del pettinaro che lo produceva, e intanto, nessuno poteva fabbricare panni di larghezza e lunghezza diversa da quella che era sta i ita dalle leggi e dagli Statuti, sotto pena di due anni di galera al tessi-tore inadempiente e della privazione dell esercizio dell arte e e a confisca della seta per il setajolo. E due anni di galera erano commi nati ai pettinari che non avessero costruiti i pettini della misura giusta. “ Qualsivogli panno di seta non si possi fabbricare che prima la seta per la tela non sia filata ad un capo e torta a due, esc usi i fresetti e taffettà leggieri, i quali non possano essere di portata più di trenta. In tutti li panni di seta si debbano mettere le trame a due capi e non ad uno: le fila così delle tele come delle trame debbano essere doppie e le fila ben torte insieme Obbligo per i setajoli di far filare la seta prima che fosse torta: nei panni di seta di qualunque sorta non era permesso di mescolare o di utilizzare calzette vecchie o seta vecchia di qualsiasi genere, e non era fabbricare alcun panno di seta, esclusi gli ormesini, le saie, i ta etta leggieri e gli arbasetti, che non avessero avuto cimosa, sulla qua e doveva essere tessuto chiaramente (aperte) un segno che avesse deno - 39 - tato, con la maggiore approssimazione, la portata della seta che entrava nel panno, e nessun tessuto poteva recare la cimosa, perchè non fosse originata confusione con quelli fini: la cimosa rappresentava il tessuto di qualità più alla. Le altre tele, meno fini, dovevano distinguersi da “ cinque o sei denti di cordellini Tanto i panni di seta quanto i fresetti non potevano essere dichiarati ben costruiti senza una trama di seta perfetta. Nei panni di seta non dovevano entrare ardassi, doppi, lombardi “ né di detta qualità di seta possano i seateri tenerne appresso, come anche nei panni restano proibite le sete pel Levante (escluse le berrettine e il chiuffù), né per esse tenerne peli e trame di simil seta Non si può dare onto alle sete; introdotto dalla malizia di qualche manifatturiere, per accrescere il peso della stoffa, l’uso dell’onto (unto o grasso), importava la pena di due anni di galera. Era anche proibito di dare acqua ai panni, o di farla dare, a meno che non si fosse trattato di rasi, perchè dare acqua significava fare apparire i tessuti per quelli che non erano. I seateri erano tenuti ad imprimere sui panni la propria marca di fabbrica, visibile e indelebile, ed aggiungervi il loro nome e cognome, sotto pena della perdita della stoffa, come sospetta. Accanto a queste regole di carattere generale si svilupparono poco dopo alcune altre discipline più specifiche, interessanti diretta-mente la qualità dei tessuti destinati a sostenere la concorrenza sui mercati di esportazione. I damaschi di portata da novantotto, o di portata minore, dovevano essere fatti con un solo filo per cordone e quelli di portata da novantotto in su con due fili per cordone. Il colamacco di due palmi e un quarto, di portata quarantaquattro o quarantacinque, di ottanta fili per portata. “ Li larghi (colamacchi), palmi 42 e 1/4, la tela sia di portata 89, le cimose siano strette di file 50, nelle quali ve ne siano 40 di verde od altro colore ad arbitrio del seatero con un oro per banda di fila 10, bianco od altro colore arbitrio del seatero, purché sia differente dalle quaranta, ed ai larghi due ori per banda. Non se li possa dare acque. Dimiti di seta larghi palmi 2 1/4, di portate quarantaquattro, li larghi siano di palmi 4 14, per portate 89 di fila 80. Le cimose siano in tutto come sopra si è detto per li calamacchi. Gli ormesini rasati piani di palmi 2 1/4 siano di portata 45 di fila 80 per portata; la cimosa con un oro per parte. Detti panni devono pesare, cioè i neri un’oncia e tre quarti per braccio al più; e i colorali alla rata; e quando una pezza di braccia 120 pesasse più di una libbra, il seatero s’intenda non abbi fallito (cioè, si sia attenuto alle regole stabilite). Che circa li lavoratori si osservi in tutto come sopra, esclusa la cimosa, la quale dev’essere cioè ai neri per 40 fila giallo oro e 10 verde e a quelli di colore sia in arbitrio del seatero farli di che colore vogliono, — 40 - purché l’oro sia sempre verde bello. La tela dei tessuti palmi 4 1/4 sia almeno per portate 89 di fila 80, tanto piani quanto lavorati con due ori nelle cimose. I tabili piani non possono essere di minor numero per portate 44, e i lavorati non possono essere meno di portate 40. Nella trama deve entrare tanta seta, che tanta sii tela quanto trama, salvo però che da una pezza di libbre 120 non si intenda esser mancante quanto la tela pesi meno di due libbre. Si possono fare i tabili in maggior numero di portate, osseivando però sempre che vi entri tanta tela come trama o poco più poco meno. Nei tabili piani neri devono mettere i seateri tanta tela quanta seta, che sia in peso un’oncia e mezzo quarto almeno per ogni braccio prima di esser posto in lavoro. Le tele tabili lavorati siano oncia una e un quarto per ogni braccio almeno. Le tele e i tabili lavorati, di colore, siano prima di essere tessuti di un’oncia e mezzo quarto di peso almeno per braccio. Le tele e i tabili piani di colore siano di tre quarti e mezzo di oncia per braccio, come minimo ^. I seateri, sempre secondo queste ordinazioni, erano obbligati i tenere scrittura diligente del peso della loro seta, nei libri commercia ì, quando la consegnavano ai tessitori : i taffettà leggieri non potevano essere eseguiti in numero di portate maggiore delle trenta, e senza cimosa. Si potevano però fare taffettà leggieri di larghezza di pa mi 2 ed 1/3, di portate 45, mettendovi però ai due capi una tire a i filo rosso appariscente, affinchè si fosse riconosciuta “ 1 inferiorità i questi dalli ormesini “. E gli ormesini, o taffettà fini, larghi pa mi tre, “ non si possano fabbricare in minor numero di portate ? e abbiano un filo d’oro per cordone. Gli ormesini fini, larghi pa mi 3 1/2 da portate 72 a 79, un filo in un cordone, due nell’altro ed a quelli di portate 80 in su, due fila d’oro per cordone. I cor oni siano di fila otto di pelo giaJlo per ogni corso ordito a due o tre fili. I rasi di portate fino a 124 abbiano un filo di cordone ne e cimose; da portate 125 a 136 le cimose devono essere con un o in un cordone e due nell’altro: quelli di portata da 137 in su ab iano le cimose in due fila per cordone. I rasi lavorati non si possano fare in numero di portata inferiori a 100, e chi li volesse fare, non possa, senza licenza del Magistrato11. . II 26 gennaio 1466 Benedetto di Negro, Battista Garroni, io vanni Giustiniani Banca e Marco Doria, commissari alla riforma eg i Statuti dei seateri e dei tessitori, decretarono che non si potesse tin gere alcun panno di seta con concia nella quale fosse entrata in tutto o in parte la lacca, oppure il cremesile sofisticato o adulterato, ma solo cremesile puro; vietavano pure l’uso della seta cruda, atta eccezione per ^baldacchini. Proibirono di mescolare la seta pura con quella chiamata costa o de costa, o adoperare aliquam mixturam, - 41 - si doveva mettere in opera soltanto la seta pura. Altri divieti: quello di introdurre nella fabbricazione l’acqua celandria, oppure la gomma; di tingere in morello o di morello, invece di tingere in piro cremesile; di tingere in grana o di grana, e soltanto nei tessuti più correnti era lecito adoperare tre quarti di cremesile e uno di grana o di morello. (Cod. fol. 70 e segg.); Il 4 giugno dello stesso anno il Governo fu costretto ad emanare una grida in cui erano ribaditi i divieti e sancite le tolleranze suggerite- dai Commissari alla riforma. Queste disposizioni per la loro ampiezza e il valore del loro contenuto debbono essere considerate come vere e proprie riforme degli Statuti del 1432. Ma il 23 aprile 1513 su proposta dei Consoli dei Seateri, il doge Giano di Campo-fregoso, premesso che “de taffettalibus qui fabricantur in presenti civitate percipitur non parva utilitas et quod nonnulli cum eorum fraudibus querunt talia taffettalia taliter fabricari facere ut in quacumque mundi parte repudientur “, ordina che i taffettà siano di portata quarantotto a pezza per i taffettà stretti e di portata quarantaquattro per i larghi; quelli stretti abbiano la larghezza dei velluti e quelli larghi tre palmi e mezzo netti; la tara doveva poi essere uguale a quella di tutti gli altri panni di seta. Il 30 maggio 1519, il Governo si preoccupò pure della fabbricazione di tessuti di seta più fini e più ricercati per l’esportazione, ed emanò un proclama: “vogliando obviare a qualche fraude hanno trovato si commettono in li veluti de colore cremisi morello ne li quali si sono trovate diverse fraudi e specialmente non essere stati tinti ne li debiti modi et forme come se deviaordinò che “si sorteggia ogni anno un console che soprintenda più specialmente alla manifattura dei colori; il bagno di colori, una volta che sia servito deve essere gettato viaM. La sorveglianza sulla bontà del prodotto era costante da parte del Governo: il 21 gennaio 1530 furono promulgati questi capitoli per rendere sempre più perfetta, uniforme e gradita dai mercati stranieri la fabbricazione del velluto genovese : “Parte Illustrissime Dominationis excelse Reipubice Januensis. Si comanda che non sia persona alcuna di che sorta grado et qualità se sia sì seatero come textore de drapi de seta che ardisca o presuma instruere o fare fabricare veluti de qualsivogli sorte et qualità se non nei modi et forme che di sotto si diranno. Et primo se li veluti saranno cominciati a fabricarsi de uno pillo o de uno e mezo o de doi e più pilli che tali veluti cioè cadauna peza di essi debia seguirsi et perficiersi secondo la sarà stata principiata. Item che la pezia del veluto se incominserà a fabricar de suo pilo a tre cavi che tuta detta pezia debia parimenti perficiersi secondo che sarà stata principiata. Item che escluso il colore pileone che tutti li veluti de colore debiano tramersi de trame del inedemo colore in tutta la pezia sino alla totale perfetione di essa salvo se alcuno eleggerà di tramarla de colore negro che possi in tutto de colore negro tramarla con questo che in tutto se trami de negro. Item che tutte le trame di tutti li veluti debiano essere de una qualità ciò è che la trama che in principio sarà posta in la petia debia seguire et essere de la qualità principiata. Item se alcuno si eleggerà de tramar veluti di seta di costa o de doppi che tutta essa petia debia tramarsi di costa o de doppi secondo sarà stata principiata Le quali cose debiano da ciascuno essere observate sotto le pene infrascripte ciò è che tutte quelle pezie de veluti si troveranno texute et fabricate non nel modo de sopra se dice, se intendano et siano perdute et cadute in commisso etc. (Cod. fol. 128)“. § 2 - La tecnica tintoria delle sete ebbe una disciplina minuta e ferrea fin dagli inizi dell’industria. Chi ha pratica delle collezioni documentarie custodite nell’Archivio del Banco di S. Giorgio ed in quello delle Finanze dell’Antico Comune, conosce la grandissima quantità di materie coloranti importate ogni anno dai setajoli genovesi. L’indaco, la porpora, la noce di galla, in modo particolare, affluivano nel porto della Superba in un numero di casse quasi incalcolabile. L’osservanza degli statuti, che, già dal secolo decimo-quinto, erano elaborati e perfezionati, fu quasi costantemente scrupolosa ; ma, verso la fine del Cinquecento, come si erano introdotti abusi nelle regole della tessitura, in quelle che concernevano la qualità della seta da usare nella manifattura, si infiltrarono frodi anche nella tintoria. Sicché, nel 1630, il Governo, su richiesta del Magistrato della Seta, ordinò ai tintori di “ non adoperare campuccio in colore alcuno e nemmeno tenerne in casa, né nelle tintorie, o altrove sotto loro nome o d’altri a loro disposizione sotto la pena della perdita del campuccio e più di lire cento per la prima volta, la seconda duecento, la terza poi e le altre trecento “. Pene pecuniarie che sono assai gravi; e sotto le stesse pene fu vietato di “ dare violetto ai colori celeste, perseletta, turchino ed azzurroM e “ di dare allume al nero M. Le sole materie coloranti di cui i tintori avevano facoltà di servirsi erano “ galla, vitriuolo, limaggio e gomma Lavate che fossero le tele dovevano essere insaponate “con la feggia“; pero potevano “ mettervi due fin in tre oncie di gallone per ogni libbra - 43 - di seta, peiché addolcisce e fa borrissimo effecto, ma non in maggiore quantità in modo alcuno “. Anche il sapone occorreva che fosse di qualità normale, perché fin da alloia se ne usavano falsificati, ciò che “ dava mal odore al panno e non poco pregiudizio alla tinta “. Perciò duecento lire di inulta al fabbricante di sapone sofisticato, la restituzione della somma percepita e una inabilitazione all’esercizio della saponeria per un periodo di tempo che avrebbero fissato i Prestantissimi Magistrati. E se il tintore avesse adoperato il sapone adulterato, accorgendosi della qualita, sarebbe stato considerato in dolo malo e sarebbe incorso nella stessa pena. Il sapone non era “della bontà dovuta “ quando “non consterà della seguente mistura: olio, bratta, soda mischia con calcina . La soda e la calce costituivano lisciva “ la quale poi mescolata con detto olio e bratta forma il sapone I sofisticatori, prima di cuocere la miscela, la introducevano in una botte, vi aggiungevano lisciva od acqua ‘ o altra cosa simile, le quali guastano il sapone Per ritornare alle tinte, era pure proibito, con minaccia di grosse pene pecuniarie, usare il “ melasso, allume et sale “. Abbiamo una fattura del 1635 sul costo di tintuia di cento libbre di seta nera : sapone per cuocerla, lire genovine 5, legna e fascine, n 5 4 galla, per due volte, „ „ 5’ cinquanta galle di Levante, „ „ 30, vetriolo, „ „ 1.4, limaglia, „ „ 2.12.6, gomma arabica, „ „ 3.4, sapone per insaponare, legna, aceto per sciogliere il sapone, „ „ 1.15, legna per scaldare il nero, consumo di luce e uso del rame „ „ 2.10, manodopera „ „ 8.16, al maestro „ „ 10. Un totale di circa ottanta lire genovine, per la sola tintura. § 3 - I tessuti di seta genovesi dovettero sostenere la concorrenza dei fabbricanti stranieri, e la superarono con la bontà del prodotto, la perseveranza del tipo, e forse anche per l’accessibilità dei prezzi, in rapporto con l’eccellenza della fabbricazione. Ma furono pure esposti alla concorrenza del lavoro eseguito fuori di patria dai fuorusciti. Un decreto del 13 aprile 1452 (Cod. fol. 29 v), dice - 44 “ considerantes quod certo jam elapso tempore quidam textores pannorum sete arripuerunt fugam et se transtulerunt ad partes Catatonie et ibi dictam artem exerceant insieme con le famiglie e gli attrezzi da lavoro, ordinò che nessuno, “nec clam nec palam “ possa allontanarsi da Genova senza licenza e portare con sè arnesi, sotto pena di cinquecento fiorini, tanto al fuggiasco quanto ai suoi la\oieggia-tori. Ma seguirono altri casi, assai frequenti, di setajoli e di artigiani della seta che, o per ragioni politiche, o per ragioni economiche, abbandonarono Genova e recarono altrove il segreto della perfezione della sua industria. Il tintore Stellino da Novi, padre forse 0 comunque della famiglia dello sventurato Doge Paolo, tintole, Tommaso da Vernazzano, setajolo, Antonio Pozzi, tessitore, fuggirono per le paites orientales, sbarcarono a Chio, e colà furono arrestati dal Podestà e dai Mahonesi. Informati i Consoli dell Arte in Genova, chiesero che fossero trattenuti in carcere fino a che non avessero pagata la pena in denaro alla quale erano soggetti coloro che fuggivano dalla città, e chiedevano pure che lo stesso trattamento fosse usato contro tutti coloro che favorivano le fughe e i tentativi di trapiantare fuori l'arte della seta (Cod. fol. 90, 9 novembre 1483). Ma i decreti e le grida non raggiungevano lo scopo : le fughe di setajoli e i operai erano continue: e si pensò a pene più gravi, per esempio, a sequestro dei beni di chi si fosse allontanato. In questo senso si promulgò un proclama il 4 febbraio 1494 (Cod. fol. 133). oc 1 anni dopo, e precisamente nel 1499, Agostino, figlio di Giorgio Liberti con la madre Benedettina “arripuerunt fugam et se transtu lerunt ad partes Alemannie pro construendis artibus setarie textorum tinctorum et. filatorum septe “. Prima si erano fermati nella citta j Trento, dove le sete erano molto richieste e molto usate, e dove i Principe - V escovo aveva largito un privilegio di esenzione dalle ga • rr i „ ai belle appunto per favorire le manifatture della seta: m iren , p ? 1 viveri costavano molto poco e gli operai per la facilità della vita, si trovavano benissimo. Trento, è come dire “in medio mun i sulla strada per Bruges, poco distante dai confini d’Italia? e le mer^ canzie possono essere istradate per il Piemonte e per Lione. ^ diceva che Agostino e i suoi compagni avessero intenzione di a si ficare i velluti e gli zendadi, orgoglio dell’industria genovese, e i si vociferava che i fuggiaschi fossero finanziati da un conci a “bona causa non nominandoI Consoli, considerando la £raVI*a^. il pericolo sempre rinascente di questi fatti, chiesero l’istituzione una magistratura speciale di sorveglianza, che si opponesse a qu ^ fughe e, occorrendo, comminasse una pena di 100 ducati. E con creto del 3 dicembre 1499 il Governo nominò la magistratura spe ciale nelle persone del Commissario Francesco Lomellini e tta - 45 - De Fornari. Neppure questo fu un rimedio adeguato. E, per facilitale la sorveglianza sugli operai e sui setajoli e impedirne l’espatrio, il 23 novembre 1515 (Cod. fol. 190), il Governo promulgò una grida perchè “ogni singolo textore de panni de seta quale al presente se trova con soi telari a lavorare fora de la città e burgo de Genoa che entro a tucto Poetavo giorno de dicembre prossimo, postposita ogni dilazione e difficulté liabia e debia venire entro la città et burghi cura soi telari et altri arneixi “. § 4 - Per fronteggiare gli effetti della crisi che si produsse nell industria verso la metà del Seicento, Agostino Spinola, che il Governo aveva scelto come commissario tecnico, era di parere che si dovesse tornare alle tradizioni antiche di lavoro, e che così non solo si sarebbe conservata l'industria serica, ma si sarebbe potuto sperare in un “ augmento considerabile “. Occorreva perciò che “ fossero di nuovo totalmente in osservanza li ordini antichi, massime nella fattura dei velluti e dei damaschi, che non sono mai potuti riuscire in altri luoghi di tal perfezione come nella nostra città M. Naturalmente, la peste, il disordine, lo sbandamento che ingenera ogni pubblica calamità, anche nella ripresa dell’industria, avevano rallentato il senso della probità professionale nei singoli setajoli e negli artigiani, sicché le radici della crisi ci si rivelano anche più lontane e più profonde. Agostino Spinola dice : i pettini dei tessitori non hanno le misure giuste, né le loro legature; bisognerebbe distruggere i pettini deficienti, ordinare che siano bollati quelli esatti; i filatori torcono la seta senza i punti dovuti, ed occorre verificare i telai, se hanno le stelle e i denti secondo le ordinanze legali e statutarie. I setajoli non imprimono più il loro nome o quello della ditta sui tessuti ; i panni di seta sono tessuti a trama di un capo invece che di due; e “ poi che al giorno d’hoggi di Pisa, di Piacenza ed altri luoghi di terra vengono introdotti nella città qualche panni di seta di qualità inferiore, quali poi dai mercadanti, si spediscono fuora come se fossero fabbricati in Genova, e con ciò discreditano le nostre fabbriche “, sarebbe necessario che tutte le sete avessero il bollo di origine. La tinta della stoffa conferisce assai alla durata e alla bellezza del panno, e perciò non solo si dovrebbe ripigliare l’uso antico di assistere col mercadante uno dei Consoli al color cremesile, ma ancora nel fare i neri, che sono ormai tanto cattivi che abbrugiano e guastano la seta, ordinando che vi ponesse le tre quarte parti di galla ed un quarto di gallone, senza limaggia di ferro, che rovina il lavoro, e che perciò dovrebbe assistere nel fare detta tinta uno del Magistrato, rivedendo gli ingredienti come si faceva - 46 - prima, che si chiudeva la caldaia con un lucchetto fino al tempo necessario per perfezionarlo. Vi era intanto una categoria di incettatori che, per masc erare le tele, le alteravano, con una tintura: si chiamavano i merleggiatori “ che sono quelli che comprano le tele rubate “. La tintura ac u te rata per i furti, serviva pure per accrescere il peso delle sete. 1 sarebbe dovuto usare diligenza, secondo Agostino Spinola, per co pire ** anche con vie segrete “, con gravi condanne i ladri, i ricettatori, e gli stessi seateri che, per rifarsi del danno del furto, si ere eva“° “ necessitati a studiar forme che pregiudicano la bontà del panno . Lo Spinola precisa pure alcune varianti che gli parevano uti 1 nella tecnica della manifattura, perché o frutto di esperienza o a atta mento ai gusti mutevoli degli acquirenti. Per esempio, i taffettà eg gieri che non potevano essere tessuti su più di trenta portate, non av^ bero dovuto averne meno di venticinque, quando erano larg i palmi e mezzo. “ Per riconoscere se il velluto sia falso, o a peli dovuti, sarebbe necessario rinnovare l’ordine che si lasciano e tre dita del pelo con aggiungere che il tessitore dovesse portare IT DO O . cono 1 rimesso in camera per essere bollato, e serva che il rimesso lizzi ed il pettine ". Quanto ai tabili, i setajoli mettevano più trama che tela, contro gli ordini, e questo perché la trama costava della tela; ne derivavano un danno alla merce e una frode a aCCIul rente, che occorreva fossero impediti. E questa regola avrebbe ovu essere applicata anche agli altri tessuti. ■ Le sete che si fabbricavano appositamente per Messina, come ciarabassi e i bulmen, avrebbero dovuto portare un segno Pa*!1C°tantj e non il bollo e il nome delle ditte genovesi, accreditate a anni “ perché ciò farebbe scapitare l’estimazione del lavoro § 5 - Anche Paolo Gerolamo Pallavicino, verso il \z%ò occupò della situazione in cui si trovava l’arte della seta, e * al Senato una relazione. La riportiamo quasi interamente, a lettore possa giudicare, dalle proposte diverse e dalla dinere ^ tenore, le ragioni della crisi e l’entità dei rimedi che si Pr°p_jja. vano. “Per la totale perfetione dell’arte della seta — scrive vicino — tanto utile alla città nostra, si potrebbe andare c^ngoj-rando se convenga far riconoscere i pettini da uno dei 00 dell’arte o per altro da eleggersi in compagnia di un conso ^ tessitori che siino di giusta misura e legatura e farli bollare s troveranno tali quali li ordinano li capitoli. Ordinare al Pe./rjc0. che nell’avvenire non possi vendere pettine alcuno che non su ^ nosciuto e bollato dal sindico alla presenza d’uno dei cons - 47 — bolle che si determinasse sotto quelle pene che si stimeranno dovute col ripartire tra di loro tal fonzione senza spesa nè gravezza alcuna del pettinaro né del tessitore. Far rivedere di tempo in tempo li va-reghi (telai) se hanno le dovute stelle con i denti secondo i capitoli e se i filatori torciono e filano le sete buone con i dovuti punti. Rinnovare 1 ordine che i seateri imprimano nei lavori delle proprie fabbriche il proprio nome indelebile. Procurare l’osservanza del capitolo che determina che in tutti li panni di seta si debba mettere la trama filata a due capi e non ad uno come si è introdotto oggidì con pregiudizio di detti panni. Ordinare ai seateri che ritrovati i filatori e tessitori in delinquenze subito li accusino e denunciati si spediscano per giustizia le loro cause senza ragirarli in longhezza, alle volte più nociva della stessa condanna. Considerare se convenga prima che i tessitori rendano i panni di seta debbano portarli a far rivedere e bollare in Camera da uno dei Consoli deputati o da deputarsi a vicenda dal magistrato, il che servirebbe anche perché da Piacenza non si mandassero qui robe che poi sono spedite per fuori come fatte in Genova e discreditano Parte nostra. Rinnovare la proibizione delle sete nostrali e considerare se il varigo in Levanto a ciò pregiudichi. Stabilire il peso della trama e delle tele e di ogni sorte di panno di seta, giacché è prescritta a tabili et invigilare alle frodi che vanno commettendo nell’osservanza di esso i tessitori, con rivedere i libri. Per il velluto all’incontro a fine di riconoscerlo se habbi i dovuti peli sarebbe necessario rinnovare l’ordine che si lascino le tre dita di pelo, con aggiungere che il tessitore porti il rimesso in Camera al sindico per essere bollato. Si propone anche che sebbene gli ardassi sono proibiti rigorosamente per servizio dell’arte della seta, restando però permessi ai raerciari, e ciò dando qualche commodité a detti seateri di valersene se convenisse bandirli totalmente oppure provvedere in altra forma che assicurasse bene che non fossero manifat-turati nei panni di seta. In sostanza, l’intervento dello Stato, il quale si valeva del consiglio e delle esperienze di tecnici e di pratici, era sempre attivo e fermo per proteggere un’industria che si legava con gran parte del sistema di produzione e di scambi della Repubblica. I documenti ai quali facciamo riferimento in questa memoria sono contenuti nell’ Archivio di Stato di Genova, Sezione S. Giorgio, Sala 50. Per la bibliografia ci asteniamo di citare quella di carattere generale e regionale, ben nota agli studiosi. Facciamo eccezione, per la sua natura, per l’opera del BRENNI, La tessitura serica attraverso l tempi, Como, 1925, e per quella PODREIDER, Storia dei tessuti d’arte In Italia, Bergamo, Arti Grafiche, 1928. appendice MATRICOLE DELL’ARTE DELLA SETA Infrascripti sunt seaterii defuncti a tempore conditorum capi tulorum artis seateriorum et reformationis capituloruiJ1 ipsorum citra. Et primo Jacobus Perolerius Triadanus Lomelinus Bartholomeus Perolerius Antonius de Gavio Guillelmus de Pillo Antonius de Oliva Peregrus de Domoculta Nicolaus de Oliva Lazarinus Benevenuti Johannes de Borlasca Bartholomeus de Borlasca I-emus Catregnellus Stephanus Rebuffus Franciscus de Loreto Bernardus de Albara Johannes de Oliva Antonii Nicolaus de Monelia Baliluzar Sibiaata Augustinus Sucha Jeronimus de AlbÌDgana Luchas Fey Nicolla de Pavaro Henricus de Pichettis Andreas de Bassignana Georgius Perolerius Baptista de Domoculta Manuel Rebuffus Petrus de Pichettis Dexerinus de la Rocha Bernardus de Capriata Bartholomeus de Surli Baptista de Fexino Benedictus de Palma Baptista de Cabella Manuel Tarigus Johannes Perolerius Obertinus de Pascino Lazarus de Flizano Jeronimus de Flizano Petru9 de Andoria Michael de Opicio Petrus Serguidi Johannes de Domoculta Bartholomeus Gattus Gaspar de Passano Thomas de Domoculta Johannes de Bartholomeo Elianus Perolerius Audiens de Albingana Nicolaus de Ancona Elianus de Magnasco Bonamicus de Marinis Luchas de Cexino Domitius de Vinea Lodixius Paxerius Franciscus de Bartholomeo Jacobus de Oliva et Lodixtus Georgius Carpenetus Theramus Ragius Bartholomeus Verina Antoniotu* de Cabella Antonius de Strata Infrascribentur homines artis seateriorum et qui se intromittere possunt, et primo de ea arte Jacobus de Borlasca qd. Johannis Christophorus de Passano Johannes Pansanus Antonius Caffarotus Thomas de Domoculta Johannes de Domoculta Andreas de Domoculta Jacobus de Oliva Dominicus de Oliva Jacobus de Passano Elianus Perolerius Andreas de Albingana Petrus de Oliva Marcus de Oliva Benedictus de Michaele Jacobus de Placentia Raphael de Andoria Johanoes de Monleone Nicolaus Spinula qd. Neapolioni Paulus de Cabella Antoniotus de Cabella Christophorus de Cabella Bartolomeus Verina Marcus Verina Lodixius Paxerius Jeronimus Ragius Bartholomeus Lasagna Andreas de Pavaro Augusiinus de Coronata Lucas de Sexino Franciscus de Magnasco - 49 - Nicolaus de Anchona Bartholomeus de Passano Franciscus de Na/.ario Johannes de Sancto Salvatore Johannes de Bariholomeo Gergius Cataneus Galeotus Centurionus Marcus CaKus Manuel de Grimaldis Donainus de Marinis Moruel Cigala Paulus de Grimaldis Barth domeus de Vinelli Jacobus de Obertis Bariholomeus de Compagnono Jacobus de Vegetis Costantinus Ricius Benedictus Guastavinus Johannes de Rosetis Paulus de Mulajsana Paulus Carpeninus Georgius Carpeninus Johannes de Bellengiis Henricus de Biada Michael de Rusticis Dominicus de Mediolano Angelelus de Solario Johannes An'onius Sachus Stephanus de Lucha Obertus Conte Obertus de Magnasco Gaspar Ricius Quilicus de Garbugino Bariholomeus de Ligiollis Baptista de Levanto Johannes Antoni us de Costa Franciscus Scanigia Johannes Baptista de Beruei Jacobus Ciinella Johannes Baptista Chiuma Johannes Baptista Tonsus Jeronimu9 de Magnerri Johannelus de Pisis Johannes de Galliano Lucas Justus Liidixius de Ripparolio Petrus de Dondedeo Leonardus Buronus Leonnrdus Grigius et Petrus de Parodio Antonius de Duracio Micolaus de Alba Jacobus PdX^rius Franciscus Rebuffus Jeronimus de Monelia Pelegrus de Monelia Franciscus de Monteverde Thomas de Bondi Antonius de Lavania Jeronimus de Invrea Nicolaus R gius Laurentius de Magnasco Baptista de Gropallo Ana&tasius de Levanto Ambroxius de Clavaro Marcus de Caxareto Thomas de Albara Johannes de Tacio Baptista Garonus Ambroxius de Porta Baptista de Seregno Baptista Panigacia Lazarinus de Bargalio Jacobus de Bon'johaüne Blaxius de Loreto Johannes Mangiavacha Barnaba Duracio Albertus de Vivantis Raffael de Passano Andreas Bigna Raffatl de Nigrono Vincentius de Valletaro Gabriel de Marinis Johannes de Varicio Obertus de Varicio Georgius Griffus Antonius Spinola Dominicus Spinola qd.Odoni Die VII januarii de Johannes de Curii Gregoriu9 de Curii Rdhpael de Facio Johannis Nicolaus de Marchisio Marcus de Recho Thomas Prigrinellus Raphael de Bi>scoqd.Nicolai B iptista de Clavaro filius Luce Johannes B iptista de Cornellis Baptista de Araldo Johannes de Recho Melchior de Guirardis Petrus de Canesio qd. Nicolai Bartholomeus de Vigo Johannes de Facio Laurentii Philippus de Rezeto Antonii Antonius de Burgo Murtinus de Sancto Nazario DLVIII. Philippus de Goano Guil-lermi Augustinus Caffarotus Laurentius Oliva Jeronimi Petrus de Graiano Anthoniu9 de Montobio Paulus Chicherius Baptista de Podio Bartholomeus Vernasanus Adam de Riparolio Thoma9Ìnus de Bercegi Laurentius de Capriata qd. Baptiste B^rnardus de Parentibus Thomas de Parentibus Symon de Mediolano Bapiista de Co9ta Johannes Baptista Balbus Gaspar Regius Franciscus de Romeo Quilicus de Insula Nicolaus de Costa qd. Antonii Antonius Bonfilius Amigetus Cireus Blasius de Mortaria Baptista Borrini Jacobus de Puteo Raphael Carbonus Bartholomeus de Turre Julianus Fatistaria Benedictus Jordanus Petrus de Cabella Symeon SjuIì Baptista de Platono Jacobus de Petra qd. Peroti 4 Baptista Palamides usque an. nuui de LXV ii die XXIUI febiUarii JohàUutB Antonius de Zilica Bernardus Clavari Johannes de Bassigaana Nicolaus de Sezarego Antonius Crilotus AmbruXius Bullus Franciscus de Rocha qd. Johannis Johannes Barnabas Christophorus Arlufus Mariiuus Kicaldus Bartholomeus Lurlus qd. Martini Gaspar Cantalupus Andreas Ricius Leonardus dc Facio Baptista Ramponus Simon de Braceilis David de Passagio et Baptista Georgius de Recho Priuli Baptista de iNuzilia Jacobus Tachonus qd. Baptiste Johannes de Monella Xisti Bariholomeus Grilius de Ciavaro Bartbulomeus Piuma Johannes de Arcondo de Clavaro Consiantinus Roncona qd. Nicolai Georgius de Marinis Christophorus Agnese qd. Thome Gabriel de Catono Gugliemi Bartholomeus Sachu9 Augustinus Crucis Andreas de Podio de Capriata Paulus Blancus qd. Anthonii Ciprianus de Canavesio Theramus de Bariano Leonardus de Penneto Bartholomeus Taiavacha Johannes Buzinga Jeronimus Banna Jacobus Columbus (1) Dominicus Boccafo Julianus de Balestrino Bernardus de Beneventi* Bartholomeus de Cugurno Ambroxius de Zerbis Gaspar Borrellus Paulus Rondanini Bernardus Pçleranus Petrus de Petreriis Gregorius de Marineto Niculaus Buchavecha Jacobus de Levanto Cosmas Regius Pauli Ciprianus de Casanova Pauli Lazarus Burlandus Petrus Marenchus Bernardus Fiallus Cristianus de Premontorio Antonius Gandulfus de Bonifacio Francus Justinianus qd. Argoni Jeronimus Marenchus qd. Antonii Jacobus de Canale Antonii Elianus Centurionus Paulus Gambarus Bartho-lomei Nicolaus de Baliano Leonardus Galisanus Guillelmus de Mulassana qd Pauli Pantaleo Maurus Andreas de Coronato Melchior Panarus qd. Andree Marcus de Valle Pantaleo de Canavexio Jeronimus de Recho qd. Raffaelis Barnabas de Gropallo qd. Johannis Philippus de Berria Laurentius de Parma Raphael Ragius Georgius et Johannes Baptista de Lucha Benedictus de Cazario J ohannes Baptista de Fossato Lucas de Axereto Theramus de Rapallo Antonius Brignolos Baptista de Oliva Michael Ricius Jacobus de illuminatis Franciscue de Franchis Burgaro Baptista de Luca qd. Chnsto. ph ri Jeronimus de Papia Melchior de Furnariis Bartholomeus Scortia qd La-vagnini Bariholomeus Marenchus Antonius de Murtedo Augustinus de Mortaria Julianus Palamedes Gaspar Rebrochus Antoni! Jeronimus Ricius Jeronimus de Vutro Bartholomeus de Turn Iuliani Johannes Baptista de Michaele Guillermus Rotarius Guillermus de Levanto Nicolaus Machavellus Gregorius Pelisonus Petrus de Aur.a qd. Laurentii Johannes Garronus Baptiste Paulus Sauli Petrus Johannes de Auna Baptista lestana Bernardus de Castelacio Jeronimus Ricius Andreas Villa Ste. hanus de Monelia qd. Jt.hannis Raphael de Furnariis qd. Jeronimi Leonardus de Laurentiis Jacobus de Zerbis Antonius Belagius Bartholomeus de Gallo qd. Jeronimi Bernardus Ranuzinus de Ca-mulio Antonius de Rocataliata B 'ptista Serexo Baptista de Linguelia Christophorus Grumolo qd. Petri Bernardus Alixera Francisci Peregrus Salvo Damianus de Riparolio (i) Cfr. Di Tdcci - Jacopo Colombo, setajolo genovese, (contributo alla storia della famiglia dello Scopritore dell’America), Boll. Soc. Geogr. ltal. 1939. - 5i — Bernardue di Sancto Salvatore Pantaleus de Petra Antonius Petracaprina Oregalis de Mandello Philippus de Carmagnola Silvester de Passano Bartholomeus Riciu9 qd. Vincentii Jacobus Ricius Thomas Ricius Marcus Centurionus Augustinus de Talamona Baptista Rubeus Artis ipsius Johannes Baptista Pluma Augustinus Perolerius Johannes Baptista Scamba Jeronimus Maxenna Dominicus de Bargalio qd. Ji.hannis Lazarus Valdebella Johannes Peregrus de Nove Gregorius Ravascherius Bernardus de Peregrinis de Nove Galeolus de Ilionibus Lazarus de Insulabona qd. Simonis Jeronimus Goano Johannes Baptista de Illice Christophorus de Cabella Johannes Baptista de Garibaldo Johannes de Sernino Augustinus de Palacio Bernardus de Vernacia Peregrus et Bernardus de Auria Johannes de Ortexeto Pdntaleo de Sancto Salvatore Bernardus de Pomario Jocobus de Clavaro Quilicus Marchexanus Johannes Baptista Salucius Antonius de Illice juris utriusque doctor Ambroxius Caffarotus Baptista de Canale Quil'cus de Murialdo Jeronimus de Safolo Iuliani Nicolaus de Zerbi Teramus de Via Peregri Johannes Baptista de Zeibis Baptista de Castiiiono Dominici Johannes Baptista de Varexio Melchioria Bernardus de Agnello Bartholomeus de Lavania Thomas Vernasanus Nicolaus Rubeus de Capriata Cristophorus Belengus de Capriata Johannes Baptista Goano Johannes Marenchus qd. Raffaelis Franciscus de Monteverde Baptista de Montobio Abrae Jeronimus de Murtedo Augustinus de Serra qd. Balthazaris Nicolaus de Goano qd. Bartholomei Petrus de Caneto Pantalinus de Illuminatis Augustinus de Mulassana Johannis Laurentius de Porta Novorum de LXXXX primo. Marcus de Montano qd.Lodixii Leonardus de Agnola Johannis Johannes Baptista Grolarius In anno de LXXVIII die XXYII Septembris Raphael Frascajrolio Petrus Bnva de Pornasio qd. Gullielmi Biptista Rogerius Benedicti Baptista de Solario qd. Angeli Michael de Lacumarsino Francisci Petrus Baptista de Sancto Quilico Augustini Ueolinus Chicherius Franciscus Semi9trarius qd. Andree Bernardus de Xisto qd. Pauli Franciscus et Augustinus de Sancto Salvatoreqd Johannis Thomas Penellus filius qd. Jacobi Bartholomeus de Levanto qd. Baptiste Baptista de Grimaldis de Oliva qd. Johannis Johannes de Monteburgo Augustinus de Porta Lanrentii Johannes de Abbatibus qd. Johannis Jeronimus Pluma filius Bartholomei Bartholomeus Dragus Johannes Baptista de Savi-gnono qd. Antonii Bariholomeus de Marolo qd Iherami Lucas Scarella Nicolaus de Laxereto qd. Michuelis Antonius de Ponte qd. Bartholomei Bernardus de Recho qd. Iorgi - 52 - Philippus de Costa, Leonardi Laurentias Marengus Francisci Petrus Antonius de Vinelli Baptiste Augustinus de Varixio qd. Michaelis Johannes Baptista Ricius filius Etnanuelis Baptista deCanoli Francisci Dominicus de Savio Benedicti Jertinimus de Pastino qd. Francisci Pantaleus de Canobio Johannis Baptista ; cassatus quia fraudulenter scriptus fuit. Bernardus Malpagatus qd. Andrioli Jacobus de Liceto qd. Nicolai Lucas de Palodio filius qd. Lodisii Jeronimus Ivaldus qd. Antonii de LXXXXVIIII Johannes Baptista de Goano Raphaelis item Vincentius Ricius qd, Jeronimi die XVIII februarii Pantaleo de Canobio eodem die Petrus Baptista de Vignolo qd. Johannis Bartholomeus Bancherius qd. Nicolai Stephanus de R-'cho qd. Chnstophori Benedictus de Casteleto qd. Johannis Bevilacqua Johannes Morandus de Capriata filius Augustini Johannes Calizanus qd. Bartholomei Antonius Spinula qd. Leonelli Bastianus Merellus Vincentius de Vinelli Franciscus de Albara Lucas de Vemacia qd. Raphaelis Jacobus de Abbatibus filiu3 Michaelis Bernardus de Vascheto qd. Thome die XI martii Johannes Baptista de Cla-varo qd. Georgi! Jacobus de Barca qd. Petri Bariholomeus Dragus qd. Pelegri Benedictus Dragus filius dieti Bartholomei Lazarus Merellus Ambroxias Marenchus Filippus de Villa Peregri Jacobus de Monterubio qd. Johannis Thome Benedictus Leardus Baptiste Jeronimus Vermengus Pasqualis Vincentius de Clavaro qd. Gasperis Martinus Cazanus filius Andree et fuit de anno LXXXX primo Pantaleo Borisus die XXVII junii 1498 Johannes de Rocha qd. Quilici die XV septembris Franciscus Adurnus Christophorus de Fazio et die XVIII julii Johannes Andreas de Castronovo qd. Michaelis die XIIII junii Philippus de Monleooe qd. Andree die XXI junii Bernardus de Grozezio qd. Johannis Stefanus de Vultri qd. Francisci die XVIII julii. MCCCCCLXXXXVIII die XV septerabris de LXXXXVII. Cod. fol. 63 - 68. STATUTI DELL’ARTE DELLA SETA 6 marzo 1432 M.CCCC.XXX.IÏ. die VI martii Ars serica urbibus in quibus floruit semper utilitates amplissimas contulit, quas et civitas nostra apulatim ab eo tempore sensit quo viri solertes Jacobus Prolerius et fratres prima apud nos eius ministerii tradidere primordia, qui certe pro ea re apud posteros memoriam famam et favorem merentur. Et siquidem ars ut ipso aspectu ipsoque effectu pre ceteris est pretiosior ita complet numerosis artificibus urbem nostram eamque tum etiam cives exornat et decorat, vectigalia redditusque publicos impinguat multifariam multisque modis commoditates civibus multas dat, utque nobiles cives exornat ita pauperum turmas que artes alunt otio marcere non sinit, neque egestati succumbere quibus operas subministrent et victum prebent. Hec omnia animadvertentes magnificus et prestantissimus dominus Oldradus de Lampugnano ducalis in hac urbe Locumtenens et spectabile Consilium dominorum Antianorum civitatis Janue equum et rationabile censuerunt publiceque utilitati consentaneum artem ipsam adeo decoram adeoque venustam et fructiferam honestis prosegui favoribus ut Deo favente qui omnium bonorum primarius autor est in dies succrescens beneficia et commoda pariat ampliora. Itaque perlectis et diligentius examinatis capitulis et ordinamentis nonnullis que ad componendam et regulandam artem ipsam composita et novissime lucubrata fuerunt per insignem utriusque yuris doctorem dominum Barnabam de Goano prestantissimosque viros dominum Vincentium de Vegiis de Pergamo juris doctorem olim vicarium Gubernatorum et Leonelum Spinulam tres ex complurium civium numero quibus ea condendorum capitulorum cura commissa, de ipsorum collegarum omnium consilio et consensu, cum prius ars sirica hac in urbe specialia capitula nulla haberet sed ut fere singulis artibus in ipso inicio contingit parva foret essetque una eadem cum^arte mer-zariorum ac sub isdem capitulis et consulibus viveret, omni modo via jure et forma quibus melius et efficacius fieri potest et ex omni plenitudine potestatis capitula ipsa omnia et singula infrascripta veluti - 54 — justificata decentia et utilia ipsi arti tum etiam universe reipublice ipsiusque artis incrementum et conservationem concernentia laudaverunt approbaverunt ratificaverunt et confirmaverunt atqua presen-tium auctoritate laudant approbant et confirmant rataque esse volunt et mandant universis ufficialibus rectoribus et magistratibus civitatis et communis Janue ubilibet constitutis et constituendis presentibus et futuris committentes ac mandantes expresse quatenus capitula ipsa sicut jacent ad litteram et absque aliquo extrinseco intellectu ad requisitionem consulum artis ipsius observent et faciant penitus observari sub pena judicamenti et alia qualibet eorum arbitrio graviori. Ceterum scientes quoniam ex forma ipsorum capitulorum sive uno ex eis disponitur per ipsos magnificum et prestantissimum dominum Locumtenentem et Consilium eligi debere pro hac vice primaria duos consules et sex consiliarios artis ipsius, informati de sufficientia et idoneitate infrascriptorum eos nominaverunt creaverunt et constituerunt videlicet Jacobum Perolerium et Jacobum de Borlasca in consules pro anno uno, Antonium de Gavio, Christophorum de Passano, Johannem de Borlasca, Bernardum de Albara, Leninum Catrinelli et Stephanum Rebuffum in sex consiliarios ipsorum consulum atque artis pro ipsius anni tempore, eodem statuto de electione consulum et consiliariorum artis ipsius deinceps in suo robore permanente. Preterea matura consideratione pensantes quod non omnia uno momento vel uno tempore possunt plene discerni sed per usum vel tempus oportere quandoque provideri disponi et in melius dirigi atque tempori coaptari prefati magnificus et prestantissimus dominus Locum-tenens et Consilium decernerunt statuerunt et mandaverunt ordinantes et declarantes quod ipsorum domini Barnabe et Leonelis quondo-quidem habiturus est ipse dominus Vincentius officium et bailia perduret adhuc usque ad annum unum proxime secuturum ut possint et valeant eisque liceat ipsa capitula maturius cribellare decernere et examinare ac si eis videbitur pro meliori et utiliori bono artis ipsius ac totius reipublice corrigere emendare modificare reformare moderare in eis videlicet partibus si quas cognoverint eiusmodi correctione emendatione modificatione reformatione vel moderatione indigere atque etiam addere minuere laxare restringere et alia pro eorum prudentia disponere. Mandantes ad cautelam omnia et singula per eos durante tempore anni predicti corrigenda emendanda modificanda reformanda addenda moderanda minuenda laxanda et restringenda ac demum aliter providenda ex nunc prout ex nunc inseri et annotari atque haberi pro insertis et annotatis in volumine presentium infra confirmatorum capitulorum perinde ac si jam annotata fuissent et per conseguens debere inviolabiliter observari. Sunt autem supra- - 55 - scripta capitula omnia et singula atque serventur illesa et inconcussa non obstantibus quibusvis aliis capitulis ordinibus statutis regulis vel ordinamentis tam privatis quam publicis et tam aliarum artium quam Officii Mercantie civitatis Janue atque aliis quibuscumque quibus in quantum presentibus capitulis obviarent voluerunt et mandaverunt fore expresse ac specialiter derogatum. Eorum itaque capitulorum tenor et ordo sequitur ut infra dicitur. In quibus consistat ars setarie et qui de ea arte esse intetliguntur. In primo ad omnem dubitationem et contentionem tollendam declaratum est et intelligatur hanc artem setarie consistere in faciendo construi et laborari pannos sericos et alia queque ad eam artem spectantia et pertinentia que specificabuntur inferius sub rubrica Que pertinent ad artem setarie, de eisque negotiando vendendo emendo et seu aliter alienando. Ut autem cunctis pateat que sint et intelligi debeant esse de dicta arte consules primo eligendi ut in sequenti capitulo dicetur postquam acceptaverunt consulatum teneantur facere proclamari infra dies tres ex tunc secuturos in platea Banchorum Janue quod quilibet de arte setarie compareat et se presentet coram ipsis consulibus in loco per eos deputando faciat que se sive eius nomen proprium et cognomen scribere et annotari in matricula dicte artis infra dies quindecim a die proclamationis secuturos. Ipsi vero consules primo faciant se sive eorum nomina et cognomina annotari in matricula, deinde faciant similiter scribere et annotare nomina et cognomina omnium illorum qui fuerunt scripti et annotati in matricula dicte artis eo tempore quo fuerunt electi consules eiusdem artis Jacobus Perolerius et Giacobus de Borlasca et subsequenter teneantur acceptare et facere in eadem matricula scribi et annotari nomina et cognomina eorum qui se infra proclamationis terminum presentaverunt, dummodo quilibet civis Janue qui se pre-sentaverit ut supra fidem faciat summatim ipsis consulibus quod retro excercuerit dictam artem faciendo construi pannos sericos vel cenda-dos in civitate Janue vel burgis ante mensem januarium anni MCCCCV11I, et insuper promittet et juret in manibus consulum quod erit eisdem obediens in pertinentibus ad dictam artem et observabit capitula eiusdem artis et intelligatur etiam censeri civem Janue quoad omnia contenta in presenti capitulo et in aliis huius voluminis etiam forensem qui fidem fecerit summatim prefatis consulibus se habitasse in civitate Janue vel burgis aut suburbiis per annos sex continuos cum sua familia si eam habuerit" ac soluisse avarias communis Janue vel sue conventionis. Extraneus vero quicumque se presentaverit ut supra fidem faciat eisdem consulibus summatim quod retro exercuit dictam artem in civitate Janue vel burgis et — 56 — de ea in publicum tenuit apothecam faciendo construi pannos siri-cos ac negociando emendo et vendendo ut supra ante mensem janua-riuin suprascriptum, et insuper promittat et juret prout de civibus dictum est, nec aliter debeat quicumque ad dictam artem acceptari nec immatriculari nec annotari, salvo nonobstantibus suprascriptis quod si quis textor sive texteranus pannorum siricorum pro se labo-rasset seu laborari fecisset et apothecam in publico apertam tenuisset etiam ante mensem januarium suprascriptum anni MCCCCXXVIII non propterea censeatur neque intelligatur dictam artem exercuisse nec recipiatur ad eam sine solutione pro ingressu taxata prout dicetur in capitulo sub rubrica Quantum solvere debeot texeranus pro ingressu arti setarie. Quibus peractis consules cum eorum consiliariis eligendis inter seipsos examinent deliberent et imponant si fuerint omnes concordes vel saltem due tercie partes ex eis summam pecunie necessariam ad expensas factas et faciendas pro compositione et regu-latione artis eiusdem eamque summam consules cum consiliariis partiantur secundum eorum conscientiam vel maioris partis ipsorum inter homines artis qui in dicta matricula fuerint annotati, ita quod unusquisque teneatur et si fuerit expediens per consules compellatur solvere id quod per partimentum sibi fuerit impositum et illud intelligatur solvere pro ingressu artis. Quoad ceteros autem qui hanc artem postea ingredi volent serventur ea que circa hoc inferius disponuntur in supradicto capitulo sub rubrica Quis possit dictam artem ingredi etc. et quicumque ingressus fuerit postea dictam artem debeat similiter scribi et annotari in eadem matricula ac promittere et jurare prout supra scriptum est. De electione consulum consiliariorum ei massarii. In hoc felici principio per magnificum et prestantissimum dominum Locumtenentem ducalem et spectabile Consilium dominorum Antianorum civitatis Janue eligantur duo viri idonei ex hominibus dicte artis qui constituantur consules dicte artis et subsequenter etiam eligantur sex alii idonei ex hominibus eiusdem artis qui constituantur consiliarii quorum consulum et consiliariorum officia hac prima vice durent usque ad diem festivitatis sanctorum apostolorum Simonis et Jude et inde anni sequentis MCCCCXXXIH et usque quo eligentur alii consules et consiliarii modo et forma subsequen-tibus. Qui quidem consules et consiliarii sic electi infra dies tres secuturos eligere teneantur massarium unum ex hominibus artis probum et idoneum cuius* officium duret pro tempore soprascripto, postea vero quolibet anno adveniente festo eorundem sanctorum apostolorum Simonis et Jude ante diem eiusdem festivitatis eligantur novi consules idonei ex hominibus dicte artis sub hac forma vide- - 57 - licet quod consules tunc veteres cum eorum consiliariis faciant congregari omnes et singulos homines artis habentes vocem in electione consulum ut infra dicetur in loco per eos deputando ipsisque congregatis premisso examine diligenti inter eos nominentur sex ex hominibus artis observata vicissitudine debita eorum conscientiis videbuntur idonei et sufficientes ad regimen consulatus eosque scribi et annotari faciant in tribus cedulis combinatos ad eorum arbitrio, deinde faciant legi cedulas ita quod omnes ibi existentes intelligant, et demum illi duo combinati in quos plures voces convenerint sint et mtelligantur electi ac constituti consules pro anno uno secuturo post eorum ingressum qui fieri debeat in suprascripta die festivitatis sanctorum apostolorum Simonis et Jude, qui sic electi et constituti teneantur acceptare eorum officia omni exceptione reiecta sub pena librarum decem januinorum irremisibiliter auferenda a quocumque sic electo in consulem qui refutaverit acceptare, consiliarii vero subsequenter eligantur incontinenti et constituantur hoc modo videlicet quod consules veteres anno sequenti remaneant consiliarii cum novis consulibus et preterea per consules novos cum consulibus et consiliariis veteribus eligantur ex hominibus artis alii quatuor consiliarii idonei et experti quorum officium similiter duret per annum unum ut supra, deinde per eosdem novos consules et consiliarios eligatur ex hominibus artis unus massarius probus et fidelis cuius officium similiter duret per eundem annum et non ultra. Qui quidem consules consiliarii et massarius in ingressu suorum officiorum teneantur jurare in manibus consulum veterum ad sancta Dei evangelia corporaliter tactis scripturis bene legaliter et bona fide eorum officia exercere et observare omnia et singula capitula et ordi* namenta hominum dicte artis facta et facienda que fuerint approbata per magnificum et prestantissimum dominum Locumtenentem et spectabile Consilium dominorum Antianorum Janue. Qui non possint eligi ad consulatum nec in ea electione vocem dare. Nullus extraneus possit nominari scribi vel annotari in electione ad consulatum sub pena soldorum decem januinorum auferenda a quolibet nominante vel annotante et qualibet vice, nec etiam possit eligi in consulem nec vocem dare in electione consulum quovis modo nisi talis extraneus per annos sex continuos manserit in civitate vel burgis Janue cum sua familia si eam habuerit semper exercendo artem predictam vel didicisset dictam artem in civitate Janue vel districtu stando ad magisterium vel magistros pro discipulo per sex annos continuos absque aliquo salario vel mercede et postea tenuerit apothecam de arte predicta quibus duobus casibus sive eorum in altero possit talis extraneus eligi consul et vocem dare in electione — 58 — ad consulatum dummodo alias sit idoneus et servatis modo et forma in precedentis capitulo ordinatis, nemo etiam eligi possit consul neque vocem dare in electione consulum nisi sit magister et caporalis apo-tece seu volte aut caput operis solus vel ut supra et alias etiam sit idoneus. De surrogatione facienda in locum consulis defuncti vel absentantis. Quandocumque acciderit aliquem ex consulibus tempore sui consulatus mori vel se absentari aut alio quovis impedimento non posse consulatum exercere fiat infra dies tres postquam constiterit de pre-dictis seu aliquo predictorum surrogatio de alio idoneo iuxta modum et formam suprascriptos in omnibus, salvis quod in surrogatione unius solum nominentur et scribantur et annotentur tres idonei m tribus cedulis et procedatur ad electionem et surrogationem unius prout supra ordinatum est de combinandis. De ufficio consulatus non continuando. Quicumque fuerit consul non possit iterum eligi consul nisi post annos tres secuturos post exitum consulatus. De jurisdictione et bailia consulum in civilibus. Consules electi et annuatim eligendi ut supra sint et esse de beant magistratus et judices competentes inter homines dicte artis et inter quascumque personas laborantes conducentes sive operantes aliqua ad eam artem pertinentia quovis modo vel aliquid agentes de perti nentibus ad exercitium artis eiusdem, ita quod omnes et singule ta es persone supposite sint et esse intelligantur subiecte supradictis con sulibus ac de jurisdictione ipsorum consulum tam in agendo quam in defendendo inter seipsas, adeo quod nullus alius magistratus officialis communis Janue terminare aut quovis modo se intromittere possit inter eas de et super omnibus et singulis causis litibus que stionibus controversiis et differentiis cuiuscumque qualitatis quanti tatis et condicionis que orientur seu movebuntur per et inter aliquas personas ex predictis causa vel occasione alicuius contractus vel i stractus aut dispositionis vel cuiusvis actus seu rei spectantis aut pertinentis quovis modo ad dictam artem vel ad aliquod eius exer citium, ita quod eas possint et debeant audire et super eis proce ere ipsasque cognoscere et terminare summarie et de plano sine strepitu et figura judicii simpliciter celeriter et expedire oratenus vel in scriptis juris et communium capitulorum Janue ordine servato vel non ser vato ac sine libello et pignore bandi, et demum prout ipsis consu libus videbitur et placuerit secundum eorum puras et meras con - 59 - scientias si fuerint concordes in terminatione facienda, si vero fuerint discordes debeant cognoscere et terminare insimul cura suis consiliariis et illud sit et intelligatur terminatum in quo maior pars eorum concordaverit quorum pronunciationes et sententie tam interlocutorie quam definitive sint omnino valide et firme ac pro firmis et validis habeantur et censeantur per eos et eorum in officio successorum ac etiam per quemcumque magistratum vel officialem Communis Janue ac aliam quamcumque personam cuiuscumque dignitatis auctoritatis status gradus vel condicionis existât, adeo quod contra eas vel earum aliquam nemini liceat appellare reclamare supplicare de nullitate dicere seu aliquid opponere excipere defendere vel allegare aut judicis officium implorare quovis modo vel quavis ratione causa vel occasione, immo de ipsis et earum occasione legitimis validis et officialibus possit per dictos consules sive de eorum mandato fieri mera executio et earum vigore pignoratio arrestatio et detentio in personis et bonis et etiam extimatio et in solutum datio contra quascumque personas condemnatas et seu contrafacientes capitulis eiusdem artis vel dare aut facere debentes alteri inter homines dicte artis et inter quascumque personas superius comprehensas et ex causa eiusdem artis, reservatis tamen non obstantibus suprascriptis uni-cumque qui per dictos consules fuerit condemnatus in quantitate seu valore excedente summan librarum quiquaginta januinorum jure et facultate appellandi infra tempus limitatum ex forma capitulorum Janue absque solutione introitus sive cabelle appellationum ad venerandum Officium Banchorum civitatis eiusdem, quod officium sit cognitor decisor et magistratus competens cause appellationis, non autem alius civitatis Janue magistratus vel officium, et causam appellationis teneatur et debeat audire cognoscere et terminare summarie et de plano sine strepitu et figura judicii etc. et prout dictum est supra circa cognitionem et terminationem causarum principalium, et hoc infra menses tres proxime secuturos post interpositam appellationem, alioquin instantia appellationis sit et intelligatur deserta et perinde habeatur ac si interposita non fuisset, et cuius officii sive maioris partis ipsorum officialium sententie seu mederationi stetur precise sine remedio ulterioris appellationis seu alicuius reclamationis supplicationis aut oppositionis de nullitate etc. prout supra, eiusmodi autem sententie executioni mandentur per consules dicte artis, et fiat ac fieri possit pro earum executione prout dictum est supra circa executionem sententiarum latarum per consules, inter personas autem superius memoratas non comprehendantur textores sive texerani pannorum siri-corum, sed quoad eos serventur ea que dicentur circa finem huius voluminis in capitulo sub rubrica Qualiter cognosci et terminari debeant questiones et lites inter seaterium et texeranum etc. - 60 - Si quis e.r consulibus litem seu controversiam haberet cum aliquo qualiter et per quos debeat cognosci et terminari. Si contingent aliquem dictorum consulum habere aliquam litem controversiam seu differentiam cum aliquo homine dicte artis seu aliqua persona supposita eorum consulum jurisdictione de et super aliquo casu vel re ad dictam artem pertinente debeat alius consul collega cum uno ex consiliariis presentibus non suspecto dictam causam cognoscere et terminare secundum forman bailie dictis consulibus attribute. Quod consules sedeant una die in ebdomada ad jus reddendum. In qualibet ebdomada consules sedeant una die silicet die jovis vel alia deputanda per eos in mane hora prime continue usque a horam none in logia ipsius artis vel alio loco per eos deputando a audendium querelas coram eis faciendas ac etiam petitiones requisitiones et alia quecumque coram eis proponenda, et ad reddendum jus secundum modum et formam eorum bailie suprascripte ac presentium capitulorum sub pena soldorum decem januinorum et usque m vi ginti arbitrio consiliariorum seu maioris partis eorum, auferenda a quolibet contrafaciente et qualibet vice qua non sedent ut supra per eosdem consiliarios. De ratione adiministrationis reddenda per veteres consules et massarium. Veteres consules et massarius teneantur et debeant in ^U1°t decim secuturos ab exitu eorum officii reddere novis consu i us e massario veram legalem et integram rationem de omnibus et smg ^ que ad eorum manus pervenerunt nomine dicte artis, et omnia et etiam pignora et debitores eisdem consignare et assignare su pena florenorun quatuor auferenda a quolibet predictorum veterum con suium et massarii et totiens quotiens requisiti contra fecerunt et non consignaverunt ut supra. Quilibet de arte debeat consulibus obedire. Quicumque de dicta arte teneatur et debeat parere et obedire consulibus in quibuscumque licitis et honestis ad dictam artem per tinentibus et quotiens fuerint requisiti per ipsos consulens ve per aliquem eorum nuncium de mandato ipsorum pro aliqua causa seu negotio ad eam artem pertinente teneatur et debeat se presentare et comparere coram eis sub pena solidorum quinque januinorum et abinde supra usque in quinquaginta auferenda a quolibet contra faciente et qualibet vice arbitrio consulum et consiliariorum seU maioris partis eorum, salvo quod non tenentes apothecam de ic a - 61 - arte non teneantur venire ad mandata consulum pro eorum cerimoniis sive solemnitatibus celebrandis ut puta pro assodando sponsas et defunctos in eorum exequiis seu palium aut corteando vel in eundo ad missam in aliquibus festivitatibus aut ob alias huiusmodi causas set sit in eorum arbitrio accedere vel non in casibus proxime descriptis et similibus. De expensis pro arte faciendis. Possint consules cum consiliariis vel maiori parte eorum imponere et deliberare omnem expensam que sibi necessaria et utilis videbitur pro dicta arte sive pro negotiis eam tangetibus usque in summan librarum quinquaginta januinorum, si vero summa expense fiende excederet libras quinquaginta tunc debeant consules et consiliarii convocare omnes magistros sive caporales seu capita apothecarum artis et per ipsos consules et consiliarios ac predictos magistros sive capita seu maiorem partem possit et debeat deliberari et imponi summam expense que eis videbitur necessaria vel utilis, summam tamen deliberatam in casibus supradictis possint consules cum consiliariis vel maiori parte eorum dividere seu partire inter homines artis ita quod quilibet solvere teneatur illam quantitatem que per talem divisionem sive partimentum sibi fuerit imposita seu assignata, et liceat ipsis consulibus facere fieri exactionem prout eis videbitur et de exactis sive receptis et etiam de quibuscumque aliis pecuniis dicte artis pro necessitatibus seu utilitatibus artis pro negotiis ad eam pertinentibus disponere prout ipsi consules cum consiliariis vel maiori parte eorum cognoverint fore opportunum. Nemo présumât dicere vel facere iniuriam consulibus nec coram eis turpia facere vel proferre. Nulla persona de dicta arte seu consulum jurisdictioni supposita audeat vel présumât aliquam iniuriam dicere vel facere vel fieri facere consulibus artis vel alicui eorum nec etiam audeat vel présumât coram ipsis consulibus dicere vel facere alia turpia vel inhonesta sub pena a soldis decem januinorum et abinde supra usque in quinquaginta januinorum arbitrio consulum, possuntque ipsi consules in casibus supradictis seu quovis eorum sua propria auctoritate tales contrafacientes pignorari et incarcerari facere pro suprascripta pena exigenda prout eis videbitur. De electione tarezatorum et cannatorum ac eorum mercede. Quolibet anno infra mensen unum proxime secuturum post electionem consulum eligantur per venerandum Officium Mercantie civitatis Janue habita informatione a consulibus dicte artis duo homines idonei bene intelligentes et experti e per ipsum Officium consti- — 62 - tuantur tarezatores et cannatores de et super omnibus et singulis rebus spectantibus et pertinentibus ad ministerium artis predicte. Qui sic electi et constituti ut supra antequam incipiant eorum officium exercere teneantur jurare coram prefato venerando officio Mercantie supradictum officium bene fideliter et legaliter exercere, ipsis autem tarezatoribus et cannatoribus quando fuerint requisiti solvi debeant pro eorum mercede pro qualibet pecia pani per eos tarezata vel cannata solidi duo januinorum pro qualibet partium, et pro omni centenario librarum in pondere cuiuscumque alterius rei per eos ta- rezzate solidi duo pro qualibet partium ; nec possint aliquam mer- cedem percipere pro tarezatione seu cannatione nisi ad eam faciendam fuerint requisiti per partes vel alteram earum, preterea quandocumque contigerit aliquam controversiam oriri inter aliquem apothecarium dicte artis ex una parte et aliquem tinctorem occasione colorum seu filatorem aut aliam quamcumque personam consulibus artis supposi tam laborantes de rebus ad ipsam pertinentibus ex altera, occasione laborerii seu operis male constructi seu fabricati debeant dicti con r ' ‘lias de eorum rebus commissum et refeire consulibus. Et nihilominus dicti consules audita eorum relatione possint et debeant pronuntiare et exequi declarationem per ipsos tarezatores factam in totum vel pro aliqua parte aut m nihilo. Et demum in omnibus et per omnia prout ipsorum consu uffl conscientiis melius justius atque equius videbitur. Et pari mo ^ contigerit controversiam oriri de mensura alicuius panni synci ^ beant dicti cannatores mensurare declarare et referre consulibus, ispi consules possint et debeant pronuntiare decidere et terminare prout sibi videbitur sicut supra proxime dictum est. Quiou= toribus et cannatoribus debeat pro eorum mercede solvi a libris centun januinorum supra prout ordinatum est supra, a libris vero centum infra solvi debeat denarius medius pro libra pro qualibet partium, ita tamen quod ille medius denarius solvendus ut supra non possi excedere solidos quattuor januinorum inter utramque partem, e si inter apothecarium artis predicte et textorem fuerit aliqua con troversia de predictis procedi debeat super ea secundum formam capituli sub rubrica Qualiter cognosci et terminari debeant differenti6 inter seaterium ex una parte et textorem etc. Que pertineant ad artem setarie. Ad tollendum omnen dubitationem intelligatur ad dictam artem spectare et pertinere siricum sive setam quovismodo laboratam omne laborerium construendum de seta cum auro vel argento seu sine sules convocare supradictos tarezatores eisque ostendere res u quibus esset controversia. Qui quidem tarezatores secundum conscientias teneantur terezare et declarare damnum in dictis - 63 - cuiuscumque conditionis seu qualitatis existât et quovis nomine nuncupetur aurum fìlatum argentum filatum omne laborerium de auro vel argento filato seu mixti fabricatum sive constructum, omne laborerium cum seta mixtum et omne aliud quod usitatum fuit et est hominibus dicte artis. Quis possit dictam artem ingredi et quantum solui debeat pro ingressu. Quicumque januensis vel forensis qui cum aliquo magistro dicte artis manserit per annos sex continuos sine salario ad discendum artem predictam possit eam artem ingredi et recipi debeat per dictos consules et consiliarios. Et pro ingressu solvere teneatur libram unam et solidos quinque januinorum applicandam et applicandos arti pre-dicte, salvo quod filii hominum dicte artis possint ipsam artem ingredi absque solutione alicuius pecunie pro ingressu dummodo se presentaverint coram consulibus et jureverint coram eis observare statuta et ordimenta eiusdem artis. Januenses vero qui dictam artem non didicissent ia Janua stando sex annos continuos cum aliquo magistro dicte artis absque salario si eam artem ingredi voluerint teneantur solvere pro ingressu libras viginti januinorum applicandas eidem arti. Forensis autem qui similiter noji didicisset artem predictam in civitate Janue stando per sex annos continuos ad magistrum pro discipulo absque salario non possit dictam artem exercere neque bancum seu apothecam seu voltam de dicta arte tenere in civitate Janue burgis nec alibi, salvo si prius luerit approbatus et acceptatus per consules et consiliarios vel maiorem parte eorum tanquam idoneus legalis, et promiserit observare statuta et ordinamenta dicte artis sub pena sibi per consules imponenda taxando eorum arbitrio ac etiam solverit pro ingressu dictis consulibus seu massario libras triginta januinorum ipsi arti applicandas et insuper in predictis observentur ea que disposita sunt in primo capitulo suprascripto de iuramento et annotatione in matricula, salvis tamen his que dicentur de texeranis in capitulis de eis disponentibus. Quod fdatores sirici vel tinctores non possint artem setarie intrare neque exercere nisi relicta eorum arte. Nullus filator sete cuiuscumque qualitatis aut tinctor sete seu cendatorum possit artem seterie intrare neque exercere etiam cum solutione pro ingressu facienda nisi dereliquerit artem filandi aut tinctorie et eidem arti sue renuntiaverit absolute per publicum instrumentum sub pena florenorum decem et abinde supra usque in quinquaginta pro quolibet contrafaciente et qualibet vice qua fuerit con-trafactum arbitrio consulum applicauda arti setarie. — 64 — De servis et libertis hominum artis. Quilibet de dicta arte possit instruere et docere quemlibet sclavum suum artem predictam qui tamen si postea fuerit liberatus nullo tempore possit esse caporalis seu ppothecarius vel gubernator alicuius apothece eiusdem artis, nec etiam possit esse consul vel consiliarius aut alius officialis artis predicte sub pena librarum centum januinorum totiens committenda contra talem sclavum seu liberatum quotiens per eum fuerit contrafactum. Possit tamen talis sclavus seu liberatu» laborare de pertinentibus dicte artis pro suo domino vel patrono in setam sicut alii laboratores ad iornatam nonobstantibus suprascnptis. Qui non est de arte non possit eam exercere neque de ea se intromittere nisi ut infra. Aliqua persona cuiuscumque qualitatis vel conditionis existât que non sit de dicta arte non possit exercere nec exerceri facere quovis modo artem predictam nec se intromittere causa vendendi seu negociandi de aliquibus rebus spectantibus et pertinentibus ad ipsam artem quovis nomine nuncupentur neque ad minutum neque ad gros sum sub pena amissionis illius rei in qua contrafecerit et etiam i* brarum decem januinorum pro qualibet vice, salvo quod cuilibet per sone liceat conducere seu conduci facere ad civitatem Janue quamli et quantitatem pannorum syricorum contentorum in aliquo loco subiecto jurisdictioni et dominio Communis Janue, de ipsisque negociari ven dere permutare vel aliter alienare ac disponere prout sibi placuen in pecia tamen et in grossum solummodo non autem ad retalium sive ad minutum. Et similiter liceat cuicumque persone tales pannos con ductos ut supra emere et quovis alio titulo acquirere vendere a ie nare negociare et mercari in pecia tamen et in grossum non autem ad retalium et minutum ut supra. Liceat etiam mercatoribus quibus cumque qui pannos syricos vel aliquas alias res ad artem pertinentes emerint vel alio titulo acquisierint in Janua ab aliquo vel aliqui us apotbicariis eius artis tales pannos emere vendere aut aliter alienare prout eis placuerit in pecia et in grossum tantummodo et non a retalium vel minutum. Item liceat cuilibet persone etiam si non sit de dicta arte per se vel per alium vendere seu vendi facere quas cumque vestes sive res syricas veteres sive integras sive non prout sibi placuerit, et quilibet possit eas sive de eis emere vel alio titu o acquirere. Possit etiam quelibet persona habitans in civitate Janue laborare sive facere per se et alias personas de sua familia dumtaxat cavegerias cordellas et texutos sive cintos syricos vel mixtos de auro vel argento prout retro fieri solet, dum tamen tales res vendere non possint nisi saeteriis sub pena soldorum decem januinorum et abinde supra usque in quinquaginta pro quolibet texuto sive cinto, et pro ~ 65 - qualibet eavageria et pro qualibet cordella arbitrio consulum et qua* libe vice, de auro tarnen et argento filato dicetur infra sub Rubrica de auro et argento filato. De pannis siricis recte costruendis. Ut panni syrici recte et modo debito laborentur et construantur nullus de dicta arte sive magister aut laborator pannorum syricorum possit facere neque fieri facere avellutatos cremesi qui non habeant telam et pilum tinctos in cremesi nitido et sine aliqua tinta. Nec possint dicti avellutati laborari inter pectines qui non habeant numerum dentium octingentorum quadraginta ad minus et fila sex de tela pro dente et filum unum de pillo. Nec possint fieri panni syrici ad minorem mensuram in latitudine de palmis duobus et tercia parte alterius palmi de nitido absque cimotiis. Eodem modo laborentur et fiant ceteri panni avellutati cuiuscumque generis et coloris ad numerum dentium pectini filorum et pili ut supra ad minus, alioquin intelligantur falsati. Et si facientes pannos syricos contra vel extra formam presentium capitulorum ipso jure et ipso facto cadant in penam a florenis XXV usque in centum januinorum pro qualibet pecia arbitrio consulum artis seateriorum et texarariorum ac etiam alicuius tercii assumendi in casu discordie applicanda arti texerariorum pro duabus terciis partibus et pro reliqua tercia parte operi portus et moduli. Insuper talis pecia panni syrici aliter laborata et constructa incidatur et contrafactor teneatur ad interesse illi persone cuius erat. Si autem seaterius erit in premissis particeps culpe que appareret per instrumentum publicum vel scripturam talis saeterius pena duplicata puniatur applicanda pro duobus terciis partibus arti saeterio-rum pro reliqua tercia parte operi portus et moduli. Zentonini plani cuiuscumque generis et coloris non possint laborari nisi pectinibus qui habeant numerum dentium octingentorum et fila sex pro dente, et quod tora tella sit dupla vel alorganihina. Et si esset tela uguula habeat fila septem in toto pro dente ad minusT eiusdem Iatituctims cuius esse debent avelutati ut dictum est supra in precedenti capitulo. Et sentonini cremesi habeant cimocias croceas et non alterius coloris et aliter facti sive laborati et constructi quam ut supra intelligantur falsati. Et contrafaciens puniantur ut dictum est in capitulo precedenti salvo quod zentonini plani leves qui fiunt pro foderando manicas aut vestes fieri possint non obstantibus suprascriptis ad modum et formam actenus consuetam dummodo fiant cum cimocia illius coloris cuius erit zentoninus levis et aliter fieri non possint sub pena premis9a. Similiter velluti plani in latitudine avellutatorum ad minus et non possint laborari in pectinibus qui non habeant numerum dentium octingentorum octoginta ad minus cum tribus filis pro dente t — 66 — de tela et uno filo de pilo, aliter vero facti intelligantur falsati et puniantur contrafacientes ut supra. Velluti avellutati et velluti me 11 pili non possint laborari in pectinibus qui non habeant numerum dentium octingentorum et quadraginta ad minus, et fila tria “e te a prò dente et unum de pilo, sintque dicti panni latitudinis suprascripte ad minus pilusque in totum sit tinctus in cremesi sine aliqua tinctura, et dicti panni cremesi habeant cimocias croceas sive jallas ut supra. Et aliter facti sive laborati et constructi quam ut supra mte -ligantur falsati. Et contrafaciens puniatur ut superius dictum est. Camocati vero non possint laborari in pectinibus qui non na ean numerum dentium mille octoginta ad minus de filis sex pro dente, ita quod in camocatis cremesi laqueus et tela sint tincti in puro et nitido cremexi sine aliqua mixtura. Et sint in latitudine palmorum trium ad minus. Et camocati cremesi habeant cimocias croceas sive jallas ut supra, et aliter facti sive laborati et constructi S. Erasmo > S. Ambrogio Rivarolo, S Giorgio Arenzano, S. Chiara Crevari, S. Antonio Mele, S. Antonio Pegli, S. Martino Multedo, SS. Nazario e Celso Sestri, S. Giovanni Coronata, S. Maria Monelia, S. Antonio e S. Maria Deiva, S. Giovanni Castagnola Piazza, S. Giacomo Fraoiura, S. Maria Portovenere, S. Croce Lago, S. Gio. Batt. Carrodano, S. Maria Mattarana, S. Maria Carro, S. Sebastiano Castrilo, S. Maria Vara, S. Maria Cembrano, S. Maria Ossegna, S. Maria Maisana, S. Maria Velva, S. Maria Missano, Corpus D.ni Castiglione, S. Bernardino S. Vittoria, S. Vittoria Zerli, S. Rocco Cogorno, S G. B. » S, Croce Varese, S. Maria Caranza, S. Marco Borzonasca, S. Giacomo Scortabò, S Maddalena Timossi, Natività S. M. Levaggi, S. Maria Mezanego, S. Rocco Camogli, S Prospero Recco, S. Maria Sori, S. Erasmo Capreno, S. Maria Sori Pieve, S. Antonio Nervi, S. Maria S. Ilario, S. Croce Quinto, S. Erasmo Bavari, S. Bernardino Struppa, S. Siro e S. Alberto Struppa S. Cosimo, S. Maddalena 89 — -v Stagliano, S. Bartolomeo Mignanego, S. Ambrogio s Vinanego, S. Bartolomeo Langarco, S. Siro Tasso, S. Rocco Isoverde, S. Andrea ' Bargagli, S. Francesco Galanetto, S. Michele 'Traso, S Rocco Larvego, S. Stefano Calvari, S. Rocco Rapallo, S. Bernardino Senarejia, S. Maria > S. Maria Mongiardino, S. Giacomo Portofìno, S. Maria S. Olce8e, S. G. B Quarto, S Giov. Batt. ^ Pino, S. Giacomo Sturla, SS. Nazario e Celso Rivarolo, ?. Stefano Castagna, S. Rocco Casanova, S. Lorenzo Gavi, SS Giacomo e Filippo Pontedecimo, S. Giacomo » S. Maria Serra, S. Bernardino > S. Rocco Borgofornari, S. Sebastiano Voltaggio, S. Sebastiano Rigoroso, SS. Annunziata » S. Gio. Batt. Pastorana, S. Maria » S. Maria Capriata, S. Michele Ceranesi, S. Bernardino Castelletto Orba, S. Sebastiano Paravanico, S. Martino S. Cristoforo, S. Giacomo Turbi, S. Lorenzo Tramontana, S. Maria Livellato, S. Bartolomeo S. Remigio, S. Maria Bolzaneto, S. Francesco Spezza Parodi, S. Marziano Borzoli, S. Stefano Fiaccone, S. Gio. Batt. Quezzi, S. Maddalena Ma l’elenco non è completo, poiché sappiamo che altre preesistevano da tempo, oltre a quelle comprese in esso. casacce Capo II GLI STATUTI Il più antico testo degli statuti delle confraternite genovesi che abbiamo è quello dell’ anno 1306 della già ricordata confraternita di S. Antonio, eretta nella chiesa di S. Domenico. Questi statuti li conosciamo attraverso un codice della confraternita dei Disciplinanti genovesi fondata in Palermo, nella chiesa di S. Nicolò, confraternita che nel 1343 facea dipingere da Bartolomeo di Camogli la tavola di S. Maria dell’ Umiltà, oggi conservata nel museo dell’università di Palermo: nel dorsale di essa si vede un gruppo di confratelli in atto di disciplinarsi e più figure di uomini e donne in adorazione della croce (9). Nel libro degli Statuti di questa confraternita si legge che nel 1343 quei confratelli, congregati per lo bonu statu di la compagnia, dopo aver consultato i Capitoli di Firenze e quelli della compagnia di S. Domenico di Genova fatti il 20 marzo 1306, compilavano, sulla norma di questi, i propri statuti (10). Questi, somiglianti ad altri già noti dell’Alta e Media Italia, prescrivono ai confratelli d’intervenire alle adunanze che avevano luogo due volte la settimana, vietano darsi la disciplina fuori dell’oratorio, tranne che per processioni di penitenza; danno il cerimoniale per l’accettazione dei novizi, le norme per l’elezione del Priore, Sottopriore, Consiglieri, ed altre. Un testo più completo dei Capitoli che governavano le Confraternite genovesi ci è conservato nel documento testé accennato del* 1 anno 1410, che è il verbale dell’adunanza generale delle confrater- © nite. tenuta il 13 luglio, nella quale tutti i rappresentanti procedevano alla riforma degli antichi Capitoli, emanando le seguenti disposizioni : “Non si riceve nella confraternita alcuno se prima non si è accertati della (9) Alizeri, / professori del disegno. Pittura, I, 122. Cf. Mo.ngitore, DeW istoria delle confraternite e congregazioni di Palermo, Ms. Bibl. Comunale Palermo : G. M. MONTI, Op. c., II, 133. (10) / Capitoli di §. Siccolò a Palermo furono pubbicati da G. De Gregorio, Palermo, tip. Clausen 1891. Notiamo che dalla data del 1306 che si legge in questi studi lo Stella è stato indotto in errore, e assegnò quell anno come data dell’islituzione delle casacce genovesi; errore che poi fu ripetuto molte volte da scrittori nostri, mentre quella data si riferisce all’anno del riconoscimento ufficiale delle casacce (R.I.S., XVII). sua piena adesione alla Fede cattolica; non si ammetta chi non ha raggiunto i 18 anni di età. E’ obbligo dei confratelli digiunare in tutti i venerdì dell’anno in onore della Passione di N. S. G. C., accostarsi alla Comunione a Natale, Pasqua, Pentecoste e Assunzione, o almeno una volta l’anno; adoperarsi per mettere pace tra i confratelli, soccorrerli se bisognosi, visitarli e curarli infermi, assistere ai loro funerali e suffragarne le anime. Tutti devono essere seppelliti coll’abito della confraternita. I confratelli faranno la disciplina ogni venerdì in onore della Passione di G. C.. Si asterranno dal prendere parte a divertimenti meno che onesti”. (Poch, 1. c.) Questi in riassunto i Capitoli che governarono le Confraternite genovesi nei secoli XV XVI. S’intende che le singole confraternite erano autorizzate ad aggiungere o fare modifiche a questi capitoli, secondo i bisogni e gli usi del luogo, specialmente nelle campagne, in cui la diversità di ambiente è molto più frequente che in città. Vedansi p.es. i Capitoli della confraternita di S. Francesco di Borgonovo del 1482, i quali, pur attenendosi nella sostanza alla “ forma delli capitoli de Zenoa”, contengono molte disposizioni speciali richieste dalle condizioni proprie di quella popolazione (11). Era naturale che con l’andare del tempo, data l’umana debolezza, si verificassero infrazioni a queste regole, introducendo abusi e disordini contrari allo spirito delle confraternite. Non solo a Genova, ma in tutta Italia, come pure in Francia, Germania, Inghilterra, si era introdotta la consuetudine di dare pasti e conviti nei locali delle confraternite in occasione delle feste titolari, nel Giovedì santo ed altre. Già nel 852 Incmaro, arcivescovo di Reims, condannava pastos et commessationes, che si davano in tali occasioni dalle confraternite della sua diocesi; e la stessa proibizione troviamo nei sinodi genovesi dal 1574 fino ai nostri tempi. Disordini anche più gravi erano gli attriti che si manifestavano spesso tra le confraternite e i parroci riguardo alla celebrazione delle sacre funzioni ed altro; cosa anche questa antica e comune in tutta la Chiesa, e già condannata dal concilio Lateranense del 1180. Nella nostra città dal secolo XVI si cominciò ad introdurre un gran lusso di apparati, crocefissi, statue di santi, vesti preziose nelle processioni, nelle quali si davano pure sacre Rappresentazioni, eseguite da fanciulli dell’uno e dell’altro sesso, che vestiti da santi rappresentavano fatti della vita del santo titolare, di N. S., della Madonna od altro, come diremo altrove. Queste scene spesso trasforma- ci) Cf. Cambiaso, Gli statuti della compagnia di S. Francesco di Borgonovo del 1482, in Arch. Frane. Hist., Firenze - (Quaracchi, XVII). - 92 - vano la sacra funzione in uno spettacolo profano e punto divoto, e quindi giustamente il citato sinodo del 15/4, pur riconoscendo che esse erano per sè destinate a suscitare negli spettatori fervore di santi affetti, “oggi, - diceva • per la malizia dei tempi, eccitano invece a riso e cattivi desideri”, e perciò le proibiva severamente. Ritorneremo suU'argonieuto. Anche nel campo della liturgia si verificava un disordine portato dall'uso di recitare l’Uffizio della B. V. in lingua volgale, perchè per il gran numero e varietà di traduzioni di quelle preghiere, traduzioni fatte, tante volte, da scrittori incompetenti, ne seguiva una grande confusione e disordine nella recita di quelle divotissime preghiere. A ciò pose rimedio la Bolla Quorl a nvbis (15<1), in CU| Pio V interdiceva og ni testo dell'uffizio mariano che non fosse quello latino da lui approvato, che è l’odierno. Ora diciamo della Regola data alle confraternite dall Arcivescovo Antonio Sauli. Egli, eletto prima Coadiutore dell’Arcivescovo Pallavicini (1586), e poi divenuto suo successore, emulando lo zelo di S. Carlo Borromeo e di S. Alessandro Sauli suo cugino, intraprese fin dall'inizio del suo governo una totale riforma della diocesi secondo i decreti del Concilio di Trento, specialmente riguardo al Seminario, al Clero, ai Monasteri e alle Confraternite (12). Di queste, molte non aveano regole o le aveano antiquate e non più rispondenti ai bisogni del tempo; sicché esse stesse pregarono il nuovo arcivescovo a dare una regola da osservarsi da tutte le confraternite della diocesi. L’arcivescovo di buon grado annuì ed impose loro la Regola de le confraternite de Disciplinanti, riformata d'ordine de Mgr. HLmoe R-mo Carlo Card. Borromeo Arcivescovo di Milano, et introdotta in (renova (12) Sull’opera dell’Arciv. Card. Antonio Sauli a favore delle confraternite riportiamo la seguente iscrizione da lapide murata nell'atrio del Palazzo arcivescovile -. ILLUSTRI SS. ET REVERENDISS. D. ANTONIUS SAULIUS DUM UNIVERSA DIOCESI PROCURATA. CULTU DEI AUCTO. SACRIS CEREMON1YS RESTITUTIS. CLERI CON TROVERSIYS SEDATIS. LEGIBUS AD RELIGIONEM AC TRANQUILLITATEM SACRIS VIRGINIBUS CONFR ATERNI TATIBUSQUE COMPOSITIS. HARUM QUOQ. AEDIUM PAVIMENTA PORTICUS PARIETESQUE DECORANDAS CURAVIT. ROMAM A S. D. N. SIXTO V ULTRO ACCERSITUS INCREDIBILI OMNIUM CONSENSU EX ARCHIEPISCOPO GENUEN S. R. E. CARDINALIS PRONUNTIATUS EST ANNO A NAT. D i ni MDLXXXVII MENSE DECEMBRI e sua Diocese di commissione de L. Ill.mo e R.mo Mgr. Antonio Sauli Arcivescovo di Genova con alcuni capitoli aggiunti. In Genova, MDLXXXVll (13). Ne diamo un breve riassunto per la storia delle nostre confraternite e per l’edificazione dei confratelli. “Non può essere accettato nella confraternita chi non ha 16 anni compiuti. Prima di fare l’accettazione, tutta la confraternita farà 8 giorni preghiere per invocare i lumi dello Spirito S. in affare sì importante. - L’elezione si fa a voti segreti; è accettato chi riporta 2/3 di voti favorevoli. L’ammesso alla confraternita farà un anno di noviziato, trascorso il quale, se egli ha dato buona prova sarà accettato fra i soci definitivi. Nel giorno dell’accettazione tutti i confratelli faranno la S. Comunione per il nuovo ascritto. L’abito dei confratelli, dovendo esprimere i loro sentimenti interni di sincera penitenza, umiltà e mortificazione, sarà una cappa di tela ordinaria, con una crocetta rossa sulla fronte e l’imagine del santo titolare della compagnia sul petto dalla parte destra. L’abito deve essere indossato da tutti nelle processioni, accompagnamenti funebri degli ascritti, nel-l’accostarsi alla S. Comunione, e ne devono esser vestiti i confratelli quando si portano a seppellire. Tutte le feste di precetto i confratelli si dovranno portare al loro oratorio per fare le preghiere di adorazione, ringraziamento a Dio pei benefizi ricevuti, pentimento dei loro peccati e proponimento di perseverare nel divino servizio. Reciteranno l’uffizio della B.V. con tono divoto, pronunzia distinta, reverenza al divino cospetto. Al mattino diranno Mattutino e le ore minori, al pomeriggio Vespro e Compieta. Ofini prima domenica del mese l’uffizio dei morti pei confratelli defunti. Chi non sa leggere dica invece dell'uffizio della B. V. il rosario intero, e per l’uffizio dei Morti 33 Pater, Ave, in memoria dei 33 anni di vita di N.S. in terra. Nell’oratorio si tenga qualche libro divoto, p.es. il P. Granata od altro, per la lettura spirituale da farsi in tempo libero. Ogni giorno i confratelli reciteranno 10 Pater Ave in memoria di Gesù flagellato alla colonna, e 5 in onore delle 5 Piaghe. Si raccomanda una particolare divozione al Santo o Santa titolare della confraternita, e così pure al santo di cui si porta il nome. Procurino ancora di conservare la pratica fra noi introdotta di recitare insieme a tutta la famiglia le preghiere della sera. I confratelli si confesseranno e faranno la Comunione ogni prima (13) Copia di questa regola dell’anno 1587, incompleta, si trova in Arch. Parr. di Crevari; altra completa, edita in Carmagnola per Marc'Antonio Bellone ad istanza di Pier Paolo Barbieri librario in Genova MDCXIII, si conserva in Arch. Arciv., • Confraternite», I. domenica del mese, e nelle solennità di Natale, Ascensione, Pentecoste, N. S. Assunta e tutti i Sauti. Le feste della compagnia devono essere celebrate con vera divozione interna, più che con apparato esterno: nella vigilia si osservi il digiuno, se non si è impediti, e nella festa oltre alle solite preghiere, si faccia la S. Comunione. Sono assolutamente proibiti i conviti che talvolta si solevano fare in tali feste. I confratelli digiuneranno, oltre che nei giorni comandati dalla Chiesa, in tutti i venerdì delPanno per divozione alla Passione di N. S.; e faranno la disciplina in tutte le domeniche di Quaresima e del-l’Avvento e nelle tre domeniche precedenti la Quaresima, il Giovedì santo, il martedì di Carnovale, il 1° maggio e il 1° agosto, giorni in cui con più scandalosa libertà si offende il Signore. Ogni confraternita sarà governata da un Priore, coadiuvato da • • 11 un Sottopriore. Essi dovranno conservare il vincolo della pace e dell'amore fraterno tra gli ascritti, e far o.»servare diligentemente la Regola. Siano prudenti nel consigliare, pacati nel riprendere, affabili nel conversare. Al Maestro dei novizi spetta indirizzare questi alla pietà e virtù cristiane, istruirli nella dottrina sacra, nella recita del-Lffizio, nel canto e nelle cerimonie prescritte dalla regola. I capitoli 13-21 trattano del Sacristano, Tesoriere, Cancelliere, Promotori, Infermieri, Assistenti al banco; tutti devono restare in carica un anno, gli Assistenti un solo mese. Varie sono le pene inflitte ai trasgressori delle regole; le più frequenti sono 1‘ammonizione, la sospensione dalla Compagnia per un dato tempo e l’espulsione da essa. Tutti devono avere copia della Regola e leggerla, o farsela leggere, una volta al mese. I capitoli 23-29 contengono il cerimoniale per la Vestizione dei nuovi confratelli; lavanda dei piedi che si faceva il Giovedì S. dal priore a tutti i confratelli; il modo di fare l’elezione degli ufficiali della compagnia, e preghiere diverse, litanie della B. V. ecc. I 6 capitoli aggiunti dall Arcivescovo per la nostra diocesi dispongono: I superiori nuovamente eletti, prima di cominciare il loro uffizio, giureranno in mano al parroco o rettore di volerlo esercitare fedelmente : alla scadenza dell’uffizio renderanno il conto ai successori in presenza del parroco o rettore della Compagnia; è proibito tenere adunanze nell’oratorio nei giorni festivi nel tempo che in chiesa si celebrano i divini uffizi; proibito celebrare messe da morto in domenica od altra festa, e di celebrare presente cadavere più di una Messa; tutte le confraternite dovranno osservare, oltre la regola, quanto è disposto nel concilio provinciale, titolo De Disciplinato-ribus e nei decreti generali e particolari del Visitatore Apostolico. Dato dall’Arcivescovato li VIII di Ottobre MDXXXVII“. Capo III OPERE VARIE DI CULTO E DI BENEFICENZA Laudi sacre. - L’amore al canto delle Laudi nelle Confraternite dei Disciplinanti nacque insieme colle confraternite stesse. Nei moti penitenziali del sec. XIII quelle folle di devoti andavano di chiesa cantando e spesso improvvisando inni e laudi a Dio, alla Vergine ed ai Santi ; laudi che dopo essere state molte volte ripetute a memoria nelle processioni, venivano poi raccolte in libri detti Laudari. Per questo amore alle Laudi venne applicato ai disciplinanti anche il nome di Laudesi. Di Laudi si ebbe una produzione ricchissima in ogni regione d’Italia : più di duecento Laudari ci rimangono tuttora. Di Laudi genovesi dei sec. XIV-XV pubblicarono una raccolta i professori Crescini e Belletti Giorn. Ligust. a X, ed altra Paolo Accame in Atti Soc. Lig. St. P., vol. XIX. Sono poesie di stile semplice e popolare, ispirate da profondo sentimento religioso, in forma generalmente castigata e corretta, ma talvolta anche poco elevata. Tra queste Laudi quella dal titolo Lo pianto de la intemerata et gloriosa Maria, la quid se dixe lo Venerdi Santo (cioè nella divota e mesta funzione che si celebrava in metropolitana nella notte fra il Giovedì e il Venerdì Santo) è commovente per la evidenza terribile e tenerezza materna con cui descrive uno per uno i particolari della Passione di N. S. (14). In progresso di tempo le Laudi, dato il gran numero di esse, e la poca competenza dei loro autori, andarono in decadenza, e per questo le casacce della città nel 1436 unanimi deliberarono che nessuna confraternita potesse cantare Laudi non approvate dall Autorità. Nel 1582 Mons. Bossio ordinava a molte confraternite di presentare i loro libri di Laudi alTOrdinario per la revisione. Della sopracennata funzione del Giovedì-Venerdì santo, ecco come parla il Giustiniani, testimonio di veduta : “ Della pietosa Di- (14) Nel 1577, costituitasi in Genova una nuova società tipografica, essa metteva in vendita fra gli altri libri gli Offitli di Compagnie di Casatie (V. ASLSP, IX, 321). Una raccolta di Laudi composte da Antonio Semino veniva stampala in Torino nel 1589, a spese di Antonio Biondi, confratello dell’oratorio di S. Stefano (Accinelli, o. c. 348). votione che fanno ogni anno i fratelli delli venti oratori ossia confraternite che sono in la città, non si potrebbe dir troppo; coineché la notte del venere santo si vestano di sacco circa cinque mila persone, e così qualche altra fiata quando la città implora il divino aiuto; e scalzi discorrono per le chiese con bellissime cerimonie, e con sommo silenzio si battono le spalle con cordicelle e con rosette di argento pungenti, con tanta effusione di sangue che muovono a compassione non solo i buoni et divoti, ma eziandio i cattivi et ostinati. Si crede che molte volte abbino placato l’ira di Dio; e non è dubbio che questa osservanza di Disciplinanti non ha paro in tutta la Cristianità (Annali I, 77). Processioni. - 11 giorno 3 maggio, festa dell’ Invenzione della S. Croce, tutte le confraternite della città partecipavano alla solenne processione, che andava alla metropolitana per 1’ adorazione della S. Croce, esposta suU'altar maggiore, e poscia a S. M. delle Vigne, ove l'adorazione avea luogo all’altare della Croce (15). Alla processione nel 1496 prese parte anche il Governatore di Genova pel Duca di Milano, a cui era allora soggetta la città, il Senato e le altre autorità. Nel 1466 si cominciò a portare in essa la preziosa Croce dei Zaccaria, composta di due notevoli pezzi del Santo Legno, inclusi in croce d’argento alta 64 cent, e larga 40, con 289 perle orientali, smeraldi, zaffiri, corniole, malachiti e ametiste; lavoro bizantino del secolo XIII, che si conserva tuttora nel tesoro della metropolitana. Questa processione generale di tutte le casacce, come pure le altre processioni che facevano le singole confraternite durante l’anno nelle loro feste, in antico erano funzioni di grande divozione e di penitenza; ma più tardi, specialmente nel secolo XVIII, introdottasi una gran pompa di ricchi costumi, Crocifissi e Casse colossali di santi, con sfoggio di lumi, musiche, ecc. perdettero quell’aspetto modesto e divoto, e divennero spettacoli di carattere più mondano che religioso, con grave scapito della vera pietà. In materia di lusso nelle processioni primeggiavano le due casacce rivali di S. Giacomo delle Fucine e S. Giacomo della Marina. Il poeta Martin Piaggio, che tante volte avea presenziato quelle processioni, ce ne ha lasciato una splendida e briosa descrizione. Nella Sdorila da casazza de S. Giacomo da Maenn-a, del 1821, descrive (15) Nelle processioni il Crocifisso si portava, come si usa tuttora nella nostra diocesi rivolto verso i processionanti, per privilegio accordato dalla S. Sede ai Genovesi in premio del valore dimostrato nella liberazione del S. Sepolcro (AcciNELLl I. c.: Cervetto, Oratori! di S. Maria, S. Bernardo e Tre Remagi, 9). -91 - la grande animazione suscitata in tutto il quartiere del Molo pet quella processione : Gran sussùro a festa ancheù, Invexendo â Maenna a o Meù", Spai Regatte, Soin e Canti, Feùghi in ma, Paloin volanti, Lûminaee, Zeûghi, Bandee, ecc. Apre la processione la Croce del Gonfalone, seguita dal S. Giacomino a cavallo, vestito con cappa di broccato d’argento, tabarrino di velluto nero ricamato in oro, che canta le lodi di S. Giacomo in lingua spagnuola. Poi viene la Compagnia del Venerdì, con musica, tabarri di velluto e cappe con stemma: la Compagnia deW Assunta con musica, cappe di tela d’argento, tabarri di velluto azzurro: la Compagnia dulia Gran Madre di Dio, pure con musica, cappe di tela d’oro, tabarrini di velluto cremisi ricamati in oro. Quindi appare il grande Crocifisso del Maragliano, attorniato dai musicanti, e moltitudine di confratelli con ceri accesi, e finalmente la Compagnia di S. Zaccaria con musiche, cappe di raso rosso, tabarrini di velluto viola, cassa del Santo portata dai camalli. A quello spettacolo il poeta esclama : Che zonzùri!... Còse fan?... Bagatelle !... Ven zû o ce! ed applica alla casaccia di S. Giacomo della Marina il titolo di Reginn-a de Casazze. Anche più imponente di questa era la processione di S. Giacomo delle Fucine; sicché il poeta chiama questa casaccia Reginn-a de Reginn-e, Imppatrice de Fuxinn-e. Descrive il delirio di gioia di tutta Portoria a quello spettacolo. Le vie e le piazze tappezzate di damaschi, festoni, bandiere e luminarie, un mare di luce, che fa esclamare il poeta: Piggia feùgo anche o qucrtè! S’avanza la processione con in capo il Gonfalone scortato da confratelli in cappe di tela d’oro e tabarrini di velluto azzurro controtagliato. Segue il S. Giacomino a cavallo, vestito di tela d’argento, tabarrino rosso, e predica al popolo in spagnuolo. Poi due squadre di pellegrini in cappe azzurre, tabarrini rossi, ricamati d’argento. Segue la Compagnia di S. Onorato dei Tintori, in costumi azzurri tabarrini di velluto cremisi, fiaccole, croce, accompagnata da musica. Poi la Compagnia dello Spirito Santo, quella delle Anime, quella del Venerdì, colle rispettive croci, musiche; confratelli vestiti di tela d’oro, tabarrini di velluto, e final- 7 - 98 - mente il celebre Cristo Moro portato dai Caravana vestiti di velluto cremisi tempestato d’oro, e attorniato dai musicauti e da moltitudine di confratelli in costume ricchissimo. Dietro al Crocifisso la compagnia della Natività, dei Carbonai, in cappa rossa, tabarrini neri ricamati in oro, e poscia la grande Cassa con S. Giacomo che sconfigge i Mori, opera del Navone, che si conserva tuttora nell’oratorio della confraternita; la cassa era tutta splendente di lumi e di fiori. Il Piaggio conchiude : Questo è un giorno pe Portola Da no perdine a memoia, Per VOtòjo o l'è un de quelli Fra i so fasti di ciù belli; De tripudio pe-o Quarte, De gran sciallo pe-a Çiitae. Una processione di vera pietà e carità squisita era quella che fino dai tempi più antichi facevano ogni anno le confraternite della città, ciascuna un giorno per turno, all’ ospedale di S. Lazzaro dei lebbrosi. I confratelli, entrati in chiesa e recitato l’uffizio della B. V., passavano all’ospedale, ove imbandivano un buon pranzo ai poveri lebbrosi, ai quali pure lasciavano copiose offerte, come ricordano le iscrizioni che erano murate nell’ospedale (16). Pellegrinaggi. - I pellegrinaggi che le confraternite facevano di frequente ai Santuari ed altre chiese erano davvero edificanti pei sentimenti di divozione e di penitenza che dimostravano i confratelli. Al santuario di N. S. della Guardia in Polcevera, il Santuario principe della Liguria, si recavano fino dai primi tempi ogni anno, ed anche più volte all’anno, le confraternite di \ al Polcevera, tra le quali S. Francesco della Chiappetta, S. Stefano di Rivarolo, Ponte-decimo, Livellato ed altre, talvolta fino a due, tre e quattro insieme, scrive il Giancardi, “andando i confratelli tutti scalzi, vestiti di cappa, con la disciplina sovra le spalle; e giunti al sacro tempio umilmente s’inginocchiano sulla porta principale, e così genuflessi camminano fino all’altare maggiore spargendo lagrime, sudore e sangue, baciando la terra; la qual devotione muove al pianto e compuntione ogni più duro cuore...., mentre sopra sta benedicendoli quella Santissima Madre " (17). Al santuario lasciavano offerte in denaro, candele e paramenti, di cui allora difettava la chiesa. Fra tutti erano rilevanti (16) Banchero, Genova e le due Riviere, I, 1844, S. Lazzaro. (17) GlANCARDl. Siero vessillo spiegato a gloria di S. Marta della Guardia in Polcevera, p. 50. CambiasO, N. S. della Guardia e il suo Santuario in Val Polcevera, 1933, p. 63. — 09 - i doni che ogni anno portavano in comune all’altare di Maria le due confraternite di S. Francesco della Chiappetta e S. Stefano di Riva* rolo, come risulta dai registri del santuario. Altra méta di frequenti pellegrinaggi era il santuario di N. S. del Monte. La confraternita di S. Antonio della Marina vi si recava in processione ogni anno il giorno dell’Annunziata, 25 marzo; i confratelli, dopo fatte le loro divozioni e assistito alle sacre funzioni, offrivano in dono una libbra di cera. La stessa confraternita ogni anno, nella festa dell’Ascensione, si recava in processione all’abazia di S. Antonio di Pré, ove si celebrava una divota funzione, con Messa e Comunione dei confratelli. Altre benemerenze delle confraternite. - Nel 1455 la casaccia di S. Ambrogio, col concorso delle altre consorelle Disciplinanti, fondava la Compagnia di S. Maria succurre miseris, detta anche Compagnia della Misericordia, per assistere i condannati a morte; compagnia che ebbe poi formale costituzione, con grandi privilegi dalla S. Sede, nel 1457. Ettore Vernazza fu uno dei più ferventi soci e la diffuse assai tra i nobili genovesi. La compagnia faceva celebrare molte SS. Messe a suffragio delle anime dei giustiziati (18). Molte altre Compagnie furono fondate o favorite dalle Confraternite disciplinanti, che le accoglievano sotto di sé nei loro oratorii, promovendo così molte divozioni oltre a quelle imposte dai loro statuti. In genere tutte le Confraternite maggiori, avevano sotto di sé varie di queste Compagnie minori. Le Confraternite davano anche nei loro oratorii, specialmente in occasione della Pasqua, corsi di Esercizi spirituali agli uomini, come ai militari; alla conclusione dei quali talora interveniva l’Arcivescovo per la Comunione generale. Nelle rispettive parrocchie, specialmente in campagna, i confratelli erano di buon esempio agli altri fedeli, spesso intervenendo in massa e aggiungendo decoro alle sacre funzioni nelle solennità del paese. In molti luoghi coadiuvavano il parroco nell’insegnare la Dottrina Cristiana ai fanciulli. Provvedevano a proprie spese una Messa festiva in parrocchia, a comodo della popolazione. Occorrendo, contribuivano, col denaro e coll’opera alla costruzione ed altri lavori della chiesa. (is) AcciNELLI, Scielta di notizie della Cfìiesa di Genova e sua diocese, Ms. in Arch. Arciv. p. 155: 1493, Libro ad uso dei confratelli de la compagnia de Misericordia per assistere i condannati a morte, è un Ms. del sec. XV alla Bibl. Universitaria di Genova, segnato G. III. 2. — Ivi pure altro Ms. del sec. XVIII, Atti della confraternita dei Disciplinanti di S. Ambrogios della Misericordia e della Giustizia, con reclami di antichi privilegi, ecc., segnato B - II - 17. — 100 - Dopo il culto, scopo principale delle confraternite era la beneficenza. Già dicemmo dell’assistenza che mutualmente si prestavano i confratelli nei casi di povertà, di malattie, di morte. Ora dobbiamo aggiungere una parola sull’istituzione degli Ospedali. Era uso comune tra le confraternite, fin dai loro inizi, di fondare presso la chiesa od oratorio in cui aveano sede, un ospedale per la cura dei confratelli ed anche degli estranei. Questa consuetudine indubbiamente vigeva anche a Genova, benché i documenti di quegli antichi ospedali fondati tra noi, oggi siano in gran parte periti. Un breve saggio accenniamo. Nel 1431 i Disciplinanti di S. Stefano di Rapallo stavano costruendo il loro ospedale vicino alla confraternita. Poco dopo i Disciplinanti dei SS. Giacomo e Filippo di Gavi facevano altrettanto (19). Lazzaretti. - Se è urgente opera di carità provvedere ospedali per la cura degli infermi comuni, più urgente è aprire lazzaretti per la cura degli appestati. Quindi le confraternite in tempi di epidemie si davano premura di ricoverare nei loro oratori i poveri colpiti dalla peste. Nella terribile Peste Nera del 1656-57 si segnalarono in particolare gli oratorii di S. Andrea, di S. Stefano e di S. Bartolomeo delle Fucine in città, nei quali diedero prove di grande eroismo nell’assistenza dei poveri infermi i Padri Camillini ed altri religiosi e laici, come si può vedere dagli annalisti F. Casoni, Successi del contagio 1656-1657, e P. Antero, I Lazzaretti della Città e Riviere di Genova del 1656-57; Corradi, Annali delle epidemie occorse in Italia, vol. III. Scuole di carità. - Sulla metà del secolo XVIII il giovane prete Lorenzo Garaventa, gloria immortale di Genova, faceva scuola a pagamento nella sua modesta casa presso Ponticello. Ma un giorno presentatisi a lui alcuni ragazzi poveri e impotenti a pagare il solito stipendio dei maestri, egli cominciò a riceverli a scuola per carità ; e a poco a poco aumentando il numero di questi, il buon prete licenzia quelli che pagavano, per dedicare tutta la sua opera all’ istruzione dei poveri, e appeso alla porta di casa un cartello con la scritta Qui si fa scuola per carità, va per le strade e nelle case invitando tutti i ragazzi alla sua scuola, e pregando i genitori a mandarli. In breve tempo ne adunò tanti che la sua casa non bastava a contenerli ; e quindi domandò ed ottenne per l’interposizione del-l’Arcivescovo Mons. Saporiti che la casaccia di S. Andrea mettesse (19) Ferretto, o. c. 470. I — 101 — a sua disposizione il suo vasto oratorio, e in questo il Garaventa iniziò la sua scuola, frequentata da oltre quattrocento ragazzi. Poscia, nel 1770 dovendosi fare in questo oratorio grandi lavori edilizi, la scuola fu portata nell’oratorio di S. Stefano e più tardi in quello di S. Ambrogio. In questo, ancora del secolo scorso si conservava la sedia e il tavolo da cui il Garaventa impartiva il suo insegnamento, e un quadro in cui egli si vedeva ritratto, attorniato da uno stuolo di alunni, a cui insegnava l’abbecedario. Ma il grande educatore non si contentava di una sola scuola, bensì progettava di fondarne in tutti i quattro quartieri della città. E presto riuscì nell’ intento. Nel 1761, egli, aiutato da altri pii sacerdoti maestri, e soccorso da generosi benefattori, primo fra essi 1’ Arcivescovo Saporiti, con 1’ approvazione del Senato, aperse altra scuola pel quartiere di Prè, nell’oratorio dei SS. Giacomo e Leonardo; nel 1762 altra ne fondò pel quartiere del Molo, nell’oratorio di San Giacomo della Marina, e nel 1765 una quarta nel centro della città non sappiamo in quale oratorio ; sicché in totale gli alunni delle sue scuole ammontavano ad oltre 2200. E non contento di ciò, egli ne fondava altre fuori Genova, a Chiavari, a Varese ed altrove, con immenso benefizio dei poveri fanciulli, finché nel 1822 si stabilivano in Genova, per decreto Reale, le Scuole Comunali gratuite. Monte di pietà. - Anche questo istituto, di massima importanza pel finanziamento dell’industria popolare, entra nel programma delle confraternite, che ne costituirono sedi fuori di Genova nei principali centri di popolazione. Nel 1607 i confratelli della casaccia di S. Erasmo di Voltri, adunati nel loro oratorio, alla presenza del Capitano della Podesteria eleggevano per la prima volta i quattro Governatori del nuovo Monte, perchè lo governassero “ conforme le regole et ordini del Monte di Pietà di Genova ” (Cabella, o. c. 541). Durante quel secolo ed il successivo il Monte fu assai florido, e coi larghi mutui che faceva ai confratelli diede forte impulso al commercio e alla vita economica del luogo. Lo stesso avveniva a Gavi, ove la confraternita di N.S. Assunta fondò e fece prosperare fino al secolo scorso altro Monte di Pietà, a vantaggio dei confratelli ; mentre nella stessa città di Gavi l’oratorio dei SS. Giacomo e Filippo, dei Bianchi, anticipava gratuitamente ai contadini il frumento occorrente per la semina ; per cui veniva chiamato il granaio di Gavi. Capo IV LE CONFRATERNITE E L’ARTE SACRA Le nostre confraternite furono sempre benemerite dell’arte sacra, promovendola in tutte le sue manifestazioni, della pittura, scultura, architettura ed arti minori. A loro si deve buona parte delle opere d'arte specialmente dei secoli XVII XVIII che Genova possiede. La documentazione delle opere pittoriche s’ inizia colla tavola di S. Maria delPUmiltà, dipinta nel 1346 da Bartolomeo di Camogli per la confraternita dei Disciplinanti genovesi in Palermo, e continua ininterrota fino ai nostri giorni. Della scultura i documenti d’archivio ricordano lavori in legno già del ’400, ma quelle opere, data la fragilità del legno e la poca cura nel conservarle, sono ormai scomparse. Ma dalla fine del ’500 la scultura riprende il suo posto nella storia genovese, e culmina nei sei e settecento coi Santacroce, Poggio, Bissoni, Torre, Maragiano ed altri, che ci presentano capolavori di Crocifissi, Casse o gruppi di Santi per processioni, e statue isolate per chiese ed oratorii. Gio. Batt. Gaggini da Bissone, detto il Veneziano, specializzato nell’arte dei grandi Crocifissi, che egli con particolare studio disegnava e modellava dal vero, nell’accademia già aperta da suo padre Domenico ma da lui migliorata, in un locale a pianterreno attiguo a Palazzo Rosso, sotto via Garibaldi — come risulta da un censimento del 1650, dell’Archivio arcivescovile —, è autore finissimo e grazioso, corettis-simo in anatomia, ma senza esagerazioni realistiche, tanto che i volti dei suoi Crocifissi, spirano dolcezza e soavità e muovono a divozione. Sono molti i Crocifissi del Veneziano, sparsi in tutta Genova, e più numerosi quelli dei suoi scolari, che però si distinguono facilmente da quelli del maestro, perchè molto inferiori. Il Bissoni era profondamente religioso ed era ascritto alla Congregazione dei Terziari nella vicina chiesa di S. Francesco di Castelletto. Anche le arti del disegno, assai progredite nel ’600 e "700, ci lasciarono splendidi lavori in tabarrini, cappe, gonfaloni ricamati in oro ed argento per le processioni. Dell’architettura daremo alcuni cenni parlando dei singoli oratorii. Ed ora diamo un cenno sulle opere d’arte delle singole confraternite della città. — 103 — S. Maria di Castello. - Della fondazione di questa confraternita nel secolo XIII si è parlato a principio. Testimoni della sua floridezza sono lo costruzione del suo oratorio del 1365, ed i molti legati fatti a suo favore nei sec. XIV-XVII, riportati dal Cervetto. Sull’inizio del sec. XVII, ricostrutto l’oratorio, Lnzaro Tavarone ne affrescava la volta, decorandola anche con stucchi, e il lavoro riusciva di tale effetto che egli compiacendosene, vi lasciò impresso: “ Lazarus Tavaronus suo marte pinxit 1611”. Gli affreschi rappresentano 1’ Assunzione e 1’ Incoronazione di Maria SS. Già prima di questi Pier Francesco Socchi aveva dipinto la bellissima ancona colle figure della Madonna, S. Antonio e S. Gio. Battista che ora si trova in chiesa. Vi si vedevano pure magnifici lavori d’intaglio del Tamagni e dieci statuine colorate di N. S., della Madonna e di santi opere di Nicolò da Corte, del 1529. Più tardi il sullodato G. B. Gaggini da Bissone scolpiva il bellissimo Crocifisso, che oggi è venerato nella chiesa della SS. Annunziata di Portoria, e il gruppo magnifico figurante S. Bernardo in contemplazione della SS. Vergine, ora collocato su altare provvisorio in chiesa. Vi erano pure un dipinto di Rujjaele Badaracco sopra l’altar maggiore, e un quadro di Giuseppe Palmieri; i quindici misteri del Rosario lavorati a cesello in argento del sec. XVII, molto pregiati, che si portavano in processione. Alla confraternita si aggregarono nel 1693 la Compagnia di N. S. della Misericordia, nel 1723 quella dei Tre Re Magi, e nel 1802 quella delle Anime Purganti della Foce (20). S. Antonio. - Questa confraternita alcuni, tra i quali l’egregio D. G. Schiappacasse, che ne ha pubblicata la monografia (21), credono che sia stata in origine la compagnia di S. Antonio esistente già in S. Domenico nel 1232. Ma questo è un grave abbaglio, che ha sconvolto tutta la storia delle nostre confraternite. L’antica compagnia di S. Antonio fondata in S. Domenico si trasferì in via Giulia e divenne le confraternita di S. Antonio dei Birri, come diremo a suo luogo. S. Antonio della Marina veniva fondato nella chiesa di S. Silvestro a principio del secolo XV e non avendo oratorio proprio, nel 1442 teneva in affitto, come sede della sua Amministrazione un locale vicino a detta chiesa, di proprietà del monastero di S. M. d’Albaro (22). (20) Cervetto, o. c. (21) G. Schiappacasse, L'Oratorio di S. Antonio della Marina e N. S. della città, Genova, 1910. (22) Verberat ores SS' Antonli... Dcmum in S. Silvestro (proprietà) Prioratus S. Mariae de Albario (Cartularium possessorum ecclesiorum et monasteriorum Jannue, anno 1442, f. 70, Arch. Capit. S. Lorenzo). — 104 - Intorno al 1460 i confratelli si costruivano il proprio oratorio che tengono tuttora in piazza Sarzano. Nel 1828 ne vollero eseguire, su disegni del Barabino, coadiuvato da Nicolò Revello, un generale restauro, che lo rese un vero gioiello d'arte. Sull'altare si vede la tela di Luca Cambiato rappresentante S. Antonio che nel deserto trova la spoglia di S. Paolo. Nella volta sono tre medaglie dipinte da Giuseppe Passano rappresentanti diversi fatti della vita del Santo; un altro affresco dello stesso Passano nella volta del presbiterio rappresenta il Santo confortato da Cristo nelle tentazioni. I belli ornati sono di Giacomo Picco, e le opere in plastica di Nicolò Centanaro. L’ aitar maggiore sormontato da elegante tempietto è rifatto su disegno del Barabino, e i getti in bronzo dorato che lo adornano furono modellati da Ignazio Peschiera. Due tele su muri laterali coi santi Antonio e Paolo sono del Passano. Tutto l'oratorio è arricchito di dorature e di marmi. Il grande Crocifisso delle processioni è uno dei migliori del Mitragliano, atteggiato allo stile bissonesco. La statua in marmo dell’immacolata, altare a sinistra, è di Ignazio Peschiera. S. Antonio dfi Birri. - Come avvertimmo testé, questa confraternita non è che la continuazione dell’ antica compagnia di San Antonio esistente in S. Domenico già nel 1232, della quale trattammo a principio di questo studio. Sul principio del sec. XV i confratelli vollero costruirsi il proprio oratorio, poco distante da S. Domenico, allo sbocco di via Giulia; e si chiamò dei Birri perchè da questi fu sempre amministrato e provveduto generosamente di quanto spetta al suo culto. Fu demolito per l’apertura di via XX settembre. Nella volta erano affreschi di Lorenzo Brusco allievo del Boni. Possedeva un quadro ad olio con S. Antonio, di Raffaele Badararco, e altri quadri con diversi fatti della vita del Santo, di Giulio Bruno allievo del Tavarone ; cassa con S. A. capolavoro del Alaragliano, oggi trasferita a Mele. S. Ambrogio. - Fondata nel sec. XIII nella chiesa di S. Ambrogio, nel 1367 faceva dipingere in colori finissimi ed oro da Giovanni Re di Rapallo una tavola colla figura del Santo attorniato dai quattro Evangelisti, da porre sull’altare della confraternita. Costruitosi l’oratorio, Francesco De Ferrari pavese, nel 1480 ne dipingeva la volta. Nel 1455, come già si disse, questa confraternita col concorso delle altre consorelle istituiva la Compagnia di S. M. Succurre miseris, per l’assistenza dei condannati a morte. Della Scuola di Carità che ebbe sede in questo oratorio nel sec. XVIII e XIX già trattammo a suo luogo. Delle sue opere d’arte solo sappiamo che il Tavarone aveva eseguito varie tavole di soggetti iguoti ; però una di queste è il S. Gio. Battista nel deserto, che ora si conserva in chiesa ; e forse altra è quella raffigurante Gesù che ammaestra gli apostoli, oggi pure esistente in chiesa. S. Andrea. - Eretta nella chiesa omonima, nel 1385 comparisce nelle Miscellanee del Poch, Disciplinatorum S. Andreae (IV-1I-22). Nel 1442 non avendo oratorio proprio, teneva in affitto dal Capitolo di S. Lorenzo un locale negli Orti di S. Andrea ; ma poi non tardò a costruirsi l’oratorio nella contrada delle Fucine, ove rimase fino alla soppressione napoleonica. Già vedemmo che nella peste del 1656-57 fu convertito in Lazzaretto. Opere d’arte : Gio. Andrea Deferrari, pittura con Cristo che lava i piedi agli apostoli ; Gioachino Assereto, S. Andrea che va al martirio e libera un’ ossessa ; Simone Balli, grande tavola della Cena Domini. S. Bartolomeo delle Fucine. - L’Accinelli ed altri accennano a documenti di questa confraternita del 1308, senza però riportarli. Un documento autentico della sua antichità e floridezza religiosa è un codice membranaceo del sec. XIV-XV di preghiere in dialetto genovese, che si recitavano in questa casaccia, codice che è conservato a Parigi (Mazzatinti, Inventari dei Mss. italiani delle biblioteche di Francia, Vol. II, 84). Nel 1509 la confraternita costruiva il proprio oratorio nella contrada delle Fucine, col titolo Beatrae Mariae Virginis et beati Bartholomaei (vedi Not. Baldassare de Coronato, F, 9 senza numerazione, atto 26 sett. 1509, Arch. arciv.), e nel 1544 Agostino Calvi ne dipingeva la volta. Ma l’opera più preziosa di questa casaccia è la stupenda tavola col martirio del santo, di Giulio Cesare Procaccino, che oggi si vede nella chiesa di S. Stefano. L’oratorio chiuso nel 1810, non veniva più aperto, e fu demolito nel 1870 per l’apertura di Via Roma. S. Caterina. - Era chiamata la Grande casaccia, Domus Magna S. Calharinae. Era stata fondata, come già si disse, intorno al 1260 nella chiesa omonima delle Clarisse, presso la salita tuttora detta di S. Caterina. Favorita di una Bolla di Gregorio X del 1272, ebbe una vita florida sotto la protezione speciale dell’Ordine Francescano, allora nell’epoca del massimo suo splendore, che in Genova suscitava il più grande entusiasmo di tutta la cittadinanza. Possedeva una vetrata a figure dipinta da Ambrogio de Fiori pavese ; una tavola di Bernardo Castello con Maria SS. e S. Gio. - 106 - Battista, il quale santo in quell' epoca era stato assunto con . a-terina a titolare della casaccia. Chiusa questa nel 1810, veniva poco dopo riaperta ; ma poi insorte liti tra i confratelli, veniva chiusa definitivamente e ven uta a privati. S. Consolata. - Fu istituita nella chiesa omonima a Prè sul principio del sec. XV, e nel 1412 comparisce nelle Miscellanee del Poch, Domus disciplinantium S. Brigidae (IN -11-28). Possedeva una Cassa raffigurante la Santa comunicata da N. S., di Pietro Galeano. S. Croce. - Secondo l’Accinelli ed altri è stata eretta sul tramonto del sec. XIV. A metà del secolo successivo sono indicati i Verberatores S. Crucis, che si adunavano in una casa vicina alla chiesa di S. Silvestro e di proprietà della stessa (Cartularium citato, f. 69) ; ma non tardarono molto a costruirsi il proprio oratorio, poco distante da S. Silvestro, in piazza Sarzano, dove sussiste tuttora. Aveva quattro altari. Sopra la porta si vedevano due putti dipinti da Domenico Piola. All’interno erano affreschi di Lazzaro 1 avarone rappresentanti la Risurrezione di G. C., e varie figure di profeti ; l’invenzione della Croce, di Gio. Andrea Deferran. Chiuso nel 1810 e riaperto poco dopo, veniva uffiziato con molto concorso di popolo ; ma nel 1860, aggravato di debiti contratti nei lavori di ristoro, fu posto in vendita, e, comprato da pie persone, divenne la sede della Congregazione dell' Immacolata e di S. Luigi fondata da Don G. Carpi. Dopo il 1870 vi si trasferiva la casaccia di S. Giacomo delle Fucine, il cui oratorio in Piccapietra era demolito per l’apertura di Via Roma. S. Francesco - In capo all’odierno Vico chiuso S. Francesco, dietro al teatro Carlo Felice. Il primo documento che abbiamo di questa casaccia è del 1402: Dornus disciplinatorum S. Francisci, riferitoci dal Poch, (IV, I, 8), benché la sua fondazione sia certamente più antica. Aveva una tavola di Bernardo Castello del santo titolare all’altare maggiore; un magnifico Crocifisso di G. B. Bissone, e una bella Cassa del Maragliano con S. Francesco che riceve le Stimmate, oggi collocata sull’altare del santo nella chiesa dei Cappuccini all’Acquasola. S. Germano - Presso la chiesa omonima, oggi detta di S. Marta, titolo derivatole dalle monache di S. Marta del Vastato venute a stabilirsi in essa fin dal sec. XV, nel 1442, non avendo oratorio proprio teneva le sue adunanze in un locale del monastero attiguo. Nel 1728 i confratelli, abbandonata l’antica sede di S. Germano, anda- - 107 — rono a fondare un nuovo oratorio in Borgo Lanieri, intitolandolo a S. Maria della Pietà. Soppressa la confraternita nel 1810, il locale fu occupato dagli Operai Evangelici per congregazioni di fanciulli, e poscia venduto a privati. S. Giacomo di Prè — Istituita nell’antico oratorio di S. Giacomo che si trovava ove oggi è la piazza della Commenda, nel secolo XV si univa alla confraternita di S. Leonardo, di cui parleremo tosto. S. Giacomo della Marina — Veniva fondata, come da lapide che si vede all’ingresso dell’oratorio, nel 1403, epoca in cui era molto intenso e diffuso fra noi dai pellegrini che ritornavano da Compostella, il culto di S. Giacomo. Un’iscrizione del 1452, riportata dal Piaggio, ci informa che i confratelli avevano fatto costruire un muro in corrispondenza del tratto che va dall’ingresso dell’oratorio fino alle colonne. Dai registri dell’archivio parrocchiale di S. Maria di Castello del 1489, risulta che la confraternità era già allora sotto la direzione spirituale dei PP. Domenicani di detta chiesa, come vi è tutt’ora dopo cinque secoli. Nel 1549 certa Caterina, moglie di Sancio Buscaino, fondava un legato di sette libre annue da distribuirsi tra i confratelli poveri. Nella seconda metà del secolo XVI, aumentato assai il numero dei confratelli, e divenuto quindi insufficiente l’oratorio quattrocentesco si provvide alla costruzione di uno più ampio, che è l’attuale oratorio, un bel vano, pieno di luce e di arte. Posto sulla riva del mare, quindi il nome S. Giacomo della Marina, era l’oratorio preferito dei Marinai, i quali ritornando in porto carichi di grano, ne offrivano ogni volta una misura all’oratorio per provvedere la S. Messa festiva. Patrimonio di questa Casaccia è la magnifica collezione di quadri e sculture, che da secoli si conserva completa e ora per cura dei Superiori è stata artisticamente restaurata a decoro del sacro culto, che si sta riprendendo nell’oratorio, dopo un lungo periodo di chiusura. Ecco l’elenco delle suddette opere d’arte : Gio. Benedetto Castiglione, S. Giacomo che sconfigge i mori: Valerio Castello, S. Pietro che battezza S. Giacomo e S. Giovanni; Orazio Deferrari, S. Giacomo che consacra vescovo di Praga S. Pietro M. ; Orazio Defer-rari, Apparizione della Madonna a S. Giacomo; Domenico Piola, S. Giacomo decapitato; G. B. Carlone, S. Giacomo che apre le porte di Coimbra a Re Ferdinando; Domenico Bissone, Crocifisso; A. M. Maragliano, Crocifisso processione; Domenico Parodi, la cassa coll’apparizione della Madonna a S. Giacomo, già appartenente a questa confraternita, ora si trova nella chiesa parr. di Cornigliano, dei PP. Domenicani. — 108 - S. Giacomo delle Fucine - Anche questa come la precedente casaccia, venne fondata, sul principio del secolo XV, da un gruppo di Tintori, che si dice fossero già confratelli della confraternita di S. Giacomo di Pré. Nel 1419 Gio. Clavarino, uno dei confratelli, fece a sue spese grandi ristori all’oratorio, che nel 1555 prese a suo titolare S. Giacomo il Maggiore, mentre prima aveva il Minore. In seguito, aumentata di numero e di fervore la confraternita, l oratorio, specialmente per le sollecitudini dell’arte dei tintori, numerosa in quella contrada, fu abbellito di nuovi restauri, di ricche suppellettili ed altre opere d’arte, sicché poche altre la emularono nel lusso delle processioni; il che, dice l’Alizeri, “fu argomento di decoro e di lode alla confraternita finché stette nei termini, di rovina e di scorno quando trasmodò per talento di primeggiare “. Tra le opere d’arte ricordiamo un grande cenacolo di Bernardo Castello, ora scomparso: altra tavola dello stesso Castello rappresentante la vocazione di S. Giacomo all’apostolato, poi rovinata da pessimi ristori: la stessa sorte ebbe l’altra dei fratelli Cesure ed Alessandro Semino, e poco diverso un terzo quadro di Aurelio Lomi, rappresentante la leggenda di Costantino e Buonafede. A questi si aggiunga un’altra tavola, forse del suddetto Castello, colla decollazione del Santo, ed una preziosa pittura ad olio di Lazzaro lavorone col miracolo di un condannato al rogo e liberato per intercessione di S. Giacomo. La cassa con S. Giacomo che sconfigge i Mori, opera del Navone, ed il grande Crocifisso in legno nero per processioni, non hanno molto valore artistico: oggi si trovano nell’oratorio di S. Antonio della Marina. Chiuso nel 1810, l’oratorio fu riaperto intorno al 1825 e vi si fecero dispendiosi ristori sotto la direzione del Barabino coadiuvato da Gaetano Centanaro, Michele Canzio, Filippo Alessio. Fu demolito per l’apertura di via Roma, e dopo varie vicende, la confraternita si stabilì nell’oratorio di S. Croce in Sarzano: oggi è riunita in quello di S. Antonio. S. Giovanni di Prè - Sulle origini di questa confraternità, come pure delle altre, si è trattato al capo I. Per maggiori più ampie notizie si veda V. Persoglio, S. Ugo e la Commenda di S. Giò. di Prè, ove parla a lungo di questa e delle altre confraternite di Prè, S. Leonardo, S. Giacomo, S. Brigida, S. Consolata. Opere d’arte possedute già dall’oratorio : Lorenzo Fazolo, icona per l’altare dipinta, a. 1509; Bernardo Castello, Maria SS. e S. Gio. Battista; Tavarone, 4 quadri, con Ultima Cena, Visioni di Patmos, Con-6ecrazione a vescovo, Vipera estratta dal calice, opere giovanili, oggi conservate in chiesa; Pier Frane. Sacchi, tavola assai accurata, a. 1516. - 109 - Un inventario Domus Disciplinatorum S. Johanni del 1434 abbiamo nel Poch, IV. II. 22 - L’oratorio è oggi uffiziato dai Franzoniani. S. Giorgio - A principio la confraternita si congregava nella chiesa di S. Margherita della Rocchetta; poi nel 1750 si fabbrica il proprio oratorio in via Giulia, vicino al monastero di Gesù e Mariadi Purificazione. Aveva un Crocifisso del Maragliano, e una Cassa con S. Giorgio di Pier Galeano. A mezzo il secolo passato fu ridotto ad abitazioni. S. Leonardo - Sulle origini di questa confraternita abbiamo trattato al Capo I. Altre memorie si possono trovare in M. Persoglio o. c., ove è riportata anche la pianta di questo oratorio e di quello di S. Giacomo, ambedue sull’area dove è oggi la piazza della commenda di Prè. Nel sec. XV a quella di S. Leonardo si univa la confraternita di S. Giacomo e ne veniva il titolo dei SS. Giacomo e Leonardo alla duplice confraternita. Nel 1498 Giacomo Serfoglio dipingeva in azzurro ed oro la volta dell’oratorio dei SS. Giacomo e Leonardo (Alizeri, Pittura, II, 375). Soppresso nel 1810, fu poi riaperto; ma nel 1840 per l’apertura di via Carlo Alberto, alzato il livello stradale, l’oratorio restò affondato, e i confratelli si trasferirono in S. Bartolomeo dell’Olivella. S. Siro - È così chiamato perchè attiguo alla basilica del Santo, ma il suo vero titolo è S. Maria degli Angeli. A quanto si è detto sulle sue origini, aggiungiamo un legato di lire 10 fatto nel 1333 da Leonardo da Portomaurizio da impiegarsi in meliorando et exaltando domum verberantium S. Siri (Not. Tom. Casanova, R. VI, Arch. di St.); Un atto del 1480 riporta con più esattezza il titolo dell’oratorio Domus fratrum disciplinae S. Mariae Angelorum sive S. Siri (Poch., IV. V. 82). Un affresco di L. Tavarone ne decorava la volta. Soppresso nel 1810, fu riaperto nel 1822 e divenne la sede della magnifica Biblioteca fondata dall’Ab. Gerolamo Franzone, testamento 1727; distrutta nel bombardamento del 1943. S. Tomaso - Demolito nel 1536 per la costruzione delle nuove mura, i confratelli si ridussero in un locale presso la chiesa di S. Marta, oggi SS. Annuuziata; ma anche questo veniva atterrato a principio del ’600. I Lomellini fabbricarono in suo luogo il nuovo oratorio in via Fontane, chiamato, per la sua vastità, il Duomo, oggi conosciuto col titolo delle Cinque Piaghe, perchè la congregazione di questo nome, vi si era stabilita nel 1825 e vi rimase a lungo. A questa succedettero nel 1908 i PP. Gesuiti, e trasferitisi costoro nella loro antica chiesa di S. Ambrogio, l’oratorio veniva ridotto ad usi civili. Opere d’arte: G. B. Bissone, Crocifisso sull’altare; G. B. Carlone, martirio di S. Tomaso.; Gio. Andrea Deferrari, il santo predica - no - ad un re moro; Ansaldo, S. Tomaso battezza i re Magi; Luca Cambiaso, il Santo tocca il costato a Gesù. S. Vittore - Fondata nell’antichissima chiesa di questo santo nella regione del molo, nel 1438 s’era fabbricata già il proprio oratorio non lontano dalla chiesa: Domus Disciplinatorum S. Victoris (Pocb, IV. II. 22). Nel secolo scorso, demolita chiesa ed oratorio per l’apertura di via Carlo Alberto, i confratelli se ne fabbricano altro in via Giulia intitolandolo ai SS. Pietro e Paolo. Possedeva una tavola coi due santi di Vincenzo Maio; una Cassa del Maragliano cogli stessi santi. S. Zita - Deve la sua fondazione a S. Vincenzo Ferreri, che nel 1405 andava a predicare in quella chiesa, anzi sulla piazza per la gran folla di ascoltatori accorsi ; fatto che si vedeva raffigurato nella volta della chiesa da pochi anni demolita. La chiesa lunga m. 25, larga 7,50, aveva tre altari. Sul maggiore, in marmo, stava un Crocifisso del Maragliano; quello di destra aveva la statua della Madonna della città già sulla Porta Pila; quello di sinistra era dedicato a N. S. della Salute, e anteriormente al Volto Santo e al crocifisso. Vi era tela di Valerio Castello rappresentante S. Zita col pane convertito in rose ; altre tele di Frac. Narice allusive alla santa. Tutte le opere d’arte si vedono ora nella nuova chiesa, che dal 1874 è eretta in parrocchia urbana. Anche le confraternite fuori Genova, specialmente quelle nei centri più popolosi, furono sempre amanti dell’arte, ed arricchirono i loro oratori di pitture, sculture ed arredi preziosi a decoro delle sacre funzioni e in particolare delle processioni. In gran parte esse vivono tuttora una vita floiida, e costituiscono una delle principali istituzioni della rispettiva parrocchia. Cessate nel secolo scorso le grande casacce della città, le loro opere d’arte andarono ad arricchire le confraternite delle campagne, nelle quali figurano attualmente a decoro delle sacre funzioni. Fra queste opere notiamo, perchè ignorato e quindi taciuto da tutti gli scrittori, il bellissimo Crocifisso per processioni scolpito da Gio. Batt. Bissone, oggi appartenente alla confraternita di S. M. di Comago in Vai Polcevera, proveniente dalla Casaccia di S. Francesco di Genova, come si ritiene. Nel 1939 ebbe luogo la Mostra delle Casacce, organizzata dal Prof. Orlando Grosso nella chiesa di S. Agostino in Genova, che fu una magnifica esposizione di opere d’arte, Crocifissi, gruppi di santi o Casse, costumi processionali dei confratelli, cappe e tabarrini coperti d’oro, gonfaloni ed altre opere appartenenti a confraternite d’ogni regione della diocesi. In questa occasione la rivista Genova pubblicava articoli illustrativi delle opere esposte. INDICE Capo I ■ Origine e sviluppo delle Confraternite .... pag. 81 „ II - Gli Statuti ......... n 90 „ III - Opere varie di culto e di beneficenza . . . . „ 95 „ IV - Le Confraternite e l’arte sacra 102 PAOLO REVELLI PER LA COROLOGIA STORICA DELLA LIGURIA I VALORE DELL’ESPRESSIONE: « COROLOGIA STORICA DELLA LIGURIA ». 1. Valore dell’espressione : «Corologia storica»; valore dell’espressione «Liguria». a) Poiché può sorgere più d’un dubbio sul valore dei termini compresi nel titolo del presente lavoro, è bene chiarire immediatamente che per « Corologia storica » intendiamo la trattazione delle mutue relazioni intercedenti, nelle varie età della storia, fra le condizioni del suolo e la vita della popolazione stanziata in una determinata regione terrestre. Resta così esclusa la possibilità di equivoci fra «corologia» e « corografia » (1) — termine che si applica propriamente alla descrizione regionale pura e semplice — così come resta escluso che l’espressione « corologia storica » sia sinonima di trattazione relativa alle sole mutazioni fìsiografìche di una data regione (variazioni del litorale marittimo, della linea periferica e del fondo delle varie aree lacustri, delle rive e del fondo di fiumi, torrenti e rivi; variazioni del suolo dovute a fenomeni tellurici di vario ordine e al lavoro umano). Esulano, quindi, dall’àmbito specifico della trattazione presente i riferimenti a condizioni verificatesi in un’età della Terra anteriore a quella storica. b) Il termine « Liguria » ha anche oggi significati diversi, a seconda che il criterio prevalente nella determinazione dei confini della regione ligure sia geografico, linguistico, antropologico, etnologico, storico, politico, amministrativo. Il termine « Liguria » può, quindi, assumere, presentemente — prescindendo dal valore delle espressioni Liguria geologica, fìtologica, zoologica, e, naturalmente, Liguria augustea, dioclezianca (2) — sette valori diversi, perchè esso è sinonimo delle regioni seguenti: l’area fisica compresa fra il Mare (1) Convengo pienamente col Sieger (Lànderkunde und Landeskunde, « Petermann’s Mitteilungen », 61 •lahrg., 1915, p. 209 e segg.) sull’opportunità di considerare il termine «Corologia» (Chorologia) come sinonimo di « Geografia regionale » intesa in senso scientifico, ossia come studio delle relazioni di causa ed « fletto tra ambiente tisico e ambiente antropico. Altri autori seguitano a indicare questo studio col nome di «corografia» (Arrigo Lorenzi, Del metodo genetico nella corografìa: «Rivista Geografica Italiana», XLIX. 1944: cfr. anche la relazione del Lorknzi al XIV Congresso Geografico Italiano, Bologna, aprile 1947). (i) Scrive Gaetano Rovereto: «Un geologo può dire zolla ligure quanto di Alpi e di Appennino si distende dal Colle di Tenda al Passo della Cisa a levante, quanlo degrada dallo spartiacque di questi monti sino all'onda del Tir.-eno, sino agli orli della pianura padana» (La Liguria geologica, «Storia di Genova», I, 1941, p. 343-359). Cfr., inoltre, 0. Penzig, Florae Ligusticae synopsis; D. Vinciguerra, La Liguria considerata come provincia zoologica, in Atti del «IX Congresso Geogr. Ital.», Genova, 1925-27. Sulla Liguria dioclezianca, che agli inizi del secolo IV costituisce «un vero organismo giuridico territoriale», esteso a N fino al rilievo alpino e a E oltre il Reno di Bologna: Ubaldo Formentini, Genova nel Basso Impero e neì-l'Alto Medioevo, «Storia di Genova*, li, Milano, 1941, pp. 11-2, 16. - 116 - Ligure e la zona spartiacque delle Alpi Marittime propriamente dette (3), delle Alpi Liguri, e dell’Appennino Ligure-Emiliano; l’area linguistica dove ha prevalenza decisa il dialetto ligure; l’area antropologica dove la popolazione presenta in prevalenza caratteri somatici riferibili a quelli degli antichi Liguri; l'area etnologica contraddistinta da evidente similarità di caratteri psichici, cioè da analogia di usanze, tradizioni e aspirazioni ; 1 area storica contrassegnata da similarità sostanziale di vicende secolari; 1 area politica a cui si estese il dominio della Repubblica di Genova ; l’area amministrativa corrispondente al complesso delle due Province di Genova e Portomaurizio nel periodo 1815-1922 o a quello delle quattro Province di La Spezia, Genova, Savona e Imperia nel periodo 1923-1949. La molteplicità dei significati in cui può essere assunto il nome «Liguria» spiega come in questi ultimi tempi, in occasione dei dibattiti parlamentari sulle autonomie regionali, si siano intensificate le discussioni e gli scritti sui limiti della regione ligure (4). 2. Quali dati abbiamo sull'influsso che le condizioni del suolo hanno esercitato, attraverso il tempo, sulla vita della Liguria ? L’indagine sull’ influsso che le condizioni del suolo hanno esercitato, nell’età storica, sulla vita della Liguria verte su un vasto complesso di fatti d’ordine fisico e d’ordine antropico (soprattutto d'ordine sociale), raramente suscettibili d una localizzazione precisa e tali da suggerire, nel maggior numero dei casi, interpretazioni notevolmente diverse. Noi ci troviamo quindi di fronte a una duplice serie di considerazioni, a seconda che esse siano suggerite dall’intuizione generale del problema in questione, ovvero da intuizioni particolari, in sèguito all’approfondimento di ricerche circoscritte nel tempo e nello spazio, riferibili, cioè, a un dato periodo storico, ovvero a una determinata regione storico-naturale, quale potrebbe essere quella degli « Otto Luoghi » nell’estrema Liguria occidentale (5) e quella delle * Cinque (3) La specificazione «Alpi Marittime propriamente dette» è necessaria perchè in nna pubblicazione del Comitato Geografico Italiano la denominazione « Alpi Marittime » comprende anche le « Alpi Liguri » (A. R. To-NiOLO, Somi e limiti delle grandi parti del sistema alpinOj «L’Universo*. VII, 9 Seti. 1926. La conoscenza diretta dei luoghi mi consiglia di conservare il nome di «Alpi Liguri», rivendicato recentemente (1911) anche da Gaetano Rovereto, alla sezione compresa fra il Colle di Tenda (m. 1875) e la depressione Cadibona-Altare (circa 450 metri). (4) S. Ardy, Regioni, provincie, comuni nello Stato unitario. Genova 1946, pag. 207-9, £11-3, 241, 358,3o7 e la cartina (Ragioni attuali, regioni augustee). Soprattutto interessante la questione recentemente risollevata da studiosi lunigianesi e parmensi (e prima da M. Giuliani, U. Mazzini, G. Sforza, G. \ olpe) sul confine orientale della Liguria, e l'attnbuzione della Lunigiana, su cui cfr. già nel 1923 1 importante scritto di U. Forment INI. Lunioiana, Genovesato e Liguria. 11 Formemini stesso si proponeva il problema recenlemente, con soluzioni più radicali, in un pubblico dibattito (Conversazioni «Pro Liguria * del 2-4 marzo 1947, alla Camera di Commercio di Genova), in cui N. Lamboglia e T. 0. De Negri esaminavano gli altri due aspetti, occidentale e transappennmico, del problema regionale ligure. Clr. anche P. Revelli, La Liguria geografica, « Storia di Genova» I, 1941 pp. 361-381. (5) Regione storica, che merita di figurare nel futuro «Glossario dei nomi lerriloriali italiani non più compresi nelle denominazioni ufficiali* proposto al l Congresso Internazionale di Scienze Storiche (Roma 1903), successivamente illustrato, dopo l’apporto di alcuni contributi, da Roberto AlmagiA. Comprende: Bordighe-ra, Borgh*tto, Camporosso, San Biagio, Sasso, Soldano, Vallebona, Vallecrosia. (ili «Otto Luoghi* sono rappresentati in carte della metà del sec. XVIII conservate nell’Archivio di Stato di Genova («Raccolta cartografica», Genova 12, Seborga 3, Ventimiglia 2), descritte ai n. 134, 327, 379 del Catalogo di Emilio Marengo (Carte topografiche e corografiche manoscritte della Liguria e delle immediate adiacenze conservate nel R. Archivio di Stalo di Genova, Genova, Min. d. Int., 1931), da me pubblicato, con prefazione e note. Cfr. p. 134. Terre» nell’estrema «Riviera di Levante » (6). La prima serie di considerazioni, d’ordine generale, si rivela facilmente a chi passi in rapida rassegna lavori storici relativi all’intera area della Liguria, soprattutto se la ricerca, contenuta entro stretti limiti cronologici, consenta la visione netta di qualche determinato fatto antropogeografico (ad esempio: una mutazione delle occupazioni degli abitanti in sèguito alla variazione del confine poiitico). E sorge anche più nettamente dalla consultazione di scritti dovuti a corografi di varie età, da quella del Rinascimento a quella presente, e soprattutto dall’esame di lavori dettali da geografi contemporanei, che risentono più o meno l’influsso deWAnthropogeographie di Federico Ratzel o della Géographie humaine di Jean Brunhes. La seconda serie di considerazioni, d’ordine particolare, perchè risultanti dall’accostamento di specilici fatti fisici e antropici, richiede, invece, la consultazione di un gran numero di scritti storici, apparsi in volumi o in riviste. Qui giova avvertire che in non pochi casi le considerazioni d’ordine antropogeogralico desumibili dal confronto di fatti ricordati in scritti storici possono sfuggire interamente o in parte agli autori degli scritti stessi. 3. Come può essere delineato un quadro compiuto della corologia storica della Liguria ? Per la delineazione del quadro in questione sono necessarie ricerche esaurienti in campi molto diversi. Occorre anzitutto chiarire come sia mutato, nei vari periodi storici, l’aspetto esteriore del suolo, in conseguenza di fatti tellurici, quali i terremoti e i maremoti, l’azione esercitata dall’onda battente del mare, dalle correnti marine e dalla marea, dalle alluvioni e dalle frane, dalla variazione avvenuta nella distribuzione delle fonti, nella rete dei fiumi, dei torrenti e dei rivi, nella linea di riva e nella profondità delle aree lacustri, nella manifestazione di fenomeni carsici, nella distribuzione del manto forestale e delle colture agrarie, in relazione a fatti meteorologici, e soprattutto a condizioni termiche, bariche, pluviometriche e ane-mografiche eccezionali. Occorre, quindi, indagare come l’opera dell’uomo abbia potuto modificare in qualche modo le condizioni fisiografiche del suolo, e quindi le linee originali del paesaggio naturale mediante l’escavazione di cave, lo sfruttamento di miniere, la distruzione forestale, l’incremento o la riduzione di determinate colture agrarie, l’introduzione di nuovi sistemi agricoli, l’intensificazione deH’allevamento del bestiame, e anche attraverso tutte le altre forme molteplici dell’industria umana, che intervengono a modificare, in misura maggiore o minore, l’aspetto del suolo, il modo di vivere della popolazione e la conseguente struttura sociale. (6) Regione naturale caratterizzata da tipica produzione vinicola; già nettamente individuata nel 1418-19, dal Bracelu, nella prima redazione della sua Orae Ligusticae descriptio, Parigi, 1520: comprende le terre di Monterosso, Vernazza, Cnrniglia, Manarola, Riomaggiore. Piante di ciascuna figurano nell’* Abbozzo topografico del Commis-ariato della Sanità di Monterosso detto delle Cinque Terre», anonimo, a penna, alla scala di 1:31.500 (A.S.G., Racc. Cartogr., Monterosso), che il Marengo attribuisce al principio del sec. XV!II (Cat. cil., N. 204); un’altra carta a penna della regione, (dovuta a Matteo Vinzoni), intitolata le «Cinque Terre», alla scala di 1:54.000 (Ibid., Genova 3), st-nza data, ma riferibile con certezza alla metà del sec. XVIII (Marengo, n. 127). A Emilio Marengo è dovuta una nota desinata a fissare l’unità della regione, la quale è cosi interessante sotto il riguardo del paesaggio (Atti d. Soc. Lig. di St. P., vol. LU). Cfr. p. 134. — 118 — Scopo specifico della corologia storica è lo studio della variazione subita nel corso dei tempi dal paesaggio, naturale ed umano (7) ; e questa variazione, che ha fondamentale importanza per la comprensione piena degli avvenimenti della storia, può essere posta in tutta luce solo da un’indagine di tipo schiettamente antropogeografico, cioè dallo studio dell’interdipendenza tra fatti d’ordine morfologico, climatico, lìtobiologieo, zoogeografico e latti d’ordine antropologico, etnologico, demografico, economico, militare, politico, amministrativo, sociale. Si comprende, quindi, come una ricerca cosi complessa presupponga la conoscenza piena di tutto il materiale bibliografico e di tutto il materiale archivistico, descrittivo e cartografico disseminato in un gran numero di Istituti di conservazione, anche oltre i limiti della Liguria e quelli della regione italiana. E si comprende altresì come, ad auspicare l’avvento di un lavoro definitivo sul complesso problema, giovi dar conto dei risultati di un’indagine circoscritta a campi nettamente definiti ; e ciò se anche lo stato in cui si trovano, nelle circostanze odierne, molti materiali di studio appartenenti a Istituti italiani e stranieri, vieta la possibilità di alcuni confronti. I I CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA COROLOGIA STORICA DELLA LIGURIA: RISULTATI DI UNA RICERCA SU COLTURE AGRARIE E FORESTALI, CAVE E MINIERE, INDUSTRIE VARIE ABBANDONATE(8). Considerazioni generali. — Per renderci conto adeguato di determinati avvenimenti storici, quali sono, ad esempio, gli spostamenti di forze armate in periodi caratterizzati da grande attività guerresca, la variazione della produzione industriale seguita allo spostamento del confine politico, sarebbe necessario conoscere, almeno con approssimazione, le linee del quadro corografico entro il quale si sono svolti gli avvenimenti in questione. Di qui l’opportunità di una inchiesta sulla cosidetta «letteratura corografica», edita e inedita, dei vari tempi, e sulle fonti di essa, orali e scritte, descrittive e grafiche. E questo implica necessariamente un controllo dei documenti d’archivio e delle tradizioni popolari, possibile soltanto, almeno in determinati casi, mediante il confronto delle tavolette e dei quadranti della « Carta d’Italia » dell’ I. G. M., della carta del Comitato Geologico Italiano, e di quelle dell’istituto Idrografico della Marina, nonché della « Carta archeologica ». Al che deve aggiungersi che, per l’individuazione di alcuni elementi (7) Sul concetto di geografia storica e di corologia o corografia storica: P. Revelli, Per la geografia storica d'Italia, «Rivista Geografica Italiana», die. 19l4egenn. 1915; 0. Mabikelli, Sul concetto di geografia storica, «Ibid.», XXII, marzo 1915. pag. 138-1U ; R. Almagià. I-e origini della geografìa storica. «Ibid.», pag. 141-7; D. Gribai di, Il Piemonte nell'antichità clastica, Saggio di corografia storica (Il paese), B.S.S.S., CXIV, Torino, 19i8 p. 1-9. (8) Indagini eseguile sotto gli auspici del Consiglio Nazionale delle Ricerche, col patrocinio delle Autorità competenti, e col concorso finanziario del Ministero dell'istruzione (Direzione Generale dell'Istruzione Superiore) e del Comitato Geografico Italiano (C. fi. R.). - 119 - topografici ricordati in documenti d’archivio o dalla tradizione popolare, risultano indispensabili veri e propri sopralluoghi, poiché solo la visione diretta permette la valutazione di un elemento che non varia sensibilmente nel tempo, pur essendo soggettivo, e cioè «l’impressione». E ciò sempre quando si abbia ragione di ritenere che la fisionomia di un luogo non è stata profondamente mutata da cause fisiche, quali le frane, le alluvioni, o da cause d’ordine antropico, quali le colture agrarie e la costruzione di edifici e di canali. La natura specifica dell’inchiesta risulta nettamente dal testo del «Questionario», inviato a tutti i 219 Comuni delle Provincie di Imperia, Savona, Genova e La Spezia (9). I risultati principali delle ricerche sono riassunti nei tre quadri : A), B), C). E’ superfluo rilevare che i riferimenti ai Comuni, i cui confini variano, non diversamente da quanto avviene per le circoscrizioni territoriali maggiori, più o meno sensibilmente, in una misura solo in parte determinabile durante i vari tempi, riguardano l’area d’ogni singolo Comune alla data della notizia. Giova avvertire, poi, che sfuggono pressocchè ad ogni controllo non pochi elementi: nuove colture introdotte durante l’età medievale, concessioni minerarie antecedenti alle raccolte sistematiche di atti amministrativi della Repubblica di Genova; nuove industrie sorte al termine dell’età medievale e al principio dell’età moderna. Nè va dimenticato che risulta impossibile circoscrivere entro limiti spaziali e cronologici anche solo approssimati la maggior parte dei dati di vario ordine d’interesse per la presente ricerca ; dati che, per ragioni ovvie, riguardano pressocchè esclusivamente l’età moderna e contemporanea. A) Colture agrarie e forestali abbandonate temporaneamente in varie aree della Liguria. Considerazioni generali. — Solo lo spoglio sistematico dei catasti liguri, che al termine dell’età medievale assumono il nome di « caratate », permetterebbe induzioni sicure sulle variazioni delle colture agrarie e forestali avvenute in molti territori comunali. Pochi sono i documenti d archivio analoghi alla relazione sulla distribuzione delle colture agrarie e delle proprietà fondiarie nel 1848, relazione redatta nel 1853 (A. S. G., Prefettura Sarda, Pacco 412, II). Agrumi. — Al principio del secolo XIX in vari Comuni dell’ estrema Liguria occidentale, e precisamente nelle loro zone prossime al mare, le colture del limone (Citrus limonum Bisso) e dell’arancio (Citrus vulgaris Bisso) vengono sostituite da quella dei fiori (soprattutto da quella dei garofani). (9) Il testo del «Questionario», le relative risposte, documenti e appunti vari sono depositati presso l’istituto di Geografia dell’Dniversità di Genova. Alla dott Vanna Zccchi sono dovuti lo spoglio sistematico del Dizionario del Casalis e ricerche su docc. del sec. XIX nell’Archivio di Stato di Genova. Il dr. Carlo De Neori ha dettato due relazioni sui Comuni di Arenzano e di Rossiglione. Il dr. Ugo DachA. ha eseguito sopralluoghi in 9 Comuni della provincia di Imperia, a Ospedaletti e Pigna. Ad altri numerosi studiosi ed enti locali spettano contributi vari. - 120 - Barbabietola da zucchero. — Verso il termine della prima guerra mondiale tentativi di coltura di questo derivato dalla lieta vulgaris L., si hanno ad Alassio (Savona), regione Loreto, nel 1938 a Pornassio (Imperia), « in terreno medio », ove la coltura è presto abbandonata, risultando antieconomica; in periodi imprecisati a Savona e nel «piano di Ameglia » (La Spezia). Canapa. — (Cannabis sativa L.). Verso il termine dell’età medievale la coltura risulta assai diffusa nella parte alta della «piana di Albenga» (10). A Calizzano (Savona) le convenzioni del 1444 trattano la questione: «Del canapo posto nelli gorghi o scieviatori ». Dal 1565 al 1830 frequenti bandi sui danni apportati alla coltivazione della canapa figurano negli « Ordini Municipali » di Calizzano : altri dati sono negli « Statuti riformati della Comunità di Calizzano (principio del sec. XVII). Aree in cui si coltivava un tempo la canapa (terreni in pianura sulle rive del fiume Bórmida e dei suoi affluenti), la quale non figura tra le « produzioni territoriali » di Calizzano nel Dizionazio del Casalis (11) (vol. Ili, 1836, p. 313), vengono tuttora indicate col nome di « hanavai » (canapali, canapai), quantunque siano adibite ad altre colture. Nel 1703 il toponimo «canapaio» figura nel catasto di Pigna. L’italianizzazione del toponimo «canapaio» è nella forma « canevari », che figura in alcune carte topografiche del sec. XVIII (ad es., di Matteo Vinzoni del 9 aprile 1756: Marengo, cit., N. 109). La sopravvivenza del toponimo « caneparo » documenta l’antica coltivazione della canapa a Carródano (La Spezia), dove essa prosegue fino alla seconda metà del sec. XIX. Nella provincia della Spezia la canapa viene coltivata fino alla 2* metà del sec. XIX a Brugnato (1865), Ricco del Golfo, Pignone; in quella di Imperia a Pigna, (ma nella frazione Buggio fino al 1925), Rezzo, Olivetta S. Michele (1915, per la confezione di sacchi). (12). Carrubbo. — (Ceraionia siliqua L.J. La coltura del carrubbo che ha, generalmente, importanza soltanto sotto il riguardo ornamentale nella zona costiera inferiore ai 100 m. della Riviera di Ponente, oltrecchè nel Comune della Spezia, è stata tentata, in periodi imprecisati del secolo XIX, a Loano (Savona). Cotone. — (Nome con cui si indicano varie specie del genere (ìossijpium). Qualche corografo locale ricorda che la coltura è stata tentata nell'area degli «Otto Luoghi di Ventimiglia », e particolarmente a Camporosso (13), e in poche altre aree limitate, durante il periodo napoleonico, e precisamente fra il 1807 e il 1812. Ma condizioni metereologiche avverse hanno, nel 1810, (10) Sulla macerazione della canapa alla foce del Centa: De Bartolomei», Solitie topograficiir e statistiche sugli Stati Sardi, Vol. IV, Parte II, p. 1253. (11) Goffbedo Casalis, Dizionario geografico - storico - statistico - commerciale degli Stati di SM. il Re di Sardegna. Torino, 1833-1856 (31 voli.). Per le voci relative alla Liguria l’A. gi vale della collaborazione di G. B. Spotorxo. (12) Nella tabella che dà conto della produzione della canapa nelle varie regioni italiane (anni 1926 e 1927) pubblicata da E. Sessa («Enciclopedia Italiana», Vili, p. 669 b), non i ricordala la Liguria. (13) G. Navone, Passeggiata per la Liguria occidentale fatta nel 1827, Ventimiglia, C. Poppo, 1832. - 121 - piessocche distrutto interamente il raccolto in tutta la Liguria (14). E’ tale la fiducia nel felice esito finale del tentativo, esteso, come si dirà, ad alcuni Comuni del Savonese, che si inviano ancora cinque chilogrammi di seme di cotone, confermando la promessa che sarà accordato il premio di un fianco per ogni chilogramma di cotone puro raccolto, pronto a essere filato. Nessun ricordo delle aree in cui la coltiva/ione ha potuto essere tentata è rimasta nei Comuni studiati dal dr. Dachà in Val Nervia. Nel territorio di Sanremo il tentativo verrà ripreso nel 1928. Anche nel Savonese, nel periodo napoleonico, i coltivatori hanno « perso per la quarta volta il prezzo della loro fatica », « non ottenendo che qualche pianta, oggetto più di curiosità che d’ interesse pubblico » (Chabrol de Voluic) (15). Lino. — (.Linam usitatissimum L.). La coltura prosperò, in periodi di diffìcile determinazione, a Carro (La Spezia) e a Pigna (Imperia). Presente-mente, sul luogo, non si ha ricordo che il lino venisse coltivato in Val Nervia, ad Apricale e a Perinaldo (Ugo Dachà). Tabacco. — (Nicot. tabacum L.). Secondo tradizioni locali la coltura risulterebbe tentata nel periodo napoleonico, in aree imprecisate; nella seconda metà del secolo XIX, a Taggia. Ivi, come ad Alassio, regione Loreto, è ripresa, in proporzioni modeste, fra il 1915 e il 1918; a Ortonovo (La Spezia) fra il 1930 e il 1933; ed infine a Montoggio, in un periodo di diffìcile determinazione. Colture forestali. — Alla metà del secolo XVIII : si cerca di determinare quali aree del territorio Comunale di Loano furono ridotte a coltura verso l’anno 1500 e verso l’anno 1410. Seconda metà del secolo: vengono eseguile da cartografi della Repubblica di Genova e del Re di Sardegna rappresentazioni di aree forestali aventi, talora, particolare interesse per la determinazione del confine politico fra i due stati (16). 1815-16: inchiesta sullo stato degli alberi atti alla cosfruzione navale entro i limiti del territorio ligure (A. S. G., Prefettura Sarda, Pacco 216, II). 1824: visita ai boschi della Provincia di Genova (Ibidem). Periodo 1823-34: dati sulle circoscrizioni forestali della Liguria (Ibidem). 1832 : relazione sulla « Perlustrazione straordinaria dei Boschi Comunali di Mignanego» (Ibidem). lì) Cave e miniere sfruttate temporaneamente e in gran parte abbandonate in varie parti della Liguria. Considerazioni generali ; dati generici. — Molto numerosi sono i dati della tradizione orale sulla ricchezza mineraria, in massima parte solo (li) Arch. di Sialo di Genova. Sala 50, Pacco 14*. L)a una lettera inviata nel febbraio 1813, dal Ministro dell'interno al barone Bourdon, Preletto del Dipartimento di Genova: «La raccolta a manqué entièrement même dnns la Rivière de Gênes dont le climat était plus favorable... de pluies continuelles occasionèrent cet inconvénient». (15) Fil Noberasco, Un grande prefetto napoleonico..., Savona, 19Î3. (16) Cfr., ad es.: A.S.G., «Raccolta cartografica», Falcinello 1 (N. 108 del Calai, del Marengo): «Tipo geometrico del Roseo della Faelta». - 122 - supposta, di alcune aree: tipiche le leggende su giacimenti aurifeii, attestate anche dalla sopravvivenza di qualche toponimo non registrato nei quadranti della «Carta d'Italia». Sarebbe interessante verificare quali gallerie e quali cunicoli per estrazione di minerali sono stati effettivamente costruiti in eia romana : ma la ricerca va incontro a difficoltà quasi sempre insormontabili. Nello spazio di quasi mezzo secolo, fra il 181(5 e il 1860, si registrano, fra i documenti dell’Archivio di Stato di Genova, numerose richieste di ricerche minerarie : esse mancano, in massima parte, di dati topografici precisi e persino della specificazione del minerale cercato. Nel 1827 si procede ad un’inchiesta diretta a stabilire quali siano « i minerali, i marmi e le petriere d’ogni specie » nella Provincia di Genova (A. S. G., Prefettura Sarda, Pacco 217, anni 1825-1860, I, Affari Generali, N. 3). Nel IMO viene compilato uno «Stato delle miniere e cave di pietra esistenti nella Provincia di Genova (Ibid., Pacco 221, I, Fase. XVIII, N. 4). Ardesia. — Vari giacimenti dovettero essere sfruttati già nell età romana : alcuni furono, secondo ogni probabilità, abbandonati nell età medievale. Numerose cave di ardesie di varia specie sono ricordate a Cogorno e Lavagna (Genova), dal Casalis (V, 1839, p. 318; IX, 1841, p. 282). Nel 1851 a Uscio (Genova) vengono sfruttate 20 cave (A. S. G., Prefettura Sarda, Pacco 416, I, Statistica Mineralogica 1851). Nel 1858 risulta attiva una cava a Nervi (Ibid., Pacco 223, I, Fase. XII, N. 6). Arenaria. — Varie cave risultano abbandonale in periodi imprecisabili. Verso la metà del secolo XIX risulta utilizzato, a Sassello, un giacimento nella località « Gruppino », presso il torrente Cicia, affluente dell’ Erro. Non si ha notizia di uno sfruttamento posteriore. Ma nel 1920, ancora a Sassello risulta sfruttato il giacimento del Rivo del Borgo (Mario Siri). Argento. — Non è possibile localizzare la miniera d’argento «sul Monte Argenter» ricordata dal Sac. Paolo De Lucchi (1877.). Può darsi che, tanto in questo caso come in quello della vena d’argento ricordala nella concessione del 1465 (v. Metalli vari), si trattasse di un filone di nichelio, minerale che sappiamo rappresentato nel gruppo di Voltri (S. Conti). Ferro. — Sarebbe stato estratto, in un periodo imprecisato a Santo Stefano d’Aveto : (Casalis, XVIII. 1849, p. 785). Fra il 1810 e il 1812 viene coltivata a Noli (Savona) una « miniera di ferro ossidato » (Casalis, XII, 1843, p. 13). V. Metalli vari. Lignite. — Tentativi di sfruttamento fin dai primi decenni del secolo XIX a Cadibona e, in periodi imprecisati, ad Altare (Savona). Verso la metà del secolo XIX appare sfruttata a Sarzana, in prossimità del confine col Modenese, una « miniera di lignite fragile, di colore intenso » (Casalis, XIX, 1849, p. 19 e segg.). Nel periodo 1918-19, a Olivetta S. Michele (Imperia), nella località Monte Mergo », viene sfruttata una miniera di lignite, che occupa da 12 a 15 operai. Fu costruita una galleria lunga poco più di 50 m. Il banco di lignite aveva inizialmente una potenza di circa due metri, per restringersi poi a 50 cm. : si ha ragione di ritenere che il banco continui anche a ponente del vecchio confine italo-francese. Il Prof. Alessandro Stella del Politecnico di Torino, il quale visitò la miniera nel 1918, consigliò di - 123 - tenerla in attività : essa dovette essere, invece, abbandonata, per deficenza di capitali. Secondo Francesco Limon, traccie di lignite si trovano anche presso il costone « Gerusso » (per uno strato di 40 cm.) e in prossimità di Monte Grosso. Marmo. — Risale al 1817 la « Informazione sulle cave (li marmo esistenti nella Provincia di Genova» (A. S. G., Prefettura Sarda, Pacco 221, 1817-1858, Fase. XVIII, N. 6). Cave di «marmo nerastro venato di bianco, simile a quello del rivo del Vallone di San Giorgio (Bonassola : La Spezia) e cave di « marmo rosso carico » nel territorio di Castiglione Genovese (Beverino : La Spezia) sono ricordate dal Casalis (IV, 1837, p. 258). E cosi anche : una cava di inarmo rosso del Monte Trabuchetto a Pietra Ligure (Savona): (XV, 1847, p. 7); una cava di marmo nerastro « di perfetta somiglianza col marmo antico a Sestri Ponente, presso le sorgenti del Varenna (XX, 1850, p. 24); le cave di «marmo detto portoro, di tinta nera con rilegature e venule gialle, rosee, bianchicce e bigio violacee» dell’isola di Palmaria (La Spezia) : (XV, 1847, p. 660). Dal 1924 al 1930 è coltivata una cava di «marmo rosso di Lévanto » a Carro (La Spezia). Materiali refrattari. — Intorno al 1920 viene abbandonato lo sfruttamento deH’argilla a Airole, in Val di Nérvia (Imperia). E così quello dell’argilla figulina a Camporosso (Imperia). Metalli varii. — Un documento dell’Archivio di Stato di Genova, in data 18 Gennaio 1465 (« Diversorum Communis Januae », Filza N. 28, Anno 1465), attesta che Boniforte Rotulo ha scoperto otto vene metallifere, e forse anche una vena di allume, nell’area delle attuali provincie di Genova e Savona, e precisamente : a) venam auri, argenti et rami in un torrente del territorio di Voltri (in flumine Albanige); b) venam rami in una vicina area montuosa (in montibus Serree) ; c) venam argenti et rami nelle montagne da cui scende la Cerusa (in montaneis fluminis Seruxie et Vulturi) ; d) Venam argenti et rami in una vicina area montuosa (in montibus Arenalo) ; e) venam aurei nei monti di Arenzano (in montaneis Arensani Loco ubi dicitur Farallo) ; f) venam ferrei nelle montagne di Varazze (in montaneis Varaginis); g) venam argentei nei territori di Celle e Albisola (in territoriis Celle et Allùsole); lì) venam argentei et piombi in prossimità di Stella, fra Albisola e Sassello (in montaneis Stelle); i) venam argentei et piombi nel territorio di Rossiglione (in posse Russilioni versus urbem) ; k) una dubbia vena di allume fra Vado e Capo Noli (in territoriis Coste Vadorum usque ad cauum Nauli). E’ questa indubbiamente una delle attestazioni più antiche sui numerosi tentativi di sfruttamento minerario nel gruppo ofìolitico di Voltri, nella cui serpentina si dovettero rinvenire, a intervalli, tracce di ferro, oro e nichel (che potè essere in molti casi scambiato per argento), e eventualmente, anche tracce di piombo (17). L’indeterminatezza dei dati topografici (17) E. Reposst, I minerali della valle della (Java nel Gruppo di Voltri, «Atti d. Soc. Ital. di Scienze naturali*, LVll, 1918; ti. Rovereto, Liguria geologica, 1939, p. 316-369; S. Costi. Valli ùi serpentina della Liguria, «Boll. d. Soc. Geologica Ital.», LX, N. i, 1940; A. Pelloux, Le alluvioni ferrifere del fiume Orba e la loro utilizzazione, «La ricerca scientifica», Anno li”, N. 3, Marzo 1941, p. 353-360; S. Conti, Serpentine nichélifere in Liguria, «La ricerca scienliflca», Anno 12°, N, 4, Aprile 1941, p. 448-460. - 124 - forniti dal documento non permette una localizzazione precisa : meritano, comunque, di essere ricordate le conclusioni a cui è giunto Carlo de Negri a proposito di tentativi di sfruttamento minerario nell’area dei Comuni di Rossiglione e di Arenzano. Quanto a Rossiglione, la tradizione locale tace interamente sull'argento e sul piombo ricordati nel documento; tentativi di sfruttamento di « miniere aurifere e argentifere nei Comuni di Rossiglione e di Tiglieto Olba » risultano, però, sicuramente eseguiti nel 1843 (A.S. G. Prefettura Sarda, Pacco 219, III, fase. XV, N. 4). Due gallerie residue di scavi eseguiti a scopo di ricerca mineraria, non determinata nel tempo, sono in prossimità del confine attuale fra i Comuni di Rossiglione e di Tiglieto. Una di esse è nella località la Presa (18); l’altra nella vicina località di Pian di Balóttolo (19). La tradizione locale accenna invece all’oro, a proposito della località Ramo-torto, « Riantorto », ricordata espressamente in un documento del 14 settembre 1824 nell’Arehivio del Comune (20): il Casalis ricorda, alla voce « Rossiglione », la denominazione « Montagne dell’oro ». La tradizione locale parla anche di ferro, a cui il Casalis accenna a proposito del pendio denominato « Magnoni » (21) (la tavoletta 82. I. SO ha « Magnonetta »). Quanto ad Arenzano la tradizione locale offre nel toponimo « Cave dell’Oro (v. Oro) un elemento che può a tutta prima rievocare la venam aurei del documento del 1465. Ma si tratta invece della cava di rame che Paolo de Lucchi ricorda, nel 1877, come esistente alle falde del « Bric del Vento», già inattiva nel 1833 (Casalis) e nel 1847 (De Bartolomeis), e che è stata anche segnalata dall’ Issel (22): essa sorge a circa 250 m. presso il confine con Voltri, sulla destra del torrente Luvea o Luvego: (Lupara) (23) dove l’oro risulta sparso — sia pure in quantità minima — nella serpentina. (Rovereto, Liguria Geologica, pag. 344). Nel 1843 vari tentativi di sfruttamento di « Minere aurifere e argentifere » (A. S. G., Prefettura Sarda, Pacco 219, IH, Fase. XV, N. 4). Metalli vari risultano sfruttati nella prima metà del sec. XIX a Riva Santo Stelano, regione Terzorio (Imperia). A N NE della frazione Terzorio, presso la strada comunale di Seravài, non lontano dalla valle del Rio Zunchi, è un pozzo che, secondo la tradizione locale sarebbe stato costruito per la ricerca (18) «Lungo una strada mulattiera», sulla rotabile Rossiglione-Tiglieto: consta di una galleria scavata in serpentina verde, tipica del Gruppo di Voltri, lunga circa m. 11 e alta circa in. 1,80, di facile accesso e percorribilità ». (19) «Consta di una galleria lunga una ventina di metri, difficilmente accessibile per ostruzioni all ingresso». Secondo una tradizione locale, «le due gallerie farebbero parte di scavi effettuati al tempo del primo impero napoleonico per la ricerca di oro». (20) «Atto consolare della Comunità di Rossiglione, col quale si dà notizia all’intendente Generale di Genova di un giacimento aurifero scoperto da Sebastiano Stella in località Ramotorto... prossima alla confluenza dei torrenti Gargassa e Gargossino». Il documento è pervenuto nel 1824all'Autorità competente (A.S. G., Prefettura Sarda, Pacco 219, 58, N. 6). Esso è stato pubblicato in parte («Stampa Sera*, 7 maggio 1940). (21) «Ferro ossidato, terroso, frogile, con venule di ematite»: però solo in «nocciole e zolle*. Non si ha notizia di tentativi di estrazione. (22) Artubo Issel ne parlo a proposito della «miniera cuprifera deU'Acquasanta» presso Albisola (Cenni sui materiali estrattivi della Liguria, Genova, 1883, p. 173). (23) « La cava consta di uno spiazzo a fronte grossolanamente curvilinea, avente una corda di circa m. 30... risultante dai lavori per estrarre il minerale; dall’estremo NORD dello spiazzo in parola si stacca verso monte un cunicolo lungo da 25 a 30 m. circa, largo da 2 a 3 m. e profondo da 2 a V, quasi a seguire nn supposto filone» (Carlo De Negri). 125 - dell oro (galena argentilera ?). Della cosa si è parlato intorno al 1860, e quindi verso 1 inizio dell’ultima guerra italo-etiopica (ottobre 1935). Da un documento del 1936, conservato presso la Tenenza dei Carabinieri di Imperia, risulterebbe quanto segue: «Esistono nella suddetta località Terzorio tre gallerie abbandonate, si dice, fin dal 1852, dalle quali si estraevano metalli preziosi. Tali gallerie furono abbandonate in seguito, non per diletto di minerali, ma per mancanza di vie di comunicazione, tanto che il trasporto veniva effettuato a dorso di mulo sino al Mare (S. Stefano al Mare), indi su barconi veniva trasportato in Francia sostenendo spese enormi ». Oko. — Come si è detto (v. Metalli vari), il toponimo «Cava dell’oro », ad Arenzano, si riferisce effettivamente ad una località situata nell’estremo lembo NE del territorio comunale a N di «Le Terre cotte», e (a Km. 0,97 dal culmine del « Bric del Vento »), dove sono stati raccolti campioni di rocce contenenti rame. Ma non si può escludere in modo assoluto che il cunicolo scavalo, in un periodo imprecisato, già inattivo verso la metà del secolo XIX, sia stato costruito allo scopo di seguire un presunto filone aurifero. Di una presunta ricchezza aurifera nel territorio di Rossiglione si è già detto (v. Metalli vari). A proposito di Tiglieto (Genova) scrive il Casalis: «Il Carpenero è creduto il più ricco torrente aurifero di Val d’Olba» (XX, 1850, p. 945). 1853: «Miniera aurifera» di Ortonovo (La Spezia): A. S. G., Prefettura Sarda, Pacco 219, III, Fase. XV, N. 1). 1853 stesso : permesso per lo sfruttamento d’una « miniera aurifera nel Comune di Bàvari, in località imprecisata (Ibidem, Fase. IV). Pietra da costruzione. — Nel 1823 si inizia un’inchiesta sulle «Cave di pietra esistenti nella Provincia di Genova » (A. S. G., Prefettura Sarda, Pacco 221, 1817-1858, I, Fase, XVIII, N. 5). Fra il 1841 e il 1859 si registrano numerose concessioni per sfruttamento di cave di pietra nel Comune di Genova: vengono specificate 12 località (Ibidem, Pacco, 221, I, Fase. X). Il Casalis ricorda una cava nel territorio di Pietra Ligure, e precisamente nel «Monte Trabuchetto» (XV, 1847, p. 7). Alcune cave sono abbandonate nel 1925 a Lerici. Pietre da macina. — Il Casalis accenna alla «cava di Bonnino », a Cisano sul Neva (Savona): a levante del capoluogo (V, 1839, p. 239). Piombo. — Fin dalla metà del secolo XV, almeno, a Quigliano (Savona) sarebbe stata sfruttata « una miniera di piombo misto ad una leggera quantità d’argento », secondo il Casalis che cita al proposito « atti pubblici del 1449 e del 1456» (XVI, 1847, p. 77). Nel secolo XV, secondo la tradizione locale, a cui sembra consentire il Casalis (XVI, 1847, p. 199), sarebbe stata attiva a Rialto (Savona), sulla cima del Monte Melogno, nell’alta valle del Pora, una «miniera d’argento»: «di piombo solforato argentifero, minutamente lamellare, con matrice di quarzo e di scisto talcoso », precisa il Casalis: (XVI, 1847, p. 199). Di essa si occuparono, durante la seconda guerra mondiale, vari quotidiani. Nel 1855, nella regione Cantagalletto, località « anime vecchie », del Comune di Savona, Giacomo Ricci eseguiva ricerche di minerali di piombo(documento dell’Archivio Comunale di Savona). - 126 - Rame. — Inattiva risulta nel 1833 e nel 1847, come si è visto (Metalli vari; Oro), la «Cava dell’oro» in territorio di Arenzano. Il Casalis (I, 1833, p. 360) registra, una « montagna delle Miniere (Bric del \ ento), donde cavavasi anticamente del rame». Nel 1854 si tenta lo sfruttamento di una « miniera di rame e d’altri metalli » a Montoggio (Genova), regioni La Novena e Rio Nero (A.S.G., Prefettura Sarda, Pacco 219, Fase. XIII, N. 7 e 8). Nel 1857 si ha una vertenza a proposito della miniera cuprifera di Monte Mosco nel Comune di Lévanto : (A.S.G., Ibid., l'asc. XII, N. 3 e 7). Fra il 1885 e il 1910 risultano sfruttate, a intervalli, le tre miniere, dette « della Gallinara » o di Bargone, nel Comune di Casarza Ligure, a ponente del torrente Bargonasco, (A. Issel). Tentativi di ricerca di rame al Bocco, a Reppia, a Statale (Ne, Genova). Nella regione Murta di Genova-Bolzaneto esisterebbe, secondo la tradizione locale, un giacimento di minerale cuprifero : mancano dati su eventuali assaggi. Sale Inglese. — Nel periodo napoleonico viene sfruttata a Bórzoli (Genova) una «miniera di sale inglese» (Catasto Comunale di Geno\a). Non so quale relazione possa intercedere fra essa e la « miniera di sale catartico », riattivata a Voltri nel 1827 (A. S. G., Prefettura Salda, Pacco 220, N. 5). C.) Industrie varie — escluse le estrattive — abbandonate in qualche area della Liguria. Vengono qui citati solo alcuni esempi caratteristici, non essendo possibile dar conto, per ragioni di spazio, di tutto il vasto materiale raccolto. Si deve avvertire, inoltre, che alcune industrie, e specialmente le casalinghe, sfuggono, almeno in gran parte, alla possibilità di una documentazione o anche di un controllo generico (24), e che non poche di esse subiscono, nel corso del tempo, spostamenti di area nei limiti d’ un Comune, spostamenti che è molto difficile, e talora impossibile, precisare (25). Apicoltura. _ La scomparsa di questa industria, essenzialmente casalinga, in prossimità dell’estremo lembo occidentale della Riviera di Ponente, è dovuta al fatto che è tossico per le api il nettare delle piante « tropicali», che dànno un così caratteristico aspetto al giardino d acclimazione di \ illa Hanburv. In varie altre località della Liguria la scomparsa va posta in rilievo col diffondersi delle spruzzature di arseniato di piombo, a scopo antiparassitario. (24) Tali, ad es.: le stoffe in seia lavorate «da remotissima età» a Lórsica (Genova), nell» borgata di Santa Maria (Casalis, IX, 1811, p. 8ót-5); le «stamperie d’indiane* a San Pier d’Arena (XVIII, l'19, p. 583); le 4 stamperie di tele a colori di Ciruigliano (V, 18:19, p. 431); 1« fabbriche di guanti di Genova che impiegano 850 operai e esportano 22)0 Kg. di merce (VII, 1840, p. 318 e segg-); i 10.0*0 telai per la seta di Genova e dintorni nel 1790 (Ibid.); le 20 fabbriche di carte da gioco (i coi prodotti si esportavano nella Spagna e nell’America) del finalese, dove esistevano, durante il dominio spagnolo, numerose cartiere (VI, 1841); le 9 concerie di Lérici (IX, 841, p. 361); i «merletti di seta e refe lavorati dalle donne di Albisola Marina» (1, p. 167); i cerchi per botti estratti a Hórmida da ceppaie di castagni e esportati in Francia (II, p. 506); le fabbriche di tabacchi a Calizzano (III, p. 313); le tavole di ardesia adoperate per «dipingere ad olio ed a fresco» (De Bartolomeis, vol. cit., p. 1546, nota 1). (25) Un esempio tipico della complessità dei calcoli areometnei relativi a variazioni avvenute nei limiU di un Comune ci viene offerto dalla tav. 6 dell’.-In mia rio Statistico di Genova liti 1 (dati del 1946), Genova, 1947. - 127 - Cantieri navali. — Celebre era, fin dalla prima metà del secolo XV, il cantiere di Cervo (Imperia), per la costruzione di lunghe navi veloci, usate per la pesca del corallo in Sardegna e in Tunisia, dette cimbae coral-linae dal Bracelli (26). Anche nel sec. XVIII il cantiere conservava una particolare importanza, per la pesca e il commercio del corallo, come ricorda anche il Casalis (27). Nel 1815, con annessione al Regno di Sardegna, viene decisa l’inchiesta già ricordata per accertare lo «Stato degli alberi atti alla costruzione navale» in Liguria. E poco dopo l’industria della costruzione navale può dirsi fiorente in varie città e borghi della Liguria. Nel 1836, cinquantanni prima che venga fondato il cantiere Ansaldo a Sestri Ponente, sorgono numerosi cantieri navali, in massima parte di produzione assai limitata, in una cinquantina di Comuni — fra cui primeggia Varazze — lungo l’arco marino esteso da Nizza a Luni. Pochi di essi sopravvivono (28). Cartiere. — Dal principio del secolo XVI alla prima metà del XIX, nel «Val di Voltri» (regione naturale, rispondente al complesso delle «Valli», ossia del Capitaneato di Voltri), fiorisce — favorita dalle condizioni fisiografiche locali — l’industria cartaria, il cui prodotto viene esportato anche in Inghilterra, dove si prescrive che la carta di Voltri sia «l’unica da adoperarsi per i documenti da conservarsi nella torre di Londra» (29). «Edifici di carta» o «della carta» o « ... da carta» figurano in prossimità di Mornese già ligure, ora amministrativamente piemontese, in una carta del 1648 (Marengo, N. 259), a Casaleggio, in un’altra del 1730 (Ibid., N. 73); a Finalpia, a metà del sec. XVIII (Ibid., N. 117); in territorio di Cisano fra Albenga e il San Bernardo, (Ibid., in due carte del 1650, N. 393 e 394). Forse si tratta della stessa cartiera che il Casalis (V, 1839, p. 239) (26) Orae ligusticae descriptio, Parigi, 1520: cfr. Giuseppe Andriani, Giacomo Bracelli nella storia della • Geografia: Atli d. Soc. Lig. di Si. P., vol. LI i (1924), p. 127-229. (27) In documenti dei secoli XVII e XVIII dell’antico Ufficio del Registro e dell’Arcliivio Notarile di One-glia «a'inoontrnno frequenti atli di cittadini di Cervo che sovvenzionavano padroni di velieri per andare ad esercitare la pesca del corallo nelle acque di Sardegna e di Corsica» (v. G. Donte, G. Garibbo, P. Stacchisi, La provincia d'Imperia, Imperia 1934, p. 180). Il Casalis che ricorda «il commercio dell’olio nella Calabria ed a Marsiglia fallo nel sec. X Vili con grosse barche a vela latina, ben armale dai marinai di Cervo e Laigueglia, conta a Cervo solo 3 bastimenti di grande cabotaggio (IV, 1837, p. 463); il De Bartolomeis (1847) parla di un .competente numero di navigli». (28) Nel decennio 1810-1825 si costruiscono a Varazze e a Seslri Ponente 435 navi (Fazio, Le costruzioni navali liguri, Firenze, 1872, p. 7). Nel 1847 il De Bartolomeis chiama Varazze «il più gran cantiere della Liguria marittima». Fra il 1786 e il 1885 risultano in attività cinti-eri navali a Ventimiglia, Sanremo, Riva Santo Stefino, San Lorenzo, Porto Maurizio. Oneglia, Diano Marina, Cervo, Marina d'Andora, Laigueglia, Alessio, Albenga, Loano, Pietra, Finalmarina, Finalpia, Noli, Spotorno, Vado, Savona, Albisola Marina, Celle, Varazze, Cogoleto, Arenzano, Voltri, Pegli, Sestri Ponente, Cornigliano, San Pier d’Arena, Genova, Starla, Nervi, Bogliasco, Becco, Camogli, Santa Margherita, Lévanto, Monterosso, Portovénere, La Spezia, Lérici. (29) G. Bovbreto, Un’antica industria nella Liguria, « Bolletlino della R. Soc. Geog. It. », 1935, p. 32-8. È da avvertire che «il primo operaio cartaio* di cui si ha ricordo è un Gualterius englesius, che nel 1235 «viene con ratlato du un Mensis de Luques e da un Marchisius de Camogli per lavorare in Genova», e che Grazioso Damiani venuto da Fabriano nel 1424, dopo aver lavorato alcuni anni in Sampierdarena, si traferisce a Veltri, e ottiene dal Senato della Repubblica, nel 1424, il privilegio di poter raccogliere e asportare dalla città lo .stracias o strasse, necessarie alla sua industria*. Il Rovereto, il quale ricorda che lo stesso Grazioso Damiani «nel 1431, prende in locazione un edifisio per la c irta» (quodam aquaricium edifici prò faciendo papiro), descrive gli edilizi (delizi), che Agostino Giustiniani chiamava «fabbriche per il papero», e li di-llnisce: «fabbricali più gr.indi delle solile casette liguri, alcune volte vetusti, dalle linee di un grande capanno, dalle fln-slre eccezionali, a-corapagnate da un complesso non meno strano di ruote idrauliche. ... e da chiuse (cinse), canali (bét), serrami [luscée)...... dice « ora ridotta ad altri usi ». Una cartiera « nella quale si occupano di continuo più di mille operai *, e la cui produzione viene spedita « in tutta Europa», da Genova, è ricordata dal Casalis a Mele (Genova); altre a Finalborgo (3), a Finale Marina (30), a Cogoleto (3), ad Arenzano, a Mul-tedo ed a Quiliano. Ferriere. — Dalla line dell’età medievale sin verso la metà del secolo XIX (cioè prima dell’introduzione dei «forni Martin e Siemens ») troviamo in Liguria le « ferriere a sistema catalano » che lavorano in posto il minerale trasportato, almeno in gran parte, dall’isola d’Elba. Il toponimo « ferrerà », che qualche volta ha fatto pensare, inlondata-mente, a giacimenti di ferro, è largamente rappresentato in carte topografiche e corografiche dei sec. XYI-XVII1 (31). Fra il 1833 e il 1849 le terriere « stanno per cessare i lavori » tanto nella provincia di Alhenga come in quella di Savona (Casalis, 1 e XIX) (32). Filatura e tessitura delle fibre di ginestra. — In un piccolo borgo dell’estrema Liguria occidentale dove l’isolamento geografico ha permesso la conservazione, fino ai nostri giorni, d’una tipica struttura medievale, cioè in Yallebona (uno degli « Otto Luoghi di Ventimiglia ») (33), veniva macerata, un tempo, come risulta dalla precisa attestazione di qualche corografo locale, la ginestra (34), le cui fibre, filate e tessute, permettevano la fabbricazione di tela, per sacchi di olive e per pantaloni di contadini. Come appare da sopralluoghi da me compiuti, col dr. Ugo Dachà, nell a-gosto del 1941, anche presentemente si osservano sul luogo i resti dello strumento (« gromolo *, «gramula*: voce identica a quella veneta). L edificio dove si fabbricava tela di ginestra è detta tuttora « telaro ». Si ha ragione di ritenere che il provvedimento, probabilmente in uso in qualche altro Comune della Liguria, dove risultava assai estesa la produzione spontanea della ginestra (Sportium junceum L.) (35), si sia conservato in Vallebona sino alla seconda metà del sec. XIX. Certo è che il tentativo diretto a ricavare tela dalle fibre del tessile è stato temporaneamente ripreso nel 1940 ad Aurigo (Borgomaro, Imperia). (30) Le cartiere del Finalese inviano il loro prodotto nella Spagna e nelle colonie spagnole d America n»l tempo in coi il marchesato di Final* appartiene alla Spagna (1598-1713). (31) In una caria del 1544, pervenuta a noi in una copia eseguila nel Settembre del 1772 (Beiforte 11. Mabesoo, N. 44), è ricordata la «Ferrera del *>ig. Luca Spinola quondam Agostino»; cfr., inoltre, i N. 27, 29, 73, 100, 113. 117, 171, 175, 192. 259, 264, 315, 317, 389. (32) Dal 1811 al 1814 risultano in esercizio terriere a Rossiglione, Masone, Ronco (A.S.G., Sala 50, Prefettura Francese, Pacco 210, N. 4); nel 1816 viene compilato uno «Stato di tutte le Ferriere e manifatture di Ferro esistenti nei Comuni della Provincia di Ponente» (Ibid., Prefettura Sarda, Pacco 225, Stabilimenti Metallurgici, 1816-1858, IV, Fase. XXXII, N. 7); al 1825 risalgono documenti relativi alla ferriera «dal Lago» nel Comune di Campofreddo, attualmente Campoligure (Ibid., Pacco 226, I, Fase. XXXIII, N. 6); al periodo 1832-33 appartiene il documento: «Stabilimento di un forno reale per fondervi il minerale dell’isola d’Elba, gestito dai fratelli Ballendier» (Ibid., Pacco 227, Ji. 6). (33) Vallebona, dore si è conservato Uno ai nostri giorni una tipica forma di rappresentazione sacra, meriterebbe di essere illustrata particolarmente. (34) Fr. KAVOn, op. cit., p. 118. (35) Utile per la determinazione delle aree principali dove la ginestra cresceva nel passato spontaneamente in Liguria, è lo spoglio dei toponimi; un «Pozgio della ginestra» è, ad es., sulla linea di confine fra Castel-bianco e Nasino (Savona), in ona carta del 1665; un «Rivo della Ginestra», in territorio di Cisano (Savona), in una carta della metà del secolo XVIII (Marexoo, X. 412 e 93). La possibilità dell’utilizzazione industriale della ginestra in Provincia d’Imperia è stadiata in una relazione del Prof. A. Biaschedi. — 129 — Tonnare. — Gioverebbe approfondire le ricerche su antiche tonnare abbandonate, come quella di Albenga, ancora in piena efficenza nella seconda metà del sec. XVII (36). Ili IL PAESAGGIO E LA VITA DELLA LIGURIA ATTRAVERSO LA STORIA 1. - L’inchiesta eseguita sotto gli auspici del Consiglio Nazionale delle Ricerche, della quale si sono riportati i risultati sommari nel capitolo precedente, ha permesso di rilevare tutta una serie di fatti che si riferiscono alla variazione subita nell’età storica dal paesaggio naturale ed umano e quindi dalla vita della popolazione stanziata in Liguria. Ma non si tratta che di un esempio, sia pure tipico, circoscritto nel tempo e limitato ad un particolare ordine di fatti. Infatti le notizie riferite riguardano propriamente il periodo che va dall'inizio del secolo XV al termine della seconda guerra mondiale; e d’altra parte l’inchiesta non si è estesa a fatti d’importanza fondamentale nella vita della regione, come le variazioni territoriali subite da alcune colture (olivo (37), vite) (3.S), insidiate talora gravemente da infezioni parassitane (39), come non ha riguardato industrie varie che possono dirsi tuttora tipiche nella regione, come la lavorazione del vetro ad Altare (40) e quella del legno a mezzogiorno (36) «Albenga possedeva la sua tonnara... tra l'isola Gallinaria o la terra ferma di Vadino, e nel 166« era pur anco in uso, ma venne furtivamente tagliata e distrutta» (Casalis, I, 1833, p. 138). Alla metà del secolo XIX sono attive le tonnare di Camogli, Portofino, Monterosso («Cinque Terre»): De Bartolomeis, voi. IV, Parie 11, p. 962-3, 1570. 11 Casalis parla della .Pesca del tonno» a Santa Margherita (XV1I1, 1819, p. *37). (37) Fin dal 1836 G. B. Spotorno, ricordando l’opinione del Bertolixi, per cui l’olivo in Italia è pianta indigena, e citando un documento di Arcola (La Spezia) del 1050 e un altro documento relativo a Moneglia del 1051 (ai quali si potrebbe aggiungere qualche documento del secolo Vili), distrugge la legenda secondo la quale la coltura dell’ulivo sarebbe stata introdotta in Liguria da Crociati reduci dalla Terra Santa (Lettere sopra ìa Liguria scritte da un Accademico labronico, Genova, p. 18-21). Secondo la prima redazione del Bracelli (1418-19), le principali aree liguri della coltura dell’olivo sono quelle di Diano e di Rapallo. Un’inchiesta della metà del secolo XIX enumera nella zona della Riviera fra Arenzano e Camogli 35 Comuni in cui è coltivato l’olivo (A.S.G., Prefettura Sarda, Pacco 420. \ ). (38) Secondo il Bracelli (redazione del 1418) le principali aree vinicole della Liguria sono quelle di Taggia e delle «Cinque Terre». Secondo il Casalis, che novera in Liguria un centinaio di Comuni ove si produce vino (su un complesso di 43S compresi nelle due «Divisioni, di Sizza e Genova), lu coltivazione della vite nella zona di Taggia subi una grande diminuzione dalla metà del secolo XVII, venendo sostituita da quella degli olivi (X, 1850, p. 706). (39) Nel periodo 1843-7 si hanno dati sul « Vermi roditore degli olivi», nonché una momoriu del Martinelli con osservazioni del Bi.aud: «Malattie parassitane delle piante e mezzi per combatterle (A.S.G., Prefettura Sarda, Pacco 420, 1.933-59; Pacco 412, Il e III). Nel 1851-2 si procede a un’inchiesta sulle malattie della vite nei singoli Comuni della Liguria (Ibid., Pacco 420: «Annali della R. Accademia di Torino» vol. V). (10) A proposito di Altare il De Bartolomeis scrive: «Credesi che il borgo sia stato fondato da alcuni fuorusciti Galli, che avevano scelto questo luogo per esercitarvi l’arte vetraria, la quale per più secoli v*è stata in fiore» (vol. IV, Parte II, p. 1329). Nel 1815 si pensa a stabilire una «vetreria» nel Comune della Foce (Genova): (A.S.G., Prefettura Sardo, Pacco 228-55, III). 9 — 130 — delle «Cinque terre* (,41), le ceramiche del Savonese (42), i velluti di Zoagli (43), l’intensificazione della coltura delle palme e dei fiori nell estrema Riviera di Ponente (44). 2. - A ben più ampio orizzonte guida il proposito d’inquadrare la storia della regione nella serie dei mutamenti subiti, nel corso dei secoli, dalla variazione del paesaggio naturale ed umano, il che è quanto dire della vita della popolazione (45). Quando si parla di paesaggio ligure il pensiero corre immediatamente alla zona costiera ; ma non va dimenticato che la Liguria interna, nota ad una parte relativamente esigua di turisti, offre paesaggi di rara bellezza nei quali l’elemento storico assume, talora, importanza particolare. 1 modi e le forme della variazione del paesaggio sono, evidentemente, infiniti, poiché le forze a cui essa è dovuta sono continuamente operanti. Qui interessa rilevare — richiamandoci a quanto fu già detto precedente-mente (cap. I, 3.) — che lo scopo a cui si mira è essenzialmente il seguente: come cambia, nei secoli, l'aspetto generale della regione per la variazione quantitativa e qualitativa del manto forestale, dell’estensione dei pascoli e dei gerbidi, delle colture agrarie, della rete dei corsi d’acqua e di quella delle comunicazioni, della distribuzione e della natura delle sedi umane in relazione alle occupazioni degli abitanti (46). E giova tener presente che alcune* ili queste variazioni sono in diretta dipendenza da fatti d’ordine climatico e tellurico, che si esplicano lentamente nel tempo, o operano violentemente, al pari delle operazioni di guerra (47). (41) A. Bersardy, Forme e colori di cita regionale italiana, vol. II (Liguria). (ti) Sulle fabbriche di maioliche ordinarie nelle due «Arbisole» care agli studi di Vittorio Poggi (1888), e sulle ceramiche tini di Savona e Vado : Casalis, 1, 1883 e XIX, 1819. (4S) Nel 1S4*> la fabbrica di velluti di seta di Zoagli dà lavoro a 1000 persone (Casalis, XXVI, 18oi, p.65). Scrive nel lsl< il Db Bartolomeis: «I contadini di Zoagli alternano il lavoro della vanga con quello della spola, e tessono il delicato velluto con la mano stessa che rompe le glebe» (eoi. cit., p. 1532). (44) Aco. Beglisot. Il paesaggio botanico della Liguria occidentale (XIII escursione geografica interuniversitaria, Genova. 1939. p. 27-31); La Provincia d'Imperia, già cit.; A. Bia>'chedi, Sguardo d’insieme alla floricoltura li.jurt, . L’italia agricola-, 1991; A. Bri ,a. Caratteristiche dell’ortofrutticoltura in Provincia di Savona, Ibid., maggio 1935. i45 Renato t>i\- iti. Il pn. iggio terrestre, Torino, 1917, pp. VII1-375 (sni tipi principali del paesaggio umano: tav. Ili spostamento delle pioggie verso l'autunno in Liguria: pag. 208). Cfr. anche quanto aenve, a proponilo della «complessa multiforme trama di fenomeni che si cela agli occhi dei più sotto la •erena visione del paesaggio campestre », Dixo Giù baldi : Ambiente fisiogeografico ed ampiezza della proprietà terrièra. Saggio di geografia agraria, Torino, 1939, Premessa. Sul paesaggio ligure in generale: G. Rovereto, Liguria geohgica, cit., spec. capp. I IV; Id., G ermofologia delle valli liguri («Atti della R. Univ. di Genova, vol. X^ iln: A. Bwmi pag. 17. Per particolarità, v, ad es.: La Provincia d'Itnperia, p. 361-2: O. Pessaoxo, Le Cinque Tem («Gazzetta di Genova -, 1919, X. 1 >: Ettore Cozzasi, Il regno perduto, Milano. ly±8 nul pa'-sa/.'io delle «Cinque Terre* pp. 10-5); Giovassi De Scalzo, Santuari, vallate e calanche della Liguria orientale, Savona, 1911: G. Rovereto, La storia delle • fasce» dei Liguri, «Le Vie d’Italia», Maggio, 1921; In., « Ciati» » e marine di Liguria, «Le Vie d’Italia e dell’Am. Lat.», 1925, p. 715-722; In., Fondi di terra, «L’Universo», Vili, aprile 1927; Id., I Bausi rossi e la Riviera al confine francese, «L’Uni-verso», IX, giugno tW*; Id., .Ve» boschi dell’alta valle dell'Olba, « Le Vie d’Italia», genn. 1930; Scotti Pietro, Le «cascine* i barchi e i «casoni» nell’Appennino ligure orientale, Torino, 1947. (4*3) Gianmaria Piccose, Memorie sul ristabilimento dei boschi del Genovesato, Genova, 1796; Descrittone di Oen i-u e. del G->>•>r,«ito, Genova, 1846, 3 voli.; Pietro Scotti, Il «paesaggio agrario» della Liguria alia Vili Riun. di Sciem, It., «Convivium», 1947 ; Id., Le nella Liguria orientale, Alessandria, 1947. (47) Tipico esempio: la deviazione del corso inferiore della Hoia eseguita nel 1222 dai Genovesi in lotta coi Ventimi trliesi > viene scavata una foma lunga 3 miglia). Lo studio delle variazioni del suolo dovute a operazioni di guerra prciuppone la consultazione di numerosi scritti relativi alle varie età della storia. Fonda-mentali, naturalmente, gli «Atti della Società Ligure di Stona Patria», e la «Storia di Genova», dell’istituto omonimo, per ora ferma al 3» volarne. - 131 - A (lare un’idea concreta della complessità e delle difficoltà della ricerca giova citare un esempio particolarmente significativo. Quando vogliamo renderci conto delle condizioni in cui ha potuto compiersi, in età più o meno remota, lungo le rive del Golfo di Genova, uno sbarco, a scopo commerciale o guerresco, ci chiediamo, anzitutto, quale era, nel tempo, la profondità del porto, dell’ancoraggio, o del braccio di mare aperto in cui esso ha dovuto effettuarsi. E quindi pensiamo al pescaggio della nave o delle navi adibite all’operazione. A tutta prima vien fatto di richiamarci a una linea di riva non molto diversa dalla presente, per decorso, natura di costa, e intensità e qualità di vegetazione. Ma quando sottentri una riflessione matura, fondata sulla conoscenza più o meno certa delle variazioni delle spiagge avvenute durante l’ultimo secolo (48), dobbiamo venire a conclusioni diverse ; e talvolta concludere che lo sbarco ha dovuto avvenire là dove ora si stende la terra, a notevole distanza dall’attuale linea di riva, o là dove ora spazia I area marina. Ma questo non implica la nostra rinuncia a renderci conto delle mutazioni avvenute nel litorale durante il corso dei secoli. Alcune particolarità ci sfuggono; ma di altre possiamo avere precisa notizia. Se anche non possiamo decidere se, a una certa data, un breve tratto del litorale è a costa alta o sabbiosa, poiché precise figurazioni cartografiche degli ultimi secoli ci permettono di affermare che la frangia costiera è stata, a intervalli, distrutta e ricostruita (49), altra volta possiamo calcolare con tutta esattezza la distanza intercedente fra la linea di riva e determinati caposaldi, come torri, case coloniche, allineamenti di case di pescatori (50), e cosi I entità dell’erosione e dell’abrasione dovuta al lavorio continuo delle onde battenti o alla violenza dei colpi di libeccio e delle mareggiate (51 ). Dati cronologici precisi si possono avere sulla costruzione di opere portuarie in tempi a noi vicini (52) e su quella di alcuni ponti alla foce di fiumi o torrenti nell'età (48) Fondamentale è il lavoro pubblicato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Comitati per la (i. ..gratia e per l’ingegneria): Ricerche sulle variazioni delle spiaggia itoltane. 1. Le tpiaggie delhi RirieraLi'jure (Roma, 1937, Pref. di A. R. Tomolo). I. Mario Ascari, VafiatìoHi storiche nella linea di battigia della Riviera Ligure di Ponente, p. 1-256. Contiene un elenco di 2830 Fonti manoscritte e a stampa. 11 Lorcxto Baccino, Variazioni... del litorale da Genova a Camogli, p. 257-275 III. Giovanni Sanguiniti. Le varia-gioni del litorale tra Portofino e Capo Corvo, p. 279-329. (49) «In età romana, indubbiamente, le coste rocciose furono alquanto più avanzato di oggi... - ( Hicerche cit p 119). Alla line del sec. XVili «sono in erosione o minacciano di entrar» i Oneglia. Diano, Cervo, Noli e Albisola. Con il XIX secolo buona parte delle spiaggie entra in fase di abrasione... Così si trovano retrocesse le spiiggie di Ventimiglia, Santo Stefano. Riva, Oneglia. Diano. Gero», Laignej lia, lumie. Noli. Vnd». Celle, Varazze, Arenzano, Voltri, Pegli, San Pier d'Arena e della Foce (p. 1Ì0). Al principio del secolo XX. tino al 1910, «vi è stasi relativa, ma dopo questa data... ripiglia l'azione demolitoria» : p. Ut Notevoli tra altro le vicende per Alessio (p. 49), Cenale (p. 60), Varazze (p. 93), Bogliasco (p. *68). Bona-sola (p. 314). e soprattutto per Chiàvari-Lavagna (p. 293 e tav. Vili). (50) Cfr. op. cit. Esempi tipici: la torre di Pranzolo, (Porto Maurizio) p. 85: la «Torre dei Saraceni» d’Oneglia, p. 40; la villa Bianchcsi a Capo Mórtola, p. 13; una rasa presso Albenga, p. 249: l'abitato baano di Bogliasco, p. 268. (51) A Chiàvari, secondo Domenico Omodei, fra il 1885 e il 1912 il mare asporta annualmente 191.000 ra*. di spiaggia. 11 Sanquineti spiega le vicende di questa coll' interferenza del regime idrografico dell’ Entella e del moto ondoso. (51) Citiamo, come esempi: Fr. Podestà, Il porto di Genova, Genova, 1913; O. Boschetti,* Il porto di Savona dalle sue origini ai tempi nostri, Torino, 1922. Sul pregresso nelle opere del Porto di G.-novn dal 1876 al 1935 cfr. la tavola del Consorzio Autonomo del Porto riprodotta in Cristoforo Colombo r la tcuola - arto-grafica genovese, vol. I, tav. XX (Genova 1937). - 132 - medievale (53), come preziose indicazioni topografiche possono essere offerte da alcuni tratti di vie romane quasi sempre di difficile determinazione, e antichi dati della tradizione su porti marittimi a grande distanza dalla spiaggia attuale possono trovare una spiegazione nella navigabilità del corso inferiore di alcuni fiumi (54). Dati su colture ingoiate dal mare possono risultare pienamente giustificati dalla effettiva mutazione della linea di riva (55), come possono essere precisati nel tempo terremoti e maremoti, frane, alluvioni e fortunali che hanno potuto alterare, in qualche punto, I aspetto del litorale (56). Preziose alcune notizie su isolotti e ghirlande di scogli offerte da documenti di vario genere, e soprattutto da antichi portolani, da carte marine medievali, da mappe e schizzi di archivi e di biblioteche, da rilievi cartogratìci estesi anche ai fondali (57). Interessanti, talora, i dati della tradizione intorno agli spazi marini su cui un tempo potevano essere distese le reti (58) e su località un tempo visibili da chi camminava, a una determinata distanza dalla linea di riva, sul fondale (59), e quelli relativi a ingenti scarichi di detriti, destinati a creare effimere spiagge, per l’escavazione di gallerie ferroviarie (60). 3. - Quali erano le linee del paesaggio ligure quando i termini della regione augustea venivano fissati alla riva del mare e alla corrente del Po, alle bocche del \aro e della Macra, con una vaga intuizione delle leggi geografiche che regolano la creazione delle unità politiche e delle circo-scrizioni amministrative non effimere? E quali mutazioni sostanziali sono avvenute da quell anno al tempo in cui Rotari (dopo una guerra di olio anni in cui ha cinto di fiamme e di rovine i dintorni di Luni, «Ubitergium »(?), Geno\a, Savona, Varigotti ed Albenga: Fredegario), emana l’editto (22 novembre 643) che, come si crede comunemente, annette per la prima volta al regno longobardo 1 orlo costiero della Provincia Maritima Italorum estesa, secondo il geografo di Ravenna, da Ventimiglia a Luni? (61). (58) Risali*, ad es„ al lìlu la corruzione del «Ponte del mare» presso Chiàvari. Viene invece riportata all alto Medioevo quella del ponte a.la foce del Torrente di Sori. M) Risalendo l’Entella le imbarcazioni potevano giungere, nell'eia di Dante, a San Salvatore. (55) A S. Stefano nel 1841 il mare ingoia le vigne d’un monastero (il. Ascari, op. cit., p. 29). «.Hi H,1, LLTri?,V" P 1 del 12*7. del 1835 - Sanremo, del 1887 - Liguria occidentale); p. 54, 76, i ì'Yi i-u ' \ ■ "v",n": f’ ' *68, Î75 (mareggiate); H-5 (frane); 8 (libecciate del 1100, 1245, die. Ira » colP' ‘\mfre.del >°« >3 nov. 1613, 18 aprile 1010, I6S7, 25 nov. 1694, 25 die. 1821, 1843, 1894, 1W»), «(tempesta del f., nov. |i,«4 a Santo Stefano), 86 (tempesta dell’ll nov. 1613), 104 (tempesta di 48 ore T1 V [r;‘ ‘ ' 1 ■ '^ (tempesta del Iti die. «45 fatale al Molo vecch o di Genova); p. 269 (for- . .. c n.' ®&*-19li>>, 2 44-5 (frane: nelle arenarie fra punta S. Erasmo e Capo San Lorenzo; fra Capo S. Lorrn io e Punta Chiappe, 1895-96, a Cervo). ... {',n del (,li l’antero Pantera) ricorda «certi scogli, fuori della Punta di Portofino. , ** rarpezia (Le tpiagg*..., p. 2« e segg.). (61) L". FoRMEtri^i, «Storia di Genova» 11, p. 125 e p. 239, nota HO. Scrive Enrico Besta, richiamandosi ad nna nota del Boovetti (193-*): «è dubbio che l’editto rotariano abbia avuto efficacia territoriale» («Storia di Genora », II, p. 312). - 133 - Che aspetto aveva la Liguria nel 1311 quando un genovese componeva in Genova la prima carta marina che porti una data, opera d’arte e di scienza, documento d’un sicuro primato italiano, e l’Anonimo, che parla un dialetto ancora così vicino alla lingua italiana ed ha un senso vivo delle condizioni topografiche di Genova e della virtù colonizzatrice della gente ligure, terminava il suo poema, mentre splendeva di nuova luce il sogno imperiale di Dante? (62). E chi ricostruirà le variazioni essenziali del paesaggio ligure nei 150 anni intercorsi fra la triste fine della Repubblica, un tempo così ricca di forza e di gloria, e il cadere del 1948, quando, malgrado l’ora grigia, sembrano promesse nuove vie all’ Italia repubblicana V Il problema della corologia storica della Liguria è indubbiamenie molto più arduo di quanto non immaginasse nel 1719 il conte d'L’ssol, quando si proponeva, sostanzialmente una parziale ricostruzione del paesaggio savonese dal 967 al 1528 (63). Questo risulta chiaramente dalla considerazione, anche solo sommaria, dell’ampia silloge dei dati da ine raccolti. Fra quelli di particolare interesse geografico sono: le descrizioni corografiche (comprese quelle inedite di Matteo Vinzoni: 1767); i catasti (fra cui la «caratata » inedita del 1629, dove sono cenni d’interesse morfologico e agrario sulle varie valli liguri); le carte di vario contenuto e di varia scala, le relazioni di viaggio (fra cui quella di Davide Bertolotti : 1834 ; le opere d’interesse naturalistico (da quella di Plinio alla Liguria geologica di Gaetano Rovereto : 1939). Nessuno sforzo apparirà eccessivo per approfondire la conoscenza di una re gione caratterizzata da tanta maschia bellezza, da tanta tenacia di lavoro, da tanta fedeltà alla memoria dei padri (64) e ai più alti ideali umani; di una regione dove, pressocchè in ogni tempo, un popolo di coltivatori, pago delle proprie sedi interne, sembrò contrapporsi a un inquieto popolo di marinai, di mercanti, di fabbri industri, vago di tutti gli orizzonti terrestri (65). Genova, Istituto di Geografia dell Università. (62) P. Revelli, Cristoforo Colombo e la scuola cartografica genovese, vol. 1, pp. LXXIV-V; vol. II. p. 211 e tav. 27. Suir«anonimo genovese», cfr. N. Laoonaqgiore e E. G. Parodi (« Arch. Glott. ltal.», li, 1876; X, 1886; F. L. Mannucci, (L’anonimo genovese e la sua raccolta di rime, Genova, 1004, e Andreina Daolio, in Giorn. Stor. e Lett. d. Lig. 1940, pp. 53-«2. Cfr., inoltre, P. Revelli, La Liguria nell'opera di Dante («Dante e la Liguria»), Milano, 1924, pp. 16-49. (63) «Relazione topografica historica'della^città e distretto di Savona dal 967 al 1548» (A. S. T., Repubblica e Riviera di Genova, Inventario N. 67, Savona. Mozzo 1*). E' anteriore di vuri decenni olla Tabula Geografica Italiae »iedij aevi, di Gaspare Beuetta (Ms. Ambr. C. S.'.Ill 26, Sala del Sussidio), di cui il Muratori ha pubblicato un saggio (P. Revelli, 1 codici ambrosiani di contenuto geografico, Milano 19», cfr. N. 490; Id., Per la geografìa storica d’Ilalia). Come esempio.dijcontributi diretti e indiretti allo studio della corologia'storica della Liguria, basti ricordare la trattazione metodologica generale di Ubaldo Formkn-tini: Lunigiana, Genovesato e Liguria, La Spezia, 1943, e quella particolare di Vanna Zt ccm, che risolve un tipico problema di topografia storica: Topografia storica della piana di Albenga nel Medio Evo. 1, I corti d’acqua, «Rivista Ingauna e Intemelia», IV, 1-4, 1938. (64) 0. Grosso, All’ombra della Lanterna di Genova, Genova, 1946. Di particolare importanza al riguardo è la serie delle tradizioni popolari (Amy Berkardy, Raff. Corso, Filippo NonF.RAsco. Amedeo Pekcio e altri). (65) No fa testimonianza un’imponente serie di documentile di studi, dalla «Tavolo della Polcevera» (117 a. C.), limitata a un’esigua parte dell’area ligure, al volume «Attraverso la Liguria» del T.C.l. (1940); dalla Descriptio Italiae di Augusto, riflesse ne\VHistoria naturalis di Plinio (studiata aotto l’aspetto* geografico dal Detlefsen) e da Straboxb a Jacopo Bracelli; dalle trapazioni cinquecentesche sullo Stato ligure alle Notizie del De Bartolomeis, non raramente d’interesse antropogeogrntico; dalle carte di Tolomeo (J. Fischer, 1932) a quelle settecentesche di Matteo Vistosi (b cui dobbiamo il prezioso indice delle Città. Borghi, Luòghi che compongono lo Stato della Repubblica di Genova, in terraferma, 1767: Ma. B. V. 28 del-l’Unive'rsitaria di Genova) e alla «Carla d’Italia» dell’I.G.M. dal cosiddetto Itinerarium Antonini, ai planisferi - 134 - medievali stadiati dal Miller, ai portolani del Duecento e alle Guide dei nostri giorni. 88 f..1*.” ,.*** ttngtnana o Carta di Castorio, alle carte marine genovesi dei sec. XIII-XVII e a quel e ' 8 ' 10 ro pratico della Marina; dalle notizie frammentarie di Avieno e di Rutilio NamaziaNO al * an Aïl° degli Cbsrti e aU’AImanacco regionale di G. Fracchi a (1925) ; dalla compilazione di iusep ’ .no (1846) alle monografie geograflche di Bernardino Frescura (1898) e di Stefano GraKDB integra e in qua c e parte da Claudia Meblo («Enc. Iui.», XXI. 19«. p. 122 b • 131 b) e da Paolo Revelli (La gu geografica, «Storia di <>enova», 194t. p. 36l-:«l), e alla Liguria geologica di Gaetano Rovereto. Durante la >tampa del presente lavoro sono stati pubblicati gli scrilti seguenti : Paolo Re\elli, R'viera 1 jntributo al Glossario dei nomi territoriali italiani («Annali di ricerche e studi di Geogra a», . > naio-Giugno 1M8, pp. 1-15, con ano schizzo: bibliografia di 255 numeri - Genova, Libreria ozzi. • Rivera.. «Rivaria», è in atti privati della fine del sec. XIII; - Riperia», «Riveria» in atti u c ^ listi della prima metà del sec. XIII); Alfio Brusa, Il Portofranco della Repubblica Gen ’ • Consorzio Autonomo del Porto, 1918; Dino Gribaudi, L'apporto del medioevo alla fisionomia g g P ; Europa, «Boll. d. Soc. Geog. IU1.», 1918, Luglio-Agosto, pp. 18, in 8»; Arrigo Lorenzi’ ® f, ' orografia storica in Italia con speciale riguardo alla trasformazione del paesaggio (« ■ 1 , p Geo.iT. Ital. tenuto a Bologna dal lì al 11 Aprile 1917», Zanichelli, 1919. pp. 262-2691 ; Roberto *M» izionario geografico dell’Italia (Ibid. pp. 119-124 - Si tratta propriamente di un «dizionar , e rrà pr-parato dal Touring Club Italiano); Aldo Sestini, Le regioni italiane come ase g ; bruttura deilo Stato (Ibid., pp. 12S-,43: sulla Liguria pp. 132111. Ricorda che nel proge od -ojtituzione nguardano le regioni gli articoli 106-125; rileva Timportnnza del vol. II della «Relazione all A . tonomi0 uen e » - orna, 1916, pp. 655 . il quale contiene tre relazioni, stese da tre Soltoco"1®*8810 ' . e sl)//0 locali», «Problema della Regione», «Amministrazione locale»); L. F. De Magistris, Sulla q dettomi nano n« del limite convenzionale fra Alpi e Appennini (Ibid. pp. 518-520). . h^r' ,n®ltre: Paolo Revelli, Le regioni della Liguria, (Nota presentata alla CI. dl ScÌ.'>nZ® !” ^uoghiw nche e biologiche dell'Acc. Xaz. dei Lincei il « N'ov 1918); Id., Le .Cinque Terre» « 9* *0tto iguria, (Nota presentata alla stessa Classe nell'Adunanza del 12 Febbraio 1949). INDICE DEL VOLUME V. Vitale - Ripresa Albo Sociale Achille Riggio - Genovesi e Tabarchini in Tunisia settecentesca Raffaele Di Tucci - Lineamenti storici dell’industria serica genovese ............ Domenico Cambiaso - Casacce e Confraternite medievali in Genova e Liguria.......... Paolo Revelli - Per la corologia storica della Liguria